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Gli habitat italiani QUADERNI HABITAT 24

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Gli habitat italiani

Q U A D E R N I H A B I TAT

24

Q U A D E R N I H A B I TAT

M I N I S T E R O D E L L’ A M B I E N T E E D E L L A T U T E L A D E L T E R R I T O R I O E D E L M A R E

M U S E O F R I U L A N O D I S T O R I A N AT U R A L E · C O M U N E D I U D I N E

Gli habitat italianiEspressione della biodiversità

Quaderni habitatMinistero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del MareMuseo Friulano di Storia Naturale - Comune di Udine

coordinatori scientificiAlessandro Minelli · Sandro Ruffo · Fabio Stoch

comitato di redazioneAldo Cosentino · Alessandro La Posta · Carlo Morandini · Giuseppe Muscio

"Gli habitat italiani · Espressione della biodiversità"a cura di Fabio Stoch

testi diEdoardo Biondi · Ferdinando Boero · Benedetta Brecciaroli · Eugenio Duprè · Lucio Eleuteri ·Simonetta Fraschetti · Giuseppe Giaccone · Thalassia Giaccone · Alessandro La Posta · Laura Pettiti ·Fabio Stoch · Nicoletta Tartaglini

con la collaborazione diCarlo Blasi

illustrazioni diAlberto Gennari (102, 108, 113, 117, 118, 124, 130, 157, 161, 163, 164, 166, 167, 169, 170, 173, 175, 176)e Roberto Zanella

progetto grafico diFurio Colman

foto diNevio Agostini 97 · Archivio Museo Friulano di Storia Naturale, 55, 64/1, 64/2, 73, 77, 100, 131/1· ArchivioMinistero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (Pandaphoto, F. Di Domenico) 174/2 ·Archivio Naturmedia 69 · Archivio Unione Speleologica Bolognese (E. Altara) 99 · Andrea Artoni 22 · MauroArzillo 187 · Paolo Audisio 58, 59/2 · Flavio Bacchia 174/1, 177 · Pietro Baccino 61 · Carlo Nike Bianchi159/1 · Edoardo Biondi 47, 48, 49, 59/1, 63, 72, 76/2, 81, 82 · Alessandro Biscaccianti 191 · FerdinandoBoero 137, 150, 151, 162/2, 171, 183 · Enrico Lana 91 · Francesco Luigi Cinelli 132, 133 · Carlo Corradini13 · Corrado Venturini 17 · Adalberto D’Andrea 109, 110/1, 110/2, 193 · Vitantonio Dell’Orto 6, 7, 9, 11, 12,24, 46, 56, 60, 74, 78, 80, 88, 104/1,104/2, 105, 186, 188, 189, 190, 194 · Helmut Deutsch 127 · DarioErsetti 8, 54, 79 · Anna Flagiello 98 · Gabriele Fiumi121/3 · Fulvio Gasparo 131/2 · Luciano Gaudenzio 122 ·Giuseppe Giaccone 134 · Google Maps 10, 42 · Giuliano Mainardis 89, 119/2, 121/1 · Giuseppe Muscio33, 41 · Francesco Orsino 76/1 · Ivo Pecile 44, 52, 62, 66, 67, 68, 70/1, 70/2, 71, 83/1, 83/2, 84, 85, 86,116, 196 · Giuseppe Lucio Pesce 168 · Arnaldo Piccinini 103, 111 · Marco Relini 185 · Roberto Sauli 112 ·Pino Sfregola 75 · Margherita Solari 50 · Fabio Stoch 57, 65, 87, 93, 106/1, 106/2, 107, 114, 119/1, 120,123, 125, 126/1, 126/2, 128, 129, 144, 154, 158/2, 160, 180, 184, 192 · Luca Lapini 116/1 · Antonio Todaro172/1 · Egidio Trainito 135, 136, 138, 139/1, 139/2, 140, 141, 142, 143, 145, 146, 147, 148, 149, 152, 153,155, 158/1, 159/2, 162/1, 165/1, 172/2, 178, 181, 182, 197, 43 · Damiano Vagaggini 115/1, 115/2 ·Augusto Vigna Taglianti 101 · Francesco Zaramella 165/2 · Roberto Zucchini 121/2, 156

©2009 Museo Friulano di Storia Naturale · Udine

Vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie.Tutti i diritti sono riservati.

ISBN 88 88192 47 6ISSN 1724-7209

In copertina: Laguna di Marano con le Alpi Giulie sullo sfondo (Friuli, foto U. Da Pozzo)

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7Alessandro Minelli · Sandro Ruffo · Fabio Stoch

Italia: forme e contenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11Corrado Venturini

Habitat terrestri e d’acqua dolce: vegetazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47Edoardo Biondi

Habitat terrestri e d’acqua dolce: fauna. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89Fabio Stoch

Habitat marini: vegetazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133Thalassia Giaccone · Giuseppe Giaccone

Habitat marini: fauna ed ecologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149Ferdinando Boero · Simonetta Fraschetti

Conservazione della biodiversità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 187Alessandro La Posta · Eugenio Dupré · Lucio Eleuteri · Laura Pettiti ·Benedetta Brecciaroli · Nicoletta Tartaglini

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 195

Glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 197

Indice delle specie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 199

IndiceQuaderni habitat

6La macchiamediterranea

24Gli habitatitaliani

12I prati aridi

18I boschimontani diconifere

2Risorgivee fontanili

3Le forestedella PianuraPadana

4Dune espiaggesabbiose

5Torrentimontani

1Grotte efenomenocarsico

8Laghi costierie stagnisalmastri

9Le torbieremontane

10Ambientinivali

11Pozze, stagnie paludi

7Coste marinerocciose

14Laghettid’alta quota

15Le faggeteappenniniche

16Dominiopelagico

17Laghivulcanici

13Ghiaioni erupi dimontagna

20Le acquesotterranee

21Fiumi eboschi ripari

22Biocostruzionimarine

23Lagune,estuarie delta

19Praterie afanerogamemarine

7IntroduzioneALESSANDRO MINELLI · SANDRO RUFFO · FABIO STOCH

Cascatelle in un torrente montano

Allungata per mille chilometri da Norda Sud, fra l’elevata catena alpina che lasepara in modo netto dall’Europa cen-trale e le acque del Mediterraneo cheessa divide in due grandi e ben diversibacini, l’Italia presenta una ricchezzadi situazioni ambientali che non haparagone nell’intero continente euro-peo. A ciò contribuiscono in misuradeterminante anche la Sicilia, la Sarde-gna, l’Elba e la miriade di piccole isoleche la circondano.Questa ricchezza di situazioni ambien-tali si rispecchia in primo luogo nelladiversità dei tipi di vegetazione, dalleforme più imponenti delle grandifustaie di abeti e di faggi fino agliaspetti più discreti della vegetazionepioniera sui terreni vulcanici di nuovaformazione o presso il margine dei residui nevai e ghiacciai alpini. Se questanotevole varietà di habitat senz’altro colpisce chi viaggia attraverso il nostroPaese, meno facile da cogliere è la straordinaria diversità delle forme di vitaanimale. Ciò non dipende solo, o soprattutto, dalla limitata consistenza nume-rica delle popolazioni, ma è la naturale conseguenza delle modeste dimensio-ni e delle abitudini elusive che sono proprie della maggior parte delle speciedella nostra fauna, soprattutto fra gli invertebrati. Ancor meno accessibile alviaggiatore che non sia dotato di speciali attrezzature è la diversità delle formedi vita che popolano le acque, sia quelle interne (torrenti e fiumi, pozze e laghi,grotte e risorgive), sia quelle marine, che già nell’ambito di una limitata fasciacostiera raccolgono un vastissimo campionario dell’intero popolamento vege-tale e animale del Mediterraneo.Le attuali conoscenze sulle forme di vita presenti in Italia, compresi i mari cir-costanti, sono ancora incomplete. Lo documenta, anno dopo anno, l’inces-sante aggiungersi di nuove specie all’inventario della flora e della fauna del

Fioritura primaverile in un prato da sfalcio

abbia esposto e continui ad esporlo a drammatici rischi di sopravvivenza. Glihabitat e il popolamento vegetale e animale hanno dovuto fare i conti, neisecoli, con una presenza umana che non si è limitata ad alterare il paesaggioper fare spazio alle città e ai coltivi, o ad intaccare i boschi per soddisfare lesue esigenze di legna da ardere o da costruzione, ma si è spesso lasciataandare, soprattutto in un recente passato, ad un’azione distruttiva che hainciso drammaticamente su ecosistemi fragili come gli ambienti litoranei, letorbiere, le risorgive.Con la collana “Quaderni Habitat”, la Direzione per la Protezione della Naturadel Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha volutopromuovere e diffondere la conoscenza delle più significative situazioniambientali presenti in Italia. Per ciascuna di esse sono stati presentati, in for-ma monografica, i caratteri fisionomici dell’habitat, inquadrati nelle rispettivesituazioni geografiche, geologiche e climatiche, per passare ad una caratteriz-zazione dei popolamenti vegetali e animali e concludendo con un esame dellealterazioni che l’uomo vi ha portato nel tempo, seguito da un’indicazione dellelinee di conservazione e di gestione oggi adottate o almeno auspicabili. Lacollana si conclude con questo volume, che riepiloga in forma sintetica i linea-menti principali della diversità ambientale dell’Italia, invitando il lettore adimmergersi in questa realtà così ricca di situazioni uniche e di preziose pre-senze vegetali e animali, per condividere infine la responsabilità di una suagestione sensibile e consapevole.

9nostro Paese. E non si tratta solo deiprimi ritrovamenti italiani di specie giànote in altre parti d’Europa o di specie“aliene” maldestramente introdotte inItalia dall’uomo, ma anche, e di fre-quente, della scoperta di specie nuoveper la Scienza.È significativo, nell’indicare la necessitàdi proseguire in questo prezioso sforzoconoscitivo, il fatto che nell’anagrafedella flora e della fauna d’Italia abbianofatto il loro ingresso, in anni recenti,anche alcune nuove specie di pianteappartenenti a generi “popolari”, comePrimula e Gentiana. Non meno signifi-cativo è il fatto che negli ultimi decennila lista delle specie italiane di rettili eanfibi sia profondamente cambiata, aseguito di studi approfonditi che hanno

riconosciuto (o, più spesso, rivalutato) come ‘specie buone’ entità proprie dellanostra penisola, o delle sue isole, che in precedenza erano considerate indi-stinguibili dalle specie affini presenti in altre parti d’Europa.A dimostrare lo straordinario valore della biodiversità italiana, tuttavia, non sonosolo le oltre 57.000 specie animali conosciute, alle quali si sommano circa6.700 specie di piante vascolari e molte migliaia di specie riferibili agli altri gran-di gruppi di organismi viventi, primi fra tutti i funghi e le alghe. Non meno impor-tante è sottolineare l’alta percentuale di specie endemiche, cioè di specie il cuiareale naturale non supera i confini del nostro Paese, restando anzi, quasi sem-pre, confinate in territori circoscritti: molte delle specie di recente riconosciutecome nuove per la Scienza hanno un areale di distribuzione che non si estendeal di là di un singolo massiccio montuoso o di un singolo bacino fluviale. Perl’intera fauna italiana, il tasso di endemismo è oggi stimato superiore al 10%, unvalore che molto probabilmente è destinato a crescere in futuro, con la scoper-ta di nuove specie ad areale limitato. Per le piante a fiore, la percentuale dellespecie endemiche supera il 13%. Queste percentuali, tra le più alte in Europa,sono spiegabili considerando le complesse vicissitudini paleogeografiche chel’Italia ha attraversato in milioni di anni di evoluzione: le specie endemiche rap-presentano insostituibili testimonianze di questi antichi eventi e costituisconouno dei più grandi “musei all’aperto” della storia del nostro Paese.È facile comprendere il valore di un patrimonio naturale così ricco e diversifi-cato, ma è altrettanto facile comprendere come la sua stessa ricchezza lo

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Fiume di risorgiva (Sile, Veneto)

La costa del Salento (Puglia)

■ Un sintetico approccio geologico

La molteplicità dei paesaggi e habitatdel territorio italiano è la diretta conse-guenza non solo dell’orografia, dellalatitudine e del clima, ma anche delladistribuzione dei principali tipi di roccee sedimenti che contribuiscono a con-dizionarne la varietà.In questo capitolo introduttivo si par-lerà sinteticamente dell’Italia, dellasua evoluzione geologica, delle suerocce antiche e dei suoi sedimentirecenti, delle loro età, deformazioni edistribuzioni, nonché della mirabileforma della penisola, frutto della com-binazione di molteplici eventi dinamicie sedimentari.

■ Il fascino di un profilo

Sono convinto che molti tra voi, raggiunta l’età scolare, siano rimasti piacevol-mente stupiti nell’accorgersi che l’Italia, la nostra Italia, è sagomata a perfettostivale, preciso in ogni particolare. Era l’inizio degli anni ’60 e ricordo ancoracon quanta enfasi ne ridisegnavo il profilo pensando alle forme anonime deglialtri stati europei. La soddisfazione diventò massima quando le mie conoscen-ze geografiche valicarono l’Europa: indubbiamente il nostro stivale non erasecondo a nessuno, a livello mondiale! Allo stupore si era intanto aggiuntol’orgoglio; molto simile a quello che accompagnava i trionfi della squadra delcuore. Alcuni anni più tardi le immagini dallo spazio avrebbero confermato eribadito il primato estetico dell’Italia sul resto del mondo.Le sensazioni d’un tempo intanto erano andate svanendo, sostituite da unasottile curiosità. Il perché, come e quando cominciavano a farsi largo chie-dendo risposte. Il desiderio di conoscere, come spesso accade, accese una

11Italia: forme e contenutiCORRADO VENTURINI

L’Italia ha raggiunto la propria forma attraverso una successione di eventi geologici spesso spettacolari

Il Monviso e le sorgenti del Po (Piemonte)

passione. La passione, per scelta e volontà, si trasformò prima in studio poiin lavoro. E col lavoro da geologo arrivò infine la possibilità di comprendere lacomplessa catena di cause ed effetti alla base dell’attuale forma della nostrapenisola.Forma che è funzione diretta dell’evoluzione e distribuzione delle catenemontuose e delle piccole e grandi pianure, dei volumi crostali instabili e frat-turati e di quelli indeformati e saldi, dei sollevamenti e degli abbassamenti delterritorio, delle zone di effusione magmatica e di quelle dove insistono gliaccumuli sedimentari, delle rocce coese e dei sedimenti sciolti, delle litologiemolto resistenti e di quelle facilmente erodibili, delle incisioni e dei trasportifluviali, delle esarazioni e dei rimaneggiamenti glaciali.Tutto questo distribuito non solo nello spazio, ma anche attraverso il tempo,in un avvicendarsi e sostituirsi di ruoli con sceneggiature al limite dell’incredi-bile che, con inesorabile, lenta determinazione, hanno coinvolto e stravoltoquel grande palcoscenico tridimensionale sul quale, oggi, improvvisamente,ci troviamo proiettati. Noi, esseri umani dal duplice ruolo di soggetti ospitatinegli ambienti che la geologia ha generato e di agenti modificatori e pertur-batori del paesaggio naturale, in molti casi trasformato in paesaggio pura-mente antropico.Per cercare di illustrare in poche pagine le complesse tappe geologiche chehanno portato l’Italia, isole comprese, all’odierna forma e assetto geologico,è indispensabile procedere attraverso sintesi ed esemplificazioni. Se il lungo

film dell’evoluzione geologica dell’Ita-lia, iniziato da oltre mezzo miliardo dianni, fosse riassunto in un trailer, lavoce fuori campo - accompagnata daimmagini mozzafiato in rapida succes-sione - potrebbe cominciare pressap-poco così. Siamo tornati al lontano Paleozoico,circa mezzo miliardo di anni fa. Peroltre 200 milioni di anni placche lito-sferiche dalle forme e dimensioni piùvarie hanno interagito allontanandosi,sfiorandosi, collidendo. Nelle numero-se separazioni si generava nuova cro-sta oceanica, densa e sottile, copertada oceani in lenta espansione. Nellefasce di collisione la crosta continen-tale si ispessiva, leggera ed emersa oappena rivestita da mari poco profon-di. Il Paleozoico sta ora volgendo altermine. Ci troviamo tra 250 e 350milioni di anni dal Presente. È ilmomento della svolta. Tra i blocchicontinentali emersi e mobili prevalgono gli avvicinamenti e con essi le colli-sioni, in grado di distruggere sistematicamente la crosta oceanica che lisepara. Il mito di tutti i geologi sta diventando realtà: il supercontinente Pangea. Ununico aggregato di placche a crosta continentale emersa, una gigantescasuper-isola circondata da acque e crosta oceanica. Pangea, visto dalla Luna,appare come un’enorme bolla ocracea sul fondo azzurro cupo del vasto ocea-no Pantalassa.Una patina verde in veloce espansione ne sta conquistando rapidamente lasuperficie. La grande collisione unificatrice ha generato una serie di catenemontuose nelle zone di contatto e sutura tra le placche a crosta continentale.Le catene formano una grande fascia corrugata lunga oltre 5000 km. Sono irilievi ercinici. Le rocce spinte più in profondità si sono intanto trasformate inrocce metamorfiche.È da questo istante geologico, circa 300 milioni di anni fa, che la storia del ter-ritorio italiano può essere raccontata con ricchezza di particolari. Un’evoluzio-ne incessante guidata da continui mutamenti che hanno impiegato centinaiadi milioni di anni per dare forma all’Italia che oggi ci ospita.

12 13

La distribuzione delle terre e dei mari circa 300milioni di anni fa

Affioramenti di rocce paleozoiche lungo lacosta della Sardegna

Il Monte Bianco dalla Val Ferret (Val d’Aosta)

Corrado Venturini

Troppo spesso le evoluzioni geologichedescritte ad uso dei non geologi dannoper acquisiti dei concetti che non appar-tengono al patrimonio di conoscenze dellettore medio. È bene allora esemplifica-re alcuni presupposti geologici di baseper comprendere meglio i passi cheseguiranno. Tutta la superficie terrestre è scomponi-bile in placche cosiddette litosferiche.Sono formate dalla crosta e dalla partepiù superficiale del mantello. Le principa-li sono una dozzina e il loro spessore ècompreso tra 40 e 200 km al massimo. Illimite tra due placche spesso si incontrain mezzo a un oceano. In tal caso coinci-de con la dorsale (limite costruttivo). Èquesta una stretta fascia di frattura deifondali da cui fuoriesce in continuazionemagma di origine profonda (astenosfera).Uscendo solidifica ai due margini dellazona fratturata formando nuova crosta,densa e perciò ribassata (crosta oceani-ca). I due lembi della frattura sono divari-cati e continuamente allontanati, dandola possibilità al fenomeno eruttivo di ripe-tersi. Le velocità del processo non supe-rano i 10-14 cm all’anno. Praticamente lestesse della crescita di unghie e capelli!

È così che le masse dei continenti (fattedi crosta continentale) - che sono in fon-do le parti emerse e visibili delle placche- si spostano per migliaia di chilometri.Ricordiamo però che migrano solidal-mente alle porzioni di crosta oceanicaappoggiate al loro fianco, per noi invisibi-li sotto la superficie marina, e con le qua-li formano una placca litosferica unica. Può essere utile paragonare una grandeplacca (Pangea, ad esempio) a una spes-sa lastra di ghiaccio cresciuta sullasuperficie di una massa d’acqua marina.Immaginate ora una frattura mediana chela spezzi per tutto il suo spessore: lenta-mente si formano due distinte porzioni dighiaccio “continentale” in divaricazionee, ben presto, in allontanamento. Manmano che questo si verifica, sul fondodella neonata fossa centrale (la zona didorsale mediana) l’acqua gela e forma unlivello di ghiaccio nuovo, sottile e - soloper il nostro esempio - più denso di quel-lo dei lastroni in allontanamento. L’iniziale placca unica si è divisa in dueplacche distinte, separate da una fratturamediana che non cicatrizza. Da essa siscorge l’acqua che continua a generarenuovo ghiaccio “oceanico”, sottile e piùdenso. Cristallizza continuando ad attac-carsi ai bordi ghiacciati della frattura. Taletipo di crosta sottile si è inizialmente svi-luppata saldandosi alla crosta ghiacciata“continentale”, spessa e leggera, con laquale ora costituisce una massa unica.Procederanno solidalmente nel moto ditraslazione come porzioni differenti, masaldamente unite.Un altro concetto: la subduzione. Cosìcome nuova crosta oceanica si generacontinuamente dalla fuoriuscita di mag-ma lungo 40.000 km di dorsali terrestri, inaltre parti del globo deve esistere anticacrosta che in qualche modo affonda nelmantello per ristabilire l’equilibrio. Ciòavviene lungo le fasce di subduzione(limite distruttivo). Coincidono con le zonedi collisione tra placche. Nello scontro

una delle due può venire spinta verso leprofondità dove il mantello la assimila. Se per qualche ragione sotto al ghiacciodell’esempio le correnti marine cambianodirezione, si interrompe l’allontanamentotra le due “placche” e può persino produr-si convergenza. Nel frattempo sulle due“placche” è nevicato in più riprese. Sopraal ghiaccio “oceanico”, sottile (e denso)della zona centrale ribassata, si sonoaccumulati numerosi strati di neve fresca.Lo stesso è accaduto in molte parti deilastroni di ghiaccio “continentale”.La convergenza in atto ora sta raccor-ciando le aree e deformando i volumi. Leporzioni di ghiaccio “oceanico” recente esottile si spezzano facilmente lì dove sisaldano a quello “continentale”, a causadella differenza di spessore e densità. Siinflettono, inarcano e affondano (subdu-cono), data la loro maggiore densità. Len-tamente cominciano a scendere obliqua-mente sotto la massa di ghiaccio “conti-nentale”. Affondano e infine si sciolgononelle profondità della massa d’acqua.Durante la collisione e subduzione puòaccadere che le coperture stratificate dineve fresca e leggera, si scollino dalghiaccio “oceanico” e restino in superfi-cie, spezzandosi e accavallandosi cometegole, o come carte da gioco, contro lamassa del ghiaccio “continentale”. Glistrati di neve soffice rappresentano isedimenti, in gran parte argillosi, chenella realtà geologica si accumulano suifondali oceanici formati da basalti e gab-bri. La collisione allora può comprimere,deformare e affastellare i sedimentioceanici (gli strati nevosi dell’esempio)assieme a una parte del sottostanteghiaccio sottile e denso (le rocce mag-matiche basiche), spingendo il tutto adaccavallarsi sul lastrone di ghiaccio“continentale”. Questo processo si chia-ma “obduzione”, contemporaneo ma inopposizione a quello di subduzione. Col procedere della collisione, quantoresta del ghiaccio “oceanico” scompare

in profondità. Quando tutto il ghiaccio“oceanico” con le sue coperture nevose èandato in subduzione (oppure in obduzio-ne) sono di nuovo due masse di ghiaccio“continentale”, più spesso e leggero, adaffrontarsi. Il ghiaccio “continentale” equel po’ di ghiaccio “oceanico” obdotto,assieme alle rispettive coperture nevose,formeranno allora una catena orogeneti-ca. Nella realtà una delle due placche siinfila e inflette lentamente sotto l’altraaffastellando spessori chilometrici di roc-ce, piegate, spezzate, inarcate, raccorcia-te ed embricate come “tegole tettoniche”. Nelle rappresentazioni in pianta dei siste-mi deformati (orogeni) i limiti tra una tego-la e l’altra - le superfici di faglia a bassoangolo - sono indicati con un simbolocaratteristico: una riga continua con trian-goli pieni appoggiati sulla “tegola che stasopra” e si accavalla su quella sottostan-te. Dalla collisione tra due placche dighiaccio “continentali” nasce infine unacatena montuosa (orogenesi). Nell’esem-pio utilizzato è un insieme serrato di tego-le embricate di ghiaccio e neve stratifica-ta. Nella nostra realtà è il poderoso volu-me deformato rappresentato dalla catenaalpina e da quella appenninica.

“Gemmazione” di una placca attraverso lanascita (dall’alto verso il basso) di una dorsale

Astenosfera

CO

CO O

CC Litosfera

Processi di subduzione (o: crosta oceanica,c: crosta continentale)

14 15La cassetta degli attrezzi

quei lenti movimenti di denso materia-le del mantello allo stato fluido che, insuperficie, frammentano, trascinano emodificano le placche, più rigide efredde (vedi scheda a pagg. 14-15).Durante un secolo di accelerata attivitàdi indagine e ricerca, gli sforzi sinergicidi geologi prima e di geologi e geofisicipoi, hanno portato alla comprensionedell’intricato puzzle geologico mediter-raneo in generale e italiano in particola-re. Proveremo a riassumere, in questepoche pagine e nei limiti delle indispen-sabili semplificazioni, i principali passievolutivi della storia geologica italiana.Gran parte dei territori che oggi forma-no l’ossatura dell’Italia sono rocce cheun tempo - sotto forma di sedimenti oprodotti magmatici - si accumulavanosui fondali dei mari, da poco a moltoprofondi, che hanno anticipato la formazione del Mar Mediterraneo odierno.Quasi sempre le rocce visibili sul territorio sono il riflesso e la conseguenza diuna particolare condizione superficiale generata dalla dinamica crostale, ossiadai movimenti delle placche. Anche oggi è la stessa cosa. Un paragone: un certo tipo di treno serve un territorio. Ha il suo percorso, leproprie fermate, gli orari di transito. Non l’abbiamo mai visto né siamo in gra-do di attingere informazioni dirette. L’unica possibilità è quella di prenderecontatto, all’uscita delle singole stazioni, con i passeggeri. Ma attenzione, essinon ci parleranno mai del treno dal quale sono appena scesi o che dovrannoprendere. Si limiteranno a raccontarci di loro e dei motivi per cui hanno sceltoquel dato treno. Il resto spetterà a noi. I passeggeri sono le rocce e i sedimen-ti, il treno (o i treni) sono le placche in movimento. A questo punto occorre tornare indietro nel tempo, quasi 300 milioni di anni fa,alla stazione di partenza della nostra storia. A quella Pangea e all’ampio golfotetideo che ne lambiva e arcuava le coste orientali. Da lì risaliremo a grandi pas-si verso il Presente. Sarà opportuno dividere questa avvincente quanto com-plessa storia geologica in sette successive tappe evolutive. Sette magnificimomenti geologici i cui effetti - sovrapposti nei volumi rocciosi che rappresen-tano la materializzazione tridimensionale del tempo - giustificheranno tanto ladistribuzione odierna delle rocce, dei rilievi, delle pianure, dei sedimenti e deimari che circondano l’Italia, quanto la sua caratteristica e particolare forma.

17■ La sfera di Rubik

Il settore circummediterraneo rappre-senta una delle aree geologicamentepiù ingarbugliate - se così si può dire -dell’intero pianeta e l’Italia ne è il fulcroattivo. La complessità nasce dalla coe-sistenza di condizioni crostali di com-pressione, distensione, apertura e tra-slazione che risultano contemporanea-mente attive in zone limitrofe e spazispesso interferenti tra loro. A questooccorre aggiungere la diabolica abitu-dine che molte tra tali zone hanno dimutare nel tempo il proprio ruolo, dacompressivo a distensivo o viceversa.Aggiungiamo poi che il tutto si verificamentre le singole zone crostali traslanoin modo spesso indipendente, seppurelogico, muovendosi sulla superficie ter-

restre. Non basta, ci sono altre e non ultime complicazioni. Mentre questo acca-de alcuni settori sono deformati, sollevati ed erosi, e i loro prodotti si trasferi-scono, sotto le più varie forme (ghiaie, sabbie e argille fluviali, ma anche gigan-tesche frane sottomarine), verso le zone più basse: pianure, delta, mari e ocea-ni. Naturalmente tutto questo avviene mentre le placche si muovono, si scontra-no, si distendono o sprofondano, aggiungendo ulteriori variabili a un sistema giàmolto complesso dove anche il clima impone i propri effetti. Si potrebbe conti-nuare raccontando che nel vasto settore circummediterraneo, oggi come già300 milioni di anni fa, esistono zone dove si sta generando nuova crosta - adesempio nelle profondità sottomarine - e altre in cui, al contrario, porzioni di cro-sta antica sono spinte in profondità a distruggersi per fusione nel sottostantemantello (astenosfera). Altre ancora, in questo stesso istante, si stanno compri-mendo e sollevando per poi, tra breve, innescare poderose scosse sismiche.Potete ben vedere che abbiamo a che fare con una sorta di “cubo di Rubik”geologico, anzi di “sfera di Rubik”! La differenza tra la situazione di inizialePangea e quella odierna è paragonabile a quella che esiste tra i “cubi di Rubik”ancora esposti in vendita e quelli - sicuramente caoticissimi! - abbandonati infondo ai cassetti di molte delle vostre case. Eppure una differenza sostanzialeesiste. Mentre nei “cubi di Rubik” sono le scelte casuali a determinare le infini-te configurazioni, nel caso del contesto circummediterraneo tutto risponde auna mirabile catena di cause ed effetti il cui motore va cercato in profondità. In

16 Neogene

Paleogene

Cretaceo

Giurassico

Triassico

Permiano

Carbonifero

Devoniano

25

65

145

205

250

290

360

410

440

510

570

Siluriano

Ordoviciano

Cambriano

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Il tempo geologico: ere e periodi dellesuccessioni più recenti con i relativi limiti inmilioni di anni

La successione devoniana del MonteCoglians, lato nord (Alpi Carniche, FriuliVenezia Giulia)

Al termine del Triassico qualche strettafascia di mare profondo, localizzataper lo più nelle zone lombarde e liguri,cominciava a preannunciare il decisocambiamento che di lì a pochi milionidi anni - un attimo in geologia - avreb-be dato una svolta sostanziale all’evo-luzione geologica di Pangea in genera-le, e della futura Italia in particolare. Quello che per Pangea poteva esserefin qui considerato un valore aggiunto, ilmirabile golfo mesozoico della Tetide,nel Giurassico inferiore (circa 200 milioni di anni fa) cominciò a rivelarsi un pode-roso grimaldello geologico capace di favorire la disintegrazione del super-conti-nente. Fu proprio nel Giurassico che la generalizzata instabilità crostale, matura-ta già dal Triassico medio, finì col produrre una serie di giganteschi sforzi tensio-nali. I suoi effetti si rivelarono disastrosi per la sopravvivenza stessa di Pangea.In superficie, dalla futura Florida fin quasi a Terranova, il territorio iniziò asprofondare lungo una stretta fascia estesa per migliaia di km. Sarà destinataad allargarsi senza sosta fino ai giorni nostri, con velocità oggi prossime a 2-3cm all’anno. Stava nascendo l’Oceano Atlantico centro-settentrionale e conesso il limite tra due nuove placche: da un lato N-America con Eurasia (Laura-sia), dall’altro Africa, ancora tutt’uno con S-America, India, Antartide e Australia(Gondwana). Dalla frattura medio-oceanica, orientata circa N-S, effusionibasaltiche sottomarine profonde aggiungevano crosta oceanica di neoforma-zione, sottile e densa, appoggiandola alle rispettive neonate placche. L’Africaintanto aveva iniziato la propria deriva verso E.Non fu solo l’Oceano Atlantico centro-settentrionale ad aprirsi e allargarsi. Lastessa sorte toccò anche a un altro braccio di mare che rapidamente sviluppòidentiche condizioni. Anch’esso produsse una profonda ferita crostale dalla qua-le prese ad uscire nuova crosta oceanica. A posteriori questo oceano minore fuidentificato col nome di Oceano Ligure-Piemontese, in base alla posizione geo-grafica oggi occupata dalle rocce che ne formavano i fondali. Inutile aggiungereche, essendo quest’oceano ormai scomparso da quasi 40 milioni di anni, è statoriconosciuto solo grazie ai suoi caratteristici resti, le tipiche rocce di crosta ocea-nica che ha prodotto (ofioliti), oggi incorporate nelle catene alpina e appenninica. La nuova situazione finì col delineare due nuove placche crostali (ma sarebbepiù corretto chiamarle litosferiche) in allontanamento reciproco. Quella setten-trionale, formata da N-America, ancora unita solidalmente con Europa e Asia,e quella meridionale, formata da Africa, S-America e …da un ridotto ma signi-ficativo settore denominato Adria. Quest’ultimo era una sorta di protuberanza

19■ Evoluzione geologica dell’Italia

1. La disintegrazione di Pangea el’Oceano Ligure-Piemontese. Pan-gea aveva dunque acquistato dignitàdi superplacca. Questo accadeva cir-ca 300 milioni di anni fa, nel Carboni-fero. Fu il risultato di casuali assem-blaggi di placche grandi e piccole che,attraverso collisioni reciproche, ave-vano generato catene montuose nellerispettive zone di contatto. Il mega-

continente emerso riuniva in un blocco unico Antartide, Australia, India e S-America, saldate solidalmente a N-America, Europa e Asia. Tutt’intorno ilmare, l’Oceano Pantalassa.L’ultimo evento collisionale che assemblò Pangea aveva anche generato unavasta fascia montuosa collisionale che, trasversalmente, interessava N-Ameri-ca (Appalachi), Spagna NW, Francia, Germania e Italia (N-Italia, Sardegna eCalabria, che a quei tempi occupavano tutte posizioni molto differenti rispettoalle odierne). Erano i rilievi cosiddetti ercinici (dalle montagne Harz, in Germa-nia). Le successioni sedimentarie di queste aree subirono quasi ovunque defor-mazioni così intense da essere trasformate in rocce più o meno metamorfiche.Tali rocce, dopo una parziale esumazione ed erosione, formarono un vasto zoc-colo di appoggio. Sopra ad esso si accumularono i successivi depositi tardo-carboniferi e, via di seguito, i prodotti permiani e quelli mesozoici.Tra la fine del Paleozoico e l’inizio del Mesozoico, prese forma un grande golfomarino che si allargava verso oriente. Fu l’avvento della Tetide mesozoica. Siaffermò penetrando su precedenti aree di pianura, espandendosi verso occi-dente e meridione. Prevalenti strati calcarei e banchi carbonatici massicci siaccumularono in spessori che raggiunsero alcune migliaia di metri. L’ambien-te era di mare da basso a scarsamente profondo. Questi depositi, oggi incor-porati nell’edificio alpino, caratterizzano vaste porzioni delle Alpi e Prealpi tri-venete (Dolomiti, Carnia e Tarvisiano) e, meno diffusamente, lombarde. Nel frattempo, nelle aree di Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche ePuglia, assieme ai territori oggi occupati dal Mare Adriatico, si erano instaura-ti ambienti marini evaporitici. In essi si accumulavano depositi salini, solfatici ein parte carbonatici. Il loro aspetto poteva ricordare quello delle odierne costesahariane occidentali, costellate di vaste lagune interne periodicamente inva-se dal mare. I depositi di allora, da una decina di milioni di anni incorporati nel-la catena appenninica, affiorano raramente e in modesti lembi, quantunquesiano attestati da numerose trivellazioni profonde.

18

Adria

Tetide

1

2

12

India

AustraliaOceano Ligure-PiemonteseOceano Atlantico

Circa 200 milioni di anni fa si apre l’OceanoAtlantico e con esso la sua versione ridotta:l’Oceano Ligure-Piemontese

Pantalassa

Adria

Pangea

Pangea

Pangea e Pantalassa: due grandi protagonistiper uno scenario crostale che risale a quasi300 milioni di anni fa

settentrionale del continente africano, oppure, come una differente scuola dipensiero propone, una placca di ridotte dimensioni divisa dal blocco africanoda estese faglie verticali e un esiguo corridoio marino profondo. In entrambi icasi era caratterizzata dalla medesima crosta continentale dell’Africa. Comunque la si intenda, protuberanza o microplacca, dal Cretaceo medio inpoi, circa 100 milioni di anni fa, il suo ruolo sarà quello di assorbire in primapersona gli urti e le collisioni tra Africa ed Europa. Una specie di cuscinettoche smorza i contrasti fisici tra due giganti geologici. Una sorta di paraurti checarena il lato settentrionale della placca africana e che, in quanto tale, saràesposto alle potenziali deformazioni, intense e complesse, che non tarderannoa manifestarsi.Diventa interessante notare anche un aspetto importante per i futuri sviluppievolutivi. Sardegna e Corsica (insieme a Calabria e Sicilia orientale) non appar-tenevano ad Adria. Erano solidalmente ancorate alla Provenza, circa nellazona tra Nizza e il Golfo del Leone, e facevano parte del margine meridionaledella placca euroasiatica. Adria invece stava sull’altro lato, separata da Sarde-gna e Corsica (e dal loro vasto retroterra) tramite l’Oceano Ligure-Piemontesein fase di progressivo allargamento. Nel Giurassico-Cretaceo inferiore Adria era un territorio posto a latitudini inter-tropicali. Risultava pressoché interamente coperto da mari da bassi a variamen-te profondi. Il suo aspetto poteva ricordare quello dell’attuale area caraibica. Idepositi mesozoici accumulati nell’Oceano Ligure-Piemontese e sui territori di

2120 Adria andranno a formare, quasi 100milioni di anni dopo la loro genesi, partedei rilievi alpini e di quelli appenninici.Intorno a 180 milioni di anni fa si eraprodotta la fascia oceanica ligure-pie-montese e si andava progressivamenteampliando con fondali che superavanoi 2500 m di profondità. Sopra ad essieffusero abbondanti basalti, sotto for-ma di caratteristiche lave a cuscino, epiù in profondità si intrusero i relativimagmi basici (gabbri), dando insiemeorigine e spessore a nuova crostaoceanica. In aggiunta si accumularono,come rivestimento sedimentario dimare molto profondo, cospicui spesso-ri di argille e selci stratificate (diaspri). Allontanandosi dalla zona oceanica emuovendosi verso Adria, i suoi territorisottomarini passavano da mediamenteprofondi (Lombardia) a decisamente superficiali (Friuli). Attraversando questiultimi (magari a nuoto, ma le basse isole a sabbia calcarea bianca erano nume-rose) ci saremmo imbattuti in piane di marea estese per centinaia di km, costel-late di basse zone emerse e vegetate. Erano diffuse le lagune tropicali, dovetransitavano dinosauri il cui passaggio è testimoniato da frequenti piste impres-se nei fanghi calcarei scoperti dalle basse maree. I corrispondenti depositi sonoi calcari a grana grossa, massicci e fossiliferi dei banchi organogeni biocostruitie i calcari in gran parte fangosi e sottilmente stratificati delle lagune. Complessi-vamente questi depositi hanno formato successioni spesse alcune migliaia dimetri. Caratterizzavano in particolare due ampi settori di Adria: il Friuli centro-meridionale, con Veneto meridionale, Venezia Giulia, Istria e fascia croata, equasi per intero la Puglia e gran parte della Basilicata; li separava un braccio dimare mediamente profondo che occupava l’odierno Mare Adriatico.Nel Cretaceo inferiore (circa 145-100 milioni di anni fa) Alpi e Appennini eranoancora impossibili da prevedere, anche se gran parte delle rocce destinate aformarne i rispettivi rilievi era già pronta. Le successioni rocciose non lo sape-vano ancora, ma si trovavano collocate ai rispettivi blocchi di partenza. Trapoco lo starter avrebbe dato il segnale di via. Fino a quel momento si eranomosse al seguito di una safety car per un semplice giro di ricognizione. Soloora la corsa vera e propria avrebbe avuto inizio. Stranamente si sarebbe svoltain …senso contrario. La danza delle placche stava per cominciare.

EUROPA OCEANO L-P ADRIA

Lombardia Friuli

PLACCAEUROPEA

ADRIAPLACCAAFRICANA

Adria è la propaggine settentrionale della Placca Africana: la sezione evidenzia la separazione dallaPlacca Europea con lo sviluppo di nuova crosta oceanica (Oceani Atlantico e Ligure-Piemontese)

Bacinolombardo

Bacinoumbro-marchigiano

ocinoi onicaB

amrofattaiP

anairtsi-

onaluirf

alupa amrofattaiP

Linea Insubrica

Mari mediamente profondi e piattaforme(lagune e scogliere) durante il Mesozoicoin Italia

Osserviamo ora, in estrema sintesi, ilsuccedersi nel tempo e nello spazio deiprincipali effetti deformativi alpini chepoi culminarono, in modo parossistico,a metà del Cenozoico, tra Eocene eMiocene (circa 50-5 milioni di anni fa).Sempre semplificando, possiamo nota-re che il regime di convergenza crostalecominciò col produrre una estesa feritalungo il margine SE dell’Oceano Ligure-Piemontese. La sua crosta oceanica,larga ormai fino a 1000 km (!) e compo-sta di rocce magmatiche basiche (gab-bri e basalti) con prevalenti coperturesedimentarie argillose e silicee, comin-ciò a infilarsi obliquamente sotto Adria.Parte delle sue rocce non fu “digerita”in profondità ma, pur subendo intensedeformazioni metamorfiche, fu in uncerto senso piallata da Adria e strizza-ta sotto forma di giganteschi trucioli, prima contro e poi sopra il grande bloc-co europeo in progressivo avvicinamento.Quello che accadde tra il Cretaceo superiore e il Miocene può forse essere intui-to meglio se al blocco continentale europeo sostituiamo idealmente un elencotelefonico (Pagine Gialle, ad esempio) e al blocco africano (in questo caso il pro-montorio Adria) un secondo, differente e riconoscibile elenco (Pagine Bianche).Tra i due, appoggiati sul pavimento, poniamo un… Tutto-Città: le sue paginerappresenteranno la sottile crosta oceanica dell’Oceano Ligure-Piemontese.Togliamo a tutti le copertine per renderli più deformabili. Spingendo le PagineBianche di Adria verso le Pagine Gialle di Europa, i fogli superiori di Tutto-Cittàcominceranno a piegarsi deformandosi con facilità. Finirà che Bianche-Adria siaccavallerà, come una gigantesca tegola, sopra Tutto-Oceano, schiacciandonee spiegazzandone intensamente tutte le pagine superiori. Nel frattempo le suepagine inferiori si infilano sotto Bianche-Adria (subduzione). Quando Tutto-Oceano è completamente schiacciato tra i due elenchi, con le sue pagine infe-riori ormai scomparse per subduzione sotto Bianche-Adria, i due elenchi entra-no in contatto. A questo punto si assiste alla fase cruciale dello scontro titanico.Bianche-Adria procede a passo di carica (quasi un gladiatore romano contro iG(i)alli d’Europa) tenendo davanti a sé la fascia spiegazzata e ormai super-defor-mata di Tutto-Oceano come scudo. Nello scontro Bianche-Adria si getta letteral-mente su Gialle-Europa e lo travolge. Tra i due blocchi rovesciati a terra, uno

232. Nella morsa delle grandi placche(Europa e Africa) nascono le Alpi.Occorreva adesso, alla fine del Cretaceoinferiore (circa 100 milioni di anni fa), chequalcosa di poderoso accadesse perottenere i risultati che oggi sono sotto gliocchi di tutti. Qualcosa capace di tra-sformare un oceano profondo quasi3000 m - e con esso tutto l’insieme diambienti marini meno profondi che lodelimitavano e le corrispondenti suc-cessioni magmatiche e sedimentarie -in catene montuose alte oltre 4 km.Ancora una volta la regia dei cambia-menti radicali dei nostri territori fu affi-data all’Oceano Atlantico. Ad essosarebbe toccata, seppure indiretta-mente, la trasformazione della situa-zione di distensione e apertura in unquadro di compressione e chiusura. A

farne le spese, prima di tutti, sarebbe stato quell’Oceano Ligure-Piemonteseche ormai sembrava destinato ad ampliarsi indefinitamente, seguendo la stes-sa sorte privilegiata del coevo Atlantico centro-settentrionale.Fino a questo momento l’apertura medio-atlantica risultava ancora bloccataall’altezza di Florida e Caraibi. La sua propagazione verso S iniziò circa 130milioni di anni fa, nel Cretaceo inferiore. Come conseguenza anche S-Americae Africa iniziarono a separarsi. Tra loro, con le usuali modalità, cominciò a gene-rarsi nuova crosta oceanica, con un processo che perdura tuttora. Raccontatecosì le cose non sembrerebbero creare modifiche né tantomeno problemi all’a-rea di Adria. È però sufficiente prendere atto che la nuova apertura crostale nonassecondava la traslazione in atto verso E del blocco africano, ma le imprime-va una componente di moto verso NE e N …per cominciare a preoccuparsi. Fuquello il presupposto che diede il via alla rotta di collisione tra Africa ed Europa.L’effetto più eclatante che ne seguì fu la genesi del corrugamento alpino. Nel-l’area di Adria e dintorni il regime dinamico si invertì diventando compressivo.Fu come filmare un applauso al rallentatore. Quasi 200 milioni di anni prima, nelCarbonifero, due gigantesche mani rocciose si erano avvicinate fino a impattare,diventando tutt’uno. Poi, dopo la collisione e il primo fragoroso battito, si eranoseparate allontanandosi. Ora stavano per invertire il movimento e si apprestava-no a riunirsi di nuovo. Il momento del secondo applauso sarebbe coinciso con larinnovata fase di collisione crostale, culminata nella genesi della Catena Alpina.

22

1

2

130 milioni di anni fa si apre (2) l’OceanoAtlantico meridionale e l’Africa ruota in sensoantiorario

Serpentini del margine appenninico: sono letracce dell’antico Oceano Ligure-Piemontese(Castello di Roccalanzona, Parma)

2524

Sass de la Luesa nelle Dolomiti (Trentino-Alto Adige)

accavallato sull’altro, è interposto Tutto-Oceano, in condizioni ormai pietose. Èpiù o meno in questo modo che sigenerarono la parte centrale e setten-trionale della Catena Alpina, le cosid-dette Alpi s.s. Nella collisione l’edificio afalde (Bianche-Adria) e il suo scudo(Tutto-Oceano) sono migrati rampandosotto forma di “tegole tettoniche” chelentamente si sono accavallate una sul-l’altra, come carte da gioco, versoAustria, Svizzera e Francia (Gialle-Euro-pa). I due originari blocchi continentali, idue elenchi del telefono, sono ancoraben distinguibili sul territorio: bastasaper leggerne le rispettive pagine!Ancora più evidenti e riconoscibili, gra-zie alle caratteristiche rocce di fondaleoceanico, sono le pagine di Tutto-Oceano, il fu Ligure-Piemontese. Oggi le suerocce, metamorfosate durante il processo deformativo alpino, formano la largafascia che in Italia corrisponde alle Alpi Marittime, tra Genova e Ventimiglia, e checontinua poi nell’arco delle Alpi Occidentali (Cozie, Graie, Pennine e Lepontine).La storia deformativa alpina fin qui descritta non può considerarsi conclusa: sia-mo appena nell’Oligocene (circa 30 milioni di anni fa). La Catena Alpina a falderampanti verso N e NW si era appena generata grazie alla estesa subduzioneverso S (e SE) del blocco europeo che accompagnava la collisione crostale. Nonc’era ancora traccia delle Alpi Meridionali, la porzione per così dire “italiana” del-l’edificio alpino s.l. Quella parte che tra Lombardia e Friuli è oggi confinata a Sdella Linea Insubrica, la più antica e importante faglia delle Alpi Meridionali.Lo sviluppo della Catena Alpina s.s., di età cretacico-eocenica, è più facile dacomprendere rispetto all’assetto odierno delle complessive Alpi s.l., compren-sive anche delle cosiddette Alpi Meridionali. Questo perché la Catena Alpina diquei tempi si distribuiva in modo molto più regolare rispetto ad oggi. Occupavauna fascia larga poco più di un centinaio di km che, giunta a S del territorio ligu-re occidentale proseguiva con una debole curvatura verso SW lambendo laCorsica, correndo esternamente alla Sardegna, per coinvolgere infine l’Andalu-sia (S-Spagna). La curvatura era debole perché a quei tempi Corsica e Sarde-gna risultavano ancora …letteralmente attaccate alla Francia meridionale. Nel prossimo momento geologico evolutivo saranno proprio Sardegna e Cor-sica, fin qui ancora saldamente unite tra loro e al continente europeo - delquale formavano il margine occidentale - a rivestire il ruolo di protagoniste.

Questa è la strutturazione della Catena Alpinacirca 50 Ma fa, prima che si formassero gliAppennini: la collisione fra Adria ed Europaaveva creato un sandwich con “fette” diLigure-Piemontese

PLACCAEUROPEA

Adria

Catena Alpina

sezione

PLACCA AFRICANA

PLACCAEUROPEA Adria

L-P

Catena Alpina

Catena Alpina

3. La rotazione del blocco sardo-corso e l’apertura del Mar Tirreno.Nei primi anni ’70 era molto diffuso untipo di “soprammobile dinamico”. Eraformato da una fila di sfere d’acciaio,una adiacente all’altra e tutte sospesea un filo. Bastava allontanare la primae poi mollarla per ottenere un effetto aquei tempi stupefacente. Come unpendolo la pallina tornava alla propriaposizione iniziale trasmettendo la pro-pria componente di moto all’ultimadella fila. Questa, all’urto, schizzavavia lasciandoci più che soddisfatti. Consentitemi l’azzardato paragonecrostale: un effetto per certi versi simi-le iniziò a svilupparsi, circa 30 milioni di anni fa, nella zona tra il margine meri-dionale europeo e Adria, e risulta tuttora attivo. Fu proprio allora, nell’Oligoce-ne, che sul lato della placca europea si produssero estese fratturazioni esprofondamenti crostali. Di lì a poco nell’area provenzale un frammento diplacca si staccò dal continente andando alla deriva. Comprendeva Sardegnae Corsica, insieme alla porzione di Catena Alpina appena formata che, svilup-pata in gran parte sotto il livello marino, ne bordava le coste sud-orientali.Il movimento di deriva era arcuato: maggiore per la Sardegna e minore per laCorsica. Aveva il suo fulcro circa sul centro della futura Liguria. Il blocco cro-stale avrebbe costituito una sorta di enorme pendolo geologico destinato abloccarsi sull’allineamento N-S solo 12 milioni di anni più tardi, dopo una rota-zione antioraria di oltre 40°. Il blocco sardo-corso ruotava perché tra esso e laProvenza si stava aprendo e allargando il Bacino algero-provenzale (“aperturabalearica”), un settore triangolare in via di sprofondamento e parziale oceaniz-zazione. Per il settore circum-mediterraneo questo fu l’inizio delle complica-zioni che ora si riflettono, a distanza di milioni di anni, su chi cerca di spiegaree su coloro i quali si sforzano di capire.La Catena Alpina cretacico-oligocenica si era dunque accavallata verso NWsulla Corsica mentre, all’altezza della Sardegna, si era sviluppata esterna-mente ad essa, in massima parte sotto il livello marino. La catena formavatutt’uno con il blocco sardo-corso e con esso cominciò a ruotare in sensoantiorario. Un frammento di quella Catena Alpina “sottomarina” formata allargo della Sardegna sarebbe diventato, molti milioni di anni più tardi, l’odier-na Calabria (+Sicilia orientale). Tutto questo dopo uno spostamento di oltreun migliaio di km.

2726

PLACCAEUROPEA

Adria

C. A

ppen

nini

ca

Puglia

aperturabalearica

C. D

inarico-Ellenica

C. A

lpin

a

PLACCAAFRICANA

C. A

lpin

a

La rotazione del blocco sardo-corso dà il “la”alla genesi dei futuri Appennini, inizialmentesaldati alle Alpi al largo della Sardegna e dellaCorsica

A quei tempi, durante la traslazione sardo-corsa (30-18 milioni di anni fa), le pri-me terre emerse che si incontravano verso oriente erano le aree dei Balcani che,insieme alla Venezia-Giulia, erano in buona parte già state piegate e sollevate. AS della congiungente Genova-Trieste i territori della futura penisola italiana era-no ancora tutti sotto il livello del mare. Anzi, alcune tra le successioni sedimen-tarie che oggi formano le parti esterne dell’Appennino settentrionale dovevanoancora depositarsi! Fu il movimento antiorario del blocco sardo-corso a modifi-care la situazione, cominciando a predisporre le premesse primordiali per lo svi-luppo di uno “stivale italiano”, a quei tempi impensabile. Sardegna e Corsica,come una gigantesca ruspa, intanto traslavano comprimendo e affastellando difronte a loro quanto restava dei depositi di crosta oceanica del fu-Oceano Ligu-re-Piemontese. Anche lungo il margine sardo-corso, prima della rotazione, laplacca europea andava in subduzione affondando verso S (e SE). Le cose cam-biarono quando il blocco sardo-corso, staccatosi dalla Provenza, iniziò a trasla-re con moto antiorario. La subduzione verso S a quel punto si inceppò, disatti-vandosi. Al suo posto (dato che qualcosa nella collisione con Adria doveva perforza andarsene in profondità!) se ne innescò una in posizione leggermente dif-ferente e, cosa importante, inclinata …in senso opposto.Questa volta fu Adria, con parte dei fondali oceanici liguri-piemontesi, a inflet-tersi e infilarsi sotto la Corsica e la Sardegna. La prova di questa inversionenella subduzione la forniscono le diffuse vulcaniti che, proprio durante la rota-zione antioraria (30-18 milioni di anni fa, tra Oligocene e Miocene), effuserolungo il margine occidentale della Sardegna. Sono i prodotti di fusione della

Adria

Adria

Adria

PLACCA EUROPEA

EU

EU Corsica

Catena Alpina Catena Appenninica

Si apre il Mar TirrenoSi è fermata

l'apertura balearica

Catena Alpina Catena Appenninica

Catena Alpina

futura rottura

? ?

Apertura balearica

Subduce Adria

Ruota il bloccosardo-corso

Corsica

Subduce Adria

Il Mediterraneo, tra 50 e 10 milioni di anni fa, diventa una scacchiera dove i pezzi col tempo aumentanoe si muovono reciprocamente

crosta che, a causa delle perduranti compressioni crostali, aveva cominciato asprofondare verso W, infilandosi sotto Sardegna e Corsica.Come ulteriore conseguenza, sul margine di Adria cominciarono ad accavallar-si, questa volta verso E, enormi trucioli di materiale oceanico (definite dai geo-logi, e non a caso, Unità Liguri). Era l’abbozzo della Catena Appenninica, per ilmomento ancora sottomarina. Nel frattempo dai massicci emersi di Sardegna eCorsica (con le loro successioni erciniche e i graniti paleozoici) si stavano origi-nando per erosione sabbie e fanghi che si depositavano verso E formandospesse successioni torbiditiche di mare profondo. Anche queste ultime, colpassare del tempo, sarebbero state sollevate e giustapposte sul margine diAdria, contribuendo a formare l’embrione della Catena Appenninica. Spesso occorre cercare in profondità i processi che governano e regolano quan-to avviene in superficie. La subduzione alpina, diretta verso S o SE, nella zona delblocco sardo-corso alla fine aveva cessato di esistere. ContemporaneamenteAdria, compressa dalla rotazione crostale di Sardegna e Corsica, aveva iniziatopassivamente a flettersi. Il suo margine occidentale cominciava a incurvarsi ver-so il basso, come un materasso di gommapiuma spinto contro un muro. Di tuttoquesto per il momento facevano le spese i resti dell’Oceano Ligure-Piemontese,già in parte accavallati “alpinamente” sul margine europeo (Corsica) e ora, con latraslazione del blocco sardo-corso, strizzati “appenninicamente” tra quest’ultimoe Adria. Ed è qui che l’effetto “soprammobile dinamico” entra in scena. Intorno a 18 milioni di anni fa (Miocene inferiore) il pendolo sardo-corso si bloccòsulla direzione N-S. È tuttora stabile nella medesima posizione, come confermala pressoché assenza di sismi nel territorio sardo-corso. Circa 20 milioni di anni

2928

Catena Alpina

fronte Catena A

ppenninica

apertura Mar Tirreno

Emilia

Romagna

Umbria

Linea Insubrica

fronte Alpi Meridionali

fronte Appenninico attuale

PLACCAEUROPEA

PLACCAAFRICANA

C. Alpina

Adria

15 Ma

Marche

L’apertura del Tirreno settentrionale separò le Alpi dall’embrione degli Appennini, innescando larotazione antioraria di questi ultimi

Catena Alpina

fron

te C

aten

a A

ppen

nini

ca

Emilia

Romagna

Umbria

fronte Appenninico attuale

Linea InsubricaPLACCAEUROPEA C. Alpina

PLACCAAFRICANA

C. Alpina

Toscana

Lazio

Adria

25 Ma

fa al largo della Sardegna e della Corsica, in un braccio di mare sempre più stret-to e sempre meno profondo, gli Appennini (in gestazione) e le Alpi (già adole-scenti) si addossavano gli uni alle altre. Poco dopo (circa 15-10 milioni di anni fa,Miocene medio), l’embrione dell’Appennino settentrionale iniziò a ruotare in sen-so antiorario riprendendo lo stile di movimento del blocco sardo-corso, …la sfe-ra d’acciaio ormai immobile. Questa volta la ragione del nuovo moto antiorariova cercata altrove: nello sprofondamento e nell’apertura del Mar Tirreno setten-trionale che solo allora iniziava a nascere. Sprofondando ed allargandosi, il Tirre-no divise in due porzioni i territori sottomarini appena deformati (Alpi+Appenni-ni). L’embrione di Catena Appenninica corrispondeva alla loro porzione orienta-le. Il fronte appenninico cominciò a sua volta a traslare. Migrando ruotava pro-gressivamente verso E e NE. Nel suo spostamento e rotazione antioraria avreb-be col tempo incorporato fasce di territorio sempre più ampie ed esterne, tra-sformandole progressivamente in una vera e propria catena emersa. Pochi milioni di anni più tardi (circa 4,5 milioni di anni fa) l’apertura crostale tir-renica si sarebbe propagata verso S, generando anche il Tirreno meridionale.Se nel primo caso le distensioni avevano favorito soltanto la messa in posto dipiccole masse magmatiche (caratteristico è il plutone granitico dell’Isola d’El-ba), nel caso del Tirreno meridionale la distensione fu così pronunciata che ifondali si abbassarono fino a raggiungere profondità prossime a -3500 m. Dal-le relative fratture crostali fluirono abbondanti emissioni laviche basaltiche: sistava cominciando a generare nuova crosta oceanica! La distensione e l’aper-tura del Tirreno, tuttora in atto nel suo settore più meridionale, ebbero dunqueeffetti multipli e diversificati sullo scenario circum-mediterraneo: ● migrazione centrifuga della deformazione appenninica, che avanzò simulta-neamente verso il Po, il Mare Adriatico e il Mar Ionio; ● divisione della Catena Alpina “mediterranea” in segmenti separati da faglie,che nel tempo sono traslati uno rispetto all’altro, anche fino a un migliaio dikm, come è avvenuto per la Calabria+Sicilia orientale;● formazione di nuova crosta oceanica nel Tirreno meridionale a partire dacirca 4,5 milioni di anni fa (Pliocene inferiore).Tutto questo accadeva al centro del Mediterraneo. Nel frattempo Africa edEuropa continuavano imperterrite la loro marcia collisionale. Se inizialmente,quando si era aperto l’Atlantico meridionale, la rotta dell’Africa era verso NE,col tempo era poi virata decisamente a N. Era accaduto a metà del Miocene,circa 15 milioni di anni fa. Intorno a 5 milioni di anni dal Presente il nuovo cam-biamento: la direzione di spinta puntò a NNW e tale si è mantenuta fino ai gior-ni nostri. Anche se nel centro del Mediterraneo si sviluppavano distensioni,oceanizzazioni, rotazioni di blocchi e deformazioni, a livello più generale eral’Africa, con la propria deriva verso settentrione, a condizionare le grandideformazioni alpine.

4. Le Alpi Meridionali si sollevano dalla pianura e gli Appennini dal mare.Tra la fine dell’Eocene e tutto l’Oligocene (circa 35-25 milioni di anni fa) le Alpis.s. subirono una fase di distensione. Lungo l’estesa Linea Insubrica e nelle suevicinanze risalirono diffusi, ma localizzati, corpi magmatici associati a espandi-menti lavici. Si trattava solo di uno di quei momenti di calma che precedono latempesta. Effettivamente nel successivo Miocene le compressioni crostali ripre-sero a pieno ritmo in tutto l’arco alpino. Questa volta però fu il territorio italiano,a S della Linea Insubrica, a farne maggiormente le spese. Sotto l’effetto della rin-novata spinta africana le sue successioni rocciose si piegarono e affastellarono,formando una serie di “tegole tettoniche”, questa volta rampanti verso S. Lanuova serie di embrici tettonici, ognuno spesso da qualche centinaio di metri adalcuni km, si estendeva in pianta per decine di km. Le “tegole tettoniche” siaccavallavano una sull’altra a medio-basso angolo rampando verso le futurepianure padana e veneto-friulana, ossia verso la zona indeformata (Adria in que-sto caso) che, in quanto tale, in gergo geologico è denominata “avampaese”. La deformazione finì per raccorciare i territori fino a un terzo della loro esten-sione originaria. Ne furono inizialmente coinvolte non solo le successioni deltardo Paleozoico e del Mesozoico, prevalentemente calcaree e dolomitiche,ma anche le antiche successioni paleozoiche che ne costituivano il basamen-to. Erano quasi ovunque formate da rocce metamorfiche, ad esclusione delterritorio carnico, capace di conservare intatte le testimonianze fossili di rocceantiche fino a 450 milioni di anni fa. Salvo locali variazioni, il processo di genesi e sviluppo delle deformazioni erasempre quello: ogni nuova piega e accavallamento nasceva “davanti” ai pre-cedenti, come di norma (salvo eccezioni) avveniva in Appennino. Ogni nuovastruttura compressiva che si formava coinvolgeva terreni che fino a unmomento prima facevano parte dell’ “avampaese”, ossia quei territori, con irelativi sedimenti e rocce, ancora indisturbati in quanto esterni alla catena. La ragione di una deformazione alpina con embrici tettonici (le “tegole”) cherampavano verso l’Africa, e non verso l’Europa - come geo-logica vorrebbeper la Catena Alpina - trova ancora una volta la propria giustificazione nelle

3130

situazioni profonde. La subduzione del margine europeo continuava (e conti-nua tuttora) a immergere verso S. Si ricordi che il margine africano settentrio-nale - rappresentato ancora una volta dalle propaggini di Adria - già da parec-chi milioni di anni si stava accavallando su quello europeo. Nello scontro ave-va formato enormi - ma ancora regolari - “tegole tettoniche” rampanti versoNW e N. I depositi meno rigidi interposti tra i due blocchi continentali, i fonda-li del fu-Oceano Ligure-Piemontese, ne erano rimasti letteralmente stritolati.Il movimento delle “tegole tettoniche” rampanti verso l’Europa, nel Mioceneiniziò a incontrare delle resistenze. Tutto l’insieme delle scaglie tettonicheembricate cominciò allora a subire un ripiegamento che si trasmise in profon-dità anche ai sedimenti oceanici già strizzati dalle precedenti compressioni. Intanto l’affondo di Adria (il paraurti africano) proseguiva. Il piegamento diedeorigine a un insaccamento capace di favorire una più incisiva penetrazione del“cuneo Adria”. Questa, proprio come un enorme cuneo, prese ad infilarsi sot-to la mega-piega, in profondità. Più che un paraurti sembrava il lento procede-re del muso di una vecchia Citroën, il glorioso modello “a ferro da stiro” dellafine anni ’60. Anche la parte meridionale del mega-piegamento, quella rivoltaverso la pianura padana per intenderci, in breve cominciò a rompersi in “tego-le tettoniche” che questa volta rampavano verso S. Tutto questo accadeva acausa delle resistenze interne che gli ammassi crostali opponevano alla pode-rosa spinta verso N. Il volume roccioso coinvolto fu immenso: tutte le futureAlpi Meridionali. Si trattava di una successione rocciosa spessa quasi 15 km edistribuita su un’area di circa 500x150 km. Negli spostamenti reciproci, i pac-

AdriaPLACCA EUROPEA

L-P

Alpi meridionali

La Catena Alpina si complica; il margine S della grande struttura a sandwich si insacca e affastella: sigenerano le Alpi Meridionali

MANTELLO

CROSTA

50 km

CROSTA

ex Oceano L-P

Alpi orientali Alpi meridionali

Linea Insubrica

MANTELLO

PLACCAAFRICANA

PLACCAEUROPEA

Meccanismo di sottoscorrimento crostale, attestato dalle recenti “radiografie” crostali profonde,in grado di spiegare la genesi delle Alpi “italiane”, geologicamente note come Alpi Meridionali

chi di roccia si serrarono uno sull’altro,raccorciando l’originaria estensionedei depositi che intanto si affastellava-no muovendosi lungo superfici difaglia a bassa inclinazione. Avevanopreso forma le Alpi Meridionali.Nonostante tutto, la strutturazione del-le Alpi Meridionali non è particolar-mente complessa se paragonata aquanto, in quello stesso intervallo tem-porale, stava generandosi lungo il fron-te degli Appennini.

Al margine esterno della Catena Appenninica che stava avanzando, via via chela deformazione si spostava verso NE accadeva qualcosa di molto simile aquanto osservato alcuni milioni di anni prima (Eocene) nella Venezia Giulia, doveaveva preso forma la “Catena Dinarica”. Mentre si andava formando la “tegolatettonica” più avanzata del momento, il territorio davanti ad essa si abbassavasensibilmente. L’abbassamento (per subsidenza da carico e concomitante tra-scinamento per subduzione) interessava una fascia parallela al settore in solle-vamento e larga alcune decine di km. Queste fasce subsidenti - paragonabilinella forma a delle enormi e lunghissime vasche da bagno - sono chiamate daigeologi “avanfosse”, ossia depressioni che si producono davanti a una catena inavanzamento (e migrano con essa). Sono generate dal poderoso peso dellacatena che si sposta e che è in grado di flettere il territorio antistante, nonché dalconcomitante incurvamento verso il basso del margine dell’avampaese che va insubduzione sotto la catena. In Appennino - come era accaduto nella Venezia Giulia milioni di anni prima - sitrattava di depressioni marine profonde che, in quanto tali, richiamavano confacilità sedimenti torbiditici. La più nota tra le avanfosse appenniniche fu quellache, durante il Miocene, venne riempita da una successione torbiditica potentefino a 4 km. Più tardi, dato che la catena continuava imperterrita la propria avan-zata, finì per essere incorporata nelle deformazioni. La depressione di questaavanfossa correva lungo il margine appenninico di allora, più arretrato tra 50 e100 km rispetto a quello odierno. Si sviluppava, allungata verso NNW, fin quasia lambire le Alpi occidentali. Verso meridione, oltre la Romagna, si sfrangiava inentità multiple, sfasate come età, ma con significato geologico simile. La profon-da avanfossa marina, generata al fronte dell’Appennino che avanzava, richiama-va sabbie e fanghi prodotti dallo smantellamento delle Alpi occidentali.Doveva essere davvero uno spettacolo particolare per la futura area padanaoccidentale: i brevi ma poderosi fiumi alpini miocenici convogliavano ghiaie,sabbie e fanghi fino a una serie di delta verosimilmente ubicati tra Milano e Ales-

3332 sandria. I depositi deltizi sabbiosi frana-vano poi, periodicamente, verso i fon-dali meridionali del golfo padano, nella“grande vasca” appenninica. Gliammassi di sabbie scivolavano diretta-mente dai delta, dove si accumulavanoin grandi quantità, verso le profonditàsottomarine, per trasformarsi poi insuccessioni torbiditiche. I processi discivolamento erano innescati dallericorrenti scosse sismiche. A quei tem-pi, intorno a 20-10 milioni di anni fa, laCatena Appenninica stava cominciando timidamente ad emergere dal mare. Peril momento, immaginando di osservare la situazione dall’alto, avremmo notatosolo una ghirlanda di isole allineate in direzione NNW-SSE: le culminazioni delle“tegole tettoniche” più avanzate, ma anche l’embrione del futuro stivale.I depositi dell’avanfossa, in quanto tali, sono stati in seguito, durante il Plioce-ne, incorporati nella catena che progradava. Li troviamo oggi a formare ampiefasce di materiali marnoso-arenacei, organizzati nella caratteristica stratifica-zione piano-parallela e sottile, regolare e continua per spessori ed estensioniimmense: i tipici caratteri delle successioni torbiditiche. Nell’ambito della cate-na odierna occupano circa la parte intermedia con caratteristici paesaggi chesi riscontrano nell’alto Appennino Romagnolo, nella Laga marchigiana e, più aS, tra L’Aquila e Frosinone, con zone intercalate tettonicamente tra vasteestensioni di calcari meso-cenozoici. Ancora più a S depositi simili riappaionoin un’ampia zona tra Isernia e Vasto che si restringe attraversando il Molise e sichiude infine in corrispondenza di Melfi (Basilicata). Nel complesso si tratta diuna concentrazione di riempimenti di avanfossa di età miocenica che occupaun segmento appenninico esteso per oltre 500 km.La strutturazione dell’Appennino procedeva incalzante, alternando periodi distasi ad altri di accelerazione deformativa. Scaglie e trucioli di successioni roc-ciose, come gigantesche carte da gioco spesse quanto intere montagne, con-tinuavano ad essere affastellati, uno sull’altro, utilizzando il materiale piallatoda quanto restava dei fondali oceanici liguri-piemontesi e dalle successioniche formavano Adria, prevalentemente carbonatiche e di età mesozoica. Nescaturiva una struttura a “tegole tettoniche” nella quale ancor oggi si ricono-scono, evidenti, i brandelli dell’antico materiale del fu-Oceano Ligure-Piemon-tese (ofioliti) assieme alle abbondanti argille oceaniche di un tempo (oggi tra-sformate in montagne) e quelli, prevalentemente calcarei di piattaforma, sradi-cati lungo il margine di Adria. Nelle argille oceaniche trasformate nei rilieviappenninici (una massa enorme valutabile in migliaia di km3) non troviamo

Catena AlpinaDelta

Frontedella CatenaAppenninica Avanfossa

(zona che si abbassa)

Avampaese(zona ancora

non deformata)

I depositi di riempimento delle avanfosseappenniniche derivano in massima parte dalleAlpi, sgretolate ed erose dai fiumi alpini

La Formazione Marnoso-Arenacea, successionetorbiditica di età miocenica che affioraestesamente nell’Appennino settentrionale

oggi solo brandelli, anche giganteschi, di basalti e gabbri (ofioliti). C’è dell’al-tro, e quanto segue chiarisce meglio la cosa. A tal proposito occorre aggiungere che mentre la catena si stava strutturando,ancora in condizioni per gran parte subacquee, c’erano alcuni settori - comequelli appenninici settentrionali e, in parte, centro-meridionali - nei quali abbon-davano le argille oceaniche, con all’interno dispersi blocchi e zattere di roccemagmatiche e diaspri (selci). Una volta strizzate, sollevate e sospinte sopra adAdria, le argille, grazie alla loro plasticità, fluivano in avanti sotto forma di enor-mi, lentissime colate subacquee. Col tempo avrebbero formato le cosiddetteArgille Scagliose. Queste coltri gravitative si spostavano sollecitate dalle spintecompressive. Diventeranno le Unità Liguri della Catena Appenninica, a ricordodi quell’Oceano Ligure-Piemontese che le tenne in gestazione.A complicare ulteriormente le cose spesso accadeva dell’altro. Sulla superficiedelle gigantesche colate, che oltre a muoversi per compressione verso NE,scivolavano gravitativamente, potevano accumularsi centinaia di metri di sedi-menti stratificati, spesso di mare basso. I movimenti tettonici poi coinvolgeva-no anche le nuove successioni (chiamate Unità Epiliguri, perché formateappunto sulla superficie di quelle Liguri) che cominciavano a viaggiare, soste-nute - in modo molto precario - dalle sottostanti argille. Questo ne causavaspesso la disarticolazione in enormi zatteroni rocciosi che traslavano galleg-giando sulla massa argillosa. La Rupe di Bismantova, ma anche il ripido rilievoroccioso che forma gran parte della Repubblica di San Marino e il vicino sco-sceso San Leo, sono tutte “zattere” esemplificative di tali processi. Quanto fin qui appreso sull’Appennino e sul modo di strutturarsi delle sue suc-cessioni rocciose è solo una piccola parte della complessa evoluzione che con-traddistingue questa catena. Descriverne per sommi capi i caratteri e cercare dicomprendere le ragioni del loro sviluppo e distribuzione, sia nel tempo sia nellospazio, completerà il complicato ma affascinante puzzle geologico italiano.

3534

SW NE

Fronte della Catena Appenninica

AvampaeseAvanfossa

Nuova avanfossa

1 2 3

1 2 3 4

Fronte della Catena Appenninica

La Catena Appenninica settentrionale e centrale è un bulldozer che avanza verso NE

5. Gli Appennini: una gigantesca Ola.Nel Pliocene (circa 5-2 milioni di annifa) la Catena Appenninica settentriona-le subisce un’accelerazione deformati-va. Per visualizzare quello che accaddeimmaginiamo l’orogenesi come un’on-da perturbante, gigantesca, lentissi-ma, che attraversa la massa delle suc-cessioni rocciose, inarcandole e affa-stellandole al proprio passaggio.In Appennino la cresta dell’onda, con ilsuo ripido fronte deformato, si spostavaprogressivamente verso NE, accompa-gnata dall’ormai nota rotazione antioraria. Come in un’onda, in cui la massad’acqua, passata la cresta, si deprime abbassandosi, così anche nella realtàappenninica dietro alla parte frontale della catena si generarono diffuse disten-sioni. Durante il Pliocene inferiore nell’Appennino settentrionale il fronte delladeformazione stava rapidamente avanzando verso le posizioni attuali. Nel tar-do Miocene, sul retro della catena avanzante, l’intera Toscana aveva già subì-to generalizzati abbassamenti attivi su grandi aree rettangolari delimitate dafaglie distensive. Nel Pliocene inferiore fu l’adiacente Umbria a subire la stes-sa sorte perché la fascia in distensione si spostava solidalmente con l’avanza-mento del fronte della catena: come una gigantesca Ola. Le depressioni toscane furono colmate da sedimenti di mare basso, quelleumbre e abruzzesi, più interne, da depositi fluvio-lacustri. In entrambi i casi iriempimenti (sabbie, limi, ghiaie) hanno lasciato il segno tangibile della loropresenza, tenendo conto che in Toscana e Umbria occupano quasi un terzodel complessivo territorio che ancor oggi conserva la morfologia sub-pianeg-giante di un tempo.Oggi il fronte in compressione, che nel tempo ha continuato a spostarsi versoNE, si è attestato a ridosso della pianura padana (e fin sotto la pianura stes-sa!). Nel frattempo le distensioni tipiche delle fasce di “retro-catena” si sonospostate parallelamente all’avanzare del fronte deformato. Sono ormai pre-senti anche nelle aree prossime al crinale morfologico dell’Appennino setten-trionale (zona del Mugello). L’effetto Ola sta proseguendo senza soste, comedimostrano i recenti terremoti “distensivi” della zona aquilana.Come se non bastasse, a complicare il quadro generale dell’evoluzioneappenninica, gli ultimi 600.000 anni del Miocene (da 5.9 a 5.3 milioni di annifa) avevano visto il Mediterraneo andare prima ripetutamente in secca e poitrasformarsi in una sorta di grande lago. Il clima tendenzialmente arido avevafavorito la deposizione di sali - in gran parte solfati (gessi) - nei laghi evapori-

FI

PG

Sovrascorrimenti

Riempimenti fluviali

Riempimenti marini

Faglie distensive

AQ

Le ampie distensioni tettoniche delle porzioniinterne della Catena Appenninica sono alla basedei paesaggi toscani e umbri, caratterizzati dastrette fasce piatte alternate ad aree montuose

3736 tici attivi durante la prima fase. I depositi gessosi, con spessori intorno a 150m, si rinvengono ancora in alcune zone appenniniche (Romagna, Marche,Calabria e Sicilia) e oggi fanno parte dei rilievi della Catena Appenninica. NelPliocene inferiore, con l’apertura dello Stretto di Gibilterra, sollecitata dadistensioni tettoniche, il settore circum-mediterraneo tornò rapidamente alleabituali condizioni marine. Tra la Catena Alpina (Alpi Meridionali) e quellaappenninica ormai ben strutturate, si apriva il grande Golfo Padano plioceni-co, fotocopia sottomarina della futura Pianura Padana.Nelle sue zone profonde si depositarono elevati spessori di argille pliocenicheprodotte dall’alterazione dei settori emersi. Procedendo verso le coste, siaappenniniche sia alpine, i depositi fini lasciavano il posto alle sabbie e ghiaiedi ambiente deltizio e costiero. I fronti deformati delle Alpi Meridionali e degliAppennini continuavano intanto ad avanzare, a fasi alterne, verso il Po e ver-so il Mare Adriatico. Quest’ultimo, grazie alla surrezione ed emersione appen-ninica, cominciava ad assumere dignità di mare indipendente. Nelle zone più settentrionali dell’Appennino la deformazione, con le proprie“tegole tettoniche” più esterne, aveva ormai raggiunto la zona di Torino,impattando con le deformazioni delle Alpi Meridionali, ormai sensibilmente ral-lentate nella loro progressione verso S. Stessa cosa accadeva nel settore diPiacenza, oggi coperto dalle alluvioni padane. In entrambe le zone, a bassaprofondità sotto la superficie della pianura, i profili sismici - una sorta di radio-grafia geologica - hanno messo in evidenza lo scontro fra i due sistemi di strut-

ture, alpine ed appenniniche. C’è da aggiungere che in Emilia Roma-gna il fronte appenninico più esternonon coincide con il limite tra pianura erilievi ma si spinge - difficile da crederesenza le prove delle prospezioni sismi-che - fino sotto le zone di pianura, oltrePavia, Parma, Reggio, Modena e, addi-rittura, Ferrara e Ravenna. Presso Fer-rara solo 50 m di alluvioni padanecoprono le “tegole tettoniche” piùavanzate dell’intero settore appennini-co emiliano-romagnolo! Sono struttureoggi sepolte dalle alluvioni, ma chedanno spesso deboli segnali di riatti-vazione, come attestano le basse, maricorrenti, scosse sismiche con ipo-centri sotto la pianura, davanti a Reg-gio e Modena. Sono situati lungo le

Il ritorno del Mediterraneo, ad inizio Pliocene (5,3milioni di anni fa), coincide con il primo abbozzodi “stivale” italiano (beige: terre emerse)

faglie che delimitano le più avanzate tra le “tegole tettoniche” affastellate nelPliocene medio-superiore.È anche interessante notare, spostandosi verso S, che nel settore marchigianole deformazioni più avanzate non si collocano lungo il limite costiero, ma diret-tamente in mare, almeno una trentina di km al largo. Scendendo ancor più a S,al contrario, il fronte deformativo più esterno ritorna progressivamente nell’en-troterra, finendo per attestarsi tra Basilicata e Puglia, lungo il solco bradanico.Il territorio pugliese, assieme a gran parte dei fondali adriatici, all’Istria, alleantiche rocce coperte dalla pianura friulano-veneta, con i rilievi euganei e iMonti Lessini, di origine magmatica, e a una striscia di rocce sepolte sotto laPianura Padana centro-orientale, costituiscono la porzione ancora indeforma-ta di Adria, o placca Apula, come viene altrimenti chiamata.Interessante è anche la condizione della Puglia, che con i suoi 5000 m di suc-cessioni rocciose, poggianti su un basamento metamorfico antichissimo e cul-minanti con calcari giurassico-cretacici, rappresenta la porzione italica piùorientale di Adria. Una porzione ancora indeformata e pertanto da considerarequale “avampaese” della Catena Appenninica, ossia la zona (paese) che stadavanti alla catena avanzante. La regione è stretta da un lato dall’Appenninoche avanza e simmetricamente, dall’altro, dalla Catena Dinarico-Ellenica. Nel frattempo anche il piede dello stivale stava sistemandosi nel posto giu-sto. Il ruolo era ritagliato apposta per la Calabria, frammento di Catena Alpina

Fiume Adda

S

bordo della Catena Alpina

N

Fiume PoCatena Appenninica

Bologna Ferrara

3-2 Ma65-3 Ma

> 65 Ma

Fiume Po

fronte sepoltodella Catena Appenninica

Avampaese

SW NE

Alpi e Appennini sono ormai in contatto sotto la sottile Pianura Padana occidentale (in alto);invece sotto Ferrara una sottile Pianura Padana copre la parte più avanzata della Catena Appenninica(in basso)

un tempo affiancata a ridosso della Sardegna. Poi, con l’apertura del Mar Tir-reno meridionale (iniziata circa 6 milioni di anni fa), era stata spinta lontano,verso il meridione della penisola. Il suo tragitto - centrifugo rispetto all’aper-tura tirrenica - finì col sovrapporre nuove deformazioni alle rocce del bloccocalabro in movimento. Si generarono in tal modo molte strutture deformativetipicamente appenniniche: “tegole tettoniche” rampanti verso la placca afri-cana. Non erano le sole deformazioni ad interessare la massa crostale cala-bra. Nel viaggio di trasferimento gli effetti appenninici si erano progressiva-mente sovrapposti a quelli alpini: strutture rampanti all’opposto, verso laplacca europea.Queste erano state ereditate prima ancora che avesse inizio la rotazione delblocco sardo-corso, durante la fase iniziale del serrage tra Africa ed Europa,nel lontano Cretaceo. Se poi a tutto questo si aggiunge che le antiche succes-sioni paleozoiche formanti la gran parte dei rilievi calabri, prima di esseredeformate dalle spinte appenniniche, e prima ancora di aver subìto quelle alpi-ne, avevano anche sopportato quelle erciniche, attive circa 300 milioni di annifa e responsabili di un vistoso metamorfismo… allora tutto questo ci porta aconsiderare l’alto prezzo pagato (in termini di stress geologico) per avere unostivale perfetto in ogni sua parte.La Calabria, non paga dello sforzo compiuto e dei danni riportati nel propriomovimento, si trascinò appresso anche la Sicilia NE (Monti Peloritani), acco-munata da identiche vicissitudini geologiche.Da notare che sia lungo il fronte deformativo bradanico (tra Basilicata e Puglia)sia lungo il fronte ibleo, si sono formate delle avanfosse, tuttora presenti,dovute non solo al carico delle “tegole tettoniche” in avanzamento, ma ancheall’incurvamento verso il basso dalla placca in subduzione.

3938

Alpi orientali

Catena A

lpina

Migral’Appennino

Catena A

lpina Si apre

il Mar Tirreno

Magrebidi

AvanfossaIblea

Fronte CatenaAppenninica

Tras

la la

Cal

abria

Avanfossa Bradanica

Avampaese Padano-Adriatico

Adria ancora indeformata

Crosta europeanella Catena Alpina

ex Oceano Ligure-Piemontese(con megabrecce e ofioliti)

Rocce recenti su Crosta africana nella Catena Alpina

Crosta africana (Adria)nella Catena Appenninica

Crosta africana (Adria)ancora indeformata

Alpi occidentali

Alpi meridionali

Sintesi geologica d’Italia che evidenzia i movimenti centrifughi, responsabili della formazione dellaCatena Appenninica e a loro volta causati dall’apertura (e “oceanizzazione”) del Mar Tirreno

Sardegna Eolie Calabria

MANTELLO SUPERIORE

Si apre ilMar Tirreno

La Calabria passata ai raggi X chiarisce meglio la sua evoluzione geologica

Nel loro insieme tutti questi apparati hanno formato una fascia più o meno con-tinua di prodotti eruttivi che si allunga, in direzione appenninica, per ben 400km, con larghezza intorno a 40 km. La massima parte degli apparati ha un’etàinferiore a 2 milioni di anni (Pleistocene). È interessante notare che questo tipodi eruzioni è direttamente correlabile con la subduzione di Adria sotto la CatenaAppenninica. La placca Adria, che risulta incurvarsi passivamente, sollecitatadallo spostamento verso NE degli Appennini, si è flessa ad alto angolo raggiun-gendo profondità e temperature che ne hanno causato la parziale fusione. Ifusi, più leggeri, sono riusciti a farsi strada risalendo lungo le numerose faglie didistensione che interessano la parte interna e più antica della catena. Ne sonoscaturite le tipiche eruzioni esplosive, caratteristiche di magmi prodotti in con-testi di subduzione quando è coinvolta la crosta continentale.Procedendo ancora più a S, il successivo distretto vulcanico che si intercetta èquello delle Isole Eolie. Ospitano Stromboli, l’unico vulcano italiano in costanteattività. In apparenza formano una manciata di scogli vulcanici volumetricamen-te molto ridotti. Al contrario, valutando anche l’estensione sottomarina dei pro-dotti emessi, ci si rende conto che complessivamente occupano un settoreampio circa 4000 km2. Un’area più vasta della Valle d’Aosta. Anche la genesidelle Isole Eolie è collegata a un processo di subduzione crostale con relativafusione profonda e risalita di prodotti altamente esplosivi. Questa volta, ad infi-larsi in profondità e a subire i processi di fusione, sono i fondali del Mar Jonio.Fondali che, si potrebbe aggiungere, sono formati da una delle più antiche cro-

416. Subduzioni, oceanizzazioni e vulcanismo: un viaggio tra cause ed effetti.Il panorama geologico italiano, affrontato e fin qui descritto seguendo l’avvi-cendarsi dei grandi processi geodinamici che ne hanno guidato l’evoluzione,seppur trattato in modo molto sintetico, non può ritenersi completo senza averpreso in considerazione gli effetti del vulcanismo recente. I prodotti vulcanici,oltre a coprire estesi territori con depositi lavici e piroclastici (lapilli e ceneri), sidimostrano particolarmente interessanti in quanto suggeriscono, a seconda delproprio chimismo, la condizione geodinamica alla base del proprio sviluppo (ades. estensione e oceanizzazione, compressione e subduzione,…).Un rapido sguardo a una carta geologica d’Italia consente d’individuare, oltreai più noti Etna e Vesuvio, altri centri eruttivi, in gran parte estinti. Spesso han-no dato luogo a consistenti espandimenti lavici e piroclastici. Basta scenderelungo il margine occidentale della penisola, dalla bassa Toscana col M. Amia-ta, al Lazio, dove i laghi di Bolsena, Vico, Bracciano, Nemi e Albano ricordanole numerose caldere vulcaniche da collasso trasformate in invasi lacustri natu-rali. Più giù si incontrano le Isole Ponziane e Ventotene, situate di fronte al M.Circeo e al Golfo di Gaeta. Ancora più a S ci si addentra nel distretto vulcani-co vesuviano con, oltre al cono principale, l’Isola d’Ischia e i Campi Flegrei.

40

Estensione - Quaternario

Estensione - Pliocene

Crosta oceanica

Compressione - Quaternario

Compressione - Pliocene

Compressione - Oligocene-Miocene

Pantelleria

Etna

Vavilov

Marsili

Eolie

Vesuvio Vulture

Amiata

BraccianoBolsena

Vulcanismo cenozoico: ogni deposito è in quel luogo e ha quell’età per una precisa ragione geologica

Manifestazioni vulcaniche attive nella Solfatara di Pozzuoli (Campania)

Concludendo la rassegna dedicata al vulcanismo recente e al suo significatogeodinamico non si può trascurare la Sardegna, ricca in prodotti effusivi ceno-zoici, emessi negli ultimi 40 milioni di anni. Si affiancano ai diffusi graniti di etàpaleozoica i quali caratterizzano in special modo il quadrante NE dell’isola.Anche in questo caso attraverso il chimismo e i caratteri dei prodotti effusivicenozoici si possono ricostruire i principali processi geodinamici che li hannoprodotti. Ad esempio le vulcaniti effuse tra 30 e 18 milioni di anni fa (Oligocenee Miocene), distribuite lungo la metà occidentale della Sardegna, sono statemesse in posto, come già sottolineato (vedi pag. 26), durante la rotazione delblocco sardo-corso. Costituiscono i prodotti di fusione e risalita magmaticaderivati dallo scontro con il margine della placca Adria, in subduzione verso W,che si infletteva sotto la Sardegna stessa. Nel medesimo momento geologico,come si ricorderà, al largo del blocco sardo-corso prendeva forma l’embrionesottomarino della Catena Appenninica, dovuta alla compressione esercitatadalla rotazione crostale.In Sardegna l’altro ciclo di effusioni degne di nota è stato di età pliocenico-qua-ternaria (5 milioni di anni fa - Presente). I suoi prodotti più recenti datano a soli100.000 anni fa. Sono distribuiti a macchia di leopardo, concentrati in prevalen-za nella fascia centrale e NW dell’isola. Con i loro ampi espandimenti basalticirappresentano il prodotto di una estensione connessa al generalizzato proces-so di apertura crostale tuttora in atto che ha il proprio fulcro attivo nell’area delMar Tirreno meridionale e ha esteso i propri riflessi fino alle aree sarde.

43ste oceaniche del mondo, antica quasi 180 milioni di anni. La ragione di questasubduzione va cercata non solo nei movimenti della Calabria, che l’apertura delTirreno meridionale continua a spingere verso SE contro e sopra i fondali jonici,ma anche in quella deriva verso NNW che caratterizza lo spostamento dellaplacca africana e delle sue dirette… protuberanze adriatiche. Concludono ilpanorama vulcanico siciliano i prodotti dell’Etna, di Ustica, posta di fronte aPalermo, di Pantelleria e delle Isole Pelagie (Linosa e Lampedusa), a S di Trapa-ni. Sono tutte effusioni basiche recenti accomunate da un regime di estensionecrostale, comune tanto allo Stretto di Messina quanto al Canale di Sicilia, trattodi mare tra l’isola e la Tunisia. Sono distensioni interpretate come effetto secon-dario del trascinamento della crosta jonica che subduce sotto l’arco calabro. Inoltre, non vanno trascurati i vasti espandimenti lavici del Mar Tirreno meridiona-le, seppure nessuno tra questi emerga come isola. Essi, dai 6 milioni di anni fa inpoi, hanno generato vere e proprie montagne sottomarine che in alcuni casi (comei Monti Vavilov e Marsili) si elevano dai fondali da 2 a 3 km, spingendosi a pochecentinaia di metri dalla superficie marina. La mole del ripido cono del Monte Vavi-lov - 200 km al largo di Napoli ed Ischia - caratterizza un’area sottomarina forma-ta esclusivamente da prodotti vulcanici di contesto estensionale che stanno gene-rando nuova crosta oceanica. Invece il Monte Marsili, tuttora in attività al largo del-le coste cilentane, con le sue propaggini orientali mostra prodotti vulcanici variabi-li, correlabili alternativamente con la risalita di fusi ora connessi a processi diestensione crostale (con oceanizzazione) ora a quelli della subduzione di Adria.

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Il vulcano di Stromboli (Isole Eolie, Sicilia) Campo di lava alle pendici occidentali dell’Etna (Sicilia)

della placca e senza questo meccanismo il solo effetto da carico nella zona di“avanfossa” ha prodotto una flessione crostale sensibilmente inferiore. Considerando invece la Pianura Padana semplicemente come una “forma”occorre concentrarsi sui suoi apporti più recenti, circa l’ultimo centinaio dimetri. La loro analisi ci rivela la poderosa e incessante erosione delle acquesuperficiali operata su Alpi e Appennini durante il Pleistocene superiore (gliultimi 100.000 anni circa), ma anche, avvicinandoci ai rilievi alpini, il contributofornito dai ghiacci dell’ultima e più intensa tra le glaciazioni alpine, quella wür-miana. Depositi fluvio-glaciali scaturivano dalle rispettive lingue glaciali attra-versando i grandi apparati morenici che ancora costellano il limite interno del-l’alta pianura: gli anfiteatri della Dora Riparia, di Ivrea, dei Laghi Maggiore, diLugano, di Como, d’Iseo, di Garda, del Piave e del Tagliamento. A causa del sensibile calo del livello marino (-130 m) indotto dalla ritenzione del-le precipitazioni sotto forma di ghiaccio, gli apporti fluvio-glaciali e fluviali dell’e-poca si spinsero a coprire tutto l’alto Mare Adriatico, trasformato per l’occasionein piana alluvionale. Durante l’ultima fase glaciale e fino all’acme della grandedeglaciazione alpina, circa 20.000 anni fa (Pleistocene superiore), il Po confluivanel Tagliamento e insieme formavano un delta con la linea di costa attestataappena a N della congiungente Pescara-Spalato. A motivo del drastico calo dellivello marino, l’intero profilo della penisola faticosamente costruito in forma diperfetto stivale, e per di più conseguito solo poche centinaia di migliaia d’anni fa,ne risultò burlescamente stravolto, gonfiato a dismisura, forse irrimediabilmente

compromesso nella sua essenza. Fu ladeglaciazione a mettere di nuovo lecose al posto giusto, ridimensionandogli eccessi. Da quel momento, e per isuccessivi 20.000 anni, i fiumi da unaparte, le mareggiate dall’altra, aggiusta-rono il tiro. Aggiungendo, togliendo,limando e rifinendo le coste dell’Italia econ esse il suo magico profilo. Con poco sforzo aggiunto - il solleva-mento marino aveva già fornito il contri-buto principale - tutto tornò a posto conl’avvento dell’Uomo moderno. E conesso di quello dell’era della cartografia,delle riprese satellitari e della geologiache avrebbero celebrato in manieraadeguata e degna le forme, i contenutie l’evoluzione di questa nostra, per cer-ti versi unica, irripetibile Italia.

457. Ghiacciai e fiumi, pianure e delta:contenuti e forme modellano l’Italia.Abbiamo seguito il lento e complessodipanarsi di eventi deposizionali edeformativi. Abbiamo attraversato agrandi passi la storia geologica d’Italia,iniziata oltre mezzo miliardo di anni fa.Italia che è racchiusa e protetta dallaCatena Alpina ed è cresciuta e si èampliata grazie a quella Appenninica.Archi montuosi che, durante la loro len-ta surrezione, davano origine a nuovimateriali. In Italia ci sono aree, poco piùdel 20% sul totale dei territori emersi,

formate da sedimenti ancora sciolti, non deformati e generalmente recenti. Sonole aree di pianura, prodotte dall’accumulo di sedimenti fluviali, fluvio-glaciali, maanche, in subordine, deltizi e litorali. La vasta Pianura Padana, incluse le sue pro-paggini veneto-friulana e romagnola, si estende per quasi 50.000 km2 su untotale di circa 65.000 km2 raggiunto complessivamente dalle pianure italiane. La Pianura Padana può essere intesa alternativamente come contenitore disedimenti, oppure come semplice forma superficiale acquisita attraverso ledeposizioni più recenti. Nel primo caso è ancora la storia geologica dell’Italia afornirci le indicazioni utili a comprenderne il riempimento. La fascia padanaappartiene per gran parte al settore indeformato di Adria e ne costituisce la por-zione più settentrionale. Geologicamente è serrata dall’avanzamento verso Sdelle Alpi Meridionali e verso NNE dell’Appennino settentrionale. Le due cateneda qualche milione di anni hanno esercitato, e stanno esercitando tuttora, uncarico non indifferente sui rispettivi bordi di Adria, provocandone la flessione. Recuperando il concetto di “avanfossa” (vedi a pag. 32), la zona padana puòessere considerata al tempo stesso tanto l’avanfossa delle Alpi Meridionaliquanto degli Appennini. Valutando lo spessore dei sedimenti che dal Pliocenein poi l’hanno colmata, marini prima e continentali in seguito, emerge una sen-sibile differenza di spessore tra quelli accumulati verso il fronte appenninico equelli appoggiati sull’opposto fronte alpino. Misurano meno di 1000 m quellisul lato alpino, tra 3000 e 7000 m (!) di spessore quelli sul lato appenninico.Per trovare a ridosso delle Alpi spessori comparabili ai valori appenninici ènecessario spostarsi sul lato opposto della catena, in Svizzera e Germania. Lì,lungo il fronte deformativo alpino più esterno, riescono a raggiungere anche4000 m (dall’Oligocene). Il motivo dei sottili spessori misurati lungo il frontealpino italiano (Alpi Meridionali) è dovuto al fatto che in quella zona... non c’èsubduzione verso N. Di conseguenza manca il trascinamento verso il basso

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L’Italia durante le fasi glaciali quaternarie(l’ultimo acme si verifica circa 20.000 anni fa;beige: terre emerse)

Il ghiacciaio dell’Ortles (Trentino-Alto Adige)

■ Flora e vegetazione

Mediante i concetti di flora e di vege-tazione i botanici interpretano lacopertura vegetale della Terra o di unasua parte. Flora e vegetazione sonooggetto di studio di una disciplinaantica, poco divulgata a livello popo-lare: la geobotanica, che studia larelazione tra la vita vegetale e l’am-biente, i cui principali obiettivi sonol’analisi della biodiversità vegetale atutti i livelli e degli habitat. Rientra inol-tre nel campo della geobotanica larealizzazione di macro- e micro-modelli vegetazionali, bioclimatici e biogeo-grafici funzionali, con capacità predittiva, di semplice impiego e di utilità pra-tica, anche con lo scopo di progettare un’adeguata gestione e conservazionedell’ambiente. Per raggiungere questi scopi la geobotanica si articola indiverse parti: floristica, biogeografica o corologica, bioclimatologica e vege-tazionale o fitosociologica. La flora viene definita dall’insieme delle entità vegetali (specie, sottospecie evarietà) che si rinvengono in un certo territorio, nel quale vi si riproducononaturalmente. Il concetto di flora è legato oltre che ad un’area geograficaanche ad un preciso periodo in quanto la sua composizione varia nel tempo,sia per cause naturali che antropiche (introduzioni di specie esotiche o altera-zione di specie e di ambienti). La vegetazione è invece concettualmente inter-pretabile come l’integrazione delle piante nei diversi ambienti nei quali si riu-niscono, in funzione dei fattori ecologici ed antropici che li caratterizzano, ori-ginando comunità vegetali diverse. Pertanto, mentre la flora esprime l’aspet-to qualitativo del manto vegetale della zona geografica considerata, la vege-tazione ne rappresenta l’aspetto quantitativo e associativo, costituito daboschi, pascoli, ecc.La flora e la vegetazione di un territorio sono inoltre espressione indirettadella diversità ambientale in quanto i territori caratterizzati da elevate varia-

47Habitat terrestri e d’acqua dolce: vegetazioneEDOARDO BIONDI

Cerreta (Bosco di Montepiano, Piccole Dolomiti Lucane, Basilicata)

Adonide gialla (Adonis vernalis)

■ Gli habitat vegetazionali

La Direttiva Habitat (92/43/CEE) ha segnato una decisiva svolta nelle prospettivedi salvaguardia della biodiversità dei territori dell’Unione Europea, soprattuttoperché individua come soggetti per la conservazione non solo le specie animali evegetali (elencate nell’allegato II), ma anche gli ecosistemi, identificabili attraver-so gli habitat (allegato I). Gli habitat sono definiti come “zone terrestri o acquati-che che si distinguono grazie alle loro caratteristiche geografiche, abiotiche e bio-tiche, interamente naturali o seminaturali”. Viene dato così senso compiuto allaconservazione delle specie, in quanto vengono salvaguardate attraverso lagestione degli ecosistemi in cui vivono. La Direttiva riconosce inoltre la categoriadi habitat prioritari (indicati con un asterisco nell’allegato I), per indicare quelli rite-nuti gravemente minacciati di estinzione nel territorio della Comunità Europea. Una commissione di esperti ha definito il “Manuale interpretativo degli habitatdell’Unione Europea”, il documento di riferimento scientifico per l’applicazionedella Direttiva. Gli habitat sono riuniti in 9 macrocategorie: habitat costieri evegetazione alofitiche; dune marittime e interne; habitat d’acqua dolce; lande earbusteti temperati; macchie e boscaglie di sclerofille (matorral); formazionierbose naturali e seminaturali; torbiere alte, torbiere basse e paludi basse; habi-tat rocciosi e grotte; foreste. Considerata l’importanza che la Direttiva Habitatha acquisito in Europa, si ritiene utile seguire lo schema dell’allegato I in questabreve descrizione degli habitat terrestri e delle acque interne italiane.

zioni di condizioni del suolo e del cli-ma hanno una flora particolarmentericca che darà origine anche adaspetti vegetazionali diversi; per con-tro, quelli uniformi, costituiti, adesempio, da monotone pianure, pre-sentano flore e tipi di vegetazioneassai più poveri.Nel confrontare l’importanza di floreriferite ad ambiti geografici diversi èsignificativo considerare la loro ric-

chezza in termini relativi più che assoluti, utilizzando l’indice di diversità flo-ristica, espresso dal rapporto tra la superficie del territorio (in km2) e il nume-ro delle entità presenti. La Flora è quindi l’elenco di tutte le entità (specie esottospecie) note per l’area geografica considerata, indicate con il propriobinomio o trinomio scientifico. A tale elenco può essere associata la chiaveanalitica dicotomica che permette l’individuazione delle singole entità e laloro descrizione. Così è ad esempio costituita la “Flora d’Italia” di Pignatti,pubblicata nel 1982 o quella precedente del nostro territorio nazionale diAdriano Fiori (1923-1929).Negli ultimi anni sono inoltre comparse le cosiddette checklist, elenchi ragio-nati di entità nelle quali al nome scientifico possono venir aggiunti alcunisemplici riferimenti come l’elemento corologico e la forma biologica. In basealla recente Checklist d’Italia, edita nel 2005, la nostra flora conta ben 7634entità delle quali 136 appartengono alle pteridofite, 34 alle gimnosperme e7464 alle angiosperme. Tale ricco patrimonio floristico è variamente rappre-sentato dalle flore delle diverse regioni italiane, tra le quali le più ricche sonoquelle che esprimono la maggiore diversità ambientale: Piemonte (3510),Toscana (3435), Friuli Venezia Giulia (3335), Veneto (3295), Abruzzo (3232),Lazio (3228).Il “valore” della ricchezza floristica, oltre che dai fattori naturali e antropici,dipende dalle conoscenze, più o meno approfondite, che si hanno dei territo-ri regionali per cui non necessariamente la classifica indicata esprime la realediversità floristica a livello regionale. Purtroppo mentre in molti altri paesi sivalorizzano gli studi floristici, in Italia la formazione dei giovani laureati in que-sto settore è sempre più carente. Si sta così perdendo una lunga tradizione esi determina un forte rallentamento nell’ampliamento delle conoscenze sullaflora italiana che, in base a quanto emerso dalla recente revisione sullo statodelle conoscenze, è ancora scarsa in molte importanti aree del territorionazionale che rientrano nelle categorie “pressoché sconosciute” o con“conoscenza generica appena informativa”.

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Anemone dell’Appennino (Anemone apennina)

Faggeta (Prati di Tivo, Abruzzo)

Edoardo Biondi · Carlo Blasi

Il clima, inteso come la risultante dellecondizioni meteorologiche medie in undato luogo, influenza gli esseri viventicostituendo uno dei fattori determinantila loro distribuzione sulla Terra.Nel 1807, nel “Saggio sulla geografia del-le piante”, Von Humboldt riconosce per laprima volta che i vegetali si associano infunzione delle loro esigenze fisiologiche equindi che le comunità di piante che dan-no origine ai diversi tipi di vegetazionesono fortemente condizionati nella lorodistribuzione dai climi. Nasce così la bio-climatologia, la scienza che studia i climiin rapporto alla distribuzione degli organi-smi, detta fitoclimatologia quando sioccupa specificamente del rapporto traclima e piante. Sono stati così propostisistemi di classificazione dei bioclimibasati sull’applicazione di parametri edindici diversi, ottenendo come risultatodifferenti interpretazioni bioclimatiche. Ricerche serrate condotte negli ultimiquindici anni dalla scuola spagnola di fito-sociologia, hanno prodotto una classifica-zione del bioclima della Terra, fondata suindici e parametri bioclimatici che prevedequeste categorie: macrobioclimi, bioclimi,varianti bioclimatiche, piani bioclimatici eorizzonti bioclimatici. I cinque macrobiocli-mi riconosciuti sono: tropicale, mediterra-neo, temperato, boreale e polare. Di questinel nostro territorio si riconoscono solo ilmediterraneo ed il temperato.La ricerca del limite tra questi macrobio-climi lungo la penisola italiana ha nel tem-po interessato molti ricercatori che hannofornito interpretazioni tra loro molto diver-se: la nostra penisola costituisce, infatti,una sorta di lungo e stretto ponte tra l’Eu-ropa e l’Africa, lungo il quale si opera latransizione tra aree attribuibili al macro-bioclima temperato e mediterraneo. Ilconcetto di mediterraneità, così comedefinito dalla scuola spagnola, prevede,esternamente ai tropici, un periodo di ari-dità estiva di almeno due mesi consecuti-vi: mese arido è quello in cui le precipita-

zioni medie mensili sono inferiori, in termi-ni numerici, al doppio delle temperaturemedie mensili. In base alla quantità diprecipitazioni, la struttura della vegetazio-ne potenziale mediterranea corrisponde atipi molto diversi: boschi chiusi sempre-verdi o decidui, boschi aperti, arbusteti,formazioni aperte semidesertiche, forma-zioni desertiche o iperdesertiche.Altro fondamentale elemento di questaclassificazione è l’aver abbandonato ilconcetto di bioclima delle alte montagne(oroclima) come categoria o zona biocli-matica separata, in quanto strettamentecorrelato con quello delle aree pede-montane. Rispetto a queste varianoinfatti le temperature e le precipitazioni,espressione della zonazione verticaledella flora e della vegetazione ed indica-ta dai piani bioclimatici che si susseguo-no in senso altitudinale.Nello studio per la definizione delle tipolo-gie del Fitoclima d’Italia, recentementerealizzato nell’ambito delle ricerche finan-ziate dal Ministero dell’Ambiente e dellaTutela del Territorio e del Mare, sono statirielaborati i dati mensili di temperaturamassima e minima dell’aria e di piovositàper il trentennio 1955-85, relativi a 400stazioni termopluviometriche, individuan-do così 28 classi climatiche. Una voltaattribuite le singole stazioni alle classi, èstato possibile realizzare la Cartografiadel Fitoclima d’Italia.

In base a questa carta il macrobioclimamediterraneo si estende su tutto il ver-sante tirrenico, ad esclusione di partedella Riviera Ligure di Levante, compren-de le grandi e piccole isole e risale il ver-sante ionico e quindi l’adriatico fino aPescara. È comunque evidente che lungola costa adriatica fino al Monte Conero lecondizioni di mediterraneità si estendonoin una stretta fascia che raggiunge il ver-sante meridionale del Promontorio. Ilmacrobioclima temperato è inveceessenzialmente localizzato nell’Italia set-tentrionale e lungo l’Appennino oltre chenelle zone più elevate delle grandi isole.Una cartografia sintetica (basata sull’In-dice di Continentalità) ha permesso diottenere 9 principali bioclimi:Clima temperato oceanico presentenelle Alpi, lungo le alte quote dell’Ap-pennino e in Sicilia altomontana.Clima temperato semicontinentalepresente nelle vallate alpine e nelle valla-te interne dell’Appennino centro-setten-trionale del settore adriatico.Clima temperato oceanico-semicontinentale presentenelle Prealpi centrali e orienta-li, in aree collinari del medioAdriatico e nelle valli internedell’Appennino fino alla Basili-cata con esposizione tirrenica,con locali presenze in Sardegna.Clima temperato subcontinentale tipi-co della Pianura Padana dal Piemontealla foce del Po.

Clima temperato semicontinentale-subcontinentale localizzato a Sud delPo, nelle valli moreniche prealpine cen-trali e nelle pianure alluvionali orientalidell’Italia settentrionale.Clima temperato oceanico di transi-zione presente nelle valli dell’Antiappen-nino tirrenico e ionico con significativepresenze nelle grandi isole.Clima temperato oceanico-semiconti-nentale di transizione localizzato preva-lentemente nelle pianure e nei primi con-trafforti collinari del medio e basso Adria-tico e Ionio; presenze significative si han-no anche nelle zone interne delle Mado-nie e in alcune aree della Sardegna.Clima mediterraneo oceanico contor-nante tutta l’Italia peninsulare dalla Ligu-ria all’Abruzzo e estendentesi lungo lecoste delle grandi Isole.Clima mediterraneo oceanico di tran-sizione localizzato lungo le coste del

medio e alto Tirreno, piùframmentato nelbasso Tirreno e inSicilia, con unapresenza impor-tante nelle pianureinterne e nei primi

contrafforti dellaSardegna.

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Temperato oceanico

Temperato semicontinentale

Temperato oceanico-semicontinentale

Temperato subcontinentale

Temperato semicontinentale-subcontinentale

Temperato oceanico di transizione

Temperato oceanico-semicontinentale

Mediterraneo oceanico

Mediterraneo oceanico di transizione

Macchia mediterranea a timo ed elicriso

Il bioclima

Edoardo Biondi · Carlo Blasi

Il paesaggio viene concepito comeinsieme di ecosistemi interagenti traloro che si ripetono in condizioni simili:è pertanto la risultante dell’eco-mosai-co, in cui patch diverse, consideratecome spazi delimitati da propri caratte-ri, costituiscono un sistema complesso,in cui le componenti fisiche e biologi-che di base sono state trasformate dal-le attività umane.Il paesaggio, come avvertito già da Gia-como Leopardi, è quindi profondamen-te “umanizzato”; ne deriva pertanto chenella sua analisi non è possibile trala-sciare l’uomo che non deve pertantoessere visto come un invasore. Attraver-so la vegetazione e le sue trasformazioniil fitosociologo riconosce, qualifica equantifica l’intervento dell’uomo e la suaincidenza sulle caratteristiche naturalidei paesaggi. È quindi fondamentale laconoscenza delle potenzialità dei territo-ri per la comprensione dei percorsi dina-mici degli ecosistemi, sotto l’influenzadelle attività antropiche per monitorarne,attraverso la vegetazione, la loro inci-denza. La fitosociologia del paesaggio èquindi una scienza fondata sul presup-posto che le associazioni vegetali sonovalidi bioindicatori. Tra le associazioni sipossono instaurare rapporti diversi, chesono di tipo dinamico (quando rappre-sentano tappe successive di uno stessoprocesso evolutivo o regressivo definitodalla serie di vegetazione o sigmetum) osemplicemente di contatto (catenali). Nel-la serie di vegetazione una associazionevegetale si trasforma in un’altra: un’asso-ciazione di pascolo per abbandono si tra-sforma in una di arbusti, che a sua voltaevolverà in una forestale.La serie di vegetazione è costituita dal-l’insieme di tutte le associazioni (comu-nità) legate da rapporti dinamici, che sirinvengono in un territorio con le stessepotenzialità vegetazionali detto tessellao tessera: l’unità biogeografico-ambien-tale di base del mosaico.

Nella serie di vegetazione il numero diassociazioni che la costituiscono puòvariare notevolmente sia per condizioninaturali che per effetto dell’uso del terri-torio. Si possono riconoscere comunitàpiù o meno naturali come i boschi,comunità semi naturali stabili come lepraterie perenni che si mantengono conle stesse caratteristiche finché vengonogestite con le stesse modalità e comu-nità semi naturali instabili o di brevedurata e rapida evoluzione come lavegetazione infestante i campi.Gran parte del dinamismo evolutivovegetazionale è legato all’abbandonodelle attività agricole e forestali. Il pro-cesso dinamico prende origine dall’eco-tono (spazio di transizione) tra foresta epascolo, che è occupato da una intricatavegetazione di arbusti e liane, a sua vol-ta preceduto da formazioni erbacee.Entrambe queste fitocenosi si espando-no, quando le attività antropiche vengo-no a cessare, invadendo la prateria.Nella fitosociologia del paesaggio laserie di vegetazione ha lo stesso ruolodell’associazione nella fitosociologiaclassica.Si deve inoltre distinguere tra serie cli-macica o climatofila, che si sviluppa sulsuolo che usufruisce solo dell’acquadelle precipitazioni, dalle serie edafofile,come la serie edafoigrofila, dei terreniche beneficiano di un maggiore apporto

di acqua, o la serie edafoxerofila, pre-sente in situazioni di particolare ariditàrispetto alle condizioni medie del luogo.Il modello è quello semplice di una vallenella quale sui versanti che la delimitanosi rinviene la serie climatofila, mentrenelle zone dove il suolo è povero o èstato eroso scoprendo la roccia siimpianta la serie edafoxerofila; per con-tro nella zona centrale, quella del fondo-valle, dove scorrono i corsi d’acqua edove comunque il substrato è più umidorispetto agli altri luoghi del sistema, sirinviene la serie edafoigrofila. Questotipo di analisi porta alla definizione diun’unità di paesaggio denominata geo-sigmetum o geoserie, costituita da unsistema integrato di serie di vegetazioneche si ripete in un settore di territoriocon le stesse caratteristiche edafiche eclimatiche, quali possono essere unavallata o una montagna o un tratto dicosta.Serie e geoserie di vegetazione sonomodelli con i quali è possibile inte-grare aspetti ambientali diversi,in prima analisi quelli fisiografi-ci quali caratteristiche geo-morfologiche, natura dellerocce, esposizione, inclinazio-ne, altitudine e caratteristichedei suoli. Sono metodologie inte-grate che portano alla definizione dischemi dinamici che rappresentano unmodo complesso e multidimensionale distudiare il paesaggio vegetale, attraver-so elementi completamente interagentitra loro.La Carta della Vegetazione d’Italia èuna raccolta monografica realizzata daun elevato numero di ricercatori (oltre100) che hanno fornito il loro contributoa livello regionale, utilizzando tutti lastessa metodologia per la classificazio-ne gerarchica del territorio. In questa,nella definizione degli ambiti omogenei apiccola scala, è stato previsto un pro-cesso deduttivo di sovrapposizione di

cartografie tematiche: climatiche, litolo-giche e morfologiche.Questo processo ha portato ad indivi-duare ambiti omogenei per caratteri fisi-ci (le tessere) ai quali si associano seriedi vegetazione legate a ben individuatetappe mature. Si tratta infatti di ambiti alcui interno si realizzano le eterogeneitàproprie delle serie di vegetazione a cuiappartengono. Al processo deduttivodelle sovrapposizioni cartografiche siintegra quindi quello induttivo che portaa riconoscere e a definire i singolimodelli ecologici (associazioni vegetali)in modo da raccogliere nel suo insiemel’informazione floristica, ecologica ebiogeografia. Il progetto di Carta della Vegetazione d’I-talia (scala 1:250.000), finanziato dalMinistero dell’Ambiente e della Tutela delTerritorio e del Mare, conta 258 serieforestali di cui il 92% endemiche del ter-

ritorio nazionale, 23 seriedi arbusteto, 15 serieerbacee e camefiti-che (alpine e oro-mediterranee), 4serie idrofitiche eacquatiche e 4serie psammofilecostiere.

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Agricolo

Naturale

Composito

Paesaggio:

Il mosaico del paesaggio dolomitico

La fitosociologia del paesaggio

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sistemi costieri. Tra gli ambienti piùdevastati e artificializzati del nostroterritorio costiero vanno annoverate lefoci dei fiumi, costituite da una notevolevarietà di ambienti determinataprincipalmente dalla commistione traacque dolci e acque salate e dallasedimentazione del materiale trasportatodai fiumi stessi, che comporta laformazione di substrati sabbiosi, limosio ghiaiosi che determinano talora lacostituzione di vaste aree intertidali.

La vegetazione cormofitica è taloraassente in tali zone, in rapporto con laqualità dei sedimenti e la frequenza dellemaree, o presente con notevoleeterogeneità, in funzione dei diversigradienti ecologici che entrano in gioco.Si passa dalle formazioni prettamentemarine, come quelle a Zostera noltii, aquelle che si sviluppano nelle lagunesalmastre, come il Ruppietum maritimae,o a formazioni ancora maggiormentealofile a salicornie, annuali e/o perenni, ea spartina marittima. Le lagune costiere

Gli habitat costieri. In Italia gli ambientimarini e costieri rivestono notevoleimportanza in quanto il nostro territorio èinteressato da oltre 7300 km di coste, il60% delle quali sono basse, di tiposedimentario, mentre la parte restante èdata da coste rocciose, per lo più alte, afalesia ed in minor misura piatte e pocoelevate. Tale imponente sviluppo costieroavviene prevalentemente nell’areamacrobioclimatica di tipo mediterraneo,tranne che nei settori peninsularisettentrionali di una parte della zonatirrenica settentrionale e di quella nord-adriatica. Nella prima l’arco ligure dilevante costituisce una interruzionedell’area a macrobioclima mediterraneoche poi riprende in quella di ponente.Ben più estesa è invece la zona amacrobioclima temperato che interessail versante adriatico italiano in cui la zonaa macrobioclima mediterraneo si arrestaall’altezza di Pescara per poi proseguirecon una stretta fascia che via via siassottiglia sino al promontorio delConero. A queste peculiari condizionibioclimatiche se ne assommano altre,come quelle geologiche, geomorfologichee sedimentologiche che, nel loroinsieme, creano una eccezionale varietàambientale, realizzando anche in sitiestremamente limitati microhabitat dinotevole rilevanza per le varietà di pianteed animali (Habitat 1130 “Estuari”).Purtroppo la fascia costiera è anchela parte del territorio nazionale che èstata maggiormente antropizzata, conun’elevata pressione di tipo urbanistico-infrastrutturale, industriale e turistico-balneare, che ha prodotto effettiassolutamente devastanti sui delicatiequilibri che condizionano l’ecologia dei

Foce fluviale (costa adriatica della Puglia)

(Habitat 1150* “Lagune costiere”) sonocaratterizzate da acque lentiche, salse osalmastre, poco profonde con notevolivariazioni stagionali di salinità e diprofondità delle acque. Le zonesalmastre con terreno di tipo limoso-argilloso, inondate durante l’inverno eche in estate disseccano completamentelasciando il substrato ricoperto dal sale,sono prevalentemente colonizzate dallavegetazione alofila costituita da comunitàdi piante annuali o perenni (Habitat 1310“Vegetazione pioniera a Salicornia e altrespecie annuali delle zone fangose esabbiose”). Si tratta per lo più di tipologievegetazionali paucispecifiche, datal’elevata specializzazione raggiunta daqueste piante, che riescono a vivere suterreni salati dei quali indicano, con laloro presenza, i diversi livelli di salinità.Le salicornie annuali appartengono tutteal genere Salicornia, in senso stretto;

tra queste in Italia si rinvengono speciediploidi e tetraploidi. Tra le diploidi siriconosce in Italia solamente Salicorniapatula la quale forma comunità riferiteall’associazione Suaedo-Salicornietumpatulae, che si sviluppano in posizionepiù elevata rispetto alle tipologievegetazionali formate dalle salicornie

tetraploidi e quindi su substrati chedisseccano più rapidamente e sonopertanto maggiormente salati. Tra lesalicornie tetraploidi, la specie piùcomune è S. emerici, rinvenibile nellevasche delle saline, nelle depressioninaturali con acqua stagnante anche inautunno e nelle lagune aperte al mare. Algruppo delle tetraploidi appartiene ancheSalicornia veneta, presente nell’Adriaticosettentrionale, ritenuta endemica diquest’area geografica prima che venisseritrovata in due località della Sardegnae a Sud del promontorio del Gargano.Da ultimo, anche S. dolichostachyaè pianta tetraploide, a prevalentedistribuzione atlantica, rinvenuta in Italiaal Parco del Circeo, nello stagno di SantaGilla di Cagliari e recentemente anchenella Foce del Candelaro (Gargano). Tra le salicornie perenni rinvenibili inItalia, salicornia fruticosa (Sarcocorniafruticosa) e salicornia glauca(Arthrocnemum macrostachyum),nonostante siano da considerare infortissima rarefazione, sono ancorapresenti in diverse località mentrenotevolmente più rara è la salicorniastrobilacea (Halocnemum strobilaceum),della quale si conoscono solo quattrostazioni: Stagno di Santa Gilla (Sardegna),Foce dell’Ombrone (Toscana), Saccadi Bellocchio e Salina di Comacchio(Emilia Romagna).Nell’Adriatico settentrionale si rinvieneSpartina maritima, pianta atlantica chepenetra nel Mediterraneo solamente inquest’area geografica in quanto soggettaa marcate oscillazioni di marea (ancheoltre un metro di escursione).Si costituiscono così le praterie aSpartina maritima in cui compaionoLimonium narbonense e Puccinelliafestuciformis ssp. festuciformis, ritenuteentrambe differenziali delle fitocenosiadriatiche [Habitat 1320 “Prati diSpartina (Spatinion maritimae)”].

Salicornia veneta

La vegetazione degli habitat terrestri e d’acqua dolce

5756 rinviene soprattutto lungo le rive dei fiumi,frequentemente associata alla cannucciadi palude, mentre in prossimità della foce,nelle zone con acque salmastre, sipresenta in popolamenti paucispecifici,costituiti da formazioni dense di individuiche presentano l’infiorescenza contratta(Bolboschoenus maritimus f. compactus)ritenuta dalla maggior parte dei floristiinsignificante, in quanto riconducibile astadi individuali, da considerare peròcome utile bioindicatore.

Gli habitat delle dune marittime e interne.Per comprendere le caratteristicheecologiche delle spiagge è necessariointerpretare i fenomeni biologici ed igradienti ecologici su tutta la costa,evitando la separazione, artificiosa, traambiente sommerso ed emerso.Moltissimi dei fattori che riguardano lastabilità geomorfologica o la diffusione dicomunità nel tratto emerso della spiaggiadipendono da fenomeni che trovano laloro origine in mare. La parte sommersa

Nelle aree più interne con ridottapresenza di sale si assiste alla comparsadi giuncheti che segnano la transizioneverso le formazioni igrofile dulciaquicole[Habitat 1410 “Pascoli inondatimediterranei (Juncetalia maritimi)”].Partendo dalle aree più prossime allacosta il giunco di mare (Juncusmaritimus) forma fitocenosi quasi pure oinfiltrate, nelle zone più salate, dallesalicornie perenni mentre in quelle piùinterne, con substrato poco umido e conridotta salinità, si associa con Plantagocrassiflolia, Carex extensa, Agropyronelongatum e Juncus acutus che tende adivenire dominante. A queste formazioniseguono quelle indicanti l’ingresso diacqua dolce, caratterizzate da comunitàdi graminacee o di ciperacee di grandetaglia come la canna del Po (Erianthusravennae), la cannuccia di palude(Phragmites australis) e il falasco (Cladiummariscus) che dominano comunità dadulciaquicole a subalofile. La liscamarittima (Bolboschoenus maritimus) si

Dune sabbiose (Puglia)

mare” o egagropile. Inoltre nelle ansecostiere antistanti i fondali con prateriesommerse di posidonia, si concentranograndi quantità di foglie le qualicostituiscono le banquette, veri e taloraenormi depositi maleodoranti di sostanzaorganica in lenta putrefazione, mal vistidai bagnanti. Anche le altre fanerogameche originano praterie sottomarine(Cymodocea nodosa, Zostera noltii eZ. marina) svolgono un ruolo fondamentalenella stabilizzazione dei fondali trovandole loro migliori condizioni in situazionidiverse per qualità granulometrica e diprofondità delle acque. La parte emersa della spiaggia con lesue dune rappresenta un insieme dimicroambienti particolarmente inospitaliper la vita vegetale. Il vento rendemobile la sabbia causando erosione,nebulizza l’acqua marina ed agisceinoltre sull’economia idrica interferendosulla disponibilità di acqua per le piante.Le specie che colonizzano queste areecostiere sono pertanto notevolmente

delle spiagge è caratterizzata da prateriedi fanerogame marine, purtroppo in graverarefazione, che svolgono un ruoloestremamente importante, oltre che comecostruttrici di ecosistemi, anche per lastabilizzazione dei fondali. Tali comunitàhanno infatti il compito di ridurre gli effettidovuti al moto ondoso attraverso la massacostituita dal fitto fogliame, attenuandol’erosione e favorendo l’accumulo dellasabbia per mezzo di un cospicuoapparato che si sviluppa all’interno delsubstrato costituente i fondali [Habitat1120* “Praterie di Posidonia (Posidonionoceanicae)”]. Così la posidonia, potendoaccrescere il proprio rizoma sia indirezione orizzontale che verticale, riesce acontrastare il progressivo insabbiamentooriginando nel tempo delle formazionia “terrazzo”, dette in francese matte, lequali contrastano i processi di erosionedei fondali. Dalla sfibratura delle fogliedi posidonia spiaggiate, dovuta almovimento delle onde, si originanocaratteristici corpi sferici detti “palle di

Banquette a posidonia ed altri vegetali spiaggiati (Lazio)

5958 juncea=Elymus farctus ssp. farctus),vera pianta psammofila, con adattamentiche le consentono di sopportare, omeglio, di opporsi, all’accumulo dellasabbia trasportata dal vento. La parteaerea di questa pianta risulta pocovoluminosa rispetto a quella ipogea, cheha rizomi notevolmente ramificati, tantoda creare un groviglio fittissimo, dal qualesi dipartono numerose radici, capacedi trattenere fortemente la sabbia.L’associazione vegetale cui dà origine sullamaggior parte delle spiagge italiane èl’Echinophoro spinosae-Elymetum farcti,cui partecipa anche un’altra gramignadelle spiagge, Sporobolus pungens,graminacea strisciante presente al piededelle dune embrionali, in aree raggiuntesporadicamente dall’acqua marina.Altre specie che determinano il formarsidi questi primi accumuli di sabbia sonoil finocchio litorale spinoso (Echinophoraspinosa), la santolina delle spiagge(Otanthus maritimum), l’erba medicamarina (Medicago marina), la soldanelladi mare (Calystegia soldanella) e il cardodelle spiagge (Eryngium maritimum).La vegetazione delle dune embrionalidella Sardegna è invece attribuitaall’associazione Sileno corsicae-Elytrigetum junceae, con l’endemitasardo-corsa Silene corsica, speciepsammofila con foglie crassulente e ricchedi peli che catturano i granelli di sabbia.Sulle ben più elevate dune mobili [Habitat2120 “Dune mobili del cordone litoralecon presenza di Ammophila arenaria(dune bianche)”] che seguono quelleembrionali verso entroterra, la vegetazioneè dominata dallo sparto pungente(Ammophila arenaria ssp. arundinacea),graminacea psammofila, con infiorescenzapiumosa, ben adattata a contrastareefficacemente l’azione del vento el’insabbiamento grazie a rizomi resistentiche si sviluppano con meccanismi simili aquelli della gramigna delle spiagge.

specializzate per occupare precisenicchie ecologiche, spesso estremamentelimitate in quanto i gradienti dei piùimportanti fattori ecologici subisconosignificative variazioni nello spazio dipochi metri. Nei litorali sabbiosi emersiil substrato, nella zona regolarmenteraggiunta dalle onde, non presenta formedi vita vegetale superiore (zona afitoica).Il materiale organico portato dalle onde sideposita sulla spiaggia e si decomponeliberando le sostanze che arricchisconopoi il substrato sabbioso. Si sviluppanoqui le comunità annuali alo-nitrofile,(Habitat 1210 “Vegetazione annua dellelinee di deposito marine”) tra le quali la piùcomune, in gran parte del Mediterraneo, èl’associazione Salsolo kali-Cakiletummaritimae, costituita principalmente dalcavastrello (Cakile maritima), dalla salso

erbacali (Salsola kali), dalla portulacamarina (Euphorbia peplis) e dal poligonomarittimo (Polygonum maritimum).Nelle aree poco più interne della spiaggiacompaiono i primi accumuli di sabbia, lecosiddette dune embrionali (Habitat 2110“Dune embrionali mobili”), ancorasoggette al rimaneggiamento causatodall’azione del vento e occasionalmenteraggiunte dagli spruzzi dell’acqua marina.Le dune embrionali si originanosoprattutto per la presenza della gramignadelle spiagge (Agropyron junceum ssp.mediterraneum=Elytrigia juncea ssp.

(Scrophularia ramosissima) e lo spillonedelle spiagge (Armeria pungens).Aspetti di vegetazione terofitica fortementediversificati si insinuano tra quelli dellavegetazione psammofila perenne, dandoorigine ad un eccezionale mosaico.Questa fugace vegetazione costituita daminuscole piante rientra, con quella checolonizza le radure di macchie e garighe,nella classe Tuberiaretea, nell’ambito dellaquale la vegetazione effimera dunale si fariferire all’ordine Malcolmietalia (Habitat2230 “Dune con prati dei Malcolmietalia”)che si presenta ricca in specie tra cui oltrea Malcolmia ramosissima e Maresia nananumerose specie dei generi Cutandia,Matthiola, Silene e Ononis. La zona della

cosìddetta “duna grigia” occupata dallavegetazione camefitica dell’alleanzaCrucianellion maritimae e mosaicata conquella terofitica dell’ordine Malcolmietalia,è situata nel segmento dunale che piùfacilmente è alterato dall’attività antropica.Per questo motivo si assiste in Italia, comein tutto il Mediterraneo, alla forte riduzionedelle sue caratteristiche floristiche etalvolta alla completa distruzione,conseguenza del rimodellamentomeccanico dei sistemi dunali, realizzato afini turistico-balneari o per l’impianto, deltutto improprio e quanto mai inopportuno,di specie esotiche arbustive e arboree. L’ulteriore consolidamento della dunaporta più internamente alla costituzione di

L’associazione più diffusa in Italia èl’Echinophoro spinosae-Ammophiletunarundinaceae alla cui costituzionepartecipano: il finocchio litorale spinoso,il cardo delle spiagge, l’euforbiamarittima (Euphorbia paralias) e il gigliodelle spiagge (Pancratium maritimum).Anche per la vegetazione delle dunemobili, sulle coste sarde si realizza lavicarianza rispetto alla penisola conl’associazione a Silene corsica (Silenocorsicae-Ammophiletun arundinaceae).Nel versante continentale della duna lecondizioni di vita cambiano notevolmentein quanto si realizzano microambientiprotetti dai venti salsi e quindi con sabbiameno mobile e pertanto più favorevoli perla vita vegetale. È questa la zona deisistemi di dune semi-fisse, maggiormentestabilizzate, colonizzate da piccoli arbusti,le camefite, tra le quali, nelle aree abioclima mediterraneo, la più frequente è lacrucianella di mare (Crucianella maritima)(Habitat 2210 “Dune fisse del litorale delCrucianellion maritimae”) cui si associanocomunemente: il perpetuino profumato(Helichrysum stoechas), il perpetuinod’Italia (H. italicum) o il ginestrino dellespiagge (Lotus cytisoides) e talora il timoarbustivo (Coridothymus capitatus). InSardegna, Sicilia e Calabria compare

anche l’efedra distachia (Ephedradistachya), mentre solo nella prima sirinviene la scrofularia delle spiaggie

Formazioni di gariga e macchie di gineprococcolone sulle dune di Piscinas (Sardegna)

Cavastrello (Cakile maritima)

Ononide screziata (Ononis variegata)

6160 presenza di Hippophae rhamnoides”),che si installa sul versante continentaledei cordoni dunali o nelle depressioniinterdunali più distanti dal mare, nellitorale compreso tra Venezia e Ravenna.Sulle dune si possono rinvenire inoltrepinete costituite da pini termofilimediterranei (Pinus halepensis, P. pineae P. pinaster) che occupano il settore piùinterno e stabile del sistema dunale.Sono formazioni raramente naturali,come alcune relittuali della Sardegna edella Sicilia, mentre più spesso sonocompletamente artificiali e ciò nonostantevengono considerate dalla Direttiva Habitatmeritivoli di conservazione, qualora peròsiano posizionate nella zona del climaxdella lecceta (Habitat 2270 “Dune conforeste di Pinus pinea e/o Pinus pinaster”).Alle pinete da rimboschimento, ovunquepresenti lungo le coste basse sabbiosedella penisola e delle maggiori isoleitaliane, non va infatti necessariamentericonosciuto, in termini ecologici e diprotezione degli habitat, un effetto positivo

macchie a ginepri proprie delle zonecostiere (Habitat 2250* “Dune costiere conJuniperus spp.”). Tra questi il gineprococcolone (Juniperus oxycedrus ssp.macrocarpa), dai grossi galbuli sfericirosso-aranciati detti appunto “coccole”,domina la macchia, colonizzando ilversante a mare delle dune costiereitaliane a bioclima mediterraneo. Sulversante interno delle dune mediterraneetende invece a dominare la macchia ilginepro turbinato (Juniperus phoeniciassp. turbinata), un ginepro fenicio congalbuli più grandi ed ovoidali. Questamacchia in Sardegna e Sicilia, nelle stazionipiù interne e distanti dal mare, vienesostituita da un tipo più evoluto e raro aquercia spinosa (Quercus calliprinos).Nelle coste nord-adriatiche a bioclimatemperato, vi è una macchia a gineprocomune (Juniperus communis) conolivello spinoso (Hippophae rhamnoidesssp. fluvialis) dell’associazione endemicaJunipero communis-Hippophaetumfluviatilis (Habiat 2160* “Dune con

La Pineta Granducale (Toscana) è frutto del rimboschimento a Pinus pinea lungo la costa tirrenica

cui forte diversità è legata a meccanismi diriproduzione asessuata (apomissia) e allabassa dispersione dei propaguli (Habitat1240 “Scogliere con vegetazione dellecoste mediterranee con Limonium spp.endemici”). Se la falesia è elevata ocambia l’esposizione rispetto ai ventimarini, sulla stessa si verifica la riduzione,più o meno graduale, del gradiente disalinità a cui si lega la comparsa di unavegetazione intermedia, sempre rupicolama costituita da piante alofile più o menofacoltative (le alo-tolleranti), che dannoorigine a tipologie di vegetazione riunitenell’alleanza Anthyllidion barbae-jovis,il cui nome deriva dalla barba di Giove(Anthyllis barba-jovis), arbusto di oltre unmetro dai bellissimi fiori bianchi. Nellaparte sommitale della falesia, dove lapendenza della costa si riduce, si rivienela vegetazione di gariga camefitica che sisviluppa su suolo iniziale, con formazionidominate da entità diverse di perpetuini(Helichrysum italicum, H. italicum ssp.microphyllum, H. stoechas, H. siculum,H. rupestre). Fa parte di queste formazionianche la vegetazione particolarmentediffusa sui graniti della Sardegnasettentrionale ad euforbia delle Baleari(Euphorbia pithyusa) (Habitat 5320“Formazioni basse di euforbie vicino allescogliere”). Più internamente questetipologie vegetazionali vengono sostituiteda altre, affrancate dell’aerosol marino, chesi sviluppano su suolo via via più evoluto erappresentate da varie tipologie di macchiamediterranea o da garighe secondarie, disostituzione post-incendio delle stesse.Sulle coste rocciose e in quelle sabbiose,si possono sviluppare specie esotiche trale quali alcune sono fortemente invasivee dalle stupende fioriture come quelledel fico degli Ottentotti (Carpobrotusacinaciformis), specie sud-africana confoglie crassulente, ricche di parenchimaacquifero nel quale viene immagazzinatauna grossa quantitità di acqua.

in quanto spesso hanno accelerato iprocessi erosivi più che rallentarli.La salvaguardia dei rimboschimenti susabbia dovrebbe pertanto riguardaresolamente gli impianti realizzati in base aquanto previsto dalla Direttiva Habitatescludendo quindi dalla tutela tutti quellieffettuati, inopportunamente, in posizionepiù avanzata nella successione dunale conpotenzialità per formazioni tipicamentepsammofile. Nella gestione delle pinetelitoranee ben impiantate è necessarioassicurare il giusto equilibrio tra presenzadi pini e quella di specie naturali che silegano alle potenzialità del sito.

Gli habitat delle scogliere marittime edelle spiagge ghiaiose. Le coste rocciosesono insiemi di ambienti particolarmenteostili per la vita vegetale che vengonocomunque colonizzati sfruttando nicchieecologiche seppure notevolmentelimitate. La parte più prossima al mare,solitamente non è colonizzata da vegetalisuperiori ma da alghe, in quanto raggiuntadi frequente dalle onde, mentre nella zonadi battigia immediatamente soprastante,raggiunta dagli spruzzi e costantementebattuta dall’aerosol marino, si impianta laprima vegetazione pioniera, di tipocasmofitico e alo-rupicolo, costituita per lopiù dal finocchio di mare (Crithmum

maritimum) e da specie endemiche emicroendemiche del genere Limonium, la

Finocchio di mare (Crithmum maritimum)

6362 conservazione della biodiversità chedeve prevederne la salvaguardia e la lororicostituzione nel tempo [Habitat 91E0“Foreste alluvionali di Alnus glutinosa eFraxinus excelsior (Alno-Padion, Alnionincanae, Salicion albae)”]. La vegetazioneche si sviluppa sul terrazzo attuale, ilpiù prossimo al fiume, con substratoprevalentemente sabbioso o sabbioso-ciottoloso, è dominato dal salice bianco(Salix alba). È questo un bosco che riesce

a sopportare a lungo le piene del fiume,però in acque non stagnanti, su suoliidromorfi, pressoché privi di humus, acausa delle successive deposizioni dimateriale alluvionale che ne bloccanol’evoluzione pedogenetica. I boschi disalice bianco hanno un evidentecarattere pioniero soprattutto per ladisseminazione che è di tipo anemocoroe per la forte capacità di rigenerazionevegetativa della specie edificatrice. Taliboschi sono stati attribuiti in gran partedell’Europa centrale e meridionaleall’associazione Salicetum albae checomprende anche le analoghe fitocenosidell’Italia settentrionale. Nell’Italiacentrale l’associazione viene vicariata dalRubo ulmifolii-Salicetum albae che sidifferenzia per la presenza di un buoncontingente di specie a distribuzionemediterranea ed euromediterraneamentre nell’Italia meridionale in questiboschi è presente il salice pedicellato

Gli habitat d’acqua dolce. In un fiumesi individuano numerose fitocenosi chepermettono di esaltare l’alto grado dispecializzazione ecologica raggiuntodalle piante in questi ambienti. Nellazona della sorgente e dell’alto corsosono presenti pochi vegetali superiori inquanto prevalgono le alghe e i muschiche si attaccano alle pietre e ai grossimassi. L’alveo incassato nella roccia nonconsente lo sviluppo della vegetazioneripariale per la ridotta presenza di depositialluvionali mentre salici arbustivi, pionieri,si accrescono tra i massi dei gretighiaioso-sabbiosi dei torrenti e dei fiumia regime torrentizio. Sulle Alpi e sugliAppennini centro-settentrionali, questavegetazione è dominata dai salici arbustivipionieri, tra i quali il più comune e spessodominante è Salix eleagnos (Habitat 3240“Fiumi alpini con vegetazione riparialegnosa a Salix eleagnos”).Tale fitocenosi si trova sporadicamente acontatto, su substrato limoso-fangoso,con la rara tamerice alpina (Myricariagermanica) che dà origine insieme apopolazioni giovanili di Salix eleagnos acomunità riferite all’associazione Salici-Myricarietum germanicae (Habitat 3230“Fiumi alpini con vegetazione riparialegnosa a Myricaria germanica”).Tra gli arbusti, è inoltre possibile rinvenire,in aree limitate delle stesse zone, l’olivellospinoso che va a caratterizzare l’habitatnelle sue facies più aride. I depositialluvionali, formatisi nel tempo a seguitodel trasporto del materiale eroso dalfiume, si presentano organizzati in terrazzidegradanti verso l’attuale alveo e costituitida formazioni ghiaiose, ghiaioso-sabbiosee ghiaioso-argillose con intercalazioni dilenti sabbiose e argilloso-limose.I boschi ripariali che colonizzano i terrazzipiù recenti sono individuabili comefitocenosi potenziali con caratteristicheecologiche molto diverse alle quali variconosciuta un’impotanza strategica nellaCorso d’acqua alpino con alveo incassato (Torrente Arzino, Prealpi Carniche, Friuli Venezia Giulia)

Il salice bianco (Salix alba) domina lavegetazione dei terrazzi fluviali attuali

6564 associazioni diffuse dalla PianuraPadana alla Sicilia (Habitat 3250 “Fiumimediterranei a flusso permanente conGlaucium flavum”).Nelle anse fluviali che rimangono isolatedurante i periodi di magra, così comenegli stagni e nelle pozze con acquepiù o meno profonde, si rinvengonoformazioni idrofitiche natanti e/osommerse, ma radicanti.Tra le prime si possono ricordare lepaucispecifiche a lenticchie d’acquadelle associazioni Lemnetum minoris e

Lemnetum gibbae. Le idrofite sommersecostituiscono generalmente fitocenosimonospecifiche, talvolta compenetratetra loro, tra le quali si ricordano quelle abrasca comune e delle lagune(Potamogeton natans e P. pectinatus) chesono maggiormente legate alle acquestagnanti mentre la brasca nodosa e lapalermitana (P. nodosus e P. pusillus),sono frequenti in quelle moderatamentecorrenti. Ai margini delle anse fluviali edelle pozze, come lungo le sponde deicanali e dei corsi d’acqua, sono frequentiformazioni di elofite di grande tagliacome le lische (Thypha latifolia,T. angustifolia, Schoenoplectus lacustrise S. tabernaemontani) mentre nelle zonepiù vicine alle rive, soprattutto inprossimità delle foci divengono dominantile formazioni a cannuccia di palude(Phragmites australis).

di magra larghi e poco profondi, separatida isole ghiaiose, configurazionesoggetta a nette trasformazioni neiperiodi di piena), presentano unavegetazione che è stata riferitaall’associazione Polygono lapathifolii-Xanthietum italici. Si tratta di un tipo divegetazione nitrofila, legata al forte caricodi inquinanti organici che usualmenteinteressa i corsi d’acqua, la quale sirende evidente nel periodo estivo-autunnale, corrispondente a quello dimassima magra del fiume. Sui substratifangoso-limosi, inondati per lunghiperiodi dell’anno, in autunno compaionodense formazioni igro-nitrofile, attribuibiliper gran parte all’associazione Bidenti-Polygonetum mitis mentre lungo lesponde dominano dense popolazioni,parzialmente sommerse, a crescioned’acqua (dell’associazione Nasturtietumofficinalis) cui segue, in posizione piùarretrata, la vegetazione a sedanod’acqua (Helosciadetum nodiflori), laquale spesso riesce a colonizzarecompletamente il letto dei canali e deipiccoli corsi d’acqua, affluenti del fiumeprincipale (Habitat 3270 “Fiumi conargini melmosi con vegetazione delChenopodion rubri p.p. e Bidention p.p.”).I corsi d’acqua a carattere torrentizio delleregioni meridionali italiane presentanosovente ampi greti ciottolosi denominatiin Calabria e Sicilia fiumare, ma presenti,con analoghe forme, anche in altre regionicome la Sardegna o la Toscana. Nei lettidi magra di questi torrenti si sviluppa unavegetazione camefitica che interessa igreti ciottolosi, solo raramente raggiuntida eccezionali piene. Tra le piantecolonizzatrici si rinvengono specie delgenere Helichrysum (H. italicum,H. stoechas), Artemisia (A. campestris,A. variabilis, A. alba) e Santolina(S. insularis, S. etrusca). Le fitocenosicui danno origine sono state attribuitenelle varie zone fitogeografiche a diverse

pioniero, su substrati misti ad altacomponente ciottolosa, a prevalenza dipioppo nero e con pioppo canescente(Populus canescens) sono stati rinvenutinel meridione d’Italia ed attribuitiall’associazione Roso sempervirentis-Populetum nigrae. Particolarmente raro èil bosco ripariale a dominanza di platanoorientale (Platanus orientalis),principalmente distribuito sulle spondedei fiumi greci e che da noi assume unimportante significato biogeografico.Si rinviene lungo i corsi d’acqua perenniche scorrono in valli strette incassatenella Sicilia nord-orientale, nella pre-Silacatanzarese (Calabria orientale) e nelCilento (Campania) [Habitat 92C0 “Forestedi Platanus orientalis e Liquidambarorientalis (Platanion orientalis)”]. Residualiin alcune aree alluvionali sono inoltre iboschi meso-igrofili planiziali a frassinomeridionale (Fraxinus oxycarpa ssp.

angustifolia) che tendono stagionalmentead impaludarsi a causa della falda idricaelevata. Di queste rare formazioni sonostate descritte alcune associazionipresenti in diverse località della penisolaitaliana e nel Friuli Venezia Giulia.Il letto dei fiumi nelle zone pianeggiantidella Pianura Padana e della partesettentrionale della penisola italiana,quando presentano un substrato limoso-ciottoloso di notevole consistenza, deltipo braided (cioè caratterizzato da canali

(Salix pedicellata), a portamentoarbustivo (alto al massimo 8 m), checaratterizza l’associazione Salicetumalbae-pedicellatae (Habitat 92A0 “Forestea galleria di Salix alba e Populus alba”).Ai saliceti, localizzati sui terrazzileggermente più elevati dei fiumi, fannoseguito le ontanete di ontano nero (Alnusglutinosa) diffuse in Italia lungo la catena

appenninica con l’associazione Aroitalici-Alnetum glutinosae la quale èsostituita nell’Appennino meridionaledall’associazione vicariante Euphorbio-Alnetum glutinosae.I pioppeti a pioppo bianco (Populus alba),dell’associazione Populetum albaeoccupano i terrazzi più alti rispetto aisaliceti, dove le ondate di piena arrivanopiù raramente e per brevi periodi e dovela falda freatica non è mai affiorante.Questa comunità, che si localizzasolitamente nei tratti medi e inferiori deifiumi, è stata notevolmente danneggiatadalle attività antropiche ed è oggipertanto scarsamente presente nell’Italiasettentrionale. L’associazione Salicialbae-Populetum nigrae inquadra inveceun consorzio forestale caratterizzato dapioppo nero (Populus nigra) e salicebianco che colonizza i terrazzi recenti cheattingono dalla falda freatica del corsod’acqua, su substrato calcareo,conosciuto per alcune aree dell’Italiasettentrionale. Pioppeti con carattere

Lenticchia d’acqua (Lemna minor)

Ontano nero (Alnus glutinosa)

Frassino meridionale (Fraxinus o. angustifolia)

6766 Praterie naturali e semi-naturali,ghiaioni e pareti rocciose. Nelle aree piùelevate delle montagne le piante riduconoprogressivamente la loro taglia e gli alberinon riescono a salirvi per il rigore delclima, inadatto per produrre una rilevantebiomassa come quella arborea in quantola stagione ottimale per la fotosintesi siaccorcia considerevolmente. Si passacosì dalla vegetazione forestale a quelladegli arbusti contorti di buona parte delpiano subalpino a quella delle praterieprimarie del piano alpino. Più in altola vegetazione diviene assolutamentesporadica per poi scomparirecompletamente nel deserto nivale.È questo il regno delle crittogame, ovverodelle piante a minore organizzazionestrutturale, dove si incontrano le piùstraordinarie forme di vita, quellaassociativa dei licheni, organismisimbionti che riescono a produrresostanza organica anche a temperatureestremamente basse, di decine di gradisotto lo zero. In realtà anche in questezone, costituite da pietraie e rocce che sialternano ad aree in cui il ghiaccio simantiene per tutto l’anno, in condizionisicuramente al limite per la vita, resistonoalcune cormofite particolarmenteadattate. Tra queste il ranuncolo glaciale(Ranunculus glacialis), la specie che in

Europa raggiunge le quote più elevate, sirinviene sulle Alpi anche italiane dove

Drosera (D. anglica, D. intermedia,D. x obovata) e del genere Utricularia(U. intermedia, U. minor, U. ochroleuca).La vegetazione delle torbiere altedell’ordine Sphagnetalia medii costituiscemosaici con quelle di transizione,dell’ordine Scheuchzerietalia palustris(Habitat 7140 “Torbiere di transizione einstabili”) e con le torbiere bassedell’ordine Caricetalia fuscae [Habitat 7130“Torbiere di copertura” (* solo se attive)].Nell’insieme delle torbiere a sfagni sirinvengono frequentemente aree didegradazione dovute sia all’attivitàantropica che a condizioni naturali. Inqueste aree degradate si insinua unavegetazione pioniera che dà origine apraterie di ciperacee tra le quali le piùcomuni sono quelle del genereRhynchospora (R. alba e R. fusca) e a cuipartecipano altre specie come quelle giàricordate del genere Drosera (Habitat7150 “Depressioni su substrati torbosidell’alleanza Rhynchosporion”).La maggior parte delle torbiere a sfagniitaliane sono distribuite sulle Alpi e inmisura assai ridotta sull’Appenninosettentrionale. In Italia centromeridionale e nelle isole le torbiere asfagni sono rarissime e spessorappresentate da popolamenti di sfagnimolto impoveriti, come le stazione disfagni del Monte Limbara in Sardegnao delle Madonie in Sicilia.Le principali minacce che si attuanocontro le torbiere riguardano la variazionedel loro bilancio idrico, sia attraverso leopere di bonifica che di escavazione perl’estrazione della torba e, talora, per lacostituzione di piccoli laghi. Assai spessopurtroppo questi ultimi vengono realizzatiin aree protette, in applicazione di unanon chiara interpretazione del concettodi salvaguardia ambientale, al fine difavorire la presenza di popolamenti dianatidi assai spesso costituiti da specieampiamente distribuite nel mondo.

il livello del piano idrografico del bacino.In queste condizioni la sopravvivenzadella parte attiva degli sfagni si mantieneper la presenza dell’acqua meteorica,non potendo assorbire in manierasignificativa quella della falda.Le torbiere basse o piane sono percontro alimentate da acque di risorgivae la vegetazione è prevalentementeformata da piante superiori qualiciperacee e graminacee.Le torbiere di transizione presentanoinvece caratteristiche intermedie tra idue tipi in quanto formate da uno stratodi sfagni e da altre specie delle torbierealte insieme a piante superiori.L‘Habitat 7110* “Torbiere alte attive” siriferisce quindi alle torbiere ricche disfagni per lo più rappresentati da:Sphagnum magellanicum, S. imbricatume S. fuscum ai quali si associano speciediverse di carici come Carex nigra(=C. fusca), C. limosa, C. echinata,C. pauciflora. Numerose sono anche lecosiddette piante carnivore del genere

Gli habitat di torbiera. Le torbiere sonozone umide di eccezionale rilevanzaambientale con vegetazione formata inprevalenza da sfagni e muschi e in cui siaccumulano nel tempo notevoli quantitàdi torba, sostanza organica morta legataall’attività vitale della torbiera, che èdefinita attiva quando il processo diproduzione della torba è in atto mentre èmorta quando tale processo è terminato.Le torbiere sono tradizionalmentesuddivise in alte, basse e di transizione.Nelle torbiere alte gli sfagni costituisconola massa della vegetazione.Queste briofite hanno la capacità dimodificare profondamente il substratoin cui vivono in quanto si accrescono nella parte apicale mentre in quellabasale, più vecchia, la pianta muoreprogressivamente, decomponendosi condifficoltà per l’ambiente anaerobico.In tal modo si origina la torba cheaccumulandosi progressivamente neltempo trasporta sempre più in alto lostrato vitale degli sfagni che supera così

Torbiera (Valle Aurina, Trentino-Alto Adige)

Ranuncolo glaciale (Ranunculus glacialis)

6968 caulescentis, in cui si rinvengono specietra le più belle e significative degliendemiti alpici mentre le comunità checolonizzano le pareti rocciose delle AlpiMarittime e delle Alpi Apuane vengonoriferite dell’alleanza Saxifragionlingulatae. Lungo il resto della catenaappenninica calcarea, sino alla Sicilia,si sviluppano le comunità dell’alleanzaSaxifragion australis, vicariante ilPotentillion caulescentis delle Alpi.La comunità delle pareti calcifugheafferiscono all’ordine Androsacetaliavandellii che colonizzano le roccenon carbonatiche con le alleanzeAndrosacion vandellii delle rocce

silicatiche delle Alpi e Asplenionserpentini delle pareti serpentinicole.In ambito mediterraneo l’ordineAsplenietalia glandulosi comprende lecomunità di vegetazione casmofiticadelle rupi calcaree afferenti all’alleanzaAsplenion glandulosi a distribuzionemediterranea, diffusa nella parte nord-occidentale della regione mediterranea epresente in Italia solo nelle aree sommitalidella Sardegna. In quest’isola sonoinoltre importanti le comunità delCentaureo filiformi-Micromerion cordataedelle montagne calcaree del settorecentrale mentre le numerose associazionirilevate nella parte meridionale dellapenisola italiana, lungo le coste tirrenichee i versanti ionici della Calabria oltre che

herbacea) piccolo arbusto con fustistriscianti e in parte sotterranei, elementoartico-alpino, in Italia presente sulle Alpi enell’Appennino centrale (dai Monti dellaLaga, al Gran Sasso, alla Majella).Sulle Alpi la vegetazione cui dà origine èstata indicata come Salicetumherbaceae, vicariata al Gran Sassod’Italia dall’Armerio majellensis-Salicetumherbaceae, della quale sono differenziali:Armeria majellensis, Carex kitaibeliana eGnaphalium hoppeanum ssp. majellensis.All’associazione Carici kitaibelianae-Salicetum retusae è stata inveceattribuita, sempre al Gran Sasso, lavegetazione a salice retuso (Salix retusa),un altro salice con rami in parte prostrati,formanti un denso tappeto sulle aree piùumide dei versanti. La Direttiva Habitatnon prevede uno specifico habitat per taliformazioni che possono essere inclusenell’Habitat 6170 “Formazioni erbosecalcicole alpine e subalpine”. Sulle pareti rocciose più o meno verticalivive una notevole quantità di pianteadattate alle diverse microcondizioni; sitratta principalmente di casmofite, chesviluppano il loro apparato radicale nellefessure delle rocce. Sono invece definitecomofite se colonizzano la roccia nuda,ma necessitano di una minima quantitàdi terra che può trovarsi depositata sullemicroemergenze delle rocce(esocomofite) o nelle fessure più o menoampie delle stesse (casmocomofite).Infine le vere litofite sono solo le pianteche vivono sulla nuda roccia, quali alghe,muschi e licheni. La parte più vistosa edattraente della vegetazione delle rupi dialta montagna è legata all’ordinePotentilletalia caulescentis che riunisce lecomunità casmofitiche delle fessure dellepareti calcaree o molto ricche in basi,nelle regioni a macrobioclima temperatoe mediterraneo. Di tale ordine sulle Alpisono diffuse le comunità che vengonoriunite nell’alleanza Potentillion

di Thomas (Cerastium thomasii) insiemealla draba di Bertoloni (Draba aspera) eall’arabetta alpina (Arabis alpina ssp.alpina), colonizza la vetta più elevatadell’Appennino - il Corno Grande (2912m) nel massiccio del Gran Sasso d’Italia -costituendo l’associazione Arabicoalpinae-Cerastietum thomasii. Lavegetazione del piano alpino è anch’essafortemente condizionata dalle situazioniclimatiche avverse che la costringonoa localizzarsi principalmente nelledepressioni geomorfologiche, lecosiddette vallette nivali, dove trovaanche le migliori condizioni edafiche.La permanenza più prolungata della nevein queste zone concave favorisce lasopravvivenza delle piante in quanto leprotegge dai forti abbassamenti termici,fungendo in parte da isolante termico;inoltre la sua lenta fusione determinacondizioni diverse in relazione ai gradientidei principali fattori ecologici. In questiambiti si rinvengono gli straordinari salicinani come il salice erbaceo (Salix

sale ben oltre i 4000 m (4200 m sulCervino) ed è presente sulle maggioricime della catena, in ambienti in cui siconsidera che la stagione adeguata peril suo sviluppo vegetativo si riduca adappena tre mesi. Periodo brevissimo nelquale tra l’altro il tempo non si mantienecostante, variando considerevolmente einterrompendo più volte le condizionifavorevoli. Per superare queste difficoltàle piante adattate a tali ambienti hannouna maggiore efficienza fotosintetica e sicollocano nelle situazioni morfologicheche possono creare le condizionimicroclimatiche più calde. Oltre alranuncolo glaciale, sulle Alpi si possonorinvenire altre specie quali il millefogliodel calcare (Achillea atrata) o il millefoglionano (A. nana), l’androsace alpina(Androsace alpina), endemica alpica, ol’androsace di Vandelli (A. vandellii)sostituita, nel piano nivale del GranSasso e della Majella, dall’androsacedegli Abruzzi (A. mathildae). Un’altraendemica centro appenninica, la piverina

Ghiaione in parte stabilizzato dalla vegetazione (Val Venosta, Trentino-Alto Adige)

Androsace di Vandelli (Androsace vandellii)

7170 sono presenti oltre alla stella alpinadell’Appennino (Leontopodium nivale),specie subendemica dell’Appenninocentrale e del Montenegro, anche lasilene a cuscinetto (Silene acaulis ssp.bryoides), la céspica dell’Epiro (Erigeronepiroticus) e la genziana delle nevi(Gentiana nivalis).Nelle montagne silicatiche le praterieprimarie sono per lo più nardeti, pascolimagri, acidofili, a nardo (Nardus stricta),graminacea cespitosa con spigheunilaterali molto caratteristiche, di coloreviolaceo scuro. Floristicamente questepraterie sono più povere delle precedentie meno importanti in termini pastoralipoichè il nardo non è appetito dalbestiame bovino.Sulle Alpi, alle quote indicate, sirinvengono principalmente due tipi dinardeto: il Curvulo-Nardetum tra 2200e 2500 m di quota che costituisce unaspetto di transizione con il Curvuletumnel quale si evidenzia la commistione dispecie di questa associazione con quelledell’Aveno-Nardetum delle quote inferiori(1800-2000 m), il più ricco di specie,tra le quali prevalgono le artico-alpine.Scendendo si incontrano i nardetiprevalentemente secondari inconnessione con le praterie da sfalciodelle zone subpianeggianti.L’associazione più diffusa sulle Alpi enell’Appennino settentrionale è il Geomontani-Nardetum strictae che inquadrauna prateria continua di stazionipianeggianti o debolmente acclividerivante dalla distruzione della faggeta eper successivo pascolamento. Tali nardetivengono riferiti all’alleanza Nardionstrictae che, nell’Appennino centrale,viene vicariata dal Ranunculo pollinensis-Nardion strictae differenziata da un buoncontingente di entità endemiche tra cui ilranuncolo del Pollino (Ranunculuspollinensis) e l’erba lucciola italiana(Luzula italica=L. spicata ssp. italica).

fondamentale le specie pioniere comela sassifraga verde azzurra (Saxifragacaesia) che insieme alla carice rigida(Carex firma) costituiscono la base diqueste formazioni a cuscino, a cui siassociano i vigorosi salici nani (Salixretusa e S. reticolata) che colleganotra loro le zolle stabilizzandole.Un ruolo particolare giocano inoltrenell’affermazione del firmeto ipopolamenti più o meno stabili dicamedrio alpino (Dryas octopetala) che

colonizzano le radure dando origine aduna prima formazione che evolveulteriormente con l’ingressione dicappellini delle Alpi (Agrostis alpina).Sulle zone pianeggianti, con suolo piùprofondo, si sviluppano le formazionicontinue della ciperacea elina (Kobresiamyosuroides=Elyna myosuroides=E. bellardii), pianta di origine asiaticache durante le glaciazioni si è diffusa,insieme ad un gruppo di specie simili,nell’Antartide e nelle montagne europee.L’elina dà origine agli elineti, prateriesteppiche, dal colore bruneggiante chericoprono terreni ben evoluti, nelleposizioni morfologiche pianeggianti ocomunque meno acclivi rispetto a quellein cui si sviluppano i seslerieti e icurvuleti. Nell’Appennino centrale glielineti del piano criorotemperato sonostati riferiti all’associazione Leontopodionivalis-Elynetum myosuroidis in cui

“Ghiaioni calcarei e scistocalcarei montanie alpini (Thlaspietea rotundifolii)”].Piante stolonifere, per lo più graminaceee ciperacee, riescono a determinare ladefinitiva stabilità delle conoidi calcaree edolomitiche, dando origine a prati asesleria calcarea (Sesleria caerulea)e a carice sempreverde (Carexsempervirens) le quali nelle prime fasidi colonizzazione formano zolle erboseche poi si chiudono in pascoli densi ericchi di specie ricoprenti le zone piùassolate e calde, dal piano orotemperatoal criorotemperato, con l’associazioneSeslerio-Semperviretum.È una delle più importanti formazionipascolive primarie delle Alpi che sipresenta in aspetti diversi in rapporto allefasi di sviluppo e nel quale si rinvengonola pulsatilla delle Alpi (Pulsatilla alpina),l’anemone narcissino (Anemonenarcissiflora), la biscutella montanina(Biscutella laevigata) oltre ad altrenumerose e tipiche specie delle prateriealpine tra le quali va ricordata lastessa stella alpina (Leontopodiumalpinum), il simbolo della flora delle Alpi.

Alle quote maggiori e sulle vette sisviluppano i firmeti del Caricetum firmae,vegetazione pioniera, resistente al freddoe al gelo, dal caratteristico aspetto diprato a pulvini che si incontra tra 2000 e3000 m di altitudine. Nell’affermazione diquesto pascolo giocano un ruolo

in Sicilia, appartengono all’alleanzacalcicola Dianthion rupicolae.All’ordine Centaureo-Campanuletalia eall’alleanza Centaureo kartschianae-Campanulion pyramidalis vanno percontro riferite le comunità a distribuzioneanfiadriatica presenti in Italia nellaregione carsica. Per quelle garganiche èstata invece riconosciuta l’alleanzaendemica Asperulion garganicae.La vegetazione delle rupi calcaree vieneriferita all’Habitat 8210 “Pareti rocciosecalcaree con vegetazione casmofitica”mentre quella delle roccee silicee vieneinclusa nell’Habitat 8220 “Pareti rocciosesilicee con vegetazione casmofitica”. Le conoidi di deiezione, alla base dellepareti rocciose, vengono anch’essecolonizzate da piante specializzate che,a tappe successive, riescono a fermarei clasti e a renderli via via più stabili.Sui ghiaioni calcarei la vegetazione trovamaggiori difficoltà ad attecchire in quellicon grosse pezzature. Anche in questocaso si rinvengono piante ben adattatetra le quali l’erba storna rotundifolia(Thlaspi rotundifolium) che da il nome

alla classe Thlaspietea rotundifolii allaquale afferiscono le comunità deighiaioni calcarei sia delle Alpi sia degliAppennini. Nelle montagne silicatiche ighiaioni sono molto più stabili, maanch’essi interessati dalla presenza diuna flora specializzata [Habitat 8120

Erba storna rotundifolia (Thlaspi rotundifolium) Stella alpina (Leontopodium alpinum)

Camedrio alpino (Dryas octopetala)

7372 costituzione di arbusteti e di formazionipreforestali, al ritorno del bosco.Si perderà così un patrimonio dibiodiversità determinata dall’uomo che lastessa Direttiva intende salvaguardarecon l’Habitat 6210 “Praterie semi-naturaliaride e facies arbustive su substraticalcarei (Festuco-Brometea) (*siti

importanti di orchidee)”. L’asteriscoindicante la priorità dell’habitat è posto inriferimento alle orchidee in quantorientrano in questa categoria solo queisiti che ospitano un ricco corteggio di talispecie o anche una sola popolazione diqueste, considerata però importante alivello comunitario. La sopravvivenza diqueste belle piante è infatti dovutaall’elevato grado di specializzazione daloro raggiunto che si basa sulla simbiosicon funghi micorrizici e l’intensacollaborazione con insetti pronubi.Tale insieme di condizioni biologichecrea estrema precarietà per cui lepopolazioni di orchidacee tendono ararefarsi e a scomparire. Laconservazione delle stesse richiedeun’accurata gestione del territorio cheprevede interventi volti a contrastare iprocessi di naturale recupero dellavegetazione arbustiva e arborea sullepraterie non più utilizzate, usando letecniche delle tradizionali pratiche agro-pastorali, riguardanti principalmente ilpascolamento e/o la fienagione.

mesotemperato e supratemperato delleAlpi e degli Appennini, in quest’ultimacatena presente nella suballeanzaPolygalo mediterraneae-Bromenionerecti, con optimum nell’Italia centrale.La vegetazione a maggiore biodiversità èperò quella costituita da praterie daxerofile a semimesofile che afferisconoall’alleanza Phleo ambigui-Bromion erectiendemica dell’Appennino calcareo edelle Madonie. Di questa si riconosconotre suballeanze: Phleo ambigui-Bromenion erecti, la tipica, ampiamentediffusa nei piani bioclimaticimesotemperato e meso-submediterraneodell’Appennino centrale, Brachypodeniongenuensis, delle praterie presenti nelpiano bioclimatico supratemperato conpenetrazioni in quello orotemperatodell’Appennino centro-settentrionale eSideridenion italicae di quelle diffuse neipiani bioclimatici supramediterraneo esubmediterraneo dell’Appennino centro-meridionale. La Direttiva Habitat vuole salvaguardareanche la biodiversità indotta dall’operamillenaria dell’uomo che, mediante letradizionali gestioni agro-silvo-pastorali,ha generato una straordinaria varietà diambienti con la conseguente forteespansione della nicchia ecologica dimolte specie. Ne sono l’esempio ipopolamenti di orchidacee che hannotrovato nelle praterie secondarie lapossibilità di diffondersi in modostraordinario in quanto possiamopresumere che in condizioni naturali lestesse avrebbero trovato il loro habitatsolo sulle cenge erbacee naturali dellezone rupestri. È necessario pertantotrovare forme di compatibile coesistenzadell’uomo con il proprio ambiente.Nella fattispecie la cessazionedell’utilizzo su vaste aree delle prateriesecondarie, ha determinato l’avvio dispontanei processi di recupero dellavegetazione che porterà, attraverso la

Chrysopogonetalia e Brometalia erecti. Le praterie dell’ordine Festucetaliavallesiacae sono steppiche, spessoarricchite in camefite e specie arbustive,sviluppate su suoli molto superficiali conhumus sottile, spesso in corrispondenza distazioni ventose ed esposte, delle vallatealpine a clima continentale (Habitat 6240*“Formazioni erbose steppiche sub-pannoniche”). Quelle dell’ordineScorzonero-Chrysopogonetalia sonoformazioni xeriche, presenti in Italia nelsettore nord-orientale del Friuli e lungoil bordo meridionale delle Alpi, fino alLago di Garda (Scorzonerion villosae eSaturejion subspicatae) e nel settoresud-orientale della penisola, nelGargano e alta Murgia (Hippocrepidoglaucae-Stipion austroitalicae).Le comunità più mesofile delle prateriedell’ordine Brometalia erecti rientranonell’alleanza Bromion erecti con ipascoli meso-eutrofici di graminaceeche si sviluppano su suoli profondi nonidromorfi, del piano bioclimatico

Questi nardeti sono frequenti e taloraanche estesi in condizioni geolitologicheadatte come sui Monti della Laga mentresui rilievi calcarei dell’Appennino centralela loro distribuzione si lega a particolaricondizioni geomorfologiche come il fondodi doline, zone pianeggianti con suoloprofondo e lisciviato e pertanto con pHacido (Habitat 6230* “Formazioni erbosea Nardus, ricche di specie, su substratosiliceo delle zone montane (e delle zonesubmontane dell’Europa continentale)”. Le praterie secondarie più diffuse in Italiaappartengono alla classe Festuco-Brometea che raggruppa la vegetazioneprevalentemente emicriptofitica emesoxerofitica, dei substrati ricchi inbasi con suoli generalmente profondi,rinvenibili nella regione eurosiberianae in quella mediterranea, però nellestazioni umide-subumide o comunquecon suoli profondi e quindi con maggiorecapacità di ritenzione idrica.La classe presenta tre distinti ordini:Festucetalia vallesiacae, Scorzonero-

Area soggetta a pascolo

Orchidea screziata (Orchis tridentata), presentenelle praterie aride

7574 Cresce nel frattempo anche nellapopolazione la sensibilità per leproblematiche connesse con laconservazione dell’ambiente e si riduce laspeculazione sulle aree naturali mentrel’esodo dalla montagna verso la costadetermina un incremento insopportabiledell’urbanizzazione in queste zone.La situazione attuale del nostro Paeseevidenzia comunque una consistentecopertura forestale, di ben 8675 ha,corrispondente al 28,8% del territorionazionale, costituita da 6436 ha di boschi(2577 ha di foresta montana e 858 ha dibosco comune) e 2240 ha di arbusti,boscaglia e macchia mediterranea.

Se tale copertura forestale viene peròrapportata alla popolazione, ne risulta unamedia per abitante inferiore ai 2000 m2,da considerare insufficente, soprattuttonelle regioni meridionali in cui tale valorescende sensibilmente. Si ritiene quindiassolutamente necessario permetterel’espansione del bosco e nel contempomigliorare la gestione forestale,rendendola attenta e capace di esaltarne,oltre alle funzioni economiche, anchequelle di difesa ambientale e diconservazione dell’alto valore dibiodiversità che potenzialmenteesprime. In poche parole è necessariorealizzare scelte selvicolturali chefacciano riferimento alle concezioni della“selvicoltura sistemica” in base alla quale

Foreste, boschi e macchie. La forestavergine che ancora in epoca romanaricopriva vaste porzioni del territorioitalico è stata variamente trasformata nelcorso dei secoli e ha subito profonderiduzioni anche in rapporto alle vicendedemografiche e alle condizioni socio-economiche. Volendo far riferimento soloal periodo post-unitario, legato al realesviluppo industriale italiano, si vede comenell’Italia settentrionale siano stateabbattute elevatissime superfici boschiveper ottenere terre coltivabili. Scompaionocosì le ultime grandi foreste planiziariedella Pianura Padana e gran parte diquelle collinari.Nel Mezzogiorno le aree di latifondoimproduttivo sono state espropriate evendute a privati. In pochi anni un’areacorrispondente ad un terzo dellasuperficie globale del paese è stataadibita ad usi produttivi, di tipo agricolo.Lo sviluppo della linea ferrata determinaun’ingente richiesta di legname per letraversine con conseguente forteriduzione delle fustaie, soprattutto diquerce. Conseguenza di questi interventiè il degrado del territorio con un dissestoidrogeologico tra i più forti mai registrati.Si ritiene così necessario agli inizi del ’900avviare campagne di rimboschimento epromulgare leggi per la tutela delpatrimonio forestale. È del 1923 la leggeforestale (n. 2367) volta alla protezione delpatrimonio idrogeologico, capace dideterminare una svolta fondamentalenella gestione del bosco e di imporre unaserie di limitazioni e controlli cherisulteranno estremamente utili. Il maggiorrecupero del bosco avverrà però a partiredagli anni ’50 del secolo scorso, quandovaste superfici del nostro territoriomontano saranno abbandonate. In questecondizioni si registra una vera e propriaesplosione del verde, in quanto il boscorecupera autonomamente raggiungendodimensioni via via sempre più rilevanti.

Leccio (Quercus ilex)

Il Bosco della Zelata nel Parco del Ticino (Lombardia)

7776 sarde presentano un buon contingente dispecie differenziali come il gigaro sardo-corso (Arum pictum ssp. pictum),l’elleboro corsico (Helleborus lividus ssp.corsicus), la digitale rossa (Digitalispurpurea var. gyspergerae) e la peonia diMoris (Paeonia morisii). I boschi di caducifoglie, mesofili e xerofili,delle zone a macrobioclima temperatosono riferiti alla classe Querco-Fagetea esono distribuiti nei piani bioclimaticimesotemperato e supratemperato conpenetrazione nelle zone a macrobioclimamediterraneo. Tali boschi sono statioggetto negli ultimi anni di notevoli edapprofonditi studi, soprattutto nelle areepeninsulari ed insulari e con particolareinteresse per la vasta gamma dei boschiche rientrano nell’ordine Quercetaliapubescentis. Sono fitocenosi forestalimiste di latifoglie termofile di elevatabiodiversità che evidenziano uno strettolegame floristico con analoghe formazioniforestali presenti nella penisola balcanica.Tali forti analogie hanno portato ariconoscere per gran parte del nostroterritorio peninsulare, ad eccezione diquello più meridionale, l’alleanzabalcanica del Carpinion orientalis, cosìchiamata per la presenza della carpinella(Carpinus orientalis). I querceti dominatidalle specie del gruppo Quercuspubescens s.l. hanno una consistentediffusione in Italia, tra questi quellisubmediterranei con la quercia di Virgilio,talora commisti a Q. pubescens s.str. ealla quercia di Dalechamp sono statirecentemente individuati anche in alcuneregioni centro-meridionali della penisola,dalla Toscana al Molise, nel cui contestopaesaggistico si inseriscono comeformazioni edafo-xerofile.Nelle regioni centrali, dove l’Appenninosi presenta scisso in dorsali calcaree, lezone più interne sub-continentali sonointeressate anch’esse dalla presenza diquerceti di roverella, però con una flora

angustifolia), il laurotino (Viburnum tinus),il terebinto (Pistacia terebinthus), il mirto(Myrtus communis). Diffuse sono pure leliane come lo stracciabraghe (Smilaxaspera), la robbia (Rubia peregrina var.longifolia), le clematidi (Clematis flammulae C. cirrhosa). Oltre a queste specie chetipicamente si rinvengono ovunque lungole coste del Mediterraneo, nelle leccetedell’alleanza italo-illirica è costantementepresente l’orniello (Fraxinus ornus) ed èfrequente l’alloro (Laurus nobilis).

L’ingressione di altre essenze arboree èinoltre indicativa della maggiore mesofiliadi alcune associazioni, tra queste sonoparticolarmente significative: il carpinonero (Ostrya carpinifolia) e l’acero diUngheria (Acer obtusatum) oltre allequerce semidecidue submediterranee omediterranee come la quercia di Virgilio(Quercus virgiliana) e quella di Dalechamp(Q. dalechampii). Nel sottobosco sonoinoltre generalmente presenti il ciclaminoprimaverile (Cyclamen repandum)prevalente nei territori tirrenici mentre ilciclamino napoletano (C. hederifolium) èdiffuso nel settore orientale della penisolae in Sicilia. In Sicilia si rinvengonoassociazioni termofile, calcicole,differenziate da un elevato numero dispecie dell’ordine Pistacio-Rhamnetaliaalaterni, tra cui: la palma nana, l’olivastro,l’euforbia arborescente e il camedriofemmina (Teucrium fruticans). Le leccete

turbinatae si è già fatto cenno mentrel’alleanza Periplocion angustifoliae èdifferenziata da specie rare in Italia qualila periploca minore (Periploca laevigatassp. angustifolia) rinvenuta solo nelle isoledel Canale di Sicilia e l’efedra fragile

(Ephedra fragilis) (Habitat 9320 “Forestedi Olea e Ceratonia”). Le leccete, ampiamente distribuite sullapenisola e sulle maggiori isole, occupanoi terreni delle province biogeograficheItalo-Tirrenica, Appennino-Balcanica eAdriatica svolgendo un ruolo di cernieratra l’area tirrenica a occidente e quellaadriatica a oriente. La loro composizionefloristica evidenzia tali condizionibiogeografiche in quanto si presentanoricche di specie a prevalente distribuzioneorientale, con qualche infiltrazione di tipooccidentale, soprattutto delimitata all’arcoligure e alla Sardegna. In base alle piùrecenti revisioni sintassonomiche, leleccete italiane vengono riferiteall’alleanza del Fraxino orni-Quercion ilicisdella quale vengono riconosciute duesuballeanze: Fraxino orni-Quercenionilicis, dei territori peninsulari e siciliani, eClematido cirrhosae-Quercenion ilicis, adistribuzione sardo-corsa (Habitat 9340“Foreste di Quercus ilex e Quercusrotundifolia”). I boschi attribuiti a questaalleanza contengono una consistentevarietà di arbusti sempreverdi quali lefilliree (Phillyrea media, P. latifolia, P.

la gestione forestale vuole assicurare,prioritariamente, la perpetuità del bosco egarantirne la funzionalità biologica equindi la sua biodiversità.La vegetazione boschiva nel bioclimamediterraneo italiano è rappresentatadalle formazioni arbustive e arboree dellaclasse Quercetea ilicis che interessano siale zone calde ed aride del piano termo-mediterraneo, sia le più fresche ed umidedel meso-mediterraneo. Nel primoprevalgono le formazioni sclerofilliche dimacchia, anche primaria, dell’ordinePistacio-Rhamnetalia alaterni con lealleanze: Oleo-Ceratonion, dellavegetazione che occupa i terreni più omeno evoluti e Juniperion turbinatae, perquella che si impianta sui terreni sabbiosi.Solo nelle isole siciliane, del canale diSicilia, si rinviene l’alleanza a prevalentedistribuzione nord-africana del Periplocionangustifoliae. L’alleanza Oleo-Ceratonion,comprende boscaglie e macchie termo-xerofile, costituite da specie termo-mediterranee in cui compaiono l’olivoselvatico o olivastro (Olea europaea var.sylvestris), il carrubo (Ceratonia siliqua)anche il lentisco (Pistacia lentiscus), lapalma nana (Chamaerops humilis),

l’alaterno (Rhamnus alaternus), il thesiciliano (Prasium majus), l’asparagobianco (Asparagus albus) e l’euforbiaarborescente (Euphorbia dendroides).Alle caratteristiche dell’alleanza Juniperion

Alloro (Laurus nobilis)

Efedra fragile (Ephedra fragilis)

Palma nana (Chamaerops humilis)

7978 si tratta del fragno (Quercus trojana)e della vallonea (Quercus macrolepis=

Q. ithaburensis ssp. macrolepis).La prima è strettamente legata aiterritori delle Murge che comprendonola Puglia centro-occidentale e la partemeridionale della Basilicata con laMurgia materana (Habitat 9250“Querceti a Quercus trojana”).La vallonea in Italia costituisceinvece un piccolo nucleo boschivo,monospecifico, purtroppo moltoalterato, in località Tricase, nellapenisola salentina (Puglia), mentre inaltre stazioni della stessa zona entrasporadicamente nella composizionedella lecceta (Habitat 9350 “Forestedi Quercus macrolepis”).Sulle Alpi orientali, dal Friuli VeneziaGiulia al settore orientale dellaLombardia, si rinvengono faggete chesono state riferite all’alleanza illirico-appenninica dell’Aremonio-Fagiondistinguendole in diverse suballeanze[Habitat 91K0 “Foreste illiriche di Fagussylvatica (Aremonio-Fagion)”].Queste, nel settore appenninico centro-settentrionale, sono inquadrate nellasuballeanza Cardamino kitaibelii-Fagenion sylvaticae che raggiunge i rilievicalcarei dell’Appennino abruzzese.Le faggete appenniniche ai fini dellaDirettiva Habitat sono considerateimportanti in quanto presentano agrifoglio

diversa che ne ha permesso il riferimentoad associazioni autonome. Solorecentemente la Direttiva Habitat hapreso in considerazione i querceti delgruppo della roverella, in seguitoall’ingresso nell’Unione Europea diRomania e Bulgaria, proponendoli,giustamente, come habitat prioritari(Habitat 91AA* “Boschi orientali diquercia bianca”).I querceti mediterranei e submediterraneisono infatti fortemente degradati dalpascolo e dal prelievo eccessivo dilegname e quindi necessitano di unaoculata gestione, al fine di poterrecuperare le loro caratteristiche forestali.Anche i boschi decidui a dominanzadi cerro (Quercus cerris) e talvolta confarnetto (Quercus frainetto), come quelli diroverella, si rinvengono su vaste superficidelle penisole balcanica e italica (Habitat9280 “Boschi di Quercus frainetto”).Questi in Italia vengono riferiti all’alleanzaendemica dell’Appennino centro-meridionale Teucrio siculi-Quercioncerridis che racchiude diverseassociazioni diffuse nell’area collinare,appenninica e subcostiera, su substratiarenacei e marnoso-arenacei e taloraanche trachitici. Caratteristicheecologiche simili alle cerrete sono anchequelle dei boschi a prevalenza di farnettonel cui contesto il cerro è normalmentepresente. Il farnetto, rinvenibile in diverselocalità dell’Italia centro-meridionale aprevalente gravitazione tirrenica, dallaToscana alla Calabria, è presente condiverse associazioni forestali. Completanoil quadro dei boschi di latifoglie collinarie montani quelli riuniti nell’alleanzaPino calabricae-Quercion congestaedell’estrema propaggine meridionale dellapenisola italiana, di Sicilia e Sardegna.In Puglia, considerata la regione dellequerce per la ricchezza di specie diquesto genere, se ne rinvengono duecon areale prevalentemente orientale;Faggeta (Forca d’Acero, Abruzzo)

Quercia vallonea (Quercus macrolepis)

8180 strutturate, che interessano vastesuperfici dell’Appennino. Quest’ultimoaspetto dell’habitat lo possiamoriconoscere, seppure con presenzaframmentata, nell’Appennino tosco-emiliano, sull’Aspromonte, in aree amacrobioclima temperato con termotiposupratemperato, o più raramentemesotemperato. In questi boschi sirinviene, almeno nella parte meridionaledell’Appennino, una sottopecie endemicadi abete bianco (Abies alba ssp.apennina). Ricco è inoltre il contingentedi specie orofile, da considerarsi, perlo più, come relitto di una flora terziariache, dopo le glaciazioni, è rimastaaccantonata su queste montagnemediterranee.Notevole interesse hanno inoltrenell’Appennino meridionale i boschi diabete bianco (Habitat 9510* “Forestesud-appenniniche di Abies alba”) chesono localizzati in aree montaneall’interno della fascia potenzialmenteoccupata dalle faggete del Geranio

(Ilex aquifolium) e tasso (Taxus baccata).Le faggete dell’Italia meridionale sonostate attribuite all’alleanza endemicaGeranio versicoloris-Fagion della qualesi riconoscono due suballeanze chevanno a distinguere i contesti bioclimaticidel piano mesotemperato inferiore esuperiore. Al primo si lega la suballeanzaDoronico orientalis-Fagenion, cheinquadra anche le faggete della ForestaUmbra, eccezionale area forestata delGargano. Nell’altra la suballeanza Lamioflexuosi-Fagenion in cui si collocano lefaggete microterme dell’Appenninomeridionale della Calabria e dei rilievimolisani (Habitat, 9210* “Faggeti degliAppennini con Taxus e Ilex”).Un habitat di particolare interesse perl’Appennino è il 9220* (“Faggeti degliAppennini con Abies alba e faggete conAbies nebrodensis”) nonostante sia statodefinito in forma eterogenea in quantounisce popolamenti relittuali di abete deiNebrodi con formazioni miste di faggio eabete bianco, molto più estese e ben

Il bosco di Montepiano (Basilicata) con agrifoglio (Ilex aquifolium)

Alle prime che sono le più frequenti,fanno capo le faggete delle alleanzeneutrofile dell’Asperulo-Fagione del Fagion sylvaticae oltre a quelleacidofile del Luzulo-Fagion. Le formazioniatlantiche vanno invece riferite allasuballeanza Ilici-Fagenion del Luzulo-Fagion. All’Asperulo-Fagion, ed inparticolare all’associazione Asperulo-Fagetum, si riferiscono le faggete, pureo miste, per lo più neutrofile, spessocon abete rosso e bianco, dei pianibioclimatici da mesotemperato asupratemperato superiore. Presentanoun’elevata diversità floristica nelsottobosco (Habitat 9130 “Faggetidell’Asperulo-Fagetum”).Le faggete termofile dei settori collinarie submontani delle Alpi meridionalivengono riferite invece alla suballeanzaCephalanthero-Fagenion del Fagionsylvaticae. Si tratta di faggete rupestriche si sviluppano su suoli limitati e chepresentano un sottobosco ricco in cui èpossibile rinvenire Ostrya carpinifolia,Quercus pubescens, Fraxinus ornus,Buxus sempervirens, numerose carici eorchidacee nemorali (Habitat 9150“Faggeti calcicoli dell’Europa centraledel Cephalanthero-Fagion”). I faggetisubalpini, con acero di monte (Acerpseudoplatanus) e localmente anche conil larice, talvolta a portamento arbustivoe localizzati presso il limite superiore delbosco, vengono riferiti alla suballeanzaAcerenion pseudo platani, del Fagionsylvaticae (Habitat 9140 “Faggetisubalpini dell’Europa centrale con Acere Rumex arifolius”). Le faggete acidofilecentro-europee appartengono all’alleanzaLuzulo-Fagion e in particolareall’associazione Luzulo-Fagetum.Si tratta di faggete, pure o miste, talvoltacon conifere (Abies alba, Picea abies,Pinus sylvestris) proprie dei substratisilicatici del piano bioclimaticomesotemperato, con: Luzula luzuloides,

versicolori-Fagion. I boschi di Abetebianco della Calabria sono stati ascrittia due distinte associazioni.Lo Junipero hemisphaericae-Abietetumapenninae, localizzato su dossi, costonirocciosi e su versanti acclivi a quotecomprese tra 1400-1800 m, è un’abetinacon strato arboreo aperto ed unoarbustivo denso caratterizzato dalla

presenza del ginepro emisferico(Juniperus hemisphaerica).La seconda associazione, il Monotropo-Abietetum apenninae è presentesui versanti molto scoscesi espostiprevalentemente a settentrione, presentauno strato arboreo più denso e uncorteggio floristico più ricco di specienemorali. Le abetine del Molise sonostate riferite al Pulmonario apenninae-Abietetum albae, mentre quelled’Abruzzo (Monti della Laga) sonostate inquadrate nell’associzione Cirsioerisithalis-Abietetum albae.Sulle Alpi le faggete che non rientranonell’alleanza tipicamente orientaleAremonio-Fagion, sono sia ad influenzasettentrionale, interessando le zonecentro-europee e quindi il versantesettentrionale delle Alpi, sia a influenzaatlantica e con distribuzione occidentale.

Uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi)

8382 forra dell’alleanza Tilio-Acerion cuiappartengono i boschi di latifoglie chesi rinvengono nelle forre o nei fondovalle,in corrispondenza di macereti e depositicolluviali di materiale grossolano contiglio (Tilia platyphyllos), acero di monte(Acer pseudoplatanus), olmo montano(Ulmus glabra) e molte altre specie trale quali nel sottobosco e sulle paretidelle forre numerose felci (Phyllitisscolopendrium, Polystichum aculeatum,

P. braunii e P. setiferum). In Italia l’habitatsi presenta sia nei territori dell’arco alpino,dove è presente con la maggiore densità,che nel resto della penisola in condizionifortemente relittuali. (Habitat 9180*“Foreste di versanti, ghiaioni e valloni delTilio-Acerion”). Per la parte meridionaledella penisola è stata recentementeproposta l’alleanza Lauro nobilis-Tilionplatyphylli che vicaria il Tilio-Acerion nelmezzogiorno d’Italia e in cui oltre al tiglioe all’olmo montano si rinvengono l’alloroe l’iris puzzolente (Iris phoetidissima)e numerose specie mediterranee.Nelle zone più aride delle montagneitaliane, soprattutto sulle Alpi, ma anchenegli Appennini, sono presenti boschi diconifere, in parte naturali, spesso didifficile riconoscimento in quanto l’uomoha proiettato questi boschi ben fuori delleloro potenzialità perché importanti intermini economici o per recuperarerapidamente una copertura forestale su

Polytrichum formosum, Deschampsiaflexuosa e Vaccinium myrtillus (Habitat9110 “Faggeti del Luzulo-Fagetum”). Daultimo le faggete sempre acidofile, peròad influenza atlantica, della suballeanzaIlici-Fagenion del Fagion sylvaticae, sonodate da faggete che si sviluppano susuoli fortemente acidi nel pianobioclimatico supratemperato, delle Alpioccidentali, dove talvolta entrano incontatto con formazioni miste conQuercus robur che può pure divenireprevalente nel piano bioclimaticomesotemperato e sono attribuibiliall’alleanza Quercion roboris dell’ordineQuercetalia roboris [Habitat 9120“Faggeti acidofili atlantici con sottoboscodi Ilex e a volte di Taxus (Quercion robori-petraeae o Ilici-Fagenion)”].Il legame fitogeografico dei boschimesofili italiani con quelli balcanici, siripropone anche per le formazioniforestali edafomesofile a dominanza difarnia (Quercus robur) o di carpino bianco(Carpinus betulus) o ancora di cerro delpiano bioclimatico mesotemperatosuperiore o supratemperato inferiore, susuoli neutri o debolmente acidi, profondie humici delle stazioni pianeggianti.Dal punto di vista fitosociologico questecenosi vengono attribuite all’alleanzaErythronio dentis-canis-Carpinion betuli(Habitat 91L0 “Querceti di rovere illirici(Erythronio-Carpinion)”, della quale in Italiasi individuano le suballeanze: Asparagotenuifolii-Carpinenion betuli per il distrettoPadano e Pulmonario apenninae-Carpinenion betuli per quello appenninicocentro-settentrionale che viene vicariatain quello meridionale dall’alleanzaPhysospermo verticillati-Quercion cerridis,in cui rientrano le cerrete mesofile diversante, gli acereti ad acero meridionale(Acer obtusatum ssp. neapolitanum)e i carpineti a carpino bianco.Analoghe motivazioni fitogeografiche sipossono avanzare per le formazioni di

Lingua cervina (Phyllitis scolopendrium)

(Linnea borealis), dedicata al maestro dellasistematica, Carlo Linneo. Più povero è ilsottobosco della pecceta che occupa ilpiano montano (Piceetum montanum) dellevalli esterne, esalpiche, in cui il peccioscende di quota, sino a raggiungere i 900m (300 m come individui isolati di peccio)ove entra in contatto con abetine di abetebianco e faggete. La pecceta montana èspesso interessata dalla presenza, nelsottobosco, di specie legnose cheappartengono al corteggio della faggeta,testimoniando come in queste aree sianostate anticamente impiantate nell’areapotenziale per questa formazioneforestale. Procedendo da Est verso Ovestlungo la catena alpina, la fascia occupatadalle peccete tende sempre più arestringersi in quanto l’abete rosso è unalbero che preferisce il clima continentale:così nelle Alpi Occidentali ed in particolarein Piemonte, sono presenti allo stato purosolo nell’Ossolano mentre in altre località ilpeccio si rinviene all’interno di abetine diabete bianco. Le peccete nel loro insiemecostituiscono l’habitat più importante ediffuso delle Alpi dov’è in forte espansionein quanto occupa progressivamente le areeabbandonate delle praterie secondarie.Un piccolo resto di pecceta naturale, dirilevantissimo significato fitogeografico ein particolare paleogeografico, si rinvieneanche sull’Appennino, nella zonadell’Abetone, nell’alta Valle del Sestaione,in Toscana. L’abete rosso, comedimostrato da Chiarugi con le sue ricerche,durante la glaciazione würmiana raggiunseil litorale toscano e quindi con il successivoritiro dei ghiacciai si è potuto conservaresolo nei settori più elevati dell’Appenninosettentrionale. Il bosco residuale presenteall’Abetone, nel cosiddetto PigelletumChiarugi, in cui Picea excelsa si mescolaal faggio (genericamente attribuitiall’associazione Piceetum subalpinumnella subass. myrtilletosum), rappresentaquindi una testimonianza eccezionale

versanti estremamente degradati, suiquali le rustiche conifere si possonorapidamente sviluppare. Sulle Alpi ilbosco di conifere di maggiore diffusionee attrazione, anche paesaggistica, ècostituito dalla pecceta, il bosco di abeterosso (Picea abies) che ricopre interi

versanti vallivi, sia sui substrati carbonaticiche silicatici, in formazioni pure o mistecon altre conifere e/o con il faggio[Habitat 9410 “Foreste acidofile montanee alpine di Picea (Vaccinio-Piceetea)”]. Lasua fascia altitudinale elettiva è il pianosubalpino (Piceetum subalpinum) in cui ilpeccio raggiunge circa 2000-2300 m diquota e si consocia spesso con il larice(Larix decidua). Nelle zone in cui il boscoè più aperto vi si rinviene il rododendrorosso (Rhododendron ferrugineum)

o il lampone (Rubus idaeus). Tra le curiositàfloristiche è possibile ricordare la linnea

Rododendro (Rhododendron ferrugineum)

Abete rosso (Picea abies)

8584 su substrati calcarei e ospitano nelsottobosco Rhododendron hirsutum,Erica herbacea, Pinus mugo e Polygalachamaebuxus. Soprattutto il larice, ma

anche il cembro, come visto per il peccio,colonizza abbastanza rapidamente lepraterie abbandonate determinandoun consistente incremento delle areeforestate delle regioni alpine.Tale naturale processo dinamico non èsempre positivo perchè la diversitàfitocenotica delle aree montane tendecosì a contrarsi, talora anche fortementee rapidamente, perchè gli ambientisecondari prativi, a forte determinismoantropico, sono, come già osservato,importanti serbatoi di biodiversità.Il pino uncinato si presenta in vari aspettiche sono stati nel tempo attribuiti aspecie diverse, sulla base di caratterimorfologici ai quali corrispondono anchecondizioni ecologiche. Di queste nelterritorio italiano ne sono statericonosciute due: il pino uncinato (Pinusuncinata) a portamento arboreo, altosino a 10 m con strobili conici e scudettoasimmetrico (distribuito nelle Alpioccidentali e nell’Appenninosettentrionale) e il pino mugo (Pinusmugo) a portamento arbustivo-prostrato,alto sino a 5 m, con strobili più brevirotondeggianti, e scudetto simmetrico,presente soprattutto nelle Alpi orientalie centrali oltre che nelle Alpi Marittime

che richiede un’assoluta tutela. Un’altra foresta di conifereparticolarmente legata all’ambientealpino è il lariceto, espressione più tipicadi questa catena montuosa in quanto illarice (Larix decidua) vi concentrapraticamente l’intero suo areale, adeccezione di poche aree disgiunte deiCarpazi e della Polonia (Habitat 9420“Foreste alpine di Larix decidua e/o Pinuscembra”). Il larice, specie microterma edeliofila, si distribuisce nelle aree piùelevate raggiungibili dalla vegetazioneforestale alpina, dove colonizza le stazionirupestri nelle zone della catena con climadi tipo continentale, tra 800 e 2600 mnelle Alpi occidentali e da 900 a 1900 mnelle Alpi orientali. I lariceti costituisconodei tipi di bosco a struttura più o menoaperta, propria del piano subalpino,dove spesso si consociano, nelle formepiù evolute, con il pino cembro (Pinuscembra) costituendo l’associazioneLarici-Cembretum (Vaccinio-Piceetalia).Lariceti puri, naturali, sono piuttosto rarie rinvenibili in ambienti inospitali, acolonizzare ghiaioni e greti ciottolosi deitorrenti. La maggior parte dei lariceti èfortemente condizionata dall’attivitàdell’uomo allevatore che li maniene informa rada per favorire il pascolo delbestiame. Sono i cosiddetti “paesaggi aparco” in cui il lariceto ospita una prateriaa trifoglio alpino (Trifolium alpinum) oa nardo (Nardus stricta) negli aspettidi degrado. Anche il cembro può dareorigine a questo paesaggio, però inaspetti decisamente più limitati, qualorale due essenze si consocino, originandoboschi più densi, che su terreni silicicolipresentano nel sottobosco il rododendrorosso, il mirtillo nero e la luzula biancae che, nelle Alpi occidentali, si consociacon il pino uncinato (Pinus uncinata=P. montana). Nelle Alpi centro-orientali, ilarici-cembreti subalpini e montani, taloracon abete rosso, si rinvengono anche

Poligala falso-bosso (Polygala chamaebuxus)

Bosco di conifere con larice (Larix decidua) nelle Alpi Giulie (Sella Bieliga, Friuli Venezia Giulia)

8786 presente la vegetazione relitta,notevolmente rara e localizzata, di abetedei Nebrodi (Abies nebrodensis), la cuipopolazione attuale è costituita da 30individui adulti, dei quali 24 sessualmentematuri, e da 80 giovani piantine che necostituiscono la rinnovazione naturale.A questa popolazione si legano il faggioe gli arbusti di ginepro emisferico chedanno origine a una vegetazione radache si sviluppa tra 1360 e 1690 m, inun’area a bioclima da supra- ad oro-mediterraneo ed è interessata daricorrenti fenomeni di nebbie, la quale èstata riferita all’associazione Juniperohemisphaericae-Abietetum nebrodensisdella classe Pino-Juniperetea (Habitat9220* “Faggeti degli Appennini con Abiesalba e faggeti con Abies nebrodensis”).La classe Pino-Juniperetea con il nomeben indica la vegetazione costituita dagimnosperme, che si estendeva untempo su vaste superfici delle altemontagne mediterranee e più in generalesud-europee dove è stata pressochédistrutta dalle attività pastorali. A questavegetazione partecipano, soprattuttonell’area occidentale del bacino delMediterraneo (nord-Africa, penisolaiberica, Corsica e Alpi occidentali) leformazioni a ginepro turifero (Juniperusthurifera) presenti nel territorio italianocon due stazioni, in località Valdieri (ValGesso) e Moiola (Valle Stura). Si tratta,molto presumibilmente, di stazioni dirifugio glaciale, pre-würmiane, anche inbase alla presenza di numerose entitàendemiche rupicole che si rinvengononella vegetazione alla cui costituzionepartecipa principalmente il gineprofenicio (Juniperus phoenicea ssp.phoenicea), ben distinto, anche se moltitassonomi non lo riconoscono, dalginepro turbinato (J. turbinata) deilitorali mediterranei (Habitat 9560“Foreste mediterranee endemiche diJuniperus spp.”).

calcari dolomitici mentre in analoghisubstrati sui Monti del Parco d’Abruzzo,è rinvenibile la varietà italica della stessaspecie. Nell’Italia meridionale per controè invece presente il pino laricio calabrese(Pinus nigra ssp. calabrica), che sirinviene sempre sui substrati acidi, inCalabria (Sila e Aspromonte) e in Sicilia,sull’Etna (Habitat 9530 “Pinete sub-mediterranee di pini neri endemici”).Sul monte Pollino e in alcune cimedel suo gruppo, si rinvengono boschi apino loricato (Pinus leucodermis=P. heldreichii ssp. leucodermis) che sono

distribuite nella fascia della faggeta tra1000 e 1400 m di altitudine, doveformano pinete di tipo relittuale.Queste si presentano come boschiaperti, monospecifici nello strato arboreomentre in quello arbustivo, decisamentepiù ricco, è abbondante il gineproemisferico (Juniperus hemisphaerica)mentre è più raro il ginepro nano(J. communis ssp. nana) (Habitat 95A0“Pinete alto oromediterranee”).Al limite superiore delle faggete, fino acirca 2000 m, si rinvengono ancoraesemplari, talora plurisecolari e moltospettacolari, di pino loricato, però informazione con il ginepreto alpino,interpretabile come durevole, incapacicioè di evolvere per le particolaricondizioni ambientali stazionali.In Sicilia, sulle Madonie, è invece

quote più basse, spesso in prossimitàdei torrenti. Il pino mugo è naturalmentepresente anche nell’Appenninoabruzzese-molisano dove dà origine acomunità relitte, pioniere,sui Monti del Parco Nazionale d’Abruzzo,Lazio e Molise, su versanti accliviassolati del piano orotemperato, tra 1800e 2000 m di quota e su quelli del pianobioclimatico criorotemperato, fino a 2500m di quota, sui Monti del Parco Nazionaled’Abruzzo, Lazio e Molise e su quelli dellaMajella [Habitat 4070* “Boscaglie di Pinusmugo e Rhododendron hirsutum (Mugo-Rhododendretum hirsuti)”].Le pinete di pino nero (Pinus nigra) sonomolto comuni in Italia, ma si trattasoprattutto di rimboschimenti chericoprono i versanti montani delle Alpie degli Appennini; per contro i boschinaturali di questa specie sono piuttostorari nel nostro paese dove si localizzanoin aree geografiche limitate. Sulle Alpiorientali sono presenti pinete termofile dipino nero (Pinus nigra ssp. nigra) sui

e nell’Appennino centro-meridionale.La Direttiva Habitat fa riferimento inparticolare alla specie Pinus uncinatacon l’Habitat 9430 [“Foreste montanee subalpine di Pinus uncinata” (* susubstrato gessoso o calcareo)] e allasalvaguardia dei due tipi di boschi a cuidà origine: uno mesofilo a Rhododendronferrugineum delle Alpi occidentaliesterne, su suoli silicei o decalcificatidell’orizzonte subalpino (Rhododendro-Vaccinion) e l’altro, tendenzialmentexerofilo delle Alpi interne o dei versantiassolati delle Alpi occidentali periferiche,in cui Rhododendron ferrugineum èassente o raro (Ononido-Pinion). Lecomunità dell’Appennino nordoccidentalesono invece riferibili all’alleanza Sesleriocaeruleae-Pinion uncinatae (Piceetaliaexcelsae).Le mughete a pino mugo (Pinus mugo)costituiscono comunità tra le piùcaratteristiche dei detritici calcarei delpaesaggio subalpino delle Dolomiti e delleAlpi sud-orientali rinvenibili però anche a

Mughete a pino mugo (Pinus mugo) nelle Alpi Carniche (Friuli Venezia Giulia)

Pino loricato (Pinus leucodermis)