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Passioni inaspettate Nora Roberts

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Nora Roberts

Passioni inaspettate

Immagine di copertina: Shutterstock

Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: BORN O'HURLEY The Last Honest Woman

BORN O'HURLEY Dance to the Piper Silhouette Books

©2004 Harlequin Books S.A. ©2004 Harlequin Books S.A.

© 1988 Nora Roberts © 1988 Nora Roberts

Traduzioni di Paola Picasso

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà

Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 1994 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Special

maggio 1994 Seconda edizione Harmony Special Saga

settembre/ottobre 2006 Terza edizione Harmony Romance

aprile 2010

Questo volume è stato stampato nel gennaio 2010 presso la Mondadori Printing S.p.A.

stabilimento Nuova Stampa Mondadori - Cles (Tn)

HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943

Periodico mensile n. 68 del 20/4/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 72 del 6/2/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI)

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

Il prezzo della passione

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Prologo

«Può gridare se vuole, signora O'Hurley.» La donna scosse la testa con un gesto rabbioso. Il su-dore le colava dalle tempie, respirava come un mantice, però il suo sguardo era deciso. «Molly O'Hurley non met-te al mondo i suoi figli urlando.» Non aveva un fisico robusto ma la sua voce limpida e musicale risuonò in tutta la stanza. Il marito l'aveva portata all'ospedale quando il trava-glio era ormai alla fine e non c'era stato il tempo di prepa-rarla, o di confortarla. L'ostetrica di turno le aveva dato un'occhiata e l'aveva fatta trasportare ancora vestita in sa-la parto. La maggior parte delle donne, trovandosi tra gente sconosciuta, in una città sconosciuta, nel momento in cui lotta per la propria vita e per quella del suo bambino, si spaventerebbe. Anche lei aveva paura ma non lo avrebbe confessato per niente al mondo. «Una dura, eh?» Il medico fece cenno all'infermiera di asciugargli la fronte. Nella sala parto il caldo era soffocante. «Tutti gli O'Hurley sono dei duri» riuscì a rispondere lei, stringendo i denti per resistere al dolore che le dila-niava le viscere. Il bambino stava nascendo in fretta e le contrazioni si susseguivano a un tale ritmo da non con-sentirle di riprendere fiato. «Ringrazi Dio che il suo treno non avesse un ritardo, altrimenti avrebbe partorito nella carrozza passeggeri»

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borbottò il medico. «Non si impigrisca proprio adesso. Continui a spingere, mi raccomando.» La donna imprecò con la ricchezza di vocaboli che a-veva imparato nei sette anni trascorsi insieme al suo Francis e negli altri sette passati a esibirsi nei club di tutte le infime cittadine tra Los Angeles e Catskills. Il medico si limitò a schioccare le labbra. «Ci siamo. Ci siamo. Spinga, signora O'Hurley. Spari fuori questo bambino come una schioppettata.» «Gliela darò io una schioppettata» ringhiò lei, ma ub-bidì, spingendo con tutte le sue forze, e il bambino nac-que con un vagito che echeggiò per tutta la sala. Molly osservò il medico ruotare la piccola testa, le spalle e infine il dorso. «È una femmina!» esclamò. Ridendo, Molly ricadde contro i cuscini. Una femmina. Ce l'aveva fatta. Francis sarebbe stato orgoglioso. Esau-sta, ascoltò i primi strilli della sua bambina. «A questa creatura non c'è stato bisogno di dare una sculacciata» commentò il medico. «Non è grossa, signora O'Hurley, ma è sana come un pesce.» «Certo che lo è. Sentite che polmoni. Strilla tanto forte da spaccare i timpani. È nata un po' in anticipo, ma... Oh, Gesù.» Una nuova contrazione la fece sobbalzare. «Tenetela stretta, mi raccomando.» Il medico consegnò la neonata a un'infermiera e fece cenno a un'altra di affer-rare le spalle di Molly. «Pare che sua figlia abbia compa-gnia.» «Un'altra?» Tra uno spasimo e l'altro, Molly scoppiò a ridere. «Accidenti a te, Frank. Riesci sempre a sorpren-dermi.» In sala d'aspetto, un uomo camminava avanti e indie-tro, controllando l'orologio ogni due secondi. Il suo passo elastico denunciava un'antica abitudine a muoversi e a ballare. Era alto e snello e i suoi occhi erano pieni di alle-gria. Di tanto in tanto si avvicinava a un bimbetto semi-addormentato in una poltrona e gli arruffava i capelli.

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«Tra poco verranno a dirci se ti è nato un fratellino, o una sorellina, Trace.» «Sono stanco morto, papà.» «Stanco?» Ridendo, l'uomo lo sollevò dalla poltrona e lo prese in braccio. «Questo non è il momento di dormire, figliolo. È un momento fantastico. Un altro O'Hurley sta per venire al mondo» gli ricordò tutto contento. Il bambino posò la testa sulla spalla del padre. «Non siamo riusciti ad andare a teatro.» «Ci saranno altre sere per questo.» In realtà, gli di-spiaceva di aver dovuto rinunciare allo spettacolo ma c'e-rano dei club anche a Duluth. Prima di salire su un altro treno, avrebbe fatto una prenotazione. Era nato per cantare e per ballare e ringraziava la sua buona stella che Molly fosse come lui. Dio sapeva che non avevano fatto una bella vita, spostandosi da una cit-tadina all'altra ed esibendosi in locali di second'ordine, tuttavia sarebbe venuto il momento buono. La Grande Occasione sarebbe giunta al prossimo spettacolo. «Tra poco tutti ci conosceranno come I Quattro O'Hurley e niente ci fermerà.» «Niente ci fermerà» ripeté il bambino. «Signor O'Hurley?» Frank si fermò e si voltò adagio verso il medico. «So-no io» rispose con la gola secca. «Come sta Molly?» Il medico si toccò il mento, sorridendo. «Sua moglie è una gran donna.» Travolto dal sollievo, Frank baciò la testa del figlio. «Hai sentito, ragazzo? Tua madre è una gran donna. E il bambino? So che è nato prematuro, ma sta bene?» «Sono sane e belle. Tutte quante.» «Sane e belle.» Fuori di sé dalla gioia, Frank accennò un passo di danza. «La mia Molly sa come mettere al mondo i bambini. Ha le sue piccole manie, ma ottiene sempre quello che vuole. Non le sembra...» La sua voce s'interruppe di colpo e il suo sguardo cer-cò il medico che continuava a sorridere. «Tutte quante?» «Quello è suo figlio?»

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«Sì. Si chiama Trace. Che cosa intendeva dire con tutte quante?» «Signor O'Hurley, suo figlio ha tre sorelle.» «Tre.» Frank si lasciò cadere su una seggiola. Le sue gambe di ballerino all'improvviso erano diventate molli come gelatina. «Tre» ripeté. «Tutte in una volta?» «A pochi minuti di distanza l'una dall'altra.» Stordito, Frank rimase in silenzio. Tre. Ancora non a-veva stabilito in che modo mantenerne una. Tre. Tutte femmine. Passato l'attimo di sbigottimento, scoppiò a ri-dere. Era stato benedetto dalla nascita di tre bambine. Poiché non era uomo da maledire il destino, lo accettò con riconoscenza. «Hai sentito, figliolo? La tua mamma ha avuto tre ge-melle. Tre al prezzo di una. Un vero affare!» Balzando in piedi, afferrò la mano del medico e cominciò a sbatterla su e giù. «Che Dio la benedica. Se questa notte, in tutto il mondo c'è un uomo più fortunato di Francis O'Hurley, non lo conosco.» «Congratulazioni.» «Lei è sposato?» «Sì.» «Come si chiama sua moglie?» «Abigail.» «Allora una di loro sarà Abigail. Quando potrò vedere la mia famiglia?» «Tra pochi minuti. Manderò qui un'infermiera che badi a suo figlio.» «Oh, no.» Francis prese il bambino per mano. «Lui viene con me. Non capita tutti i giorni di vedersi arrivare tre sorelle.» Il medico stava per enunciargli le norme dell'ospedale, ma si trattenne. «Lei è ostinato come sua moglie, signor O'Hurley?» Frank gonfiò il petto. «È mia moglie che ha preso le-zioni da me.» «Mi segua.» Vide per la prima volta le neonate attraverso il vetro

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della nursery, tre fagottini dentro l'incubatrice. Due dor-mivano. Una vagiva a tutta forza. «Sta facendo sapere al mondo che è arrivata. Trace, guarda. Quelle sono le tue sorelle.» Ormai sveglio del tutto, il bambino le osservò con aria critica. «Sono tutte grinzose.» «Lo eri anche tu, bamboccio» replicò il padre. Poi ven-nero le lacrime ma lui, da buon irlandese, non si vergo-gnò di piangere. «Farò tutto quello che posso per voi. Per ciascuna di voi» promise. E premendo una mano sul ve-tro, sperò che le sue intenzioni bastassero.

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Quello non sarebbe stato un giorno qualunque. Adesso che la decisione era stata presa, ci sarebbe voluto molto tempo prima di tornare alla normalità. Poteva solo spera-re di aver preso la decisione giusta. Nel fienile intriso dell'odore degli animali, Abby sellò il suo cavallo. Forse sbagliava a rubare un po' di tempo per se stessa quando c'erano ancora tante cose da fare, ma ne aveva bi-sogno. Un'ora lontano da casa e da tutti gli obblighi le sembrava un lusso enorme. Esitò un momento, poi scrollò la testa e strinse il sot-topancia al cavallo. Se devi rubare, tanto vale che tu lo faccia in grande stile, diceva sempre suo padre. Inoltre, se il signor Jor-gensen aveva davvero l'intenzione di comprare il puledro, sarebbe tornato. Bisognava aggiornare il libro contabile e distribuire il mangime, ma ci avrebbe pensato dopo. A-desso voleva fare una galoppata in solitudine. Mentre conduceva all'esterno il roano, due gatti le gi-rarono intorno, poi si accucciarono in mezzo alla paglia. «Andiamo, Judd.» Con la facilità dovuta alla lunga e-sperienza, Abby balzò in sella e si diresse a sud. In quella zona non si poteva galoppare perché il terre-no intriso di neve si era trasformato in un pantano e l'aria era fredda e umida, ma lei sentì un brivido di anticipazio-ne. Finalmente le cose stavano cambiando.

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Non poteva chiedere di più. Spronando Judd, puntò verso la conquista più difficile: la libertà. Forse il fatto di aver accondisceso a essere intervistata per quel libro avrebbe costituito il primo passo in quella direzione, tuttavia, da quando aveva avuto i primi abboc-camenti con l'editore, era tormentata da dubbi e indeci-sioni. Cos'era giusto? Cosa sbagliato? Quali sarebbero state le conseguenze? In ogni caso, avrebbe dovuto assu-mersi tutta la responsabilità. Mentre attraversava quella terra che amava ma che tut-tavia non considerava sua, notò che nei pascoli la neve si stava sciogliendo. Di lì a un mese i puledri avrebbero po-tuto giocare sull'erba nuova. Aveva seminato il fieno e l'avena e quell'anno, forse, il suo conto sarebbe tornato prospero. Al posto suo, Chuck non si sarebbe preoccupato. Lui non pensava mai al domani. Solo all'attimo successivo. Alla successiva gara di automobili. Sapeva perché aveva comprato quel pezzo di terra in Virginia. Lo aveva sem-pre saputo, ma all'inizio aveva preso quel gesto come un segno di speranza e vi si era aggrappata con forza durante gli ultimi otto anni. Chuck aveva acquistato la terra, tuttavia vi era rimasto solo poche settimane. Era troppo irrequieto per sedersi a guardare l'erba crescere. Irrequieto, irresponsabile ed e-goista, ecco com'era Chuck. Lo aveva saputo anche prima di sposarlo. Forse lo aveva sposato proprio per quello. Non poteva rimproverargli di aver finto di essere diverso. Lo aveva guardato e aveva visto quello che voleva ve-dere. Chuck era transitato nella sua vita come una cometa e lei, affascinata dalla sua luce, lo aveva seguito ciecamen-te. La diciottenne Abigail O'Hurley era rimasta stupita e lusingata dalle attenzioni dedicatele dal famoso Chuck Rockwell. Il suo nome aveva occupato le prime pagine dei giornali mentre gareggiava in tutti i Gran Premi au-

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tomobilistici e aveva primeggiato nelle pagine scandali-stiche mentre conquistava schiere di donne, ma la giova-ne Abigail non aveva letto quegli articoli. Lo aveva conosciuto a Miami e, ammaliata dalle sue promesse di vita emozionante e priva di responsabilità, lo aveva sposato in un batter d'occhio. Benché avesse cominciato a piovigginare, Abby fermò il cavallo. Non le importava di bagnarsi i capelli e la giacca. In quel momento aveva bisogno di isolarsi. Il suo era un comportamento da vigliacca, ma non si era mai considerata una temeraria. Quello che aveva fatto e che avrebbe continuato a fare era sopravvivere. La terra s'incurvava dolcemente, chiazzata di neve e avvolta da una leggera foschia. Quando Judd prese a ra-spare con impazienza il terreno, Abby gli accarezzò il collo finché si calmò. Quel posto era così bello! Era stata a Montecarlo, a Parigi, a Londra e a Bonn, ma, dopo cin-que anni di peregrinazioni e di lavoro faticoso dall'alba al tramonto, continuava a pensare che quel panorama fosse il più bello del mondo. Adesso la pioggia era aumentata e di lì a poco le strade polverose che attraversavano la sua terra sarebbero diven-tate impraticabili. Se la temperatura fosse scesa durante la notte, l'acqua si sarebbe ghiacciata, lasciando uno strato scivoloso sul suolo. Ma era bello. Doveva essere grata a Chuck per quella terra e per molte altre cose. Chuck era stato suo marito e adesso lei era la sua vedo-va. Prima di morire l'aveva fatta soffrire parecchio, ma le aveva lasciato le cose più importanti della sua vita: i suoi figli. Era per loro che aveva permesso a quello scrittore di venire lì dopo aver rifiutato per quattro anni di parlare del passato. Il suo divieto, tuttavia, non aveva impedito la pubblicazione di una biografia non autorizzata di Chuck Rockwell, o di storie che apparivano ancora sui giornali. Dopo mesi di riflessione era giunta alla conclusione che, se avesse lavorato con un buon scrittore, avrebbe po-

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tuto controllare il prodotto finale e alla fine i suoi figli a-vrebbero avuto qualcosa del loro padre. Dylan Crosby era un bravo scrittore e questo, a suo modo di vedere, costituiva un vantaggio e uno svantag-gio. Abby prevedeva che lui avrebbe cercato di indagare in aree che lei riteneva off-limits. Se Crosby avesse accettato quei limiti, gli avrebbe fornito tutte le risposte che voleva e finalmente avrebbe chiuso quel capitolo della sua vita. Ma doveva agire con intelligenza. Schioccando le re-dini, fece muovere il cavallo. Il problema era che non era mai stata furba, mentre sua sorella Chantel, più anziana di due minuti e mezzo, era sempre stata bravissima a piani-ficare, a manipolare e a ottenere quello che voleva. Poi c'era Maddy, l'altra gemella, più giovane di dieci secondi. Maddy la determinata, che procedeva nella vita grazie alla sua volontà e alla sua forza. Ma lei era Abby, la sorella di mezzo. La più tranquilla, la più responsabile, la più affidabile, qualità che le face-vano digrignare i denti. Adesso, tuttavia, il suo problema non era l'etichetta che le era stata affibbiata ancora prima che imparasse a cam-minare. Il suo problema attuale era Dylan Crosby, ex giornalista investigativo diventato biografo. Nei suoi anni giovanili, Crosby aveva scoperto dei traffici mafiosi che avevano permesso di sgominare la cosca più importante della costa occidentale. Prima di arrivare ai trent'anni a-veva distrutto la carriera di un senatore che aveva un con-to svizzero nascosto e aspirava a cariche più alte. Adesso toccava a lei affrontarlo, e lo avrebbe fatto. In definitiva, lui sarebbe stato suo ospite e lei gli avrebbe dato solo le informazioni che voleva. Ciò che voleva te-nere segreto era chiuso nella sua testa e soltanto lei aveva la chiave. Se aveva imparato qualcosa dai suoi genitori artisti girovaghi era recitare. Per ottenere quello che voleva, doveva inscenare uno spettacolo fantastico a favore di Dylan Crosby.

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Non dire mai la verità, figliola. Nessuno desidera sa-perla, le avrebbe detto suo padre, e per qualche mese lei avrebbe tenuto a mente quella frase. Riluttante ad abbandonare la campagna e la pioggia, voltò il cavallo e tornò verso casa. Era ora di cominciare. Imprecando contro il maltempo, Dylan passò uno straccio già inzuppato sul vetro del cruscotto. Dalla sua parte il tergicristallo funzionava solo a tratti. L'altro si era fermato del tutto. Guidando con una mano sola, continuò a pulire il vetro, mentre la pioggia gelata gli s'infilava dentro la manica. Era stato un pazzo a comprare quella vecchia auto, classica o no. La 62 Vette sembrava un sogno, però fun-zionava come un incubo. Probabilmente non era stato molto furbo a partire in macchina da New York in febbraio, ma aveva privilegia-to il desiderio di muoversi liberamente. Perlomeno, diri-gendosi verso sud, la neve che aveva trovato nel Delawa-re si era trasformata in pioggia. Ma la maledisse di nuo-vo, sentendosi inzuppare il collo. Comunque avrebbe potuto andare anche peggio. Non sapeva come, tuttavia era possibile. Se non altro stava per realizzare un progetto a cui pensava da tre anni. A quanto pareva, Abigail O'Hurley Rockwell era riuscita a spreme-re dall'editore il massimo possibile. Doveva essere una donna molto astuta. Era riuscita a conquistare il corridore più ammirato e più ricco del cir-cuito, pur essendo solo una ragazzina. Prima di compiere diciannove anni, aveva sfoggiato gioielli e pellicce e ave-va giocato a dadi a Montecarlo. Del resto, non era diffici-le spendere i soldi di un altro. Glielo aveva dimostrato la sua ex moglie nei diciotto mesi del loro matrimonio. La furbizia era femmina. Le donne si mascheravano da creature inermi e vulnerabili finché riuscivano a metterti addosso i loro artigli. Per liberartene dovevi sanguinare e, se non eri stupido, ogni tanto dovevi guardarti le ferite per ricordarti come funzionavano le cose.

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Scrollando le spalle, Dylan prese in mano la mappa e imprecò di nuovo. Sì, aveva mancato l'uscita. Maledizio-ne! Dopo aver guardato a destra e a sinistra, compì un'in-versione sulla strada molle di pioggia e tornò indietro. I tergicristalli facevano pena, ma la Vette sapeva come muoversi. Non riusciva a capire perché il Chuck che aveva segui-to e ammirato avesse scelto di stabilirsi in quella parte della Virginia. Forse era stata quella donnina a convincer-lo ad acquistare quella terra per nascondervisi. Di sicuro da qualche anno si ibernava lì. Che tipo di donna era? Se voleva scrivere una accurata biografia dell'uomo, doveva conoscere sua moglie. Abi-gail era rimasta appiccicata a Rockwell per un anno inte-ro, seguendolo di gara in gara, poi era scomparsa. Forse il puzzo di carburante l'aveva nauseata. Non era più apparsa nei box per accogliere il marito vincitore, o sconfitto. E non era stata presente durante la sua ultima corsa. Quella che lo aveva ucciso. Era stata vista al funerale, tre giorni dopo, ma non aveva detto una parola. E non aveva versa-to una lacrima. Aveva sposato una miniera d'oro e aveva chiuso un oc-chio sulle sue infedeltà. La ricchezza, ecco che cosa ave-va inseguito. Adesso, da vedova, non aveva più bisogno di alzare un dito. Niente male per una ex cantante che si era esibita in locali di second'ordine. Per percorrere la strada dissestata e piena di radici con-trassegnata da una cassetta postale arrugginita con il no-me Rockwell dipinto su un lato, Dylan dovette rallentare. Era evidente che la signora non intendeva spendere dei soldi per mantenere in buono stato la sua proprietà. Dylan pulì di nuovo il vetro e, invece di maledire la pioggia, imprecò contro Abigail. Quella disgraziata doveva avere un armadio pieno di pellicce, ma se ne fregava di riparare la strada. L'apparizione della casa lo sorprese. Non era l'impo-nente villa coloniale che si era aspettato, bensì una villet-ta graziosa con un dondolo sotto il portico. Le imposte

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dipinte di blu creavano un piacevole contrasto con l'inte-laiatura bianca delle finestre. Una scala con una doppia ringhiera saliva al secondo piano. Benché le pareti aves-sero bisogno di una mano di pittura, la struttura era in buono stato. Un filo di fumo saliva dal comignolo e, ap-poggiata contro il portico, c'era una bicicletta con le ruo-tine di supporto. A completare la scena, da lontano giun-gevano i latrati di un cane. Aveva sognato spesso di trovare un posto come quello in cui vivere. Un posto lontano dalla folla e dai rumori, dove potesse concentrarsi per scrivere. Gli ricordava la casa in cui aveva abitato da bambino, dove il senso di si-curezza era andato di pari passo con un lavoro faticoso. Il radiatore della Vette raschiò il terreno e Dylan, rab-buiato, si fermò dietro un furgone e una station wagon e spense il motore. Stava per aprire lo sportello, quando u-na massa pelosa vi si avventò contro. Era un cane enorme che forse voleva dargli il benvenu-to ma che, data la sua mole, non aveva un aspetto rassicu-rante. Mentre lo paragonava a un ippopotamo, il bestione diede due zampate fangose contro il finestrino e abbaiò. «Sigmund!» Sia il cane che Dylan si voltarono verso una donna che era apparsa sulla porta di casa. Dunque era quella Abi-gail. Dylan aveva visto tante fotografie di lei, che la rico-nobbe all'istante. Ecco quel visetto fresco e ingenuo che aveva fatto alcune apparizioni sulle piste automobilisti-che. La splendida gran dama di Londra e di Chicago. La fredda, composta vedova sulla tomba del marito. Tuttavia era diversa da quello che si aspettava. I suoi capelli color del miele le ricadevano in ciocche scomposte sulle spalle e il suo corpo snello era infagotta-to in un paio di jeans e in un maglione che le arrivava ai fianchi. Ai piedi calzava degli stivali e il suo viso era pal-lido e delicato. Dylan non riuscì a vedere i suoi occhi, ma le labbra erano carnose e prive di rossetto. «Sigmund, buono!» Il cane emise un latrato sommesso e ubbidì.

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Dylan aprì la portiera e scese. «Signora Rockwell?» «Sì. Mi scuso per il cane. Non morde spesso.» «È una buona notizia» borbottò lui, aprendo il baule. Abby lo guardò tirare fuori due valigie e si sentì trema-re i nervi. Quell'uomo era uno sconosciuto e lei lo stava accogliendo in casa sua e nella sua vita. Forse doveva fer-marlo subito, prima che compisse un solo passo. Poi lui si voltò con le valigie in mano e la guardò. I ca-pelli grondanti di pioggia sembravano neri e gli si erano incollati al viso. Un viso non gentile, pensò lei, sfregan-dosi le mani sui jeans. La sua espressione era troppo con-sapevole, troppo esperta per essere gentile. Una donna doveva essere matta per accogliere un tipo simile nella sua vita. Poi si accorse che i suoi abiti erano inzuppati e le scarpe coperte di fango. «Sembra che abbia bisogno di un caffè bollente.» «Già» convenne lui, lanciando uno sguardo al cane. «La sua strada è un disastro.» «Lo so.» Abigail abbozzò un sorriso di scusa. «Questo inverno è stato tremendo.» Lui non si mosse. Fermo sotto la pioggia, restò a guar-darla. La stava valutando, pensò Abby, infilandosi le ma-ni in tasca. Ormai si era impegnata e non avrebbe ottenu-to quello che voleva se si fosse comportata da vigliacca. «Si accomodi» lo invitò. I suoi occhi, di un verde chiaro, sembravano spaventa-ti, pensò Dylan. Visti da vicino, i suoi lineamenti pareva-no ancora più delicati. Gli zigomi pronunciati e il mento leggermente appuntito davano al suo viso una linea trian-golare molto particolare. La sua carnagione era pallida, le ciglia scure. O era una maga con il trucco, oppure aveva un viso eburneo. Profumava di pioggia e di fumo di legna. Fermandosi sulla porta, Dylan si tolse le scarpe. «Penso che non le farebbe piacere che le imbrattassi il pavimento.» «Grazie.» Sempre più nervosa, Abby aspettò che oltre-passasse la porta. «Perché non lascia qui le sue cose e

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viene in cucina? È caldo e potrà asciugarsi» suggerì. «D'accordo.» Dylan restò sorpreso dall'interno della casa quanto lo era rimasto dall'esterno. Il pavimento era scolorito e rovinato in molti punti e su un tavolo, sotto la scala, c'era una tovaglia di carta a fiori che pareva scara-bocchiata da un bambino. Mentre camminavano, Abigail si chinò per raccogliere due pupazzetti di plastica. «È venuto in auto da New York?» «Sì.» «Non dev'essere stato un viaggio piacevole, in questa stagione.» «No.» Non voleva essere sgarbato, ma in quel momento gli interessava più la casa della conversazione. Sul lavandino non c'erano dei piatti e il pavimento era pulito in modo scrupoloso, ma la cucina non era in ordine. Dappertutto c'erano disegni, fogli scarabocchiati, appunti, note. Sul banco della colazione c'era un puzzle e per terra c'erano tre paia di scarpe da tennis. Tuttavia, nel caminetto scoppiettava un bel fuoco e l'a-ria era intrisa dell'aroma di caffè. Se quel bel tipo non intendeva aprire bocca, non sareb-bero andati molto avanti, pensò Abby, lanciandogli uno sguardo in tralice. No, il suo viso non era gentile, però era interessante. I capelli erano neri e gli occhi di un bel verde smeraldo. Occhi intensi che le sembrò di riconosce-re. Gli occhi di Chuck erano castani, ma il messaggio che avevano inviato al mondo era lo stesso. Otterrò ciò che voglio perché non m'importa un acci-dente di quello che dovrò fare per ottenerlo. Mio Dio, pensò Abby. Aveva appena accolto nella sua vita lo stesso tipo d'uomo. Ma adesso era più vecchia e molto più saggia. E questa volta non era innamorata. «Mi dia il cappotto» lo invitò, allungando le braccia. Era la prima volta da anni che stava tanto vicino a un uomo e il suo corpo reagì con una strana vibrazione. Abby la avvertì, la riconobbe e la bloccò. «Come gradi-

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sce il caffè?» domandò, appendendo il cappotto all'attac-capanni dietro la porta. «Scuro e senza zucchero.» Lei scelse una tazza grande per lui e una più piccola per sé. «Quante ore ha impiegato ad arrivare qui?» «Ho guidato tutta la notte.» «Tutta la notte? Dev'essere stanco morto» commentò. Ma non sembrava stanco, al contrario. Benché spettinato e con un dito di barba, aveva un aspetto piuttosto vispo. «Ho fatto appello alla mia forza di volontà» rispose Dylan, notando che le mani di lei erano sottili e prive di anelli. «Immagino sappia che cosa significa.» Abigail si sedette davanti a lui. Essendo mamma, sa-peva che cosa volesse dire perdere una notte di sonno e il giorno dopo costringersi a lavorare come al solito. «Cre-do di sì» convenne. Poi, visto che a lui non sembrava in-teressare una conversazione banale, intavolò l'argomento che stava a cuore a entrambi. «Ho letto i suoi libri, signor Crosby. Quello su Millicent Briscoll era brutale ma accu-rato.» «Accurato è la parola chiave.» Lei bevve il caffè, guardandolo. «Giusto. Immagino che la pietà per quella disgraziata sia giunta da altre fonti. L'ha conosciuta di persona, per caso?» «No.» Dylan strinse la tazza con entrambe le mani per scaldarsele. «Ma ho dovuto conoscerla dopo che si è sui-cidata, per poter scrivere la sua biografia.» «Era una grande attrice e una gran donna. Ma non ha avuto una vita facile. Io l'ho conosciuta un po' attraverso mia sorella.» «Chantel O'Hurley, un'altra grande attrice.» Abby sorrise. «Sì» riconobbe. «L'ha conosciuta, vero, mentre faceva delle ricerche su Millicent?» «Solo brevemente. A quanto pare, le gemelle O'Hurley hanno lasciato un'impronta... in un modo o nell'altro.» «Già» ammise lei con calma. «In un modo o nell'al-tro.» «Come ci si sente ad avere delle sorelle che fanno par-

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lare di sé su entrambe le coste?» le chiese curioso. «Sono molto orgogliosa di loro» rispose Abigail senza alcuna esitazione. «Non pensa di tornare sulle scene?» Se non avesse percepito una nota di scherno nella sua voce, Abby avrebbe riso. «No, ho delle cose più impor-tanti da fare. Ha mai visto Maddy a Broadway?» «Un paio di volte. Lei non le assomiglia. E nemmeno all'altra sorella.» «No» riconobbe Abby, abituata a quei paragoni. «Mio padre ha sempre rimpianto che non fossimo identiche. Secondo lui, avremmo fatto sensazione. Gradisce dell'al-tro caffè, signor Crosby?» «No, grazie. Si racconta che una sera Chuck entrò in un locale dove lei e i suoi familiari davate uno spettacolo e non degnò di uno sguardo nessuna delle sue sorelle. Vi-de solo lei.» «È questo che si dice?» Abby spostò la tazza da un lato e si alzò. «Già. La gente tende a essere romantica.» «Ma lei no» commentò Abby, mettendosi a trafficare davanti alla stufa. «Che cosa sta facendo?» «Comincio a preparare la cena. Spero che le piaccia il chili.» Dunque era lei che cucinava. O perlomeno cucinava quella sera, forse per fargli colpo. Dylan si appoggiò con-tro la spalliera della seggiola. «Non sto scrivendo un ro-manzo, signora Rockwell. Se l'editore non le ha spiegato le regole, lo farò io.» «Perché perdere tempo?» «Io non ne ho da sprecare. Regola numero uno: lo scrittore sono io. È per questo che vengo pagato e lei è pagata per collaborare.» Abby rosolò la carne e vi aggiunse delle spezie. «Gra-zie della delucidazione. Ci sono altre regole?» Era fredda come dicevano. E insensibile. «Solo questa. Il libro riguarda suo marito, e lei fa parte della sua vita.

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Cercherò di scoprire tutto quello che posso di lei, anche le cose più personali. Quando ha firmato il contratto, lei ha rinunciato alla sua privacy.» «Signor Crosby, io ho rinunciato alla mia privacy quando ho sposato Chuck» replicò Abby, versando un po' di vino nella pentola. «Sbaglio, o ha qualche riserva a scrivere questo libro?» «Non sul libro. Su lei.» Abby parve sorpresa, ma solo per un attimo. Non era la prima volta che l'accusavano di aver sposato Chuck per i soldi. «Capisco e apprezzo la sua franchezza. Comunque non è necessario che io le piaccia.» «Questo vale per entrambi. Ma le prometto una cosa: sarò sempre leale con lei. Intendo scrivere la biografia più corretta e più completa possibile di suo marito. Per riuscirci, sarò costretto a torchiarla.» Abby mise un coperchio sulla pentola. «Non mi altero facilmente, io. Mi è stato rimproverato spesso di essere troppo tollerante.» «Le assicuro che, prima che questo libro sia finito, si arrabbierà.» Abby si versò del caffè nella tazza e la mise su una piastra calda. «Sembra che non veda l'ora.» «Non amo le acque tranquille.» Questa volta lei si mise a ridere. «Le è mai capitato di incontrare Chuck?» «No.» «Vi sareste capiti molto bene. Lui aveva un solo obiet-tivo in mente. Vincere. Impostava ogni gara a modo suo, oppure non correva. Non era molto flessibile.» «E lei?» Benché quella domanda esulasse dal contesto della conversazione, Abby la prese seriamente. «Crescendo, u-no dei miei problemi maggiori è stato che facevo sempre quello che mi chiedevano. Adesso ho imparato.» Finì di bere il caffè. «Le mostro la sua camera, così potrà disfare le valigie prima di cena.» Lo condusse nell'ingresso e sollevò una valigia prima

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che lui potesse protestare. Sapeva che era pesante, ma, quando ebbe finito di raccogliere le sue cose, la vide sali-re la scala con agilità. Quella donna era più forte di quan-to sembrasse, pensò. Una ragione di più per dubitare del suo aspetto e delle sue parole. «In fondo al corridoio c'è un bagno e l'acqua calda è disponibile quasi sempre.» Abby aprì una porta e depose la valigia ai piedi del letto. «Le porterò una scrivania. Di sotto c'è un piccolo studio, però ho pensato che qui sa-rebbe stato meglio.» «Grazie. Qui va bene.» Più che bene. La stanza profumava di limone e di olio di noce ed era fresca e invitante. Amando gli oggetti anti-chi, lui riconobbe la testata Chippendale del letto e un servizio da barba dell'Ottocento. In una ciotola sul casset-tone c'erano dei fiori secchi. Le tende erano aperte e la-sciavano spaziare lo sguardo sulle colline ammantate di neve e sul fienile le cui pareti di legno erano diventate grigie. «È un bel posto.» «Grazie.» Abby si avvicinò alla finestra e guardò fuori. «Avrebbe dovuto vederlo quando l'ho comprato. Il tetto perdeva come un colabrodo. Le tubazioni erano rotte. Ma, appena l'ho visto, ho capito che era fatto per me.» «Lo ha scelto lei?» «Sì.» «Perché?» Abby sospirò. «Una persona ha bisogno di mettere radici.» Dylan tirò fuori il suo registratore e lo posò accanto al computer portatile. «Molto lontano dalle piste di gara.» «Io non ho mai corso.» Abby si voltò e diede un'oc-chiata ai vari apparecchi. «Ha tutto quello che le serve?» «Per ora. Mi permetta una domanda, prima di andare via. Perché adesso? Per quale motivo ha autorizzato la biografia di suo marito dopo tanto tempo?» Le ragioni erano due, entrambe importanti, ma lei pen-sò che lui non le avrebbe capite. «Diciamo che prima non

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ero pronta. Adesso, dalla morte di Chuck, sono trascorsi cinque anni.» E a quel punto doveva essere a corto di soldi. «Imma-gino che il contratto con l'editore sia stato vantaggioso» commentò lui e poi, non ricevendo risposta, si voltò. Ne-gli occhi chiari della donna non c'era traccia di rabbia. «Ceneremo alle sei. Qui mangiamo presto.» «Signora Rockwell, quando la insulto, mi aspetto che lei faccia altrettanto.» Abby sorrise e il sorriso rese il suo viso più dolce e vulnerabile. «Non sono brava a combattere, perciò prefe-risco evitare le battaglie.» All'esterno ci fu uno schianto, seguito da grida simili a quelle di indiani all'attacco di un treno, ma lei non ci fece caso. Il cane abbaiò, poi si udirono dei passi pesanti sotto il portico. «Nel bagno troverà degli asciugamani puliti.» «Grazie. Posso domandarle che cos'è stato?» «Quel fracasso?» Abby sorrise di nuovo, ma questa volta ogni traccia di vulnerabilità era scomparsa dal suo viso. Adesso aveva l'aspetto di una donna che sapeva quello che diceva e che faceva. «Sembrava un'invasione.» «È un'invasione» affermò lei, mentre la porta d'ingres-so si chiudeva sbattendo. «Mamma! Siamo arrivati!» «I miei figli sentono il bisogno di annunciarsi in questo modo. Dio solo sa perché. Se vuole scusarmi, devo cerca-re di mettere in salvo il tappeto del salotto.» E con questo, Abby scappò via, lasciandolo solo.

Sorelledi Emilie Richards

Separate da una differenza di età e da una non semplice storia familiare, Kendra e Jamie non sono mai state sorelle da fiaba. Dopo essere state lontane per anni, stanno finalmente comin-ciando a ritrovarsi. Per questo Jamie, madre nubile di due splen-dide bambine, decide di fare alla sorella un dono bellissimo: un figlio di cui Kendra sente tanto la mancanza, ma che non potrà mai avere. Si offre infatti di portare in grembo il bimbo concepito in provetta da sua sorella con il marito Isaac. Non c’è niente di meglio per affrontare i successivi nove mesi che ritirarsi tra i boschi vicino allo spettacolare fiume Shenandoah, dove Jamie potrà anche seguire da vicino il progetto per la casa dei sogni della sorella. E a rendere ancora più interessante il sog-giorno nella natura ci pensa l’affascinante Cash Rosslyn.

Passioni inaspettatedi Nora Roberts

Bellezza, ricchezza, celebrità: gli O’Hurley hanno la fierezza e il ta-lento dei loro antenati irlandesi. Ma qual è il segreto che si cela dietro tanto successo?

Abby e Madeline O’Hurley sono sorelle e condividono la stessa spontaneità nel campo dei sentimenti e della passione.Abby è l’unica persona in grado di aiutare lo scrittore Dylan Crosby a scrivere la biografia a cui sta lavorando. E si rivela una vera sorpresa per lui: riservata e tremendamente sexy. Madeline invece ha lottato duramente per arrivare a essere pro-tagonista di un musical a Broadway. Poi una sera, per caso, in-contra Reed Valentine. Un bacio, una cena e una notte d’amore. Le luci del giorno, però, riportano tutto in una prospettiva di-versa.

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