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Myriam Sabolla - The Food Sister

Il magico mondo dei cibi fermentati

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Introduzione Il cibo è vivo - Breve viaggio alle origini della fermentazione

Vino, birra, formaggio, prosciutto, crauti, yogurt, giardiniera: cos’hanno in comune? Sono tutti cibi vivi, o meglio, fermentati: dal latino fermentum, la parola ha una radice affine a fervere, bollire, muoversi. Un processo vivo, che avvicina l’uomo e il microbo.

Come spiega Michael Pollan, nel suo saggio intitolato “Cotto”, la fermentazione ha a che fare con il ciclo della vita, e in modo particolare con la terra che è l’elemento a cui apparteniamo:

“È la terra […] ad alimentare e proteggere ogni fermentazione. La terra che si trasforma in vite e poi in vino, i semi di orzo in birra, il cavolo in crauti o kimchi, il latte in formaggio (o yogurt o kefir), i semi di soia in miso (o in salsa di soia, natto o tempeh), il riso in sakè, il maiale in prosciutto, gli ortaggi in sottaceti: tutte queste trasformazioni dipendono dall’attento controllo, esercitato da chi prepara l’alimento, sui fenomeni di putrefazione, dal portare la decomposizione di quei semi, quei frutti e quelle carni esattamente fino a un certo punto, e non oltre. Infatti, se il processo fosse lasciato a sé, lo sfregio della corruzione proseguirebbe, dilatandosi e approfondendosi fino a degradare completamente l’organismo in questione – il «substrato della fermentazione» –, restituendolo così alla terra quale supplemento di humus.”

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Fermentare per conservare, ma anche per rendere commestibile La scoperta della fermentazione è controversa. Da una parte c’è sicuramente la cultura della conservazione, radicata nella storia umana come tecnica per mantenere, preservare, proteggere, trasportare, scambiare: l’idea alla base è quella di “salvare” un prodotto rallentando o arrestando o modificandone i processi vitali, in modo tale da mantenerne intatte le proprietà e non guastare il suo stato naturale, la sua freschezza, usandolo a distanza di luogo e di tempo.

Dall’altra parte, e forse ancora prima delle esigenze di conservazione, c’è anche la necessità di trasformare la materia prima per renderla commestibile: la fermentazione non solo conserva i nutrienti, ma li riduce anche in forme più facilmente digeribili (la soia è un buon esempio, perché è un cibo straordinariamente ricco di proteine, ma quasi indigeribile senza fermentazione). Ma senza andare troppo lontano, pensiamo ai due alimenti fermentati alla base della nostra civiltà, il vino e il pane. Quest’ultimo, in particolare, nasce proprio perché, nella trasformazione da società di cacciatori-raccoglitori a società di agricoltori stanziali, l’uomo deve trovare un modo per rendere il cereale non solo commestibile, ma anche nutriente. Cottura e fermentazione (lievitazione) sono i due processi che rendono questo possibile.

Apologia dei microbi

Anni e anni di marketing spinto ci hanno fatto interiorizzare l’idea che “i germi” siano sempre e solo nocivi, da sterminare come un flagello sulle nostre mani, sulle superfici con cui veniamo in contatto e, ovviamente, anche sulle foglie di insalata. Perché? A metà del 1800 Louis Pasteur inventa la moderna microbiologia - tra l’altro, proprio partendo dall’osservazione delle alterazioni nella fermentazione del vino e della birra - e scopre il processo che porta il suo nome, la pastorizzazione. Un enorme progresso per la medicina, che porta alla consapevolezza di quanto le condizioni di igiene, tra l’altro, possano influire sulla proliferazione o il contenimento di alcune epidemie.

Dalle buone e indispensabili norme igieniche, però, si è assistito nel tempo all’emergere di una fobia esasperata nei confronti dei microbi. Come racconta Sandor Katz nel suo libro “Wild Fermentation”:

“I microorganismi non solo ci proteggono competendo con altri organismi potenzialmente pericolosi, ma insegnano al sistema immunitario come funzionare […] Un numero crescente di ricercatori sta raccogliendo prove in supporto della cosiddetta “teoria dell’igiene” che attribuisce il drammatico aumento dell'incidenza dell’asma e di altre malattie allergiche alla mancanza di esposizione ai diversi microorganismi che si trovano nel suolo e nell’acqua non trattata.”

Per anni la cultura della fermentazione è stata messa in secondo piano dall’industria che ha proposto la pastorizzazione - e di conseguenza la morte dei batteri, anche buoni, presenti - come l’unica possibilità di consumo sicuro per i cibi conservati. Oggi riscopriamo, come già i nostri antenati sapevano empiricamente, che non è così. Anzi, la stessa medicina ci dice quanto sia importante assumere anche cibi “vivi” per la nostra salute fisica e mentale.

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Il processo fermentativo Che cosa succede quando un cibo fermenta? Quando parliamo di fermentazione, dal punto di vista chimico, indichiamo una serie di processi di parziale demolizione di una sostanza organica, con accumulo di composti più semplici. Questa demolizione viene operata da microrganismi viventi che così traggono l’energia necessaria per il loro accrescimento e moltiplicazione. Di questa trasformazione dobbiamo ringraziare muffe, lieviti, batteri lattici e acetici, e gli zuccheri presenti nei cibi che ne costituiscono il nutrimento. È grazie a questi elementi che la fermentazione ha origine.

La fermentazione si divide essenzialmentein due grandi categorie: 

• aerobica o ossidativa, vale a dire che si svolge con l’intervento dell’ossigeno: ha spesso come substrato una sostanza diversa dai carboidrati e, più che una trasformazione di tipo demolitivo, può considerarsi un’ossidazione (es. fermentazione acetica, citrica, fumarica).

• anaerobica o anossidativa, ovvero quella che si svolge senza l’intervento dell’ossigeno su un substrato che è, generalmente, un carboidrato (es. fermentazione alcolica, glicerica, lattica). Per quanto riguarda la fermentazione lattica, ogni verdura ospita naturalmente batteri acido-lattici, spore delle muffe e altri microorganismi. Quando le verdure vengono trattate opportunamente, ovvero vengono immerse in un

liquido e pertanto private di aria e ossigeno, non possono sviluppare muffe ma solo batteri acido-lattici. Sono proprio i batteri acido-lattici, anaerobici che fanno partire la fermentazione, sostituendosi ai batteri aerobici, dominanti nei vegetali. Questi lactobacilli, detti anche fermenti lattici, fanno parte della stessa famiglia di quelli presenti nella fermentazione del latte, e sono fondamentali per il nostro benessere.

Anche il pane è un prodotto della fermentazione. Uno dei Lactobacilli più diffusi nei lieviti naturali da pane (lievito madre) è il Lactobacillus Sanfransciscensis, chiamato con il nome della città nella quale per la prima volta è stato isolato. È uno dei più efficaci della fermentazione panaria, per la sua grande capacità di lavorare in simbiosi con una specie di lievito (il Candida Milleri).

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Come si trasformano i cibi fermentati

La fermentazione trasforma la materia prima, la rende conservabile a lungo e la migliora nelle sue caratteristiche organolettiche e nutritive. Ecco come.

1. AUMENTO DELL’ACIDITÀL’acidità si origina quando i batteri “mangiano” gli zuccheri presenti nei cibi di partenza. Non ha impatto solo sul gusto dei cibi fermentati, ma gioca un ruolo fondamentale per due motivi:

• abbassa il pH così da rendere la vita difficile ai batteri che possono alterare gli alimenti, e agisce quindi come arma per la conservabilità

• modifica le componenti dell’alimento di partenza conferendogli nuove proprietà. Se pensiamo al latte, ad esempio, l’acidità che si sviluppa con la fermentazione fa cambiare la struttura delle proteine e le fa coagulare: il risultato è una maggiore consistenza e una nuova texture del nuovo alimento (per es. nello yogurt).

2. PRE-DIGESTIONE DEGLI ZUCCHERI E DELLE PROTEINEI cibi fermentati sono alimenti in qualche modo pre-digeriti e pertanto più digeribili: la pre-digestione regala all’alimento finale una “semplificazione” di importanti nutrienti come le proteine, che vengono scisse in parti più piccole, costituite da proteine più corte o dagli stessi amminoacidi che le compongono. La stessa cosa avviene per gli zuccheri, che vengono scissi nelle molecole che li compongono (ecco perché molti intolleranti al latte possono mangiare lo yogurt).

3. MIGLIORAMENTO DEL PROFILO NUTRIZIONALE DEGLI ALIMENTI Durante il processo di fermentazione, le vitamine, i sali minerali e le fibre rimangono intatti mentre si producono preziosi fermenti lattici. Questi “batteri buoni” sono più salutari quanto più sono in grado di arrivare vivi e attivi nel nostro intestino, e di colonizzarlo. Alcuni specifici lactobacilli e bifidobatteri, poi, sono in grado di favorire l’equilibrio della flora batterica: sono i cosiddetti probiotici. Oltre agli enzimi, la fermentazione può portare a un arricchimento in vitamine e altre sostanze utili come le batteriocine, sostanze riversate nel prodotto fermentato proprio dai fermenti utilizzati, che hanno la capacità di inibire la crescita di altri microrganismi esplicando un’azione antimicrobica. Anche queste sostanze, a loro volta, possono contribuire alla migliore conservabilità degli alimenti fermentati. Nelle verdure fermentate, in particolare, vengono preservate importanti vitamine, come la C, e non solo: la fermentazione è in grado di aumentare la quantità di alcune vitamine del gruppo B, inclusi l’acido folico, la riboflavina, la niacina, la tiamina e la biotina. È stato dimostrato che alcuni fermenti funzionano da antiossidanti, eliminando dalle cellule del corpo quei precursori del cancro, conosciuti con il nome di “radicali liberi”.

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La fermentazione migliora il sapore e la conservabili dei cibi

Permette di mangiare cibi vivi, una pratica straordinariamente salutare perché rifornisce in modo diretto il tubo digerente con colture viventi, ricche di probiotici, che arricchiscono la flora batterica intestinale.

La fermentazione rende determinati elementi più digeribili

Crea nuovi nutrienti: le culture microbiche danno origine molte vitamine del gruppo B; i lacto-bacilli creano gli acidi grassi omega-3, essenziali per le membrane delle cellule e per il funzionamento del sistema immunitario.

Fermentazione e salute Perché mangiare cibi fermentati fa bene?

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Microbiota, probiotici e prebiotici

Non si può parlare di cibi fermentati, e dei loro effetti sulla salute, senza accennare al microbiota. Gli studi medici più recenti si stanno concentrando proprio su quest’ultimo, cioè l’insieme di tutti i microrganismi che proliferano in noi, il 99% dei quali si trova nell’intestino (a questo proposito una lettura interessante è “L’intestino felice” di Giulia Enders, un libro divulgativo e a tratti molto divertente per capire come funziona il nostro “secondo cervello”).

Immaginiamo il corpo umano come un ecosistema: siamo colonizzati da circa centomila miliardi di batteri, la maggior parte dei quali è innocua o addirittura utile. Sappiamo che questa comunità di germi scompone per noi il cibo indigeribile, fornisce energia al nostro intestino, produce vitamine, demolisce i veleni e allena il sistema immunitario. Ancora: questi batteri possono creare connessioni nervose più o meno efficienti, influire sulla nostra capacità di ingrassare o dimagrire, regolare la produzione ormonale avere un ruolo ancora in parte da scoprire su malattie come la depressione.

Secondo il Prof. Silvio Danese della clinica Humanitas di Rozzano, “siamo solo all’inizio di una nuova era scientifica in cui la conoscenza della flora intestinale e la sua manipolazione potrebbe rispondere a molti dei bisogni terapeutici in molteplici patologie.”

È in portante allora che questo ecosistema, il microbiota, sia in equilibrio, o per meglio dire in eubiosi. E qui entrano in gioco i probiotici e i prebiotici.

• I probiotici sono organismi (o batteri buoni che dir si voglia) in grado di superare la barriera gastrica per andare ad arricchire e “nutrire” il microbiota; ne sono pieni i cibi fermentati, proprio perché “vivi” e proprio perché sono gli stessi batteri ad innescare i processi di fermentazione. Sono fondamentali per l’equilibrio della flora batterica intestinale, come abbiamo già visto, oltre che per combattere le infiammazioni.

• I prebiotici sono gli alimenti in grado di nutrire gli organismi che compongono il microbiota: le loro fibre possono essere “mangiate” solo dai batteri buoni. Parliamo, tra gli altri, di alimenti ricchi di fibre come i cerali integrali, gli amidi resistenti, alcuni vegetali come le liliacee.

Un microbiota in salute significa salute per tutto l’organismo, difese immunitarie più forti e, da quello che suggeriscono alcuni studi, una riduzione del rischio di malattie come depressione e Alzheimer.

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Ricette Yogurt Ingredienti per 1 kg circa di yogurt: • 1 litro di latte intero fresco biologico

• 100g di yogurt bianco intero biologico

Attrezzature: • una coperta di lana

• un vaso di vetro pulito, che si chiuda con tappo a vite munito di valvola di sicurezza (i classici tappi per i vasetti di marmellata)

Procedimento:

Versa il latte in un pentolino e portalo quasi quasi a ebollizione (82°C). Se non hai il termometro, osserva quello che succede sulla superficie del latte: quando iniziano a formarsi delle piccolissime bollicine vicino alle pareti della pentola, è il momento di spegnere.

Lascialo raffreddare fino a circa 40°-45°C (anche in questo caso, se non hai un termometro usa un metodo della nonna: se inserendo un mignolo nel latte riusciamo a contare fino a 10, la temperatura è quella giusta).

Trasferisci il latte nel vaso, aggiungi dello yogurt (sarà il tuo starter ), mescola delicatamente. Chiudi il vaso e avvolgilo con una o più coperte. Lascia riposare per otto ore al riparo da correnti e in un luogo caldo (anche dentro il forno spento).

Dopo circa 8 ore il tuo yogurt è pronto! Otterrai una consistenza piuttosto compatta, ma se lo vuoi ancora più denso puoi lasciarlo sgocciolare in frigo, in un tessuto appoggiato su uno scolapasta.

Kefir Ingredienti per 1/2 kg circa di Kefir:

• 500ml di latte intero fresco biologico

• grani di kefir*

Procedimento:

Metti i grani del kefir nel latte e lasciali fermentare per un paio di giorni, a temperatura ambiente, nel barattolo chiuso. Osserva cosa succede: quando il siero si separa dalla massa bianca più solida (dopo circa 36/48h), si possono togliere i granuli filtrando la massa in un colino. Il kefir ottenuto si imbottiglia o invasa e si mette in frigo per un paio di giorni, per completare la fermentazione (a questo punto, se si vuole addensare, si può lasciare sgocciolare in un tessuto appoggiato in uno scolapasta), dopo di che si potrà consumare e si conserverà per un paio di settimane.

Con i grani raccolti, invece, potremo far fermentare un nuovo kefir. Ricordati che i grani non vanno mai lavati e devono restare sempre immersi nel liquido.

Se devi partire o sai che per qualche non te ne potrai occupare, puoi far partire una nuova fermentazione e rallentarla mettendola in frigorifero: in questo modo i grani si conservano fino a una decina di giorni. Le fermentazioni successive, però, dovranno sempre avvenire a temperatura ambiente in modo da non uccidere i batteri termofili.

*I grani di kefir, o kefiran, non sono venduti nei negozi: l’unico modo per averli è farseli dare da chi li ha ed è disposto a condividerli con te. Su Facebook trovi gruppi di appassionati e, come per la pasta madre, non ti sarà difficile trovare uno “spacciatore” (a differenza della

pasta madre, però, non è possibile produrre i grani di kefir da zero).