incontro maggio

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Per una Chiesa Viva www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it Anno VIII - N. 4 – Maggio 2012 Per la Liturgia, il mese di maggio appar- tiene sempre al Tempo di Pasqua, il tem- po dell’"alleluia", dello svelarsi del mi- stero di Cristo nella luce della Risurre- zione e della fede pasquale; ed è il tempo dell’attesa dello Spirito Santo, che scese con potenza sulla Chiesa na- scente a Pentecoste. A entrambi questi contesti, quello "naturale" e quello liturgico, s’intona la costante tradizione della Chiesa, confermata dal Concilio Vaticano II e attestata dalla “Marialis Cultus” del Papa Paolo VI che suggerisce di dedicare il mese di maggio alla Vergine Ma- ria al fine di coltivare “la vera devo- zione che procede dalla fede vera, dalla quale siamo spinti al filiale amore verso la Ma-dre nostra e all'imitazione delle sue virtù». Sono perciò profonda- mente persuaso che anche nel no- stro tempo la saggia e provvidenzia- le iniziativa pastorale di dedicare questo mese a Maria, fortemente vissuta dai nostri padri e costante- mente celebrata con gioioso fervore nelle famiglie e nelle comunità par- rocchiali, debba essere conservata e privilegiata. Nella scia della migliore tra- dizione storico- religiosa della nostra terra, anzi, mi sembra ancorchè doveroso promuoverla e maggiormente potenziarla per il profitto spirituale delle comunità e delle nuove generazioni. Non si può quindi sottovalutare l’importanza di que- sta pratica della devozione mariana lega- ta al mese dei fiori, che torna sempre utile e vantaggiosa alla vita spirituale dei credenti, perchè oltre ad approfondire la conoscenza delle fondamentali verità della fede, offre anche la preziosa oppor- tunità di riscoprire il ruolo speciale della SS. Vergine Maria, “madre, maestra e educatrice” nella vita cristiana. La Santa Madre di Dio e Madre nostra, Maria di Nazaret “è il modello della vita cristiana” cui tutti dobbiamo ispirarci per cammina- re spediti e gioiosi sulla via della fede e della santità, sulle orme anche di tanti altri luminosi testimoni di Cristo, Santi e Beati che amiamo venerare, come il Bea- to Bonaventura da Potenza, il Beato Gio- vanni Paolo II ed i Beati Luigi e Zelia Martin”. Il mese di maggio di quest’anno che scorre nei giorni in cui si sviluppa il tempo della quarta, quinta e sesta setti- mana del tempo di Pasqua e comprende l’Ascensione e la Pentecoste, è senz’altro il tempo ideale per approfondire la fede nella Resurrezione del Signore e gustare i frutti della presenza di Gesù Crocifisso e Risorto nella Storia, nella Chiesa e nella nostra vita. Sull’esempio della prima Comunità cristiana di Gerusalemme, descritta da Luca nel Libro degli Atti degli Apostoli (2,42-47), potremmo rivivere l’esperienza della Chiesa che prega, accoglie l’insegnamento degli apostoli,si esercita nella carità frater- na, cresce e si fortifica nella comu- nione con Dio e nella unione fraterna tanto da sentirsi un cuor solo e un’anima sola. Anche noi, cristiani del terzo millennio,consapevoli della necessità di conquistare una fede adulta da attingere alla scuola auto- revole del Magistero della Chiesa, avvertiamo l’esigenza di raccoglierci in preghiera con Maria, nell’ascolto della parola di Dio, nella celebrazio- ne nell’Eucaristia e nella comunione fraterna.Come gli Apostoli, che nei giorni che seguirono la risurrezione del Signore, restarono uniti in pre- ghiera e, confortati dalla presenza di Maria, dopo l’Ascensione perseverarono con Lei in orante attesa della Pentecoste, nei trentuno giorni del mese a Lei consa- crato, anche noi vogliamo attendere in preghiera con Maria l’effusione dello Spirito del Risorto che arricchisce ed aumenta la nostra la fede e ci accompa- gna a scoprire e vivere l’amore autentico di Dio, elemento indispensabile per a- dempiere la missione di fedeli testimoni del Vangelo. Continua a pagina 2 Maggio Mese consacrato a Maria P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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Incontro mese di Maggio - Chiesa Ravello

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Page 1: incontro maggio

Per una Chiesa Viva

www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it Anno VIII - N. 4 – Maggio 2012

Per la Liturgia, il mese di maggio appar-tiene sempre al Tempo di Pasqua, il tem-po dell’"alleluia", dello svelarsi del mi-stero di Cristo nella luce della Risurre-zione e della fede pasquale; ed è il tempo dell’attesa dello Spirito Santo, che scese con potenza sulla Chiesa na-scente a Pentecoste. A entrambi questi contesti, quello "naturale" e quello liturgico, s’intona la costante tradizione della Chiesa, confermata dal Concilio Vaticano II e attestata dalla “Marialis Cultus” del Papa Paolo VI che suggerisce di dedicare il mese di maggio alla Vergine Ma-ria al fine di coltivare “la vera devo-zione che procede dalla fede vera, dalla quale siamo spinti al filiale amore verso la Ma­dre nostra e all'imitazione delle sue virtù». Sono perciò profonda-mente persuaso che anche nel no-stro tempo la saggia e provvidenzia-le iniziativa pastorale di dedicare questo mese a Maria, fortemente vissuta dai nostri padri e costante-mente celebrata con gioioso fervore nelle famiglie e nelle comunità par-rocchiali, debba essere conservata e privilegiata. Nella scia della migliore tra-dizione storico- religiosa della nostra terra, anzi, mi sembra ancorchè doveroso promuoverla e maggiormente potenziarla per il profitto spirituale delle comunità e delle nuove generazioni. Non si può quindi sottovalutare l’importanza di que-sta pratica della devozione mariana lega-ta al mese dei fiori, che torna sempre utile e vantaggiosa alla vita spirituale dei credenti, perchè oltre ad approfondire la conoscenza delle fondamentali verità

della fede, offre anche la preziosa oppor-tunità di riscoprire il ruolo speciale della SS. Vergine Maria, “madre, maestra e educatrice” nella vita cristiana. La Santa Madre di Dio e Madre nostra, Maria di

Nazaret “è il modello della vita cristiana” cui tutti dobbiamo ispirarci per cammina-re spediti e gioiosi sulla via della fede e della santità, sulle orme anche di tanti altri luminosi testimoni di Cristo, Santi e Beati che amiamo venerare, come il Bea-to Bonaventura da Potenza, il Beato Gio-vanni Paolo II ed i Beati Luigi e Zelia Martin”. Il mese di maggio di quest’anno che scorre nei giorni in cui si sviluppa il tempo della quarta, quinta e sesta setti-mana del tempo di Pasqua e comprende

l’Ascensione e la Pentecoste, è senz’altro il tempo ideale per approfondire la fede nella Resurrezione del Signore e gustare i frutti della presenza di Gesù Crocifisso e Risorto nella Storia, nella Chiesa e nella

nostra vita. Sull’esempio della prima Comunità cristiana di Gerusalemme, descritta da Luca nel Libro degli Atti degli Apostoli (2,42-47), potremmo rivivere l’esperienza della Chiesa che prega, accoglie l’insegnamento degli apostoli,si esercita nella carità frater-na, cresce e si fortifica nella comu-nione con Dio e nella unione fraterna tanto da sentirsi un cuor solo e un’anima sola. Anche noi, cristiani del terzo millennio,consapevoli della necessità di conquistare una fede adulta da attingere alla scuola auto-revole del Magistero della Chiesa, avvertiamo l’esigenza di raccoglierci in preghiera con Maria, nell’ascolto della parola di Dio, nella celebrazio-ne nell’Eucaristia e nella comunione fraterna.Come gli Apostoli, che nei giorni che seguirono la risurrezione del Signore, restarono uniti in pre-ghiera e, confortati dalla presenza di

Maria, dopo l’Ascensione perseverarono con Lei in orante attesa della Pentecoste, nei trentuno giorni del mese a Lei consa-crato, anche noi vogliamo attendere in preghiera con Maria l’effusione dello Spirito del Risorto che arricchisce ed aumenta la nostra la fede e ci accompa-gna a scoprire e vivere l’amore autentico di Dio, elemento indispensabile per a-dempiere la missione di fedeli testimoni del Vangelo.

Continua a pagina 2

Maggio Mese consacrato a Maria

PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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PAGINA 2 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Onoreremo Maria con l’affetto di figli af­fezionati, che confidano nel Suo Cuore materno, cui affidano tutte le necessità e i propositi di bene. La invocheremo nelle chiese parrocchiali e nelle nostre case; in famiglia, concreta chiesa domestica, con le preghiere della Liturgia ufficiale o con le formule tradizionali della pietà popola-re. Le chiederemo di ottenerci i doni dello Spirito Santo che ci guidino nelle vie dell’amore del Signore e ci rendano capaci di vivere uniti a Dio e tra noi. Se tutti i membri della comuni-tà,specialmente gli operatori pastorali e quanti sono impegnati nella Confraterni-ta del SS. Nome di Gesù e del Carmelo, nell’Ordine Secolare Francescano, nella Associazione di Azione Cattolica e nella Fraternità di Emmaus, sapranno apprez-zare il dono di grazia che ci è riservato in questo mese, e corrisponderanno alla chiamata di Gesù Risorto, di certo speri-menteranno la gioia di sentirsi rafforzati nella fede, consolidati nella unione con Dio e nella carità fraterna,e lietamente disponibili all’urgente, necessario lavoro di rinnovamento spirituale della nostra Comunità.

Don Giuseppe Imperato “Per mezzo di Maria ebbe inizio la salvezza del mondo, ancora per mezzo di Maria deve avere il suo compimento. Nella prima venuta di Gesù Cristo, Maria quasi scomparve, perché gli uo-mini, ancora poco istruiti e illuminati sulla persona di suo Figlio, non si allontanassero dalla verità, attaccandosi troppo sensibilmente e grossolanamente a lei. Così sarebbe certamen-te accaduto - se ella fosse stata conosciuta - a causa dell'incanto meraviglioso che Dio le aveva conferito anche nell'aspetto esteriore. Ciò è così vero che san Dionigi l'areopagita osserva che quando la vide, l'avrebbe presa per una dea a motivo delle segrete attrattive e dell'incompa-rabile bellezza che aveva, se la fede, nella qua-le era ben fermo, non gli avesse insegnato il contrario. Ma nella seconda venuta di Gesù Cristo, Maria deve essere conosciuta e rivelata dallo Spirito Santo, per far conoscere, amare e servire Gesù Cristo per mezzo di lei. Non esisto-no più, infatti, i motivi che determinarono lo Spirito Santo a nascondere la sua sposa mentre elle viveva quaggiù e a manifestarla ben poco dopo la predicazione del Vangelo”. «Trattato della vera devozione a Maria» di S. Luigi Grignon de Monfort

Dopo la pausa pasquale, con l'udienza generale del 18 aprile 2012 Benedetto XVI ha ripreso la sua «scuola della pre-ghiera», soffermandosi su un episodio che gli esegeti hanno definito la «piccola Pentecoste», e notando come nei mo-menti di grande difficoltà la reazione appropriata della Chiesa è costituita dall'unità e dalla concordia, un commen-to in cui non è difficile vedere allusioni anche a temi di attualità. Che cos'è la «piccola Pentecoste»? Dopo la guarigione di un paralitico pres-so il Tempio di Gerusalemme (cfr At 3,1-10), Pietro e Giovanni sono arrestati (cfr At 4,1) perché annunciano un even-to scandaloso, la Risurrezione di Gesù (cfr At 3,11-26). Dopo un processo sommario, sono rimessi in libertà e rag-giungono gli altri apostoli e discepoli: ma la situazione è ancora molto tesa, e la minaccia di una gravissima persecuzione aleggia sui primi cristiani. In quel mo-mento, riferiscono gli Atti degli Aposto-li, «tutti unanimi innalzarono la loro voce a Dio» (At 4,24). E qui san Luca, l'autore degli Atti degli Apostoli, «riporta - ricorda il Papa - la più ampia preghiera della Chiesa che troviamo nel Nuovo Testamento», alla fine della quale ci dice che «il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono colmati dello Spirito Santo e proclamavano la Parola di Dio con franchezza» (At 4,31). Per Benedet-to XVI c'è qui una lezione molto impor-tante per noi, «un atteggiamento di fon-do importante: di fronte al pericolo, alla difficoltà, alla minaccia, la prima comu-

nità cristiana non cerca di fare analisi su come reagire, trovare strategie, come difendersi, quali misure adottare, ma, davanti alla prova, si mette in preghiera, prende contatto con Dio». E la nota fondamentale di questa preghiera è l'unità: la concordia fra fratelli che, come pure sappiamo dagli Atti degli Apostoli, a proposito di tante questioni cominciavano ad avere opinioni in parte diverse. Ma qui pregano concor-di. «Si tratta di una preghiera unanime e concorde dell’intera comunità, che fron-teggia una situazione di persecuzione a causa di Gesù. Nell’originale greco san Luca usa il vocabolo "homothumadon" - "tutti insieme", "concordi" – un termine che appare in altre parti degli Atti degli Apostoli per sottolineare questa preghie-ra perseverante e concorde (cfr At 1,14; 2,46)». La concordia «è l'elemento fon-damentale della prima comunità e do-vrebbe essere sempre fondamentale per la Chiesa». Non è solo la preghiera di Pietro e di Giovanni, che si sono trovati in pericolo, ma di tutta la Chiesa. «Di fronte alle persecuzioni subite a causa di Gesù, la comunità non solo non si spaventa e non si divide, ma è profondamente unita nella preghiera, come una sola persona, per invocare il Signore. Questo, direi, è il primo prodi-gio che si realizza quando i credenti sono messi alla prova a causa della loro fede: l’unità si consolida, invece di essere com-promessa, perché è sostenuta da una preghiera incrollabile». «La Chiesa non deve temere le persecuzioni che nella sua storia è costretta a subire»: deve temere molto di più le divisioni e le discordie interne, che rafforzano pure la posizione dei persecutori. Poniamoci un'altra domanda: «che cosa chiede a Dio la comunità cristiana in questo mo-mento di prova?». Contrariamente a quanto potremmo forse attenderci, «non chiede l’incolumità della vita di fronte alla persecuzione, né che il Signore ripa-ghi coloro che hanno incarcerato Pietro e Giovanni; chiede solamente che le sia concesso "di proclamare con tutta fran-chezza" la Parola di Dio (cfr At 4,29),

SEGUE DA PAGINA 1 La «piccola Pentecoste» e la concordia nella Chiesa

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PAGINA 3 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA cioè prega di non perdere il coraggio della fede, il coraggio di annunciare la fede».Prima, però, il gruppo degli apo-stoli e dei discepoli «cerca di comprende-re in profondità ciò che è accaduto, cerca di leggere gli avvenimenti alla luce della fede e lo fa proprio attraverso la Parola di Dio, che ci fa decifrare la realtà del mon-do». Infatti prende le cose, per così dire, alla lontana, comincia dall'inizio di tutti gli inizi, dalla creazione: «Signore, tu che hai creato il cielo e la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano» (At 4,24). Non solo il ricordo della creazione «dà certezza e coraggio: tutto viene da Lui, tutto è nelle sue mani», ma la crea-zione «continua nella storia». Sempre nella storia il Signore «è stato vicino al

suo popolo mostrandosi un Dio che si interessa dell’uomo, che non si è ritirato, che non abbandona l’uomo sua creatura; e qui viene citato esplicitamente il Salmo 2, alla luce del quale viene letta la situa-zione di difficoltà che sta vivendo in quel momento la Chiesa». Il Salmo 2 «celebra l’intronizzazione del re di Giuda, ma si riferisce profeticamente alla venuta del Messia, contro il quale nulla potranno fare la ribellione, la persecuzione, il so-pruso degli uomini». Leggiamo infatti in questo Salmo: «Perché le nazioni si agi-tarono e i popoli tramarono cose vane? Si sollevarono i re della terra e i principi si allearono insieme contro il Signore e contro il suo Cristo» (At 4,25). La Chiesa nascente applica il Salmo 2 alla vicenda di Gesù di Nazaret: «davvero in questa città … si sono radu-nati insieme contro il tuo santo servo Gesù, che tu hai consacrato, per compie-re ciò che la tua mano e la tua volontà avevano deciso che avvenisse» (At 4,27). Ma non si tratta di una lamentela: al con-trario, «l'opposizione verso Gesù, la sua

Passione e Morte, vengono rilette, attra-verso il Salmo 2, come attuazione del progetto di Dio Padre per la salvezza del mondo». E questo svela «anche il senso dell’esperienza di persecuzione che la prima comunità cristiana sta vivendo; questa prima comunità non è una sempli-ce associazione, ma una comunità che vive in Cristo; pertanto, ciò che le accade fa parte del disegno di Dio. Come è suc-cesso a Gesù, anche i discepoli incontra-no opposizione, incomprensione, perse-cuzione. Nella preghiera, la meditazione sulla Sacra Scrittura alla luce del mistero di Cristo aiuta a leggere la realtà presente all’interno della storia di salvezza che Dio attua nel mondo, sempre nel suo modo». Così ora comprendiamo meglio

perché «la richiesta che la prima comunità cristiana di Gerusalemme formula a Dio nella preghiera non è quel-la di essere difesa, di essere risparmiata dalla prova, dalla sofferenza, non è la preghiera di avere successo, ma solamen-te quella di poter proclamare con "parresia", cioè con franchezza, con li-bertà, con coraggio, la Parola di Dio (cfr At 4,29)». Questa, però, non è l'unica richiesta. La piccola comunità chiede pure che «questo annuncio sia accompa-gnato dalla mano di Dio, perché si com-piano guarigioni, segni, prodigi (cfr At 4,30), cioè sia visibile la bontà di Dio, come forza che trasformi la realtà, che cambi il cuore, la mente, la vita degli uomini e porti la novità radicale del Van-gelo». Alla fine della preghiera – come abbiamo visto - «il luogo in cui erano radunati tremò e tutti fu-rono colmati di Spirito Santo e proclama-vano la parola di Dio con franchezza» (At 4,31). Che il luogo tremi indica che «la fede ha la forza di trasformare la terra e il mondo». Nel medesimo momento, «lo

stesso Spirito che ha parlato per mezzo del Salmo 2 nella preghiera della Chiesa, irrompe nella casa e ricolma il cuore di tutti coloro che hanno invocato il Signo-re. Questo è il frutto della preghiera co-rale che la comunità cristiana innalza a Dio: l’effusione dello Spirito, dono del Risorto che sostiene e guida l’annuncio libero e coraggioso della Parola di Dio, che spinge i discepoli del Signore ad usci-re senza paura per portare la buona no-vella fino ai confini del mondo». Benedetto X VI ne ricava due lezio-ni. La prima è che anche noi «dobbiamo saper portare gli avvenimenti della nostra vita quotidiana nella nostra preghiera, per ricercarne il significato profondo». Anche oggi «la preghiera ci aiuta a legge-

re la storia personale e collettiva nella prospettiva più giusta e fedele, quella di Dio». In secondo luogo, la «piccola Pentecoste» c'insegna il modo giusto di reagire alle perse-cuzioni e alle difficoltà. «Come la prima comunità cristiana, anche noi, lasciandoci illuminare dalla Parola di Dio, attraverso la meditazione sulla Sacra Scrittura, possiamo imparare a vedere che Dio è presente nella nostra vita, presente anche e proprio nei mo-menti difficili, e che tutto - anche le

cose incomprensibili - fa parte di un su-periore disegno di amore nel quale la vittoria finale sul male, sul peccato e sulla morte è veramente quella del bene, della grazia, della vita, di Dio». Mettendo insieme i due insegna-menti, anche noi potremo così «riconoscere come il Signore realizzi le nostre invocazioni secondo la sua vo-lontà di amore e non secondo le nostre idee». Talora ci sembrerà che il Signore non ci ascolti, mentre invece lo sta facen-do, secondo le sue vie che non sono le nostre vie. Diventeremo allora davvero «capaci di vivere con serenità, coraggio e gioia ogni situazione della vita», e con san Paolo vantarci «nelle tribolazioni, sapen-do che la tribolazione produce pazienza, la pazienza la virtù provata e la virtù pro-vata la speranza»: quella speranza che «non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dona-to» (Rm 5,3-5).

Fonte: www.donboscoland.it

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PAGINA 4 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Nelle Fonti Francescane ho trovato un episodio, che mi ha particolarmente colpito e propone un'espressione che sintetizza in modo chiaro, netto e preciso lo stile di Francesco: "Ora mentre essi camminavano infiammati di tanto amore per Cristo, I'Avarizia, assunto il nome di "Discrezione ", cominciò a dire loro: "

Non mostratevi così rigidi con gli uomi-ni, né vogliate disprezzare a questo modo le loro attestazioni di onore, ma siate amabili con loro, e la gloria che vi è of-ferta non rifiutatela esternamente, basta che lo facciate con grande cura nel vostro interno. E cosa buona avere l'amici-zia dei re, godere fama presso i principi, avere familiarità coi po-tenti, perché quando essi vi fanno onore e si alzano riverenti e vi corrono incon-tro, molti che vedono queste cose, edifi-cati dal loro esempio, più facilmente si convertono a Dio " (FF 2001). Siate amabili, quindi. Fa eco ad altre indi-cazioni del Santo: «poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, quanto più premurosamente uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale» (Rb VI, 8: FF 91). Nella prima Regola si chiedeva ai frati di accogliere benevolmente, e di ricevere con bontà, chiunque si fosse avvicinato a loro, «amico o avversario, ladro o brigante» (Rnb VII, 14: FF 26; cf. Rnb II, 1: FF 5). Oggi, in un mondo

animato da relazioni caratterizzate dal tutti contro tutti, quest'espressione non solo è densa e ricca, ma particolarmente attuale. Mi son chiesto: chissà se ci sono dei posti dove queste espressioni siano vissute con la stessa densità con cui Fran-cesco le ha pronunciate. La risposta l'ho trovata con i reportage di Tg1 Dialogo, come quello su Angelica Calò Livné, che da anni porta avanti una scuola dove ci sono ragazzi del Marocco, Sene-gal, Musulmani, Copti, Indù, Palestinesi e Israeliti... La parola d'ordine è: "stupite tutti, incontratevi". Sono ragazzi dai bei volti, dai bei sorrisi, studenti di architet-tura, di filosofia, di fisica. In loro compa-re un grande senso di responsabilità verso la propria gente e soprattutto verso l'u-manità: propria e altrui. Compare la vo-glia di migliorare e di cambiare, di irra-diare simpatia ed empatia per la propria cultura. Angelica Calò Livné invita questi giovani dicendo: "per favore incontrate-vi, sfidate chi vi invita alla rottura. Incon-tratevi e guardatevi negli occhi. Mettete da parte le offese, le ingiurie, i pre-giudizi. Mettete da parte il negativo che vi ricordano". Un altro episodio ci fa andare nel lontano Giappone dove il gio-vane Mizushima scrive: "io non potevo che portare un poco di pietà laddove non era esistita che crudeltà". E' un giovane soldato giapponese che si rivolge ai suoi commilitoni. La scena è proposta in un docu-film "L'arpa birmana", del 1956 diretto da Kon Ichikawa, dove il protago-nista non ritorna nello sconfitto Giappo-ne del 1945 ma, coinvolto dalla spiritua-lità che si vive in Birmania, decide di restare con i monaci e dedicarsi agli altri invece che alla guerra. Potremmo conti-nuare a citare diversi episodi, ma credo che Francesco ora voglia il nostro episo-dio. Vogliamo diventare un episo-dio di vita che incontra, che abbassa le barriere e costruisce ponti. Non è semplice, ma almeno proviamoci per gustare profumi e sapori che disinquina-no l'aria che siamo chiamati a respirare.

Enzo Fortunato Direttore della rivista:

San Francesco patrono d’ Italia

Mi fanno tenerezza i pomeriggi di cate-chismo, la campana che richiama impre-vista e leggera, le biciclette velocemente accostate ai muri, i palloni che, orfani dei piedi, improvvisamente si dirigono agli angoli della piazza, voci giovani che, prima distanti, si avvicinano l’una all’altra ritraendosi come teste di luma-che. Maggio è forse questo: un atto di Fede recitato a mente, la statua della Madonna in bella vista, i vasi soffocati dai fiori, l’aria cambiata, i balconi aperti come bocche a far indovinare lo stomaco delle case, le edere che affollano i muri, uno sferruzzare variopinto di ali, la pri-mavera come il carnevale dei lepidotte-ri, e poi i bambini, pochi, tanti, tutti comunque con la stessa espressione di attesa per la Prima Comunione. Girano impettiti, con il quaderno degli appunti fra le mani e le mamme in pensiero per gli orli da accorciare, per i parenti da aggiungere alla lista invitati, in preghiera per ottenere una giornata di sole, di esse-re risparmiate da una coda di influenza in tarda visita ai loro letti. Il maggio della mia Comunione è lontano, piccolo nel tempo quanto una testa di spillo, è targa-to 1986 e aveva anche una colonna sono-ra d’eccezione, Lucio Dalla e Gianni Mo-randi uniti in un inedito duetto inneg-giante agli angeli. Mia madre aveva scelto per il dopo funzione un vestito color cielo, impalpabile e delicato come la cara amica da cui lo avevamo acquistato, un origami di fiorellini finti era la gentile decorazione da infilare fra i miei riccioli, ancora troppo corti per essere presi al lazo di una coda di cavallo, indomabili : quell’acconciatura ebbe l’investitura di un paio di briglie. Ho tutto ancora in mente di quel giorno, un inventario pre-ciso fatto di facce, scarpe, di regali, di attese, di problemi dell’ultima ora: le calze bianche infilate come due autostra-de di cotone sotto la mia gonna, l’ abito a fiori di mia madre, la gonnellina chiara di mia sorella, i Ray Ban di mio padre. Al-cuni momenti della vita hanno l’attrazione e il solletico di sfida delle boe: le si punta in un misto di paura e curiosità. La prima comunione è una di queste boe, o almeno credo, la seconda,

“Siate amabili” Il nuovo saggio di Padre Enzo Fortunato

Una indimenticabile giornata di maggio…

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PAGINA 5 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

già più lontana dalla riva dell’infanzia, è forse la festa dopo il diploma, quella di fine anno, quando ci si sente una specie di anfibio, a metà fra la pura adolescenza ed il desiderio sfrenato di essere adulti, o comunque di essere qualcosa che potrà permettersi nuove amicizie e di battere le ciglia oltre il paese. Quel giorno di Maggio del ’86 era per-fetto, di quella perfezione che però avrei capito solo molto più tardi. Il cielo era un pavimento di maioliche azzurre, un incastro sul mare degno del migliore risolutore di puzzle. Poche ore prima della funzione io ero già stretta ed impacciata nel mio abito da suora, ne tenevo un lembo come un guinzaglio per evitare di inciampare ed avevo tutti i canoni di una piccola sposa. Il bianco dell’abito, il velo che copriva i capelli, una zavorra di stoffa pesantissima redar-guita da sei o forse sette fermagli neri, sembravano scorpioni lucenti insinua-ti ai lati delle tempie e sulla fronte, ricordo la coroncina del rosario che ricadeva sulla gonna come una cintu-ra, le maniche a pipistrello, il viso pulito. Prima tappa, inevitabile: un servizio fotografico a casa di mia non-na paterna. Il terrazzo era già punzec-chiato di gerani, arredato come un quadro: i gerani hanno la curiosità dei cani, stanno con le corolle puntate fuori dalle ringhiere, il pelo di colore diverso e guardano giù, curiosi, non abbaiano certo, ma att irano l’attenzione come se emettessero un verso, un verso rosso, o rosa. Io ero infastidita dal sole, i raggi si infilava-no negli occhi come punture, e non ero malata, mi annoiava la voce della fotografa che continuava a ripetermi di scostare via la mano dalle labbra, per non sembrare più imbronciata di quanto già fossi. Scioccamente e con l’ingenuità spazientita che hanno tutti i bambini, non mi accorgevo della gioia dei miei nonni di avermi lì, con il salotto lucidato per l’occasione, come una scarpa nuova da indossare. Io contavo solo i minuti che mi separavano dalla cerimonia e dalla festa, dai regali. Ero emozionata, sapevo che era importante, ma preferivo con-centrarmi sulle cose che rendevano il tutto più simile ad un gioco che ad un Sacramento. Ricordo i canarini che into-navano sguaiati la loro musica dalla cuci-

na dei nonni e poi, l’emozione del mio arrivo in piazza, simile a quello di una sposa. La mezzaluna di parenti che non vedevo più di una volta al mese che mi attendeva. Io credo di essermi sposata quel giorno, sembra una sciocchezza, una forzatura paradossale, ma non penso sia facile ripetere l’ordine esatto e perfetto di quelle emozioni, l’orizzonte pulito come un viso passato di sapone, il fruscio degli abiti leggeri, i due compagni di classe più cari che non mi lasciarono un istante. Salii le scale verso il Duomo con il mio cero fra le mani, tentando di non inciam-pare, ero l’unica bambina fra sei maschi, l’attenzione si sarebbe inevitabilmente concentrata su di me, non era necessario ribadirle il mio indirizzo cadendo. In Chiesa fu tutto più semplice, l’odore delle candele si mischiava a quello dell’incenso, al profumo di mia madre a

quello della lacca che imbalsamava i ca-pelli degli invitati come piumaggi freschi di cacciagione.. Era fatta, o quasi. Don Giuseppe Imperato sciolse l’emozione con qualche domanda diretta, semplice: avevamo provato per giorni quel mo-mento, ma ognuno di noi aveva i linea-menti costretti in un imbarazzo innatura-le e , al tempo stesso, solleticati da tutta quella solennità, quell’attenzione. Potrei fare adesso l’appello di tutti quelli che mi baciarono emozionati quel gior-no, oppure di quelli che si misero ai miei lati come colonne nelle foto ricordo e che non sarebbero restati con me ancora per molto tempo. La primitiva tecnologi-

a di allora ne ha lasciato fortunatamente i segni, i colori, grazie ad un filmino sem-plice, di quelli che non sarebbero mai finiti su you tube o su facebook. Uno di quelli da tenere in casa e mostrare ai parenti e agli amici, magari ridendo del-la moda, dei bronci, delle espressioni imbarazzate. Rivedo la sala del ristoran-te, la foto ricordo con i nonni e i genito-ri, io al centro, non gli arrivo alle spalle, ho un’espressione di plastica, quasi finta, dalle labbra sembra mi voglia cadere un silenzioso countdown alla fine di quel supplizio. Rivedo mio nonno paterno seduto soddisfatto a favore di telecamera con il pantalone buono della festa, quello materno alzare la mano in segno di salu-to, le mie due nonne con parenti che non avrei più rivisto, una cugina stilizzata in un lineare taglio di capelli anni ’80 con il tailleur viola ed un borsello fra le mani, la mia amica del cuore che mi rincorre

con le sue treccine nere e perette. In un angolo, sotto un ombrellone che si lascia corteggiare dal vento, scarto i regali: una macchina fotografica che userò con dovuta attenzione, la storia dell’Italia e la Bibbia a fumetti,. Ri-cordo il fumo che veniva fuori dalla cucina del ristorante, le noccioline nelle coppette di acciaio, la sensazione di essere diversa ma senza troppa con-sapevolezza, la radio che manda una canzone più o meno famosa, mia so-rella che ondeggia come una bamboli-na e ha la faccia tonda di una matrio-ska, mia madre che mi chiede di rin-graziare per i regali e di riporli in ordi-ne, mio padre che scherza e fuma. E poi, su tutto, un mio sorriso,che chiu-de il filmato: è il sorriso di una bambi-

na, di quelli che sembrano non finire mai, mentre il cono di luce prima chias-soso e ben nutrito, onnipresente come uno degli invitati, si assottiglia poco a poco sulla terrazza del ristorante. I vestiti cambiano colore mangiati dall’ombra, qualcuno saluta, qualcun altro va verso l’automobile parcheggiata all’esterno, ringraziano. Il pomeriggio è già una cer-tezza, ha la voce di una madre che, dopo una mattinata di giochi, chiede ai figli di rincasare perché la festa è ormai consu-mata.

Emilia Filocamo

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Oggi ci sono i centri commerciali, i mega-store, i negozi monomarca e quelli di tendenza, gli outlet, i laboratori del gu-sto, gli atelier di moda. Un tempo c’erano le botteghe e basta; insieme alla scuola e alla chiesa, il cuore pulsante di ogni borgo italiano. In un paese come il mio, mille abitanti appena, le botteghe avevano la carta d’identità. Infatti, pensate che le chia-massimo “panetteria”, “alimentari”, “pasticceria”, “calzolaio”, “tabaccheria”, “fruttivendolo”? Niente affatto; le botte-ghe avevano i nomi e i connotati, perso-nali e inconfondibili, dei loro proprietari: “da Sarrafina” (Serafina), “da Peppe lu bruttu”, “da Vincenzo lu zuzzu”, “da Con-cetta”, da “Bastianu Fusaglia”. Capirete che non c’era possibilità di ma-lintesi. Esistevano quattro botteghe di alimentari nel mio paese; ma quando vo-leva comprare del salame, mia madre mi diceva “Va’ da Concetta e fatti dare due etti di salame”. Non sbagliavi negozio e non sbagliavi salame, perché Concetta ne vendeva un solo tipo, e a noi piaceva quello. Il nome restava appiccicato alla bottega per tutta la vita del proprietario, e anche oltre, se il successore non aveva il “carisma” per im-porre il suo al posto dell’altro. Un’identificazione sacrosanta, perché la bottega, come già detto, prendeva anche il carattere, il gusto, il senso estetico del proprietario. Ai profumi delle sostanze che vi erano ammassate – pane, dolci, farine, sementi, cuoio, legno, tabacco - si univa la particolare atmosfera generata dall’amore, dalla perizia, dall’esperienza di chi si prendeva cura di ogni aspetto del suo locale: l’arredo, la scelta e l’acquisto delle merci, lo scarico e il deposito, la conservazione e la vendita. Ne prendeva anche l’anima; entravi da Concetta con un certo spirito, e da Sarrafina con un altro. Concetta era seria e sbrigativa, ma così precisa e intelligente che ti leggeva

nel pensiero; e se avevi un dubbio su che cosa acquistare, ti dava consigli che si rivelavano sempre esatti, a costo di ri-metterci dei soldi. Serafina era più dolce, aveva una parola buona e un sorriso per tutti. Faceva credito pur sapendo che in certi casi non avrebbe recuperato nulla, e accettava di buon grado di barattare la merce con quello che i compratori pote-vano offrirle. Per noi bambini, le botteghe erano croce e delizia. Croce, perché mentre giocavi la partita del secolo contro il rione “Trabocca”, tua madre si affacciava im-provvisamente alla finestra: “Armando, vieni, serve mezzo chilo di pane e un etto di formaggio grattugiato”. Rabbia, piedi pestati in terra, proteste. Ma a quei tem-pi si obbediva, e ottenuta la sospensione

della gara, partivi come un razzo, senza neppure sperare in una ricompensa; i soldi erano contati, non ci scappava nem-meno una giuggiola o una mora di liquiri-zia. Allora ci provavi tu. Se da Sarrafina e da Concetta entravi quasi lacrimando, pre-gandole di fare presto perché avevi inter-rotto la finalissima del torneo dei rioni, potevano anche allungarti un dolcetto. Ma se dietro il bancone di Concetta tro-vavi il marito, non c’era niente da fare. Quando riempivi due buste di roba di-ventavi più audace, e ci provavi: “Ma con tutto ‘sto ben di Dio non ci scappa un cioccolatino?” E lui, guardandoti torvo e ironico: “Eh sì, che ce rimetto de gua-

dampio!” La croce te la facevano abbrac-ciare nei momenti più impensati. Eri fuori dallo sguardo bionico di tua madre, perduto nei vicoli del centro storico a giocare a nascondino, ma passavi davanti a casa di zia Mariangela, e lei ti fulmina-va: “Figliu meu, te manna la Provviden-za! Tòcca, vamme a piglià un barattulu de gongole da Concetta”. “Zia ma sto a gioca’ a nascondino! Ti ci vado dopo”. “Me servanu mo’. Volarristi dice de no a zia Mariangela?” Ovvero: “Se non ci vai lo dico a tua madre, e sai che lei te le suonerà”. “Va bene”. Scappo verso la bottega di Concetta, ma per non farmi tanare deb-bo fare il giro di tutto il paese. Compro il barattolo e arrivo trafelato da zia, che mi

aspetta sulla porta di casa. “Eccolo, zia. Però ascolta, si chiamano von-gole, non gongole”. Sbarra gli occhi e la boc-ca, e gira la testa verso le anziane sedute sul muretto: “Comme è bravu! E’ propriu della razza nostra!”. Non ci si mettevano solo i parenti, ogni anziano era autorizzato a coman-darti a bacchetta. Gli bastava un cenno: “Regazzì, vamme agliu spacciu, comprame due

Esportazioni con filtro”. Tu prendevi i soldi e andavi da Peppe lu bruttu: “Due Esportazioni con filtro”. E lui: “Pe’ cchi so’?” “Pe’ Pietro Sconcassa”. “Pietro ne compra sempre un pacchet-to…” “E che ne so io? Starà senza soldi”. “Te si missu a fumà? A mi, me sta be’. Ma attentu a mammota, quella te stocca le cianche”. “Aho, mica penserai…” “Bravu, bravu testa de broccolo”. Torno da Pietro: “Ma proprio a me do-vevi prende? Peppe ha detto che ne compri sempre un pacchetto, e ha pensa-to che fossero pe’ me”.

Da Peppe Lu Bruttu

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“La prossima vota digli che se ficesse i cazzi se’. E che rengraziesse Dio che ci sta sulu issu, de tabbaccaru”. Ma Peppe aveva voluto solo sondare il terreno; era furbo, e ci conosceva bene tutti, perciò, per arrivare alla verità, gli bastava guardarci in faccia. Non avrebbe mai forzato la vendita di una sigaretta a un ragazzino; la sua immagine, la sua dignità, avevano più importanza, per lui. Se la mia stessa richiesta l’avesse fatta Tonino Tammurrinu, non avrebbe avuto dubbi. Tonino guardava il gregge in montagna, e la mattina, prima di andar-sene, sua madre gli dava un grosso pezzo di pane e dei soldi. “Va’ da Alberto Camiciola, e comprate 20 lire de mortadella”. Ma Tonino prendeva un’altra direzione, quella di Peppe: “Un’Esportazione con filtro, e una Nazionale senza filtro”. Tonino era già grandicello, e Peppe non poteva negarglie-le. “Eccole. Venti lire. Ma nun era meglio che te ce riempivi la trippa?” Tonino negava, ma il totale lo tradiva. Undici lire l’Esportazione, nove la Na-zionale, totale venti lire pre-cise. Niente resto, se sua madre l’avesse trovato si sarebbe insospettita. Vincenzo lu zuzzu era tirchio e scortese, e non faceva credito a nessu-no. Ma la sua bottega era l’antro delle meraviglie: ci trovavi mille tipi di chiodi, chiavi e lucchetti di ogni grandezza, piatti da cucina decorati, la colla Coccoina – dal profumo così accattivante che ti veni-va voglia di mangiarla – e poi mangimi, sementi, attrezzi per la campagna, coltel-li multiuso che ci facevano uscire gli oc-chi di fuori. Monopolista, trattava tutti allo stesso modo: parla poco, paga e vat-tene. Ma nel paese trovi sempre la scarpa per il tuo piede. La sua Nemesi si chia-mava Nicola, detto Campalacasa. Disoc-cupato cronico, mezzo autistico, mezzo epilettico, mezzo alcoolizzato, impreve-dibile e geniale, capace di contare il qua-rantotto a scopa mentre parlava tranquil-lamente d’altro, si vendicava delle anghe-rie di Vincenzo con la cattiveria degli sfigati. Quando aveva la luna storta, a-

spettava che arrivasse l’ora di chiusura, e proprio mentre Vincenzo metteva la chiave nella serratura, compariva davanti al negozio e si faceva riaprire. Ma era ciò che chiedeva a far imbestialire Vincenzo: cinque lire di semola per i porci, o maga-ri tre chiodi, due lire di lupini… E aveva escogitato una vendetta ancor più diabolica: se sentiva arrivare le crisi epi-lettiche, durante le quali ululava come un lupo, si andava a gettare sempre sull’uscio della bottega di Vincenzo, per-ché, diceva, “lupi e sciacalli so’ parenti”. La croce si faceva meno pesante, ogni tanto. Un mio compagno di giochi era Umbertino, uno dei cinque figli di Meni-cuccia, vedova che viveva in condizioni di estrema povertà. Ci mandava a comprare quasi sempre un etto di conserva di po-

modoro e sei etti di pasta. La “conserva” di quei tempi era un grumo concentratis-simo di polpa di pomodoro disseccata al sole. A volte, dopo che le avevamo ri-portato la “spesa”, rimanevo ad osservare Menicuccia. Metteva la conserva in un tegame di coccio, poi ci versava sopra, lentamente, dell’acqua bollente e qual-che verdura rimediata, e rimestava piano. Il risultato era una misera brodaglia ros-sa, il sugo per la pasta dei figli. Tutti gli alimentari avevano la pasta sfusa, ma Menicuccia ci mandava a comprarla da Camiciola, dove costava meno. E la ragio-ne c’era: Camiciola conservava la pasta dentro enormi sacchi di iuta, sui quali ogni tanto vedevi camminare i vermi o le volarelle (le tignole fasciate). E se volevi comprare una manciata di rigatoni, lui faceva un cartoccio con la carta paglia, ficcava la mano nel sacco, prendeva un

pugno di pasta e ti faceva il prezzo a oc-chio. La delizia, naturalmente, erano le botte-ghe che vendevano i dolci. Non c’era bottegante che non si fosse accorto del potere di seduzione dei primi cioccolatini e delle prime lecca-lecche. La caverna di Alì Baba era la bottega di Serafina. Perché il marito era un tipo freddo e burbero, ma ci sapeva fare. Fu lui a portare in paese la delizia più intri-gante e agognata da ogni ragazzino degli anni ’50: la gomma americana. All’inizio, le nostre mamme fecero resi-stenza; per loro il chewing-gum era, al contempo, un vizio, una spesa inutile, un’americanata, un veleno per i denti, un appiccica-vestiti, e diavolerie del genere. Non essendo un alimento, se si dovevano

spendere cinque lire, qualsiasi mamma prefe-riva comprare al figlio un pezzetto di cioccola-to, e non quella cosa gommosa da ciancicare inutilmente per ore. Ma per noi il chewing-gum era un must, e le mam-me si arresero presto. Qualche tempo dopo, sul banco di Concetta, avvolto in una dorata carta di stagnola, ve-demmo un invitante panetto bicolore. As-saggiarlo e innamorar-

sene fu questione di attimi; crema e cioc-colato che si fondevano a meraviglia, squagliandosi in bocca in un sapore pieno e armonioso. Ma restò un amore contra-stato, perché la “ciucculata a tagliu” a-vremmo voluto mangiarla assoluta, men-tre le nostre mamme si intestardivano a darcela per merenda, ficcandola tra due enormi fette di pane. I tempi erano maturi per il più intrigante dei dolci, forse il primo messaggio subli-minale del nostro tempo: da Sarrafina comparvero i golosini, croccanti involucri di cioccolato a forma di mammelle, ripie-ni di una panna così bianca e soffice da suggerire golose e inebrianti reminiscen-ze infantili. E poi ci fu l’esplosione, la cuccagna, la rivincita dei genitori - a nostro vantaggio - sulla fame che avevano patito.

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Arrivarono i tacchi, grossi pezzi di cioc-colato fondente a forma di tacco di scar-pa, i pescetti, liquirizie con la silhouette delle creature del mare che costavano una lira l’uno; i coni di zucchero, friabili delicatezze al sapore di fragola; i lacci, lunghe strisce di liquirizia gommosa e consistente; i formaggini di cioccolato, bruni parallelepipedi di cioccolato al latte, farcito con nocciole tritate. L’ultima chicca di Serafina, di cui ebbe l’esclusiva per anni, furono le pésche. Ovvero, bustine di figurine contenenti le carte da poker, con ognuna delle figure – fante, regina, re e jolly - associata ad un premio: un dolcetto, un adesivo, un pu-pazzo, un pallone. Era per vincere i pal-loni che prosciugavamo le tasche e i bor-sellini dei genitori, perché non ci basta-vano mai. Il nostro campo di gioco, la Piazzetta Civica, era chiusa sul lato sini-stro dalla casa di Duilio, detto lu Verre. Ogni giorno diversi palloni finivano den-tro la sua proprietà, ed era la loro fine. Non solo non ce li restituiva; se era in casa, gli piaceva ostentare quel macabro rituale: usciva dal cancello col pallone in una mano, e una roncola nell’altra. Ri-chiamava la nostra attenzione, metteva il pallone a terra e lo trinciava, gridando: “Vui non v’arrindite, ma mancu io. Tanti ne veu qua dentro e tanti ne spacco!” Le pésche e le figurine dei calciatori della Panini furono gli ultimi sussulti di Sarra-fina e delle vecchie botteghe. Cominciò una nuova era, sorsero nuovi esercizi commerciali, diversi persino nel nome: negozi, non più botteghe. E queste, a mano a mano che si staccavano dai vecchi proprietari, perdevano tutto il loro fasci-no. Oggi, non ne sopravvive quasi nessuna. Quella di Serafina passò a una delle fi-glie, svogliata e paga della clientela ere-ditata da sua madre. E dopo la figlia ai nipoti, che hanno diviso il vecchio locale, e avviato due distinte attività: un anoni-mo negozio di abbigliamento e un nego-zio di fiori. La bottega di Camiciola non c’è più, non c’è più il buco di Checchi-no, il calzolaio, il rumoroso antro di Aprilio, lo stagnaio, l’emporio disordina-to di Vincenzo lu zuzzu, l’odorosa stan-zetta di Concetta. La tabaccheria di Pep-pe lu bruttu, invece, ha resistito; in mano

a un erede, ha l’aspetto di una fredda camera da pranzo: vetri, alluminio, mo-bili lucidissimi, aria asettica, neppure un lontano sentore degli aromi di un tempo: tabacco, fiammiferi, spezie, caramelle. Il progresso, distruttore a sua insaputa, ha spazzato via le vecchie botteghe. Forse è giusto così: c’è più igiene nei negozi di oggi, più merce, più scelta, più profes-sionalità, più eleganza. Ma chi ha cono-sciuto le vecchie botteghe non può non ricordare con struggente nostalgia quei buchi pieni di umanità, di amicizia, di comprensione, di spese piccole negli importi e lunghe nel tempo, perché le parole e il contatto umano avevano mol-to più valore delle monete che uscivano dagli striminziti borsellini delle nostre mamme. Armando Santarelli

DOMENICA DELLE PALME INIZIO DELLA SETTIMANA SANTA

Le Celebrazioni Liturgiche della Settimana Santa hanno inizio con la Domenica delle Palme, detta Do-menica della Pas-sione, poiché viene proclamato il Rac-conto della Passio-ne di Gesu’, se-

condo i Vangeli Sinottici. E’ proprio dalla Domenica delle Palme che tutti cristiani iniziano le loro riflessioni sul Mistero della Passione, Morte e Resurre-zione di Gesù, per rinnovare le promesse battesimali e corrispondere all’Amore del Padre, attraverso il Figlio. Quest’anno è stata proclamata la Passio-ne di Gesù secondo Marco. Come in tutte le parrocchie anche nella nostra Comunità la Celebrazione si è svolta in due momenti: nella Chiesa di Santa Ma-ria a Gradillo, alle ore 10,20, i fedeli si sono radunati per partecipare alla Bene-dizione dei rami di ulivo e della palme e per ascoltare il racconto descritto nei Vangeli “dell’Ingresso di Gesù a Gerusa-lemme” , accolto da una folla “festosa ed osannante” che agitava rami di ulivo per accogliere il Re. Matteo (21,1-11) nel suo Vangelo ricorda che ciò avvenne affinchè si adempisse l’annunzio del pro-

feta Zaccaria (9,9) “Dite alla figlia di Sion; Ecco il tuo re viene a te mite, se-duto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma”. “ I discepoli, infatti, arrivati con Gesù alle porte di Gerusa-lemme fecero quanto il Figlio di Dio aveva chiesto loro e gli condussero i due animali, che coprirono con dei mantelli; Gesù vi montò sopra, avviandosi a Geru-salemme. La folla intanto si era radunata sapendo del Suo arrivo e stese per terra i mantelli, mentre altri tagliavano rami dagli alberi di ulivo e di palma. All’ingresso di Gesù agitavano le palme in segno di festa e di saluto, acclamando a gran voce: “Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell’alto dei Cieli ! I fanciulli che precedevano il corteo ri-spondevano a chi domandava : “Chi è costui ?” “Questi è il profeta Gesù di Nazareth di Galilea.” Come a Gerusa-lemme anche nella nostra Comunità i fedeli, preceduti dal sacerdote e dai mi-nistranti, processionalmente, cantando e sollevando verso il cielo i rami di ulivo, si sono incamminati verso il Duomo, dove è iniziata la seconda parte: la santa messa della Domenica della Palme. La proclamazione della Passione è stata svolta da tre lettori diversi, il sacerdote che proclama le parole di Gesù, un nar-ratore funge da cronista e un terzo che legge la parte degli altri personaggi coin-volti nella storia della Passione. La Cele-brazione Eucaristica è continuata come di consueto. I fedeli portano a casa “ i rami benedetti” e li conservano religiosamente perché rappresentano il simbolo della Vittoria di Cristo . Due sono le conside-razioni che mi vengono alla mente, pen-sando a questa giornata: una non la vo-glio esprimere con parole mie, ma con le sante parole del Beato Giovanni Paolo II il quale disse: “Gesù non ha inteso la propria esistenza terrena come ricerca del potere, come corsa al successo e alla carriera, come volontà di dominio sugli altri. Al contrario, Egli ha rinunciato ai privilegi della sua uguaglianza con Dio, ha assunto la condizione di servo divenendo simile agli uomini, ha obbedito al progetto del Padre fino alla morte sulla Croce (Omelia, 8-IV-2001). La seconda, vice-versa mi fa pensare con quanta facilità la gente si lascia prendere dall’entusiasmo, sentimento che non dura a lungo. Le stesse persone che hanno acclamato

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Gesù, pochi giorni dopo hanno chiesto a gran voce la sua condanna a morte di croce. E noi che abbiamo partecipato intensamente alla Settimana Santa, medi-tando i momenti fondamentali della no-stra Redenzione, potremo dimenticare che anche a noi spetta, per avere La Vita Eterna donataci dal Cristo, condividere le sue sofferenze? Il nostro entusiasmo alla sequela di Cristo sarà passeggero o viceversa saremo capaci di dilatare il no-stro cuore per ottenere la Grazia di co-noscere più a fondo l’Amore di Dio e di mostrarlo agli altri attraverso la com-prensione, la solidarietà ed il perdono ? Gesù Risorto e Maria Santissima , model-li della vita pasquale, ci rendano capaci di vivere con originalità e convinzione la nostra fedeltà a Cristo, in coerenza alle nostre scelte e ai misteri di Cristo che celebriamo.

Giulia Schiavo LA VIA CRUCIS

La preparazione alla Solennità della Santa Pasqua, nella nostra Comunità Ecclesiale, è continuata Lunedì 2 Aprile, alle ore 18,30, con la Via Crucis Liturgica per le vie del paese. Ogni anno si alternano due percorsi: un anno la Via Crucis inizia

dalla Cappella del Cimite-ro per proseguire attra-verso Piazza Andrea Man-si, Piazza Fontana, Viale Parco della Rimembran-za, fino al Duomo. L’anno successivo si ini-zia dal Monastero di Santa

Chiara. Quest’anno tutti i fedeli si sono ritrovati infatti presso il Monastero,per percorrere in comunione con Don Giu-seppe Imperato e Padre Antonio Petrosi-no, la Via della Croce di Gesù, lungo Via Santa Chiara, Via San Francesco , con la sosta per le meditazioni nei punti più significativi del percorso, presso l’edicola dell’Immacolata Concezione (entrata Biblioteca San Francesco), nella Chiesa del Convento, vicino alla Cappella del Santo, alternando canti, preghiere e me-ditazioni. Alcune stazioni sono state me-ditate in Piazza, la conclusione e la Bene-dizione solenne con la Croce, in Duomo, con il canto “Ti saluto O Croce Santa”. La Via Crucis che abbiamo meditato in questo 2012 è stata composta nel 2011 da Suor Maria Rita Piccione, O.S.A,

Madre Preside della Federazione dei Mo-nasteri Agostiniani d’Italia ‘‘Madonna del Buon Consiglio’’. “Sr. Maria Rita, apparte-nente all’Eremo Agostiniano di Lecceto (Siena) — uno dei romitori toscani del XIII secolo, culla dell’Ordine di Sant’Agostino — è attualmente membro della Comunità dei Santi Quattro Coro-nati in Roma, dove ha sede la Casa co-mune di Formazione per le Novizie e le Professe agostiniane d’Italia.” Il tema più significativo della Liturgia della Parola della Domenica delle Palme, oltre natu-ralmente alla meditazione della Passione di Cristo, è l’umiltà di Gesù che è entrato in Gerusalemme a dorso di un umile asinello; la chiave di lettura delle pre-ghiere e delle meditazioni di questa Via Crucis, ci hanno portato proprio a riflet-tere sull’umiltà, le preghiere sono infatti rivolte “all’Umile Gesù”,espressione cara al cuore di Agostino ( Conf,7,18-24) . L’umiltà di Cristo viene trasformata nella sua esaltazione, attraverso la Croci-fissione . Tutto il testo della Via Crucis ci è sembrato , per la delicatezza e la sem-plicità, come è scritto nella presentazio-ne, “pronunciato da un bambino; quasi un richiamo alla semplicità dei piccoli che sanno cogliere il cuore della realtà , un simbolico spazio di accoglienza, nella preghiera della Chiesa, della voce dell’infanzia talora offesa e sfruttata.” In realtà è sempre lo Spirito che agisce ed attraverso la sensibilità “femminile ed agostiniana” ha dato vita a preghiere e riflessioni che senz’altro hanno contribui-to a rafforzare la nostra fede in Cristo e nel Mistero Pasquale . La Via Crucis , infatti , ci vuole insegnare come è neces-sario aggrapparsi al Legno della Cro-ce ,nel corso della nostra vita ; Essa non è “ una semplice pratica di devozione popolare con venatura sentimentale; ma esprime l’essenza dell’esperienza cristia-na: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua cro-ce e mi segua» (Mc 8, 34). Nelle medita-zioni Suor Maria Rita ha fatto in modo in ciascuna stazione, di farci captare un’orma particolare lasciata da Gesù lun-go la Via della Croce , così che ciascun credente possa ricalcarla con i passi della verità, onestà, umiltà, preghiera, obbe-dienza, libertà, pazienza, conversione, perseveranza, essenzialità, regalità, dono di sé, maternità, attesa silente, passi che

scandiscono il cammino della Via Dolo-rosa . Gesù durante il suo cammino verso il Calvario , fino alla Crocifissione ha sopportato ogni cosa per Amore nostro, per sconfiggere il male per ristabilire l’Armonia. Meditare la Passione significa credere che attraverso il Sacrificio di Cristo si è realizzata la Pasqua , la nostra salvezza, la Vita Eterna che il Padre, per Amore di Gesù ha donato a ciascuno di noi , così come profetizzato nella pre-ghiera del Salmo 85 :“Misericordia e ve-rità s’incontreranno,giustizia e pace si baceranno .La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo. Quando il Signore elargirà il suo bene, la nostra terra darà il suo frutto. Davanti a lui camminerà la giustizia e sulla via dei suoi passi la salvezza.”

Giulia Schiavo E’ RISORTO!ALLELUIA

Intense celebrazioni liturgiche hanno ca-ratterizzato la Pasqua 2012 a Ravello. Fra tradizione e cultura la Comunità ecclesiale e civile ha celebrato il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, centro dell’intero Anno Liturgico, come ci aveva ricordato il solenne Annunzio della Pasqua proclamato nel canto il 6 gennaio,Solennità dell’Epifania. Mi auguro che,anche se spar-pagliati tra le varie comunità parrocchiali,i ravellesi abbiano saputo vivere con fede sincera il Sacro Triduo Pasquale e magari comprendere che “in ogni Domeni-ca,Pasqua della settimana,la santa Chiesa rende presente questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte”. Certo,a Ravello,come in tutto il mon-do,non mancano ostacoli che impediscono una formazione continua e costante dei battezzati, sempre più attratti da mode e filosofie che allontanano dalla Verità e ren-dono difficile o nulla quella testimonianza di vita che affascina e convince più di tante parole. Ma la sfida è grande e l’Anno della Fede indetto da papa Benedetto XVI lo conferma. Del resto non bastano tre gior-ni,seppur intensi di appuntamenti di fede, per renderci testimoni del Risorto e urge più che mai prendere coscienza che biso-gna essere sempre una Comunità pasqua-le che in tutto deve ispirarsi alla prima comunità,quella apostolica,che nei cin-quanta giorni del bellissimo Tempo Pa-squale la liturgia ci fa conoscere attraver-so la lettura degli Atti degli Apostoli.

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E come gli Apostoli nel Cenacolo ci siamo ritrova-ti nel tardo pomeriggio di Giovedì 5 aprile per la celebrazione della Messa in “Coena Domini”.Come ormai dai tempi di mons. Beniamino Depalma nel Duomo di Ravello e credo nelle altre chiese della Diocesi all’inizio di questa messa sono stati presentati gli oli benedetti nel corso della Messa crismale. E’stato il primo dei tanti preziosi segni che la ric-

chissima liturgia del Triduo pasquale pro-pone per aiutare i fedeli a penetrare nel Mistero che si celebra,a comprenderlo e soprattutto a viverlo. Dopo il canto del Gloria e il festoso suono delle campane siamo entrati nel clima austero della Pas-sione,un clima che ci ha fatto riflettere su quelle vicende e su quella Persona,Gesù Cristo,che hanno cambiato la storia. Il rito della lavanda dei piedi,al di là del rischio sempre in agguato di apparire un momento teatrale,ci ha ricordato che siamo “Chiesa del grembiule”, felicissima definizione del compianto Mons.Tonino Bello, una delle figure più luminose dell’episcopato italia-no,scomparso prematuramente nel 1993 all’età di 58 anni. Il canto solenne del Pange lingua ha dato inizio all’adorazione che si è protratta fino a notte inoltrata. Nel mentre dalla Pinacoteca del Duomo prendeva avvio il corteo dei Battenti che ogni anno, oltre ad essere i gelosi custodi di un patri-monio culturale e tradizionale che altri-menti rischierebbe di essere perdu-to,magari spazzato via dagli zufoli di Pan,costituiscono un valido supporto para-liturgico che attraverso la intensità dei canti ben eseguiti effondono per le vie di Ravello gli echi della Passione del Signore. Certo,in qualche caso,i testi risentono di una visione teologica,grazie a Dio,superata perché erronea o incompleta e quindi andrebbero emendati,ma,per stare in tema,si è a vol-te”popolo di dura cervice”.Aiutati anche dalla bella serata primaverile i battenti han-no percorso devotamente le strade di Ra-vello sostando nelle varie chiese in cui era stato preparato l’altare della Reposizio-ne.Sempre suggestiva la sosta a Torello e in Santa Maria del Lacco. Il giorno successivo, quello stesso canto, accompagnato dalla banda musicale, ha animato la suggestiva e

commovente processione del Venerdì san-to che si è snodata per le strade del centro storico, raggiungendo anche la Chiesa del Lacco. Ovviamente,prima della processio-ne, abbiamo vissuto la solenne Azione li-turgica della Passione che ha avuto il suo culmine nell’adorazione della Croce, quest’anno per la seconda volta fatta con l’antico e miracoloso Crocifisso ligneo posto nel presbiterio, a destra dell’altare maggiore. Dobbiamo però os-servare che il Venerdì santo non è stato ancora pienamente compreso a livello li-turgico. La processione è senza dubbio suggestiva e commovente ma non è sicura-mente più importante dell’Azione liturgica che la precede. Una visione corretta vor-rebbe i due momenti pienamente integrati e la processione dovrebbe essere la coeren-te continuazione all’esterno di ciò che è celebrato nel luogo sacre. Ma se si parteci-pa solo alla processione snaturiamo il senso di ciò che la liturgia prevede nel giorno della Passione del Signore. Avanzo la pro-posta per il futuro di posticipare l’inizio dell’azione liturgica, in modo da favorire la partecipazione anche di quanti sono impe-gnati nel lavoro e di ridurre l’itinerario della processione, evitando quella parte del percorso che si svolge in alcune vie alquan-to anguste con scale non sempre agevoli e l’illuminazione a volte fioca che rischia in alcuni punti di farti trascorrere la Pasqua in ospedale. Come di consueto nella Chiesa di santa Maria a Gradillo il momento più toccante della processione che,ad onor del vero,quest’anno si è svolta in modo silen-zioso e composto e ha visto la partecipazio-ne di tantissimi ravellesi,mentre scarsa è stata quella dei turisti. Accompagnati dalle toccanti note dello Stabat Mater del prof. Mario Schiavo eseguito dalla Corale del Duomo guidata dal M°Amorelli,abbiamo reso omaggio al simulacro di Gesù morto. L’orazione conclusiva in Duomo,dopo il canto del Pianto di Maria da parte dei Bat-tenti,ha chiuso le celebrazioni del Venerdì santo. Mons. Imperato,parroco del Duo-mo,nel congedare l’assemblea ha voluto formulare a tutti l’augurio di vivere la Pa-squa da veri seguaci di Cristo morto e ri-sorto. Il Sabato Santo è stato caratterizzato dai preparativi per la grande Veglia pasqua-le. Dopo aver risistemato nella Pinacoteca la tela raffigurante Cristo morto che il gio-vedì era stata esposta alla venerazione in una delle cappelle della Basilica,suscitando molta ammirazione anche perché pochissi-mi la ricordavano,il presbiterio ha comin-ciato nel primo pomeriggio ad assumere

l’aspetto festoso del luogo nel quale si cele-bra il grande evento. Ci piace ricordare un gradevole episodio che si è verificato pro-prio nel pomeriggio di sabato. Tre giovani di Arezzo, affascinati dalla bellezza della Basilica ex-Cattedrale e dalla sua acusti-ca,hanno voluto cantare a cappella un deli-catissimo Ave Verum che ha contribuito a creare un clima di preghiera molto intenso. Peccato che in quel momento in Chiesa ci fossero poche persone. Ovviamente si trat-tava di tre professionisti che hanno voluto prima pregare con il canto e poi sperimen-tare le potenzialità del Duomo di Ravello che,nonostante i rifacimenti,ha mantenuto intatte le sue caratteristiche del gioiello che i nostri padri vollero creare a gloria di Dio,incastonandolo mirabilmente nel con-testo paesaggistico. A quei tempi si riflette-va!Ostacolati dalla inclemenza del tempo a tarda sera abbiamo dato inizio alla Madre di tutte le veglie. Dapprima la Liturgia del fuoco conclusasi con il solenne canto dell’Exultet dall’alto del Pulpito,poi la Liturgia della Parola che ci ha fatto medita-re attraverso le dense Letture “sul Mistero pasquale della Croce e della Resurrezione di Cristo, centro della Buona Novella che gli Apostoli e la Chiesa devono annunziare al mondo.”Il canto del Glo-ria,solenne,eseguito dalla Corale guidata dal M°Amorelli che ha svolto anche il ruo-lo del solista,e accompagnata all’organo dal M°Achille Camera ha sottolineato la di-mensione gioiosa e festosa di una Comunità che celebra il suo Signore,vincitore del peccato e della morte. Nell’omelia Mons. Imperato, prima di sottolineare il significa-to profondo della celebrazione,ha voluto constatare come l’esiguità dell’assemblea fosse indice della mancata presa di coscien-za da parte di quanti si dicono battezzati dell’importanza della partecipazione alla Veglia di Pasqua,magari per assistere a qualche partita di calcio. E alla dignità di Figli di Dio ricevuta con il Battesimo ci ha richiamato la terza parte della Veglia Pa-squale,ossia la Liturgia Battesimale nella quale l’attenzione si è spostata sul grande segno dell’acqua, illuminata dal Cero, che “ravviva in noi il ricordo del nostro Battesi-mo”,il sacramento con il quale l’uomo rinasce come nuova creatura. Con la Litur-gia eucaristica animata dalla Corale si è conclusa la solenne Veglia Pasquale. Do-menica mattina, la Messa solenne 10.30 è stata veramente,a giudizio delle tante persone che vi hanno partecipato,un grandissimo momento che ha dato l’immagine di come dovrebbe essere la

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PAGINA 11 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

la Comunità non solo nel giorno di Pasqua ma in ogni domenica dell’anno. E’stata anche l’occasione per confermare che quando si è uniti,quando ciascuno svolge la sua parte,con umiltà e spirito di servizio,si riescono a realizzare delle iniziative altri-menti impensabili che vanno solo e unica-mente a gloria di Dio. Speriamo che si con-tinui su questa strada e che si comprenda che la Comunità dei credenti in Cristo morto e risorto accoglie tutti e non esclude nessuno,perché ciascuno ha dei carismi da mettere a disposizione di tutti,senza pre-giudizi o diritti di esclusive. Alla Messa Vespertina la riflessione di Mons.Imperato sulla stupenda pagina del Vangelo di Luca relativa ai discepoli di Emmaus ci ha fatto andare con la mente alla sera di quella pri-ma Pasqua e ci ha fatto immedesimare in quei due discepoli tristi e delusi. Quante volte anche noi,nel nostro piccolo,siamo come quei due viandanti all’inizio del loro cammino,incapaci di riconoscere il Signo-re. Eppure ogni giorno il Signore cammi-na con noi,si fa riconoscere e spezza il pane con noi,ma noi continuiamo a non ricono-scerlo. Come accade ormai da qualche anno la celebrazione vespertina del giorno di Pasqua si chiude con l’esposizione della statua di san Pantaleone, Patrono di Ravel-lo,del quale il lunedì in albis si celebra il patrocinio. Qualcuno ha mostrato delle perplessità in merito considerando il rito finale della messa vespertina di Pasqua una ”invasione di campo”.In effetti per diversi anni tutto si è svolto il lunedì dell’Angelo,proprio per evitare di “sminuire”la Domenica di Pasqua. Lungi dal voler cadere in un errore così grossola-no, si è ritenuto opportuno ristabilire la tradizione di esporre san Pantaleone pro-prio perché la sua grandezza è consistita anche e soprattutto nella sua fede in Cristo crocifisso e risorto. Il martire di Nicome-dia,al pari degli altri santi,è un testimone che continuamente invita con il suo esem-pio la Comunità di Ravello a rendere grazie a Dio e ad essere testimone e annunciatrice della Buona Novella. E nella Pasqua di quest’anno l’invito è stato accompagnato dal segno. Il sangue proprio nei giorni della Pasqua era sciolto,luminoso come in genere accade a luglio. Un evento eccezionale?Un miracolo? No,la semplice ma sconcertante prova che chi,come san Pantaleone,crede nel Risorto anche se muore vive.

Roberto Palumbo

GAETANO CIOFFI UN AMICO FRATERNO

Prima di iniziare a scrivere mi sono chiesto: di chi scriverò? Del mio amico fraterno? Del mio collabora-tore fidato? Del mio sostenitore? Del padrino di

mio figlio? Del vigile urbano? Ho provato a raccogliere le idee, i pensieri, i ricordi. Dopo poco ho realizzato che bastava parlare semplicemente dell'uomo Gaetano, senza correre il rischio che un ruolo prendesse il sopravvento sugli altri. Si ! La grandezza di Gaetano era questa: saper tenere distinti i ruoli, ma senza mai doverne sacrificare qualcuno a favore di un altro. Lo faceva con estrema semplicità, con il sorriso, con l'iro-nia sempre pronta. Non è un caso che Gae-tano riuscisse a colpire soprattutto i bambini e gli anziani, stabilendo con loro immediata-mente un rapporto meraviglioso e riuscendo sempre a conquistarsi la loro fiducia e amici-zia. Ricordo quando l'allora Sindaco Salvato-re Sorrentino mi confidò : " ho trovato la persona giusta per fare il vigile...... Gaeta-no" ! Per me fu una sorpresa, però imme-diatamente realizzai che aveva ragione. Pro-babilmente Gaetano non avrebbe mai vinto un concorso per vigile urbano ai giorni no-stri, ma quelli erano altri tempi. Erano tem-pi in cui le Amministrazioni potevano "scegliere" i collaboratori con procedure che oggi definiremmo "ad personam". Non esprimo giudizi sul metodo e sul merito, mi limito a constatare che,con quel metodo, Ravello riuscì a mettere su una squadra invi-diata da tutta la costiera. Una squadra che era una vera e propria famiglia, pronta a stringersi e a dare il meglio di se nei mo-menti di bisogno: il colera, il terremoto, i nubifragi. In quella famiglia Gaetano aveva un posto di primo piano. La sua abnegazio-ne, le sue capacità, il suo modo di fare erano virtù fondamentali per poter lavorare anche 12 ore di fila, in allegria e serenità. Riusciva a sorprenderti sempre con una trovata, una battuta. Non ho dubbi! Gaetano era l'ultimo interprete di un modo diverso di servire lo Stato. La malattia lo aveva immobilizzato, ma nulla poteva impedirgli di seguire ancora le vicende comunali. Era ansioso di sapere novità, di capire meglio un fatto, di avere un anteprima, ma spesso mi sorprendeva perché con il battito degli occhi mi faceva capire che già sapeva quella notizia e mi

indicava il computer. Si il computer che negli ultimi due anni lo teneva collegato con il mondo, gli permetteva di dialogare, espri-mere un desiderio, fare una domanda. Quanta gioia vidi sul suo volto il primo gior-no che mi accolse con un: ciao Secondo, pronunciato dalla voce metallica del pc che i suoi occhi avevano azionato. Una macchina che gli serviva per tutti tranne che per la moglie: Immacolata non aveva bisogno del pc, lo guardava negli occhi e gli leggeva il pensiero; e Gaetano le diceva grazie. Un grazie che capivo pure io, i suoi occhi si illuminavano di una luce meravigliosa per ringraziare la sua compagna, il suo angelo custode, il suo tutto. Uno spettacolo unico, bellissimo! Uno spettacolo che racchiude la vera essenza dei concetti di: comunione, condivisione, matrimonio. Uno spettacolo che è testimonianza viva e concreta di for-mule spesso recitate senza consapevolezza : “nella buona e nella cattiva sorte, nella salu-te e nella malattia”. Ecco, quello spettacolo, tradotto e teorizzato, potrebbe essere il miglior corso di preparazione pre-matrimoniale. Oggi, purtroppo troppo spesso, buona sorte e salute sono il viatico per litigi, cattiva sorte e malattia lo sono per la separazione. Le prime volte che andavo a fare visita a Gaetano nei primi tempi della sua malattia, pensavo di poter dare io a lui aiuto e conforto; dopo poco realizzai che era lui a dare a me. Cosa? Una carica interiore per affrontare le mie piccole difficoltà quoti-diane, un ammonimento a ringraziare quoti-dianamente il Dio per poter normalmente camminare, parlare, muovere le mani. Così poco? Ecco il grande insegnamento di Gae-tano : tutto quello che quotidianamente consideriamo "normale", sono invece doni meravigliosi che dovremmo apprezzare molto di più, considerarli straordinari e, di conseguenza, sentirci più soddisfatti della nostra esistenza, magari rifuggendo dalla corsa frenetica a quel “di più”, proprio del peggiore consumismo e dell’insoddisfazione di vita. Il destino ha voluto togliere a Gaeta-no questi doni lasciandogli però intatta la voglia di vivere fino alla fine dei suoi giorni. Grazie Gaetano! Grazie per quanto hai dato a me durante la tua vita "normale", ma so-prattutto grazie per quanto mi hai donato durante la tua malattia. Sono sicuro che ora, senza più sofferenza, qualcuno ti starà chie-dendo di dargli una mano a dirigere il traffi-co degli angeli, a preparare una pizza o una grigliata per gli ospiti del paradiso, e, per-ché no, a portare un poco di gioia anche ai tanti bambini che prima di te sono volati in celo.

Secondo Amalfitano

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CELEBRAZIONI DEL MESE DI MAGGIO

GIORNI FERIALI, PREFESTIVI E FESTIVI

Ore 18.30: Santo Rosario Ore 19.00: Santa Messa

3– 10 - 17-24 MAGGIO: ADORAZIONE EUCARISTICA dopo la S. Messa

5 MAGGIO Convento S. Francesco - ore 15.30: Giornata diocesana dei Ministranti 6 MAGGIO

V DOMENICA DI PASQUA

Ore 8.00-10.30-19.00: Sante Messe

8 MAGGIO

SUPPLICA ALLA B.V. DEL ROSARIO DI POMPEI

Ore 10.30: Inizio del Rosario 11.15: Santa Messa e recita della Supplica alla B.V. del SS. Rosario di Pompei

13 MAGGIO VI DOMENICA DI PASQUA - MADONNA DI FATIMA

Ore 8.00-10.30-19.00: Sante Messe

14 MAGGIO Ore 21.00: Adorazione in preparazione alla giornata Internazionale della Famiglia

15 MAGGIO: GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA FAMIGLIA

Duomo - ore 19.30: Seminario sul tema “Custodire la vita. Essere famiglia tra fecondità e accoglienza” a cura del Progetto Famiglia.

Relatrice: Dott.ssa Giovanna Pauciullo

20 MAGGIO

SOLENNITA’ DELL’ ASCENSIONE DEL SIGNORE FESTA DELLA TRASLAZIONE DELLA RELIQUIA DEL SANGUE

DI S. PANTALEONE NELLA NUOVA CAPPELLA

Ore 8.00-10.30: Sante Messe 19.00: Processione con la statua di S. Pantaleone Patrono di Ravello Celebrazione della Santa Messa al rientro della processione 22 MAGGIO - Santa Rita da Cascia

26 MAGGIO - Duomo di Ravello - ore 20:00 Veglia Diocesana di Pentecoste presieduta dall’Arcivescovo Mons. Orazio Soricelli ed animata dalle Aggregazioni Laicali

27 MAGGIO SOLENNITA’ DELLA PENTECOSTE

CELEBRAZIONE DELLA MESSA DI PRIMA COMUNIONE Ore 8.00– 10.30 - 19.00: Sante Messe Ore 10.15: Processione dalla Chiesa di S. Maria a Gradillo e ore 10.30 S. Messa di Prima Comunione

31 MAGGIO FESTA DELLA VISITAZIONE DELLA B.V. MARIA

Conclusione del Mese Mariano: Ore 18.30: S. Rosario, S. Messa e Processione