i ertifiati di idoneita’ onsimlii.it/assets/sezioni regionali/ligure/delnevo/delnevo... · in un...
TRANSCRIPT
Gli obblighi del datore di lavoro quando il lavoratore non è più idoneo alla mansione
Dr. Maurizio Del Nevo - Istituto Superiore
di Formazione alla Prevenzione - Milano
I CERTIFICATI DI IDONEITA’ CON PRESCRIZIONI E REALI OBBLIGHI
DEL DATORE DI LAVORO
Tema dell’intervento è
COSA CI FANNO AVVOCATI E GIUDICI CON I NOSTRI GIUDIZI
DI IDONEITA’ CON PRESCRIZIONI?
Conoscere il destino dei nostri certificati può aumentare la consapevolezza di ciò che si può legittimamente scrivere e ciò che non si può legittimamente scrivere
in un giudizio di idoneità
L’art. 2087 del codice civile
Art.2087 c.c.: “L’imprenditore è tenuto ad
adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure
che, secondo la particolarità del lavoro,
l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a
tutelare l’integrità fisica e la personalità morale
dei prestatori di lavoro”
IDONEITA’ AL LAVORO E ART.2087 c.c.
Cass. sez. lav. 21 gennaio 2002, n. 572: “L’art. 2087 c.c. impone, all'imprenditore, quale disposizione di chiusura di tutta la
disciplina antinfortunistica ed anche indipendentemente dalle specifiche misure previste dalla legge per le varie lavorazioni, di
adottare nell'esercizio della impresa tutte le cautele e gli accorgimenti che, secondo la particolarità del lavoro,
l'esperienza, la tecnica e le condizioni di salute dei dipendenti, si appalesino necessari ed idonei a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale degli stessi, adoperandosi, nei limiti delle varie esigenze e del bilanciamento degli opposti interessi, a
creare le situazioni più favorevoli per ottenere dai propri lavoratori il miglior rendimento secondo le proprie capacità in ragione di salute, di idoneità e di adattamento di ognuno alle
esigenze lavorative proprie dello specifico settore della impresa
2087 c.c. E LICENZIAMENTO
Ai fini della responsabilità ex art. 2087 c.c., il datore di lavoro, che abbia acquisito conoscenza della malattia del lavoratore, suscettibile, con valutazione prognostica, di probabile od anche solo possibile ingravescenza oltre i limiti della sua naturale evoluzione negativa, e perciò tendente all'inidoneità alla mansioni affidategli, in ragione delle modalità di espletamento delle stesse, è legittimato al licenziamento solo previo accertamento di fatto, insindacabile in sede di giudizio di legittimità, ove congruamente e logicamente motivato, della sopraggiunta incompatibilità del dipendente alle mansioni e quindi dell'impossibilità di mantenimento del posto di lavoro in relazione al pregiudizio, da valutarsi in termini di certezza o anche di rilevante probabilità di aggravamento delle sue condizioni di salute per effetto dell'attività lavorativa in concreto svolta (Cass. 13/12/00, n. 15688, pres. Ianniruberto, est. Mazzarella)
IL PRINCIPIO DI
SUSSIDIARIETA’
Misure alla fonte e di tutela collettiva
Dispositivi di protezione individuale
SORVEGLIANZA SANITARIA (gestisce il rischio “residuo”)
Il datore di lavoro deve adottare tutte le misure
necessarie (art.2087 c.c.) nel rispetto del principio di sussidiarietà
PRIMA CONSEGUENZA
Non si può rifiutare la visita medica Cass. sez. III pen. 6.4.93 n. 3160 Ric. P.M. in c. Faccini: “Risponde del reato di cui
all’art.33, comma 1, DPR 303/56 il datore di lavoro che non imponga ai dipendenti di sottoporsi alle visite mediche periodiche obbligatorie medianti sanzioni disciplinari
adeguate sino a giungere al licenziamento per giusta causa”; infatti “… tanto non è in contrasto con l’art.5 dello statuto dei lavoratori che vieta al datore di lavoro di
accertare l’idoneità o l’infermità del lavoratore dipendente, se non tramite l’intervento delle unità sanitarie locali; né con l’art.32 della Costituzione che
assoggetta i trattamenti sanitari obbligatori a riserva di legge, nel caso appunto il DPR n.303; senza trascurare, d’altro canto, che il sistema dei controlli periodici sul
personale a contatto con sostanze tossiche non è posto nel solo interesse del singolo, bensì in quello superiore della collettività, essendo noto il peso degli invalidi sulla
economia nazionale”.
Cass. sez. III pen. 20.6.91 n. 6828, Facchini: Qualora i lavoratori si rifiutino di sottoporsi a tali visite, il datore di lavoro deve provvedere ad indurli, ricorrendo, se
necessario, ad adeguate sanzioni disciplinari”
SECONDA CONSEGUENZA
Il medico competente deve essere scelto liberamente dal datore di lavoro.
Cass. sez. III pen. 20.6.91 n. 6828, Facchini: “Le visite mediche preventive e periodiche sui lavoratori esposti a rischio di cui all’art.33 DPR 303/56 non sono di competenza esclusiva delle strutture pubbliche”. “La norma di cui all’art.33 DPR 303/56, dettata
in materia di igiene del lavoro, non è in contrasto con l’art.5 dello Statuto dei lavoratori. Né possono essere condivise le conclusioni della sentenza di questa stessa Corte, sezione lavoro 21.4.86, secondo cui anche gli accertamenti sanitari obbligatori
previsti dall’art.33 DPR 303/56 sono di competenza esclusiva delle strutture pubbliche. Ciò infatti porterebbe ad escludere la diretta responsabilità del datore di
lavoro che non sarebbe più perseguibile né penalmente né civilmente sol che dimostri di avere tempestivamente provocato l’intervento della struttura pubblica, in palese
contrasto con la giurisprudenza e la dottrina che ha, invece, sempre ritenuto responsabile delle eventuali conseguenze dannose derivate al dipendente il datore di lavoro che abbia omesso di sottoporre il lavoratore ad adeguato controllo sanitario
proprio in considerazione che su di esso grava l’obbligo specifico di provvedere a riguardo”.
Cassazione penale, Sez. III - Sentenza n. 1728, 21 gennaio 2005 Ric. Fortebuono: «… il medico aziendale viene così a configurarsi come collaboratore necessario del datore di lavoro, dotato di professionalità qualificata, per coadiuvare il primo nell’esercizio della sorveglianza sanitaria nei luoghi di lavoro dove essa è obbligatoria », e che «la sorveglianza sanitaria, pur costituendo un obbligo del datore di lavoro per la tutela della integrità psicofisica dei lavoratori, deve essere svolta attraverso la collaborazione professionale del medico aziendale».
RAPPORTI TRA LA POSIZIONE DI GARANZIA DEL M.C. E LEGGE SULLA PRIVACY
L’art. 5 S.L. mira ad impedire
che gli imprenditori
possano ricorrere ad accertamenti
sanitari diretti, per mezzo di medici
di loro fiducia, per soddisfare interessi
estranei alla verifica
dell’idoneità fisica dei lavoratori
L’art.41 comma 2 D.Lgs
81/2008 obbliga il d.l. ad
accertare l’idoneità al lavoro a
mezzo di un medico privato di
propria insindacabile scelta
(Cass. 20.6.91, Facchini) in
conformità all’art.2087 c.c.
Il ruolo del medico competente rappresenta una specifica e limitata
deroga allo Statuto dei Lavoratori
Negli ASPP il lavoratore viene
obbligatoriamente (Cass. pen. 3160/93, Faccini)
visitato da un medico scelto non da lui
ma dal d.l. e verso cui
non può esprimere un “consenso”
(Art.23 D.Lgs 196/2003 Codice della Privacy)
QUALI SONO I LIMITI
DELL’OPERATO DEL
MEDICO COMPETENTE
E DELLA SUA POSIZIONE
DI GARANZIA?
I LIMITI DELL’OPERATO DEL MEDICO COMPETENTE
Qualunque atto del medico competente è legittimo solo se finalizzato
all’accertamento dell’ ed alla sicurezza del lavoratore
I SOGGETTI CERTIFICANTI LA IDONEITA’
MEDICO COMPETENTE COMMISSIONI EX ART.5 S.L.
COMMISSIONE ex
ART.41 comma 9 D.Lgs 81/08
CTU DEL GIUDICE MONOCRATICO
DEL LAVORO
I TIPI DI IDONEITA’
Idoneo alla mansione
Idoneo con prescrizioni
Non idoneo alla mansione
OBBLIGO DI COMUNICAZIONE
SCRITTA AL LAVORATORE
E AL DATORE DI LAVORO
COSA VUOL DIRE IDONEO?
Il significato fondamentale ed
esclusivo della idoneità è:
“il lavoratore può essere adibito alla
mansione specifica senza prevedibile
pericolo per la sua salute e
sicurezza”
COSA VUOL DIRE IDONEO CON PRESCRIZIONI?
Vuol dire che se non vengono rispettate le prescrizioni indicate nel giudizio di idoneità vi è
“prevedibile” pericolo per la salute del lavoratore.
Cass. Pen. sez. IV, 8.6.87 n.7130: “In materia di eventi colposi per violazione di regole
antinfortunistiche, allorchè siano contestate l’imprudenza, la negligenza e l’imperizia,
il criterio per l’individuazione della colpa è data dal ricorso al concetto di prevedibilità,
ossia il principio che, fuori dell’ipotesi di inosservanza di specifiche prescrizioni
normative, possono ascriversi a colpa, solo quegli eventi che, in relazione alle
particolari circostanze del caso concreto, siano prevedibili dal soggetto al momento
della realizzazione della sua condotta. Ne consegue che non può pretendersi l’adozione
di accorgimenti per fronteggiare evenienze infortunistiche assolutamente impensabili
ed eccezionali in base alla comune esperienza”
PERENTORIETA’ DELLE PRESCRIZIONI
Il “significato” fondamentale dei giudizi di idoneità espressi del medico competente è pertanto quello di “prescrizioni di pericolo”: “è soggetto a responsabilità risarcitoria per violazione dell'art. 2087 c.c. il datore di lavoro che, consapevole dello stato di infermità del lavoratore, continui ad adibirlo a mansioni suscettibili di metterne in serio pericolo la salute. In tale ipotesi deve ritenersi che, in ossequio al principio di buona fede di cui all'art. 1375 c.c., il datore di lavoro - sempre che gli sia reso possibile dall'assetto organizzativo dell'impresa - debba adibire il lavoratore ad altre diverse mansioni compatibili con la sua residua capacità lavorativa …restando in ogni caso vietata la permanenza del lavoratore in mansioni pregiudizievoli al suo stato di salute” (Cass. Civ.
sez. lavoro n.5961 del 03/07/1997).
Ovviamente osservare le prescrizioni del medico
competente è obbligatorio anche per il lavoratore
UN CONSIGLIO …
Non accontentarsi di ottenere (per lo meno nei casi in cui vi è conflittualità) dal medico competente giudizi di idoneità con
prescrizioni vaghe, ma pretendere certificati di idoneità precisi e dettagliati, riferiti specificamente alle mansioni
preventivamente individuate dalla azienda come compatibili con il buon andamento aziendale. Diversamente, i certificati
del medico competente potrebbero addirittura diventare capi d’accusa!
Se si vogliono, però, risposte precise è necessario fare al m.c. domande precise!!!
Nessuno può essere adibito ad una mansione se vi è
“prevedibile” pericolo per la sua salute. Spetta al medico
competente individuare analiticamente tutte quelle
precauzioni che sono necessarie per eliminare (o ridurre al
minimo tecnicamente fattibile) tale pericolo in quella
mansione. E’ quindi diritto/dovere del datore di lavoro
chiedere al medico competente: “Posso adibire questo
lavoratore a questa mansione senza prevedibile pericolo
per la sua salute? Sono necessari accorgimenti o
precauzioni particolari?”
LA DIFFERENZA TRA CAPACITA’ ED IDONEITA’
Però, quando noi medici scriviamo «idoneo a condizione che …» inevitabilmente limitiamo la prestazione lavorativa del lavoratore perché in pratica, indirettamente, ne riduciamo la «capacità».
Questo diventa rilevante ai fini del contratto di lavoro che, non va mai scordato, rappresenta un «contratto a prestazioni corrispettive», riconducibile ai principi generali dell’art.1464 c.c.
Articolo 42 - Provvedimenti in caso di inidoneità alla mansione specifica 1. Il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, in relazione ai giudizi di cui all’articolo 41, comma 6, attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza.
LA DIFFERENZA TRA CAPACITA’ ED IDONEITA’
•IDONEITA’ ALLA MANSIONE: riguarda l’escludere la sussistenza di vulnerabilità peculiari del lavoratore verso i rischi specifici della mansione (riguarda pertanto solo salute e sicurezza del lavoratore). Oggi riguarda anche la sicurezza del lavoratore e dei terzi.
•CAPACITA’: Riguarda la attitudine e la abilità fisica del lavoratore a “riuscire” a svolgere un certo compito.
I LIMITI DEI CERTIFICATI DI IDONEITA’
L’ambito di azione del medico competente deve rimanere assolutamente limitato alla
sfera della idoneità.
Certificati contenenti elementi riguardanti la capacità sono addirittura illegittimi
(rischio di utilizzo per selezioni) …
L’art.23 della Costituzione e il concetto di “copertura legale”
Art.23 Cost.: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”
Cassazione civile n.10339/2000: “la tutela di singoli lavoratori, anche con riguardo ad interessi costituzionalmente rilevanti
(diritto al lavoro, salute), non può spingersi fino a determinare scelte organizzative preordinate al perseguimento di finalità assistenziali, eventualmente incidenti sulla posizione di altri dipendenti ed imposte all’impresa senza il supporto di una disposizione di legge ai sensi dell’art.23 Costituzione (come
avviene, invece, con la tutela apprestata dalla legge
n.482/68)”.
LE DIFFERENTI FONTI GIURIDICHE DI CAPACITA’ ED IDONEITA’
• Idoneità: trova la propria precisa tutela giuridica nell’art.2087 c.c. e nelle leggi speciali della sicurezza sul lavoro (D.Lgs 81/2008 e leggi satelliti)
• Capacità: trova una copertura legislativa specifica solo nel concetto di “collocamento mirato” previsto dalla legge 68/99
LA NATURA DEL CONTRATTO DI LAVORO
Un contratto di lavoro rappresenta sempre fondamentalmente, pur con ampie peculiarità e deroghe, un classico esempio di “rapporto a prestazioni corrispettive”:
“il contratto di lavoro impone alle parti prestazioni corrispettive, sicché all'obbligo del datore di lavoro di remunerare il lavoratore corrisponde l'obbligo di quest'ultimo di mettere a disposizione dell'imprenditore in maniera effettiva e proficua le sue energie lavorative” (Cass. civ., 05.05.1983, n.3089)
“il contratto di lavoro dà luogo ad un rapporto sinallagmatico la cui prestazione di ciascuna delle parti trova la sua causa nella prestazione dell'altra” (Cass. civ. 21.1.88, n.474)
“il contratto di lavoro dà luogo ad un rapporto sinallagmatico in cui la prestazione di ciascuna delle parti trova la sua causa nella prestazione dell'altra e sono quindi applicabili i principi dettati in via generale per ogni tipo di contratto dagli art. 1256 e 1463 c. c.” (Cass. civ., 26/06/1991, n.7196)
Cass. Sez. unite 7755/98
Nulla impedisce di ricondurre l'ipotesi della sopravvenuta e parziale incapacità fisica di svolgere l'attività lavorativa alle previsioni generali di impossibilità sopravvenuta della prestazione nel contratto sinallagmatico, contenute negli artt. 1463 e 1464 c.c. Infatti, quanto al contratto di lavoro subordinato, nel vigente sistema legislativo la clausola generale dell'art. 3 della legge n. 604 del 1966 costituisce specificazione, e non deroga, di quelle norme codicistiche.
LA RISOLUZIONE DEI CONTRATTI A PRESTAZIONI CORRISPETTIVE
Anche nel caso del contratto di lavoro, pertanto, in tema di risoluzione unilaterale, centrali rimangono gli articoli che normano i contratti in generale:
Art. 1463 c.c. (Impossibilità sopravvenuta totale), “nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito”
Art. 1464 c.c. (impossibilità sopravvenuta parziale), “quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale”.
IL CONCETTO DI INADEMPIMENTO PARZIALE
E’ un bolide!
Fa i 200 all’ora
195 km/h
55 km/h
Art.1455 c.c. (importanza dell’inadempimento): “Il contratto non si
può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa
importanza, avuto riguardo dell’interesse dell’altra”
I LICENZIAMENTI INDIVIDUALI 1. Licenziamento per giustificato motivo soggettivo: è determinato da un notevole venir meno all’adempimento degli obblighi
contrattuali del prestatore di lavoro ed è, quindi, sempre riconducibile ad un “comportamento” del lavoratore. A differenza della “giusta causa”, fa riferimento solo agli obblighi contrattuali e quindi a cause sostanzialmente di minor gravità: inoltre nel caso di giustificato motivo soggettivo, il rapporto di lavoro può essere temporaneamente continuato, per cui in questo caso vi è obbligo di
preavviso.
• 2. Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: può essere determinato (art.3 legge 604/66) da “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. Prescinde dal comportamento del lavoratore e fa riferimento ad esigenze oggettive dell’impresa (es. posto superfluo). Anche in questo caso vi è obbligo di preavviso.
• 3. Licenziamento per giusta causa (art.2119 c.c.): si ha in quelle situazioni in cui la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro risulta impossibile; di conseguenza, in questo tipo di licenziamento, non vi è obbligo di preavviso. Il fatto commesso fa venire meno la fiducia del datore di lavoro nei confronti del dipendente, senza che necessariamente il proseguimento del lavoro provochi un danno al datore di lavoro (Cass. 29.6.81, n.4229) ma deve essere, comunque, basato su fatti oggettivi (Cass. 3.7.84, n.3892). I motivi possono essere anche estranei al rapporto di lavoro solo qualora incidano sulla capacità professionale del prestatore di lavoro .
INIDONEITA’, GIUSTA CAUSA E GIUSITIFICATO MOTIVO OGGETTIVO
«In tema di sopravvenuta inidoneità del lavoratore allo svolgimento delle mansioni assegnate, il licenziamento disposto dal datore di lavoro va ricondotto, ove il lavoratore possa essere astrattamente impiegato in mansioni diverse, al giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 l. n. 604 del 1966, con diritto al termine e all’indennità di preavviso, diversamente dall’ipotesi in cui la prestazione sia divenuta totalmente e definitivamente impossibile, senza possibilità di svolgere mansioni alternative, nel qual caso va ravvisata una causa di risoluzione del rapporto che non ne consente la prosecuzione, neppure provvisoria ai sensi dell’art. 2119 c.c., ed esclusa l’applicabilità dell’istituto del preavviso; …»(Cass. 29/3/2010 n. 7531, Pres. Roselli Est. Picone)
L’ORIENTAMENTO MAGGIORITARIO FINO AL 1998
La Corte di Cassazione fino al 1998 ha maggioritariamente affermato che “la sopravvenuta impossibiltà fisica o psichica del lavoratore di svolgere le mansioni per le quali è stato assunto o alle quali è stato in concreto destinato secondo le esigenze dell’impresa, non comporta il diritto di ottenere l'assegnazione a nuove o diverse mansioni compatibili con lo stato di minorata capacità, salvo il caso di espressa e specifica previsione legislativa o contrattuale, e può, anzi, giustificare il recesso del datore di lavoro per giustificato motivo, senza che questi abbia l'onere di provare che nell'azienda vi siano altri posti con mansioni confacenti alle condizioni del lavoratore, tenuto presente che la valutazione circa la sussistenza di un interesse apprezzabile all'adempimento parziale, prevista dall'art. 1464 c.c. in relazione all'ipotesi di prestazione diventata parzialmente impossibile, attiene all'ambito della discrezionalità del destinatario della prestazione”. (Cass. civ., Sez. lav., 06/11/1996, n.9684, Soc. K.S.B. Italia C. Rizzo e altri).
LA GIURISPRUDENZA MAGGIORITARIA FINO AL 1998
1. Un contratto di lavoro è un contratto a prestazioni corrispettive
2. Nel momento in cui il lavoratore, per motivi di salute, non riesce più a garantire la qualità o la quantità della propria prestazione pattuita alla assunzione, il datore di lavoro può recedere dal contratto, anche senza obbligo di provare ad impiegare il lavoratore in un’altra mansione.
La “rescissione” del contratto è possibile se:
1. l’impossibilità lavorativa è totale (art.1463 c.c.)
2. l’impossibilità lavorativa è parziale ma di entità tale da far venire meno un interesse apprezzabile all’adempimento contrattuale (art.1464 c.c.), se la collocazione del lavoratore infermo non risulta conciliabile con l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento dell’azienda (art.3 della L.604/66)
3. l’impossibilità lavorativa si prolunga nel tempo fino a fare venire meno l’interesse del creditore all’adempimento (superamento del cosiddetto “periodo di comporto” ex art.2110 c.c.)
LA SENT. 7755/98 DELLE SEZ.UNITE
Il contratto di lavoro deve essere interpretato anche alla luce dei principi costituzionali di promozione della tutela effettiva e del riconoscimento del diritto al lavoro (art.4 Cost.) e al diritto ad una esistenza libera e dignitosa per sé e la famiglia (art.36 Cost.).
Il contratto di lavoro rappresenta “prima che una fonte di rapporti obbligatori, un “programma di comportamento tra le parti”: da ciò l’obbligo del datore di lavoro di cercare di utilizzare appieno le residue capacità lavorative del lavoratore senza poter ricondurre l’oggetto del contratto alle sole prestazioni pattuite al momento dell’assunzione.
Il “residuo interesse alla prestazione” del lavoratore non può essere valutato solo “soggettivamente” da parte del datore di lavoro (art.1455 c.c.), ma deve essere ricondotto, secondo i principi di buona fede, ad una “oggettiva” valutazione di apprezzabilità alla residua prestazione lavorativa. Il datore può recedere dal contratto fornendo una ragionevole prova di come non sia non più in alcun modo apprezzabile la “ridotta” prestazione d’opera del lavoratore spettando poi al lavoratore l'eventuale onere di contrastare detta prova, mediante l'individuazione a sua volta delle mansioni esercitabili; spetta al giudice di merito interpretare il contratto e accertare la reale sussistenza di un “oggettivo” residuo interesse alla prestazione.
E’ ammessa la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni anche inferiori se il lavoratore è consenziente (“patto di dequalificazione”), anche in deroga all’art.2103 c.c..
L’obbligo di ricercare una mansione per il lavoratore divenuto invalido sussiste solo “se l’imprenditore non ritenga di potere assegnare il lavoratore alle stesse o equivalenti mansioni secondo il modo più conveniente per l’organizzazione dell’impresa” e se ciò non comporta turbamenti finanziari all’azienda e il trasferimento di altri colleghi. Il datore di lavoro non ha l’obbligo di “creare” un posto di lavoro ad hoc per il lavoratore invalido se tale posto di lavoro non è funzionale all’organizzazione aziendale o se addirittura ciò si preordina fini assistenziali o quasi.
• Cass. Sez. unite 7755/98: «Sarà perciò il giudice di
merito che, avuto riguardo alle residue capacità di
lavoro del prestatore ed all'organizzazione dell'azienda
come definita insindacabilmente dall'imprenditore,
valuterà la persistenza dell'interesse di questo alla
prestazione lavorativa, secondo buona fede oggettiva.
È da avvertire tuttavia che alla presente questione,
relativa al licenziamento, rimane estraneo l'art. 2087
c.c. (contra Cass. 14 giugno 1984, n. 3559), che
impone all'imprenditore obblighi di tutela dell'integrità
fisica e della personalità morale del prestatore una
volta che a questo siano state assegnate le mansioni».
IL PUNTO CRUCIALE: L’INTERPRETAZIONE SECONDO BUONA FEDE OGGETTIVA DEL CONTRATTO
Compito del giudice accertare la “buona fede oggettiva” da parte del datore di lavoro nella applicazione del contratto (non può sindacare le scelte organizzative aziendali, specie se queste sono mirate alla salvaguardia degli equilibri finanziari aziendali) e quindi se il d.l. ha oggettivamente fatto del suo meglio nel “cercare” l’eventuale esistenza un’altra postazione dove collocare il lavoratore invalido.
Si potrebbe dire che c’è un «obbligo di cercare» ma non un «obbligo di trovare»
L’ONERE PROBATORIO
La sopravvenuta inidoneità fisica del dipendente allo svolgimento delle mansioni alle quali è addetto non integra una causa di risoluzione per sopravvenuta impossibilità della prestazione ai sensi degli artt. 1463 e 1464 c.c., se non nei limiti della configurabilità del giustificato motivo ex art. 3, L. 15/7/66 n. 604, e quindi a fronte dell’onere gravante sul datore di lavoro di allegare e dimostrare l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altra attività riconducibile alle mansioni già svolte o ad altre equivalenti o, se ciò è impossibile, ad altre inferiori, compatibilmente con l’assetto organizzativo dell’impresa (Cass. 7/8/98 n. 7755, pres. La Torre , est. Roselli, in D&L 1998, 1029) . «---in caso di licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica del dipendente allo svolgimento delle mansioni lavorative, il datore di lavoro è tenuto a dimostrare l’impossibilità di assegnare al lavoratore mansioni anche non equivalenti, a condizione che il lavoratore abbia, anche senza forme rituali, manifestato la propria disponibilità ad accettarle" (Cass. 6/3/2007 n. 5112, Pres. Mattone Est. Monaci)
L’ART. 41 DELLA COSTITUZIONE “Il nucleo essenziale della libertà di iniziativa economica
dell’imprenditore, garantita dall’art.41 della Costituzione, sta nell’autodeterminazione circa il
dimensionamento e la scelta del personale da impiegare nell’azienda ed il conseguente profilo
dell’organizzazione interna della stessa soprattutto al fine di preservare gli equilibri finanziari”
per cui “il licenziamento potrà essere evitato mediante la dequalificazione solo se
l'imprenditore non ritenga di poter assegnare il lavoratore alle stesse o equivalenti mansioni
secondo il modo più conveniente per l'organizzazione dell'impresa (così già Cass. 15 marzo
1995, n. 2990)”. L’assegnazione ad altra mansione “ può essere rifiutata legittimamente
dall'imprenditore se comporti aggravi organizzativi e in particolare il trasferimento di singoli
colleghi dell'invalido” in quanto misure del genere messe in atto“al fine di tutelare singoli
lavoratori, del resto, potrebbe pregiudicare il diritto al lavoro degli altri e potrebbe altresì
tradursi in prestazioni assistenziali imposte, vietate dall'art. 23 se non previste dalla legge”.
Per cui anche al giudice di merito (Cass. civ., Sez. lav., 08/03/1990, n.1875) “in caso di
licenziamento per ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro ed al
regolare funzionamento di essa… sfugge …la scelta di natura economica ed organizzativa nei
profili di congruità ed opportunità, in ossequio al principio della libertà di iniziativa
dell’imprenditore” mentre “è invece onere dello stesso dimostrare tanto l'effettività delle
ragioni poste a fondamento del licenziamento che l'impossibilità dell'impiego del dipendente
licenziato all'interno dell'organizzazione aziendale, in mansioni anche diverse, purché
equivalenti a quelle in precedenza svolte”
IL SIGNIFICATO DELL’ART.41 COST.
Cass. Civ. sez. lavoro n.21121/04: “Giova premettere che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti
all’attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l’ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell’impresa, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il Giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, atteso che
tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art.41 Cost., mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore; ne
consegue che non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o
del posto cui era addetto il dipendente licenziato, sempre che risulti l’effettività e non pretestuosità del riassetto organizzativo operato (Cass. 23 ottobre 2001 n.13201).
Le ragioni, inerenti l’attività produttiva, possono, dunque, derivare, oltre che da esigenze di mercato, anche da riorganizzazioni o ristrutturazioni, quali ne siano le finalità e quindi
comprese quelle dirette al risparmio dei costi o all’incremento dei profitti. Queste ragioni devono essere, nella loro oggettività tali da determinare il venire meno della posizione
lavorativa e ciò si verifica quando la prestazione divenga inutilizzabile a causa della diversa organizzazione che viene attuata e non in forza di un atto arbitrario del datore di lavoro (Cass.
9.7.2001 n.9310).
…
Tale indirizzo interpretativo si fonda sul disposto dell’art.3 L.604/66 da cui si ricava che è oggettivamente giustificato il licenziamento del dipendente che sia stato
attuato allo scopo di sopprimere una posizione lavorativa ancorché per ridurre i costi e, ancorché le mansioni già assegnate al dipendente licenziato vengano affidate
ovvero distribuite fra altri soggetti (siano essi lavoratori dipendenti o non della stessa impresa), dato che, in tal caso, il recesso è strettamente collegato “all’attività
produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa”, elementi questi, in relazione ai quali non può essere sindacata la scelta operata dal datore di lavoro, essendo la stessa espressione della libertà di iniziativa economica
garantita dall’art.41 Cost. della Costituzione (cfr. anche Cass.14 dicembre 1998 n.12554). Opinare diversamente significherebbe opinare il principio , contrastante
con quello sancito dal richiamato art.41, per il quale l’organizzazione aziendale, una volta delineata, costituisca un dato non modificabile se non in presenza di un andamento negativo e non, anche ai fini di una più proficua configurazione
dell’apparato produttivo del quale il datore di lavoro ha il “naturale” interesse ad ottimizzare l’efficienza e la competitività”.
LIMITI DELL’ART.41 COST
L'esercizio dell'iniziativa economica privata, garantita dall'art. 41 Cost., non è sindacabile nei suoi aspetti tecnici dall'autorità giurisdizionale, ma deve svolgersi nel rispetto dei diritti al lavoro (artt. 4, 35, 36 Cost.) e alla salute (art. 32 Cost., 2087 c.c.), con la conseguenza che non viola l'art. 41 cit. il giudice che dichiara illegittimo il licenziamento intimato per sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni assegnate, senza che il datore di lavoro abbia accertato se il lavoratore potesse essere addetto a mansioni diverse e di pari livello, evitando trasferimenti di altri lavoratori o alterazioni dell'organigramma aziendale. (Cass. 13/10/2009 n. 21710, Pres. ed est. Roselli,)
CERTIFICATI DA PONDERARE BENE
• Non idoneo ai turni notturni o in generale idoneo solo ad un turno
Criticità: La scelta degli orari lavorativi è uno dei punti cruciali della organizzazione lavorativa. Se un lavoratore non è idoneo ad un turno di fatto si interrompe la turnazione degli altri lavoratori (se non può più fare le notti bisogna qualcuno trovare qualcuno che faccia anche le notti del lavoratore invalido)
• Orari particolari, part-time Come sopra
• Necessità di pause La prescrizione di «pause di non lavoro» di fatto lede la corrispettività della prestazioni, pilastro centrale di ogni contratto lavorativo
• Lavorare solo seduto Accertarsi che il lavoro sia eseguibile anche da seduto
TURNI NOTTURNI E ART.41 COST. Nel caso di lavoratori ordinari, cioè non collocati ex L.68/99, sono rintracciabili
fondamentalmente solo due riferimenti legislativi:
•Art.8 del D.Lgs 277/91: “Nel caso in cui il lavoratore per motivi sanitari inerenti la sua
persona, connessi all'esposizione ad un agente chimico o fisico o biologico, sia allontanato
temporaneamente da un'attività comportante esposizione ad un agente, in conformità al
parere del medico competente, è assegnato, in quanto possibile, ad un altro posto di lavoro
nell'ambito della stessa azienda”.
•Art. 6 del D.Lgs 532/99: “1. Nel caso in cui sopraggiungano condizioni di salute che
comportano l’inidoneità alla prestazione di lavoro notturno, accertata tramite il medico
competente, è garantita al lavoratore l'assegnazione ad altre mansioni o altri ruoli diurni. 2.
La contrattazione collettiva definisce le modalità di applicazione delle disposizioni di cui al
comma 1 e individua le soluzioni nel caso in cui l'assegnazione prevista dal citato comma
non risulti applicabile”.
•Art.15 D.Lgs 8 aprile 2003 n. 66: “1. Qualora sopraggiungano condizioni di salute che
comportino l'inidoneità alla prestazione di lavoro notturno, accertata dal medico competente
o dalle strutture sanitarie pubbliche, il lavoratore verrà assegnato al lavoro diurno, in altre
mansioni equivalenti, se esistenti e disponibili. 2. La contrattazione collettiva definisce le
modalità di applicazione delle disposizioni di cui al comma precedente e individua le
soluzioni nel caso in cui l'assegnazione prevista dal comma citato non risulti applicabile”.
Art.11 del D.Lgs 66/2003: “2. I contratti collettivi stabiliscono i requisiti dei lavoratori che possono essere esclusi dall’obbligo di effettuare lavoro notturno. È in ogni caso vietato adibire le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Non sono inoltre obbligati a prestare lavoro notturno: a) la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa; b) la lavoratrice o il lavoratore che sia l’unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a 12 anni; c) la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni.
[
IL DEMANSIONAMENTO CONSENSUALE
Il datore di lavoro è tenuto a giustificare oggettivamente il recesso anche con l’impossibilità di assegnare mansioni non equivalenti nel solo caso in cui il lavoratore abbia, sia pure senza forme rituali, manifestato la sua disponibilità ad accettarle. (Cass. 19/8/2009 n. 18387, Pres. Ianniruberto Est. Picone) In caso di licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica del dipendente allo svolgimento delle mansioni lavorative, il datore di lavoro è tenuto a dimostrare l'impossibilità di assegnare al lavoratore mansioni anche non equivalenti, a condizione che il lavoratore abbia, anche senza forme rituali, manifestato la propria disponibilità ad accettarle. (Cass. 6/3/2007 n. 5112, Pres. Mattone Est. Monaci)
RIEPILOGO
• Il contratto di lavoro è sempre un contratto a prestazioni corrispettive
• Il contratto può essere legittimamente e unilateralmente rescisso se la
prestazione della controparte non è in «buona fede» più apprezzabile
• Per dimostrare tale buona fede nell’interpretazione del contratto il datore di
lavoro deve «cercare» di utilizzare le residue capacità lavorative anche in
mansioni diverse.
• L’art.41 Cost. riserva all’imprenditore le scelte organizzative aziendali (non
sindacabili neppure dal giudice) per cui tale ricerca deve essere sempre
compatibile con il buon funzionamento aziendale
• Il giudice non può sindacare le scelte organizzative ma ha il potere di valutare
la buona fede oggettiva nell’interpretazione del contratto
• La ridotta capacità di lavoro del lavoratore ordinario non presenta una
copertura legale (art.23 Cost.) specifica (restano estranei ad essa art.2087 c.c.
e D.Lgs 81/08) ma è riconducibile ai soli precetti degli art.1463 e 1464 c.c..
Articolo 42 - Provvedimenti in caso di inidoneità alla mansione specifica 1. Il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, in relazione aigiudizi di cui all’articolo 41, comma 6, attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza.
• E’ necessario attendere i 30 giorni che il lavoratore ha per fare ricorso all’ASL contro il giudizio del medico competente
• E’ necessario attendere l’esito del ricorso (spesso anche mesi) o dell’art.5 S.L.
• Qualunque giudizio di idoneità è impugnabile davanti al giudice
• Medico competente, ispettori ASL e art.5 S.L. non sono competenti a valutare la residua apprezzabilità della prestazione lavorativa ridotta e sulla buona fede oggettiva nell’interpretazione del contratto: solo il giudice togato lo è
E’ comunque possibile saltare tutti questi passaggi e rivolgersi direttamente al giudice (artt.409 c.p.c. e seguenti) Art. 25 Cost. «Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso».
Cass. civ., Sez. lav., 07/04/1987, n.3391: “Nell’ipotesi di contestazione da parte del lavoratore o del datore di lavoro delle risultanze degli accertamenti sanitari, eseguiti ai sensi dell’art. 5, 3° comma, statuto dei lavoratori da un istituto di diritto pubblico allo scopo di valutare l’idoneità fisica del lavoratore, il giudice del merito ha il potere-dovere di controllare l’attendibilità di detti accertamenti, avvalendosi anche dei poteri istruttori conferitigli dalla legge, in quanto deve escludersi che tale norma la quale ha inteso garantire la imparzialità della valutazione tecnica, affidandola ad organi pubblici, abbia attribuito a dette indagini una particolare, insindacabile efficacia probatoria”. (Sette C. Giove assicuraz.)
ERRATA INIDONEITA’ IN BUONA FEDE
Cassazione Civile sez. Lavoro 15-07-2002, n. 10260: «La dichiarazione di invalidità del licenziamento a norma dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 non comporta
automaticamente la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno nella misura stabilita dal quarto comma, con esclusione di ogni rilevanza dei profili del
dolo o della colpa nel comportamento del recedente, e cioè per una forma di responsabilità oggettiva … Ne consegue l'applicabilità dell'art. 1218 cod. civ.,
secondo cui il debitore non è tenuto al risarcimento del danno nel caso in cui fornisca la prova che l'inadempimento consegue ad impossibilità della prestazione a lui non imputabile. (Nella specie il dipendente era stato licenziato per inidoneità fisica allo svolgimento dell'attività lavorativa e il giudice, con decisione confermata dalla S.C.,
rilevata, in base agli accertamenti espletati, la non sussistenza di tale incapacità, pur dichiarando l'illegittimità del licenziamento, aveva limitato, rispetto al giudizio di primo grado, la condanna al risarcimento nella misura minima corrispondente a cinque mensilità della retribuzione danno osservando che il datore di lavoro era
stato determinato al licenziamento da certificazione medica proveniente da strutture
sanitarie pubbliche) ».
Cass. Civ. n.10339 del 5.8.2000 Tedesco c. Alitalia 1/3
Un facchino che era stato giudicato inidoneo alle mansioni di operatore unico aeroportuale in quanto idoneo a svolgere solo compiti che non
comportassero sforzi fisici eccessivi, e che, per questo, data la impossibilità di espletare il compito principale delle proprie mansioni, era stato licenziato per
«giustificato motivo oggettivo». Nel ricorso per Cassazione il lavoratore contestava alla ditta la mancata applicazione dell’art.2087 c.c. a causa del
“rifiuto di adottare assetti organizzativi che consentissero l’agevole sostituzione con altri dipendenti nell’espletamento dei compiti più usuranti” e nella mancata adozione di “misure tecniche diverse in relazione al carico
dei bagagli e della zavorra, secondo il precetto di cui all’art. 48 D.Lgs. 626/1994”. Il lavoratore, in altre parole, invocava l’art.2087 c.c. e il D.Lgs
626/94 quali fonti giuridiche che, a suo giudizio, avrebbero dovuto obbligare la ditta ad adottare misure organizzative e tecniche per mettere il lavoratore
menomato fisicamente comunque nelle condizioni di lavorare in qualche modo.
La problematica medico-legale è duplice:
•Il lavoratore non è più «idoneo» a sollevare pesi, in quanto la movimentazione manuale dei carichi potrebbe comportare prevedibili rischi per la sua salute.
•L’esigenza di tutelare la salute del lavoratore, vietando l’impiego in mansioni comportanti la movimentazione manuale dei bagagli, determina inevitabilmente una significativa riduzione della performance lavorativa («capacità ») dell’operatore, tra l’altro, proprio nella componente principale del proprio profilo di appartenenza.
Cass. Civ. n.10339 del 5.8.2000
Tedesco c. Alitalia 2/3
Cass. civ. sez. lavoro n.10339 del 5.8.2000 Tedesco c. Alitalia 3/3
“Alla questione relativa al licenziamento motivato da inidoneità fisica sopravvenuta alle mansioni resta estraneo il contenuto precettivo dell’art.2087 del c.c. … Se ne deve trarre una prima conclusione: quand’anche il ricorso ai mezzi offerti dalle avanzate tecnologie fosse stato in grado di eliminare gravosi sforzi fisici nell’esecuzione di determinati lavori, non è configurabile un obbligo dell’imprenditore di adottarli per porsi in condizione per cooperare all’accettazione della prestazione lavorativa di soggetti affetti da infermità, che vada oltre il dovere di garantire la sicurezza imposto dalla legge (D.Lgs 626/94) (nella fattispecie è stato anche ritenuto che il lavoratore certificato inidoneo alla mansione di operatore unico aeroportuale - caratterizzata intrinsecamente dall'attività di carico e scarico bagagli e zavorra - non può pretendere di permanere nella stessa mansione venendo esonerato dal compito principale e gravoso del carico e scarico, eliminabile eventualmente non già con mezzi e strumenti in dotazione dell'azienda ma con l'acquisto di mezzi ad hoc offerti dalle nuove tecnologie, non essendo configurabile un obbligo dell'imprenditore di adottarli per porsi in condizione di cooperare all'accettazione della prestazione lavorativa di soggetti affetti da infermità, che vada oltre il dovere di garantire la sicurezza imposta dal decreto legislativo n. 626/94)”.
CONFORME
In caso di sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore alle mansioni, quand’anche il ricorso ai mezzi offerti dalle avanzate tecnologie sia in grado di eliminare i gravosi sforzi fisici nell’esecuzione di determinati lavori, non è configurabile un obbligo dell’imprenditore di adottarli per porsi in condizione di cooperare all’accettazione della prestazione lavorativa, che vada oltre il dovere di garantire la sicurezza imposto dalla legge. (Cass. 19/8/2009 n. 18387, Pres. Ianniruberto Est. Picone)
Art.2087 c.c. e D.Lgs 81/2008 sono leggi che
riguardano esclusivamente l’obbligo del datore di
lavoro di garantire la sicurezza e non possono
essere legittimamente utilizzate per imporre al
datore di lavoro di sopperire alla riduzione di
capacità lavorativa del lavoratore menomato.
Lavoratore con mal di schiena addetto a MMC
Capacità ridotta Idoneità con prescrizioni
Non obbligo di cooperare
alla riduzione di capacità
“non è configurabile un obbligo dell’imprenditore
di adottarli per porsi in condizione per cooperare
all’accettazione della prestazione lavorativa di
soggetti affetti da infermità, che vada oltre il
dovere di garantire la sicurezza imposto dalla
legge (D.Lgs 626/94)”.
1464 c.c.
Art.41 comma 1 D.Lgs 277/91
41. Misure tecniche, organizzative, procedurali. - 1. Il datore di lavoro riduce al minimo, in
relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, i rischi derivanti
dall'esposizione al rumore mediante misure tecniche, organizzative e procedurali,
concretamente attuabili, privilegiando gli interventi alla fonte .
La sicurezza del lavoro costituisce certamente un limite all'autonomia dell'imprenditore,
ma quando sul fondamento di tale limite si intende basare una fattispecie criminosa,
viene in considerazione l'indefettibile principio costituzionale di necessaria
determinatezza delle previsioni della legge penale. Ed è nella considerazione di questo
principio che il giudice a quo rivolge all'art. 41, comma 1, del decreto legislativo, la
sua censura: nell'imporre l'adozione di misure tecniche, organizzative e procedurali
concretamente attuabili, la disposizione renderebbe eccessivamente indeterminati i
doveri dell'imprenditore.
E il modo per restringere, nel caso in esame, la discrezionalità dell'interprete è ritenere
che, là dove parla di misure "concretamente attuabili", il legislatore si riferisca alle
misure che, nei diversi settori e nelle differenti lavorazioni, corrispondono ad applicazioni
tecnologiche generalmente praticate e ad accorgimenti organizzativi e procedurali
altrettanto generalmente acquisiti, sicché penalmente censurata sia soltanto la deviazione
dei comportamenti dell'imprenditore dagli standard di sicurezza propri, in concreto e al
momento, delle diverse attività produttive. Ed è in questa direzione che dovrà, di volta in
volta, essere indirizzato l'accertamento del giudice: ci si dovrà chiedere non tanto se una
determinata misura sia compresa nel patrimonio di conoscenze nei diversi settori, ma se
essa sia accolta negli standard di produzione industriale, o specificamente prescritta.
Art.168 D.Lgs 81/08 Articolo 168 - Obblighi del datore di lavoro
1. Il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie e ricorre ai mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori.
2. Qualora non sia possibile evitare la movimentazione manuale dei carichi ad opera dei lavoratori, il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie, ricorre ai mezzi appropriati e fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale di detti carichi, tenendo conto dell’ALLEGATO XXXIII, ed in particolare:
a) organizza i posti di lavoro in modo che detta movimentazione assicuri condizioni di sicurezza e salute;
b) valuta, se possibile anche in fase di progettazione, le condizioni di sicurezza e di salute connesse al lavoro in questione tenendo conto dell’ALLEGATO XXXIII;
c) evita o riduce i rischi, particolarmente di patologie dorso-lombari, adottando le misure adeguate, tenendo conto in particolare dei fattori individuali di rischio, delle caratteristiche dell’ambiente di lavoro e delle esigenze che tale attività comporta, in base all’ALLEGATO XXXIII;
d) sottopone i lavoratori alla sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41, sulla base della valutazione del rischio e dei fattori individuali di rischio di cui all’ALLEGATO XXXIII.
3. Le norme tecniche costituiscono criteri di riferimento per le finalità del presente articolo e dell’ALLEGATO XXXIII, ove applicabili. Negli altri casi si può fare riferimento alle buone prassi e alle linee guida.
Lavoratore con mal di schiena addetto a MMC
Capacità ridotta Idoneità con prescrizioni
Non obbligo di cooperare
alla riduzione di capacità
Obbligo di adottare lo standard
medio acquisito dal settore
specifico (ovviamente solo
dove la legge rimane vaga)
Art.1464 c.c.
Cassazione penale, Sez. IV - Sentenza n. 41944 del 21 dicembre 2006 Ric. P.M. in c. Laguzzi e altri E’ «evidente come non sia possibile pretendere - in ogni caso in cui la ricerca e lo sviluppo delle
conoscenze portino alla individuazione di tecnologie più idonee a garantire la sicurezza - che l’imprenditore proceda ad un’immediata sostituzione delle tecniche precedentemente adottate con quelle più recenti e innovative dovendosi procedere ad una complessiva valutazione sui tempi, modalità e costi dell’innovazione», e che, «a fronte di una condotta comunque positiva dell’imprenditore di adeguarsi alle nuove tecnologie - e purchè i sistemi adottati siano comunque idonei a garantire un livello elevato di sicurezza - le scelte imprenditoriali divengono insindacabili ». Condivide, quindi, «le osservazioni recentemente formulate dallo studioso italiano che ha maggiormente approfondito i temi della colpa, secondo cui non è pensabile che un’impresa rinnovi continuamente le proprie tecnologie, perchè è senz’altro necessario stare al passo con i tempi, ma ciò non può significare buttare all’aria investimenti per ammodernamenti tecnologici, rincorrendo incessantemente le novità tecnologiche», poichè «in teoria, si innalzerebbe il livello di sicurezza; in pratica, si condurrebbe l’azienda sull’orlo del fallimento». … Osserva, a questo punto, che, «anche indipendentemente dalla soluzione del problema se il nuovo sistema dovesse essere applicato solo sul materiale rotabile di nuova costruzione o anche su quello preesistente, è facile prendere atto della circostanza che nel caso in esame era concretamente possibile utilizzare il sistema che avrebbe garantito una maggior sicurezza (tanto da impedire il verificarsi dell’evento in termini di certezza), nè risulta una situazione di non disponibilità di locomotori attrezzati (nel qual caso muterebbero i termini del problema)». A questo punto, «fermi restando i principi già enunciati sugli obblighi dell’imprenditore dell’imprenditore nel caso di innovazioni tecnologiche idonee ad assicurare un maggior livello di sicurezza», insegna che, «qualora l’imprenditore disponga di più sistemi di prevenzione di eventi dannosi è tenuto ad adottare (salvo il caso di impossibilità che in questo caso nessuno afferma) quello idoneo a garantire un maggior livello di sicurezza», e che «a questo principio non è possibile derogare soprattutto nei casi in cui i beni da tutelare siano costituiti dalla vita e dall’integrità fisica delle persone (una valutazione comparativa tra costi e benefici sarebbe ammissibile solo nel caso in cui i beni da tutelare fossero esclusivamente di natura materiale) ». La conclusione è che, «nel caso di specie, l’impresa ferroviaria non si è attenuta a questi principi utilizzando materiale rotabile inidoneo malgrado la linea fosse attrezzata e il materiale disponibile».
• Il medico competente indica che cosa è prevedibilmente pericoloso per la salute del lavoratore certificandolo nelle «idoneità con prescrizioni». Le «idoneità con limitazioni», non avendo nessuna copertura legale, non hanno alcun valore (art.23 Costituzione)
• Cosa rimane della prestazione (capacità) del lavoratore?
• L’imprenditore valuta la apprezzabilità della residua prestazione lavorativa alla luce del buon funzionamento aziendale (art.41 cost.)
• Il giudice valuta se tale valutazione è avvenuta secondo buona fede oggettiva
Chiedere al medico competente dettagliatamente tutte
le operazioni lavorative che la lavoratrice non può compiere,
anche alla luce di eventuali migliorie al posto di lavoro (art.2087 c.c. e D.Lgs 81/08)
VALUTAZIONE DELL’IDONEITA’
VALUTAZIONE DELLA RESIDUA CAPACITA’
La residua prestazione (capacità) lavorativa è ancora oggettivamente apprezzabile (art.1464 c.c.)?
SI NO
Valutare se è possibile utilizzare
ancora proficuamente il lavoratore
in altre mansioni compatibilmente
con il buon funzionamento aziendale
TRASFERIMENTO LICENZIAMENTO
Gli elementi riguardanti la capacità (e non la sicurezza del lavoratore) non avendo una precisa
copertura legale (eccetto gli invalidi civili) non rappresentano elementi vincolanti per il datore di lavoro (principio di riserva di legge ex art.23 della
Costituzione).
La loro valutazione rimanda all’art.1464 c.c.e con le correzioni delle sezioni unite della Cassazione
con sent. 7755/98
NON IDONEO DI SABATO
L’ITER CORRETTO DEL GIUDIZIO DI NON IDONEITA’
E’ COMPITO DEI MEDICI (MEDICO COMPETENTE O ASL) INDICARE SOLO DOVE IL LAVORATORE NON PUO’ ESSERE ADIBITO MA MAI, IN NESSUN MODO, DARE INDICAZIONI
VINCOLANTI A QUALE MANSIONE ADIBIRLO.
OGNI GIUDIZIO DI IDONEITA’ PUO’ RIGUARDARE SEMPRE E SOLO LE MANSIONI CHE IL DATORE DI LAVORO HA
PREVENTIVAMENTE INDIVIDUATO COME COMPATIBILI CON IL BUON FUNZIONAMENTO AZIENDALE (ART.41 COST.)
LE IDONEITA’ CON LIMITAZIONI NON HANNO ALCUN SENSO GIURIDICO IN QUANTO PRIVI DI COPERTURA LEGALE
GLI ERRORI DA NON COMMETTERE
Assicurarsi di disporre di una non idoneità alla mansione “esplicita” e non temporanea
Una non idoneità è appellabile entro 30 giorni
Non confondere idoneità e capacità
Il punto forte dell’imprenditore sono il diritto alla libera organizzazione aziendale (art.41 Cost.) e la mancanza di
copertura legale della ridotta capacità (art.23 Cost.)
Valutare se con piccoli accorgimenti il lavoratore può lavorare lo stesso o se la non idoneità è temporanea
«Deve aggiungersi essere irrilevante che, come sostenuto da parte attrice, che in precedenza l’impresa abbia accolto mutamenti o riduzioni di orario richiesti da altri dipendenti e scarsamente giustificati, in quanto siffatto comportamento denota solo una disponibilità passata – e forse per questo ora impedita – ad adeguare l’organizzazione del lavoro alle esigenze dei singoli dipendenti, ma non può determinare obbligo giuridico di condotta volontariamente e spontaneamente assunta, ad adeguare nel futuro detta organizzazione alle esigenze di altri dipendenti» (Giudice monocratico del lavoro di Reggio Emilia, 9.3.2001)
LA PREGRESSA DISPONIBILITA’ AZIENDALE VERSO ALTRI INVALIDI
Cessazione appalto, assunzione successiva nuovi operai
Cass. Civile sez. lavoro n.12136/2005: fattispecie relativa ad operaia licenziata perché l’appalto della sua ditta presso una casa
di cura era cessato. “Non giova pertanto alla tesi della società ricorrente dimostrare che l'appalto delle pulizie presso la casa di
cura nella quale aveva prestato la propria opera la lavoratrice era cessato. Incombeva infatti sulla stessa l'onere di provare
l'impossibilità di reimpiegare comunque la P. nell'ambito dell'intera organizzazione aziendale. La Corte di merito, nel confermare sul punto la sentenza di primo grado, ha ritenuto che tale prova non sia stata fornita osservando altresì che la datrice di lavoro aveva
proceduto a nuove assunzioni in epoca immediatamente successiva
alla cessazione dell'appalto”
LE MANSIONI IN ATTESA DEL RICORSO
Cass. civ. sez. lavoro n.10339/2000: “… 10. In ordine alla circostanza, soprattutto richiamata nella memoria e nella
discussione orale del difensore del ricorrente, che la datrice di lavoro aveva, dopo un primo accertamento medico-legale,
fatto svolgere al dipendente per un periodo di tempo apprezzabile mansioni di operatore "ridotte", correttamente il
Tribunale non vi ha annesso importanza, considerato che, secondo le stesse deduzioni del ricorrente, non poteva che
essere significativa di un atteggiamento di mera tolleranza in attesa degli accertamenti sanitari definitivi, ancorchè questi
ultimi non avessero aggiunto elementi di novità a quanto accertato in precedenza”.
L’IMPOSSIBILITA’ SUPERABILE
Diverso è il caso in cui il problema della riduzione di capacità lavorativa è risolvibile con la semplice modifica delle modalità di esecuzione (Cass. civ. Sez. lav., 22/07/1993, n.8152): “L'ipotesi di sopravvenuta impossibilità totale o parziale della prestazione lavorativa, tale da giustificare il licenziamento del lavoratore ai sensi dell'art. 3 l. 15 luglio 1966 n. 604, non è ravvisabile ove l'impedimento fisico del prestatore determini solo una mera difficoltà nello svolgimento delle mansioni precedentemente espletate, superabile mediante l'adozione di diverse modalità di esecuzione del lavoro, compatibili con l'organizzazione aziendale, cui il datore di lavoro è tenuto nell'ambito del suo dovere di cooperazione anche a norma dell'art. 2087 c.c.” (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva escluso la sussistenza del giustificato motivo di recesso in relazione ad una infermità sopravvenuta che consentiva al dipendente di svolgere i propri compiti solo in posizione seduta, con modalità di esecuzione del lavoro già precedentemente adottate per altri addetti nell'azienda).
ERRATA INIDONEITA’ IN BUONA FEDE
Cassazione Civile sez. Lavoro 15-07-2002, n. 10260: «La dichiarazione di invalidità del licenziamento a norma dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 non comporta
automaticamente la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno nella misura stabilita dal quarto comma, con esclusione di ogni rilevanza dei profili del
dolo o della colpa nel comportamento del recedente, e cioè per una forma di responsabilità oggettiva … Ne consegue l'applicabilità dell'art. 1218 cod. civ.,
secondo cui il debitore non è tenuto al risarcimento del danno nel caso in cui fornisca la prova che l'inadempimento consegue ad impossibilità della prestazione a lui non imputabile. (Nella specie il dipendente era stato licenziato per inidoneità fisica allo svolgimento dell'attività lavorativa e il giudice, con decisione confermata dalla S.C.,
rilevata, in base agli accertamenti espletati, la non sussistenza di tale incapacità, pur dichiarando l'illegittimità del licenziamento, aveva limitato, rispetto al giudizio di primo grado, la condanna al risarcimento nella misura minima corrispondente a cinque mensilità della retribuzione danno osservando che il datore di lavoro era
stato determinato al licenziamento da certificazione medica proveniente da strutture
sanitarie pubbliche) ».
INIDONEITA’ NON TEMPORANEA
Nel caso di sopravvenuta infermità permanente del lavoratore e di conseguente impossibilità della prestazione lavorativa - che è un'ipotesi nettamente distinta dalla malattia del dipendente (anche essa causa di impossibilità della prestazione lavorativa) in quanto ha natura e disciplina giuridica diverse, atteso che, a differenza della malattia ( avente carattere temporaneo), essa ha, invece, carattere permanente o, quanto meno, durata indeterminata e indeterminabile - è ravvisabile un giustificato motivo di recesso del datore di lavoro ex artt. 3 L. n. 604/66, 1463 e 1464 c.c., indipendentemente dal superamento del periodo di comporto, soltanto quando la sopravvenuta incapacità fisica abbia carattere definitivo e manchi un apprezzabile interesse del datore di lavoro alle future prestazioni lavorative (ridotte) del dipendente (Cass. 14/12/99 n. 10465, est. Castiglione)
IL LAVORATORE CON PROGNOSI INDETERMINABILE
“L’inidoneità fisica può giustificare il licenziamento se è di durata indeterminata o indeterminabile oppure di regredibilità incerta ... il lavoratore può essere
legittimamente licenziato se risulti affetto da inidoneità fisica di durata indeterminata o indeterminabile, oppure di regredibilità incerta” (Cass. sez. lavoro
n° 8497 del 13 giugno 2002)
“Il recesso del datore di lavoro nei confronti di una lavoratrice affetta da malattie che non le consentono, anche con ragionevole previsione attraverso un giudizio
prognostico espresso da un consulente tecnico, di prestare per il futuro la normale attività lavorativa, è disciplinato non dall'art. 2110 c. c. - che presuppone un
impedimento temporaneo del dipendente affetto da malattie, anche reiterate, a prestare l'attività dovuta - bensì dalla norma dell'art. 1464 c. c., con la conseguenza per l'imprenditore dell'adozione di un giustificato motivo di licenziamento a norma
dell'art. 3, l. 15 luglio 1966, n. 604 per ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. (Cass. civ.,
09/09/1988, n.5117)
IDONEITA’ E TUTELA DI TERZI 1/2
Cassazione civile n. 11798 del 06/08/2002: fattispecie di dipendente con mansioni di cuoco che, dopo essere rimasto assente dal servizio per malattia comunicava, al rientro, di essere affetto da "epatite cronica HVC correlata" e di necessitare di un periodo di cure prevedibilmente di almeno sei mesi.
La ditta intimava il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, motivato con "l’oggettiva impossibilità" di continuare ad adibirlo alle mansioni di cuoco, nonché a qualunque altra attività lavorativa.
A giudizio del primo Giudice la natura virale e il carattere recidivante dell’affezione erano tali da precludere il rilascio della tessera sanitaria prescritta dall’art. 37 del d.P.R., n. 327 del 1980; inoltre essendo il personale ... adibito "pressochè esclusivamente" alla manipolazione di cibi e bevande, il licenziamento dove ritenersi giustificato, stante la ragionevolezza dell’assunto in ordine all’impossibilità di mantenere il dipendente nelle mansioni istituzionali "per un periodo di tempo presumibilmente prolungato e di durata non determinabile".
IDONEITA’ E TUTELA DI TERZI 1/2
… Cassazione civile n. 11798 del 06/08/2002: Nel confermare la legittimità del licenziamento per
giustificato motivo oggettivo la suprema Corte aveva modo di precisare come “in questi casi, la
valutazione della temporaneità o meno della sospensione dell’attività lavorativa va compiuta
tenendo presente la durata prevedibile del contagio o comunque delle misure protettive che il
datore di lavoro è tenuto ad adottare anche in adempimento degli obblighi prescritti dall’art. 2087
c.c., oltre che in via generale nei confronti dei terzi ai quali offre un servizio … Seguendo la stessa
ratio di quest’ultima sentenza sarebbe certamente contrario a ragionevolezza oltre che agli obblighi
posti dall’art. 2087 c.c. inibire al datore di lavoro la possibilità di sospendere, o comunque di
allontanare il lavoratore sieropositivo dall’azienda, salva la possibilità di utilizzarne aliunde le
prestazioni (ad esempio consentendogli di proseguire l’attività lavorativa a domicilio o, comunque,
all’interno di spazi aziendali protetti, senza esporre lui stesso o gli altri al pericolo di ulteriori danni
alla salute” concludendo come “in sostanza il datore di lavoro ben può (anzi deve, ex art. 2087 c.c.)
inibire al lavoratore affetto da malattia contagiosa di proseguire la propria attività lavorativa
(anche per tutelare gli altri lavoratori) ma da ciò deriva il suo diritto di porre fine immediatamente
al rapporto di lavoro soltanto se lo stato patologico contagioso del lavoratore è destinato ad essere
permanente ovvero a prolungarsi con certezza oltre il periodo di comporto, e sempre che non sia
possibile adibire il lavoratore a mansioni o modalità diverse di attività (anche spaziali) tali da non
costituire pericolo di contagio per altri”.
2.6.1994, N. 218 DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, c. 3 della legge 5.6.1990, n. 135, nella parte in cui non prevede(va) accertamenti sanitari dell'assenza di sieropositività come condizione per l'espletamento di attività che comportino rischi per la salute di terzi, risolvendo nell'occasione un delicato equilibrio tra varie esigenze contrapposte quali, da una parte il divieto di sottoporre una persona, senza il suo consenso, ad analisi tendenti ad accertare quel tipo di affezione, il divieto, per i datori di lavoro di svolgere indagini dirette ad accertare l'esistenza di uno stato di sieropositività nei dipendenti, e l'esigenza primaria, dettata dall'art. 32 Cost., di tutela della salute come diritto fondamentale dell'individuo e interesse primario della collettività”.
Il LAVORATORE POSITIVO ALLA DROGA
• Abbiamo visto come alla base della sentenza 7755/98 ci sia l’accertamento da parte del giudice della “buona fede oggettiva” da parte del datore di lavoro nella applicazione del contratto.
• Ma questa buona fede deve essere bilaterale!
• E’ in buona fede un operaio che si fa delle canne e va a guidare una gru?
IL COLLOCATO OBBLIGATORIO
LA TUTELA LEGISLATIVA DEL LAVORATORE COLLOCATO OBBLIGATORIAMENTE
Art.10 comma 3 L.68/99: “Nel caso di aggravamento delle condizioni di salute o di significative variazioni dell'organizzazione del lavoro, il disabile può chiedere che venga accertata la compatibilità delle mansioni a lui affidate con il proprio stato di salute. Nelle medesime ipotesi il datore di lavoro può chiedere che vengano accertate le condizioni di salute del disabile per verificare se, a causa delle sue minorazioni, possa continuare ad essere utilizzato presso l'azienda. Qualora si riscontri una condizione di aggravamento che, sulla base dei criteri definiti dall'atto di indirizzo e coordinamento di cui all'articolo 1, comma 4, sia incompatibile con la prosecuzione dell'attività lavorativa, o tale incompatibilità sia accertata con riferimento alla variazione dell'organizzazione del lavoro, il disabile ha diritto alla sospensione non retribuita del rapporto di lavoro fino a che l'incompatibilità persista … Gli accertamenti sono effettuati dalla commissione di cui all'articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, … “qualora si riscontri una condizione di aggravamento che … sia incompatibile con la prosecuzione dell’attività lavorativa … gli accertamenti sono effettuati dalla commissione di cui all’art.4 della legge 5.2.92 n.104” ed “il rapporto di lavoro può essere risolto nel caso in cui, anche attuando i possibili adattamenti dell'organizzazione del lavoro” solo la commissione pubblica ex art.4 L.104/92 “accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all'interno dell'azienda” .
COLLOCAMENTO MIRATO: “… quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posto di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione” (art.2 L.68/99).
IL LAVORATORE CHE DIVENTA INVALIDO PER INFORTUNIO O TECNOPATIA
In questo caso, infatti, “i datori di lavoro, pubblici e privati, sono tenuti a garantire la conservazione del posto di lavoro” (art. 1 comma 7 L.68/99). Da notare, però, come, anche nel caso di (art.4 comma 4) questi lavoratori “divenuti inabili a causa dell'inadempimento da parte del datore di lavoro, accertato in sede giurisdizionale, delle norme in materia di sicurezza ed igiene del lavoro” … “ l'infortunio o la malattia non costituiscono giustificato motivo di licenziamento nel caso in cui essi possano essere adibiti a mansioni equivalenti ovvero, in mancanza, a mansioni inferiori. Nel caso di destinazione a mansioni inferiori essi hanno diritto alla conservazione del più favorevole trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza”. Persino in questo caso limite, cioè in presenza di invalidità dovuta a “colpa” del datore di lavoro, quindi, il legislatore non sembra indicare un obbligo “assoluto” di conservazione del posto tanto da prevedere che “qualora per i predetti lavoratori non sia possibile l'assegnazione a mansioni equivalenti o inferiori, gli stessi vengono avviati, dagli uffici competenti di cui all'articolo 6, comma 1, presso altra azienda, in attività compatibili con le residue capacità lavorative, senza inserimento nella graduatoria di cui all'articolo 8” .
I LIMITI DEL COLLOCAMENTO OBBLIGATORIO
Cass. civ., Sez.lav., 08/01/1987, n.58: Ciònondimeno, se è vero che “in tema di collocamento obbligatorio, il datore di lavoro non può aprioristicamente
rifiutare l'assunzione dell’invalido avviato dall’Uplmo opponendo una generica incollocabilità di quest'ultimo” tuttavia “non essendo tenuto né a modificare l'assetto aziendale dell'impresa, né a creare appositamente un fittizio posto di lavoro, può giustificatamente rifiutarne l'assunzione ove dimostri l'impossibilità assoluta di collocamento impregiudizievole per l'invalido stesso, per i suoi compagni di lavoro e per la sicurezza delle
attrezzature aziendali tenendo conto di tutte le posizioni di lavoro in concreto esistenti nell'intera azienda e non già con riferimento soltanto a singoli o
determinati settori o reparti di essa”.
Pret. Bologna, 14/07/1990 (Brazi C. Soc. Teletta): Anche nel caso di collocati obbligatoriamente, infatti, la collocazione lavorativa “non può avere
carattere puramente assistenziale”
IL LICENZIAMENTO DEL COLLOCATO OBBLIGATORIO
Cass. civ., Sez.lav., 12/12/1998, n.12516: “in tema di collocamento obbligatorio, il datore di lavoro può ritenersi svincolato dall'obbligo di assunzione dell'invalido,
avviato ai sensi della l. n. 482 del 1968, "solo" quando si riscontri l'assoluta impossibilità di un collocamento non pregiudizievole per l'invalido stesso, per i
compagni di lavoro e per la sicurezza degli impianti ovvero quando l'invalido non sia assolutamente collocabile, in ragione della sua minorazione, in alcun settore, anche accessorio o collaterale, dell'intera azienda” (conforme Cass. civ., Sez.lav.,
09/11/1995, n.11681).
Cass. civ., Sez.lav., 09/11/1995, n.11681: “Incombe sul datore di lavoro che voglia liberarsi dall'obbligo di assunzione l'onere di provare la sussistenza delle suddette
condizioni, che costituiscono eccezioni alla normale collocabilità degli invalidi nelle aziende aventi i requisiti dimensionali previsti dalla legge, fermo restando che il suddetto onere probatorio non può considerarsi soddisfatto mediante un
generico richiamo all'inesistenza di posizioni di lavoro compatibili con le specifiche condizioni dell'avviato al lavoro”.
NEOPLASIE E PART-TIME
Decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61: «Articolo 12-bis (Ipotesi di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di
lavoro a tempo parziale). - 1. I lavoratori affetti da patologie oncologiche, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, anche a
causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l'azienda unità sanitaria locale territorialmente competente, hanno diritto alla trasformazione del
rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale od orizzontale. Il rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno a
richiesta del lavoratore. Restano in ogni caso salve disposizioni più favorevoli per il prestatore di lavoro».