il tempo dell’adempimento nell’obbligazione · in diritto romano è netta la distinzione tra...

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CAPITOLO Il tempo dell’adempimento nell’obbligazione 1. Le tre species di termine dell’obbligazione articoli 1184 -1185 codice civile. L'espressione termine è essenzialmente anfibologica perché essa designa sia un elemento del contenuto negoziale (la prospettazione cronologica delle parti o della legge), sia il momento o periodo di tempo indicato dalla prospettazione 1 . Una essenziale contrapposizione si pone tra termine e data, intendendo la seconda come la collocazione temporale di un fatto giuridico con riferimento ad un giorno del calendario 2 . La parola data non contiene alcun riferimento al concetto della necessità che (entro) un certo giorno del calendario si verifichi o non si verifichi un certo fatto giuridicamente rilevante. Una essenziale distinzione va fatta tra il termine come momento, punto del tempo, e il termine come periodo di tempo. La legge presuppone l'uno o l'altro concetto a seconda del contesto; così nell'art. 1183 c.c. (Tempo dell'a- dempimento) e nelle disposizioni seguenti, sostanzialmente ci si riferisce alla parola termine come punto del tempo e non come periodo; 1 SCHLESINGER , Commentario al Codice Civile,Giufrrè, Milano, 2007, p. 214 e ss. 2 SACCO, Il contratto, in Tratt.dir.civ, diretto da Sacco, tomo 2, Milano, 2004, p. 93 e ss. 1

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Page 1: Il tempo dell’adempimento nell’obbligazione · In diritto romano è netta la distinzione tra dies (momento) e tempus (periodo), quest'ultimo deli- 3 SACCO , DE NOVA, Il contratto

CAPITOLO

Il tempo dell’adempimento nell’obbligazione

1. Le tre species di termine dell’obbligazione articoli 1184 -1185 codice civile.

L'espressione termine è essenzialmente anfibologica perché essa

designa sia un elemento del contenuto negoziale (la prospettazione

cronologica delle parti o della legge), sia il momento o periodo di

tempo indicato dalla prospettazione1. Una essenziale contrapposizione

si pone tra termine e data, intendendo la seconda come la collocazione

temporale di un fatto giuridico con riferimento ad un giorno del

calendario2. La parola data non contiene alcun riferimento al concetto

della necessità che (entro) un certo giorno del calendario si verifichi o

non si verifichi un certo fatto giuridicamente rilevante. Una es senziale

distinzione va fatta tra il termine come momento, punto del tempo, e il

termine come periodo di tempo. La legge presuppone l'uno o l'altro

concetto a seconda del contesto; così nell'art. 1183 c.c. (Tempo dell'a-

dempimento) e nelle disposizioni seguenti, sostanzialmente ci si

riferisce alla parola termine come punto del tempo e non come periodo;

1 SCHLESINGER, Commentario al Codice Civile,Giufrrè, Milano, 2007, p. 214 e ss.2 SACCO, Il contratto, in Tratt.dir.civ, diretto da Sacco, tomo 2, Milano, 2004, p. 93 e ss.

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mentre in altri luoghi (cfr. l'art. 2963 c.c.: «I termini di prescrizione ... si

computano secondo il calendario comune») la parola termine è usata

nel significato di periodo di tempo3. Riguardo al termine inteso come

periodo va sottolineato il diverso significato che la parola può assumere

nelle obbligazioni istantanee e nei rapporti di durata 4. Nelle prime il

termine-periodo indica lo spazio di tempo o intervallo (Zeitraum) nel

quale può aver luogo la prestazione istantanea: il periodo di tempo non

è inteso come durata, ma come spariuni temporis, come indicazione

temporale che considera come fungibili, ai fini dell'adempimento, tutti i

momenti del tempo di cui è composta. Invece, nei rapporti di durata, il

tempo periodo è inteso appunto come durata, come misura nel tempo

della durata della prestazione. In entrambe le accezioni il termine

-periodo viene sempre delimitato e definito da due termini-momento

(iniziale e finale). Termine iniziale e termine finale (dies a quo e dies ad

quem) costituiscono sempre indicazioni di momenti temporali e non di

periodi; indicano il momento iniziale e il momento finale di un periodo

(capo iniziale o finale del termine periodo). In diritto romano è netta la

distinzione tra dies (momento) e tempus (periodo), quest'ultimo deli -

3 SACCO , DE NOVA, Il contratto, in Tratt.dir.civ, diretto da Sacco, tomo 2, Torino, 1993, p. 236 e ss.4 VISENTINI, La reticenza nella formazione dei contratti, CEDAM, Padova, 1972, 330 pp.

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mitato da un dies cedens e un dies veniens.

2. Il termine nei confronti del debitore come termine finaleLa scelta legislativa di non dedicare al termine d'efficacia una disciplina

organica ed una sede specifica, ma invece sparse disposizioni dall'ambito

d'applicazione più o meno incisivamente circoscritto, si giustifica alla luce

del diverso rapporto in cui tale termine può stare con gli interessi delle

parti, e dei diversi problemi che può suscitare a seconda di differenti

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specie e tipologie di contratti e prestazioni che vi siano dedotte. Tale

strategia di «programmatica» incompletezza affida a dottrina e

giurisprudenza, più spiccatamente che in altre materie, il non facile

compito di declinare sistematicamente principi e soluzioni in funzione

della varietà della casistica. A tal fine sono naturalmente propedeutiche la

ricognizione e l'esegesi delle frammentarie, espresse prescrizioni

riguardanti la nostra figura; in una fase logicamente successiva, l'interprete

si muoverà, essenzialmente, tra due «poli d'attrazione», che sono

rappresentati dalle discipline — rispettivamente — del termine di

adempimento e della condizione5.

“Secondo un orientamento largamente seguito in dottrina, la qualificazione

giuridica del termine dovrebbe essere operata in modo diverso a seconda che

esso sia apposto a contratti ad effetti obbligatori ovvero a contratti ad effetti

reali. Infatti, secondo la richiamata dottrina, occorre distinguere il termine

apposto ad un contratto obbligatorio dal termine della obbligazione,

dovendosi ritenere, nella prima ipotesi, che si tratti di termine negoziale

perché attinente all'effetto del negozio, mentre nella seconda ipotesi si tratta

di termine attinente all'adempimento”6. Diversa è la situazione che si viene a

5 DI MAJO GIAQUINTO, L’esecuzione del contratto, Giuffrè, Milano, 1967, p. 71 e ss.

6 GIACOBBE G., Il termine, in Enc Giur. XXXIV, 2004, p. 2365 e ss.,

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determinare nell'ipotesi in cui il termine venga apposto ad un contratto

avente efficacia traslativa o costitutiva di diritti reali. In tale ipotesi, infatti,

qualora al contratto venga apposto un termine iniziale, l'acquirente diventa

proprietario solo al momento della scadenza del termine, mentre nella ipotesi

in cui si tratti di termine finale l'acquirente perderà la titolarità del diritto al

momento della scadenza del termine. Secondo codesta prospettazione, in

relazione alla quale le modalità operative del termine mutano a seconda della

natura del contratto al quale l'elemento accidentale afferisce, corollario della

distinzione è "l'affermazione che anche il negozio traslativo sub die al pari di

quello sottoposto a condizione è produttivo di uno stato di pendenza e che

medio tempore il destinatario dell'acquisto sarà titolare di una mera

aspettativa destinata a convertirsi in effetto pieno solo alla scadenza del

termine”7.

Il richiamo ai contratti con effetto reale propone il problema, cui già si è fatto

riferimento, relativo alla ammissibilità. di configurare il diritto di proprietà

come diritto temporaneo, nell'ipotesi in cui il contratto traslativo del diritto

abbia un termine finale.

La dottrina si è ampiamente interrogata sul punto e sembra avere

manifestato serie perplessità in ordine alla configurabilità, nel nostro

7 Ibidem

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ordinamento di ipotesi di proprietà temporanea: non essendo questa la sede

per affrontare il problema sembra sufficiente averne richiamato l'esistenza

rinviandosi per il necessario approfondimento, ad altra parte di questa opera

8.

Delle norme sul termine di adempimento, si adattano al termine d'efficacia

— in quanto appartenga alla specie dei termini-periodo —quelle sul

computo del tempo. Anche all'idea di una loro «automatica» applicazione

sembra comunque da preferire quella di un vaglio in concreto di interessi e

circostanze9.

Stante la certezza del rapporto negoziale sottoposto a termine iniziale, si

propone di riferire anche ad esso il dettato dell'art. 1185, comma 2: la

prestazione eseguita, mentre ancora l'efficacia del titolo è sospesa, 8 Per quanto attiene al termine iniziale, fermi restando i richiami operati in precedenza, con riferimento alla distinzione tra contratti obbligatorie contratti con effetti reali, è necessario verificare quali siano le posizioni rispettive delle parti nell'ipotesi in cui l'assunzione di una obbligazione o l'acquisizione di un diritto siano sottoposti a termine iniziale. Si è affermato che la disciplina dettata in tema di pendenza della condizione possa e debba essere estesa anche alla diversa ipotesi di pendenza del termine iniziale. Si tratta della possibilità di applicare al termine la disciplina posta, rispettivamente, dall'art. 1356 c.c., a tenore del quale ciascuna delle parti di un contratto sottoposto a condizione — sospensiva o risolutiva — acquisisce una posizione di aspettativa che lo legittima al compimento di atti conservativi di tale situazione; dall'art. 1357 c.c., che si riferisce al compimento, da parte del contraente sottoposto a condizione, di atti di disposizione durante il periodo di pendenza; dall'art. 1358 c.c. che impone il comportamento secondo buona fede. Cfr. GIACOBBE G., op. ult cit.9 Si pensi alla proroga del termine che scada in giorno festivo: la sua operatività potrebbe escludersi invocando gli usi, sulla falsariga di quanto previsto dal c. 2 dell'art. 1187, ma forse pure predicandone, semplicemente, l'incompatibilità rispetto agli interessi manifestati dalle parti nel caso di specie. Cfr. GALGANO, Sull’equitas delle prestazioni contrattuali, in Contr. imp., 1993, III, p. 419 ss.

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fonderebbe un'azione restitutoria solo nei limiti dell'arricchimento

derivante al beneficiario dall'averla ricevuta anticipatamente. L'idea, che

opera nel senso di sottrarre sostanza alla distinzione tra termine d'efficacia

e termine d'adempimento, non pare ricevibile in modo generalizzato;

nell'ipotesi di concessione in godimento, per esempio, la restituzione della

res prematuramente consegnata sembra da ammettersi, a meno che nelle

concrete circostanze non possa ravvisarsi una consensuale modificazione

del regolamento originariamente stabilito10.

La prospettiva di una comunicazione tra disciplina della condizione e

trattamento del termine d'efficacia può sembrare accreditata dalle norme

— estranee alla materia del contratto — sui così detti actus legitimi, le quali

accomunano sistematicamente le due figure: così come previsto per la

condizione (infra, par. 7), sono nulle l'accettazione e la rinuncia all'eredità

fatte «a tempo», né può essere sottoposta a termine l'accettazione della

nomina di esecutore testamentario (artt. 475, c. 2, e 520); il termine, ancora,

si ha per non apposto alla dichiarazione di contrarre matrimonio (art. 108),

di riconoscimento del figlio naturale (art. 257), di istituzione ereditaria (art.

637), nonché alla girata dei titoli di credito all'ordine (art. 2010)11.

10 BRECCIA U., Le obbligazioni, in Trattato di diritto privato, a cura di IUDICA e ZATTI, Milano, 199111 Tra termine negoziale iniziale e condizione sospensiva, in particolare, vi è in comune ciò che entrambi determinano un periodo di « pendenza », nel quale, come già si è

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L'apposizione di un termine iniziale rende il contratto «ad esecuzione

differita»: come tale suscettibile — indipendentemente dall'essere «di

durata» (ad esecuzione protratta nel tempo) — di risoluzione per eccessiva

onerosità sopravvenuta (art. 1467).

Al termine apposto al contratto con effetti reali — frequente nel mondo

della finanza e della borsa — si riferiscono norme del codice chiaramente

ispirate alla logica della retroattività. Così, le disposizioni sulla «vendita a

termine di titoli di credito» (artt. 1531 ss.) largamente rispecchiano l'idea

che l'efficacia del contratto, inizialmente « sospesa», si verifichi poi ex tunc.

Più generalmente, l'art. 1465 prevede al c. 2 che se il trasferimento è

differito fino allo scadere di un termine, il perimento della cosa per causa

non imputabile all'alienante non liberi l'acquirente dall'obbligo di eseguire

la controprestazione. L'opposto -si noti - è stabilito dal c. 4 per il caso di

effetto subordinato a condizione sospensiva: il che ha qualcosa di

paradossale, visto che un «principio di retroattività» è espressamente

enunciato per la condizione dall'art. 1360, c. 1.

Al termine accessorio a contratti ad esecuzione protratta nel tempo si

accennato, il contratto valido non dispiega pienamente la sua efficacia. «Trasponibile» dalla disciplina della condizione al terreno del termine sembra dunque senz'altro la regola (art. 1356) che consente atti conservativi « in presenza di comportamenti che pregiudicano l'utilità dei futuri effetti contrattuali ». Cfr. BRECCIA, Le obbligazioni, in Trattato di diritto privato, a cura di IUDICA e ZATTI, Milano, 1991

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addice per contro l'idea dell'efficacia ex nunc: qui intenzione delle parti,

nel prevedere un termine iniziale, è proprio quella di differire

«l'operatività » del contratto ad un tempo successivo alla sua conclusione;

lo scadere del termine finale, allo stesso modo dell'avveramento della

condizione risolutiva (cfr. art. 1360, c. 2), non avrà di regola effetto rispetto

«alle prestazioni già eseguite».

Nella visione interno al rapporto obbligatorio e quindi nello specifico

momento di adempimento dell’obbligazione il concetto di termine assume

delle valenze abbastanza particolari. E’ regola generale (cfr. art. 1183, c. 1)

che, qualora esso non sia stato determinato dalle parti, il creditore possa

esigere la prestazione immediatamente; e — deve correlativamente ritenersi

— che immediatamente il debitore possa conseguire, adempiendo, la

liberazione. Anche la determinazione di un termine di adempimento si

presenta dunque, in linea di principio, come un elemento accidentale del

regolamento contrattuale. È possibile, tuttavia, che un termine di

adempimento sia necessario per la natura del comportamento dovuto (si

pensi a una prestazione che in se stessa richieda un facere protratto nel

tempo, come nel caso del compimento di un'opera). In tale ipotesi non potrà

più parlarsi di elemento accidentale: sembra da riconoscere, sotto questo

profilo, la non unitarietà del fenomeno designato con l'espressione « termine

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di adempimento». L'art. 1183, c. 1, prevede che quando «gli usi, la natura

della prestazione, il modo o il luogo della sua esecuzione », rendano

necessaria la fissazione di un termine, questo, in mancanza di accordo tra gli

interessati, debba essere determinato dal giudice. Se il termine per

l'adempimento è rimesso alla volontà del debitore, il creditore può ottenere

dal giudice che lo determini « secondo le circostanze»; se è rimesso alla

volontà del creditore, il debitore che intende liberarsi può, egualmente,

ottenerne la fissazione giudiziale (art. 1183, c. 2). Il termine di adempimento

si presume stabilito in favore del debitore (art. 1184), il che significa che il

creditore non potrà esigere la prestazione, e che non potrà sorgere questione

di mora del debitore (artt. 1219 ss.), prima del suo spirare, È anche possibile,

però, che il termine risulti stabilito in favore del creditore (cfr. art. 1185, c. 1):

in tal caso il debitore non potrà pretendere di liberarsi anteriormente, ed è

escluso che precedentemente alla scadenza possa incorrere in mora il

creditore (artt. 1206 ss.). Se poi il termine fosse stato stabilito in favore di

entrambi (ancora art. 1185, c. 1), né il creditore potrà esigere la prestazione

prima della scadenza, né il debitore dolersi che la prestazione non venga,

anteriormente a quel momento, ricevuta12.

12 Il termine per l'adempimento delle obbligazioni va computato secondo le disposizioni dell'art. 2963, in materia di prescrizione, salve diverse pattuizioni degli interessati (art. 1187, c. 1 e 3). Il rinvio — si noti — non può essere riferito ai termini-momento, perché la nozione stessa di « computo », come già si è rilevato, si addice solo ai termini-periodo (quali sono

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A norma dell'art. 2963, c. 2, non si considera «il giorno nel corso del quale

cade il momento iniziale del termine», e la scadenza si fissa nell'«ultimo

istante del giorno finale» (art. 2963, c. 2). Se il termine scade in giorno festivo,

esso è prorogato al primo successivo giorno non festivo.

Se il termine è a mesi, scade nel giorno corrispondente a quello che si

computa per primo, non assumendo rilievo il fatto che, misurata in giorni o

in altra unità inframensile, la durata può risultare, a seconda del periodo del

calendario, differente; se nel mese di scadenza il giorno in questione manca,

il termine spira l'ultimo giorno del mese (per esempio il 28 febbraio) (sempre

art. 2963, c. 5). La disposizione relativa alla proroga del termine che scade in

giorno festivo si osserva tranne che ricorrano usi diversi (art. 1187, c. 2).

Quanto alle specifiche, derogatorie pattuizioni delle parti ammesse dall'art.

1187, c. 3, esse potrebbero prevedere, per esempio, che ai fini di un termine

stabilito a giorni si tenga conto solo dei giorni lavorativi13.

appunto, per definizione, i termini di prescrizione). Cfr. QUADRI E.Le obbligazioni pecuniarie, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 9, I, Utet, Torino, 1999, 519-71613 Sottili questioni di adattamento del dettato dell'art. 2963 potrebbero porsi nell'ipotesi = inconsueta, ma non del tutto estranea alla realtà — in cui il termine (—periodo) di adempimento sia fissato ad ore, o in base ad altra misura di tempo inferiore al giorno. È poi da discutere se ed in che limiti possano desumersi dall'art. 2963 principi applicabili all'eventualità — frequentissima — che il termine di adempimento sia un termine-momento. A nostro avviso, dal c. 2 deve ricavarsi che la scadenza si fissa nell'« ultimo istante» del giorno (o della diversa unità di tempo) stabilito; non sembra invece esservi ragione per ritenere generalmente operante una proroga del termine-momento fissato in giorno festivo. La disposizione (art. 2963, c. 1) secondo la quale si segue il « calendario comune », vale a dire il calendario gregoriano, sembra per i termini-momento sostanzialmente irrilevante: perché essi si riferiranno, nella stragrande maggioranza dei casi, proprio a una data di tale

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Una particolare specie di termine di adempimento è rappresentata dal «

termine essenziale » di cui all'art. 1457, e cioè dal termine scaduto il quale

debba ritenersi, in relazione alla natura della prestazione, che il creditore non

abbia più interesse a riceverla; nei contratti sinallagmatici, il vano spirare di

tale termine comporta risoluzione di diritto, salvo che il creditore non

dichiari entro tre giorni di volere egualmente l'esecuzione14.

Disposizioni importanti in materia di termine di adempimento sono dettate

dagli artt. 1185, c. 2, e 1186. A norma del primo, il debitore non può ripetere

la prestazione eseguita anticipatamente, anche se ignorava l'esistenza del

termine; in armonia con l'art. 2041, egli può solo ottenere, « nei limiti della

perdita subita, ciò di cui il creditore si è arricchito per effetto del pagamento

anticipato», e così il valore del godimento delle reso del danaro nel tempo

intercorrente tra il pagamento e l'effettiva scadenza del termine.

L'art. 1186 stabilisce che quantunque il termine operi, com'è di regola, a

calendario; e perché non appare comunque illecito che le parti fissino il tempo dell'adempimento su un calendario diverso. Cfr. CARRESI, Il contratto, in Trattato dir. civ. e comm., già diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, 1987, XXI, t. 2, p. 71614 GRASSO, Termine (dir. civ.) — termine essenziale, in Enc. Giur. Treccani, XXXI, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1994, ad vocem, 1 ss.; DI MAJO, Termine, cit., 202 ss.Fuori dal caso del termine essenziale, il principio per cui un inadempimento di « scarsa importanza » non giustifica la risoluzione del contratto (art. 1455) supplisce indirettamente — si è osservato — alla mancanza nel giudice del potere di concedere equitativamente al debitore, come è possibile in altri ordinamenti, termini dilatori. Dell'espressione termine di grazia, o aequitatis causa, si suggerisce di far uso anche presso di noi per designare alcune ipotesi di termine giudiziale « non riconducibili al modulo generale » (cfr. artt. 1512, c. 2, 1771, c. 2, etc.): si veda, su tutto ciò, ancora Di MAJO, Termine, cit., 214 ss

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beneficio del debitore, il creditore può esigere immediatamente la

prestazione se l'obbligato è divenuto insolvente o ha diminuito per fatto

proprio le garanzie che aveva date, oppure ancora se non ha date le garanzie

che aveva promesse. L'insolvenza consiste in una situazione di dissesto

economico che faccia apparire probabile l'inadempimento, e può desumersi

dall'inadempimento di altre obbligazioni; diversamente che in materia

fallimentare, essa rileva qui indipendentemente dalla circostanza che il

debitore rivesta la qualità di imprenditore.

3. La diversa valenza per il creditore: fusione di elementi sospensiviIl termine può essere in primo luogo apposto ad un contratto ad effetti

obbligatori15. Secondo una ormai consolidata tradizione esegetica, il termine

15 Si immagini per esempio un contratto di locazione o di comodato con termine iniziale, e così via. Nulla impedisce ovviamente chele parti stipulino un contratto di locazione con decorrenza a partire da una data successiva rispetto a quella di conclusione del contratto, per esempio a partire dal I' gennaio dell'anno successivo. Molto semplicemente si tratterà di un contratto ad esecuzione differita, e come tale soggetto alle regole previste dal legislatore per questa categoria di contratti (art. 1467 e. e.). Fino a quella data il contratto resterà sospeso; questo non toglie peraltro che le parti abbiano previsto alcuni effetti immediati, come per esempio obblighi di ristrutturazione a carico del locatore, e così via. Fermo restando ancora i normali doveri di buona fede tipici della pendenza, finalizzati a non pregiudicare le ragioni del conduttore. Il caso non deve essere ovviamente confuso con quello di una normale ob-

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costituisce una clausola del contratto attraverso la quale le parti definiscono

il momento iniziale o il momento finale della determinazione- degli effetti —

e quindi del rapporto — derivanti dal contratto.

Si tratta di un aspetto della classificazione degli elementi accidentali del

contratto, i quali, secondo una tradizione che risale al diritto romano, vanno

individuati in quegli elementi meramente eventuali del contratto, che nel

contratto vengono inclusi per volontà delle partì e che sono destinati ad agire

non sulla validità ma sulla efficacia del contratto.

Secondo tale prospettiva, infatti, "il termine è l'indicazione del tempo nel

quale si collocano gli effetti del contratto". Pertanto, come si è già osservato,

la categoria . del termine si inserisce nella tradizionale distinzione tra

elementi essenziali, elementi naturali, ed elementi accidentali del negozio

giuridico, conducendosi la operatività di esso all'esercizio dell'autonomia

negoziale privata, e, segnatamente, a quell'aspetto di essa che trova il suo

fondamento nel primo comma dell'art. 1322 c.c.: le parti, nella

programmazione dell'assetto degli interessi realizzato attraverso lo

strumento negoziale — tipico o atipico — inseriscono un momento

bligazione soggetta a termine, come per esempio l'obbligo di pagare il corrispettivo, o di restituire una somma ricevuta a mutuo. Parimenti nulla impedisce alle parti di far decorrere gli effetti del contratto, si pensi per esempio ad un contratto di locazione, a far data da un tempo precedente a quello della effettiva conclusione. Cfr. GIACOBBE G., Lezioni di diritto privato, Giappichelli, 2006, p. 83 e ss.

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temporale incidente sulla efficacia dell'atto, essendo incontestato che la

rilevanza del termine non incide sulla validità dell'atto stesso. Nel quadro

della classificazione del termine come elemento accidentale del contratto si

opera la distinzione tra termine iniziale e termine finale: tale distinzione deve

essere coordinata con la diversa distinzione tra contratto come atto, che si

identifica nell'accordo delle parti, secondo lo schema normativo di cui all'art.

1321 c.c. — e per gli atti unilaterali nella manifestazione di volontà cui si

richiama l'art. 1324 c.c. — e contratto come rapporto, con il quale si definisce

il complesso delle situazioni giuridiche soggettive, attive e passive —

rapporto giuridico patrimoniale, secondo il dato testuale dell'art. 1321 c.c. —

che conseguono all'accordo tra le parti.

Secondo tale distinzione il termine iniziale incide sul primo, sospendendone

l'efficacia, il termine finale opera sul secondo, ponendogli fine.

Si tratta di una classificazione che ha costituito oggetto di discussione da

parte della dottrina, sotto il profilo prevalentemente terminologico,

proponendosi una diversa classificazione, soprattutto in relazione al termine

iniziale che viene talvolta qualificato come termine sospensivo; mentre, con

riferimento al termine finale — o dies ad quem — si usa anche l'espressione

termine risolutivo, per significare che al verificarsi di esso viene meno il rap-

porto che è stato determinato attraverso il contratto.

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“La qualificazione del termine per indicare il venir meno degli effetti

giuridici dell'atto si ricollega, come pure si è fatto cenno, alla diversa

dimensione del decorso del tempo nella definizione dei rapporti di durata, e

segnatamente della cosiddetta proprietà temporanea.

Una ultima notazione sembra debba essere prospettata, rinviandosi per il

relativo approfondimento ad altre parti di questa opera, relativamente alla

distinzione tra termine del contratto, inteso come momento del tempo dal

quale, in attuazione dell'autonomia negoziale si fanno dipendere gli effetti

del contratto medesimo ovvero il venir meno di essi, termine per

l'adempimento, che attiene alla disciplina del tempo dell'adempimento e

termine dell'obbligazione che attiene alla classificazione del rapporto ob-

bligatorio cosiddetto sub die16.

Occorre sottolineare mentre un tempo si era dubitato che l'obbligazione

sottoposta a termine fosse già effettivamente esistente, attualmente prevale

l'opinione che la presenza di un termine non vale a snaturare l'obbligazione,

che sorge a far data dal momento in cui si verifica un fatto idoneo a produrla;

questo è conforme sia al principio per cui l'obbligazione soggetta a termine è

suscettibile di alienazione, sia al principio per cui il pagamento anticipato

non costituisce indebito, salvo il diritto a ripetere l’interursium (art 1185, 2°

16 GIACOBBE G., Lezioni di diritto privato, Giappichelli Torino, 2006, p. 83 e ss.

16

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co., c.c.)17.

Il termine iniziale può altresì essere apposto ad un contratto ad effetti reali,

come per esempio un contratto traslativo della proprietà, o un contratto

costitutivo di un diritto di usufrutto.

Il legislatore detta a questo proposito una norma specifica, vale a dire l'art.

1465, 2° co., c.c., ai sensi della quale durante la pendenza del termine il

rischio relativo al perimento fortuito del bene grava sull'acquirente; come

possiamo ricordare l'art. 1465, 4° co., c.c. detta la regola opposta in caso di

contratto di acquisto sottoposto a condizione sospensiva.

Nei casi di questo genere sarà l'intera efficacia del contratto ad essere dif-

ferita ad un tempo successivo, per esempio quando sarà morto l'attuale

titolare del diritto di usufrutto. Salvo che ovviamente le parti non abbiano

disposto diversamente, anticipando o differendo, solo alcuni effetti reali o

obbligatori del contratto.

Il termine finale può ovviamente essere apposto anche ad un contratto ad

efficacia reale; si pensi per esempio ad un contratto costitutivo di un diritto

di usufrutto per tutta la vita dell'usufruttuario, fino ad una certa data.

Semmai qualche problema potrebbe sorgere nel caso in cui si tratti di un

termine eccessivamente lungo o indeterminato. Si pensi per esempio a regole

17 GIACOBBE G., Lezioni di diritto privato, Giappichelli Torino, 2006, p. 83 e ss.

17

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come quella che vieta di costituire un diritto di usufrutto a favore di persone

giuridiche per una durata superiore e trent'anni (art. 979, 2° co., c.c.), e così

via. Termini più lunghi sono viceversa tradizionalmente ammessi in materia

di diritto di superficie.

B) Più delicato è il discorso relativamente alla proprietà. Ferma infatti la

possibilità che ad un contratto traslativo venga apposto un termine iniziale,

più dubbia è la possibilità di apposizione di un termine finale. Il problema

viene ovviamente ad intersecarsi con quello relativo all'ammissibilità di una

proprietà temporanea.

Mentre la dottrina tradizionale si era espressa contro la configurabilità di una

proprietà limitata nel tempo18, la quale colliderebbe con il carattere di per-

petuità della proprietà, la dottrina più recente ha per lo più ammesso la

configurabilità teorica di una proprietà limitata nel tempo.

Figura affine, ma diversa rispetto alla proprietà risolubile, vale a dire

sottoposta a condizione risolutiva; esempi di proprietà temporanea sarebbero

per esempio ravvisabili in materia di proprietà superficiaria, fedecommessi, e

così via19.

Il problema maggiore che semmai si incontra in sede di ricostruzione dog-

18 DE MARTINO, Della proprietà, Bologna- Roma, 1976, 15019 FRANZONI, Degli effetti del contratto, in Comm. cod. civ. diretto da Schlesinger, II, Giuffrè, Milano, XII-512, 1999, p. 214 e ss.

18

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matica della categoria della proprietà temporanea è quello di distinguere la

figura in questione dall'usufrutto. Nella tradizione giuridica romanistica

esiste infatti una figura, vale dire l'usufrutto, che già di per sé costituisce una

figura che presenta notevoli affinità con la c.d. proprietà temporanea. In

questa prospettiva in sede di ricostruzione teorica della figura in oggetto un

punto di riferimento obbligato è sicuramente costituito dall'usufrutto20.

In particolare una delle difficoltà maggiori consiste nel coordinare tra loro

più proprietà temporanee successive nel tempo, scongiurando il rischio che il

proprietario interinale non sia incentivato ad effettuare investimenti di lunga

durata, trascuri la manutenzione, deteriori o esaurisca la risorsa in oggetto,

proprio in prospettiva di una limitata durata nel tempo del suo godimento.

Proprio per scongiurare un tale rischio in materia di usufrutto è previsto il

divieto di mutamento di destinazione economica del bene (art. 981, 1° co.,

c.c.). Regola che di fatto può ingessare l'usufrutto ed impedire trasformazioni

in senso più produttivo, del bene, ma che per l'appunto è finalizzata a

scongiurare il rischio di un'eventuale impoverimento della risorsa a scapito

dei titolari successivi.

In conformità ai principi generali anche il termine deve essere determinato o

determinabile. Il termine può essere in primo luogo determinato dalle parti

20 GALGANO, Sull’equitas delle prestazioni contrattuali, in Contr. imp., 1993, III, p. 419 ss.

19

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stesse21, o in mancanza risultare dagli usi o dalla legge22.

A) In materia di obbligazioni il legislatore disciplina analiticamente le

modalità di determinazione del termine dell'adempimento. In

particolare, ove il termine dell'adempimento non risulti altrimenti

determinabile, si fa ricorso alla determinazione giudiziale (art. 1183

c.c.)23.

In queste condizioni ci si può ovviamente domandare se una tale disciplina

sia applicabile o meno anche al termine del contratto. La risposta non può

che essere positiva; in caso contrario, ove le parti, la legge o gli usi non

dispongano, non vi sarebbe modo di precisare il tempo dell'esecuzione del

contratto. Ne consegue pertanto che sotto questo profilo è possibile ravvisare

un'identità di disciplina tra termine dell'obbligazione e termine del contratto.

Si consideri ancora che secondo la giurisprudenza ogni qualvolta sia già

decorso un lasso di tempo tale da superare ogni limite di normale tolleranza,

non occorre più procedere a fissazione giudiziale24. Sotto questo profilo si

21 Anche indirettamente da altre clausole del contratto Casa., 19.8.1996, n. 7604, Ass., 1997, II, 2,13122 GALGANO, Sull’equitas delle prestazioni contrattuali, in Contr. imp., 1993, III, p. 419 ss.23 SCOCA, Il termine giudiziale nello adempimento delle obbligazioni della pubblica amministrazione, Milano, 1965, p. 71 e ss.

24 Cass., 19.3.1980, n. 1827; Cass., 19.3.1981, n. 1647; Cass., 24.9.1981, n. 5173: Cass., 5.11.1985, n. 5360; App. Cagliari, 7.2.1987, RGSarda, 1989, 14; Cass., 14.11.1989, n. 4841; Cass., 23.7.1991, n. 8199; in materia di preliminare: Casa., 29.8.1991, n. 9224, FI, 1992,1, 2484; Cass., 10.12.2001, n. 15587; Casa., 27.1.2003, n. 1149

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può quindi notare un prefetto parallelismo con le regole applicate in materia

di termine apposto ad una condizione.

B) In materia di contratti di durata è ovviamente importante determinare

non solo il temine iniziale, ma anche quello finale del contratto. Anche

in questo caso il termine finale può risultare dalla volontà delle parti,

dalla legge o dagli usi.

In mancanza soccorre la disciplina del recesso (art. 1373 c.c.). H recesso a sua

volta può essere convenzionale o legale.

1) Il recesso convenzionale consente a ciascuna parte di recedere dal con-

tratto, nel caso in cui i contraenti abbiano previsto una tale eventualità

fin dal momento della conclusione del contratto. Il recesso si configura

come un vero e proprio diritto potestativo, al cui esercizio la

controparte deve necessariamente sottostare. Spesso il diritto di

recesso è subordinato al pagamento di un corrispettivo (caparra

penitenziale: art. 1386 c.c.); nei casi di questo genere il recedente perde

la caparra data o deve restituire il doppio dì quella che ha ricevuto

(art. 1386, 2° co., c.c.). Nei contratti ad esecuzione continuata o

periodica, il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in

corso di esecuzione (art. 1373, 2° co., c.c.).

2) Oltre ai casi in cui sono le parti stesse ad aver previsto un diritto di re-

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cesso per una di esse o per entrambe, è lo stesso legislatore ad aver

previsto in un certo numero di casi la possibilità di recesso unilaterale.

In primo luogo nei contratti di durata, senza predeterminazione di un ter-

mine finale, rientra sempre nelle facoltà delle parti porre fine al rapporto con

un congruo preavviso (art. 1373, 2° co., c.c.). Questo principio è

specificamente enunciato in materia di contratto di somministrazione (art.

1569 c.c.), contratto di agenzia (art. 1750, 2° co., c.c.), comodato (art. 1810 c.c.),

conto corrente (art. 1833, 1° co., c.c.), e così via.

Il legislatore vuole infatti evitare i vincoli eccessivamente lunghi nel tempo, o

di durata indeterminata, per il timore che possano limitare eccessivamente la

libertà individuale. Nel contempo occorre però anche tutelare l'affidamento

ingenerato dal vincolo nell'altro contraente. Si pensi per esempio ad un

contratto di somministrazione di pane concluso tra un ristorante ed una

panetteria a tempo indeterminato. Se una delle due parti decide di porre fine

al rapporto ha ovviamente l'onere di rendere nota la sua decisione alla

controparte con un congruo preavviso, in modo tale da poterle consentire di

provvedere altrimenti al soddisfacimento dei suoi bisogni. L'esercizio del

diritto di recesso, sebbene sia in linea di principio libero, non può però essere

esercitato in modo arbitrario o per futili motivi, o peggio ancora al solo fine

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di recare danno alla controparte25.

Ai sensi della legge sulla subfornitura, anche l'interruzione arbitraria delle

relazioni commerciali in atto non è consentita (art. 9, 1. 18.6.1998, n. 192).

Parimenti, nel caso in cui sia attribuito un termine di preavviso eccessiva-

mente breve, questo può essere prolungato dal giudice.

C) Ancora diverso è il problema se sia possibile assumere obbligazioni

senza determinazione di termine finale26. In generale il sistema 25 In giurisprudenza è infatti ricorrente l'affermazione in base alla quale il recesso è in contrasto con la buona fede, se prima di esso, si è tenuto un comportamento tale da indurre l'altro contraente a far affidamento sulla prosecuzione del rapporto contrattuale. Cfr. Cass., 23.7.1991, n. 8199; in materia di preliminare: Cass., 29.8.1991, n. 9224, For. It, 1992,II, 2484; Cass., 10.12.2001, n. 15587; Casa., 27.1.2003, n. 1149

26 Alcune sentenze, peraltro ormai risalenti, sembravano ammettere la possibilità di obbli-gazioni perpetue. Cass., 29.1.1941, For It., 1941, I, 1224: « E’ammissibile la perpetuità della c. d. locazione d'acqua, la quale è nettamente distinta dal vero contratto di locazione, costituendo un diritto reale la somministrazione dell'acqua, che torna a vantaggio dei fondi piuttosto che dei proprietari di essi, e rappresentando la corresponsione del prezzo un elemento ad un tempo obbligatorio e reale, in quanto segue la prestazione dell'acqua di cui è un accessorio»; nel testo si considera ulteriormente «... la presenza di elementi reali ed obbligatori. £ elemento reale il rapporto centrale, nucleare, di somministrazione dell'acqua, il quale affetta i più che i proprietari di essi: E’ elemento obbligatorio quello della correspon-sione del prezzo dell'acqua; ma che ha, a sua volta, natura reale, in quanto segue quello principale della corresponsione dell'acqua, di cui non è che un accessorio. Un altro caso deciso dal Tribunale di Brescia si riferiva ad una clausola testamentaria, che lasciava al parroco il diritto di godimento di alcuni locali adibiti ad asilo, senza determinazione di termine finale; era pertanto sorta questione circa la natura, reale o personale del diritto con-ferito, nonché circa il suo carattere perpetuo o meno. In primo grado la giurisprudenza non ha esitato a configurare un'obbligazione propter rem, perpetua: Trib. Brescia, 4.5.1946, GI, 1947, I, 2, 181: «Non costituisce legato di usufrutto, ma dà origine alla costituzione di una obligatio propter rem il lascito con il quale il testatore fa obbligo al legatario di lasciar godere, senza limiti di tempo, parte di un immobile ad uso di opere parrocchiali» , con nota anonima, ma attribuita a Trabucchi, il quale considera pericoloso e non ammissibile il ricorso alla figura delle obbligazioni propter rem; in senso favorevole invece CONTURSI LISI, Successioni testamentarie, RTPC, 1948, 912, 914; in seguito la Corte di Appello doveva però

23

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evidenzia un certo sfavore nei confronti dei rapporti a tempo

indeterminato; lo si vede sia in materia di diritti reali (art. 979 c.c.), che

di diritti personali di godimento (art. 1573 c.c.), dove il legislatore

pone generalmente limiti massimi di durata, che normalmente non

eccedono la vita del beneficiario, o trent'anni.

Ove poi non è previsto un limite massimo di durata, tenuto conto della na-

rigettare la costruzione del Tribunale: App. Brescia, 1.10.1947, Giust. It., 1949, I, 2, 147: «Non costituisce obligatio propter rem il lascito col quale il testatore fa obbligo al legatario di lasciar godere, senza limiti di tempo, parte di un immobile ad uso di, opere parrocchiali. Trattasi di un'obbligazione personale a carattere personale, trasmissibile ai successori soltanto a titolo personale, e non costituente un diritto, un onere o comunque un vincolo reale sulla cosa; con la conseguenza che, se i legatari cessassero di adempiere la suddetta obbligazione o non assicurassero l'adempimento da parte dei loro successoria titolo particolare, sarebbero tenuti al risarcimento dei danni »; anche questa decisione è stata oggetto di critica da parte di SALVI F, Perpetuità di un diritto di godimento?, RTPC, 1949, 192, 201, 203, il quale ritiene più opportuno far riferimento alla figura dell'uso; soluzione poi sostanzialmente accolta da parte della Corte di Cassazione: Casa., 20.4.1950, n. 1056, For It, 1950, I, 529; GI, 1950, I, 1, 652: «Non è valido, neppure se assume la figura dell'obbligazionte propter rem, un rapporto obbligatorio che disintegri in perpetuo il diritto di proprietà dal suo contenuto economico. Il diritto di uso ha per oggetto il godimento della cosa circoscritto all'un, e può essere limitato da un modus che destini l'utilità, che esso attribuisce a fini determinati ». Si veda inoltre Cass., 30.5.1969, n. 1911, T , 1974, 29: «Nell'esercizio del loro potere di autonomia le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto in relazione anche alla durata di esso nei limiti imposti dalla legge. Questo, in effetti, spesso limitala durata dei contratti tipici da essa regolati (arti. 1573, 1607, 1629, 1962 c. c.), ma, ove limiti non siano stabiliti, il contratto obbligatorio può essere voluto anche come perpetuo »; con nota di DI PAOLO, Sull'ammissibilità di un'obbligazione perpetua; nei casi d questo genere non può però non essere sottinteso il diritto di recesso unilaterale, analogamente a quanto previsto dall'art. 1373, 2° co., c.c. La giurisprudenza consente inoltre il ricorso alla risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ove si tratti di obbligazioni perpetue: Cass., 13.3.1950, n. 649, For Ita, 1950, I, 1314: «La risoluzione per eccessiva onerosità è applicabile ai contratti aventi per oggetto una prestazione perpetua, quando la modificazione dell'equilibrio contrattuale dipenda da avvenimenti di portata storica eccezionale, i quali superino quell'ampia previsione di perturbazioni, nel rapporto tra le due prestazioni, che è propria dei contratti senza limite di durata».

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tura del rapporto, è generalmente previsto il diritto di recesso. Ne consegue

che anche in mancanza di espressa previsione legislativa è possibile ritenere

che in assenza di indicazione di termine finale siano astrattamente

percorribili quattro strade: a) applicazione analogica delle norme sui termini

legali, con conseguente riduzione del termine di durata (artt. 979, 1573, 1607,

1629, 1962 c.c.); b) riconoscimento del diritto di recesso, in quanto

espressione di un principio generale, ancorché non specificamente previsto

(art. 1373, 2° co., c.c.); c) determinazione giudiziale del termine (art. 1183 c.c.);

d) ed infine nullità della clausola che prevede obbligazioni senza termine

finale di durata.

Il temine, oltre che determinato o determinabile, deve altresì essere possibile.

In caso contrario l'adempimento non potrebbe avere luogo. L'impossibilità

può dipendere da varie circostanze, come per esempio quando viene indicato

un termine che si è già verificato, o che non si potrà mai verificare, come per

esempio il 30 febbraio, o eccessivamente lungo, se rapportato alle normali

possibilità umane di sopravvivenza.

Nei casi di questo genere la dottrina tradizionale, in conformità del disposto

dell'art. 1354, 2° co., c.c., riteneva che il contratto fosse nullo27.

In realtà si tratta di una soluzione che non può essere fatta derivare dal

27 ALLARA, La proprietà temporanea, in Circ Giur., 1930, III, p. 61 e ss.

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disposto dell'art. 1354, 2° co., c.c., dettato in materia di condizione

sospensiva, tenuto conto del suo carattere eccezionale. Semmai si tratterebbe

di far riferimento ai principi generali ed in particolare al disposto dell'art.

1419 c.c.. In questa prospettiva la nullità della clausola sul temine travolgerà

l'intero contratto, salva la prova che le parti lo avrebbero concluso

ugualmente, con conseguente possibilità di procedere a fissazione giudiziale

del termine.

Da un altro punto di vista potrebbe distinguersi a seconda che l'impossibilità

del termine sia voluta dalle parti o frutto di errore; con conseguente

invalidità del contratto nel primo caso e rettifica nel secondo

- Diverso è il caso in cui l'evento a cui le parti avevano ricollegato il

tempo dell'esecuzione del contratto, originariamente possibile, diventi

impossibile. Nei casi di questo genere può ritenersi che il termine

debba considerarsi già maturato.

- Ancora diverso è il caso in cui nei contratti di durata le parti abbiano

previsto un termine eccessivamente lungo. Si pensi per esempio ad un

contratto di somministrazione per il quale sia prevista una durata di

99 anni. Nei casi di questo genere può ritenersi nulla la clausola in

oggetto per violazione dell'ordine pubblico, con conseguente

ammissibilità del recesso (art. 1373 c.c.).

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4. Il termine nella visione del creditore e del debitore.Agevole risulta la ricostruzione del termine dell'adempimento, tenuto conto

della specifica disciplina legislativa di cui agli artt. 1183 ss. Nel caso in cui si

tratti di obbligazioni di durata occorrerà sapere il termine iniziale e finale

dell'adempimento; negli altri casi sarà sufficiente conoscere il tempo in cui

deve aver luogo l'adempimento. Normalmente il tempo dell'adempimento è

determinato dal titolo sul quale si basa l'obbligazione, o è determinato di

comune accordo dalle parti28.

Se per l'adempimento è previsto un termine, questo si presume a favore del

debitore, qualora non risulti stabilito a favore del creditore o di entrambi (art.

1184 c.c.). Se manca l'indicazione del tempo in cui la prestazione deve essere

eseguita, il creditore può esigerla immediatamente (art. 1183, 1° co., c.c.)29.

28 La parti di comune accordo, possono anche decidere di far decorrere il termine dell'adempimento da una data precedente a quella di stipulazione del contratto: Cass., 27.2.1995, n. 2290, in For. It., 1997, III, 256 e ss.29 FERRONI, Il termine nei contratti ad effetti obbligatori, Napoli, 1989, p. 71 e ss.

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Qualora tuttavia, in virtù degli usi, della natura della prestazione o del luogo

dell'adempimento, sia necessario fissare un termine, questo, in mancanza di

accordo delle parti, è stabilito dal giudice (art. 1183, 1° co., c.c.)30. Secondo

alcuni si tratterebbe di una pronuncia costitutiva; secondo altri, sulla base

del presupposto che in ogni caso sarebbe possibile ravvisare la presenza di

un termine implicito, si tratterebbe di una pronuncia dichiarativa.

Se viceversa la fissazione del termine per l'adempimento è rimesso alla

volontà del debitore, spetta ugualmente al giudice di stabilirlo secondo le

circostanze; parimenti, se il termine è rimesso alla volontà del creditore, il

termine può essere fissato su istanza del debitore che intende liberarsi (art.

1183, 2° co., c.c.)31.

In termini del tutto generali il creditore non può esigere la prestazione prima

della scadenza, salvo che il termine sia stabilito esclusivamente in suo favore

(art. 1185, 1° ce., c.c.). Il debitore non è peraltro legittimato a ripetere ciò che

ha pagato anticipatamente, anche se ignorava l'esistenza del termine. In

questi casi egli può però ripetere, nei limiti della perdita subita, ciò di cui il

creditore si è arricchito per effetto del pagamento anticipato (art. 1185, 2° co.,

c.c.).

30 DI MAIO, Rilevanza del termine e poteri del giudice, Milano, 1972, p. 71 e ss.31 ROPPO, Contratto, Milano, 2002, p. 93 e ss. DI MAIO, Rilevanza del termine e poteri del giudice, Milano, 1972, p. 71 e ss.

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Anche nel caso in cui il termine sia stabilito a favore del debitore, il creditore

può esigere immediatamente la prestazione se il debitore è divenuto

insolvente o ha diminuito, per fatto proprio, le garanzie che aveva dato o non

ha dato le garanzie che aveva promesso (art. 1186 c.c.); a questi fini occorre

una specifica manifestazione di volontà del creditore.

Il codice Napoleone, consentiva altresì al giudice di concedere ulteriori di-

lazioni a seconda delle circostanze (art. 1244). Il codice del 1942, come del

resto in precedenza già il codice del 1865, discostandosi rispetto a questa

tradizione, ha abolito il termine di grazia, con conseguente riduzione dei

poteri discrezionali dei giudici32.

Per quel che riguarda le modalità di computo del termine l'art. 1187, lo co.,

c.c. rinvia a quanto stabilito dall'art. 2963 c.c. in materia di prescrizione.32 Pur nella doverosa valutazione delle prospettate perplessità, sembra tuttavia che alle situazioni che caratterizzano la operatività del termine, sia esso iniziale o finale, debba comunque essere applicata una specifica disciplina che abbia come punto di riferimento la tutela della posizione delle parti in relazione alla esigenza di realizzare gli interessi programmati nel momento in cui, al verificarsi del termine, si determino gli effetti del contratto, ovvero si operi il venir meno di tali effetti. Che tale regime di tutela sia riconducibile ad altre previsioni normative, rispettivamente attinenti al contratto obbligatorio — e quindi al relativo rapporto — ovvero al contratto traslativo di diritti reali, potrebbe essere indifferente, atteso che, sul piano operativo, non diversi dovrebbero esseri considerati gli effetti giuridici. Corollario di questa impostazione sembra potere essere indi-viduato nella legittimità di applicazione analogica, nei limiti della compatibilità, delle regole dettate per la disciplina della condizione anche al termine.Codesta conclusione sembra trovi riscontro nella opinione secondo cui, in pendenza del termine iniziale di efficacia, si determina una situazione prodromica, caratterizzata dal prodursi di effetti giuridici volti a tutelare o semplificare la realizzazione degli effetti definitivi. GIACOBBE G., Il termine, in Enc Giur., XXXVI Treccani, p. 236 e ss.

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I termini devono in primo luogo essere computati secondo il calendario co-

mune (art. 2963, 1°comma, c.c.). Non si computa inoltre mai il giorno nel

corso del quale cade il momento iniziale del termine, e si computa l'ultimo

(art. 2963, 2° co., c.c.). Il termine scade in altre parole con lo spirare

dell'ultimo istante del giorno finale.

Se il termine cade in giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente

non festivo (art. 2963, 3° co., c.c.)33.

Queste disposizioni sono peraltro liberamente derogabili dai contraenti, che

possono prevedere regole differenti per il computo dei termini. Parimenti su

tali regole possono prevalere usi negoziali differenti. Ciò detto, iniziano i

primi problemi. Si tratta infatti di capire se abbia senso o meno porsi un

problema di autonoma rilevanza del termine del contratto, rispetto a quello

dell'obbligazione. Sebbene, il codice civile italiano del 1942 non abbia distinto

tra termine dell'adempimento e termine del contratto, e sebbene non tutti gli

autori si siano espressi in senso favorevole alla distinzione, sembra

preferibile non confondere i due tipi di termini, anche se in concreto a volte 33 Se il termine è a mese, esso scade nel giorno corrispondente a quello del mese iniziale; per esempio il termine di un mese a partire dal 1° giugno termina alla mezzanotte del I' luglio, e così via (art. 2963, 4° co., c.c.). Se nel mese di scadenza manca tale giorno, il termine si compie con l'ultimo giorno dello stesso mese; per esempio un termine di un mese con decorrenza 30 gennaio scade il 28 febbraio (art. 2963, 5° co., c.c.). Cfr. CARRESI, Il contratto, in Trattato dir. civ. e comm., già diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, 1987, XXI, t. 2, p. 716

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le due figure possono sovrapporsi.

Da un punto di vista concettuale non è infatti difficile rendersi conto che una

cosa è subordinare l'intera efficacia di un contratto ad un termine futuro,

un'altra cosa è limitarsi a prevedere un temine per l'adempimento di singole

obbligazioni. Si immagini per esempio un contratto di compravendita; le

parti possono differirne integralmente gli effetti ad un evento futuro, quando

compirai 18 anni, oppure limitarsi a dilazionare il pagamento in più rate

successive. Nel primo caso si tratta di un termine del contratto, nel secondo

di un termine dell'obbligazione. Ciò premesso si tratta di ricostruire in via

interpretativa la disciplina a cui sottoporre il termine del contratto. A questi

fini può essere opportuno distinguere a seconda che si tratti di termine

iniziale o finale, nonché di contratti ad efficacia obbligatoria o reale34.

La giurisprudenza35 si pone lungo questa linea di distinzione tra termine,

come elemento accidentale del contratto e momento del tempo relativo alla

individuazione di uno degli aspetti dell'adempimento, precisando che,

qualora nella stipulazione di un contratto i contraenti abbiano correlato ad

un evento futuro non l'efficacia del vincolo, come accade nel caso del negozio

condizionato, ma solo il tempo dell'adempimento di una determinata

prestazione, non sono invocabili principi inerenti alla condizione o al termine

34 GIACOBBE G., Il termine, in Enc Giur., XXXVI Treccami, p. 236 e ss. 35 Cass., 14 aprile 2000, n. 4853 in Giur. Civ., 2000, III, 79 e ss.

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quali elementi accidentali del negozio incidenti sulla sua efficacia, e rimane

applicabile la disciplina sul tempo dell'adempimento di cui agli arti. 1183 ss.

c.c.36, con la conseguenza che il termine per l'adempimento medesimo deve

ritenersi maturato con il verificarsi dell'evento che può essere costituito

anche dalla prestazione della controparte, ovvero dal compimento di

determinate attività in suo favore"37.

L'indirizzo espresso dalla richiamata sentenza della Corte di Cassazione

trova riscontro nella giurisprudenza di merito, secondo la quale, qualora

l'evento preso in considerazione dalle parti abbia riferimento alla fissazione

del momento in cui una delle obbligazioni corrispettive debba essere

eseguita, presupponendosi un contratto pienamente efficace si è al di fuori

della disciplina degli elementi accidentali del contratto, e segnatamente del

termine, i quali riguardano l'avvenimento dal quale o fino al quale il negozio

giuridico produce i suoi effetti e cioè l'inizio o la fine dell'efficacia del

negozio stesso38. Non sembrando questa la sede per approfondire il dibattito,

La funzione sotto il profilo della terminologia — che peraltro, ha anche

rilievo del termine iniziale e del per la individuazione della funzione del —

sembra opportuno mantenersi nell'ambito della distinzione tra termine

36 CARRESI, Il contratto, in Trattato dir. civ. e comm., già diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, 1987, XXI, t. 2, p. 71637 GIACOBBE, Il termine, in Enc Giur., XXXVI Treccami, p. 236 e ss. 38 App. Lecce, 9 luglio 1996, in Arch. civ., 1997, III, 1113

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iniziale e termine finale, per individuare nel primo la funzione di differire

l'operatività del contratto, che normalmente coincide con la conclusione, ad

un tempo più lontano, e nel secondo la funzione di definire la misura

cronologica del vincolo e dell'impegno contrattuale.

Dunque, la tradizionale e fondamentale distinzione tra termine iniziale e

termine finale attiene alla definizione degli effetti del contratto ed al

collegamento tra tali effetti e il decorso del tempo. A questa tradizionale

classificazione sembra utile mantenere fede per operare la classificazione del

termine tra gli elementi accidentali del contratto39.

Nell'indicato contesto dottrina e giurisprudenza si sono ampiamente

misurate per individuare la differenza che intercorre, nell'ambito della

classificazione degli elementi accidentali del contratto, tra termine e

39 La individuazione del termine finale, in relazione al quale, come si è già osservato, trova ulteriore riscontro la distinzione tra contratto come atto e contratto come rapporto; e deve tenersi presente la diversità operativa del termine a seconda che si tratti di termine del contratto o termine per l'adempimento delle singole obbligazioni che dal contratto derivano regolato questo ultimo dalle specifiche norme degli artt. 1183 ss. c.c. viene operata o mediante la indicazione di una data di calendario, nel qual caso si tratta di una situazione caratterizzata dalla certezza, sia in ordine all'an che in ordine al quando, sia avuto riguardo ad un evento futuro, del quale si abbia la certezza circa il verificarsi o meno ma la incertezza sul momento del verificarsi, ovvero, alternativamente, la certezza del quando ma non la certezza dell'an: come si è già avuto modo di osservare, l'elemento relativo alla certezza ovvero alla incertezza caratterizza la qualificazione giuridica e quindi la disciplina del termine, distinguendone la operatività rispetto alla condizione (Cass., 22 marzo 2001, n. 4124). Cfr. GIACOBBE, Il termine, in Enc Giur., XXXVI Treccami, p. 236 e ss.

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condizione.

Secondo la tradizionale impostazione dottrinale, il termine si contrappone

alla condizione in funzione del requisito della certezza. Si afferma, infatti,

che, mentre il termine non comporta alcuna incertezza in ordine al momento

del tempo, nel quale esso troverà attuazione, con la conseguenza che gli

effetti del negozio si determineranno in un momento certo del tempo, la

condizione è, per definizione legislativa, un avvenimento futuro ed incerto.

Peraltro, anche il termine può presentare un profilo di incertezza che attiene,

però, non al quando, bensì all'an, in tutte le ipotesi nelle quali esso viene

individuato non già con riferimento ad un momento del tempo, bensì ad un

evento — esempio la morte di una persona — in ordine al quale è certo che

esso si verificherà ma non è certo quando si verificherà.

Lungo tale linea interpretativa si colloca la elaborazione della

giurisprudenza, la quale individua la distinzione del termine rispetto alla

condizione rilevando che il criterio distintivo tra termine e condizione va

ravvisato nella certezza e nell'incertezza del verificarsi di un evento futuro

che le parti hanno previsto per l'assunzione di un obbligo e per

l'adempimento di una prestazione. Ricorre l'ipotesi del termine quando detto

evento futuro sia certo, anche se privo di una precisa collocazione

cronologica, purché risulti connesso ad un fatto che si verificherà certamente

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e come tale, può riguardare sia l'efficacia iniziale o quella finale di un

negozio giuridico o di una obbligazione o di un credito di una parte (Cass.,

22 marzo 2001, n. 4124). Un ulteriore profilo di differenziazione tra il termine

e la condizione va individuato nel fatto che, mentre la condizione opera con

efficacia retroattiva, il termine non ha tale efficacia. In sostanza, sembra

doversi aderire a quell'autorevole orientamento dottrinale secondo, cui

manca nel termine quell'elemento di incertezza (circa l'avverarsi o meno del

fatto previsto) che caratterizza invece la condizione: manca, anche quando

possa esserne imprecisata la data, come accade nel cosiddetto dies cerve an,

incertus quando.

Nella prospettiva della distinzione del termine rispetto alla condizione, si

colloca la già richiamata distinzione tra termine sospensivo di efficacia —

tradizionalmente detto termine iniziale —e termine risolutivo degli effetti —

tradizionalmente termine finale — che definisce le modalità operative del

termine avuto riguardo alla individuazione degli effetti del contratto — id

est. del rapporto — secondo le modalità di esercizio dell'autonomia negozia-

le privata.

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