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INFRASTRUTTURE VIARIE NELLE AREE URBANE E METROPOLITANE Prof. Salvatore Leonardi A.A. 2012 - 2013

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INFRASTRUTTURE VIARIE NELLE AREE URBANE E METROPOLITANE Prof. Salvatore Leonardi A.A. 2012 - 2013

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Indice

Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano …….

1

1.1 AREE URBANE, AREE METROPOLITANE E CITTÀ METROPOLITANE ………….. 1

1.2 STRUMENTI TECNICI-AMMINISTRATIVI PER LA PIANIFICAZIONE DEI

TRASPORTI IN AMBITO URBANO ……………………………………………………………

8

1.2.1 Piano Regionale dei Trasporti …………………………………………………………… 8

1.2.2 Piano Urbano della Mobilità ……………………………………………………………... 10

1.2.3 Piano Urbano del Traffico ………………………………………………………………... 13

1.3 CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE DELLE STRADE URBANE ………………………. 22

1.3.1 Autostrade urbane ………………………………………………………………………... 23

1.3.2 Strade urbane di scorrimento ……………………………………………………………. 25

1.3.3 Strade urbane di quartiere ……………………………………………………………….. 28

1.3.4 Strade urbane locali ………………………………………………………………………. 30

Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano ……………………………………………..…….

33

2.1 FENOMENI DI INQUINAMENTO NELLE AREE URBANE E METROPOLITANE ….. 33

2.2 SOSTANZE INQUINANTI PRODOTTE DAL TRAFFICO STRADALE …………….…. 35

2.3 NORMATIVA ITALIANA SULLA QUALITÀ DELL’ARIA ………………………………... 38

2.4 INTERVENTI MITIGATIVI DELL’INQUINAMENTO ATMOSFERICO ……………….... 42

2.5 MODELLI PREVISIONALI DI EMISSIONE …………………………………………….… 43

2.6 MODELLI PREVISIONALI DI DISPERSIONE (O DI DIFFUSIONE) ……………….… 51

2.7 RUMORE PRODOTTO DAL TRAFFICO STRADALE …………………………….…… 59

2.8 NORMATIVA ITALIANA SUL RUMORE AMBIENTALE ………………………….…… 61

2.9 INTERVENTI MITIGATIVI DELL’INQUINAMENTO ACUSTICO …………………….… 63

2.10 MODELLI PREVISIONALI DEL RUMORE DA TRAFFICO VEICOLARE …………... 67

2.11 FENOMENO DELLE VIBRAZIONI …………………………………………………….… 69

Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio ……..... 73 3.1 PROBLEMATICHE DI SOSTA E PARCHEGGIO NEI CONTESTI URBANI ............... 73

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano  

 

3.2 CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE DEI PARCHEGGI ……………………………….… 74

3.3 PANORAMA NORMATIVO SUI PARCHEGGI ……………………………………….…. 77

3.4 VALUTAZIONE DELLA DOMANDA E DELL’OFFERTA DI SOSTA ……………….…. 80

3.4.1 Criteri per la quantificazione della domanda di sosta ……………………………….... 83

3.4.2 Predisposizione dell’offerta di sosta ………………………………………………….… 88

3.5 PARAMETRI DI PROGETTO DELLE INFRASTRUTTURE DI PARCHEGGIO ……... 92

3.5.1 Parcheggi a raso ………………………………………………………………………….. 95

3.5.2 Parcheggi per utenti disabili ……………………………………………………………... 98

3.5.3 Autorimesse multipiano interrate e fuori terra ……………………………………….… 100

3.5.4 Parcheggi meccanizzati automatici (autosilo) ……………………………………….… 106

3.6 IMPIANTI TECNOLOGICI NELLE INFRASTRUTTURE DI PARCHEGGIO ……….… 114

3.6.1 Sistema di ventilazione naturale e impianto di ventilazione meccanica ………….… 115

3.6.2 Impianto elettrico e impianto di illuminazione ………………………………..………… 118

3.6.3 Impianto di evacuazione dei liquidi ………………………………………………….….. 119

3.6.4 Impianto fisso di spegnimento automatico degli incendi ……………………………... 121

3.6.5 Impianto di movimentazione auto (per parcheggi automatizzati) ………………….… 122

Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico…… 125 4.1 RUOLO DEL SISTEMA DI TRASPORTO PUBBLICO NELLE AREE URBANE ……. 125

4.2 QUALITÀ DELLE INFRASTRUTTURE E DEI SISTEMI DI TRASPORTO PUBBLICO …. 127

4.3 INFRASTRUTTURE E SISTEMI DI TRASPORTO PUBBLICO COLLETTIVO ……… 128

4.3.1 Autobus ………………………………………………………………………………….… 128

4.3.2 Filobus ……………………………………………………………………………………... 131

4.3.3 Tram ………………………………………………………………………………………... 134

4.3.4 Ferrovie metropolitane ………………………………………………………………….... 136

4.4 SISTEMI DI TRASPORTO PUBBLICO INDIVIDUALE ……………………………….… 145

4.4.1 Car Sharing ………………………………………………………………………………... 145

4.4.2 Car Pooling ………………………………………………………………………………... 148

4.4.3 Taxi collettivo …………………………………………………………………………….... 150

4.4.4 Bus a chiamata ………………………………………………………………………….… 153

BIBLIOGRAFIA ………………………………………..……………. 155

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

    1  

_______________________________________

CAPITOLO 1

Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture

viarie in ambito urbano _______________________________________

1.1 AREE URBANE, AREE METROPOLITANE E CITTÀ METROPOLITANE

Si definisce area urbana l'insieme urbanisticamente inteso di edificazione che forma una

città. Può essere superiore all'estensione dei confini comunali (è il caso di Milano, la cui

area urbana è formata all'incirca dalle Province di Milano e Monza) oppure inferiore (è il

caso del Comune di Roma, la cui area urbana è inferiore all'area comunale). Può nascere

in due modi: con un processo di agglomerazione o con un processo di conurbazione.

L'agglomerazione comprende il tessuto costruito da un Comune centrale unito ai

sobborghi e alle città-satellite che lo circondano, è monocentrica e si forma sull'estensione

di un suo nucleo principale che, nel suo estendersi, ingloba nuclei minori.

Una conurbazione, invece, è una vasta area comprendente alcune città, amministrate

separatamente, che attraverso la crescita della popolazione e l'espansione della densità

urbana si sono fisicamente unite a formare un'unica area edificata (megalopoli).

L'area metropolitana è una zona circostante un'agglomerazione o una conurbazione che,

per i vari servizi, dipende dalla città centrale (metropoli) ed è caratterizzata

dall'integrazione delle funzioni e dall'intensità dei rapporti che si realizzano al suo interno.

Le aree metropolitane sono state istituite in Italia nel 1990 (Legge n. 142 dell’8 giugno

1990) nell'ambito di una riforma degli enti locali volta a modernizzare l'apparato

amministrativo italiano e ridurre i costi pubblici.

La crescente urbanizzazione ha posto, secondo il legislatore, l'esigenza di un nuovo ente,

alternativo alla Provincia e che fosse maggiormente orientato verso l'amministrazione

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano  

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efficiente di una grande città.

L’area metropolitana, nell’intento del legislatore, assume le funzioni spettanti ai Comuni in

materia di:

• disciplina del territorio, mediante la formazione di un piano intercomunale relativo: alla

rete delle principali vie di comunicazione stradali e ferroviarie e dei relativi impianti;

alle aree da destinare ad edilizia pubblica residenziale convenzionata ed agevolata;

alla localizzazione delle opere ed impianti d’interesse sovracomunale.

• formazione del piano intercomunale della rete commerciale;

• distribuzione dell’acqua potabile e del gas;

• trasporti pubblici;

• raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani.

Le aree metropolitane attualmente presenti in Italia sono le seguenti 15:

• Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli (individuate

dalla L. 142/90 e confermate dal D.lgs. 267/2000);

• Trieste (individuata dalla legge regionale Friuli 10/1988);

• Cagliari (individuata dalla legge regionale Sardegna 4/1997);

• Catania, Messina, Palermo (individuate dalla legge regionale Sicilia 9/1986);

• Reggio Calabria (individuata con la legge delega n. 42 del 5 maggio 2009).

Delle suddette aree, otto (Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Reggio Calabria, Catania,

Palermo e Messina) hanno proceduto con la delimitazione ufficiale dell’aree metropolitane,

mentre le altre sette (Torino, Milano, Trieste, Roma, Napoli, Bari e Cagliari) non hanno

invece proceduto ad individuare formalmente l’area, anche se per alcune di queste sono

stati comunque effettuati studi e proposte di perimetrazione.

Va specificato, a tal proposito, che la normativa vigente in materia (D. Lgs. 267/2000) non

fornisce specifici criteri per la delimitazione delle aree metropolitane, ma si limita a definire

quali realtà territoriali possono essere considerate tali, ovvero, quelle parti di territorio

costituite da una città centrale e da una serie di centri minori ad essa uniti da contiguità

territoriale e da rapporti di stretta integrazione in ordine all’attività economica, ai servizi

essenziali alla vita sociale, ai caratteri ambientali, alle relazioni sociali e culturali.

In Sicilia, la legge regionale 9/1986 aveva introdotto il concetto di “area metropolitana”

ancor prima che la legge 142/90 individuasse le aree metropolitane appartenenti alle

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

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Regioni a statuto ordinario.

Per la loro individuazione e perimetrazione la legge individua i seguenti parametri socio–

demografici e territoriali:

Ø siano ricomprese nell’ambito dello stesso territorio provinciale;

Ø abbiano, in base ai dati ISTAT relativi al 31 Dicembre dell’anno precedente la

dichiarazione, una popolazione residente non inferiore a 250.000 abitanti;

Ø siano caratterizzate dall’aggregazione, intorno ad un Comune di almeno 200.000

abitanti, di più centri urbani aventi fra loro una sostanziale continuità d’insediamenti;

Ø presentino un elevato grado d’integrazione in ordine ai servizi essenziali, al sistema

dei trasporti e allo sviluppo economico e sociale.

Palermo, Catania e Messina sono le realtà urbane che, nel possedere livelli di scambio e

di relazioni interne di più intensa dimensione, possono anche reggere la definizione di

area metropolitana. Le tre aree metropolitane, proprio perché costituiscono il sistema non

solo dei maggiori pesi demografici dell’isola, ma anche della continuità del rapporto tra le

capitali storiche ed il territorio siciliano, vanno misurate in ragione delle possibilità che

esse possono esprimere, nella realtà regionale, come sistemi integrati di servizi ed attività

complesse.

La dimensione delle tre aree metropolitane nella soluzione proposta copre, allo stato

attuale, poco meno della metà della popolazione della Regione (il 43,8%), interessando

un'area territoriale che ne costituisce circa un decimo (l'11,8%).

La perimetrazione dell'area metropolitana di Catania, in particolare, si configura come un

sistema costituito dai 27 Comuni sud-etnei e muove dalla considerazione che gli scambi

nel sistema catanese interessano un ampio territorio che ha come principali capisaldi, oltre

al polo del capoluogo, i centri di Acireale a nord e di Paternò a ovest (Tabella 1.1 e Figura

1.1).

Il peso della città di Catania è rappresentato da una popolazione di 298.091 residenti,

mentre i Comuni gravitanti hanno una popolazione di 455.006 residenti.

L'ampiezza demografica dell'area, pur se il peso di Catania rimane preponderante,

dimostra come si configuri un'articolazione di tre cittadine con una dimensione di abitanti

superiore alle 40 mila unità (Acireale, Misterbianco, Paternò) e di altri 6 centri che

superano i 20 mila abitanti (Aci Catena, Belpasso, Gravina, Mascalucia, San Giovanni la

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano  

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Punta, Tremestieri Etneo).

I Comuni, aggregati a grappolo, che definiscono il sistema etneo, direttamente a contatto

con la città di Catania e che sono localizzati nelle prime pendici a nord del centro

capoluogo, definiscono un sistema insediativo complesso che rappresenta più di un terzo

della popolazione dei Comuni gravitanti.

Provincia Comune Superficie (in km²)

Popolazione (numero di abitanti)

Provincia di Catania

Catania 180,88 298.091 Aci Bonaccorsi 1,7 2.940 Aci Castello 8 18.153 Aci Catena 8 28.523 Acireale 39,96 52.859 Aci Sant'Antonio 14 17.214 Belpasso 164 23.786 Camporotondo Etneo 6,4 3.840 Gravina di Catania 5 27.816 Mascalucia 16 27.621 Misterbianco 37 48.040 Motta Sant'Anastasia 35,73 11.253 Nicolosi 42 6.979 Paternò 144,04 49.349 Pedara 19 12.341 Ragalna 39 3.478 San Giovanni La Punta 10 22.159 San Gregorio di Catania 5,61 11.317 San Pietro Clarenza 6 6.706 Sant'Agata li Battiati 3 9.702 Santa Maria di Licodia 26,23 6.866 Santa Venerina 18 8.266 Trecastagni 18,96 9.842 Tremestieri Etneo 6 21.532 Valverde (CT) 5 7.616 Viagrande 10,05 7.753 Zafferana Etnea 76 9.055

TOTALE 939,56 753.097

Tabella 1.1 Comuni appartenenti all’area metropolitana di Catania (Dati ISTAT 2008).

La rete delle infrastrutture dei trasporti appare ancora inadeguata e gli ultimi interventi

viabilistici hanno teso a risolvere più le necessità di scavalcamento di Catania che le

relazioni interne tra i vari centri. Il fascio delle linee di costa appare ancora dominante,

anche se l'autostrada Catania-Palermo definisce una forte penetrazione verso l'interno

dell'isola. I collegamenti con le aree più interne sono in buona parte affidati alla struttura

viaria delle vecchie statali e provinciali, in parte migliorate da interventi di rettifica e da

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

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alcune circonvallazioni che

scavalcano i centri abitati.

Si configura un sistema ad

"albero" con una

penetrazione che cinge la

base del cono etneo e con

la forte polarità di Catania

che spinge verso valle le

principali radici produttive

ed i servizi.

Mentre lo sviluppo

complessivo della rete

stradale principale è di

circa 187 km, la distanza

tra gli estremi dell'area e la città di Catania varia tra gli 11 ed i 38 km con valori

complessivamente disponibili ad un'organizzazione degli scambi adeguati ai livelli di vita

contemporanei ed alla moderna mobilità (Fig. 1.2).

La delimitazione

dell’area

metropolitana di

Catania costituisce

un sistema dove

l'integrazione degli

scambi quotidiani

raggiunge i livelli

interni superiori a

quelli che lo

stesso sistema

possiede con

l'esterno. Essa

permette di individuare nel territorio provinciale tre grandi ambiti dalla forte identità per

Figura 1.1 L’area metropolitana di Catania.  

Figura 1.2 Infrastrutture viarie nell’area metropolitana di Catania.  

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano  

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caratteri specifici ed opportunità legate all'insediamento umano. Oltre al territorio dell'area

metropolitana, è possibile individuare, infatti, il territorio dei Comuni del versante nord

dell'Etna, con centralità nella città di Randazzo, ed il territorio del calatino, dove

Caltagirone può definire una tradizione della cultura delle aree più interne. La stessa

definizione dell'area metropolitana può, pertanto, determinare, nel sistema della Provincia

di Catania, un principio d'integrazione e valorizzazione di questi altri due grandi ambiti che

la compongono.

Le città metropolitane dovrebbero rappresentare, in futuro, nuovi enti amministrativi

italiani. Sono state introdotte dalla legge n. 142 dell'8 giugno 1990 sul nuovo ordinamento

degli Enti locali, ed hanno trovato nuovo slancio nel nuovo art. 114 della Costituzione della

Repubblica italiana, dopo la riforma dell'ordinamento della Repubblica del 2001 (l’art. 114

recita espressamente “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città

metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e

le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati

dalla Costituzione”).

L'istituzione della città metropolitana è stata prevista per le 15 aree metropolitane già

definite. All'ente sono attribuite le funzioni della Provincia e parte delle funzioni di interesse

sovracomunale proprie dei singoli Comuni.

A distanza di molti anni dalla delimitazione delle aree metropolitane e dalla previsione

dell'istituzione delle città metropolitane, non ci sono ancora riscontri effettivi e sono in atto

grosse discussioni per definire i nuovi enti. Per esempio, è molto dibattuta la questione del

territorio di una città metropolitana, soprattutto se l'area di influenza storica di una città non

coincide con l'area di influenza economica contemporanea.

Un altro problema è dato dalla difficoltà dei Comuni di accettare di diventare municipalità

di quella che viene spesso considerata un'altra città. In particolare, alcune città

preferirebbero che l’individuazione del territorio della città metropolitana non tenesse conto

di criteri tecnico-scientifici ma di adesioni spontanee e graduali dei Comuni, basate sulla

condivisione delle funzioni e degli obiettivi che si vogliono attribuite alla città metropolitana;

in alcuni casi, inoltre, la fase di transizione verso la città metropolitana è affidata ad

organismi definiti Conferenze Metropolitane, cui compete sia la promozione del nuovo

ente, sia l’esercizio, in via transitoria, di funzioni di competenza della città metropolitana.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

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Da quanto esposto sembrerebbe quindi che le maggiori possibilità di successo passino

attraverso una prima adesione, spontanea e graduale, alle Conferenze Metropolitane,

organismi entro i quali cominciare a prefigurare e sperimentare il ruolo della futura città

metropolitana.

In ogni caso, appare chiaro come la costituzione di una città metropolitana rappresenti un

traguardo complesso ed impegnativo, realmente conseguibile solo attraverso un percorso

culturale, sociale e politico che difficilmente potrà svolgersi compiutamente se tra i cittadini

e le istituzioni non riuscirà ad affermarsi il diffuso convincimento di un’effettiva

appartenenza a comunità più estese di quelle originarie, condividenti problematiche di più

ampia portata, e per questo necessitanti, in ossequio ai principi di differenziazione ed

adeguatezza, di un livello istituzionale di governo nuovo, forte di accresciuti poteri ma nel

contempo rispettoso delle identità di base.

L’attuale situazione di stallo, imputabile in parte alle suddette difficoltà determinate da una

non matura situazione socio-culturale, è poi aggravata dall’attesa dei decreti legislativi che

il governo deve emanare per adeguare la legislazione vigente (D. L. 267/2000) alle

modifiche apportate alla Costituzione italiana con la Legge Costituzionale 3/2001.

Nel 2007 il Governo Prodi II aveva approvato un disegno di legge-delega che avrebbe

dovuto abrogare il D. Lgs. n. 267/2000, recante il Testo unico sull'Ordinamento degli Enti

Locali, che a sua volta raccoglieva in un unico testo la legge n. 142/1990. Secondo il

predetto disegno legislativo, l'iniziativa della costituzione della città metropolitana spettava

al Comune capoluogo o al 30% dei Comuni della Provincia o delle Province interessate,

che rappresentassero il 60% della relativa popolazione, oppure ad una o più Province

insieme al 30% dei Comuni della Provincia/e proponenti. Sulla proposta la Regione

doveva esprimere un parere e successivamente sarebbero stati chiamati ad esprimersi

anche i cittadini con un referendum, che non avrebbe avuto un quorum se il parere della

Regione fosse stato favorevole, o del 30% in caso contrario.

Nel 2008, però, lo scioglimento anticipato delle Camere ha rinviato il compito di istituire le

città metropolitane al Parlamento della XVI legislatura repubblicana.

La materia, con la legge n. 42 del 5 maggio 2009 sul federalismo fiscale, è stata oggetto di

delega al governo il quale dovrà emanare i relativi provvedimenti normativi.

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 8  

1.2 STRUMENTI TECNICI-AMMINISTRATIVI PER LA PIANIFICAZIONE DEI

TRASPORTI IN AMBITO URBANO

Il processo che porta alla costruzione ed alla gestione delle infrastrutture viarie nelle aree

urbane e metropolitane, è regolamentato da quegli strumenti di pianificazione (piani) che,

sia a livello urbanistico che a quello specifico di settore, costituiscono riferimenti

imprescindibili non solo per i tecnici ma anche per quanti, a vario titolo (politici, gestori,

privati, etc.), sono interessati alle problematiche connesse alla mobilità in ambito urbano.

Il Piano Regolatore Generale è lo strumento urbanistico “principe” per la regolamentazione

delle attività che, nell’ambito dei territori comunali, definiscono tutti i livelli di costruzione

(comprese le infrastrutture di viabilità e di trasporto).

I Piani di interesse trasportistico, sempre coerenti con lo strumento settoriale elaborato a

livello nazionale (Piano Generale dei Trasporti), per quanto riguarda le ripercussioni sulla

viabilità nelle aree urbane e metropolitane, sono essenzialmente i seguenti tre: Piano

Regionale dei Trasporti (PRT), Piani Urbani della Mobilità (PUM) e Piani Urbani del

Traffico (PUT).

1.2.1 Piano Regionale dei Trasporti

Il Piano Regionale dei Trasporti (PRT) è stato istituito dalla legge n. 151 del 10 aprile 1981

- Legge quadro per l'ordinamento, la ristrutturazione ed il potenziamento dei trasporti

pubblici locali che stabilisce i principi fondamentali cui le Regioni a statuto ordinario

devono attenersi nell'esercizio delle potestà legislative e di programmazione, in materia di

trasporti pubblici locali (art. 1). Secondo tale legge, le Regioni, nell'ambito delle loro

competenze:

Ø definiscono la politica regionale dei trasporti in armonia con gli obiettivi del Piano

Generale dei Trasporti e delle sue articolazioni settoriali;

Ø predispongono Piani Regionali dei Trasporti in connessione con le previsioni di assetto

territoriale e dello sviluppo economico, anche al fine di realizzare l'integrazione e il

coordinamento con i servizi ferroviari ed evitare aspetti concorrenziali con gli stessi;

Ø adottano programmi poliennali o annuali di intervento, sia per gli investimenti sia per

l'esercizio dei trasporti pubblici locali.

Le Regioni concorrono, altresì, secondo la legislazione statale, alla elaborazione del Piano

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

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Generale dei Trasporti e dei piani di settore, e collaborano alla predisposizione delle

direttive per l'esercizio delle funzioni delegate (art. 2). Il Decreto legislativo 422 del 19

novembre 1997 - Conferimento alle Regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in

materia di trasporto pubblico locale, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15

marzo 1997, n. 59, al comma 2 dell'art. 14, precisa che, nell'esercizio dei compiti di

programmazione, le Regioni:

• definiscono gli indirizzi per la pianificazione dei trasporti locali ed in particolare per i

piani di bacino;

• redigono i Piani Regionali dei Trasporti e loro aggiornamenti tenendo conto della

programmazione degli enti locali ed in particolare dei piani di bacino predisposti dalle

Province e, ove esistenti, dalle città metropolitane, in connessione con le previsioni di

assetto territoriale e di sviluppo economico e con il fine di assicurare una rete di

trasporto che privilegi le integrazioni tra le varie modalità favorendo in particolar modo

quelle a minore impatto sotto il profilo ambientale.

Il Piano Generale dei Trasporti e della Logistica del 2001 ha definito le Linee guida per la

redazione e la gestione PRT, al fine di promuovere un effettivo rinnovamento nelle

modalità di predisposizione dei Piani Regionali dei Trasporti (PRT), di assicurare il

massimo coordinamento con le scelte del PGT, di consentire una chiara possibilità di

confronto tra le proposte dei vari PRT. Il PGT, indicando obiettivi, vincoli, metodologie e

strategie per la pianificazione dei trasporti a livello regionale, sottolinea la necessità che i

PRT non vengano più intesi come mera sommatoria di interventi infrastrutturali, ma si

configurino come progetti di sistema con il fine di assicurare una rete di trasporto che

privilegi le integrazioni tra le varie modalità favorendo quelle a minore impatto sotto il

profilo ambientale.

Gli obiettivi diretti sono:

• garantire accessibilità per le persone e le merci all'intero territorio di riferimento, anche

se con livelli di servizio differenziati in relazione alla rilevanza sociale delle diverse

zone;

• rendere minimo il costo generalizzato della mobilità individuale e collettiva;

• assicurare elevata affidabilità e bassa vulnerabilità al sistema, in particolare nelle aree

a rischio;

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano  

 10  

• contribuire al raggiungimento degli obiettivi di Kyoto;

• garantire mobilità alle persone con ridotte capacità motorie e con handicap fisici.

Gli obiettivi indiretti sono:

• ridurre gli attuali livelli di inquinamento;

• proteggere il paesaggio e il patrimonio archeologico, storico e architettonico;

• contribuire a raggiungere gli obiettivi dei piani di riassetto urbanistico e territoriale e dei

piani di sviluppo economico e sociale.

Nel perseguire questo sistema di obiettivi, i piani locali di trasporto debbono rispettare i

vincoli derivanti da direttive europee e da leggi nazionali, in particolare i vincoli di budget

imposti da scelte del governo centrale o dei governi regionali. Particolare attenzione va

dedicata anche ai vincoli relativi all’inquinamento atmosferico.

Le principali strategie da adottare sono:

Ø strategie istituzionali che consistono nella promozione del coordinamento e

dell'integrazione di competenze, nell’introduzione di procedure moderne di

pianificazione ed istituzione di Enti e uffici specifici (uffici di Piano, osservatori sulla

mobilità) e nell'attivazione di procedure di controllo sull'attuazione del piano;

Ø strategie infrastrutturali che consistono nel riequilibrio della ripartizione della domanda

tra le diverse modalità, sia per i passeggeri sia per le merci, nell’integrazione fra le

diverse componenti del sistema (intermodalità), nella utilizzazione massima delle

infrastrutture esistenti con il recupero di quelle divenute obsolete o sottoutilizzate.

Le Regioni devono innanzitutto produrre congiuntamente, attraverso la Conferenza Stato

– Regioni, la costruzione di un quadro complessivo delle attese, cioè la chiara e

concordata elencazione dei principi chiave dell’assetto trasportistico desiderato in termini

di soglie di costo delle modalità di trasporto, di soglie tariffarie, di ubicazione strategica

delle infrastrutture nodali, di realizzazione e mantenimento delle reti portanti, nonché di

indicatori di sicurezza e ambientali.

1.2.2 Piano Urbano della Mobilità

Per quanto riguarda la mobilità urbana, il PGT prevede l’adozione di una politica di totale

libertà da parte dei Comuni in merito alla scelta degli interventi infrastrutturali, tecnologici,

gestionali ed organizzativi volti al miglioramento dei livelli di servizio del sistema di

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

    11  

trasporti nelle singole realtà locali. Allo Stato è riservato il ruolo di cofinanziatore degli

interventi, qualora essi vengano ritenuti capaci di raggiungere precisi e quantificabili

obiettivi prefissati.

I Piani Urbani della Mobilità (PUM) sono lo strumento attraverso il quale le realtà locali

definiscono l’insieme di interventi più appropriati per il raggiungimento di detti obiettivi e si

sviluppano in un orizzonte temporale di medio/lungo periodo (massimo 10 anni).

Con i PUM si potranno richiedere finanziamenti allo Stato per interventi atti a conseguire

gli obiettivi di mobilità generale previsti dal Governo, ai quali possono aggiungersene altri

delle Amministrazioni locali. I finanziamenti quindi non saranno più per opere, ma per

obiettivi.

Il PUM si differenzia dai Piani Regionali dei Trasporti (PRT) per le dimensioni dell’area

sulla quale esso agisce. I PUM interessano bacini di mobilità relativi ad aree territoriali

contigue: i soggetti beneficiari potranno essere gli agglomerati urbani con popolazione

superiore a 100.000 abitanti, singoli Comuni, aggregazioni di Comuni limitrofi e Province

aggreganti Comuni limitrofi.

Per accedere ai finanziamenti, ottenuto il parere favorevole dalla Regione, le richieste

potranno essere attivate in modo standardizzato a cadenza annuale (sulla base della

legge Finanziaria).

Gli interventi ricadenti nei PUM sono finalizzati a:

• soddisfare i fabbisogni di mobilità della popolazione;

• abbattere i livelli di inquinamento atmosferico ed acustico nel rispetto degli accordi

internazionali e delle normative comunitarie e nazionali in materia di abbattimento di

emissioni inquinanti;

• ridurre i consumi energetici;

• aumentare i livelli di sicurezza del trasporto e della circolazione stradale;

• minimizzare l’uso individuale dell’automobile privata e moderare il traffico;

• incrementare la capacità di trasporto;

• aumentare la percentuale di cittadini trasportati dai sistemi collettivi, anche con

soluzioni di car pooling, car sharing, taxi collettivi, etc.;

• ridurre i fenomeni di congestione nelle aree urbane caratterizzate da una elevata

densità di traffico, mediante l’individuazione di soluzioni integrate del sistema di

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano  

 12  

trasporti e delle infrastrutture in grado di favorire un migliore assetto del territorio e dei

sistemi urbani;

• favorire l’uso di mezzi alternativi di trasporto con impatto ambientale più ridotto

possibile.

Costituiscono interventi compresi nei PUM:

Ø le infrastrutture di trasporto pubblico relative a qualunque modalità;

Ø le infrastrutture stradali, di competenza locale, con particolare attenzione alla viabilità

a servizio dell’interscambio modale;

Ø i parcheggi, con particolare riguardo a quelli di interscambio;

Ø le tecnologie;

Ø le iniziative dirette a incrementare e/o migliorare il parco veicoli;

Ø il governo della domanda di trasporto e della mobilità, anche attraverso la struttura del

mobility manager;

Ø i sistemi di controllo e regolazione del traffico;

Ø i sistemi d’informazione all’utenza;

Ø la logistica e le tecnologie destinate alla riorganizzazione della distribuzione delle

merci nelle città, nei Comuni e nelle aree densamente urbanizzate.

I PUM, per poter perseguire al meglio gli obiettivi sopra richiamati, tenuto conto degli

strumenti di pianificazione generale ed esecutiva, devono essere coordinati con gli altri

piani di settore, quali i piani di azione per il miglioramento e per il mantenimento della

qualità dell’aria e dell’ambiente e per la riduzione dei livelli di emissione sonora, igienico-

sanitari, energetici, quelli urbanistico-territoriali sia generali che attuativi, in specie quelli

relativi alle attività produttive e alle attività ricreative e residenziali (piano per insediamenti

produttivi, centri direzionali, zone e centri commerciali, zone per il tempo libero, etc.) e con

la pianificazione dei servizi sociali e ai piani municipali di welfare, dei tempi e degli orari.

Inoltre, il PUM deve essere progettato in coerenza con gli strumenti della programmazione

e della pianificazione regionale, secondo le procedure già in vigore o da emanare nei

singoli ordinamenti regionali.

Gli effetti del PUM per il raggiungimento degli obiettivi si valutano con la quantificazione

del valore dei vari indicatori (ad es., il livello sonoro equivalente per l’inquinamento

acustico, o il numero annuo di incidenti, morti e feriti per la sicurezza stradale) tramite

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

    13  

opportuni modelli di previsione e simulazione. La valutazione degli effetti complessivi degli

scenari di progetto deve essere effettuata in termini trasportistici, ambientali, territoriali,

economici, finanziari e gestionali, rispetto agli scenari di riferimento.

Occorre infine prevedere un’attività di monitoraggio degli obiettivi dei PUM. A tal fine

l'Amministrazione centrale dovrà dotarsi di un apposito ufficio preposto per l’espletamento

di tale compito.

1.2.3 Piano Urbano del Traffico

Le Direttive per la redazione, adozione ed attuazione dei piani urbani del traffico (Art. 36

del Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. Codice della Strada) sono state emanate dal

Ministero dei Lavori Pubblici e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n. 146 del 24 giugno

1995.

Il Codice della strada, all’articolo 36, fa obbligo della redazione del Piano urbano del

traffico (PUT) ai Comuni con popolazione residente superiore a trentamila abitanti ovvero

comunque interessati da rilevanti problematiche di circolazione stradale; alle Direttive

possono infatti far riferimento anche quei Comuni che, pur non essendo tenuti per legge,

ritengono opportuno dotarsi di un PUT.

Il PUT costituisce uno strumento tecnico-amministrativo di breve periodo, finalizzato a

conseguire il miglioramento delle condizioni della circolazione e della sicurezza stradale, la

riduzione dell’inquinamento acustico ed atmosferico e il contenimento dei consumi

energetici, nel rispetto dei valori ambientali. Esso deve essere coordinato, oltre che con i

Piani del traffico per la viabilità extraurbana previsti dallo stesso articolo 36, con gli

strumenti urbanistici, con i Piani di risanamento e tutela ambientale e con i PRT.

Un Piano Urbano del Traffico è costituito da un insieme coordinato di interventi per il

miglioramento delle condizioni della circolazione stradale nell’area urbana, dei pedoni, dei

mezzi pubblici e dei veicoli privati, realizzabili e utilizzabili nel breve periodo (arco

temporale biennale) e nell’ipotesi di dotazioni di infrastrutture e mezzi di trasporto

sostanzialmente invariate.

Il PUT deve essere inteso come “piano di immediata realizzabilità”, con l’obiettivo di

contenere al massimo, mediante interventi di modesto onere economico, le criticità della

circolazione; tali criticità, specialmente nelle aree urbane di maggiori dimensioni, potranno

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano  

 14  

infatti essere interamente rimosse solo attraverso adeguati potenziamenti sull’offerta di

infrastrutture e di servizi del trasporto pubblico collettivo.

In particolare, gli obiettivi specifici del PUT sono quelli riportati di seguito:

• il miglioramento delle condizioni di circolazione (movimento e sosta);

• il miglioramento della sicurezza stradale (riduzione degli incidenti stradali);

• la riduzione degli inquinamenti atmosferico ed acustico;

• il risparmio energetico.

Il perseguimento degli obiettivi suddetti, traducendosi sempre nella predisposizione di una

corretta organizzazione del traffico urbano, richiede un’ampia serie coordinata di

interventi, su tutto il territorio urbanizzato e su tutte le componenti della circolazione

stradale.

Gli interventi in questione possono riassumersi nei due seguenti tipi di strategie generali

da adottare:

Ø interventi sull’offerta di trasporto;

Ø interventi sulla domanda di mobilità e di sosta.

Le azioni mirate alla riorganizzazione dell’offerta di trasporto richiedono in primo luogo la

definizione di un’idonea classifica funzionale delle strade.

La classifica in questione, coerentemente all’articolo 2 del CdS ed al D.M. 5/11/2001, fa

riferimento in generale ai seguenti quattro tipi fondamentali di strade urbane (cfr. paragrafo

1.3):

• autostrade urbane,

• strade di scorrimento,

• strade di quartiere,

• strade locali.

I principali strumenti attraverso i quali risulta possibile nel breve termine ottenere il

miglioramento della capacità del sistema di trasporto urbano riguardano:

Ø l’eliminazione della sosta veicolare dalla viabilità principale,

Ø l’adeguamento della capacità delle intersezioni ai flussi veicolari in transito.

L’eliminazione della sosta veicolare dalla viabilità principale, in genere comporta:

• il riordino delle strade, piazze e larghi appartenenti alla viabilità locale, finalizzato alla

possibilità di recupero di nuovi spazi di sosta (strade parcheggio ed aree-parcheggio),

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

    15  

fatte sempre salve le esigenze dei pedoni e la vocazione ambientale dei luoghi, tenuto

conto dei relativi valori storici artistici ed architettonici;

• l’utilizzo, eventualmente provvisorio, delle aree pubbliche, ma anche private, in attesa

di definitiva destinazione urbanistica, in termini di realizzazione e di gestione di aree di

parcheggio, eventualmente multipiano, ad uso pubblico (parcheggi di tipo sostitutivo

della sosta su strada), con possibile attrezzatura di alberature ed anche con

riferimento ad interventi finanziati dall’iniziativa privata;

• la realizzazione di parcheggi ad uso privato (parcheggi pertinenziali, sempre ad uso

sostitutivo della sosta su strada), su suolo privato o anche pubblico, con particolari

facilitazioni da prevedere per i privati interessati alla loro costruzione;

• il potenziamento e la riorganizzazione del corpo di vigilanza urbana, in forma diretta ed

indiretta, intesa quest’ultima come potenziamento dei servizi atti ad ottenere, in

particolare, un idoneo ed efficace controllo delle modalità di sosta.

Per quel che concerne l’adeguamento della capacità delle intersezioni, esso coinvolge

diverse tipologie di azione (limitazioni alle manovre di svolta a sinistra, istituzione di sensi

unici di marcia, adeguate canalizzazioni ed, eventualmente, ridisegno delle caratteristiche

geometriche con riduzione del numero dei rami di intersezione). Si tratta, in ogni caso, di

un settore di intervento che può oggi avvalersi dei più moderni sistemi tecnologici di

controllo del traffico (a partire dagli impianti semaforici attuati dai flussi veicolari e/o

pedonali), di vasta utilità, sempre che risulti corretto il dimensionamento della rete

principale (come quantità, estesa e distribuzione delle corsie di marcia messe a

disposizione per le diverse correnti veicolari) e delle politiche intermodali e tariffarie

eventualmente adottate.

La domanda di mobilità e di sosta è generalmente espressa dalle tre componenti

fondamentali del traffico, qui di seguito esposte secondo l’ordine assunto nella loro scala

dei valori all’interno del Piano:

1. pedoni;

2. veicoli per il trasporto collettivo con fermate di linea (autobus, filobus e tram), urbani

ed extraurbani;

3. veicoli motorizzati senza fermate di linea (autovetture, autoveicoli commerciali,

ciclomotori, motoveicoli, autobus turistici e taxi).

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano  

 16  

Laddove non esista il trasporto pubblico collettivo, oppure risultino assenti concrete

possibilità di immediato miglioramento del suo servizio, il Piano suggerisce la strategia di

fornire alternative spaziali alla mobilità veicolare urbana, consistenti nell’individuazione di

itinerari alternativi per i flussi veicolari e di spazi di sosta alternativi a quelli in uso sulla

viabilità principale.

L’attuale grado di saturazione fisica degli spazi disponibili per i movimenti e la sosta

veicolare rende, però, molto spesso insufficiente l’adozione della sola strategia ora

indicata, specialmente per le aree urbane maggiormente congestionate. In tali situazioni

risulta quindi necessario intervenire orientando la domanda di mobilità verso modi di

trasporto che richiedono minori disponibilità di spazi stradali per il soddisfacimento della

domanda medesima (domanda espressa, non più in veicoli x km, bensì in persone x km).

Questa tipologia di interventi rientra nella cosiddetta politica delle alternative modali, che

trova attuazione fondamentale nella migliore organizzazione possibile del trasporto

collettivo, sia a carattere pubblico che privato (autobus aziendali).

La politica delle alternative modali viene in generale resa efficiente attraverso

l’applicazione contestuale, da un lato, di forme di incentivazione dell’uso dei cosiddetti

modi alternativi e, dall’altro lato, di forme di disincentivazione dell’uso delle vetture per il

trasporto individuale privato, con il vincolo non sopprimibile che la capacità di trasporto

alternativa fornita risulti in grado di assorbire, ad un livello di servizio accettabile, le quote

di domanda ad essa trasferite dal sistema individuale privato.

In quest’ambito di interventi rientrano misure molto varie, di carattere tecnico, normativo e

tariffario; ad esempio sono ipotizzabili forme di facilitazione per l’utilizzazione dei taxi e

delle autovetture ad uso collettivo (car pooling), in contrapposizione all’adozione di

restrizione alla circolazione delle autovetture ad uso individuale.

Tra di essi risultano peculiarmente significativi due tipi di intervento:

• la realizzazione di aree di sosta dove lasciare la propria autovettura e proseguire lo

spostamento con un altro modo di trasporto (parcheggi di scambio, intesi in questo

contesto come forma di disincentivazione all’uso di autovettura per il trasporto

individuale privato);

• l’introduzione di particolari sistemi di tariffazione della circolazione dell’autovettura in

determinate zone urbane (intesi in questo contesto come forme di disincentivazione

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

    17  

all’uso delle autovettura con il solo conducente).

I parcheggi di scambio, specie nelle aree urbane di maggiori dimensioni, incoraggiano

infatti la intermodalità dei movimenti sulle direttrici centro-periferia, prevedendo adeguati

spazi di sosta, preferibilmente custodita, in prossimità delle principali interconnessioni tra

la rete viaria di adduzione all’area urbana ed i terminali periferici delle linee di trasporto

pubblico collettivo. Gli spazi di sosta andranno attrezzati, in relazione alle dimensioni

dell’area, con elementi di arredo urbano e con servizi complementari di ristoro, di

informazione all’utente e di interesse culturale.

Detti parcheggi risultano analogamente utili anche nelle aree urbane di minori dimensioni

laddove non esiste il servizio di trasporto pubblico, con riferimento alla possibilità di

proseguire lo spostamento a piedi con un percorso pedonale di accettabile lunghezza.

D’altro verso, la tariffazione della sosta su strada in determinati ambienti urbani e/o,

eventualmente, dell’accesso veicolare individuale a tali ambienti, conduce ad una

riduzione della domanda di mobilità motorizzata individuale, sia in quanto rende

maggiormente competitivo, dal punto di vista economico, l’uso degli anzidetti sistemi di

trasporto alternativi, rispetto a quello individuale autoveicolare, sia in quanto induce all’uso

collettivo (per accompagnamento, per accordi tra colleghi di lavoro o di studio, etc.) dello

stesso sistema di trasporto autoveicolare.

Inoltre la tariffazione della sosta su strada, oltre che incentivare la rotazione dei veicoli su

uno stesso posto di sosta, contribuisce al finanziamento degli interventi necessari alla

gestione di tutto il traffico stradale (articolo 7, comma 7, del CdS).

Oltre che delle alternative spaziali e modali, il Piano può avvalersi di interventi relativi alle

strategie proprie delle alternative temporali, le quali fanno riferimento al soddisfacimento

della domanda di mobilità, per quanto utile e conveniente, in orari ricadenti nei cosiddetti

periodi di morbida del traffico, durante i quali si registrano minori intensità dei flussi

veicolari in movimento.

Questi interventi, che coinvolgono anche altri settori, oltre quello del traffico, e che

pertanto vanno con essi coordinati, riguardano in genere lo sfalsamento degli orari di inizio

e termine delle attività lavorative e scolastiche, la migliore distribuzione degli orari delle

attività commerciali e degli uffici aperti al pubblico e simili.

Dal punto di vista della strutturazione formale, vengono distinti tre livelli di progettazione

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano  

 18  

del PUT, rappresentativi anche del suo specifico iter di approvazione da parte degli organi

istituzionali competenti.

Il 1° Livello di progettazione è quello del Piano generale del traffico urbano (PGTU), inteso

quale progetto preliminare o piano quadro del PUT, relativo all’intero centro abitato. Esso

riguarda, in particolare, la proposizione:

• del Piano di miglioramento della mobilità pedonale, con definizione delle piazze,

strade, itinerari od aree pedonali (AP) e delle zone a traffico limitato (ZTL) o,

comunque, a traffico pedonalmente privilegiato;

• del Piano di miglioramento della mobilità dei mezzi collettivi pubblici (fluidificazione dei

percorsi, specialmente delle linee portanti) con definizione delle eventuali corsie e/o

carreggiate stradali ad essi riservate, e dei principali nodi di interscambio, nonché dei

rispettivi parcheggi di scambio con il trasporto privato e dell’eventuale piano di

riorganizzazione delle linee esistenti e delle loro frequenze (PUT inteso come Piano

della mobilità);

• del Piano di riorganizzazione dei movimenti dei veicoli motorizzati privati, con

definizione sia dello schema generale di circolazione veicolare (per la viabilità

principale), sia della viabilità tangenziale per il traffico di attraversamento del centro

abitato, sia delle modalità di assegnazione delle precedenze tra i diversi tipi di strade;

• del Piano di riorganizzazione della sosta delle autovetture, con definizione sia delle

strade parcheggio, sia delle aree di sosta a raso fuori delle sedi stradali ed,

eventualmente, delle possibili aree per i parcheggi multipiano, sostitutivi della sosta

vietata su strada, sia del sistema di tariffazione e/o di limitazione temporale di quota

parte della sosta rimanente su strada.

Gli elaborati progettuali del PGTU, relativi agli argomenti anzidetti, devono essere redatti

in scala da 1:25.000 fino ad 1:5.000 (od eccezionalmente valori inferiori), in funzione delle

dimensioni del centro abitato; devono essere inoltre corredati di relazione tecnica-

descrittiva.

Il 2° Livello di progettazione è quello dei Piani particolareggiati del traffico urbano (PPTU),

intesi quali progetti di massima del PGTU, relativi ad ambiti territoriali più ristretti di quelli

dell’intero centro abitato, quali, a seconda delle dimensioni del centro medesimo, le

circoscrizioni, i settori urbani, i quartieri o le singole zone urbane (anche come fascia di

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

    19  

influenza dei singoli itinerari di viabilità principale), e da elaborare secondo l’ordine

previsto nell’anzidetto programma generale di esecuzione del PGTU.

Essi, in particolare, riguardano:

• i progetti per le strutture pedonali, con eventuali marciapiedi, passaggi ed

attraversamenti pedonali e relative proiezioni, e per la salvaguardia della fluidità

veicolare attorno alle eventuali AP, ZTL e zone particolarmente sensibili

all’inquinamento atmosferico;

• il tipo di organizzazione delle fermate, dei capilinea e dei punti di interscambio dei

mezzi pubblici collettivi e delle rispettive eventuali corsie e/o sedi riservate e

l’eventuale progetto di massima per i parcheggi di scambio con il trasporto privato,

nonché l’eventuale piano di dettaglio per la riorganizzazione delle linee esistenti e

delle loro frequenze (PUT inteso come Piano della mobilità);

• gli schemi dettagliati di circolazione per i diversi itinerari della viabilità principale e per

la viabilità di servizio, il tipo di organizzazione delle intersezioni stradali della viabilità

principale (con relativo schema di fasatura e di coordinamento degli impianti

semaforici od, eventualmente, schema di svincolo delle correnti veicolari e pedonali a

livelli sfalsati) ed il piano generale della segnaletica verticale, specialmente di

indicazione e precedenza;

• il tipo di organizzazione della sosta per gli eventuali spazi laterali della viabilità

principale, per le strade-parcheggio, per le aree di sosta esterne alle sedi stradali e per

gli eventuali parcheggi multipiano sostitutivi della sosta vietata su strada, nonché

l’eventuale organizzazione della tariffazione e/o limitazione della sosta di superficie

(strade ed aree).

Gli elaborati progettuali di questo 2° livello di progettazione devono essere redatti in scala

da 1:5.000 fino ad 1:1.000 (o eccezionalmente più dettagliata), in funzione. delle

dimensioni dell’ambito territoriale in studio (circoscrizione, settore urbano, quartiere, zona

o fascia urbana); devono essere inoltre corredati di relazione tecnica-descrittiva.

Il 3° Livello di progettazione è quello dei Piani esecutivi del traffico urbano (PETU), intesi

quali progetti esecutivi dei Piani particolareggiati del traffico urbano. La progettazione

esecutiva riguarda, di volta in volta, l’intero complesso degli interventi di un singolo Piano

particolareggiato, ovvero singoli lotti funzionali della viabilità principale e/o dell’intera rete

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano  

 20  

viaria di specifiche zone urbane (comprendenti una o più maglie di viabilità principale, con

la relativa viabilità interna a carattere locale), facenti parte di uno stesso Piano

particolareggiato.

Detti Piani esecutivi definiscono completamente gli interventi proposti nel rispettivi Piani

particolareggiati, quali, ad esempio, le sistemazioni delle sedi viarie, la canalizzazione

delle intersezioni, gli interventi di protezione delle corsie e delle sedi riservate e le

indicazioni finali della segnaletica stradale (orizzontale, verticale e luminosa), e li integrano

in particolare per quanto attiene le modalità di gestione del PUT (in termini di verifiche ed

aggiornamenti necessari).

Tra queste ultime modalità assumono particolare importanza i due essenziali Piani di

settore relativi ai “potenziamento e/o ristrutturazione del servizio di vigilanza urbana” ed

alle indispensabili “campagne di informazione e di sicurezza stradale”.

Gli elaborati progettuali di questo 3° livello di progettazione devono essere redatti in scala

da 1:500 fino ad 1:200 o valori inferiori, in funzione delle necessità di descrizione

esecutiva degli interventi proposti; devono essere inoltre corredati di relazione tecnica-

descrittiva.

Per i centri urbani di più modeste dimensioni, specialmente se interessati da fenomeni

stagionali di affluenza turistica, il 2° ed il 3° livello di progettazione possono anche essere

riuniti in un’unica fase di progettazione e denominati Piani di dettaglio del traffico urbano

(PDTU).

L’iter procedurale che porta all’attuazione del PUT, ha inizio a livello regionale. Le Regioni,

infatti, qualora non abbiano già provveduto, entro due mesi dalla emanazione delle

direttive devono predisporre l’elenco dei rispettivi Comuni interessati al PUT e

trasmetterne copia alla Direzione generale della viabilità e mobilità urbana ed extraurbana

affinché, a cura del Ministero dei lavori pubblici, detto elenco venga pubblicato sulla

Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

I Comuni interessati all’attuazione del PUT, tenuto conto dei tempi di redazione dei relativi

elaborati progettuali di dettaglio per l’intera rete stradale urbana, specialmente in

connessione al particolare impegno conseguente alla prima applicazione delle direttive,

hanno in generale l’obbligo di:

• adottare entro un anno il Piano generale del traffico urbano, a partire dall’emanazione

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

    21  

delle direttive (fatto salvo l’espletamento delle incombenze regionali per la

predisposizione dei relativi elenchi di Comuni coinvolti);

• portarlo completamente in attuazione nei due anni successivi, attraverso la redazione

dei relativi Piani particolareggiati e Piani esecutivi;

• provvedere all’aggiornamento del PUT per ciascuno dei bienni successivi, con un

anno di tempo per l’adozione delle sue varianti e l’anno susseguente per l’attuazione

dei relativi interventi.

A tale scopo i Comuni interessati dovranno anzitutto assegnare l’incarico di redazione del

PGTU a tecnici specializzati appartenenti al proprio personale o/e ad esperti specializzati

esterni, inclusi nell’albo degli esperti in materia di Piani del traffico in corso di

predisposizione presso il Ministero dei lavori pubblici (articolo 36, commi 8 e 9, del CdS).

L’incarico in questione deve essere comunque affidato a tecnici di comprovata esperienza

nel settore della pianificazione del traffico. Ove necessario, l’incarico di redazione del

Piano viene affidato tramite sistema concorsuale “per titoli”, con particolare riferimento

all’esperienza di pianificazione nel settore.

Redatto il PGTU, esso viene adottato dalla giunta comunale, e viene poi depositato per

trenta giorni in visione del pubblico, con relativa contestuale comunicazione di possibile

presentazione di osservazioni (nel medesimo termine), anche da parte di singoli cittadini.

Successivamente, il consiglio comunale delibera sulle proposte di Piano e sulle eventuali

osservazioni presentate (con possibilità di rinviare il PGTU in sede tecnica per le modifiche

necessarie) e procede, infine, alla sua adozione definitiva.

Per i Piani di dettaglio (Piani particolareggiati e Piani esecutivi), ferme restando le

procedure precedentemente indicate per quanto attiene l’incarico di redazione (salvo che

per gli interventi dell’arredo urbano di aree pedonali, il cui progetto preliminare potrà anche

essere oggetto di specifico “concorso di idee”), devono adottarsi procedure semplificate

relativamente alle loro fasi di controllo e di approvazione, in modo da rispettare la loro

qualificazione prettamente tecnica. In particolare, per detti Piani di dettaglio non è prevista

la fase di approvazione da parte del consiglio comunale, ma diviene, invece, ancora più

essenziale la fase di presentazione pubblica attraverso le “campagne informative”,

propedeutiche all’entrata in esercizio degli interventi di Piano. Per l’aggiornamento del

PUT si seguono procedure analoghe a quelle anzidette, sia nelle fasi di assegnazione

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano  

 22  

degli incarichi di progettazione, sia in quelle di eventuale adozione del nuovo PGTU e di

attuazione dei nuovi interventi previsti.

Per i Comuni inadempienti all’obbligo di redazione, adozione ed attuazione del PUT, il

Ministero dei Lavori Pubblici, dopo la segnalazione di provvedere entro un termine

assegnato, oltre che avvalersi dell’esecuzione d’ufficio del Piano e dei suoi interventi

(articolo 36, comma 10, del CdS), può anche avvalersi dell’istituto del “commissariamento

ad acta”.

Considerate anche le nuove incombenze assegnate ai Comuni in materia di circolazione

stradale dal CdS, è necessario che quelle amministrazioni comunali, le quali risultano

vincolate dal CdS medesimo all’adozione del PUT, costituiscano uno specifico ufficio

tecnico dei traffico (peraltro già raccomandato con circolare del Ministro dei lavori pubblici,

n. 50067 del 20/09/1961 e di seguito indicato con la denominazione abbreviata di ufficio

traffico), ovvero adeguino alle nuove funzioni l’eventuale rispettivo ufficio (sezione, servizio

o ripartizione) già esistente. Le funzioni dell’Ufficio traffico riguardano principalmente il

perseguimento integrale degli obiettivi precedentemente esposti in merito al PUT, con

strumenti di intervento, però, che coinvolgono anche il controllo della scelta e

dell’efficiente realizzazione delle nuove infrastrutture previste dal Piano dei trasporti o

dagli strumenti urbanistici vigenti.

1.3 CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE DELLE STRADE URBANE

Nelle aree urbane e metropolitane, le diverse domande di mobilità richiedono infrastrutture

caratterizzate da diversi livelli di funzionalità: tangenziali per “scavalcare” i centri urbani,

strade di attraversamento o di circonvallazione, d’accesso alla città e di raccordo tra le

parti della città, per la circolazione nei singoli quartieri, a servizio diretto degli insediamenti.

Il Codice della Strada (Art. 2) e il D.M. 5/11/2001, consentono di estrapolare una

classificazione di riferimento delle strade urbane, in funzione delle diverse funzioni che

esse assumono all’interno della rete urbana:

• autostrade urbane (tipo A),

• strade urbane di scorrimento (tipo D),

• strade urbane di quartiere (tipo E),

• strade urbane locali (tipo F).

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

    23  

La suddetta classificazione non risolve però il problema amministrativo ed urbanistico

relativo ai livelli di governo che devono sobbarcarsi gli oneri di gestione del patrimonio

viario urbano.

L’articolo 2 del CdS prescrive che sono da considerarsi comunali le strade urbane di tipo

D, E ed F, quando siano situate all’interno dei centri abitati con popolazione uguale o

inferiore a 10000 abitanti. I Comuni con più di 10000 abitanti, pertanto, sono ovviamente

restii a compiere l’atto amministrativo di presa in carico di tali infrastrutture, in quanto ciò

comporterebbe l’assunzione di tutti gli oneri economici di manutenzione di questi tratti di

strada. La situazione reale rimane così alquanto confusa e sostanzialmente diversa da

quella prevista dal Codice della Strada.

Nella realtà, non è raro riscontrare una strada statale, regionale o provinciale che

attraversa numerose aree urbane anche densamente edificate, dove ha perso le sue

caratteristiche e la corrispondente fascia di rispetto, ma soprattutto subisce una

promiscuità funzionale, causata dall’essere contemporaneamente itinerario

sovracomunale e, di fatto, facente parte della rete urbana con la presenza continua di

insediamenti edilizi posti al margine della carreggiata.

1.3.1 Autostrade urbane

La funzione delle autostrade urbane è quella di rendere avulso il centro abitato dai

problemi del suo traffico di attraversamento, nonché di servire il traffico di scambio tra

territorio urbano ed extraurbano.

Secondo il Codice della Strada, un’autostrada urbana è a carreggiate indipendenti o

separate da spartitraffico invalicabile, ciascuna con almeno due corsie di marcia,

eventuale banchina pavimentata a sinistra e corsia di emergenza o banchina pavimentata

a destra, priva di intersezioni a raso e di accessi privati, dotata di recinzione e di sistemi di

assistenza all'utente lungo l'intero tracciato, riservata alla circolazione di talune categorie

di veicoli a motore e contraddistinta da appositi segnali di inizio e fine. Deve essere

attrezzata con apposite aree di servizio ed aree di parcheggio, entrambe con accessi

dotati di corsie specializzate per l’immissione e l’uscita.

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano  

 24  

Per questa categoria di strade sono ammesse solamente le componenti di traffico relative

ai movimenti veicolari, nei limiti di quanto previsto all’articolo 175 del CdS ed all’articolo

372 del relativo Regolamento di esecuzione. Ne risultano pertanto escluse, in particolare,

le componenti di traffico relative ai pedoni, ai velocipedi, ai ciclomotori, alla fermata ed alla

sosta (salvo quelle di

emergenza).

Secondo il D.M.

5/11/2001, alle

autostrade urbane

compete un intervallo

delle velocità di

progetto compreso

tra 80 km/h e 140

km/h; dal punto di

vista geometrico lo

stesso Decreto

propone gli schemi

riportati in figura 1.3.

In molte aree urbane

e metropolitane, la

composizione

strutturale e

funzionale delle

autostrade urbane è

stata affidata alle

cosiddette

tangenziali (Fig. 1.4)

che collegano fra loro zone poste al contorno dell’area urbanizzata con un tracciato ad

anello o semianello senza interessare il centro abitato (ad es., il “Grande Raccordo

Anulare” di Roma, il sistema autostradale delle “Tangenziali di Milano” e la “Tangenziale

Ovest di Catania”). La posizione radiale di queste configurazioni stradali è fortemente

Figura 1.3 Sezioni trasversali delle Autostrade Urbane (D.M. 5/11/2001).  

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

    25  

vincolata dalle previsioni di crescita urbanistica della città servita, onde evitare che la

realizzazione dell’infrastruttura venga a creare, piuttosto che un elemento di connessione,

una frattura del tessuto urbano e di separazione fisica. È già accaduto, infatti, che le

tangenziali siano state poi inglobate nel tessuto urbano, perdendo la loro funzione

originaria, e richiedendo così la necessità di essere duplicate in tracciati ancora più

esterni.

Nelle autostrade

urbane, le

intersezioni con le

altre strade (sempre

a livelli sfalsati), al

fine di garantire la

massima fluidità di

circolazione dei

veicoli, devono

essere molto

intervallate;

occorrerebbe infatti

che le uscite e le

entrate che le allacciano alle altre strade siano in numero contenuto e distanziate tra loro

di almeno qualche chilometro: lo schema ideale è quello in cui le interconnessioni sono

esclusivamente realizzate con le strade di scorrimento (di attraversamento e/o di

penetrazione).

1.3.2 Strade urbane di scorrimento

La funzione delle strade urbane di scorrimento, oltre a quella precedentemente indicata

per le autostrade nei riguardi del traffico di attraversamento e del traffico di scambio, da

assolvere completamente o parzialmente nei casi rispettivamente di assenza o di

contemporanea presenza delle autostrade medesime, è quella di garantire un elevato

livello di servizio per gli spostamenti a più lunga distanza propri dell'ambito urbano (traffico

interno al centro abitato).

Figura 1.4. Tangenziale Ovest di Catania.  

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano  

 26  

In particolare, in ragione della loro funzione urbanistica, si possono distinguere le strade di

penetrazione e le strade di attraversamento. Si definiscono strade di penetrazione quelle

che collegano i quartieri periferici (sobborghi) con il centro della città. Le strade di

attraversamento, invece, collegano tra loro zone esterne al centro abitato, penetrando nel

tessuto urbano e servendolo con connessioni alle strade urbane di gerarchia inferiore,

attraverso intersezioni attrezzate.

In base al CdS, una strada urbana di scorrimento è costituita da carreggiate indipendenti o

separate da spartitraffico, ciascuna con almeno due corsie di marcia ed una eventuale

corsia riservata ai mezzi pubblici, banchine pavimentate e marciapiedi con eventuali

intersezioni a raso semaforizzate; per la sosta sono previste apposite aree o fasce laterali

estranee alla carreggiata, entrambe con immissioni ed uscite concentrate.

La suddetta

definizione è

sostanzialmente

coerente con le

caratteristiche

geometriche

indicate nel D.M.

5/11/2001 (Fig. 1.5)

per le strade di tipo

D, ricordando la

prescrizione che,

trovandosi in ambito

urbano, è

necessario

predisporre sul lato

destro di ciascuna

carreggiata, al di là della banchina, un marciapiede di larghezza non inferiore ad 1,50 m,

delimitato verso la banchina da un ciglio sagomato e protetto da idoneo dispositivo di

ritenuta.

Si rileva una contraddizione di fondo: il D.M. 5/11/2001 indica l’intervallo di velocità per le

Figura 1.5. Sezioni trasversali delle Strade di Scorrimento (D.M. 5/11/2001).  

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

    27  

strade di categoria D compreso tra 50 km/h ed 80 km/h, in contrasto con le prescrizioni del

Codice della Strada che consentono di elevare la velocità massima sulle strade urbane di

scorrimento solo da 50 km/h a 70 km/h (in quest’ultimo caso si parla di strade a

scorrimento veloce).

Alcune città hanno realizzato strade urbane di scorrimento, ma altre, in ragione degli alti

costi e del grande impatto prodotto da queste infrastrutture, hanno sopperito alla crescita

della domanda di traffico veicolare usando, quali strade di scorrimento, alcune

infrastrutture esistenti riadattandole per mezzo di modifiche o sacrificando le altre funzioni.

Le strade che meglio si prestano a tale funzione sono quelle che hanno una carreggiata

centrale e contro-viali laterali separati da filari di alberi. In questo caso, la carreggiata

centrale può essere adibita al traffico di scorrimento ed i contro-viali restano destinati al

traffico di servizio, mentre la presenza degli alberi funge da schermo anti-rumore. Questo

schema offre anche il vantaggio di risolvere favorevolmente la svolta a sinistra con uno

schema di circolazione simile a quello descritto in figura 1.6: trattasi di un incrocio

semaforizzato in cui i veicoli che devono svoltare a sinistra impegnano prima il contro-viale

con una deviazione laterale a destra, e, durante una delle fasi semaforiche, attraversano

l’incrocio verso la

direzione

desiderata,

insieme ai veicoli

provenienti dalla

strada laterale.

Nelle strade

urbane di

scorrimento, le

connessioni con le

altre strade, al fine

di garantire la

massima fluidità di circolazione dei veicoli, devono essere molto intervallate. Quando

invece si utilizzano infrastrutture esistenti, è conveniente attuare accorgimenti idonei non

solo ad isolare la mobilità principale da quella di servizio agli edifici prospicienti la strada,

Figura 1.6 Schema d’intersezione in strada urbana con presenza di contro-viale.

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano  

 28  

ma anche a ridurre il numero delle immissioni e delle deviazioni verso le strade laterali,

interdicendone il collegamento con l’introduzione di marciapiedi, aiuole o altri ostacoli fissi,

deviando il traffico laterale su altre direttrici.

1.3.3 Strade urbane di quartiere

La funzione delle strade urbane di quartiere è quella di collegare fra loro zone diverse

dello stesso quartiere o di servizio tra gli insediamenti urbani principali, in modo

complementare ed alternativo alle strade di scorrimento, quindi non più attraverso un

unico asse viario, ma percorrendo diversi archi e nodi della rete. Sono ammesse tutte le

componenti di traffico,

compresa la sosta delle

autovetture purché

esterna alla carreggiata e

provvista di apposite

corsie di manovra.

Tra le strade di quartiere

di un stessa rete possono

distinguersi le strade

d’interquartiere, che si

connettono alle strade di

gerarchia superiore, e le

strade interzonali che

formano la spina dorsale

dei singoli quartieri, da

cui si diramano le strade

locali.

Il CdS definisce la strada

urbana di quartiere come costituita da unica carreggiata con almeno due corsie, banchine

pavimentate e marciapiedi; per la sosta sono previste aree attrezzate con apposita corsia

di manovra, esterna alla carreggiata.

Il D.M. 5/11/2001 indica le caratteristiche geometriche di queste strade, definite di

Figura 1.7 Sezioni trasversali delle Urbane di Quartiere (D.M. 5/11/2001).  

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

    29  

categoria E, così come evidenziato nella figura 1.7. L’intervallo delle velocità di progetto è

compreso tra 40 km/h e 60 km/h (il CdS impone per le strade delle aree urbane il limite di

50 km/h, con la possibilità di elevare tale limite fino ad un massimo di 70 km/h per le

strade urbane le cui caratteristiche costruttive e funzionali lo consentano, previa

installazione degli appositi segnali).

Entrambe le normative evidenziano la necessità della presenza, ai lati della carreggiata,

dei marciapiedi per il transito dei pedoni; per il D.M. 5/11/2001, la larghezza minima è

fissata in 1,50 m, indicando che tale larghezza va opportunamente incrementata in base al

flusso pedonale previsto; il CdS, attraverso le prescrizioni dell’art. 20, comma 3, vincola

l’occupazione di marciapiedi da parte di chioschi, edicole o altre installazioni, purché siano

in adiacenza ai fabbricati e rimanga libera una zona per la circolazione dei pedoni larga

non meno di 2 metri; in ogni

caso, le occupazioni non

possono ricadere all’interno dei

triangoli di visibilità per le

intersezioni.

Il D.M. 236/1989 – “Prescrizioni

tecniche necessarie a garantire

l'accessibilità, l'adottabilità e la

visibilità degli edifici privati e di

edilizia residenziale pubblica

sovvenzionata e agevolata, ai

fini del superamento e

dell'eliminazione delle barriere

architettoniche”, stabilisce l’obbligo per i percorsi pedonali di dare la possibilità, anche per

persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere l'edificio e le

sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e

attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia. Per questo motivo i

marciapiedi dovranno essere strutturati in modo da consentirne la massima accessibilità e

fruibilità a tutti, in modo autonomo e sicuro (Fig. 1.8).

Figura 1.8 Esempio di strada urbana di quartiere.

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Capitolo 1: Definizioni, classificazioni e normative di riferimento per le infrastrutture viarie in ambito urbano  

 30  

1.3.4 Strade urbane locali

La funzione delle strade locali è quella di dare accesso alle residenze ed ai parcheggi,

oppure alle strade private o agli

itinerari con ingresso limitato ad

alcuni utenti. In questa categoria

rientrano anche le strade

pedonali e le strade parcheggio;

su di esse non è comunque

ammessa la circolazione dei

mezzi di trasporto pubblico

collettivo (Fig. 1.9).

Il D.M. 5/11/2001 indica le

caratteristiche geometriche delle

strade urbane locali, definite di categoria F, così come rappresentato nella figura 1.10. La

velocità massima non può generalmente superare i 50 km/h, con limitazioni anche a 30

km/h.

In questo tipo di

strade, la

conflittualità fra

mobilità veicolare

e pedonale è

massima e può

essere risolta in

modo tradizionale

con la creazione di

marciapiedi o di

percorsi per il

passaggio dei pedoni, protetti mediante dissuasori o paletti ancorati a terra (si deve

considerare poco efficace la sola apposizione della segnaletica orizzontale).

Negli ultimi anni, rispetto alla tradizionale soluzione della separazione fisica degli spazi

riservati alle diverse utenze stradali, c’è stata un’evoluzione delle tecniche di gestione

Figura 1.9 Esempio di strada urbana locale.  

Figura 1.10 Sezioni trasversali delle Strade Urbane Locali (D.M. 5/11/2001).

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

    31  

della commistione tra veicoli e pedoni, consistente principalmente nell’estendere, per

buona parte della rete delle strade urbane locali, il limite di 30 km/h come velocità

massima consentita. Sono state così introdotte le cosiddette Zone 30, costituite da

quartieri o aree urbane più o meno estese, nelle quali viene creata una più facile

integrazione delle diverse categorie veicolari (pedoni compresi).

Affinché le strade urbane locali possano mantenere le caratteristiche proprie della loro

funzione, è importante che siano realizzate, per l’intera rete viaria urbana, condizioni

strutturali tali che il traffico locale rimanga nettamente separato dal traffico di

attraversamento e non possa accadere che le strade locali siano percorse da traffico

diverso da quello a cui sono funzionali. Questo pericolo si manifesta principalmente

quando la rete delle strade di scorrimento o di quartiere è inadeguata o quando le

caratteristiche geometriche delle strade locali risultano sovradimensionate e con ciò tali da

consentire alta capacità ed elevata velocità.

Strade locali di dimensioni maggiori rispetto al necessario, in molti casi, hanno prodotto

l’effetto d’indurre i pianificatori a collegarle con altre strade, in modo da assorbire traffico

addizionale, aumentando conseguentemente il divario con le caratteristiche funzionali

prefissate. Altro caso di errata pianificazione, è quello in cui due strade locali parallele

sono “promosse” al livello funzionale superiore con la trasformazione da strade a doppio

senso di marcia a strade a senso unico, trasferendovi l’impatto di un traffico maggiore.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  33  

_______________________________________

CAPITOLO 2

Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano

_______________________________________

2.1 FENOMENI DI INQUINAMENTO NELLE AREE URBANE E METROPOLITANE

Il traffico stradale costituisce una delle cause principali della crescita allarmante

dell’inquinamento atmosferico ed acustico, e i suoi effetti sono particolarmente deleteri,

principalmente in prossimità dei grandi centri urbani, dove ormai si concentrano le attività

di una quota rilevante della popolazione mondiale. In Italia c’è più di un automobile (1,2)

ogni due abitanti (neonati e non patentati compresi). In Europa come tasso di

motorizzazione siamo secondi soltanto al piccolissimo paese del Lussemburgo, e per

numero di automobili in circolazione in rapporto alla popolazione siamo ai primissimi posti

anche nella graduatoria mondiale. Le principali fonti di emissione di inquinanti atmosferici

in seno a un veicolo per il trasporto stradale sono localizzate nell’apparato di propulsione:

il serbatoio, il sistema di alimentazione, il motore e lo scappamento. Una fonte di

emissione aggiunta, ove è presente, è il sistema di condizionamento dell’aria, ma l’entità

delle sostanze da questo emesse si può ritenere, al giorno d’oggi, trascurabile.

Tipo di motore Combustibile Principali emissioni Veicolo

Ciclo otto Benzina CO, NOx, Pb, idrocarburi

Autovetture, autocarri, bus, motoscafi, motocicli

Due tempi Benzina CO, NOx, Pb, particolato

Motocicli, fuoribordo

Diesel Olio diesel NOx, SOx, CO, particolato Autovetture, autocarri, bus, motrici ferroviarie, trattori, imbarcazioni

Turbina a gas Turbine oil NOx, particolato Aerei, imbarcazioni, motrici ferroviarie

Vapore Olio pesante, carbone NOx, particolato, SOx Imbarcazioni

Tabella 2.1 Emissioni da fonti mobili.

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 34  

Il processo di inquinamento atmosferico da traffico stradale è originato dal fatto che i

veicoli stradali attualmente in circolazione impiegano come propellenti sostanze

idrocarburiche combustibili derivate dal petrolio o da gas naturali e dotate di notevoli

potenzialità inquinanti. Uno schema riassuntivo del tipo di motori con cui sono equipaggiati

i diversi veicoli è indicato in tabella 2.1 dove sono anche riportati i combustibili utilizzati e

le principali emissioni inquinanti.

Per quanto riguarda l’inquinamento acustico in ambito urbano, le sorgenti di rumore

possono essere interne all’ambiente disturbato (elettrodomestici, macchinari da ufficio),

esterne all’ambiente (rumori provenienti da locali attigui) o esterne all’eventuale edificio

preso in esame (rumori stradali). A tal proposito esse possono essere raggruppate in tre

principali categorie:

• costruzioni civili (cantieri temporanei per la costruzione o per la manutenzione degli

edifici e delle infrastrutture);

• apparecchi di uso domestico;

• mezzi di trasporto (rumore da traffico urbano, autostradale, ferroviario, aereo).

Il rumore prodotto dai cantieri, dalle attrezzature per la costruzione di opere civili o, per

esempio, per la manutenzione di una infrastruttura di trasporto, è probabilmente il più

intenso cui è sottoposta la comunità. Tale tipo di rumore è, di solito, accettato dalla gente,

in quanto si ritiene necessario per lo sviluppo della città e costituisce solo una parentesi di

disturbo nello svolgimento delle usuali attività.

I rumori domestici, poi, cui siamo tutti sottoposti, sono presenti in ogni edificio, e sono

causati da elettrodomestici, impianti idraulici, impianti termici, ascensori, etc. Tali fonti di

rumore producono, in genere, un livello sonoro di gran lunga inferiore rispetto a quello

prodotto dalle altre sorgenti; tuttavia, i tempi di esposizione dei soggetti ricettori sono più

lunghi che negli altri casi.

Per quanto riguarda, infine, il rumore dovuto ai mezzi di trasporto, escludendo le zone in

prossimità di ferrovie ed aeroporti, la principale sorgente di rumorosità ambientale è

imputabile al traffico urbano. Esso degrada la qualità dell’ambiente circostante perché

molto spesso si raggiungono livelli tali da interferire con le attività degli abitanti (ad

esempio livelli di pressione sonora superiori ai 60 dBA all’esterno di un edificio sono già

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  35  

fastidiosi, in quanto rendono difficoltosa la conversazione tra due persone dotate di udito

normale).

2.2 SOSTANZE INQUINANTI PRODOTTE DAL TRAFFICO STRADALE

I principali inquinanti prodotti dal funzionamento dei sistemi di trasporto sono il monossido

di carbonio (CO), l’anidride carbonica (CO2), gli idrocarburi (HC), in particolare quelli non

metanici (NMHC), e quelli policiclici aromatici (IPA), i composti organici nella forma di

particolato (PTS), gli ossidi di azoto (NOx), l’ozono (O3) e altri inquinanti fotochimici, gli

ossidi di zolfo (SOx), il piombo (Pb) e i suoi composti. La figura 2.1 mostra, per alcune di

queste sostanze, i tipici valori delle

loro concentrazioni nell’ambiente

naturale e negli ambienti urbani

fortemente inquinati.

Il monossido di carbonio (CO) è un

gas incolore e inodore dannoso per

l’uomo e per le altre specie animali.

Costituisce la più importante

emissione di inquinanti atmosferici

(dopo la CO2), la cui fonte

principale è costituita dalle

combustioni da motore a scoppio,

soprattutto da motori “freddi” alimentati

con miscele molto ricche: in questi casi

può rappresentare fino all’11% del gas

di scarico. In Italia i veicoli

contribuiscono per il 90% al totale delle

emissioni di CO, stimate in 5.5 milioni

di tonnellate/anno. La presenza di

questo inquinante nell’aria, in

corrispondenza di una strada, è

notevolmente correlata ai flussi di

Figura 2.1 Valori tipici delle concentrazioni massime di alcuni inquinanti atmosferici.

Figura 2.2 Andamento qualitativo della concentrazione di CO e del flusso di traffico durante la giornata in una strada urbana.  

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 36  

traffico; infatti l’andamento della concentrazione di CO misurato nei pressi della sezione di

una strada durante l’arco giornaliero è generalmente molto simile a quello dei flussi

veicolari che la percorrono (Fig. 2.2).

Inoltre il monossido di carbonio presenta una forte variabilità spaziale: in una strada

isolata la sua concentrazione mostra

di solito valori massimi nell’intorno

dell’asse stradale e decresce molto

rapidamente allontanandosi da esso,

fino a diventare quasi trascurabile a

una distanza di alcune decine di metri

dall’asse stesso (Fig. 2.3).

La presenza di CO nelle aree inquinate

mostra anche una pronunciata

variabilità in funzione delle condizioni atmosferiche ed è, in particolare, notevolmente

influenzata dalla presenza di vento che tende a ridurne l’entità.

Le emissioni di ossidi di zolfo (principalmente SO2) sono dovute prevalentemente all’uso di

combustibili solidi e liquidi e sono correlate al contenuto di zolfo nei combustibili stessi, sia

come impurezze sia come costituenti la formazione molecolare del combustibile (oli).

Gli ossidi di zolfo sono tipici inquinanti delle aree urbane e industriali ove la elevata

densità degli insediamenti ne favorisce l’accumulo, soprattutto in condizioni

meteorologiche sfavorevoli di debole ricambio di masse d’aria. Le situazioni più gravose

sono ovviamente rappresentate dai periodi invernali ove alle altre fonti di combustione si

aggiunge quella del riscaldamento domestico. Per le sue caratteristiche di stabilità chimica

in atmosfera e per la facilità di rilevamento, la SO2 è spesso utilizzata come indice globale

di inquinamento atmosferico.

Con il termine idrocarburi si intende i composti organici costituiti da atomi di carbonio e

idrogeno; si tratta dei costituenti fondamentali del petrolio.

Due sono i principali problemi derivanti dalla presenza di idrocarburi nell’atmosfera. Il

primo è connesso alla partecipazione ai processi di formazione dello smog fotochimico, ai

quali prendono però parte solo alcuni di questi composti, che vengono indicati col termine

Figura 2.3 Andamento qualitativo della concentrazione di CO nella sezione di una strada urbana.  

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  37  

di idrocarburi reattivi (RHC). Il secondo problema è legato alle proprietà degli idrocarburi

stessi, che possono essere causa di danni sia all’uomo che alle altre forme viventi.

Gli idrocarburi non aromatici non sono attualmente considerati inquinanti in senso proprio.

Infatti le concentrazioni alle quali essi diventano tossici sono talmente elevate da risultare

altamente improbabili nella nostra atmosfera. Gli idrocarburi aromatici sono invece da

considerarsi inquinanti primari.

I veicoli stradali sono considerati tra le sorgenti più importanti di idrocarburi aromatici, circa

l’80% delle emissioni di benzene (C6H6) è dovuta alle autovetture.

L’ozono o ossigeno triatomico (O3), è un gas incolore dall’odore pungente che fa parte dei

normali costituenti dell’aria. I problemi di inquinamento dell’aria da ozono sono legati al

significativo incremento che la concentrazione di questo gas subisce in zone

immediatamente prossime al suolo a causa dei fenomeni di formazione dello smog

fotochimico, di cui esso è un importante costituente. Le cause dell’inquinamento da ozono

sono quindi le stesse che provocano l’esistenza dello smog fotochimico, ovvero

l’emissione di idrocarburi e ossidi di azoto dovuta in buona parte ai mezzi di trasporto.

Gli ossidi di azoto (NOx) sono

attualmente tra gli inquinanti ritenuti

maggiormente pericolosi, sia per

l’azione specifica dell’NOx, sia per

la loro partecipazione alla

formazione dello smog fotochimico.

La miscela di NOx presente nell’aria

di una zona inquinata da traffico

stradale è composta principalmente

da NO ed NO2.

Il tipico andamento giornaliero della

concentrazione di monossido di

azoto, biossido di azoto e ossidi di azoto totali nei pressi di una strada urbana a elevato

traffico è mostrato in figura 2.4.

Il piombo è un metallo pesante dagli effetti tossici per l’uomo. La principale causa della

presenza di composti del piombo nell’atmosfera è di tipo antropico e consiste in alcune

Figura 2.4 Andamento della concentrazione di NO, NO2 e NOx ai margini di una sezione stradale a forte traffico veicolare.

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 38  

attività industriali e nella combustione, nei mezzi di trasporto, di benzine contenenti alcuni

composti del piombo con funzioni antidetonanti. La quota di questo inquinante attribuibile

al traffico stradale dipende, nei vari Paesi, dal contenuto di piombo nella benzina.

Lo smog fotochimico è il prodotto di complesse reazioni. Alla base della formazione di

questo tipo di smog sono gli ossidi di azoto, gli idrocarburi ed altri componenti organici,

che si trovano a essere presenti nell’atmosfera; per effetto della luce solare (da cui la

definizione di fotochimico) si innesca un sistema di reazioni particolarmente complesso. Il

fenomeno dello smog fotochimico presenta quindi un andamento regolare nel corso della

giornata, che si lega all’andamento del traffico ed al grado di insolazione. Questo

fenomeno è, quindi, tipico delle grandi aree metropolitane, e si forma nel periodo estivo,

allorché si verificano condizioni di temperatura elevata, assenza di copertura nuvolare e

condizioni di stabilità atmosferica.

Al contrario la concentrazione degli inquinanti primari nell’atmosfera è massima in inverno,

in quanto le condizioni di stabilità atmosferica sono più frequenti e all’inquinamento da

traffico si somma l’inquinamento dovuto al riscaldamento domestico.

2.3 NORMATIVA ITALIANA SULLA QUALITÀ DELL’ARIA

Gli interventi normativi sulla qualità dell’aria sono mirati a limitare i livelli di rischio connessi

alla presenza di concentrazioni inquinanti nell’ecosistema.

Rispetto ai vincoli sull’emissione sanciti dalle normative di omologazione dei veicoli, i

regolamenti sulla qualità dell’aria agiscono quindi in modo prettamente mirato a controllare

i livelli reali di inquinamento. La definizione delle norme sulla qualità dell’aria dovrebbero

tener conto, per ogni sostanza considerata, dei legami esistenti tra l’entità delle

concentrazioni inquinanti presenti nell’atmosfera e gli effetti da esse prodotti sulla salute

umana e sull’ecosistema in generale; tali legami sono tuttavia estremamente complessi e

allo stato attuale scarsamente conosciuti, per cui l’approccio normativo si limita alla

specifica, per ogni sostanza inquinante, di uno o più livelli di concentrazione ammissibili (o

standard di qualità dell’aria).

Le normative europee e italiane per la tutela dell’aria prevedono diversi livelli ammissibili di

concentrazioni, specificati come segue:

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  39  

1. i valori limite di qualità dell’aria, costituiti dai limiti massimi di accettabilità delle

concentrazioni a cui si ritiene possa essere esposto l’uomo all’esterno degli edifici e

dai corrispondenti limiti massimi di durata di esposizione;

2. i limiti di allarme, definiti come quei valori di concentrazione tali da determinare

condizioni di inquinamento che, se persistenti, determinano il rischio di superamento

dei valori limite e, quindi, un rischio sanitario per la popolazione;

3. i livelli di attenzione, definiti come quei valori di concentrazione tali da determinare

condizioni di inquinamento che, se persistenti, determinano il rischio di raggiungimento

dello stato di allarme;

4. i livelli per la protezione della vegetazione, definiti come quei valori della

concentrazione oltre i quali la vegetazione può subire danni, attualmente validi solo

per l’ozono;

5. i livelli per la protezione della salute, definiti come quei valori di concentrazione che

non devono essere superati ai fini della protezione della salute umana in casi di

episodi prolungati di inquinamento, attualmente validi solo per l’ozono;

6. i valori guida di qualità dell’aria, che specificano i limiti di concentrazione ed

esposizione nell’ambiente esterno agli edifici e sono sia finalizzati alla prevenzione a

lungo termine della salute umana e dell’ambiente, sia atti a costituire parametri di

riferimento per l’istituzione di zone specifiche di protezione ambientale per le quali è

necessaria una particolare tutela della qualità dell’aria.

In Italia, le Norme definiscono lo stato di attenzione come quella situazione in cui in

almeno il 50% delle stazioni di monitoraggio della rete metropolitana si registri il

superamento del 50% del livello di allarme di uno degli inquinanti regolamentati, fatta

eccezione per i valori relativi all’SO2 e alle particelle sospese che devono essere superati

congiuntamente in tutte le stazioni nell’arco della giornata. Lo stato di allarme viene invece

definito come quella situazione in cui in almeno il 50% delle stazioni di monitoraggio

funzionanti della rete metropolitana si registri il superamento dei valori del limite di allarme

di uno degli inquinanti regolamentati, fatta eccezione per i valori relativi ai parametri di SO2

e particelle sospese che devono essere superati congiuntamente in tutte le stazioni

nell’arco della giornata.

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 40  

I livelli di attenzione e di allarme, nonché le condizioni di raggiungimento degli stati di

attenzione e di allarme sono attualmente definiti dal Decreto del 25 novembre 1994 (Tab.

2.2).

Inquinante Tempo di media Livello di attenzione

µg/m3 Livello di allarme

µg/m3 SO2 Giorno 125 250 PTS Giorno 150 300 NO2 Ora 200 400 CO Ora 15*103 30*103 O3 Ora 180 360

Tabella 2.2 Livelli di attenzione e di allarme per i principali inquinanti (D.M. 25/11/1994)

Con il Decreto del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Sanità del 20

maggio 1991 (Criteri per la raccolta dei dati inerenti alla qualità dell’aria) vengono definite

le funzioni dei sistemi di monitoraggio della qualità dell’aria. Il Decreto stabilisce i criteri per

la raccolta dei dati sulla qualità dell’aria, le competenze per la vigilanza, il controllo, la

gestione e l’esercizio dei sistemi di rilevamento, ed infine la regolamentazione delle

situazioni di inquinamento che determinano stati di allerta e di emergenza. La

configurazione del sistema di monitoraggio nazionale introdotta dal Decreto è strutturata

su tre livelli: nazionale, regionale e provinciale.

Le funzioni di livello nazionale consistono nella raccolta e pubblicazione dei dati nazionali

sulla qualità dell’aria, nella definizione dei livelli di pericolosità, nella determinazione delle

modalità di misura e nell’omologazione delle strumentazioni per il rilevamento di tali

sostanze.

Le funzioni di livello regionale consistono invece nel coordinamento dei piani provinciali,

anche al fine della predisposizione, verifica e aggiornamento dei piani di risanamento

regionale.

Le funzioni di livello provinciale consistono nella gestione e nella garanzia di

funzionamento del sistema di rilevamento sul territorio, nelle garanzie delle misure, nel

controllo e la prevenzione dell’inquinamento. I sistemi di rilevamento devono essere dotati

di un centro operativo di raccolta dati (COP, centro operativo provinciale) al quale

afferiscono tutte le postazioni ubicate sul territorio. Ad esso sono attribuite le attività di

gestione tecnico-operativa delle reti pubbliche, la supervisione dei sistemi di rilevamento e

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  41  

la valutazione igienico-sanitaria dei dati provenienti da tutte le reti.

I sistemi di monitoraggio delle aree metropolitane operano nell’ambito del livello

provinciale e devono essere articolati in diverse stazioni di monitoraggio.

I parametri che devono essere rilevati dalle stazioni consistono nelle concentrazioni di un

certo numero di inquinanti primari (cioè emessi direttamente dalle sorgenti) o precursori di

inquinanti secondari (quelli che si formano in atmosfera in seguito a reazioni chimiche tra

inquinanti primari e altre sostanze presenti nell’aria), sia in fase gassosa (CO, SO2, NO2,

idrocarburi, sostanze volatili) che in fase particellare (particolato e piombo o altri metalli

pesanti in esso presenti); oltre che di alcuni inquinanti secondari in fase gassosa (NO2, O3,

NO) e particellare (prodotti di trasformazione degli ossidi di azoto e del biossido di zolfo).

In ogni singola stazione di rilevamento è prevista soltanto la misura delle concentrazioni di

alcune di queste sostanze inquinanti, oltre che di un certo numero di parametri

meteorologici.

Le stazioni di rilevamento si distinguono in quattro tipi a seconda delle loro caratteristiche

funzionali:

1. stazioni di tipo A: sono le stazioni di base e di riferimento per la misura di tutti gli

inquinanti primari e secondari e i parametri meteorologici di base; tali stazioni devono

essere localizzate in aree non direttamente interessate dalle sorgenti di emissione

urbana (parchi urbani o isole pedonali);

2. stazioni di tipo B: sono le stazioni situate in zone ad elevata densità abitativa per la

misura della concentrazione di alcuni inquinanti primari e secondari con particolare

riferimento a NO2, idrocarburi, SO2, materiale particellare in sospensione e suo

contenuto in piombo.

3. stazioni di tipo C: sono le stazioni situate in zone ad elevato traffico per la misura degli

inquinanti emessi direttamente dal traffico veicolare (CO, idrocarburi volatili), situate in

zone ad alto rischio espositivo, quali strade ad elevato traffico e bassa ventilazione;

4. stazioni di tipo D: sono le stazioni situate in periferia o in aree suburbane finalizzate

alla misura degli inquinanti fotochimici (NO2, O3) da pianificarsi sulla base di

campagne preliminari di valutazione dello smog fotochimico, particolarmente nei mesi

estivi.

Il numero di stazioni dei vari tipi presenti in una rete di monitoraggio dipende dalla densità

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 42  

abitativa della zona, dalla struttura degli insediamenti, dalla presenza e dal tipo di sorgenti

di emissione, dalla situazione meteorologica tipica, dall’estensione geografica dell’area e

dal numero di abitanti.

Il Decreto stabilisce comunque il numero minimo indicativo di stazioni per tre classi di

centri urbani individuate attraverso il numero di abitanti (Tab. 2.3).

Classe

(numero di abitanti) Tipo di stazione

A B C D Inferiore a 500.000

Da 500.000 a 1.500.000 Superiore a 1.500.000

1 1 2

2 3 4

2 3 4

1 1 2

Tabella 2.3 Numero minimo di stazioni di monitoraggio per classi di centri urbani (1991).

2.4 INTERVENTI MITIGATIVI DELL’INQUINAMENTO ATMOSFERICO

Riguardo alla possibilità di intervenire contro l’inquinamento atmosferico da traffico

veicolare, bisogna osservare che esistono due categorie di interventi:

• interventi sul sistema viario e di circolazione;

• interventi di riduzione del traffico.

I momenti più pericolosi per la produzione di inquinanti sono quelli che comportano un

cambiamento di regime del motore come rallentamenti o accelerazioni. Il sistema viario

dovrebbe perciò essere tale da garantire la massima fluidità ai flussi di traffico.

Al fine di minimizzare i danni per le utenze deboli (pedoni, ciclisti, etc.), gli attraversamenti

a livello degli assi a maggior traffico dovrebbero essere evitati, ricorrendo a viadotti o

sottopassi. In corrispondenza degli incroci a traffico elevato non dovrebbero essere

predisposte fermate di mezzi pubblici.

Un’altra condizione cinematica da perseguire è l’omogeneità dei flussi veicolari:

dovrebbero essere pertanto separate le diverse correnti di trasporto pubblico, privato,

biciclette. Anche il sistema semaforico dovrebbe garantire condizioni cinematiche ottimali.

La circolazione promiscua di biciclette ed autoveicoli dovrebbe essere vietata sugli assi a

traffico elevato, soprattutto perché i ciclisti, venendosi a trovare alle altezze a cui si

realizzano le massime concentrazioni di sostanze nocive, risultano essere particolarmente

esposti all’inquinamento.

Per impedire la diffusione ad opera del vento, è buona regola prevedere a protezione

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  43  

dell’ambiente circostante, dove possibile, barriere fisiche (siepi, arbusti, alberi).

Naturalmente tali barriere sono utili per fermare polveri e idrocarburi, ma sono meno

efficienti per i gas.

Per ottenere una riduzione generale del traffico è necessario intervenire principalmente a

livello di scelta modale.

Le azioni riguardanti la scelta modale possono consentire di ridurre l’entità del traffico

autoveicolare a favore di altre forme di trasporto, pubblico o privato, meno inquinanti (ad

esempio: metropolitana, tram, autobus, automobile elettrica, bicicletta).

Una variazione della scelta modale può essere perseguita, da una parte offrendo o

migliorando i sistemi di trasporto alternativo e, dall’altra, disincentivando l’utilizzo

dell’autoveicolo privato, attraverso politiche di controllo del traffico (ad esempio: targhe

alterne) e della sosta. Limitatamente al trasporto delle merci è spesso possibile una

riduzione dell’entità globale del traffico urbano, attraverso una razionalizzazione del

sistema di distribuzione.

Una diminuzione del traffico può essere ottenuta anche a livello locale, intervenendo con

pedonalizzazioni o altre forme di riduzione del traffico (deviazione dei flussi di mezzi

pesanti, divieto di accesso ad alcune categorie di veicoli), senza però ottenere un calo

globale del traffico urbano in quanto i flussi, tolti da una strada o da una piazza, vanno a

gravitare su altre strade o su altre piazze. In questi casi, è possibile ottenere efficaci

riduzioni locali delle concentrazioni di inquinanti a breve raggio, mentre quelle a lungo

raggio non variano in modo significativo.

2.5 MODELLI PREVISIONALI DI EMISSIONE

I modelli di emissione consistono nella formulazione matematica delle relazioni esistenti

tra le emissioni inquinanti dei veicoli a motore e le variabili da cui tali emissioni sono

influenzate.

La difficoltà di spiegare analiticamente i processi chimico-fisici che governano la

produzione degli inquinanti in seno al fluido evolvente che viene combusto nel motore

porta ad assumere, come variabili indipendenti dei modelli di simulazione delle emissioni

di inquinanti, alcuni parametri relativi alle caratteristiche e alle condizioni di funzionamento

dei veicoli nel loro complesso.

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 44  

Questi parametri sono molteplici e possono essere raggruppati in funzione della loro

natura. In un primo gruppo si possono individuare i parametri rappresentativi delle

caratteristiche costruttive del veicolo, distinte in caratteristiche generali del veicolo (peso a

vuoto, efficienza aerodinamica, etc.) e caratteristiche dell'apparato di propulsione (tipo di

motore, tipo di combustibile utilizzato, caratteristiche del fluido evolvente, tipo di dispositivi

di controllo delle emissioni, caratteristiche di cilindrata e di potenza).

Una seconda categoria di parametri comprende quelli che influenzano lo stato della

meccanica del veicolo, come ad esempio lo stato di usura, lo stato di manutenzione e le

condizioni di regolazione.

In un terzo gruppo possono essere individuati i parametri che rappresentano le condizioni

operative del veicolo nelle condizioni reali di traffico, queste possono essere a loro volta

descritte da due categorie di variabili, fra loro dipendenti: quelle legate alla dinamica del

motore, le più importanti delle quali sono la velocità di rotazione del motore e l'entità del

carico a esso fornito e quelle che descrivono lo stato termodinamico del fluido evolvente

all'interno del cilindro (temperatura del motore, umidità e densità dell'aria, etc.).

Le variabili che descrivono la dinamica di funzionamento dell'apparato di propulsione sono

peraltro legate ai parametri cinematici del moto del veicolo nel suo complesso (velocità,

accelerazione, etc.).

Le caratteristiche costruttive e operative del veicolo sono influenzate a loro volta dalle

condizioni dell'ambiente esterno, sia da quelle riguardanti la vita passata del veicolo sia da

quelle operative ovvero attuali. Fra le prime sono importanti i vincoli di produzione, ovvero

le condizioni tecnologiche, decisionali e legislative in essere al momento della produzione

del veicolo e che quindi ne influenzano le caratteristiche costruttive.

Le caratteristiche operative dell'ambiente esterno, che condizionano quelle del veicolo,

possono essere raggruppate in diversi sottoinsiemi:

Ø lo stato dell'aria esterna (temperatura ambientale, pressione atmosferica, umidità

relativa dell'aria);

Ø le caratteristiche della via (pendenza longitudinale, sinuosità, caratteristiche della

pavimentazione);

Ø le condizioni del traffico (caratteristiche di deflusso);

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  45  

Ø il tipo di uso attuale del veicolo (massa trasportata, lunghezza degli spostamenti,

comportamento del guidatore).

I modelli di emissione possono essere distinti in due grandi categorie: modelli riferiti a

condizioni istantanee del moto e modelli riferiti a condizioni medie.

I modelli del primo tipo, definiti usualmente modelli modali o modelli dinamici, consentono

di calcolare le emissioni in funzione delle condizioni istantanee del moto, in particolare

della velocità e dell’accelerazione istantanee.

I modelli del secondo tipo, detti modelli medi o modelli statici, possono essere riferiti a

condizioni di moto uniforme, oppure di moto vario caratterizzato da un valore medio della

velocità, risultante dall’esecuzione di un determinato ciclo di guida.

I modelli dinamici trovano applicazione quando si vuole analizzare la distribuzione delle

emissioni lungo un tronco stradale, oppure in un punto nodale della rete. Ad esempio, nel

caso di un tronco delimitato da due intersezioni è possibile individuare un tratto iniziale nel

quale i veicoli effettuano manovre di accelerazione, un tratto intermedio percorso a

velocità costante, un tratto terminale percorso a velocità decrescente e, infine, un tratto in

cui sostano i veicoli che si arrestano all’intersezione finale.

I modelli statici trovano applicazione quando non è richiesto il precedente livello di

disaggregazione delle emissioni, ad esempio per valutare le condizioni di inquinamento

medio di un’area urbana, oppure dei livelli di inquinamento prodotti da un tronco stradale

in condizioni di flusso ininterrotto.

I modelli dinamici di emissione sono in genere utilizzati insieme a modelli di deflusso molto

dettagliati; essi necessitano infatti di dati sulle velocità e sulle accelerazioni istantanee dei

veicoli e di dati sulla densità dei flussi di traffico che servono a riportare le emissioni dei

singoli veicoli a emissioni degli interi flussi.

Il modello di deflusso è in generale composto da un modello di coda, che permette il

calcolo dei parametri delle code che si verificano in corrispondenza dei punti nodali della

rete stradale e da un modello di deflusso, che consente di conoscere le condizioni del

moto in qualunque punto della rete e che utilizza anche i risultati del modello di coda.

Tra i modelli dinamici di uso frequente, che si differenziano essenzialmente per le diverse

caratteristiche del parco veicolare e per le condizioni ambientali per i quali sono stati

sviluppati, i più diffusi sono il CALINE4 e il modello MODEM.

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 46  

Il modello CALINE4, sviluppato dal California Department of Transportation (USA),

prevede la possibilità di adoperare un modello modale per la determinazione dei fattori di

emissione temporali del monossido di carbonio in corrispondenza dei singoli modi

cinematici appartenenti a un generico ciclo di guida.

I modelli statici esprimono le emissioni medie (fattori di emissione) relative a un certo

intervallo di tempo di riferimento in funzione dei valori medi delle variabili indipendenti

esplicitate. Queste sono analoghe a quelle relative ai modelli di tipo dinamico, ma si

riferiscono alle caratteristiche medie del fenomeno anziché a quelle istantanee.

Per ogni sostanza inquinante i di riferimento e ogni gruppo veicolare g considerato, le

emissioni di base sono funzione della sola velocità media dello spostamento e sono

eventualmente espresse in maniera diversa per fasce di velocità. Esse sono indicate

come segue: .

Le aliquote di emissione dovute alle variabili che compaiono nel modello di base sono poi

computate come funzioni correttive.

I modelli di tipo statico che rivestono un certo interesse sono i modelli statunitensi MOBILE

(sviluppato dall’EPA nel 1975 e aggiornato periodicamente sulla base delle evoluzioni

della composizione del parco veicolare negli anni) e FREQ (che costituisce l’adattamento

del primo modello al parco veicolare circolante in California, sviluppato dalla University of

California), e il modello europeo CORINAIR.

Un modello di emissione statico valido per il parco veicolare rappresentativo dell’attuale

realtà italiana è stato messo a punto da Tartaglia (1996).

Secondo questo modello, per i veicoli appartenenti alla categoria g, le emissioni di base

dell’inquinante i sono:

dove i coefficienti β dipendono sia dalla sostanza inquinante che dal tipo di veicolo (Tab

2.4). La relazione sopra indicata è riferita alla classificazione dei veicoli che tiene conto

delle caratteristiche di omologazione adottate dalla Comunità Europea e recepite anche in

Italia (Tab. 2.5).

Le sostanze inquinanti considerate nel modello sono il CO, gli HC, gli NOx, la CO2, il PTS

e il NO2. La generica equazione sopra definita è valida in un intervallo di velocità

comprese tra 0 e 110 km/h.

δEbasei,g vm( )

δEbasei,g vm( ) = β1

i,g ⋅ vm2 + β2

i,g ⋅ vm + β3i,g

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  47  

Le funzioni di emissioni di base composite sono espresse da:

dove cg è la percentuale di veicoli di categoria g compresa nel parco veicolare considerato

e ng è il numero totale di categorie.

Le sovraemissioni dovute al funzionamento a freddo dei veicoli sono tenute in conto

ponendo:

dove i coefficienti t dipendono dal tipo di veicolo e di inquinante (Tab. 2.6) e T è la

temperatura dell’aria esterna.

Le sovraemissioni dovute alla pendenza p della via sono invece calcolate come segue:

dove il coefficiente ki,g dipende dal tipo di inquinante e dalla categoria veicolare. A causa

della mancanza di dati utili, il modello non tiene conto delle sovraemissioni evaporative di

HC.

Per ciò che concerne le variazioni di emissione dovute all’evoluzione dello stato della

meccanica del veicolo, si può ritenere che esse siano implicitamente considerate dalle

funzioni di emissione di base, le quali non si riferiscono a veicoli nuovi ma a veicoli in uno

stato medio della meccanica. Il fattore di emissione composito è quindi dato da:

espresso in g⋅km-1.

A questo punto può essere calcolata l’emissione media QL dovuta a un flusso di traffico f,

in cui i veicoli siano presenti nella percentuale precedentemente assunta e si muovano

tutti con la medesima velocità media. Se il flusso è espresso in veic⋅h-1, si ha che QL viene

espressa in g⋅m-1⋅s-1 nella maniera seguente:

Ebasei vm( ) = cg ⋅ b1

i,g ⋅ vm2 + b2

i,g ⋅ vm + b3i,g( )

g=1

ng

δETi,g vm,T( ) = δEbase

i,g vm( ) ⋅ τ1i,g ⋅T + τ 2

i,g( )

δEpi,g p( ) = ki,g ⋅p( )

δEi vm,T,p( ) = cgg=1

ng

∑ ⋅ β1i,g ⋅ vm

2 + β2i,g ⋅ vm + β3

i,g( ) ⋅ 1+ τ1i,g ⋅T + τ2

ι,g( ) + ki,g ⋅p

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 48  

Tabella 2.4-a Coefficienti b da impiegare nel modello di Tartaglia.

QL vm,T,p, f( ) = 2.8 ⋅10−7 ⋅E vm,T,p( ) ⋅ f

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  49  

Tabella 2.4-b Coefficienti b da impiegare nel modello di Tartaglia.

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 50  

Tabella 2.5. Gruppi veicolari utilizzati nel modello statico di Tartaglia.

Gruppo Coefficiente CO NOx HC PTS

Benzina convenzionale

Benzina closed loop(*)

Auto Diesel

Auto LPG

t1 t2 t1 t2 t1 t2 t1 t2

-0,09 3,70 -0,09 9,04 -0,03 1,90 -0,9 3,66

-0,006 1,14

-0,006 3,66

-0,013 1,30

-0,006 0,98

-0,06 2,80 -0,06 12,59 -0,09 3,10 -0,06 2,24

- - - -

-0,1 3,1 - -

(*) con dispositivi di controllo delle perdite dal sistema di alimentazione

Tabella 2.6 Coefficienti per il calcolo delle sovraemissioni dovute al funzionamento a freddo dei veicoli.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  51  

2.6 MODELLI PREVISIONALI DI DISPERSIONE (O DI DIFFUSIONE)

I modelli di dispersione a microscala calcolano, a partire dalle informazioni sui fattori di

emissione, sui flussi di traffico e sulle condizioni micrometeorologiche del sito, le

concentrazioni di inquinante con un dettaglio spaziale che può essere dell’ordine del

metro, su un’area avente lati dell’ordine delle centinaia di metri, comprendente, per

esempio, una o due vie e un incrocio. Lo studio di pari dettaglio su aree maggiori è spesso

troppo oneroso.

Nei modelli a microscala un ruolo importante è giocato dalla presenza della topografia,

che altera profondamente i campi micrometeorologici e che quindi può indurre dei campi

di concentrazione molto difformi spazialmente.

I modelli di dispersione a scala urbana permettono di determinare le concentrazioni di

inquinanti su un’area dell’ordine della decina di chilometri, comprendente per esempio il

centro urbano e le aree limitrofe. Questo tipo di modelli necessita come input delle

informazioni relative alle emissioni in tutta l’area urbana, specificate almeno sulle arterie

cittadine più importanti. Poiché i modelli a scala urbana hanno come output le

concentrazioni areali rappresentative di una situazione media e stazionaria, è necessario

fornire ai modelli in input le condizioni meteorologiche relative a un periodo

sufficientemente lungo.

Per poter prevedere in maniera scientificamente corretta le concentrazioni degli inquinanti

secondari nell’atmosfera, attribuibili, almeno in parte, al traffico veicolare, è necessario

considerare, a causa delle interazioni tra i fenomeni di traffico e le cinetiche chimiche

un’area metropolitana estesa, che abbia lati dell’ordine delle decine di chilometri (da 20 a

100 km).

I modelli per lo studio dell’inquinamento secondario sono complessi in quanto devono

considerare molti fenomeni e diverse interazioni. In genere non si ha a che fare con un

singolo modello, ma con un sistema di modelli che devono essere applicati in cascata. In

funzione della natura dei sistemi di riferimento adoperati la descrizione matematica del

fenomeno della dispersione può essere condotta secondo due principali approcci,

corrispondenti all’uso di due diversi sistemi di riferimento spaziale (Fig. 2.5).

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 52  

Il primo approccio,

denominato euleriano,

consiste nel descrivere

il comportamento di una

determinata sostanza

presente nell’atmosfera

attraverso un sistema di

assi coordinati fissi. Il

secondo approccio,

detto lagrangiano,

riferisce invece la

descrizione del

fenomeno a un sistema di riferimento mobile e solidale con la sostanza in moto.

Coerentemente con queste descrizioni, una qualunque variabile impiegata nei modelli di

dispersione si dice variabile euleriana o variabile lagrangiana quando è riferita all’uno o

all’altro tipo di sistema di coordinate. I modelli teorici euleriani sono tutti fondati

sull’equazione di continuità della sostanza disperdente. Mentre i modelli teorici lagrangiani

si basano sulla descrizione dei moti delle singole particelle attraverso una distribuzione di

probabilità della loro posizione

spazio-temporale.

Tutti e due gli approcci possono

poi portare, ammettendo

determinate ipotesi semplificative,

a modelli che per la loro

particolare forma matematica

vengono detti gaussiani. Essi

sono tra i modelli di dispersione

maggiormente usati nella pratica a

causa della loro semplicità

d’impiego. Nei modelli gaussiani si assume che il materiale inquinante venga trasportato

dal vento nel verso in cui esso spira, e che la distribuzione della concentrazione

Figura 2.5 Differenza tra gli approcci lagrangiano ed euleriano nella descrizione della dispersione.  

Figura 2.6 Schema della dispersione gaussiana in un sistema di riferimento orientato secondo il vento.  

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  53  

dell’inquinante in un piano verticale, perpendicolare alla direzione del vento, possa essere

espressa da una legge di tipo gaussiano (Fig. 2.6).

Nella sua formulazione standard il modello gaussiano è sottoposto alle seguenti

limitazioni:

• stazionarietà delle emissioni: si assume che le emissioni siano costanti e continue;

• stazionarietà e omogeneità delle condizioni atmosferiche: si assume che non

intervengano variazioni della direzione e della velocità media del vento, della stabilità

atmosferica, durante il trasporto dell’inquinante dalla sorgente al ricettore, questa

ipotesi è ragionevole solo per brevi distanze e in assenza di rapide variazioni delle

condizioni meteorologiche;

• assenza di reazioni chimiche nell’atmosfera che interessino gli inquinanti e di

fenomeni di deposizione al suolo;

• estensione indefinita del dominio spaziale di dispersione degli inquinanti: si assume

che la dispersione non sia alterata dalla presenza del suolo, di ostacoli, di

stratificazioni termiche dell’atmosfera.

La rimozione di queste ipotesi porta a differenti espressioni del modello, che però, pur

“complicando” la forma dell’equazione analitica non incrementano significativamente il

livello di precisione del modello.

Nel caso di una sorgente puntiforme, viene introdotto un riferimento cartesiano, avente

l’origine coincidente con la sorgente, l’asse x orizzontale e coincidente con la direzione del

vento, l’asse z verticale, l’asse y orizzontale e perpendicolare al piano individuato dai primi

due. Nel piano verticale a distanza x dall’origine la distribuzione della concentrazione

risulta espressa dalla relazione:

dove:

Ø C(x,y,z) = concentrazione di inquinante nel punto di coordinate (x,y,z) (g/m3);

Ø Q = quantità di inquinante emessa dalla sorgente nell’unità di tempo (g/sec). Il modello

fornisce risultati particolarmente attendibili nel caso di inquinanti primari come il CO;

Ø u = velocità media del vento (m/sec);

C x, y, z( ) =Q

2 ⋅u ⋅ π ⋅σ y ⋅ σ zexp −

12

yσ y

&

' ( (

)

* + +

2,

-

.

.

/

0

1 1 exp −

12

zσ z

&

' (

)

* +

2,

-

.

.

/

0

1 1

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 54  

Ø σy, σz = parametri della dispersione (scarti quadratici medi della distribuzione della

concentrazione) nelle direzioni y e z in funzione della distanza x e delle caratteristiche

di stabilità atmosferica (m).

Per i coefficienti di dispersione σy e σz si osserva che le espressioni presenti in letteratura

valide per sorgenti statiche mal si prestano allorché le sorgenti sono costituite da veicoli in

movimento; i coefficienti σy e σz possono essere pertanto calcolati tramite le seguenti

espressioni, stimate mediante misurazioni effettuate in prossimità di più strade:

;

I valori adottati dipendono quindi esclusivamente dalla distanza D tra il ricettore e l’asse

stradale. Per il calcolo della concentrazione oraria massima si fa riferimento al traffico

orario di punta, a condizioni di bassa velocità del vento, e alla direzione del vento più

sfavorevole, in relazione alle posizioni relative della strada (o delle strade) e del ricettore.

Accanto ai modelli derivanti da ipotesi sulla dispersione degli inquinanti (euleriani,

lagrangiani e gaussiani), esistono i cosiddetti modelli di diffusione empirici, sviluppati in

base a osservazioni sperimentali dei valori delle principali variabili che intervengono nel

fenomeno della dispersione.

Il principale limite dei modelli empirici consiste nel fatto che essi sono in grado di simulare

solo le particolari condizioni nelle quali sono stati sviluppati, o condizioni da queste non

molto dissimili.

Il modello empirico maggiormente impiegato in ambito urbano è il modello canyon (o

modello box), così chiamato in quanto una strada fiancheggiata da due file laterali di edifici

viene comunemente denominata strada a canyon o canyon urbano.

Diversi studi sperimentali hanno mostrato che la dispersione all’interno di un canyon

urbano è influenzata principalmente dalle caratteristiche geometriche del sito e dalle

condizioni di flusso atmosferico (velocità e direzione del vento).

I parametri che individuano la configurazione geometrica del canyon sono la sua

larghezza W, l’altezza degli edifici laterali H e, in secondo luogo, la sua lunghezza L.

σ y = 1,85 ⋅ 1+ e0,39⋅ lnD( )3

−4,76⋅ lnD( )2+20,95⋅ lnD( )−32,67

%

& ' (

) * + , -

. -

/ 0 -

1 -

σ z =σ y

4,2

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  55  

Un parametro molto significativo in tal senso è il coefficiente di forma αc, dato dal rapporto

tra l’altezza e la larghezza del canyon:

Le caratteristiche del flusso atmosferico sono individuate dal valore della velocità media

del vento v misurato in corrispondenza dei tetti degli edifici e dal valore della velocità

media del vento all’interno del canyon vc.

La caratteristica fondamentale di un canyon urbano è data dalla tendenza a favorire, in

determinate condizioni, l’instaurarsi di una circolazione d’aria di tipo fortemente locale,

data dalla presenza di un flusso elicoidale con asse parallelo all’asse longitudinale del

canyon e contenuto all’interno di questo.

Generalmente i modelli empirici presuppongono che la concentrazione inquinante

esistente all’interno del canyon sia data dalla somma di due contributi. Il primo,

denominato contributo locale cc, è dato dall’aliquota derivante dalla dispersione

dell’inquinante emesso dai veicoli che transitano nel canyon. Il secondo, denominato

contributo di aria ca, deriva dalla dispersione dell’inquinante emesso da tutte quelle

sorgenti presenti nell’aria circostante. La concentrazione totale esistente all’interno del

canyon è quindi data da:

c = cc + ca

La configurazione geometrica di riferimento è quella in cui gli edifici posti ai due lati della

strada hanno altezze tra loro comparabili (αc≅1). Si suppone inoltre che il regime di

circolazione dell’aria all’interno del canyon sia determinato dall’instaurarsi di un unico

vortice primario elicoidale. In queste condizioni, la concentrazione esistente nelle zone

sottovento è mediamente maggiore di quella che si riscontra nel lato sopravvento della

strada (Fig. 2.7). Il modello si basa sull’ipotesi che il contributo locale alla concentrazione

di CO sia direttamente proporzionale all’entità delle emissioni locali e inversamente

proporzionale sia alla velocità del vento al livello del suolo che alle dimensioni verticali

della zona di mescolamento.

αc =HW

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 56  

La velocità del vento al suolo è assunta proporzionale alla somma tra la velocità media del

vento v misurata al livello dei tetti (in m/s) e la velocità media del flusso d’aria indotta dal

moto dei veicoli, supposta pari a 0,5 m/s:

vs = kv•(v + 0,5)

Nei luoghi sottovento, Z (espressa in m) è ipotizzata proporzionale alla somma della

distanza LR (m) tra l’asse della strada e il punto in cui si calcola la concentrazione (punto

ricettore) e una lunghezza di

mescolamento LO (m) indotta

dal moto veicolare:

Z = kl•(LR + LO)

Se si indica con cc,L la

concentrazione sottovento, essa

sarà quindi pari a:

Avendo supposto una

lunghezza LO di 2 m, che

rappresenta una stima della larghezza media dei veicoli, la costante KL = 1/(kl.kv) che

compare nell’equazione precedente è stimata pari a 7. QL è la quantità di inquinante

emessa dalla sorgente nell’unità di tempo (g/sec). Il modello è valido solo nel caso di

inquinanti primari come il CO.

Nei luoghi del canyon situati sopravvento, l’estensione verticale del volume di

mescolamento viene assunta proporzionale alla larghezza W della strada:

Z = kw•W

La concentrazione cc,W nei punti sopravvento è pari a:

cc,L = KL ⋅QL

(v + 0.5) ⋅ (L + Lo )

cc,W = KW ⋅QL

(v + 0.5) ⋅WH − Z

H

Figura 2.7 Caratteristiche geometriche e di circolazione dell’aria in un canyon urbano (αc!1).  

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  57  

in cui il coefficiente (H-Z)/H è stato introdotto per tenere conto di un aumento della

concentrazione all’aumentare della distanza dalla sommità dei tetti e quindi dell’estensione

dell’arco elicoidale di vortice sottostante. Il coefficiente KW= 1/(kv.kw) è stato

sperimentalmente stimato pari a KL.

Le equazioni che esprimono le concentrazioni cc,L e cc,W sono ritenute valide solo per valori

dell’angolo formato dalla direzione del vento medio ai tetti e l’ortogonale all’asse della

strada compresi tra 0° e ±45°. Per valori maggiori di quest’angolo si considera la

concentrazione pari alla media dei valori corrispondenti ai settori sopravvento e

sottovento:

Una variante del modello box tradizionale è rappresentata dalla formulazione di Tartaglia,

la quale consente il calcolo della concentrazione complessiva di CO, e non più solo di

quella locale, in un punto del canyon.

La versione del modello di dispersione per una strada a canyon ottenuta da Tartaglia è la

seguente:

c = kc•cc + ko,

dove la c è la concentrazione totale in aria, cc è il contributo locale di concentrazione dato

dal modello di base, kc e ko sono i coefficienti della calibrazione.

La costante ko può essere interpretata come la somma di un contributo di fondo dovuto

alla dispersione delle sostanze emesse da quelle sorgenti non considerate nella

simulazione e di un contributo di area costante.

I coefficienti sperimentali messi a punto considerando dati relativi ai tre mesi invernali sono

riportati in tabella 2.7.

Coefficiente Settore sopravvento Settore intermedio Settore sottovento

kc 5,41 3,35 2,75 ko 0,05 0,95 1,07

Tabella 2.7 Coefficienti sperimentali di Tartaglia per il calcolo della concentrazione di CO nei canyon.

cc,I =cc,L + cc,W( )

2

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 58  

Sebbene la schematizzazione empirica della dispersione degli inquinanti nelle strade a

canyon sia stata concepita solo per i soli inquinanti primari, modelli empirici per strade a

canyon possono produrre buoni risultati anche nella previsione delle concentrazioni di

ossidi di azoto.

Un modello empirico in grado di calcolare la concentrazione di NOx nelle strade urbane a

canyon è stato sviluppato da Gualtieri e Tartaglia (1993) in modo da tener conto del

comportamento di questa categoria di inquinanti reattivi. Secondo questo modello la

concentrazione di NOx è così calcolata:

dove :

• CNOx = concentrazione di NOx (µg/m3);

• Qs = emissioni medie di NOx (g/m•s);

• F = fattore di forma funzione del settore di direzione del vento considerato (m-1);

• V = velocità media del vento al livello dei tetti (m/s);

• T = temperatura dell’aria esterna (°C);

• H = altezza di mescolamento coincidente con l’altezza media del canyon (m);

• Radi = radiazione solare oraria, dove la sommatoria è estesa alle 23 ore precedenti

quella a cui il calcolo è riferito (W/m2);

• a, b, c, di, ko sono coefficienti adimensionali del modello.

I fattori di forma F sono espressi in funzione dell’altezza media degli edifici H (m), della

larghezza del canyon W (m), della distanza del punto recettore dall’asse stradale x (m),

dell’altezza del recettore z (m), della lunghezza di mescolamento Lo (m) indotta dal moto

veicolare e posta uguale a 2 m (Tab. 2.8).

Settore Fattore di forma F (m-1)

Sopravvento

Sottovento

Intermedio Tabella 2.8 Fattori di forma del modello di Gualtieri e Tartaglia.

CNOx= a ⋅

Qs

v + 0.5

#

$ %

&

' ( ⋅F + b ⋅T + c ⋅H + di ⋅

i∑ Radi + ko

7 ⋅ h − zh ⋅w

7 ⋅1

x2 + z2 + Lo

FW + FL( ) / 2

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  59  

I coefficienti adimensionali del modello sono riportati nella tabella 2.9.

Settore a b c di ko Sopravvento 2,17 -0,73 0,03 -0,23÷0,22 228,07 Sottovento 1,74 -1,18 0,03 -0,20÷0,20 166,15 Intermedio 2,08 -2,00 0,06 -0,16÷0,16 113,90

Tabella 2.9 Coefficienti adimensionali del modello di Gualtieri e Tartaglia.

2.7 RUMORE PRODOTTO DAL TRAFFICO STRADALE

Le sorgenti principali causa del rumore da traffico sono i veicoli che, anche se

notevolmente diversificati fra loro per le diverse prestazioni e per le diverse destinazioni

d’uso (veicoli commerciali, mezzi di trasporto pubblico, mezzo proprio), poiché adottano

tutti motori alternativi a combustione interna producono una sensazione uditiva

abbastanza simile, differenziandosi invece nel livello globale di emissione. Il livello di

emissione è inoltre influenzato dalle condizioni di circolazione (traffico scorrevole e traffico

cittadino), che a loro volta dipendono dalle velocità e dalle accelerazioni dei singoli veicoli,

al crescere delle quali cresce anche il rumore, dallo stile di guida (una guida aggressiva

comporta mediamente un aumento di rumorosità di circa 5 dBA), e, infine, dalle proprietà

di assorbimento acustico della superficie stradale.

Un discorso a parte va fatto per i dispositivi di segnalazione acustica dei veicoli che, al

contrario di quanto normalmente accade, dovrebbero essere utilizzati con la massima

moderazione e solamente ai fini della sicurezza stradale, e, in particolare, per le sirene dei

veicoli di pronto intervento, per le quali la non immediata localizzazione della provenienza

del segnale di allarme, rende difficoltosa la manovra di via libera, con la conseguente

permanenza del rumore, già abbastanza sgradevole, per un tempo più lungo del

necessario.

All’origine del rumore veicolare possiamo individuare varie sorgenti, componendo i livelli

delle quali si ottiene il livello globale, che rientrano in due principali categorie:

Ø quelle correlate con il numero di giri del motore (power train);

Ø quelle correlate con la velocità del veicolo su strada.

Nella prima categoria, che è indipendente dalla seconda, rientrano il motore, l’impianto di

aspirazione e scarico, la ventola di raffreddamento, gli alberi di trasmissione, il cambio, le

pompe idrauliche e i generatori elettrici. Nella seconda, invece, rientrano il rumore

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 60  

provocato dall’interazione pneumatici-strada e il rumore aerodinamico.

Il rumore del motore è principalmente dovuto all’aspirazione dell’aria, alla combustione

nella camera di scoppio, alla emissione dei gas combusti, agli accoppiamenti meccanici

(punterie, ingranaggi, trasmissioni a catena, etc.), alle vibrazioni (causate dai carichi

variabili determinati dalla pressione dei gas, alle forze d’inerzia, all’azione delle masse

rotanti e di quelle in moto relativo) ed alle vibrazioni indotte nella carrozzeria.

Il rumore da rotolamento dipende, sostanzialmente, dalla velocità del veicolo e dalle

caratteristiche e condizioni della superficie di rotolamento (rugosità, tipo di inerti e

granulometrie utilizzate, grado di ammaloramento, proprietà di assorbimento acustico),

mentre le caratteristiche del pneumatico (dimensione, carico, pressione di gonfiaggio,

disegno del battistrada, grado di usura), il peso del veicolo e la sua accelerazione, hanno

una minore influenza. Tale rumore è essenzialmente causato dall’impatto del battistrada

sulla superficie (“rumore di impatto”), dalla vibrazione dell’aria compressa fra i tasselli del

battistrada per effetto della deformazione elastica del pneumatico (“pompaggio dell’aria”) e

dal cosiddetto “slip and stick” (aggrappamento del pneumatico sugli inerti dello strato

superficiale della pavimentazione stradale). Le emissioni generate dal rumore di

rotolamento si trovano in genere al di sotto dei 1000 Hz, cioè nel campo delle basse

frequenze; sul bagnato il livello di rumore è più alto di circa 5-10 dBA.

Il rumore aerodinamico è dovuto all’impatto della vettura contro l’aria ed è funzione, oltre

che della velocità, del profilo della carrozzeria; esso copre di norma frequenze comprese

tra i 500 e i 3000 Hz ed è particolarmente fastidioso perché interferisce con la voce

parlata, il cui livello oscilla fra i 45 e i 60 dBA.

In generale, a basse velocità, quali quelle del traffico urbano, il motore e il sistema di

aspirazione e scarico costituiscono le sorgenti di rumore predominanti, mentre a velocità

maggiori di 50-60 km/h aumenta sensibilmente il contributo del rumore di rotolamento dei

pneumatici. Per velocità superiori agli 80 km/h il rumore del motore alla massima potenza

è mascherato dal rumore di rotolamento e, quando si superano i 100 km/h, anche da

quello aerodinamico.

La struttura del veicolo (telaio, carrozzeria), pur non costituendo una sorgente di rumore, è

messa in vibrazione sia dal motore che dalle irregolarità della superficie stradale

(accelerazioni verticali trasmesse attraverso il sistema delle sospensioni), per cui diventa

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  61  

tale principalmente all’interno del veicolo e contribuisce al livello globale di rumorosità

emessa. Secondo indagini svolte dalla CEE risulterebbe che il 45% del rumore veicolare è

causato dallo scappamento, il 30% dal motore, il 10% dalla aspirazione, il 10% dalla

ventola e solo il 5% dall’attrito con la superficie stradale.

Nell’ambito dei problemi connessi con il rumore ambientale è opportuno raggruppare le

sorgenti di rumore in poche classi individuate solo dal livello globale prodotto ad una

determinata distanza, per velocità caratteristiche delle aree urbane. Sotto questo aspetto i

vari tipi di veicoli possono essere classificati, a seconda del rumore emesso, in veicoli

pesanti (autocarri, autotreni, autoarticolati, autobus) con picchi di emissione di 90-95 dBA,

veicoli leggeri (automobili, autoveicoli con meno di nove posti a sedere compreso il

conducente) con picchi di 75-80 dBA e veicoli a due ruote (motocicli e motociclette) con

picchi di 80-90 dBA; tali valori sono riferiti ad una distanza di circa 4 metri. L’elevata

rumorosità delle motociclette è principalmente dovuta alle caratteristiche del tubo di

scappamento e al fatto che il motore è privo di schermi.

Un ruolo importante ai fini dell’inquinamento acustico, infine, è giocato dallo stato di

manutenzione dei veicoli circolanti, in quanto l’usura meccanica provoca un progressivo

aumento di rumorosità in alcune componenti, quali ad esempio il sistema di scarico e

l’impianto frenante.

2.8 NORMATIVA ITALIANA SUL RUMORE AMBIENTALE

In Italia le norme legislative in materia di disturbo da rumore sulla comunità sono

contenute nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1° marzo 1991 (G.U.

8/3/91 S.G. n. 57) intitolato “Limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi

e nell’ambiente esterno”.

Tale Decreto fornisce i parametri in base ai quali adeguare le emissioni acustiche delle

diverse sorgenti sonore, fisse e mobili, presenti nel territorio.

Dato il carattere transitorio del DPCM 1/3/91, nel 1995 il Parlamento ha prodotto un nuovo

strumento legislativo costituito dalla Legge Quadro sull’inquinamento acustico (la n. 447

del 26/10/95 G.U. n. 254 del 30/10/95) che sancisce i principi fondamentali di

regolamentazione della materia e che, a sua volta, affida a una serie di decreti attuativi la

completa regolamentazione dell’argomento.

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 62  

Peculiarità essenziale delle suddette Norme è la suddivisione del territorio in sei classi, per

ciascuna delle quali vengono fissati, in relazione alla diversa destinazione d’uso, i valori

massimi di livello sonoro equivalente per il giorno (considerato dalle ore 6.00 alle ore

22.00) e per la notte (dalle 22.00 alle 6.00). Le denominazioni delle suddette classi e dei

rispettivi limiti sono riassunti nella tabella 2.10.

Classi di destinazione d’uso del territorio LAeq (diurno) LAeq (notturno)

I Aree particolarmente protette 50 40

II Aree prevalentemente residenziali 55 45

III Aree di tipo misto 60 50

IV Aree di intensa attività umana 65 55

V Aree prevalentemente industriali 70 60

VI Aree esclusivamente industriali 70 70

Tabella 2.10 Limiti massimi del livello sonoro equivalente relativi alle classi di destinazione d’uso.

Per le zone non esclusivamente industriali, oltre ai limiti massimi sopra riportati, sono

anche stabilite le seguenti differenze (criterio differenziale) tra il livello equivalente del

rumore ambientale e quello del rumore residuo (livello sonoro equivalente in assenza di

specifiche sorgenti disturbanti): 5 dBA per il periodo diurno e 3 dBA per quello notturno. La

misura deve essere effettuata all’interno delle abitazioni e nel tempo di osservazione del

fenomeno acustico specifico.

La Normativa sul rumore ambientale, inoltre, precisa le competenze dello Stato, delle

Regioni, delle Province e dei Comuni; in particolare:

• le Regioni devono emanare direttive per la predisposizione da parte dei Comuni di

Piani di risanamento acustico del territorio, in accordo con la suddivisione in classi

riportata nella tabella 2.10;

• il Piano comunale di risanamento acustico deve essere coordinato con il Piano Urbano

del Traffico e, inoltre, nei Comuni con popolazione superiore a 50000 abitanti, la

Giunta Comunale è tenuta a presentare al Consiglio Comunale una relazione biennale

sullo stato acustico del Comune;

• le Regioni hanno facoltà di concedere contributi ai Comuni e alle Province per

l’organizzazione di un sistema di monitoraggio e di controllo, nonché per le misure

previste dai Piani di risanamento;

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  63  

• ai Comuni spettano le funzioni di controllo relativamente alle emissioni prodotte dal

traffico veicolare e dalle sorgenti fisse, da macchinari rumorosi per attività svolte

all’aperto, etc.

2.9 INTERVENTI MITIGATIVI DELL’INQUINAMENTO ACUSTICO

Il livello del rumore da traffico stradale dipende, oltre che dalla rumorosità intrinseca di

ciascun veicolo, anche da altri fattori legati alla composizione del flusso veicolare e alle

caratteristiche geometrico-ambientali della strada su cui questo transita. Interventi mirati

su tali fattori consentono di ottenere significative riduzioni del rumore in tempi

relativamente brevi e costi non eccessivi.

Occorre tenere presente che la relazione tra il numero di veicoli in transito e il

corrispondente livello di rumore è di tipo logaritmico: un dimezzamento del flusso veicolare

comporta una riduzione di rumore pari a 3 dBA.

Inoltre, in merito alla composizione del flusso di veicoli, bisogna evidenziare che il rumore

prodotto dai mezzi pesanti è di circa 9-10 dBA più alto di quello emesso dalle autovetture

(normalmente un solo mezzo pesante genera un livello di rumore pari a quello di otto

automobili). Tale differenza è più accentuata su strade in pendenza e in situazioni che

comportano brusche e frequenti variazioni della velocità (semafori, incroci, traffico

congestionato), mentre diminuisce all’aumentare della velocità.

È necessario, pertanto, contenere la percentuale di mezzi pesanti sia per la loro maggiore

rumorosità intrinseca sia perché, marciando a velocità più basse rispetto agli altri veicoli,

sono spesso causa di congestione. Qualora la percentuale di tali automezzi superi il 10%

del complesso dei veicoli transitanti, risulta indispensabile agire in primo luogo su di essi

se vogliono ottenersi considerevoli riduzioni del livello di rumore.

A tale scopo un efficace provvedimento potrebbe consistere nella deviazione dei veicoli

pesanti su vie di circonvallazione o su percorsi alternativi, evitando, almeno in certi periodi

della giornata, gli attraversamenti del nucleo urbano; potrebbero essere, altresì, previsti

divieti di transito durante le ore notturne o nelle giornate festive, deviazioni dalle zone a

carattere esclusivamente residenziale, consentendone l’accesso solo ai residenti. Per le

vie a traffico veloce, invece, potrebbero essere adottati sensi unici di marcia e la

sincronizzazione dei semafori.

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 64  

Un parametro da tenere sotto controllo è rappresentato dalla velocità media del flusso

veicolare. È importante che essa non subisca, come di norma avviene nelle aree urbane,

o in situazioni di congestione, variazioni rapide e frequenti, in quanto le accelerazioni e

decelerazioni dei veicoli producono fluttuazioni del livello di rumore che influiscono

negativamente sul disturbo indotto alla popolazione. A tal fine il provvedimento più ovvio

potrebbe essere l’imposizione di limiti di velocità, da integrare, dove si ritenga necessario,

con idonei interventi di traffic calming.

Altri interventi di regolamentazione del traffico, sono poi rappresentati dalla creazione di

isole e vie pedonali, di piste ciclabili, di ampi parcheggi in prossimità delle zone con divieto

di transito. Sarebbe auspicabile, ai fini di una efficace riduzione dei livelli di rumore, un

utilizzo quanto più limitato possibile del mezzo proprio a favore dei mezzi di trasporto

pubblico, o di veicoli elettrici, o, ancora, di velocipedi, il che contribuirebbe notevolmente

anche alla mitigazione dell’inquinamento atmosferico.

Accanto alle azioni appena esposte, mirate essenzialmente a ridurre la produzione di

rumore alla sorgente, esistono i cosiddetti interventi passivi che, invece, servono a

proteggere i ricettori dagli effetti indotti dal rumore veicolare; tra questi, citiamo:

• pavimentazioni drenanti-fonoassorbenti;

• barriere acustiche artificiali;

• barriere miste (biomuri);

• barriere acustiche naturali.

Negli ultimi anni la tecnica della pavimentazione drenante-fonoassorbente si è andata

sempre più sviluppando grazie soprattutto all’uso di bitumi modificati che hanno consentito

di ottenere miscele bituminose caratterizzate da una struttura alveolare con elevata

percentuale dei vuoti, senza, tuttavia, penalizzare le caratteristiche di resistenza del

conglomerato stesso.

Con questo tipo di strato superficiale, oltre alla riduzione del rumore di rotolamento (si

riduce fondamentalmente il fenomeno del pompaggio dell’aria), si evita il fenomeno delle

riflessioni multiple (i cosiddetti riverberi) fra pneumatici e strada, o fra il pianale del veicolo

e la pavimentazione, e l’energia che penetra nel conglomerato si dissipa gradualmente per

rifrazione fra i granuli di pietrisco garantendo, in definitiva, una riduzione media della

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  65  

rumorosità di circa 3-4 dBA rispetto al tradizionale strato di usura in conglomerato

bituminoso chiuso.

In commercio vi sono conglomerati bituminosi confezionati con inerti di argilla espansa, in

percentuale compresa tra il 15-20 %, che permettono un abbattimento del rumore di circa

4-5 dBA rispetto ad una miscela che ne risulti priva. L’argilla espansa viene anche

impiegata come componente del calcestruzzo per la realizzazione di diversi manufatti fra

cui le barriere fonoassorbenti.

L’adozione di barriere antirumore costituisce l’intervento tecnico più efficace e più comune

per la difesa dell’ambiente dal rumore. Esistono due principali tipologie di barriere:

fonoisolanti (o fonoriflettenti), muri compatti che non vengono attraversati dalle onde

sonore, e fonoassorbenti, pareti sottili aventi la faccia rivolta verso la sorgente forata e

l’altra chiusa, all’interno delle quali vi è un materiale molto poroso (come la lana di vetro),

che costringe l’onda acustica a subire tante riflessioni trasformandosi in calore.

Le capacità di fonoisolamento e di fonoassorbimento sono in antitesi tra loro, in quanto

strutturalmente un materiale risulta tanto più isolante quanto maggiore è la sua massa; di

conseguenza, un buon isolante è un materiale ad alta densità, come l’acciaio, il

calcestruzzo, il legno, mentre un materiale assorbente è un materiale a bassa densità e

poroso, poiché, come detto precedentemente, deve consentire all’energia sonora di

trasformarsi in energia termica e disperdersi tra le sue fibre. Quindi le proprietà

fonoisolanti e fonoassorbenti di una barriera acustica sono intrinseche delle stesse

barriere e non dipendono dalla geometria del luogo in cui vengono installate.

A tali manufatti non sono richieste solo protezioni acustiche, ma anche una buona

resistenza alla corrosione, elevate caratteristiche meccaniche, una ridotta riflessione

luminosa e un aspetto estetico che ne permetta l’integrazione nel paesaggio.

Vi sono tipologie realizzate con materiale unico prevalentemente fonoisolante, quali legno,

cemento, polimetilmetacrilato (Pmma), e altre con proprietà fonoisolanti e fonoassorbenti,

realizzate in lamiera. Tali tipologie possono essere utilizzate singolarmente o accoppiate

secondo varie combinazioni, come, ad esempio, cemento + lamiera + Pmma; cemento +

Pmma; cemento + lamiera; lamiera + Pmma. Il pannello di base in cemento assicura

buone caratteristiche meccaniche e buona resistenza alla corrosione. L’impiego del Pmma

si sta sempre più diffondendo grazie alla sua caratteristica di trasparenza, offrendo a chi

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 66  

viaggia una minore sensazione di chiuso. I pannelli in lamiera di alluminio stanno

soppiantando quelli in lamiera zincata per un più lento processo di corrosione a causa

dell’esposizione agli agenti atmosferici. Alcune barriere acustiche sono realizzate in

plastica riciclata, proveniente per metà da rifiuti industriali e per l’altra metà da rifiuti

domestici (specialmente bottiglie); il prodotto finale è un pannello con elevate prestazioni

fonoisolanti e fonassorbenti: il lato rivolto verso la fonte di rumore è traforato con una serie

di buchi tondi, in un rapporto vuoto per pieno del 43%, che permettono di ottenere elevate

prestazioni di isolamento acustico, mentre il materiale fonoassorbente è costituito da un

pannello in lana di roccia di spessore idoneo. Tali pannelli sono imputrescibili, inerti agli

agenti chimici e atmosferici e resistenti al fuoco, agli choc termici e meccanici; sono,

inoltre, trattati con i raggi U.V., per garantire la tenuta del colore.

L’abbattimento in termini di decibel garantito dalle barriere artificiali è pari mediamente a

10-15 dB(A) per le barriere fonoriflettenti, mentre può raggiungere valori più elevati, 20-22

dB(A), nel caso delle barriere fonoassorbenti.

Un’altra tipologia di barriera, che risponde bene ai criteri di inserimento ambientale, è

quella ottenuta per integrazione tra elementi costruiti dall’uomo e le piante; si parla in tale

caso di barriere miste o biomuri. Tra queste trova posto il cosiddetto “mw - soundkiller”

costituito da due reticolati d’acciaio (rete elettrosaldata) zincato a fuoco su pali di 60 cm

che li mantengono separati, che formano una parete ad alto grado di assorbimento

acustico. Sul terriccio col quale si riempie lo spazio tra le grate verticali viene impiantata

della vegetazione coprente, che si riproduca con facilità e sempreverde, in genere l’acer

campestre, il frassino, l’edera, il biancospino, etc.

Questo tipo di parete, che occupa soltanto 60 cm in larghezza e può arrivare ad una

altezza di 8 m, risulta molto utile dove vi siano problemi di spazio, come in centro città o

sulle autostrade. Dovranno, naturalmente, essere previsti, al fine di mantenere efficiente la

protezione, piani di manutenzione annuale che comprendano interventi quali nuove

piantagioni, potatura, sarchiatura, controlli.

Accanto alle barriere artificiali e a quelle miste, si possono impiegare le cosiddette barriere

naturali (vegetali). Si è già osservato come l’onda sonora venga smorzata quando è

costretta ad un cammino irto di ostacoli, dove subisce una serie di urti, degradandosi in

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  67  

calore. Questo percorso di ostacoli può essere costituito anche dalle superfici delle foglie

dei rami e rametti della vegetazione.

Nel caso del rumore stradale le frequenze presenti sono molteplici e la sorgente non può

considerarsi puntiforme; la protezione vegetale, pertanto, non sempre è efficace in quanto,

spesso, difetta di continuità nello spazio e perché la sua struttura può cambiare nel tempo

a causa delle trasformazioni stagionali delle essenze arboree. Le barriere vegetali

contribuiscono poi al miglioramento ambientale sia dal punto di vista estetico che della

stabilità dei terreni; inoltre, si hanno anche benefici legati all’assorbimento di particolari

sostanze inquinanti prodotte dal traffico.

In ogni caso, con le barriere vegetali si può arrivare ad abbattimenti di 5-10 dBA a

seconda della specie, dell’altezza, della densità e della posizione della barriera; a tal

proposito buoni risultati sono stati ottenuti combinando alberi e cespugli messi a dimora in

fasce di 6-7 m di profondità, parallelamente alla strada.

2.10 MODELLI PREVISIONALI DEL RUMORE DA TRAFFICO VEICOLARE

Nel campo della pianificazione urbanistica e territoriale, è utile poter disporre di criteri che

consentano una predeterminazione dei livelli di rumore causati dal traffico stradale in base

ad elementi che possono essere previsti o imposti in sede di programmazione o di

progettazione. Pertanto, come in molte altre applicazioni ingegneristiche, si ricorre a

modelli matematici che simulano l’ambiente stradale, lo spazio circostante, la produzione

e lo smorzamento del rumore.

Di questi modelli, basati sia su formule di regressione che sull’integrazione dei contributi

energetici dovuti a singoli eventi sonori, ne sono stati messi a punto parecchi, ciascuno

con sue caratteristiche di validità (per ambiente urbano ed extraurbano, per tipo di traffico,

etc.).

In Italia, il CNR ha proposto l’utilizzo del modello di Cannelli, Gluck e Santoboni, che

prende in considerazione tutta una serie di parametri relativi al flusso di traffico ed alle

caratteristiche geometrico-ambientali del sito di misura:

dB(A)

dove:

Leq = 35.1+10log(Ql + 8Qp ) +10log25d

"

# $

%

& ' + ΔLv + ΔLf + ΔLb + ΔLs + ΔLg + ΔLvb

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 68  

• Ql = flusso orario di veicoli leggeri (autovetture, veicoli commerciali leggeri e veicoli a

due ruote);

• Qp = flusso orario di veicoli pesanti (veicoli da trasporto pubblico e veicoli commerciali

di peso superiore a 4.8 tonn);

• d = distanza fra il punto di osservazione e la mezzeria stradale (in metri);

• ΔLv = parametro correttivo che tiene conto della velocità media del flusso del traffico

(Tab. 2.11);

• ΔLf = parametro di correzione determinato dalla riflessione del rumore sulla facciata

vicina al punto di osservazione, pari a 2,5 dBA;

• ΔLb = parametro di correzione determinato dalla riflessione del rumore sulla facciata

opposta al punto di osservazione, pari a 1,5 dBA;

• ΔLs = parametro che tiene conto del tipo di superficie stradale (Tab. 2.12);

• ΔLg = parametro correttivo relativo alla pendenza longitudinale (Tab. 2.13);

• ΔLvb = parametro che si applica nei casi limite di traffico, come in presenza di semafori

e velocità veicolare assai bassa (Tab. 2.14).

Velocità media del flusso di traffico (km/h) ΔLv (dBA)

30 – 50 0 60 +1,0 70 +2,0 80 +3,0

100 +4,0

Tabella 2.11 Fattori di correzione per le diverse velocità medie del deflusso.  

Tipo di superficie stradale ΔLs (dBA) Conglomerato bituminoso liscio -0,5 Conglomerato bituminoso ruvido 0

Cemento +1,5 Superficie di rotolamento lastricata scabra +4,0

Tabella 2.12 Fattori di correzione per il tipo di superficie stradale.  

Pendenza (%) ΔLg (dBA) 5 0 6 +0,6 7 +1,2 8 +1,8 9 +2,4

10 +3,0 Per ogni ulteriore unità percentuale +0,6

Tabella 2.13 Fattori di correzione per la pendenza longitudinale della strada.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  69  

Situazione di traffico ΔLvb (dBA) In prossimità di semafori +1,0

Velocità del flusso veicolare < 30 km/h -1,5

Tabella 2.14 Fattori di correzione per casi limite di traffico.

Il metodo del CNR considera separatamente il traffico pesante e, ad ogni veicolo pesante,

attribuisce il valore di otto veicoli leggeri, tenendo così in conto la differente rumorosità

delle due categorie di automezzi. Tale coefficiente di correlazione è stato ottenuto

sperimentalmente confrontando il Leq medio dei veicoli pesanti con il Leq medio di quelli

leggeri; la differenza fra i due Leq,m è risultata pari a 8,9 dBA, valore che in termini

energetici corrisponde a circa otto volte l’energia unitaria media emessa da un veicolo

leggero.

2.11 FENOMENO DELLE VIBRAZIONI

Viene definita vibrazione un fenomeno ondulatorio, generalmente a bassa frequenza,

trasmesso attraverso un mezzo solido, liquido o gassoso.

Le vibrazioni vengono generalmente valutate in termini di velocità (variazione, in un dato

intervallo di tempo, della posizione di un corpo o di una particella, abitualmente misurata a

partire dalla media delle posizioni assunte dal corpo o dalla particella stessa oppure dalla

posizione di quiete).

Il fenomeno delle vibrazioni dovute ai trasporti costituisce un argomento altamente

tecnico. Le vibrazioni via terra, originate dal passaggio dei mezzi di trasporto su gomma

(camion, autobus, etc.) o su rotaia (treni, tram) sono dovute sia alle oscillazioni impresse

dal motore al mezzo, sia agli scuotimenti ed alle irregolarità del piano stradale o alle

giunzioni delle rotaie; l’intensità della vibrazione dipende dalla dimensione e dalla forma

dell’irregolarità del terreno e dalla velocità e dal peso del veicolo. Reazioni umane ed

effetti fisici dipendono in particolare dalla velocità massima delle particelle (esprimibile in

mm/sec) (Tab. 2.15).

Il livello di tolleranza di una vibrazione in zone residenziali corrisponde ad una velocità

massima di 0,15 – 0,30 mm/sec in quanto, una vibrazione, pur piccola ma percettibile, è

considerata intrusiva.

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 70  

Le vibrazioni via terra possono essere facilmente ed efficacemente attutite mediante una

serie di accorgimenti costruttivi, quali:

Ø isolare l’edificio dalla sorgente di vibrazioni, interponendo tra sorgente e ricettore una

struttura “elastica” sufficientemente approfondita nel terreno (intercapedine in c.a.,

diaframma in pietrame a secco, etc.);

Ø approfondire il piano di fondazione dell’edificio rendendolo meno sensibile alle onde

vibratorie;

Ø irrigidire la struttura dell’edificio spostando tutte le risonanze strutturali oltre l’intervallo

di frequenza in cui sono comprese le sollecitazioni.

Velocità (mm/sec) Reazioni umane Effetti sulle costruzioni

0 – 0,15 Impercettibile Nessuno 0,15 – 0,30 Limite di percezione Nessuno

2,0 Intrusione Limite massimo da non superare per antichi monumenti

2,5 Inizio del fastidio Nessun rischio per la normale edilizia

5.0 Fastidio Limite massimo da non superare per evitare danni architettonici

10 – 15 Fastidio e disagio a volte intollerabili Danni architettonici e possibili danni strutturali

Tabella 2.15 Reazioni umane ed effetti sulle costruzioni a varie velocità di vibrazione.

Particolare attenzione incomincia ad essere data pure alle vibrazioni che si propagano via

aria: esse sono chiamate anche infrasuoni. Esse derivano da onde sonore a bassa

frequenza (inferiore a 100 Hz) provenienti quasi unicamente dai motori dei veicoli,

soprattutto quelli diesel; si ritiene che tali vibrazioni non danneggino gli edifici: il loro effetto

principale e più intrusivo è dato dal far vibrare finestre e porte.

Queste onde obbediscono alle leggi del suono, ma poiché presentano basse frequenze e

grandi lunghezze d’onda, si attenuano relativamente poco con la distanza e con

l’isolamento sonoro. In definitiva, al contrario delle vibrazioni via terra, le vibrazioni via aria

sono di difficile eliminazione: questo deve rappresentare un motivo ulteriore di controllo

del traffico in aree urbane.

Un effetto benefico di riduzione delle vibrazioni si può avere sostituendo, nei mezzi di

trasporto pubblico, i motori diesel con i motori elettrici.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  71  

Nell’ambito delle infrastrutture ferroviarie urbane, il problema delle vibrazioni è

particolarmente evidente nel caso dei percorsi ferroviari che si sviluppano in sotterraneo

(metropolitane).

Per tali mezzi di trasporto occorre analizzare il percorso seguito dalle vibrazioni ingenerate

dal contatto ruota – binario: le vibrazioni vengono trasmesse alle strutture del tunnel e

quindi al suolo che le circonda; si propagano poi, attraverso il suolo, ai fabbricati adiacenti

facendone vibrare i pavimenti e le pareti, e provocando la diffusione del rumore nelle

stanze.

I parametri che influenzano i livelli di vibrazione del tunnel comprendono:

• velocità del treno: all’aumentare della velocità si accrescono sensibilmente i livelli di

vibrazione del tunnel e del terreno circostante (ad un raddoppio della velocità,

corrispondono incrementi di vibrazioni tali da ingenerare livelli di rumore nel tunnel

compresi tra 4 dB e 6 dB);

• carico assiale: un raddoppio nel carico assiale produce un aumento da 2 a 4 dB nei

livelli sonori all’interno della galleria a causa delle vibrazioni delle pareti del tunnel,

indipendentemente dalla velocità del treno e da come è stato costruito il binario;

• ruote resilienti: con l’adozione di ruote resilienti il rumore prodotto dalle vibrazioni delle

pareti del tunnel si riduce di circa 4 dB;

• massa non isolata dal binario (comprende le ruote e gli assi del treno, a meno che non

siano isolati, il cambio e i motori di trazione): il dimezzamento della massa non isolata

produce una riduzione di 6 dB nei livelli rumore all’interno della galleria;

• condizioni del sistema ruota – rotaia: gli ammaccamenti sulle ruote, i giunti delle rotaie

non compatti, la rugosità sulle rotaie possono aumentare i livelli di rumore provocati

dalle vibrazioni da 10 dB a 20 dB; la rugosità delle ruote o delle rotaie di tipo liscio e

senza giunti e in assenza di ammaccature sulle ruote, può aumentare tali livelli da 3

dB a 10 dB. I livelli rumore nel tunnel nel caso di binari con scambi e punti d’incrocio

sono da 10 a 15 dB superiori a quelli per binari continui;

• solette flottanti: le solette che fungono da letto del binario e da supporto resiliente

(chiamate “solette flottanti”) o le solette continue fuse in opera (con sezioni individuali

sino a 21 m di lunghezza), o una serie di solette prefuse da 0,7 a 1,5 m riducono

notevolmente le vibrazioni trasmesse alle strutture del tunnel;

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Capitolo 2: Inquinamento atmosferico e acustico in ambito urbano  

 72  

• materiale per il ballast ferroviario: il materiale in gomma posto tra il pietrisco e le

fondazioni del tunnel produce una significativa diminuzione dei livelli di vibrazione nel

tunnel (con riduzioni del livello di rumore all’interno delle gallerie stesse maggiori di 5

dB) per frequenze superiori ai 63 Hz;

• costruzione del tunnel: il tipo di struttura del tunnel e la sua massa influenzano i livelli

di vibrazione nel tunnel e sul terreno. Raddoppiare lo spessore medio delle pareti

porta a riduzioni nei livelli rumore nel tunnel quantificabili tra 5 dB e 18 dB.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  73  

_______________________________________

CAPITOLO 3

Infrastrutture per la sosta e il parcheggio

_______________________________________

3.1 PROBLEMATICHE DI SOSTA E PARCHEGGIO NEI CONTESTI URBANI

Il possesso di una vettura privata per compiere spostamenti è ormai una condizione di vita

acquisita su tutto il territorio nazionale. In tale direzione, la legge italiana obbliga, in caso

di nuove costruzioni, a garantire almeno 1 m2 di parcheggio ogni 10 m3 di costruzione.

Da diversi anni, inoltre, lo standard medio si sta spostando verso i 2 veicoli per nucleo

familiare. Tutti vogliono un veicolo aggiuntivo, ma pochi fanno l’acquisto basandosi sul

fatto di poter poi disporre di un box per il ricovero del mezzo.

La seconda o la terza automobile la si lascia in strada: questa è la linea comune di

pensiero spinta dall’impossibilità di trovare spazi adeguati di ricovero, cui corrisponde un

degrado del luogo urbano, il rallentamento del traffico, l’impossibilità di impiegare

liberamente il luogo pubblico per altre attività (passeggio, fare compere, etc.).

Il congestionamento dei centri urbani e la necessità di dotare la città di idonee strutture di

servizio, impongono l’esigenza di potenziare le infrastrutture di supporto ai collegamenti,

e, soprattutto, le aree per la sosta ed il parcheggio.

La circolazione dei veicoli è l’elemento essenziale per il controllo del traffico urbano.

Questa si divide in due momenti ben distinti:

• quello in cui i veicoli si muovono lungo le strade;

• quello in cui i veicoli stanno fermi in attesa, tra uno spostamento e l’altro.

Il numero di autoveicoli circolanti in Italia è di oltre 22 milioni; poiché ogni veicolo necessita

in media di 25 m2 per il parcheggio, la superficie complessiva destinata alle aree di

parcheggio dovrebbe essere oltre 1 miliardo di metri quadrati.

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 74  

Un’ulteriore considerazione è che la ripartizione del tempo tra movimento e sosta dei

veicoli è fortemente sbilanciata verso la sosta: mediamente l’automobile è usata solo per

due ore al giorno, mentre le altre 22 sta ferma.

Nelle zone centrali della città, poi, solo 10 autoveicoli su 100 sono in movimento ed inoltre

l’uso dell’auto come mezzo per gli spostamenti in città supera di gran lunga tutti gli altri. In

tale contesto, la maggiore preoccupazione riguarda le strade urbane che, essendo la

categoria principale degli spazi urbani, rivestono un ruolo fondamentale nella vita sociale,

fisica, economica e culturale dei cittadini stessi.

Affinché tutto funzioni nel migliore dei modi, non potendo aumentare la sezione delle

strade esistenti nei centri storici, è necessario rendere libere le strade medesime da tutto

ciò che non è flusso veicolare in movimento.

Occorrono quindi spazi per il parcheggio temporaneo (per i non-residenti) da sommare a

quelli permanenti (per i residenti).

La larghezza limitata della sede stradale dei centri antichi consiglia una classificazione

delle esigenze da soddisfare in base alla seguente scala di priorità:

Ø il transito dei pedoni, possibilmente in sede protetta (portico, marciapiede);

Ø il transito delle auto (magari a senso unico);

Ø la sosta temporanea per il carico-scarico delle merci;

Ø il parcheggio delle auto dei residenti e degli esterni.

Risulta quindi necessario ridurre drasticamente la possibilità di parcheggiare sulla sede

stradale, ossia cercare di spingere i residenti a cercare soluzioni stabili diverse da quelle

del parcheggio dell’automobile sulla pubblica via.

3.2 CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE DEI PARCHEGGI

In base al livello funzionale nel rapporto col contesto urbano e con la circolazione stradale,

le infrastrutture di parcheggio si possono suddividere in tre grandi categorie:

Ø parcheggi terminali;

Ø parcheggi scambiatori;

Ø parcheggi a rotazione.

I parcheggi terminali vengono utilizzati per soste molto lunghe (a servizio della residenza,

degli uffici, dei poli commerciali, turistici e culturali).

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  75  

I parcheggi scambiatori, collocati ai margini del centro urbano, costituiscono i nodi di

scambio all’interno del tessuto urbano (terminal metropolitana, ferrovia, autobus,

aeroporto, porto, etc.), o al contorno del nucleo storico, a servizio di quest’ultimo, per

incentivare e permettere l’uso del mezzo pubblico all’interno dell’area urbana più antica. In

questo modo, l’utenza proveniente dalle direttrici di traffico maggiori dovrebbe trovare il

parcheggio ai limiti della zona storica e quindi lasciare l’auto per recarsi al posto di lavoro

o per sbrigare una serie di commissioni all’interno del centro urbano dove, di norma, sono

ancora collocati i più importanti uffici pubblici e privati di una città.

I parcheggi a rotazione sono destinati agli utenti che compiono brevi soste, sia all’interno

dell’area urbana storicizzata, sia in presenza di attività di servizio quali quelle commerciali,

culturali, terziarie.

Per avere una visione globale del problema del rapporto tra le aree di stazionamento e la

zona nella quale lo stazionamento stesso deve essere inserito e per analizzare l’influenza

complessiva che il parcheggio delle vetture ha sull’assetto complessivo della mobilità

urbana, bisogna innanzitutto soffermarsi sulle due principali attività caratterizzanti il

parcheggiare. Queste due attività sono la fermata e la sosta.

Gli spazi di fermata sono quelli che più comunemente si trovano nella maggior parte delle

città. Nella forma più semplice sono collocati in tratti della corsia stradale, posti

lateralmente a contatto con il marciapiede e riservati ai veicoli fermi. Possono essere,

anche se meno frequentemente, costituiti da rientranze nel marciapiedi.

La larghezza degli spazi di fermata si può limitare a 2,00 m per traffico di solo autovetture,

può arrivare al massimo di 3,00 m per il traffico pesante. Per determinare la lunghezza

dello spazio di fermata, bisogna considerare gli spazi richiesti per le manovre di

accostamento e di allontanamento.

Si possono distinguere due diversi tipi di spazi di fermata:

• una tipologia che prevede un distanziamento tra le vetture, tale da consentire ad

ognuna di esse l’accostamento e l’allontanamento con manovra diretta;

• una tipologia che prevede un distanziamento tra le autovetture, tale da ammettere che

si ingombri la carreggiata per manovre di inserimento e di uscita.

È buona norma comunque prevedere tale tipologia di parcheggio lontano da incroci o da

zone di traffico caotico, perché il traffico stesso viene reso più difficile dalle auto in

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 76  

manovra.

Le aree di sosta sono zone in cui compaiono, opportunamente segnalate, le prescrizioni

delle modalità di movimento, la determinazione degli stalli (posti auto) e dei corselli, e

l’indicazione della durata massima della sosta. Possono essere collocate marginalmente

alla carreggiata oppure in piazzali, comunque in luoghi adibiti per la sosta vera e propria.

Sulla sede stradale si hanno:

Ø corsie di sosta sulla carreggiata stessa, con stazionamento dei veicoli in file parallele

al traffico;

Ø banchine di sosta in rientranza ai marciapiedi, con veicoli in fila secondo la direzione

del traffico;

Ø zone laterali di sosta dove i veicoli sono posti ortogonalmente o in modo inclinato

rispetto al traffico.

Nei piazzali si hanno:

• spazi per la sosta suddivisi in stalli;

• corselli per la distribuzione.

Un’area o un edificio adibiti a parcheggio possono essere strutturati in due modi, in

rapporto alla dimensione e alla forma dell’area da adibire a parcheggio:

Ø a sviluppo orizzontale (parcheggi in superficie, a raso o a livello);

Ø a sviluppo verticale (parcheggi interrati, in elevazione, misti).

Tra i parcheggi a sviluppo verticale vi sono:

1) autorimesse a rampe suddivise in:

• a rampe rettilinee a senso unico (sui lati opposti del piano di parcheggio, sullo stesso

lato del piano di parcheggio, tra piani sfalsati);

• a rampe rettilinee a doppio senso (sui lati opposti del piano di parcheggio, sullo stesso

lato del piano di parcheggio, tra piani sfalsati);

• a rampe elicoidali a senso unico (continue: sovrapposte o concentriche; discontinue:

separate e sovrapposte);

• a rampe elicoidali a doppio senso (continue; discontinue e sovrapposte);

2) autorimesse meccaniche o autosilo suddivise in:

• automatizzate (a stallo fisso, a stallo mobile, miste);

• semiautomatiche (con montacarichi centrale, con elevatore di stalli, con piattaforme

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  77  

traslanti, miste con trasloelevatore).

Lo sfruttamento a raso delle aree è quello più economico al punto di vista del costo

dell’impianto e della manutenzione, ma poco conveniente dal punto di vista dello

sfruttamento dell’area.

La realizzazione in sotterraneo, invece, seppur giustificata dal punto di vista dello

sfruttamento dell’area superficiale, risulta di maggiore onerosità costruttiva, implicando

non solo le opere di scavo ma anche quelle di impermeabilizzazione che fanno lievitare

notevolmente i costi.

Il parcheggio che appare il più razionale dal punto di vista dell’utilizzazione dell’area e dei

costi è quello in elevazione che, però, presenta il problema non trascurabile di doversi

inserire come un nuovo edificio tra quelli esistenti (ciò, spesso, nei centri urbani è molto

difficile).

3.3 PANORAMA NORMATIVO SUI PARCHEGGI

In Italia, il D.M. 1444/68 dal titolo Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di

distanza tra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali

e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a

parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della

revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765 ha fissato

per la prima volta le dotazioni minime di spazi da destinarsi a parcheggi, introducendo

l’obbligo di riservare a parcheggio una quota di superficie delle nuove costruzioni

(concessioni edilizie rilasciate dopo il 1968). Nella tabella 3.1 sono indicate le dotazioni

minime previste dal Decreto per le aree di parcheggio.

Localizzazione Area per

parcheggio (m2) Ogni

Nuove costruzioni (in aggiunta ai valori seguenti) 1 20 m3 di costruzione Insediamenti residenziali

Zona C 2,5 1 abitante Zone A e B 1,25 1 abitante Commerciale o direzionale 40 100 m2 di superficie lorda

degli edifici Commerciale o direzionale in zona A e B

20 100 m2 di superficie lorda degli edifici

Industrie o assimilati 10% del totale dell’area destinata a spazi pubblici

Tabella 3.1 Dotazioni minime di aree da destinare a parcheggio (D.M. 144/68).

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 78  

Successivamente, nel 1989, questo standard è stato portato ad 1 m2 di parcheggio per

ogni 10 m3 di costruzione. Proprio in questo senso, si è mossa la legge 122/1989 (Legge

Tognoli) che dà tuttora facoltà ai Comuni di mettere a disposizione dei residenti anche

aree pubbliche per ricavare spazi di stazionamento, in quota o nel sottosuolo.

Lo spirito della norma è quello di incrementare i parcheggi per i residenti e di ridurre i posti

auto ad alta permanenza per i non residenti, in modo da attuare una naturale rotazione di

parcheggi per i non residenti ed evitare l’ulteriore congestione del centro urbano (anche

attraverso la creazione di autorimesse pubbliche, tipo autosilo).

La legge Tognoli, inoltre, per trovare urgente soluzione ai problemi della sosta urbana,

imponeva alle 15 città italiane di maggiori dimensioni (Roma, Milano, Napoli, Torino,

Genova, Palermo, Bologna, Firenze, Catania, Bari, Trieste, Venezia, Messina, Cagliari e

Reggio Calabria) di dotarsi di un Programma Urbano dei Parcheggi (PUP) per il triennio

1989-1991 entro 150 giorni dall’entrata in vigore della legge stessa. Il Programma avrebbe

dovuto anche indicare le localizzazioni, i dimensionamenti e l’ordine di priorità dei

parcheggi da realizzare anno per anno, privilegiando i parcheggi scambiatori, allo scopo di

decongestionare i centri urbani.

Sempre entro 150 giorni dall’entrata in vigore della legge, le Regioni avrebbero dovuto

individuare i Comuni tenuti alla redazione del PUP, oltre ai 15 già obbligati. A tutt’oggi, tutti

i Comuni capoluogo di provincia e gli altri Comuni di maggiori dimensioni sono tenuti alla

redazione del programma o all’aggiornamento di quello del triennio precedente.

Anche le Direttive per la redazione, adozione ed attuazione dei Piani Urbani del Traffico

(Art. 36 del Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. Codice della Strada) del giugno

1995 (cfr. paragrafo 3.5 della dispensa: Classificazioni e strumenti per la pianificazione,

costruzione e gestione delle infrastrutture stradali nelle aree urbane e metropolitane),

propongono la realizzazione, nell’ambito del PUT, di tutti gli interventi per la sosta

necessari al fine di migliorare le condizioni di circolazione, secondo un criterio che si

avvicina molto a quello della mobilità sostenibile sostenuto dall’European Parking

Association (EPA), l’organizzazione che raggruppa le associazioni nazionali europee degli

operatori nel settore della sosta e dei parcheggi. Viene anche introdotta la seguente

classificazione:

Ø parcheggi stanziali: destinati alla sosta dei residenti,

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  79  

Ø parcheggi di relazione: per la sosta breve o di media durata (per utenti di servizi e

visitatori);

Ø parcheggi di scambio: destinati alla sosta di media durata.

In particolare i parcheggi di scambio, specie nelle aree urbane di maggiori dimensioni,

devono favorire l’intermodalità dei movimenti sulle direttrici centro-periferia, prevedendo

adeguati spazi di sosta, preferibilmente custodita, in prossimità delle principali

interconnessioni tra la rete viaria di adduzione all’area urbana ed i terminali periferici delle

linee di trasporto pubblico collettivo. In maniera analoga, i parcheggi scambiatori possono

essere utili anche nelle aree urbane di piccole dimensioni, in assenza di trasporto

pubblico, con riferimento alla possibilità di proseguire lo spostamento a piedi, con un

percorso pedonale di lunghezza accettabile.

Il PUT deve inoltre prevedere la tariffazione della sosta su strada in determinati ambiti

urbani, come strumento di ottimizzazione dell’equilibrio tra domanda ed offerta di sosta e,

di conseguenza, come elemento tendente a favorire l’uso di sistemi di trasporto alternativi

rispetto a quello privato individuale. Richiamando l’articolo 7 del CdS, le Direttive

ribadiscono poi che la tariffazione della sosta su strada, oltre ad incentivare la rotazione

dei veicoli sullo stesso posto di sosta, deve contribuire al finanziamento degli interventi

necessari alla gestione di tutto il traffico stradale (e quindi anche alla creazione di nuovi

impianti di parcheggio).

Le Direttive del 1995 rappresentano quindi uno strumento avanzato, che affronta i

problemi relativi alla sosta ed ai parcheggi in modo organico e pragmatico. Il Piano di

riorganizzazione della sosta, con l’individuazione sia delle aree di parcheggio su strada,

sia delle aree di sosta a raso fuori dalle sedi stradali e delle possibili aree per i parcheggi

multipiano, con l’introduzione del sistema di tariffazione e di regolamentazione della sosta,

rappresenta di fatto un’evoluzione del Programma Urbano dei Parcheggi (PUP) previsto

dalla legge Tognoli.

Secondo quanto previsto dalle Direttive, nell’ambito del PGTU (Piano Generale del

Traffico Urbano), occorre predisporre il Piano di riorganizzazione della sosta (cfr.

paragrafo 3.4.2), basato sulla linea politica che mette in conto le esigenze di incontro tra la

domanda e l’offerta di sosta, e prevedendo un bilancio di quest’ultima in relazione ai posti

auto eliminati dalla sosta su strada e quelli resi disponibili nei parcheggi previsti. Per gli

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 80  

interventi di rilevante onere economico, come i parcheggi in struttura (autorimesse

sopraelevate o interrate, autosilo), dovranno essere effettuate specifiche analisi costi-

benefici e studi di fattibilità finanziaria.

Ad un secondo livello di progettazione, cioè nell’ambito del Piano Particolareggiato del

Traffico Urbano (PPTU), dovrà essere previsto il tipo di organizzazione della sosta per gli

eventuali spazi laterali della viabilità principale, per le strade-parcheggio, per le aree di

sosta esterne alle sedi stradali e per gli eventuali parcheggi multipiano sostitutivi della

sosta su strada, con la definizione sia delle tariffe che della regolamentazione e delle

limitazioni relative.

3.4 VALUTAZIONE DELLA DOMANDA E DELL’OFFERTA DI SOSTA

L'esigenza della sosta vada incide sulla valutazione del costo totale dello spostamento,

che comprende non solo il prezzo del carburante, l'usura del mezzo, l'eventuale pedaggio,

ma anche i costi sociali e personali percepiti dall'utente quali lo stress della ricerca del

posto, l'inquinamento acustico e ambientale, il rischio di incidente, etc.

Alcuni ricercatori, tra i quali Axhausen, hanno provato ad individuare e a classificare alcuni

comportamenti adottati dagli utenti nella ricerca del posto auto; in particolare:

• l'utente si reca direttamente presso alcuni spazi abbastanza vicini alla destinazione

che reputa quasi garantiti (è il caso di stalli per disabili oppure stalli riservati);

• l'utente focalizza la sua ricerca su un limitato numero di opzioni che offrono buone

probabilità di consentirgli la sosta in una zona sufficientemente prossima alla propria

destinazione;

• l'utente si dirige verso una zona non vicinissima alla destinazione ma dotata di

adeguata offerta di sosta, non senza aver prima fatto un tentativo di trovare un posto

libero nelle vicinanze della destinazione;

• l'utente privilegia l'aspetto economico, dirigendosi verso aree anche lontane dalla

propria destinazione, ma nelle quali ha la garanzia di trovare sosta gratuita o a bassa

tariffa;

• l'utente non gradisce un posto troppo lontano e inizia una serie di giri a vuoto attorno

alla propria destinazione finché non trova un posto disponibile al minor costo possibile;

• l'utente prevede un parcheggio di breve durata e concentra la sua ricerca nelle

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  81  

immediate vicinanze della sua destinazione, accettando il rischio di una sosta di tipo

illegale qualora non riesca a trovare un posto libero.

Anche sulla base delle precedenti valutazioni, la domanda di sosta può essere definita

come la quantità di spazio per la sosta che verrebbe utilizzata ad una determinata ora, in

una certa area e ad un prezzo prestabilito (anche nullo), qualora la disponibilità fosse

illimitata. È evidente come tale domanda possa essere interamente o parzialmente

soddisfatta a seconda dello spazio effettivamente disponibile. Il fattore che influenza di

gran lunga maggiormente la domanda di sosta è la localizzazione dei poli attrattori che

generano lo spostamento dell'utente. Inoltre essa può essere determinata e influenzata da

numerosi fattori quali l'indice di motorizzazione, il costo del trasporto, la scelta della

modalità, la durata della sosta, l'appetibilità delle modalità alternative di raggiungimento

della destinazione, il costo del parcheggio e del carburante.

Quasi sempre la domanda è inquadrabile in determinati cicli temporali, che possono

ripetersi quotidianamente, settimanalmente, annualmente o in occasione di speciali eventi

periodici. Ad esempio, durante i giorni feriali si avrà un'elevata richiesta vicino ad edifici

che ospitano uffici e centri direzionali, mentre l'afflusso a ristoranti e teatri si concentrerà

nelle serate dei fine settimana.

Anche la durata della sosta cambia in maniera sensibile a seconda del tipo di utenza: per

esempio, i pendolari hanno l'esigenza di una sosta di lungo periodo e pertanto saranno

particolarmente sensibili alle tariffe imposte, mentre per i consumatori che si recano nei

negozi per acquisti è sufficiente una sosta di breve o medio periodo. Un fattore che può

riflettersi sulla scelta del luogo di sosta è quello che gli anglosassoni chiamano walking

distance, cioè la distanza da percorrere a piedi per arrivare a destinazione dopo aver

lasciato la vettura: più lungo sarà il tempo di sosta e più diventa accettabile percorrere a

piedi una distanza superiore per giungere a destinazione.

Inoltre va tenuto presente che il pedone percorre assai più volentieri e senza sentire

eccessivamente la distanza una strada urbana interessante e piena di vetrine o elementi

che attraggono l'attenzione.

Le tabelle 3.2 e 3.3 riportano i risultati di uno studio canadese in cui si evidenziano i livelli

di servizio (LdS da A = ottimo a D = non sempre accettabile), in relazione alla distanza da

percorrere a piedi dopo aver lasciato il veicolo, a seconda delle caratteristiche

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

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dell'ambiente e delle situazioni in cui ci si trova o in funzione del tipo di utenza o di

destinazione.

Ambiente da percorrere LdS A LdS B LdS C LdS D

Climatizzato e controllato 300 m 700 m 1000 m 1500 m Coperto 150 m 300 m 450 m 600 m Scoperto 100 m 200 m 300 m 400 m Isolato 80 m 150 m 250 m 350 m

Tabella 3.2 Livelli di servizio dei percorsi a piedi dopo aver parcheggiato il veicolo.

Distanza da percorrere a piedi Tipo di utenza o di destinazione

Adiacente - Persone diversamente abili - Carico e scarico - Servizi di emergenza

Minima (LdS A – B)

- Negozi al dettaglio - Studi professionali - Ambulatori medici - Residenti

Media (LdS B – C)

- Ristoranti - Luoghi di intrattenimento - Centri direzionali - Istituzioni religiose

Lunga (LdS C – D)

- Parcheggi aeroportuali - Parcheggi a servizio di stadi o di grandi

eventi sportivi e culturali - Parcheggi scambiatori

Tabella 3.3 Distanza accettabile dei percorsi a piedi in relazione all'utenza.

Prima di poter proporre un sistema di soluzioni per la sosta su strada e fuori strada, si

deve conoscere il numero di posti auto necessari per cercare di soddisfare quanto più

possibile la domanda di sosta nelle sue diverse componenti.

In particolare, è necessario descrivere tale domanda sia in termini quantitativi (numero di

autovetture in sosta per particolari periodi di tempo, rotazioni giornaliere di sosta per

specifiche aree, etc.), che qualitativi (residenti, addetti, visitatori, etc.), adottando di volta in

volta metodi di indagine specifici, campionari o riferiti all'universo. A tali scopi devono

essere effettuate rilevazioni di presenza di sosta a metà mattino, a metà pomeriggio e di

notte. Ove specificatamente richiesto da parte delle amministrazioni comunali, devono

inoltre, essere svolte indagini su componenti veicolari particolari, quali i veicoli merci, gli

autobus turistici, i velocipedi, etc.

Per poter effettuare una valutazione affidabile della domanda di sosta è necessario

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  83  

procedere anzitutto ad una divisione dell'area urbana in settori, ciascuno dei quali deve

presentare, al suo interno, requisiti omogenei sotto il profilo delle esigenze di sosta ed

avere dimensioni compatibili col tempo medio di uno spostamento a piedi. Tale tempo

medio può essere quantificato intorno ai 10-12 minuti, corrispondenti a circa 500-600 metri

di cammino ad andatura tranquilla. Sarebbe dunque opportuno che la distanza massima

tra due punti all'interno di un settore non superasse i 600 metri.

Un valido metodo empirico per la determinazione delle aree di indagine, adottabile nella

maggior parte delle città italiane, consiste nel dividere il centro storico in uno o più settori,

a seconda delle dimensioni della città ed in funzione delle principali arterie al suo interno,

e procedere poi verso l'esterno con un serie di corone circolari frazionate in settori

delimitati dalle strade più importanti, sia radiali che circolari.

Una volta delimitato ogni settore, si procede alla valutazione della domanda di sosta al

suo interno, valutazione che potrà essere fatta con diversi metodi, analitici o empirici, e

che fornirà un numero indicativo medio, visto che la domanda di sosta può essere

soggetta a variazioni in relazione ai diversi giorni della settimana o ai periodi dell'anno. È

necessario però che la quantificazione della domanda sia affidabile, al fine di predisporre

le soluzioni più adeguate e di avere ben presente la quota di domanda che non sarà

soddisfatta all'interno di un settore, per mancanza di risorse disponibili, affinché si possa

considerare la possibilità di utilizzare l'eccesso di offerta eventualmente presente in un

settore adiacente.

3.4.1 Criteri per la quantificazione della domanda di sosta

Sono essenzialmente tre le tipologie di domanda di sosta che andrebbero soddisfatte

nell’ambito delle aree urbane e metropolitane:

1) sosta “lunga” da parte dei residenti;

2) sosta “medio-lunga” da parte degli utenti dei poli attrattori;

3) sosta di breve durata da parte di diverse categorie di utenti.

La quantificazione della domanda di sosta residenziale può essere calcolata in modo

abbastanza preciso col metodo analitico, dividendo il numero di residenti all'interno di un

settore per l'indice di motorizzazione (numero di abitanti per veicolo immatricolato) relativo

alla città considerata, opportunamente corretto in base al livello economico medio degli

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

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abitanti di quel settore. Per esempio, se l'indice di motorizzazione medio è pari ad 1,5 ed il

settore è abitato da una fascia economica medio-alta, sarà opportuno ridurlo a 1,4 o 1,3,

mentre in caso contrario occorrerà incrementarlo fino a 1,6 o 1,7.

Ottenuto così il numero stimato dei veicoli di proprietà dei residenti del settore, e

sottraendo dagli stessi il numero di box o posteggi privati presenti nell'area (anche

all'interno di parcheggi pertinenziali o residenziali già realizzati) si otterrà la domanda di

sosta residenziale relativa a quel settore. Tale domanda quasi certamente cercherà una

risposta alle proprie esigenze mediante l'occupazione del suolo stradale pubblico.

Si deve osservare che parte della domanda di sosta all'interno di un settore può benissimo

essere soddisfatta dall'offerta di sosta presente in un settore adiacente, essendo la

divisione in settori del tutto convenzionale. Infatti i residenti che si trovano in prossimità del

confine di un settore possono disporre di un box o di un posteggio all'interno di un

parcheggio residenziale situato non distante dalla loro abitazione, ma in un settore

adiacente. Va comunque rilevato come tale possibilità non influisca sulla valutazione

relativa alla domanda di sosta, in quanto nel loro insieme i vari settori adiacenti

compensano tra loro gli interventi di offerta di sosta, ed il risultato complessivo non

cambia. Ad esempio, anche all'interno del settore preso in considerazione può essere

presente un box che di fatto è di proprietà di un residente in un settore adiacente, ma che

sarà considerato nel numero di quelli appartenenti ai residenti del settore di riferimento.

L'intento perseguito, infatti, è solo quello di valutare in modo affidabile il dato medio

relativo alla domanda di sosta da soddisfare.

La sosta residenziale presenta due caratteristiche che la contraddistinguono:

Ø non è decentrabile, dato che difficilmente il proprietario di un veicolo accetterà di

lasciarlo in sosta ad una distanza superiore a circa 150 metri dalla propria abitazione;

Ø è prevalentemente distribuita nell'orario dalle 7 della sera alle 8 del mattino, il che

rende possibile in certi casi destinare un posteggio su strada alla sosta residenziale

durante le ore notturne ed alla sosta degli utenti dei poli attrattori (o alla sosta breve)

durante quelle diurne.

La quantificazione della sosta indotta dai poli attrattori di traffico col metodo analitico può

portare a valutazioni imprecise per difetto o per eccesso, perché si fonda su una

parametrizzazione standard che può non corrispondere alla realtà locale del settore

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  85  

considerato. Si tratta infatti di identificare i diversi poli di attrazione presenti nell'area

(stazioni, negozi, cinema, banche, uffici, ospedali, impianti sportivi, centri commerciali,

chiese, etc.) e di verificare se sono dotati di parcheggi ed in che misura. La valutazione

delle esigenze di sosta è fatta in genere sulla base della superficie e del numero del

personale addetto delle diverse infrastrutture presenti.

I criteri empirici di valutazione possono essere, come è comprensibile, molto diversi non

solo da una nazione all'altra, ma da una città all'altra ed anche da un settore all'altro nella

stessa città. Comunque può essere utile riportare (tabella 3.4) alcune indicazioni relative

alle esigenze minime di posti auto per questo tipo di sosta.

Tipo di attività Posti auto per il

personale addetto Posti auto per clienti,

frequentatori e visitatori

Supermercati 1 posto ogni 100 m2 di area lorda di commercio oppure 1 posto ogni 3 addetti.

1 posto ogni 15 m2 di area lorda di commercio.

Attività commerciali al minuto 1 posto ogni 100 m2 di area lorda di commercio oppure 1 posto ogni 3 addetti.

1 posto ogni 25 m2 di area lorda di commercio.

Esercizi pubblici, ristoranti, bar 1 posto ogni 3 addetti. 1 posto ogni 2 posti a sedere oppure 1 posto ogni 4 m2 di area aperta al pubblico.

Alberghi 1 posto ogni 3 addetti. 1 posto per camera.

Uffici 1 posto ogni 25 m2 di area lorda. 1 posto ogni 200 m2 di area lorda.

Ospedali 1 posto ogni medico + 1 posto ogni 3 addetti non medici. 1 posto ogni 2 posti letto.

Scuole superiori e Università 1 posto ogni 2 docenti o addetti. 1 posto ogni 3 studenti.

Musei, gallerie, biblioteche 1 posto ogni 3 addetti. 1 posto ogni 25 m2 di area aperta al pubblico.

Impianti sportivi (stadi esclusi) 1 posto ogni 3 addetti. 1 posto ogni 2 sportivi fruitori. Stadi, cinema, teatri, chiese, auditorium, sale convegni 1 posto ogni 3 addetti. 1 posto ogni 4 posti a sedere.

Tabella 3.4 Esigenze standard di posti auto per la sosta.

Se consideriamo infine la sosta di breve durata, occorre osservare come la quantificazione

analitica sia particolarmente difficile a causa delle troppe variabili che la influenzano. Per

tali motivi la quantificazione della domanda di sosta può essere efficacemente valutata

solo con metodi empirici, come le indagini sul campo.

In genere le indagini di sosta vengono eseguite all'interno di aree di utenza di dimensioni

abbastanza limitate e con caratteristiche omogenee in relazione ai requisiti della sosta al

suo interno: per esempio è opportuno che la sosta su strada all'interno dell'area

considerata sia o tutta libera o tutta regolamentata.

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 86  

La più tipica indagine sull'occupazione è quella di eseguire i conteggi del numero di auto

presenti, o ancora meglio dei posti auto vuoti, su una determinata area di sosta, ad

esempio ogni ora. Tali conteggi forniscono l'andamento dei coefficienti di occupazione

nelle ore esaminate e/o coefficienti giornalieri.

Un'altra tipica indagine sulla sosta è quella cosiddetta del "metodo della targa" ed è atta a

fornire sia dati sulla attuale occupazione dei posti sosta sia dati precisi sui principali

parametri della sosta (permanenza media, rotazione, etc.). Essa si svolge in due fasi:

quella della rilevazione dei dati e quella della loro elaborazione. Per quanto riguarda la

rilevazione dei dati, di norma si individua un percorso lungo il quale sia possibile

identificare con chiarezza gli spazi destinati a posteggio, valutando come opzione

preferenziale il fatto che tali spazi siano marcati dalla segnaletica orizzontale. Il percorso

ottimale dovrebbe comprendere non più di 200-250 posti auto per ogni rilevatore, ed il

punto terminale del percorso dovrebbe essere sufficientemente vicino al punto iniziale.

Ogni rilevatore sarà munito di uno schedario predisposto con l'indicazione del percorso sul

quale dovrà eseguire le rilevazioni di propria competenza: in genere il percorso

comprenderà strade, piazze ed altre aree destinate alla sosta su strada, per ciascuna

delle quali dovrà essere indicato il numero di posti auto marcati o potenziali presenti nelle

zone in cui sostano i veicoli (Tabella 3.5).

Il percorso dovrà essere eseguito a partire dal suo punto iniziale con cadenza prestabilita,

per esempio ogni ora o in qualche caso ogni 30 minuti, ad iniziare dalle 8.00 o da altra ora

programmata. Nella prima fase, il rilevatore segnerà sulla scheda con un segno

convenzionale i posti vuoti, mentre riporterà la targa dei veicoli in sosta nei posti occupati;

anziché il numero completo di targa, può essere sufficiente riportare solo 3 o 4 cifre o

lettere terminali della stessa. Qualora un veicolo sia parcheggiato irregolarmente (per

esempio a cavallo di due spazi di sosta, al di fuori degli stessi o sui marciapiedi) il

rilevatore ne prenderà nota.

Al termine del primo rilievo, l’operatore attenderà nel punto di partenza l'orario previsto per

l'inizio del rilevamento successivo (in genere il percorso è studiato in modo che passino

pochi minuti) e ripeterà l’indagine.

Per ogni rilievo correttamente eseguito, dal confronto dei dati con quelli rilevati durante

l’operazione precedente si verificherà che alcuni posti prima liberi sono ora occupati (e

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

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verrà segnata la targa del veicolo occupante), alcuni posti prima occupati ora sono liberi,

alcuni posti sono occupati dallo stesso veicolo (targa uguale) ed altri posti già occupati da

un veicolo sono ora occupati da un altro veicolo, del quale verrà rilevata la targa.

Data _________ Zona di riferimento ___________ Firma del rilevatore ___________

Via o piazza Rilievo n° 1 Inizio ore 8:00

Rilievo n° 2 Inizio ore 9:00

Rilievo n° 3 Inizio ore 12:30

Rilievo n° 4 Inizio ore 13:30

Rilievo n° 5 Inizio ore 15:00

Via Etnea lato nord N° Targa N° Targa N° Targa N° Targa N° Targa

Posto auto n°1 DM193 DM193 AJ413 CT901 BM123

Posto auto n°2 CT234 --- FX956 --- LU378

Posto auto n°3 XA823 XA823 CT765 UV357 GE632

Posto auto n°__

Posto auto n°__

Via Etnea lato sud N° Targa N° Targa N° Targa N° Targa N° Targa

Posto auto n°1 CO871 DK437 DK437 FJ873 AW900

Posto auto n°2 AV173 PA490 SX182 QU943 FZ684

Posto auto n°3 DM193 DM193 AJ413 CT901 BM123

Posto auto n°__

Posto auto n°__

Piazza Roma N° Targa N° Targa N° Targa N° Targa N° Targa

Posto auto n°1 --- --- KI767 KI767 KI767

Posto auto n°2 KK988 JP321 JM863 --- CT803

Posto auto n°3 --- MN989 --- --- GT775

Posto auto n°__

Posto auto n°__

Tabella 3.5 Fac-simile di modello per le indagini sulla sosta.

Durante il corso della giornata verranno eseguite un certo numero di rilievi secondo gli

orari programmati. Spesso è opportuno ripetere l'indagine in altri giorni (per esempio

martedì, mercoledì e venerdì), per avere un quadro più completo dell'occupazione

dell'area nell'arco della settimana. Si comprende pertanto come un'indagine della sosta

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 88  

approfondita ed affidabile in un'area ampia, impegnando diversi rilevatori, costituisca

un'operazione impegnativa anche sotto il profilo economico.

L'indagine non è in grado di indicare cosa è successo nel periodo tra un rilevamento e

l'altro, fatto salvo il caso in cui sia presente il medesimo veicolo già rilevato, nel qual caso

è ragionevole ipotizzare che quel veicolo non si sia mosso. Dunque un'indagine sulla

sosta diventa tanto più affidabile e ricca di informazione quanto minore è l'intervallo di

tempo che intercorre tra un rilevamento e l'altro. Tuttavia, per motivi facilmente

comprensibili, è praticamente impossibile eseguire le operazioni di rilievo ad intervalli

inferiori ai 30 minuti, e si può senz'altro stabilire in un'ora il tempo standard tra un

rilevamento e l'altro per le normali indagini sulla sosta.

Un'indagine completa dovrebbe comprendere anche le ore notturne, che risultano

particolarmente significative per la valutazione delle esigenze di sosta residenziale. Infatti,

tra i dati più interessanti che un'indagine sulla sosta può fornire, vi sono quelli relativi alla

durata della sosta: durante il periodo di tempo di esecuzione di un ciclo di rilievi, infatti,

viene rilevato un certo numero totale di veicoli in sosta, dei quali una percentuale risulterà

parcheggiata per un periodo di tempo, ad esempio, superiore a 6 ore, un'altra percentuale

per un periodo dalle 4 alle 6 ore, un'altra ancora dalle 2 alle 4 ore, ed un'altra infine per un

periodo più breve. La sosta superiore a 6 ore può essere identificata, con buona

approssimazione, come residenziale, quella dalle 4 alle 6 ore sarà in parte residenziale ed

in parte legata alle esigenze degli utenti dei poli attrattori, mentre quella tra le 2 e le 4 ore

è presumibilmente effettuata dai non residenti. Il quadro può diventare molto più preciso

ed affidabile se l'indagine viene ripetuta in giorni diversi, dato che in questo caso diventa

possibile valutare le concordanze e le regolarità di sosta di determinati veicoli.

3.4.2 Predisposizione dell’offerta di sosta

Una volta ottenuto un quadro completo delle esigenze di sosta nei diversi settori urbani

prestabiliti, sarà necessario mettere a punto gli strumenti adatti per predisporre

un'adeguata offerta di sosta. Di norma sono le Amministrazioni pubbliche a doversi fare

carico di tale compito, non sempre di immediata soluzione, anche con l'aiuto di esperti del

settore. Si tratta di predisporre il cosiddetto Piano di riorganizzazione della sosta, uno

strumento operativo che, applicato alle diverse aree interessate, definisce le condizioni

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

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ottimali da perseguire per favorire l'incontro tra la domanda e l'offerta di sosta, e prevede il

programma cronologico, amministrativo e politico delle fasi attuative mediante le quali si

possa eseguire la transizione tra lo stato di fatto attuale e l'obiettivo finale del Piano

stesso.

Ben si comprende come il Piano di riorganizzazione della sosta sia strettamente legato al

PUT, di cui costituisce parte integrante. Esso può essere anche considerato come la

naturale evoluzione del PUP (programma urbano dei parcheggi) previsto dalla legge

Tognoli fin dal 1989, anzi, anche a causa dei ritardi di adozione e di attuazione del PUP da

parte delle pubbliche amministrazioni tenute a dotarsene, spesso i due programmi

finiscono col coincidere, dato che perseguono gli stessi obiettivi principali.

Il primo obiettivo è costituito dallo sgombero della sosta dalla rete viaria principale:

quest'ultima può essere ricondotta, in prima analisi, alle strade di scorrimento ed alle

strade interquartiere. Comunque è uno dei compiti del PUT la classificazione funzionale

della rete viaria comunale e l'identificazione di quelle strade che dovranno essere liberate

dalla sosta su strada per essere restituite integralmente alla mobilità.

La sosta su strada va permessa laddove possibile (strade di quartiere, strade locali),

sempre tenendo presente il principio della separazione dei movimenti veicolari e pedonali

dalla sosta veicolare. In particolare l'occupazione di suolo pubblico da parte dei veicoli in

sosta deve garantire uno spazio libero per i pedoni non inferiore ai 2 metri di larghezza,

oltre allo sgombero della sosta dai passaggi e dagli attraversamenti pedonali.

Per soddisfare le esigenze di sosta su strada va adottato il criterio dell'utilizzazione

ottimale delle strade locali e delle aree esterne alle sedi stradali destinate alla sosta

(strade-parcheggio ed aree di parcheggio a raso, individuate anche tra le aree pubbliche e

private in attesa di destinazione urbanistica definitiva). Ma anche mediante tale

utilizzazione ottimale vi saranno aree urbane (in corrispondenza del centro storico e delle

zone pericentrali) per le quali l'offerta di sosta sarà nettamente inferiore alla domanda. In

corrispondenza di tali aree, pertanto, occorrerà prevedere la realizzazione di parcheggi

sostitutivi della sosta su strada (Fig. 3.1).

Sempre in relazione al reperimento di spazi per la sosta, previsto dal PUT, è possibile

attuare:

Ø il riordino di strade e piazze appartenenti alla viabilità locale, finalizzato alla possibilità

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 90  

di recupero di nuovi spazi di

sosta (strade-parcheggio ed

aree-parcheggio), fatte

salve le esigenze dei pedoni

e la vocazione ambientale

dei luoghi, e tenuto conto

dei relativi valori storici,

artistici ed architettonici;

Ø l'utilizzo - eventualmente

provvisorio - delle aree

pubbliche, ma anche

private, in attesa di definitiva

destinazione urbanistica, in

termini di realizzazione e di

gestione di aree di

parcheggio - eventualmente

multipiano - ad uso pubblico

(parcheggi di tipo sostitutivo

della sosta su strada), con

possibile dotazione di

alberature ed anche con riferimento ad interventi finanziati dall'iniziativa privata;

Ø la realizzazione di parcheggi ad uso privato (sempre ad uso sostitutivo della sosta su

strada), su suolo privato o anche pubblico, con particolari facilitazioni da prevedere per

i privati interessati alla loro costruzione.

Gli obiettivi suddetti sono chiari e certamente condivisibili, tuttavia la loro attuazione non è

né semplice né immediata, se si tiene conto delle caratteristiche storiche, architettoniche

ed artistiche della quasi totalità dei centri storici delle città italiane. La disponibilità di aree-

parcheggio all'interno dei centri o nelle loro vicinanze è di solito scarsa, ed è pertanto

necessario che le aree disponibili siano utilizzate in modo intensivo, mediante la creazione

di parcheggi multipiano, possibilmente interrati, in modo da restituire la superficie alla

fruibilità urbana. D'altra parte, gli interventi di parcheggio interrato sono costosi e

Figura 3.1 Esempio di riorganizzazione della sosta in un contesto urbano: stato precedente (in alto) e situazione riqualificata (in basso).  

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  91  

richiedono tempi di realizzazione adeguati, anche in relazione alla posizione dell'intervento

nel contesto urbano, alla presenza di edifici adiacenti, alla profondità dello scavo ed alle

caratteristiche geotecniche del terreno, alla presenza di sottoservizi, etc.

Nell'adozione e nell'attuazione del Piano di riorganizzazione della sosta, le pubbliche

Amministrazioni si possono trovare nella poco invidiabile condizione di dover proporre ai

cittadini misure che, al primo impatto, vengono percepite come impopolari, senza poter

offrire in tempi brevi la soluzione definitiva conseguente all'attuazione del Piano,

evidenziandone i tangibili vantaggi. Sarà dunque opportuna un'opera assidua di

informazione e di coinvolgimento della cittadinanza, affinché nell'opinione pubblica possa

mettere radici ed affermarsi quella "cultura della sosta" necessaria per conseguire gli

obiettivi indicati dal Piano.

Anzitutto va affermata e resa operativa la regolamentazione e la tariffazione della sosta su

strada in tutte quelle aree in cui non vi sia abbondanza di offerta di sosta, o nelle quali la

sosta su strada vada ridotta in funzione della tutela ambientale.

In una prima fase andranno individuate tutte le aree da destinare alla sosta su strada

(strade-parcheggio ed aree-parcheggio), verificando se l'offerta di sosta così ottenuta sia

sufficiente a soddisfare la domanda presente nell'area. Qualora così non fosse, si

dovrebbe valutare la possibilità di realizzare in tempi brevi, all'interno delle aree-

parcheggio o nel sotto suolo delle strade o delle piazze in cui ciò sia possibile, interventi di

parcheggi multipiano sostitutivi ed integrativi della sosta su strada. All'interno di tali

interventi sarà possibile anche ricavare un certo numero di posti auto aperti, o di box

chiusi, da destinare alla cessione a terzi per far fronte alle esigenze di sosta residenziale

presenti nell'area. Ovviamente, in relazione all'acquisizione di tali posti sarà data la

precedenza in primo luogo ai residenti, quindi agli esercenti di attività economiche nella

zona.

Gli interventi previsti dal Piano di riorganizzazione della sosta devono essere

necessariamente accompagnati da un'efficace azione di controllo della sosta e di

sanzionamento della sosta illegale, irregolare ed abusiva.

L'adozione e l'applicazione del Piano e degli interventi in esso contenuti, infatti, hanno un

costo non indifferente che viene sostenuto o direttamente dalla collettività o (come sempre

più spesso accade) mediante l'apporto di capitali privati che devono essere recuperati

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 92  

tramite i proventi della gestione. Tali costi vengono giustificati dai vantaggi sociali offerti

dal sistema di regolamentazione della sosta, in funzione delle esigenze collettive alle quali

esso deve far fronte, e dell'insostenibilità della caotica condizione nella quale finirebbero

col trovarsi la mobilità e la sosta urbana in conseguenza della sua mancata attuazione.

La tolleranza e l'indulgenza nei confronti della sosta irregolare ed abusiva sono dunque in

totale contraddizione con l'adozione stessa del Piano, poiché aggiungono al danno che

continuano a provocare alla collettività i veicoli in sosta irregolare, anche l'onere

conseguente al mancato ammortamento dei costi sostenuti per gli interventi di sosta

regolamentata, necessari per la soluzione del problema della mobilità e della sosta.

3.5 PARAMETRI DI PROGETTO DELLE INFRASTRUTTURE DI PARCHEGGIO

Per poter ottimizzare la progettazione e la realizzazione di

spazi destinati al ricovero o semplicemente alla sosta

degli autoveicoli è di fondamentale importanza analizzare

quelle che sono le tipologie di realizzazione del singolo

posto auto che discende dalle dimensioni d’ingombro

dell’autovettura stessa (Fig. 3.2) e dei relativi spazi di

manovra.

L’angolo di inclinazione dello stallo nei confronti del senso

di marcia della corsia di accesso può essere di 0°

(posteggi a nastro, paralleli al senso di marcia della corsia

di accesso); di 90° (posteggi a pettine, perpendicolari al

senso di marcia della corsia di accesso); di 30°, 45° o 60°

- sono ammessi anche angoli diversi se necessari

(posteggi a dente di sega, inclinati in modo vario rispetto

al senso di marcia della corsia di accesso) (Fig. 3.3).

Tali differenziazioni comportano la possibilità di variare

architettonicamente il disegno del piano di parcheggio,

risparmiando spazio a parità di autovetture o aumentando

il numero di posti disponibili a parità di spazio fruibile. Le principali differenze tra le

tipologie sopra citate a parità di numeri di posti auto, sono:

Figura 3.2 Ingombro del veicolo nella fase di progettazione di un parcheggio.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  93  

Ø dimensione totale del

parcheggio: il

parcheggio più

economico dal punto di

vista dello spazio

necessario, è senza

dubbio quello a pettine

seguito, con un

incremento di spazio

necessario pari a circa il

25%, da quello a nastro.

I posteggi a dente di

sega hanno uno scarto

percentuale tra loro di

circa il 10% ed occupano

meno spazio più è

grande l’angolo di

inclinazione rispetto alla

corsia di accesso;

Ø velocità e facilità con la

quale si manovra, ossia

come si entra ed esce

dal posto auto. Si è

riscontrato che il posto

auto perpendicolare al

senso di marcia

all’interno della corsia è quello più problematico dal punto di vista della manovra e

quindi dei tempi di utilizzo; in questo senso i parcheggi più funzionali sono senza

dubbio quelli a dente di sega (Fig. 3.4).

Figura 3.3 Ingombri minimi nel caso di parcheggi a pettine e a dente di sega.

.

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 94  

Elemento fondamentale per

la corretta progettazione del

parcheggio è il poter

analizzare e realizzare

correttamente lo spazio

destinato alla circolazione

dei veicoli all’interno dei

piani di parcheggio; ciò che

influenza infatti la dinamica

del parcheggio non sono

infatti la lunghezza delle

corsie e la velocità tenuta nel

percorrerle, ma è la

percentuale di manovra in

retromarcia. Si pensi che nel

caso di corsia a senso unico,

tale percentuale è di circa il

30% per lo stallo a 90° e di

circa il 10% per stalli inclinati

a 70°. La maggior efficienza

degli stalli inclinati è

garantita se il senso della

circolazione è tale da aiutare

il veicolo ad imboccare in

marcia avanti il posto libero.

Tra i vari tipi di stallo inclinati, quelli a spina di pesce richiedono un tempo di ricerca

superiore rispetto a quello necessario per trovare un posto nel caso di parcheggio con i

paraurti anteriori delle autovetture che si fronteggiano; inoltre, nel caso di parcheggi a

spina di pesce, i paraurti anteriori delle auto vanno a contrapporsi alla fiancata delle

macchine opposte, creando la potenzialità di danni superiori per contatti accidentali.

Il tempo superiore è dato dal fatto che le corsie di circolazione dove gli stalli sono disposti

Figura 3.4 Disposizione delle corsie a senso unico e a doppio senso in parcheggi con stalli inclinati.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  95  

a spina di pesce devono necessariamente essere a senso unico, mentre negli altri casi,

compreso quello di stalli ortogonali alla corsia, posso essere a doppio senso facilitando la

circolazione e quindi la ricerca del posto auto libero.

3.5.1 Parcheggi a raso

È di fondamentale importanza “mimetizzare” il più possibile l’area occupata da un

parcheggio a raso o comunque creare una separazione psicologica, una schermatura

delle aree destinate alla

circolazione delle automobili e dei

pedoni da quelle destinate alla

sosta dei veicoli.

La separazione può avvenire

tramite elementi decorativi

naturalistici come siepi, muretti,

avvallamenti del terreno,

semplicemente cambiando la

pavimentazione o in qualunque

altro modo si ottenga uno stacco

psicologico tra il luogo di sosta e la

circolazione. La predetta

schermatura può essere una

barriera psicologica piuttosto che

fisica da riempire, parzialmente -

accettando di lasciare solo

intravedere le macchina o

permettendo un’ampia visuale - o

completamente la vista delle

vetture.

All’interno del parcheggio, la

disposizione degli stalli rispetto alle

corsie di percorrenza può essere segnalata in vari modi (Fig. 3.5 e Fig. 3.6); il vero vincolo

Figura 3.5 Possibili segnalazioni stradali o interne all’autorimessa dei diversi posti auto.

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 96  

per queste segnalazioni di

delimitazione di stalli è che si devono

mantenere nel tempo. La

pavimentazione in conglomerato

bituminoso delle strade di accesso al

parcheggio può essere sostituita da

materiali alternativi che permettano la

possibilità di composizioni cromatiche

e di materiali tali da poter dare una

valenza architettonica alla struttura

interna al parcheggio. I materiali

alternativi si possono identificare in

gettate di cemento grezzo o colorato,

blocchetti di cemento prefabbricati di

vario colore, autobloccanti in

cemento, pietra a spacco, ciottoli di

fiume, ghiaia, mattoni gelivi, erba e

piante in genere.

Le linee di divisione degli stalli sono

ottenibili tramite la colorazione della

superficie in conglomerato bituminoso

o cementizio, utilizzando

l’applicazione a caldo di un materiale

plastico colorato, oppure inserendo

nella pavimentazione blocchetti o

pietra di colore diverso, in modo da

realizzare visibilmente la

differenziazione delle aree. Per la

sosta nei parcheggi a raso dei

pullman, trattandosi di casi di mezzi di

trasporto speciali, si possono

Figura 3.6 Situazione teorica più idonea per posti auto di maggiore comfort.

Figura 3.7 Ingombro di un pullman in fase di progettazione di un parcheggio.  

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  97  

suggerire gli spazi

specifici di sosta e di

manovra (Fig. 3.7 e

Fig. 3.8).

A completamento

delle caratteristiche

che deve possedere

un parcheggio

esterno, non va

dimenticata di

importanza

dell’arredo verde: le

essenze arboree sono fondamentali

per mascherare le automobili, per il

filtraggio delle sostanze gassose

emesse dei veicoli, per un

abbellimento estetico variabile nel

tempo (le piante sono elementi

mutevoli e viventi e cambiano l’aspetto

del luogo ove sono posizionate

durante l’arco dell’anno), e come

barriere cromatiche e architettoniche

(Fig. 3.9).

Nelle zone particolarmente calde, il

parcheggio a raso può essere spesso

coperto con strutture semplici ed esili

(vere e proprie tettoie) che hanno un

notevole impatto architettonico

sull’ambiente nel quale il parcheggio è

inserito. A questo proposito risulta di

notevole importanza scegliere i

Figura 3.9 Progetto di parcheggio a raso presso lo stabilimento Roche a Segrate (Mi).

Figura 3.8 Parcheggio all’aperto per pullman.

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 98  

materiali di queste strutture per ottenere qualcosa di consono alle caratteristiche del luogo

e soprattutto per dare l’idea di una costruzione e non di un semplice riparo dagli agenti

atmosferici senza alcuna valenza architettonica. La copertura che si viene a realizzare nei

suddetti casi dovrà garantire una superficie in pianta leggermente superiore a quella dello

stallo tipico, e una limitata altezza (generalmente non più di 2,10 m), creando così un

impatto ambientale ridotto.

3.5.2 Parcheggi per utenti disabili

Nel progetto di un luogo di sosta per autoveicoli, sia che si tratti di un’autorimessa o di un

parcheggio a raso all’aperto, deve essere posta particolare attenzione per gli utenti

disabili, ossia gli utenti con difficoltà motorie. In tale direzione il D.M. 14 giugno 1989, n°

236 (inerente alle prescrizioni per il superamento e l’eliminazione delle barriere

architettoniche) e successivamente il D.P.R. 16 settembre 1996, n° 503 forniscono

specifiche indicazioni sugli spazi minimi per la sosta dei veicoli di tali utenti.

In sintesi, i Decreti affermano quanto segue:

Ø negli edifici aperti al pubblico

deve essere previsto 1 posto

auto per disabile ogni 50 o

frazione di 50 posti;

Ø tale posto auto deve avere

larghezza non inferiore a 3,20 m

e deve essere riservato

gratuitamente al servizio di

persone disabili; il medesimo

stallo deve essere

opportunamente collegato al

marciapiede o al percorso

pedonale, che evidentemente a

sua volta deve essere conforme alle indicazioni dei due Decreti (Fig. 3.10);

Figura 3.10 Dimensioni minime di un posto auto per utenti con difficoltà motorie.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  99  

Ø per i posti auto riservati disposti

parallelamente al senso di

marcia, la lunghezza dello

stallo deve essere tale da

consentire il passaggio di un

utente su sedia a rotelle tra un

veicolo e l’altro; il requisito si

intende soddisfatto se il posto

auto ha lunghezza almeno pari

a 6 m (Fig. 3.11); in tale

situazione, il posto auto per

disabili può mantenere una

larghezza pari a quella dei

normali posti auto.

Da questi primi punti si deduce che

la misura di 3,20 m (misura minima

che può essere aumentata a

discrezione del progettista) deriva da una valutazione dell’ingombro del veicolo di circa

170 cm, cui si affianca in adiacenza uno spazio di 150 cm necessario per le manovre

dell’eventuale carrozzina (e ovviamente del veicolo stesso).

Altresì i Decreti legislativi evidenziano le seguenti prescrizioni:

Ø in tutti casi, i posti auto per disabili devono essere opportunamente segnalati, ubicati

nei pressi del mezzo di sollevamento ed in posizione tale da cui sia possibile, in breve

tempo, raggiungere in emergenza un luogo sicuro statico o una via di esodo

accessibile;

Ø le rampe carrabili e/o pedonabili devono essere dotate di corrimano;

Ø la pendenza massima trasversale del parcheggio non deve superare il 5% (in caso

contrario bisogna rispettare ulteriori specifiche prescrizioni qui omesse);

Ø per i parcheggi a raso all’aperto, i posti auto riservati, opportunamente segnalati,

devono essere posizionati in aderenza ai percorsi pedonali e nelle vicinanze

dell’accesso dell’edificio o dell’attrezzatura per cui vengono predisposti;

Figura 3.11 Posto auto per utenti con difficoltà motorie in presenza di parcheggi paralleli alla strada.

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 100  

Ø la delimitazione e la segnalazione del posto auto devono avvenire mediante strisce

gialle e contrassegno sulla pavimentazione (apposito simbolo di utente su carrozzina);

Ø è preferibile dotare di copertura i posti riservati per i disabili, così da agevolare la

manovra di trasferimento della persona su sedia a rotelle in condizioni atmosferiche

non favorevoli.

3.5.3 Autorimesse multipiano interrate e fuori terra

L’autorimessa interrata o fuori terra consiste in una serie di piani di parcheggio sovrapposti

l’uno all’altro, orizzontali o inclinati, collegati tra loro mediante rampe di vario tipo (rettilinee

o elicoidali) o mediante automatismi meccanizzati che muovono le autovetture (autosilo).

Prima di affrontare in dettaglio le problematiche progettuali, occorre ricordare che davanti

all’ingresso di qualsiasi immobile ad uso parcheggio (interrato o sopraelevato) è opportuno

indicare, con cartelli segnaletici, l’altezza massima dei veicoli che possono entrare. Se vi è

spazio, si consiglia di far passare i veicoli che vogliono accedere al parcheggio, sotto un

portale antecedente il parcheggio stesso con appesi pannelli oscillanti leggeri simulanti

l’interpiano della costruzione (detraendo i relativi ribassamenti). Così facendo, eventuali

veicoli più alti vengono avvisati del possibile rischio di urto con il soffitto, evitando così

danni ed incidenti

(Fig. 3.12).

All’interno di un

piano di parcheggio,

la disposizione delle

strutture verticali,

pilastri o setti in

cemento armato,

deve essere realizzata in modo da garantire gli spazi minimi delle corsie e degli stalli per

poter realizzare le necessarie manovre (Fig. 3.13).

I parametri che entrano in gioco nell’organizzazione del layout interno dell’autorimessa

sono quindi: l’ampiezza della corsia, la lunghezza e l’inclinazione degli stalli. Partendo dal

presupposto che se si posizionano gli stalli inclinati rispetto alla corsia, è buona norma che

la stessa sia a senso unico di marcia e che se gli stalli sono perpendicolari alla corsia,

Figura 3.12 Accorgimento tecnico posto prima dell’autorimessa, per evitare danni ai veicoli più alti.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  101  

aumenta notevolmente la dimensione minima della corsia, si può riassumere quanto

segue:

• stalli inclinati tra 45° e 60° necessitano di una corsia tra i 3,50 e i 4,20 m;

• stalli inclinati tra 70° e 80° necessitano di una corsia tra i 4,70 e i 5,30 m;

• stalli perpendicolari alla corsia necessitano di una corsia di 7 m se a doppio senso di

marcia e di 6 m se a senso unico.

In tutti i casi si può

considerare che le

misure dello stallo

sono tra i 4,5 e i 5,0 m

di lunghezza e i 2,3 e

2,5 m di larghezza.

Le rampe che

collegano i vari piani di

parcheggio possono

essere semplici,

doppie, rettilinee,

continue, discontinue

interne o esterne alla

struttura, a senso unico di marcia, a doppio senso. Il D.M. 1° febbraio 1986 fissa alcune

caratteristiche delle rampe, quali la pendenza massima e la larghezza: infatti il limite

massimo di pendenza è fissato nel 20% e la larghezza minima è di 3 m nel caso di senso

unico e di 4,5 m nel caso di doppio senso. Nel caso di autorimesse con capacità tra 15 e

40 posti auto, è consentito l’utilizzo di una rampa di 3 m di larghezza a doppio senso di

marcia, purché tale senso di marcia sia alternato e regolato da impianto semaforico.

Le rampe devono avere un’inclinazione leggermente variabile nei punti di raccordo con le

superfici orizzontali, onde evitare di creare un angolo troppo accentuato che potrebbe

causare contatti con il fondo delle vetture; di norma tali raccordi si realizzano secondo

archi di circonferenza aventi raggio di 30 metri. Se la pendenza della rampa è superiore al

10% (una pendenza fino al 15% è generalmente ammessa) è necessario che nei tratti

terminali, ossia in corrispondenza delle superfici orizzontali, la pendenza sia dimezzata per

Figura 3.13 Esempio indicativo di maglia strutturale e percorsi carrabili interni ad un’autorimessa.

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 102  

uno sviluppo orizzontale di circa 4 m.

Le due tipologie principali di rampa, elicoidali (Fig. 3.14) e rettilinee (Fig. 3.15), hanno

caratteristiche diverse e in particolare si

può notare come la tipologia che

permette di utilizzare al meglio le

prescrizioni della normativa è

sicuramente quella rettilinea poiché, a

parità di dislivello, ha un ingombro

decisamente minore potendo utilizzare

una pendenza tra il 15 e il 20%, mentre

quella elicoidale, per rispetto dei limiti

previsti dal sopra citato D.M. 1° febbraio

1986, deve garantire un raggio minimo

di percorrenza di 7 m se a senso unico e

di 8,25 m se a doppio senso; pertanto si

ottiene uno sviluppo tale da ridurre la

pendenza tra il 10 e il 13%.

Un aspetto fondamentale nella scelta del

tipo di autorimessa da realizzare è

determinato dal fatto che si prevedono

delle rampe a senso unico o a doppio

senso di marcia, non solo per un aspetto

di dimensione delle stesse (a senso

unico occupano più spazio totale perché

sono quantomeno due, mentre a doppio senso la singola rampa è più grande ma è unica)

ma soprattutto per un concetto di separazione del traffico in cerca del posto auto dal

traffico in ingresso/uscita dal parcheggio.

Le rampe a senso unico permettono di mantenere completamente autonomi i percorsi di

salita e discesa e la circolazione tra i piani rispetto a quella in ricerca del posto auto sul

singolo piano, con conseguente eliminazione del conflitto di circolazione nei pressi di

entrate e uscite dal piano.

Figura 3.14 Autorimessa con rampe elicoidali.

Figura 3.15 Autorimessa con rampe rettilinee.  

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  103  

Le rampe a doppio senso, invece, possiedono indubbiamente un ingombro minore di

quelle a senso unico ma necessitano, nei pressi di ingressi e uscite, di aree estese e

particolarmente studiate per smistare la viabilità verticale da quella orizzontale.

Tra le rampe elicoidali si possono distinguere: quelle continue (ossia che superano

l’interpiano compiendo una circonferenza completa) e quelle discontinue (ossia che

superano l’interpiano mediante una porzione di circonferenza).

Tra le rampe rettilinee si possono distinguere: quelle continue (ossia che superano un

intero interpiano) e quelle rettilinee che superano piani sfalsati (ossia lo sviluppo della

rampa è pari alla metà di quello della rampa continua poiché il dislivello da superare non è

un interpiano ma mezzo interpiano).

Nelle immagini che seguono sono riportati alcuni esempi di progetti di parcheggi e

autorimesse (Fig. 3.16, 3.17 e 3.18).

Un’ulteriore soluzione viabilistica alla sosta all’interno di autorimesse è la realizzazione di

autorimesse a piani rampa. In questo caso la rampa stessa, notevolmente allargata,

svolge la funzione di collegamento verticale e di piano di parcheggio. Tale soluzione

comporta una maggiore complessità strutturale (in quanto si deve realizzare un unico

corpo di fabbrica, ma conformato a “vite”), una maggiore complessità architettonica,

maggiore lunghezza del percorso di ricerca del posto, e difficoltà operative dovute al

parcheggio sul piano inclinato della vettura (Fig. 3.19).

Figura 3.16 Sezione longitudinale dell’autorimessa interrata a servizio della Banca Popolare di Milano.

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 104  

Un’altra questione progettuale che occorre affrontare è quella relativa alla scelta tra

l’alternativa “interrata” e quella “fuori terra”. Dal punto di vista funzionale entrambi i tipi di

autorimessa

garantiscono un elevato

numero di posti auto

rispetto al parcheggio a

raso, poiché in questi

casi si possono utilizzare

più piani e quindi, a parità

di area planimetrica a

disposizione, si perde

dello spazio per le rampe

ma si realizza in verticale

un numero decisamente

maggiore di posti auto.

Dal punto di vista

ambientale e

architettonico, poi, il

parcheggio interrato

comporta un tipo di

impatto ambientale

decisamente limitato alle

aree d’ingresso e d’uscita

delle autovetture dallo

stesso, mentre il

parcheggio multipiano

fuori terra va studiato con

più attenzione poiché

risulta un vero e proprio nuovo edificio visibile a tutti cittadini che va integrato con il resto

degli edifici presenti.

Figura 3.17 Progetto di autorimessa interrata a servizio della Banca Popolare di Milano. Sezione trasversale dei 6 livelli interrati collegati da rampe interne a doppio senso.

Figura 3.18 Progetto di autorimessa interrata a servizio della Bayer Italia di Milano. L’autorimessa, caratterizzata da 5 livelli interrati, è inserita tra due stabili esistenti.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  105  

Le autorimesse interrate sono

fondamentali nel caso di carenza di aree

libere in superficie e per motivi di impatto

ambientale; permettono spesso di

ottimizzare la sistemazione superficiale di

vie o piazze al di sotto delle quali viene

realizzata l’autorimessa e nel caso di

parchi o zone di pregio ambientale si

possono realizzare costruzioni interrate

che lasciano praticamente inalterate le

condizioni superficiali (sistema dello scavo

cieco con il quale solitamente vengono

realizzate le grandi infrastrutture nel

sottosuolo di città come per le

metropolitane). Si può quindi definire la

costruzione di un’autorimessa interrata

come un momento che non altera la realtà

in superficie del luogo ove viene inserita o

comunque un momento di riorganizzazione e ripristino di piazze o strade della città.

La realizzazione di un’autorimessa fuori terra è generalmente in contrasto con il tessuto

urbano perché comunque presenta delle infrastrutture che interrompono il tessuto

cittadino. Spesso si bada soltanto alla funzione principale di tali edifici che è senza dubbio

quella di accogliere le auto senza preoccuparsi dell’ambientazione, che è invece di

fondamentale importanza per non deturpare la città. Per evitare quindi il contrasto di tali

edifici con i palazzi delle città è opportuno mimetizzarli, rivedendo così il vecchio concetto

di contenitore per auto con struttura di acciaio e cemento armato prefabbricato che ha

caratterizzato moltissime costruzioni di questo tipo. È auspicabile che le facciate di tali

edifici vengano studiate come quelle di un qualsiasi altro edificio con funzioni commerciali

e adottare tutte le precauzioni relative alla scelta dei materiali di facciata, nonché ai

possibili giochi tra parti opache (chiuse) e trasparenti (aperte). Non ultimo elemento che

deve intervenire nella realizzazione dell’autorimessa nel contesto urbano, è quello

Figura 3.19 Esempio di autorimessa “a piani rampa”.

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 106  

dell’arredo verde che, come già visto per i parcheggi a raso, permette di nascondere,

integrare e valorizzare l’edificio nel suo armonizzarsi con il tessuto urbano.

3.5.4 Parcheggi meccanizzati automatici (autosilo)

Il parcheggio meccanizzato automatico consiste in un contenitore/magazzino di automobili

ad uno o a più piani (fuori terra o interrati), provvisto di un sistema di movimentazione e

stoccaggio di autovetture totalmente meccanizzato e computerizzato (Fig. 3.20); l’unica

operazione che si richiede all’utente è quella di depositare la vettura in appositi locali. Il

sistema provvede

al parcheggio e

alla custodia del

veicolo fino alla

richiesta di

prelievo, quando

esso viene cioè

riportato

nell’apposito

locale e

riconsegnato

all’utente che ne

effettua il ritiro.

Il deposito

dell’automobile

avviene nel

seguente modo:

• gli utenti occasionali si arrestano davanti alla barriera dell’ingresso generale e

prelevano la tessera dall’emettitore;

• gli utenti abbonati o proprietari di un posto auto introducono la loro tessera personale

nel lettore, che provvede al riconoscimento;

• l’utente entra nella postazione disponibile, posiziona l’auto su una piattaforma e

l’arresta contro il battente;

Figura 3.20 Esempio di autosilo meccanizzato, automatizzato a stalli contrapposti.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  107  

• la barriera si chiude e l’utente, per uscire, deve inserire la sua tessera nel lettore;

• la barriera si apre nuovamente permettendo l’uscita e, non appena i sensori indicano

che non ci sono persone presenti nella postazione, inizia il ciclo di trasporto della

vettura fino al parcheggio finale.

Il ciclo di ritorno è simile a quello dell’andata:

• l’utente abbonato si presenta direttamente alla postazione di uscita e, dopo aver

inserito la propria tessera magnetica nel lettore, ritira la vettura depositata

automaticamente in posizione di partenza;

• l’utente occasionale si reca prima al pagamento della sosta e successivamente al ritiro

della propria vettura.

Gli autosilo, rispetto alle soluzioni tradizionali, presentano le seguenti peculiarità:

Ø un maggior sfruttamento di superfici e di volumi, con conseguente aumento del

numero di posti auto realizzabili;

Ø a parità di posti auto realizzabili, si richiedono scavi di volumi minori (interessando

minori superfici e/o minori profondità); ciò comporta minori costi di scavo e minori

disturbi alla circolazione locale e alla vita di quartiere durante il periodo dei lavori.

In questo tipo di parcheggi, infatti, il volume occupato per posto auto varia da 25 m3

(tipologia a file serrate) ai 40 m3 (impianti di maggiori dimensioni); in un edificio

tradizionale a rampe, la superficie in pianta destinata al posto auto (essendoci le rampe,

gli spazi di manovra e di scorrimento) è di circa 30 m3, che, con altezze di piano di 2,40 m,

corrispondono ad un volume di 70 m3.

Il risparmio di cubatura è dovuto alla riduzione di area riservata al singolo posto (in quanto

non servono gli spazi per aprire le portiere), alla riduzione delle altezze libere sotto-

struttura rispondenti ai minimi concessi dalla normativa (nei parcheggi meccanizzati, non

essendoci la presenza delle persone, l’altezza tra pavimento e soffitto consentita è di 1,80

m), all’eliminazione dei volumi delle rampe e degli spazi di manovra pertinenti ai veicoli

che si muovono all’interno del parcheggio.

Queste riduzioni di spazi permettono quindi, a parità di volume, di incrementare del

40¬50% il numero di autovetture rispetto al parcheggio tradizionale. Ulteriori vantaggi

derivanti da questi tipi di costruzione sono:

• riduzione dei complessi e costosi impianti di servizio dei parcheggi tradizionali,

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 108  

rendendo spesso più accettabili esteticamente le sistemazioni di superficie (grigliati

per l’aerazione, camini, etc.);

• completa automazione anche nella gestione, senza necessità di presenza di

personale;

• costi complessivi di realizzazione e gestione inferiori rispetto a tutti gli altri tipi di

parcheggio, eccetto quelli a raso;

• sicurezza per l’utente, per il quale trovarsi di notte in locali deserti, seppur protetti e

sorvegliati, costituisce un potenziale pericolo;

• sicurezza per la vettura, che normalmente non è tutelata rispetto alle possibili manovre

maldestre degli altri guidatori ed è anche esposta all’azione di eventuali malfattori;

• assenza di inquinamento nei locali di parcheggio dovuta alla movimentazione a

motore spento;

• modularità e ampia gamma di soluzioni con capacità di rispondere alle esigenze e alle

situazioni più diverse con il sistema economicamente più valido. Consentono, talvolta,

di rendere l’area dell’intervento già predisposta per la costruzione di un secondo

modulo (gemello del primo, in via di realizzazione), in tempi successivi, per nuove

future esigenze.

A fronte degli indubbi vantaggi sopra elencati, bisogna evidenziare altre caratteristiche che

condizionano l’impiego di tali tipi di parcheggio:

Ø presenza di meccanismi complessi, la cui funzionalità è legata ad una centrale di tipo

elettronico; se sorgono problemi (ad es. interruzione della corrente elettrica), diventa

impossibile accedere al veicolo con conseguenti ritardi;

Ø durata dei cicli medi di presa e di riconsegna delle vettura che, sebbene teoricamente

sono limitati e confrontabili con quelli necessari per usufruire di un parcheggio interrato

(dall’ingresso fino alla risalita in superficie tramite rampa), sono condizionati non solo

dal tempo dei vari meccanismi elettromeccanici ed elettronici, ma anche dalla

manualità del conducente di ciascuna vettura (il tempo perduto per la lentezza di un

utente si ripercuote inevitabilmente su tutti i cicli successivi). Il tempo di restituzione

dell’autovettura, inoltre, dipende sensibilmente dal numero di auto che si prevede

verranno movimentate nell’unità di tempo presa in considerazione (è logico pensare

che nelle ore di punta, quali mattina e sera, i tempi di attesa crescano sensibilmente).

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  109  

In relazione al tipo di impianto utilizzato per la movimentazione, i parcheggi automatizzati

si dividono in due famiglie principali:

• parcheggi automatizzati a stallo mobile;

• parcheggi automatizzati a stallo fisso.

Nei parcheggi del primo tipo, il veicolo trasla grazie ad una trasmissione a catena o ad un

nastro trasportatore; in pratica, il veicolo staziona sullo stesso dispositivo di

movimentazione liberando la postazione d’entrata fino ad esaurimento dei posti disponibili.

Tutti i veicoli presenti sugli stalli subiscono uno spostamento.

Nelle soluzioni a stallo fisso, il veicolo viene prelevato da una piattaforma che lo

trasferisce sulla torre mobile; quest’ultima trasporta l’auto in senso verticale ed orizzontale,

fino a raggiungere la postazione di stallo più vicina. L’autovettura viene depositata e

lasciata in quella posizione fino al prelievo.

In generale, la soluzione a stallo mobile è più lenta di quella a stallo fisso ed è quindi

utilizzabile per capacità di parcheggio alquanto limitate.

La movimentazione verticale-orizzontale può avvenire mediante due diversi dispositivi:

1) la torre trasloelevatrice, che combina i due movimenti contemporaneamente e

raggiunge direttamente la postazione desiderata (impianto a torre traslante). Questa

soluzione è quella più idonea nei casi in cui sia permessa la massima estensione in

altezza o in profondità, che per normativa è rappresentata da 7 piani fuori terra e 6

sottoterra. In normali condizioni, ogni torre può servire, attraverso due postazioni di

entrata e di uscita, da 80 a 120 auto distribuite su 7 livelli;

2) l’elevatore per il movimento verticale ed il traslatore per il movimento orizzontale

(impianto a sviluppo orizzontale). Questo tipo di impianto risulta vantaggioso quando

l’area a disposizione è sufficientemente estesa e, contemporaneamente, non si può

realizzare uno sviluppo eccessivo in altezza.

Quest’ultimo impianto ha notevoli valenze in più rispetto a quello costituito da un’unica

torre, poiché consente di potenziare il sistema in termini di velocità e soprattutto di

ampliarlo con continuità graduale, a seconda delle richieste espresse, agendo sul numero

e sulla posizione degli elevatori e/o traslatori separatamente; variando la quantità degli

elementi base, è possibile realizzare parcheggi da 200 posti auto fino a 3000 posti auto.

Gli impianti automatici devono essere dimensionati in modo da garantire un tempo

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 110  

massimo di attesa per l’utente, non superiore agli 8-10 minuti.

In funzione della capacità di parcheggio, possiamo distinguere 2 categorie di parcheggi:

• medio-piccoli, con moduli di capacità compresa tra 5 e 20 posti auto (basati sul

meccanismo a stallo fisso o a stallo mobile, vengono generalmente realizzati in cortili,

scantinati e giardini del centro storico, dove lo spazio è generalmente carente e

costoso e dove spesso sussistono vincoli ambientali, archeologici e di accesso al

parcheggio);

• medio-grandi, con moduli di capacità superiore a 40 ÷ 50 posti auto (basati su sistemi

a stallo fisso).

Tra i parcheggi medio-piccoli annoveriamo:

a) sistema

orizzontale a file

serrate (Fig.

3.21): consente

di ottenere dei

rapporti

m3/posto auto

ridottissimi

anche per

piccole installazioni. È costituito da due file di piattaforme, sotto le quali è collocato un

impianto di rulli ancorati al suolo che le movimentano secondo un tracciato

rettangolare. I moduli accolgono normalmente da 5 a 17 automobili. Il modulo si può

ripetere affiancandone altri oppure sovrapponendoli su più piani (in questo caso è

necessario un elevatore per far passare la vettura dai diversi piani);

b) sistema orizzontale a carosello (Fig. 3.22): è dotato di un movimento circolare

continuo che rende semplice e veloce sia il rilascio che il ritiro dell’autovettura nell’area

di parcheggio. Le piattaforme sono agganciate ad un convogliatore a rotaie che,

azionate da un motore elettrico, le trascina in un movimento continuo e non più

alternato come nel sistema a file serrate. Questo sistema è strutturato ad anello e i

moduli posso accogliere da 5 a 40 posti auto;

Figura 3.21 Esempio di parcheggio automatizzato a file serrate.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  111  

c) sistema a file sovrapposte: è costituito dalla sovrapposizione di due o più file di

piattaforme, sotto ognuna delle quali è posizionato un impianto di movimentazione

orizzontale, e dalla

presenza di

elevatori alle

estremità delle file.

Attraverso una

serie di

spostamenti

alternati

(orizzontali e

verticali) delle

piattaforme, la

vettura richiesta

viene portata nella

posizione di uscita

corrispondente ad

uno dei due

elevatori presenti

nell’impianto. Pur consentendo la possibilità di avere anche 4 livelli, è un sistema che

necessita di un tempo superiore a quelli visti precedentemente e quindi non è indicato

per parcheggi con più di 2 livelli (circa 24 auto);

d) sistema verticale a due stalli contrapposti: è caratterizzato da una serie di piattaforme

sovrapposte verticalmente l’una all’altra e sistemate, lateralmente ad un elevatore, in

appositi stalli. La vettura viene depositata (o prelevata) sull’elevatore; quest’ultimo,

portandosi ai vari livelli di profondità, colloca o preleva le vetture al/dal loro stallo di

parcheggio. La capacità di parcheggio è di 2 posti auto per piano e pertanto il numero

complessivo di posti auto (generalmente fino a 18) è limitato dal numero di piani

interrati e/o in elevazione che si possono realizzare.

I più diffusi parcheggi medio-grandi possono essere raggruppati nelle seguenti quattro

categorie:

Figura 3.22 Esempio di parcheggio automatizzato a carosello.

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 112  

a) sistema verticale a stalli multipli contrapposti: è la soluzione intermedia tra il sistema a

due stalli contrapposti ed il sistema a trasloelevatore per realizzazioni da 40 ad 80

posti per modulo. Questo tipo di sistema si presta per quelle situazioni in cui lo

sviluppo longitudinale del parcheggio è limitato e quindi il numero di posti auto per

livello non risulti superiore a 8/10; la soluzione può svilupparsi notevolmente in

verticale permettendo una realizzazione parte interrata, e parte in elevazione fuori

terra. La movimentazione dell’impianto è affidata ad una tavola elevatrice, sulla quale

trasla il dispositivo di movimentazione delle vetture;

b) sistema verticale a trasloelevatore: è in grado di accogliere da 40 ad alcune centinaia

di automobili, in relazione allo specifico tipo di utenza. La soluzione è particolarmente

valida per uno sviluppo di

almeno 3 piani con un

modulo ottimale di 70-80

posti auto per ogni

trasloelevatore; si possono

affiancare più

trasloelevatori e quindi

aumentare notevolmente

la flessibilità del

parcheggio (con minore

disagio, ad esempio, in

fase di manutenzione). La

macchina esegue

contemporaneamente il

movimento verticale e

quello orizzontale,

muovendosi su binari posti

nel vano centrale che

divide a metà il

parcheggio, realizzando quindi uno spostamento diagonale che è il più breve per

raggiungere il posto auto;

Figura 3.23 Esempio di parcheggio automatizzato a elevatore fisso e carrelli traslatori.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  113  

c) sistema verticale a elevatore fisso e carrelli traslatori (Fig. 3.23): è in grado di

accogliere da 50 a parecchie centinaia di automobili, in relazione allo specifico tipo di

utenza. La movimentazione avviene tramite spostamenti combinati e indipendenti (a

differenza del sistema a trasloelevatore): gli spostamenti verticali vengono effettuati da

uno o più elevatori, mentre i movimenti lungo la corsia centrale sono svolti da carrelli

traslatori, presenti su ogni piano, a cui è affidata anche la movimentazione orizzontale

delle piattaforme o, direttamente, delle automobili;

d) sistema verticale a elevatore rotante (Fig. 3.24): la movimentazione delle vetture viene

effettuata dall’elevatore che, oltre ad essere dotato del controllo degli spostamenti

verticali, consente la rotazione, fino a 360°, dell’auto e il successivo movimento radiale

Figura 3.24 Esempio di parcheggio automatizzato verticale a elevatore rotante.

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 114  

per il deposito/prelievo nello stallo di parcheggio. Richiede un diametro minimo di circa

20 metri per poter collocare 12 vetture a piano. Il modulo ottimale si sviluppa su 5 o 6

piani e la modularità si può ottenere ripetendo questi blocchi, ossia realizzando più

parcheggi.

3.6 IMPIANTI TECNOLOGICI NELLE INFRASTRUTTURE DI PARCHEGGIO

All’interno dei parcheggi, gli impianti tecnologici svolgono un ruolo primario in quanto

garantiscono il buon funzionamento del sistema e, nel contempo, forniscono il giusto

grado di sicurezza e di affidabilità. Gli elementi tecnici impiantistici che interagiscono con il

progetto edile e di cui il progettista deve tenere conto in fase di studio sono i seguenti:

• sistema di ventilazione naturale;

• impianto di ventilazione meccanica;

• impianto di evacuazione dei liquidi con vasche di decantazione e di separazione

fanghi, oli e benzina;

• impianto elettrico;

• impianto idrico e di scarico bagni;

• impianto di illuminazione con luci di emergenza;

• impianto antincendio (sprinkler a tutti i piani);

• impianto di riscaldamento (opzionale);

• impianti televisivi per il controllo delle postazioni di ingresso e di uscita e degli spazi ai

diversi piani;

• gruppo elettrogeno per l’alimentazione in emergenza delle meccanizzazioni (per

parcheggi automatizzati);

• impianto di rilevazione dei gas (opzionale);

• impianto di movimentazione auto, completo di sistema di comando, di controllo e di

gestione (per parcheggi automatizzati).

Al di là dei singoli aspetti legati ai problemi specifici di ogni singolo impianto, è importante

ricordare che il sistema-impianti, nel suo insieme, deve essere realizzato nel rispetto dei

criteri di sicurezza che garantiscono la tutela dell’utente. A tal scopo, occorre far

riferimento alla legge n° 46 del 5 marzo 1990, dal titolo “Norme per la sicurezza degli

impianti”, che rappresenta il principale riferimento normativo con cui vengono affrontate la

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  115  

progettazione e la realizzazione degli impianti.

A tal proposito occorre osservare che, qualsiasi impianto o condotto impiantistico che

attraversa la parete REI di suddivisione tra due comparti, deve essere dotato di serrande

tagliafuoco e/o essere sigillato all’esterno con prodotto termoespansivo, al fine di

assicurare la continuità di prestazioni REI in caso di incendio (non sono autorizzate

sigillature con semplici malte di rinzaffo).

3.6.1 Sistema di ventilazione naturale e impianto di ventilazione meccanica

L’eliminazione dei gas prodotti dai veicoli in movimento e i ricambi dell’aria

nell’autorimessa avvengono con l’integrazione di due sistemi tecnologici: la ventilazione

naturale (creata con appositi elementi privi di organi di movimento), e la ventilazione

forzata (realizzata mediante canali d’aria).

Per quanto riguarda la ventilazione naturale, i problemi più grossi sussistono per i

parcheggi interrati, dove gli effetti dovuti ai moti d’aria del vento sono praticamente

inesistenti. In questi casi occorre, pertanto, sfruttare altri fenomeni naturali che richiedono

poco spazio per essere attuati e manutenzione praticamente nulla.

Il principio fisico fondamentale sfruttato per la diffusione dei fumi e quindi dell’aria calda,

all’interno dei parcheggi interrati, è il cosiddetto effetto camino, legato alla differenza di

temperatura tra due ambienti posti a quote differenti. Occorre realizzare, in pratica, un

condotto verticale (camino) che metta in comunicazione l’ambiente del parcheggio con

quello esterno. All’interno di tale condotto, l’aria deve trovare un “percorso preferenziale”

tramite cui “migrare” all’esterno.

Tale soluzione progettuale è adeguata nel caso di un unico ambiente da ventilare. Se,

come spesso accade, la ventilazione interessa più piani dell’edificio interrato occorre

provvedere alla realizzazione di interventi atti ad eliminare il rischio che l’aria viziata dei

piani inferiori rientri all’interno dei rami superiori, annullando e anzi peggiorando la

ventilazione di questi ultimi. Una tecnica che permette di utilizzare un’unica intercapedine

e nel contempo ventilare più piani interrati è il cosiddetto camino tipo “shunt” (Fig. 3.25).

Con questa soluzione, da ogni piano, in corrispondenza delle aperture, sporge un setto

che indirizza la ventilazione verso la parte alta per un paio di metri. L’aria di ogni piano che

viene espulsa in maniera naturale, si immette nell’intercapedine principale con una certa

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 116  

velocità. L’aria che sale verso i piani

superiori difficilmente rientra in questi

ultimi, perché dovrebbe praticamente

invertire il senso di marcia, e sarebbe

comunque ostacolata in questa manovra

dallo “shunt” del piano successivo.

Si osservi che, per il tipo di conformazione

del sistema shunt, la larghezza

dell’intercapedine deve essere doppia di

quella minima prevista per le aperture ai

diversi piani, in quanto occorre sia un

canale di imbocco che un percorso

comune di uscita. In superficie, diverse

soluzioni architettoniche alternative alla

tradizionale grata possono far

defluire il flusso d’aria senza

consentire all’acqua piovana di

entrare nel parcheggio (Fig. 3.26 e

Fig. 3.27).

La ventilazione meccanica

rappresenta una integrazione del

sistema obbligatorio di ventilazione

naturale. Essa è generalmente

costituita dalle seguenti parti (Fig.

3.28):

Ø Una presa d’aria esterna:

l’aria viene aspirata da una zona

esterna del parcheggio, alta e

lontana da eventuali altre fonti di

inquinamento; prima di essere

immessa nel condotto di

Figura 3.26 Alternative di progettazione per le grate di aerazione del parcheggio sottostante.

Figura 3.25 Schema di funzionamento di un canale “shunt” per la ventilazione naturale del parcheggio.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  117  

distribuzione

dell’edificio, deve

essere filtrata,

ossia pulita da

eventuali polveri

e sostanze

inquinanti.

Ø Una centrale di

controllo e

comando: si

tratta dell’organo

principale del

circuito, mediante

il quale, tramite

ventilatori

appositamente

predisposti, si

conferisce

energia di

movimento e

quindi velocità

all’aria presente

all’interno dei

condotti.

Ø Condotti principali e secondari di mandata; possono essere sia orizzontali che

verticali. Realizzati generalmente in lamiera zincata, hanno una dimensione

dipendente dalla quantità di aria che essi devono trasportare e, a parità d’aria, dalla

velocità del fluido al loro interno. Per i parcheggi, la sezione di tali condotti è

generalmente rettangolare, perché le pressioni non sono elevate. La velocità dell’aria

al loro interno varia usualmente da 3 a 12 m/s, a seconda delle dimensioni del

condotto. Le canalizzazioni vengono fissate direttamente alla parte inferiore dei solai

Figura 3.27 Sistema di aerazione che impedisce l’ingresso di acqua piovana nei locali di parcheggio.

Figura 3.28 Schema delle diverse parti componenti un sistema di ventilazione forzata dell’autorimessa.

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 118  

tramite dei collari in acciaio, posti ad interasse di diversi metri e poi fissati al supporto

superiore per mezzo di tasselli. Se l’impianto non ha funzione di riscaldamento

(situazione frequente per i parcheggi) non occorre prevedere l’utilizzo di isolanti

termici.

Ø Le bocchette di mandata: servono a distribuire l’aria in un intorno più ampio possibile;

possono essere collocate a soffitto o a parete e sono generalmente di forma quadrata

o rettangolare.

Ø Il circuito di estrazione dell’aria (non sempre presente, ma obbligatorio per

autorimesse con più di 500 autoveicoli); di caratteristiche analoghe a quello di

mandata; deve possedere le bocchette d’aspirazione poste in posizione

diametralmente opposta rispetto a quelle di immissione dell’aria, così da evitare che

l’aria pulita venga aspirata senza integrare prima l’aria del piano.

Ø La griglia di espulsione: tramite dei condotti, l’aria viziata viene espulsa e immessa

nell’ambiente esterno.

3.6.2 Impianto elettrico e impianto di illuminazione

L’impianto elettrico di un’autorimessa deve essere in grado di fornire un servizio elettrico e

nel contempo evitare il passaggio di corrente agli utenti, preservando da ustioni o incendi

dovuti ad archi elettrici o ad elevate temperature, ed evitando danni connessi a distacchi

elettrici. Gli elementi fondamentali che costituiscono l’impianto elettrico del parcheggio

sono essenzialmente cinque:

• la centrale di controllo, costituita da quadri elettrici di comando, da dispositivi di

protezione (salvavita, interruttori differenziali) e dall’allacciamento alla rete esterna;

• l’impianto di messa terra, ovvero il sistema di protezione dai contatti accidentali;

• i condotti di trasporto della corrente elettrica verso i diversi impianti utilizzatori e gli

apparecchi illuminanti;

• gli apparecchi di illuminazione;

• l’impianto di illuminazione di emergenza (autonomo da quello principale).

I quadri elettrici devono essere posizionati in luoghi al sicuro da eventuali manipolazioni e

non devono essere sguarniti da protezione e messa a terra.

All’interno del sistema di controllo devono trovare posizione gli interruttori differenziali, che

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  119  

non sono altro che i dispositivi magnetotermici in grado di proteggere l’impianto da

eventuali sovraccorrenti e cortocircuiti.

L’illuminazione dei locali adibiti ad autorimessa non deve essere inferiore a 20 lux, valore

che le normative fanno coincidere con la minima illuminazione consentita per passaggi,

corridoi e scale. Nei pressi degli eventuali luoghi ove lavorano gli addetti al parcheggio,

questa illuminazione deve essere evidentemente maggiorata con apparecchi illuminanti di

resa superiore.

Un ultimo aspetto importante riguarda l’impianto di illuminazione d’emergenza, ovvero il

sistema che garantisce un minimo di illuminazione anche quando l’impianto principale, per

arresti o malfunzionamenti, non è più attivo.

Le normative impongono che le autorimesse di capacità superiore a 300 veicoli e tutti gli

autosili (parcheggi automatizzati) debbano essere dotati di impianti di illuminazione di

sicurezza alimentati da sorgenti di energia indipendente da quella della rete di

illuminazione normale.

L’intensità di illuminazione deve essere sufficiente per consentire lo sfollamento delle

persone e comunque non può essere inferiore a 5 lux. L’alimentazione elettrica di questo

impianto può avvenire tramite batterie tampone.

3.6.3 Impianto di evacuazione dei liquidi

Le autorimesse interrate, pur essendo costruzioni sotterranee chiuse ed

impermeabilizzate, devono essere dotate di un sistema di raccolta dell’acqua e, di

conseguenza, di un collegamento alla rete fognaria.

L’acqua può infatti penetrare nel parcheggio assieme ai veicoli (soprattutto in caso di

nevicate), oppure dalle grate per la ventilazione naturale.

Nelle autorimesse di una certa dimensione e negli autosilo è, inoltre, obbligatorio il

sistema antincendio di spegnimento automatico che nella maggior parte dei casi funziona

ad acqua.

È evidente che l’acqua non può essere lasciata sugli impalcati dei solai o “dimenticata” al

piano più interrato.

Nel caso degli autoparcheggi interrati, poi, in presenza di falda, un’eventuale infiltrazione

dalle pareti è ulteriore motivo che porta alla obbligatorietà di questo impianto.

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 120  

Anche per i parcheggi a raso (quindi di superficie) è importante prevedere un sistema di

raccolta dell’acqua piovana: in questo caso è bene realizzare un sistema di pendenze

della sede di sosta e una

serie di vasche di

raccolta così come

illustrato di seguito.

Il sistema di evacuazione

dei liquidi (Fig. 3.29), è

composto dai seguenti

quattro sottosistemi:

Ø Tubazioni di raccolta

e di convogliamento:

ad ogni piano, i

liquidi devono essere

convogliati in

particolari punti

tramite leggere

pendenze e da qui incanalati verso le vasche di raccolta.

Ø Vasche di raccolta e di sedimentazione: l’espulsione dell’acqua dal parcheggio, per

ovvi motivi, non avviene in continuo, ma saltuariamente; l’acqua raccolta viene

accumulata all’interno di apposite vasche fino a che il livello del liquido non supera il

valore prestabilito. Per rallentare la corrente del liquido affluente è possibile installare,

davanti all’ingresso della vasca, un setto movibile (paratoia di calma).

Ø Separatori di liquidi leggeri, olio e grasso: nella progettazione delle autorimesse (ma

anche dei parcheggi a raso e degli autosilo) occorre prevedere, a monte del collettore

fognario, una serie di dispositivi che eliminino la possibilità di inquinamento degli

scarichi, evitando che oli o grassi finiscano in fognatura. Questi dispositivi, messi in

sequenza subito dopo la vasca di raccolta, sono a loro volta delle vasche con più setti

che, a mezzo di filtri, permettono la separazione dell’olio costituente il primo strato

galleggiante che trabocca dalla vasca di accumulo. Periodicamente lo strato di olio e

di grasso deve essere rimosso.

Figura 3.29 Schema di un impianto di evacuazione dei liquidi.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  121  

Ø Pompe di sollevamento: vista l’elevata profondità a cui può giungere un parcheggio

(20 metri sottoterra) capita spesso che i condotti di fognatura siano a quota maggiore

rispetto a quella della vasca di raccolta. È quindi evidente che non è possibile far

evacuare i liquidi utilizzando la sola forza di gravità, ma è necessario fornire un

adeguato carico idraulico per superare detto dislivello. I liquidi raccolti dal bacino di

accumulo vengono così periodicamente pompati verso il sistema fognario; il comando

è generalmente automatico ed ottenuto tramite un dispositivo a galleggiante

opportunamente tarato: quando l’acqua supera un certo livello, si inserisce la pompa

che rimane attiva fintanto che quest’ultimo livello non scende al disotto di una soglia

prestabilita.

3.6.4 Impianto fisso di spegnimento automatico degli incendi

All’interno degli autosilo aventi capacità di parcheggio superiore a 9 veicoli, nelle

autorimesse aventi più di 2 piani interrati e/o più di 4 piani fuori terra (se chiuse) e/o più di

5 piani fuori terra (se aperte), come espresso dalla norma di sicurezza per la costruzione e

l’esercizio delle autorimesse e simili (D.M. 1° febbraio 1986), è d’obbligo “l’installazione di

un impianto fisso di spegnimento automatico del tipo a pioggia (sprinkler) con

alimentazione ad acqua oppure del tipo ad erogatore aperto per l’erogazione di

acqua/schiuma”.

Questo impianto deve entrare in funzione non appena il focolaio tende a svilupparsi:

quando ciò accade, scatta una suoneria che avvisa gli utenti del possibile pericolo.

In generale, negli impianti d’estinzione a pioggia si possono identificare i seguenti

componenti (Fig. 3.30):

• una fonte d’acqua (acquedotto, serbatoio a gravità, pompa automatica aspirante da

vasca o altra riserva, serbatoio a pressione);

• una tubazione di presa dell’acqua (dalla fonte ad una valvola di controllo/allarme);

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Capitolo 3: Infrastrutture per la sosta e il parcheggio  

 122  

• una rete di distribuzione che

connette la valvola principale

con gli utilizzatori;

• un sistema di ugelli spruzzatori

(le testine sprinkler).

Si ricorda altresì che il medesimo

Decreto del 1986, per gli aspetti di

prevenzione incendi, impone

l’ulteriore presenza di estintori ed

idranti collegati ad apposite

tubazioni indipendenti da quelle

dei servizi sanitari.

3.6.5 Impianto di movimentazione auto (per parcheggi automatizzati)

In generale le tipologie meccaniche di movimentazione si collocano all’interno di due

grandi famiglie:

Ø i parcheggi con stallo mobile;

Ø i parcheggi con stallo fisso.

Nel primo caso, l’impianto è costituito da piattaforme traslanti posizionate su guide fissate

alla soletta in c.a. Ogni guida è dotata di cilindri girevoli che permettono lo scorrimento

dello stallo riducendo gli attriti e quindi i consumi energetici. Ogni qualvolta il veicolo

parcheggiato viene chiamato dal proprietario, le piattaforme traslano tutte in circolo chiuso,

fino a quando il veicolo richiesto si trova in corrispondenza dell’elevatore. Nel secondo

caso (sistema a stallo fisso), si impiega prevalentemente la torre trasloelevatrice, formata

da un sistema reticolare di puntoni e tiranti in acciaio, traslante su rotaie (Fig. 3.31). Gli

organi meccanici di controllo ed il sistema di carrucole possono essere posti sulla sommità

(lo spazio occupato è di circa 50 cm di altezza) o nella parte bassa della torre (soluzione

più costosa).

Il movimento verticale della piattaforma “traslavetture” dell’elevatore è realizzato tramite

funi di acciaio e con l’utilizzo di contrappesi che determinano uno o più spazi tecnici da

realizzare all’interno delle pareti laterali o tramite asole all’interno dei solai.

Figura 3.30. Schema di funzionamento di un generico impianto sprinkler.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  123  

Il dispositivo di carico e scarico delle

vetture dagli stalli è realizzato con un

carrello motorizzato posto sulla

piattaforma della torre. Quando il

traslatore ha posizionato la piattaforma

davanti allo stallo, il carrello si pone sotto

la vettura, e, con un adeguato sistema

meccanico, solleva l’autoveicolo e lo

sposta sulla parte centrale del

parcheggio.

I parcheggi automatizzati, che

generalmente sono realizzati in spazi

stretti, cortili o luoghi laddove la

presenza di un parcheggio non deve

essere architettonicamente invadente,

possono essere dotati di un tetto a

scomparsa. Questo sistema permette,

da un punto di vista visivo, la quasi totale

“assenza” del parcheggio, in quanto

all’esterno rimane solo una barriera di

ingresso e, attorno allo stallo d’ingresso, una siepe di contorno o un muretto con vetrate

senza copertura.

In una torretta adiacente a questo ingresso, è predisposto il sistema elettronico di ingresso

a tessera magnetica.

Se arriva un utente che inserisce l’apposita tessera di riconoscimento, il tetto si solleva ed

il proprio veicolo appare sulla piattaforma, pronto per essere prelevato ed utilizzato.

Figura 3.31 Schema di una torre trasloelevatrice per il funzionamento di un parcheggio automatizzato.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  125  

_______________________________________

CAPITOLO 4

Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico

_______________________________________

4.1 RUOLO DEL SISTEMA DI TRASPORTO PUBBLICO NELLE AREE URBANE

A partire dagli inizi del 900, ed anche prima, e sino a tutti gli anni ’50, i sistemi di trasporto

pubblico erano concepiti, ad eccezione delle prime reti di ferrovie sotterranee, in modo da

inserirsi nelle infrastrutture viarie esistenti, adattandosi alle condizioni urbanistiche della

città; oggi i criteri sono mutati ed il sistema di trasporto pubblico collettivo è quello che

incide prioritariamente negli assetti viari interni ad una città, producendo trasformazioni

negli schemi di circolazione tradizionali, precludendo il transito a veicoli privati lungo

alcune strade e promuovendo la realizzazione di nuove infrastrutture.

Per procedere all’analisi delle implicazioni prodotte dalla presenza dei sistemi di trasporto

pubblico nelle città, è necessaria una preventiva distinzione tecnica basata sulla

suddivisione in mezzi di trasporto su rotaia (metropolitane, ferrovie suburbane e tram) e su

gomma (filobus ed autobus).

I mezzi su gomma possiedono una maggiore flessibilità d’esercizio, mentre i mezzi guidati

da rotaia rimangono vincolati alla traiettoria imposta dal sistema di guida e, nella marcia

all’interno dei centri urbani, possono soffrire di questa condizione. Infatti, mentre i mezzi su

gomma sono in grado di aggirare le eventuali ostruzioni venutesi a creare anche

improvvisamente nella circolazione, quelli su rotaia devono attendere che la sede stradale

sia sgombra da fenomeni di congestione; inoltre, nel caso dei mezzi di trasporto a guida

vincolata, l’arresto di un singolo veicolo, anche per un tempo significativamente breve,

costituisce, nei fatti, un’interruzione all’operatività dell’intero sistema, rendendo

inutilizzabile la tratta a valle di tale veicolo per tutti quello che lo seguono; ciò non accade

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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico  

 126

per i veicoli su gomma, che possono essere avviati su strade alternative e l’accidentale

guasto di un automezzo produce solo ritardi nell’esercizio. Per questi motivi, quando la

manutenzione preventiva degli impianti non era ancora una procedura diffusa, e anche per

altre ragioni (ad es., il condizionamento derivato dall’illusorio spirito di modernità e di

innovazione), già 50 anni fa, il tram venne considerato un veicolo superato che doveva

lasciare spazio alle automobili e agli autobus. Solo poche città, come Milano, Roma e

Torino, ritennero conveniente mantenere in esercizio alcune linee tranviarie, ritrovandosi

adesso un patrimonio insostituibile, al contrario di altre città che, sbarazzatesi dei mezzi e

degli impianti, sono ora alla ricerca di finanziamenti e progetti per la ricostruzione di nuove

linee, seppur concepite con criteri più innovativi. Le mutate situazioni hanno reso evidente

che la scomparsa delle reti tranviarie ha prodotto un sostanziale degrado del trasporto

collettivo ed uno sviluppo abnorme della motorizzazione privata, con effetti di

inquinamento (sia acustico che atmosferico), congestione e pericolosità nel traffico (con

forte incremento dell’incidentalità stradale). D’altra parte, va considerato che anche per i

mezzi pubblici su gomma, col tempo, è prevalsa l’esigenza di creare traiettorie vincolate

lungo percorsi privilegiati, per favorirne la marcia e avere la precedenza rispetto agli altri

veicoli. Le infrastrutture stradali urbane sono state in tal senso trasformate attraverso la

realizzazione, lungo tratti più o meno estesi, di corsie preferenziali le quali, mediante

segnaletica o separazione fisica, sono concesse all’uso esclusivo dei mezzi pubblici o

condiviso con altri servizi di pubblica utilità. Integrata alle corsie riservate, in molte città, è

stata anche attuata la centralizzazione degli impianti semaforici, in modo da ottenere il

controllo e la gestione dinamica del traffico, privilegiando il trasporto pubblico sulle direttrici

principali, assegnando negli incroci il verde alla direzione di arrivo dei mezzi pubblici. Oggi,

la maggiore funzionalità che viene chiesta al sistema di trasporto pubblico, abbinata ad

una ridotta occupazione di spazio, alla minima spesa di gestione ed al miglior comfort di

viaggio, ad una facile e rapida accessibilità sui mezzi anche per le persone anziane ed

invalide, ha stravolto i principi che governano l’esercizio delle reti di trasporto pubblico,

obbligando i gestori a nuove scelte. Tali nuove scelte, di recente, stanno riguardando

anche i cosiddetti sistemi di trasporto pubblico individuale (car sharing, car pooling, taxi

collettivo, bus a chiamata), che garantiscono notevoli gradi di flessibilità e prevedono

anche la cooperazione con il mezzo privato individuale.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  127  

4.2 QUALITÀ DELLE INFRASTRUTTURE E DEI SISTEMI DI TRASPORTO PUBBLICO

L’utente, durante il trasferimento con il trasporto pubblico, dall’origine alla destinazione del

suo viaggio, ha un’esperienza mentale che lo mette in grado di percepire il prodotto offerto

e le capacità del sistema di trasporto pubblico, stabilendo nel contempo il suo grado di

soddisfazione. La sua valutazione della qualità del sistema di trasporto nel suo complesso

(infrastrutture e servizio offerto) può, tuttavia, essere fondata su diversi livelli, ognuno con

le proprie caratteristiche: la correlazione tra il livello di soddisfazione dell’utente e la qualità

del sistema è raramente lineare ed alcuni interventi, come per esempio nelle infrastrutture,

sono considerati dovuti e quindi non creano apprezzamento.

Diventa importante la distinzione della qualità in tre livelli crescenti:

Ø qualità di base,

Ø qualità supplementare,

Ø qualità eccezionale.

Va tuttavia ricordato che la qualità è un concetto dinamico, dal momento che il contesto

effettivo in cui l’utente utilizza il prodotto/servizio può cambiare notevolmente: per

esempio, durante le ore di punta gli utenti accettano anche una velocità commerciale

ridotta e l’affollamento sui mezzi, mentre, nelle fasce serali e nelle zone periferiche

tollerano una minor frequenza, e, in caso di incidenti o di cambiamenti, sono disponibili ad

accettare il disagio a patto che ne venga data sollecita informazione. Di contro, in sintonia

con la crescente richiesta di qualità, gli utenti “adottano” con molta rapidità i miglioramenti

e sono tendenzialmente portati a relegare, in breve tempo, la qualità supplementare al

ruolo di qualità di base: per esempio, un autobus con pavimenti ribassati porta a rifiutare i

vecchi mezzi, pretendendo che tutti gli autobus siano della stessa qualità superiore.

La qualità di base è la qualità che l’utente si aspetta dal fornitore del servizio e, se non

viene data, produce insoddisfazione. Quello che di base l’utente si aspetta di ricevere dal

trasporto pubblico è di essere trasportato dalla partenza alla destinazione nel tempo

programmato e, se i tempi non sono rispettati, ogni altro aspetto della qualità perde

importanza; di solito, oltre al rispetto degli orari, le attese degli utenti sono: pulizia, guida

prudente, posizione, accessibilità e condizione delle fermate, informazioni corrette.

La qualità supplementare è caratterizzata da una relazione di tipo lineare tra

l’adempimento e la soddisfazione generata nell’utente. Esempi di qualità supplementare

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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico  

 128

sono rappresentati dalla possibilità per tutti gli utenti di trovare posto nelle ore di punta,

avere a disposizione personale che sia straordinariamente d’aiuto, mezzi sempre nuovi e

confortevoli, numerose corsie di precedenza che rendano il viaggio più veloce, orari,

percorsi, capienza dei mezzi adattabili alle esigenze su basi di flessibilità.

La qualità eccezionale è la qualità che l’utente non si aspetta e, quando viene fornita

dall’azienda, dà origine a molto apprezzamento (la relazione tra adempimento e

soddisfazione, in questo caso, è di tipo esponenziale). Va però osservato che la

soddisfazione di un utente è un fattore individuale ed è legato al contesto in cui si

manifesta. Gli obiettivi della qualità eccezionale sono quelli più direttamente indirizzati ai

mercati futuri e sono orientati verso la cura e la sicurezza dell’utente. Esempi di qualità

eccezionale sono l’informazione in tempo reale, la pianificazione dei tragitti e dei percorsi,

tabelle orarie e sistemi tariffari molto semplificati, informazione individuale e programmi di

servizio che fanno intuire all’utente di essere capito e seguito, sviluppo del prodotto con

servizi estesi anche 24 ore su 24.

4.3 INFRASTRUTTURE E SISTEMI DI TRASPORTO PUBBLICO COLLETTIVO

La gestione e l’esercizio dei mezzi di trasporto non costituiscono soltanto un fattore

aziendale, ma si correlano strettamente con la dotazione di infrastrutture che ha una città.

È quindi opportuno, per poter definire le caratteristiche che queste infrastrutture devono

avere e le modifiche che su di esse possono essere apportate, prendere coscienza dei

diversi sistemi di trasporto pubblico e comprenderne le esigenze e le interazioni con le

infrastrutture medesime.

4.3.1 Autobus

Il transito degli autobus adibiti al trasporto pubblico nelle strade urbane, incide sul traffico

tanto quanto influiscono i mezzi pesanti, che elevano il volume del traffico in modo

proporzionale ad un numero di veicoli equivalenti maggiore di uno.

L’esercizio del servizio di trasporto con autobus può avvenire indipendentemente dagli altri

modi di trasporto, non richiede l’installazione di particolari impianti fissi, offre il vantaggio di

poter servire l’utente da marciapiede a marciapiede, ed è particolarmente flessibile ai

cambiamenti, anche temporanei, dell’assetto della rete viaria. Questi vantaggi hanno fatto

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  129  

sì che l’uso di tali mezzi si sia diffuso in molte città, anche grazie al limitato costo di

investimento; occorre, per contro, prendere atto di un alto costo di esercizio, conseguente

all’elevato rapporto tra agenti e viaggiatori trasportati ed all’usura dei mezzi. Rispetto ad

altri sistemi, l’autobus dà un basso comfort, soprattutto ai passeggeri in piedi, ed è molto

sensibile al variare delle condizioni di viabilità: da qui le basse velocità commerciali che,

nelle zone centrali, possono raggiungere valori anche inferiori a 10 km/h. Per aumentare

la velocità commerciale degli autobus, impegnati nelle direttrici principali, entro i valori

accettabili di 20-25 km/h, compatibili a garantire un’efficiente capacità di trasporto e la

soddisfazione dell’utenza, nelle strade ad alta intensità di traffico è in uso adottare corsie

preferenziali che ne favoriscono il transito. La presenza, lungo le strade, di corsie riservate

incide negativamente sulla capacità globale degli archi e dei nodi della rete stradale

urbana, sulle disponibilità di svolte a destra e a sinistra e sullo svolgimento delle attività

localizzate nel fronte stradale interessato o immediatamente adiacente, per cui la loro

istituzione va fatta con la dovuta attenzione e senza incidere su altri fattori marginali. Il

costo d’investimento per questo tipo di regolamentazione è modesto perché riconducibile

ad una semplice messa in opera di segnaletica stradale e tutt’al più di cordoli delimitatori

di corsia.

La progettazione delle corsie preferenziali non dovrebbe, in ogni caso, essere mai

condizionabile dalle prime proteste, più o meno strumentali, ma derivare sempre da scelte

ponderate, affrontate sia a livello di sistema, sia nel dettaglio delle componenti fisiche e di

arredo urbano, onde evitare che dall’intervento derivino costi esterni per la popolazione

residente. In molti casi, per contenere i disagi delle attività commerciali e garantire

l’accessibilità dei condomini che si affacciano sulla strada, ma soprattutto per ottenere

migliori condizioni di transito, sono stati previsti sistemi con strade percorse dai veicoli a

senso unico e corsie riservate ai mezzi pubblici percorse in direzione contraria; tale

sistema evita così anche l’abuso della sosta delle auto nelle corsie riservate. Onde

consentire l’agevole salita e discesa dei passeggeri dagli autobus, nella carreggiata

stradale devono essere realizzati spazi, accostati ai marciapiedi, dove i mezzi possano

fermarsi senza intralciare eccessivamente la normale circolazione veicolare: la posizione

delle fermate è un fatto progettuale che deve coniugare le esigenze del servizio con quelle

della viabilità (Fig. 4.1).

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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico  

 130

Per quanto riguarda la distanza

fra le fermate successive, si

deve considerare che

un’eccessiva vicinanza riduce la

velocità commerciale dei veicoli,

mentre un forte distanziamento

costringe gli utenti ad un lungo

percorso a piedi, che si riflette

negativamente sulla

convenienza ad utilizzare il

servizio. L’ampiezza della fascia

d’influenza delle fermate nel territorio è funzione della cosiddetta “distanza di rifiuto”, cioè

la lunghezza del tragitto a piedi necessaria a raggiungere la più vicina fermata del servizio

pubblico, che è difficilmente quantizzabile perché condizionata dalle abitudini di vita e

dalle condizioni climatiche, ma può, indicativamente, essere stabilita nei seguenti valori

medi:

• 250 ÷ 400 m, nelle zone urbane ad elevata densità residenziale;

• 400 ÷ 600 m, nelle zone urbane periferiche;

• 600 ÷ 800 m, nelle zone extraurbane.

La dimensione dello spazio delle fermate, necessario per la sosta dei mezzi di trasporto,

dipende da più fattori:

• il numero delle linee che utilizzano la fermata,

• la frequenza dei passaggi,

• la probabilità dei ritardi,

• l’afflusso degli utenti,

• il tempo necessario per la salita sui mezzi.

Il Codice della Strada, all’art. 151, definisce le dimensioni minime d’ingombro delle fermate

per i veicoli in servizio di trasporto pubblico collettivo di linea (Fig. 4.2):

Figura 4.1 Esempio di fermata di un autobus urbano.  

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  131  

• larghezza minima

paria a 2,70 m;

• lunghezza pari a

quella del mezzo

più lungo che

effettua la fermata,

aumentata di 2 m;

• estensione di 12 m

della lunghezza

della fermata, sia a

monte che a valle

della stessa, per

favorire la manovra di accostamento e reinserimento nel traffico da parte del veicolo,

con introduzione del divieto di sosta.

Per non aumentare ulteriormente i disagi nella circolazione stradale va evitato che, in

corrispondenza delle fermate, si generino fenomeni di coda dei mezzi che devono

accostarsi al marciapiede: devono quindi essere fissati il minimo distanziamento ed il

relativo massimo numero di veicoli presenti nelle diverse linee di trasporto pubblico che

afferiscono ad una fermata, in modo da non superare mai il “flusso di saturazione” delle

fermate e non allungare i tempi medi di sosta.

Nelle linee urbane, il flusso di saturazione alle fermate è dell’ordine di 100 ÷ 120 veic/h,

ma, se si vuole contenere il fenomeno delle attese entro limiti accettabili e se si considera

la possibilità dei ritardi che producono accumulo di utenti alle fermate, non si dovrebbero

superare le 60 ÷ 80 unità per fermata. Nei nodi di interscambio fra diverse linee, per non

appesantire la zona di fermata e superare il flusso di saturazione, le fermate delle varie

linee dovranno essere distanziate, obbligando gli utenti ad un piccolo trasbordo, ma

migliorando le condizioni del servizio.

4.3.2 Filobus

I filobus sono veicoli con cassa e telaio, derivati dagli autobus; sono dotati di due aste

indipendenti (aste da presa) per la captazione della corrente da una linea bifilare

Figura 4.2 Schema progettuale di una zona di fermata dei bus.  

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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico  

 132

alimentata alla tensione continua di 600 V o, per i sistemi più avanzati, 750 V; possiedono

motori di trazione ad eccitazione in serie o compound, con regolazione di velocità

mediante reostato o indebolimento di campo (Fig. 3).

Per la circolazione nelle strade

urbane dei filobus, vale la quasi

totalità delle prescrizioni riferite

agli autobus, con limitazioni,

però, circa la possibilità di

variarne il percorso. I filobus

sono veicoli a guida libera, ma

richiedono la dotazione di

impianti fissi; questo legame alla

linea di alimentazione permette

solo spostamenti di circa 3,5 m

dall’asse della linea di contatto

ed impone un costo di impianto

maggiore rispetto agli autobus,

che può produrre problemi di

convenienza economica se

applicato nel caso di linee con

bassa capacità di trasporto (Fig.

4.4).

La presenza della linea aerea

talvolta crea problemi di

carattere estetico ed

economico, soprattutto quando

viene posta in opera nei centri storici o in zone di alto pregio ambientale; per questo

motivo, oggi, sono impiegati mezzi di trasporto bimodali e ibridi che possono trarre

alimentazione dalla linea aerea e staccarsi da essa per proseguire o con la trazione diesel

di cui possono essere dotati o con alimentazione elettrica da batterie che hanno

accumulato energia durante il tragitto servito dalla linea aerea. La bimodalità per i filobus,

Figura 4.4 Sezione stradale con linea di filobus posta al centro.

Figura 4.3 Filobus.  

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  133  

che sino a qualche tempo fa era ritenuta una soluzione per casi d’emergenza e per

spostamenti non compresi nel servizio di linea (come l’ingresso e l’uscita dalle rimesse),

oggi si sta evolvendo verso un sistema che permette di eliminare la linea aerea dove

produrrebbe un forte impatto, oppure, nel caso di linee lunghe o che in periferia si

diramano verso più direzioni, di limitare la posa dei conduttori aerei di contatto alle sole

sezioni ricadenti nelle zone dove il traffico è più intenso e di esercire, in maniera

autonoma, le sezioni estreme, dove il minor traffico non giustifica la spesa per la

costruzione degli impianti di elettrificazione.

L’elemento più caratteristico degli impianti filoviari è lo scambio aereo che deve consentire

l’inoltro delle aste dei filobus lungo uno fra due possibili percorsi, garantendo il necessario

isolamento fra i conduttori delle opposte polarità che si intersecano nel cuore dello

scambio stesso. Gli scambi aerei

presentano un equipaggiamento

mobile capace di assumere una fra

le due posizioni estreme e svolgere

per le aste una funzione di guida

analoga a quella dei più noti deviatoi

ferroviari (Fig. 4.5).

Negli impianti di tipo tradizionale, la

manovra degli scambi aerei è

comandata dal conducente del

filobus, allorché questi debba

inoltrarsi lungo la direzione opposta a quella per la quale lo scambio è predisposto: il

comando si attua con un tempestivo colpo di acceleratore che produce un impulso di

corrente assorbita dalla linea, in grado di eccitare un relè che comanda la posizione

dell’equipaggio mobile. Negli impianti più moderni, il comando degli scambi, ancorché

ottenuto sempre con un impulso di corrente agente su un elettromagnete, è automatico e

può essere programmato in funzione del percorso prestabilito per ciascun filobus: a tal fine

si impiegano sistemi a microonde o ad accoppiamento induttivo con cui i veicoli

trasmettono automaticamente un codice alla cassetta di comando dello scambio.

Le vetture filoviarie moderne hanno superato, con le nuove tecnologie elettroniche, lo

Figura 4.5 Dettaglio delle aste da presa e dello scambio.

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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico  

 134

svantaggio di avere velocità e accelerazioni più basse rispetto agli autobus, e oggi si

stanno nuovamente diffondendo grazie ad un minor costo di trazione, alla riduzione

dell’inquinamento atmosferico dentro la città e alla minore manutenzione occorrente al

parco veicolare.

4.3.3 Tram

I tram sono veicoli per il trasporto pubblico in ambito urbano, guidati da rotaie annegate

nella pavimentazione in modo tale da consentire il transito sopra di esse anche dei veicoli

gommati (Fig. 4.6); sono alimentati da energia elettrica attraverso captazione di corrente

da cavo aereo, con asta munita di rotella in

bronzo oppure con organi struscianti, archetto o

pantografo, e ritorno della corrente attraverso le

rotaie (Fig. 4.7).

Quando la larghezza della strada è sufficiente,

può essere prevista, per il transito dei tram, una

sede propria separata dalla carreggiata stradale

con cordoli o marciapiedi, che può anche non

essere pavimentata. Se cinquant’anni fa il tram

veniva considerato un mezzo di trasporto

pubblico superato, oggi la situazione sta

cambiando radicalmente, perché è apparso evidente che è il mezzo che garantisce il

miglior comfort ed il minore inquinamento. Molte

città hanno, con scelta a dir poco improvvida,

eliminato totalmente i tram e le relative

infrastrutture, in modo tale da rendere il sistema

irrecuperabile; altre città hanno mantenuto le

linee che, fin dagli anni ’70, sono state

modernizzate e sviluppate, nel giusto

convincimento che il trasporto collettivo urbano

e suburbano non potesse essere basato solo

sulle due soluzioni estreme: autobus e metropolitana. È stato dimostrato che le ferrovie

Figura 4.6 Tram.

Figura 4.7 Sistema di captazione del tram.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  135  

metropolitane, abbinate solo ad una rete di autobus, non sono in grado di rispondere

concretamente ed in modo efficace alle esigenze di molte situazioni, non solo nelle città

medie o relativamente piccole, ma anche nelle grandi, dove la presenza di questi due soli

tipi di reti, anche quando efficienti, non basta a soddisfare tutte le esigenze di mobilità e

quindi ad offrire sufficienti alternative al mezzo privato. Lo stimolo determinante per il

rilancio del trasporto tranviario su così vasta scala, che con il passare degli anni è sempre

più evidente, è venuto soprattutto dagli importanti progressi realizzati nella costruzione del

materiale rotabile, nella posa dei binari e nelle tecnologie elettriche di trazione.

I tram sono i mezzi di trasporto che hanno conseguito le maggiori trasformazioni:

Ø sono state introdotte nuove tecniche di posa degli armamenti tranviari nella sede

stradale, con l’adozione di rotaie di tipo pesante che, saldate in barra continua,

realizzano una via guidata di scorrimento che non provoca vibrazioni e riduce la

resistenza al moto. Le rotaie sono posate su platee di calcestruzzo con interposti

giunti antivibranti che impediscono la trasmissione nel terreno delle vibrazioni prodotte

dal passaggio delle vetture; in questo caso si ottiene un sistema di armamento che

ripartisce i carichi mobili dei veicoli, contrasta efficacemente le sollecitazioni trasversali

in modo da non produrre danneggiamenti alla pavimentazione della strada ed evita

ogni effetto negli edifici adiacenti a causa delle vibrazioni. Il miglioramento del sistema

di armamento tranviario, unito a quello delle sospensioni delle vetture ed alla loro

bassa carenatura, ha portato ad una riduzione della rumorosità di questi veicoli che

oggi è di circa 20 dB(A) inferiore a quella degli autobus e del traffico motorizzato in

genere;

Ø il ritorno delle pavimentazioni in pietra nelle strade cittadine, soprattutto nei centri

storici, ha ulteriormente incentivato l’utilizzo dei tram in quanto i carichi trasmessi da

questi mezzi non agiscono direttamente sulla pavimentazione, ma sono ripartiti al di

sotto della stessa e quindi non la danneggiano né la consumano come fanno, invece,

altri veicoli pesanti, quali autobus e filobus;

Ø i tram di oggi, rispetto alle vecchie vetture, sono caratterizzati da una grande sicurezza

di frenatura che ha superato l’inconveniente della modesta aderenza fra ruota

metallica e rotaia, che produceva lunghi spazi d’arresto. I moderni veicoli tranviari,

oltre alla normale frenatura elettrica ed elettroidraulica d’esercizio, dispongono anche

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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico  

 136

di una frenatura d’emergenza che agisce direttamente sulla rotaia con pattini

elettromagnetici articolati, due per ogni carrello, che garantiscono una decelerazione

molto rapida, sino a 3 m/s2, costante e sicura con qualsiasi condizione atmosferica,

anche con pioggia, neve o gelo;

Ø i tram sono oggi dotati di apparecchiature di trazione innovative, basate

prevalentemente sugli “inverter”, che hanno reso possibile l’uso di motori a corrente

alternata, più pratici e leggeri di quelli tradizionali a corrente continua, pur mantenendo

in corrente continua la linea aerea di alimentazione;

Ø le tecnologie delle nuove apparecchiature di trazione, con la possibilità di far

funzionare le vetture tranviarie con due o più tensioni di alimentazione elettrica, anche

del tutto diverse, affiancate ad alcuni accorgimenti nella sagomatura delle nuove rotaie

tranviarie a gola, consentono di far transitare i tram indifferentemente sulle linee

tranviarie urbane e sulle linee ferroviarie. In Francia ed in Germania, questo sistema,

denominato “treno-tram”, ha trovato applicazione con il recupero e l’inserimento nella

rete di trasporto urbano di linee ferroviarie dismesse o poco utilizzate. In Italia, invece,

permangono problemi di natura amministrativa, soprattutto connessi alla prescrizione

di sicurezza dei mezzi ferroviari che impone caratteristiche nei telai dei rotabili

ferroviari tali da garantire una resistenza alla pressione sui respingenti di 200

tonnellate, difficile da ottenere in vetture che possano transitare nelle strade urbane.

Questo vincolo potrà essere superato se il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti

accetterà l’introduzione di misure alternative, in modo da garantire lo stesso livello di

sicurezza con vetture più leggere e sistemi di guida automatizzata più efficienti.

L’evoluzione ottimale del sistema che utilizza come mezzo di trasporto il tram e che può

dotare le città di un sistema efficiente, è quella di eliminare la promiscuità delle reti

tranviarie con la circolazione degli altri veicoli, realizzando quelle che sono definite

metrotranvie, ovvero tracciati tranviari con sedi il più possibile riservate o protette,

svincolate nelle intersezioni su più livelli o per le quali sia favorita la priorità agli incroci,

attraverso semafori intelligenti, permettendo l’ingresso delle vetture tranviarie nelle aree

pedonali e l’utilizzo di linee ferroviarie abbandonate.

4.3.4 Ferrovie metropolitane

Nelle zone centrali delle città, la ridotta dimensione della rete stradale e l’elevata densità

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  137  

degli insediamenti, residenziali e produttivi, causano condizioni critiche nella mobilità e nei

trasporti, con la contestuale impossibilità di creare nuove infrastrutture e di potenziare le

esistenti. Nei casi più complessi delle grandi città, la soluzione obbligata è stata

forzatamente trovata nella creazione di una rete di trasporto ferroviario sotterraneo. Si

tratta delle linee metropolitane, che si caratterizzano per l’elevata capacità di mobilità, la

massima velocità commerciale e la regolarità del servizio, indipendente dalle condizioni

del traffico di superficie; hanno però costi di costruzione elevati che ne giustificano la

realizzazione solo quando i vantaggi economici possono essere trasferiti su una

consistente comunità di cittadini, anche conferendo alla città nuovi assetti urbanistici che

incentivino gli insediamenti, abitativi e produttivi, nelle zone servite dalle nuove linee.

La prima metropolitana europea, inaugurata nel gennaio 1863 a Londra, era sotterranea,

lunga 6,4 km, a trazione a vapore, e univa la Farringdon street con la Bishop's road; la

prima americana, costruita a New York nel 1870, era sotterranea, e fu un insuccesso. Si

iniziarono allora i lavori per la costruzione di una sopraelevata. Gli Inglesi furono i pionieri

della trasformazione del tipo di trazione da vapore in elettrica (Londra 1890); elettriche

furono poi le metropolitane di Chicago (1892, sopraelevata), di Parigi (1900, sotterranea

nella maggior parte), di Boston (1901), di Berlino (1902). Fra il 1900 e il 1930 furono

costruite metropolitane a Filadelfia, Buenos Aires, Amburgo, Madrid, Barcellona. Nel 1935

fu inaugurata la metropolitana di Mosca, nel 1954 quella di Toronto, nel 1955 quella di

Roma. Degli anni successivi vanno ricordate le metropolitane di Milano (1964), di Montreal

(1966), di Francoforte sul Meno e di Rotterdam (1968). In Italia, quindi, le metropolitane

sono state introdotte con oltre mezzo secolo di ritardo rispetto ad altri Paesi industrializzati

ed hanno avuto una diffusione limitata in poche città. A Milano, ci sono tre linee, con uno

sviluppo di circa 71 km; due linee sono a Roma per complessivi 36 km (ma è in

costruzione la terza linea); a Napoli, finora sono in esercizio 10 km; Catania ha in esercizio

un tratto di linea di 3,8 km e Genova di 5,1 km. In totale si hanno circa 126 km di linee

metropolitane, con 147 stazioni.

Anche se le tecniche di costruzione si sono notevolmente evolute, il problema del costo

elevato per la realizzazione delle ferrovie metropolitane rimane determinante. Le linee

possono essere costruite a livelli di profondità diversi e la scelta del dislivello più

opportuno fra la superficie e il piano medio del binario viene fatta sulla base di vari

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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico  

 138

elementi. Una prima tipologia di metropolitana si definisce profonda quando per la sua

esecuzione si richiedono le tecnologie classiche delle gallerie con avanzamento a foro

cieco (Fig. 4.8); una seconda categoria si definisce superficiale quando la sua esecuzione

può essere realizzata operando dalla superficie, cioè a cielo aperto (Fig. 4.9).

I motivi che inducono a adottare strutture

profonde sono molteplici. In genere la scelta è

subordinata alle seguenti esigenze:

Ø di tracciato in relazione all’andamento

altimetrico della superficie;

Ø connesse con i vincoli del suolo:

sottopassi di importanti manufatti come

fabbricati, ponti, ferrovie, etc.;

Ø dovute alla natura del sottosuolo

(caratteristiche dei terreni da attraversare,

presenza di acqua, etc.);

Ø legate ad un sottosuolo ricchissimo di

reperti archeologici (come, ad esempio,

nel caso di Roma).

Nella scelta della profondità ottimale, è

necessario mettere in conto i costi e, non

tanto quelli di realizzazione delle opere civili,

quanto invece quelli legati all’esercizio della

linea. Appare in proposito ovvio che una

struttura profonda richiede apposite

apparecchiature per consentire il trasporto verticale dei viaggiatori (scale mobili e

ascensori) e quindi maggiori spese di esercizio senza contare che costringe comunque i

viaggiatori stessi a compiere dei percorsi più lunghi. Tra i motivi che consigliano il tracciato

superficiale solitamente vengono citati i minori costi di esercizio e quelli di costruzione.

Mentre non sussistono dubbi sulla convenienza dei primi, sussistono dei dubbi sui

secondi. In linea teorica infatti una struttura di superficie dovrebbe avere costi di

esecuzione certamente inferiori a quelli delle equivalenti strutture in galleria vera e propria:

Figura 4.8 Metropolitana di tipo profondo.

Figura 4.9 Metropolitana di tipo superficiale.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  139  

occorre però tenere in conto alcune importanti remore che, influenzando notevolmente i

sistemi ed i tempi di escavazione delle strutture superficiali, finiscono per incidere a tal

punto sui costi di esecuzione da far preferire talvolta il tracciato profondo quand’anche le

condizioni morfologiche di superficie e quelle geologiche dei terreni consiglino il tracciato

superficiale. Ci riferiamo:

Ø alla viabilità che deve essere necessariamente interrotta, sia pure a tratti, con

gravissime ripercussioni sul traffico di superficie e sull’attività degli esercizi

commerciali: per ovviare almeno in parte a questi inconvenienti si è a volte costretti a

ricorrere ad opere che allungano notevolmente i tempi di esecuzione;

Ø alla necessità di deviare i pubblici servizi (cavidotti, condotte per acqua, gasdotti,

fognature, etc.).

Ad ulteriore chiarimento delle osservazioni appena svolte, occorre poi precisare i seguenti

aspetti:

• le gallerie superficiali altro non sono se non “scatole” realizzate entro una trincea ed i

problemi riguardano non tanto il modo di scavare, quanto invece la maniera di

realizzare questa lunga scatola in tempi brevi e nel rispetto delle strutture preesistenti;

• le gallerie di superficie, visto il modo di esecuzione (a cielo aperto) ricadono sempre

sull’asse di grandi vie cittadine.

Riguardo al funzionamento in condizioni di esercizio occorre osservare che le linee

componenti una rete metropolitana sono sempre indipendenti, con materiale proprio. I

treni sono costituiti dall'insieme di più vetture rimorchiate e automotrici, tutte comandate

dalla cabina di testa, collegata da accoppiatori automatici.

Per aumentare la velocità media (fra 30 e 40 km/h) si tende ad aumentare le accelerazioni

di avviamento (fino a 1,3 m/s2) e la decelerazione di frenatura (fino a 1,8 m/s2). Per

ottenere queste prestazioni si aumenta la potenza e si diminuisce il peso, utilizzando

strutture in lega leggera. Il distanziamento dei treni successivi viene eseguito mediante

sistemi di blocco automatico, atti a provocare l'arresto dei treni quando la distanza diventa

minore di un valore dato (sistema francese), o quando vengano oltrepassati segnali a via

impedita (sistema inglese e americano). Nella metropolitana di Parigi è in atto un sistema

di controllo automatico della velocità, in base ai tempi impiegati a percorrere successivi

tratti, che vengono segnalati sia al conduttore del treno, sia a una cabina di comando

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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico  

 140

centralizzata dalla quale vengono emanati eventuali ordini di variazione di velocità; si

tende anzi ad effettuare tale comando a distanza in modo automatico, con calcolatori

elettronici opportunamente programmati. Per quanto riguarda la geometria del tracciato, le

linee delle ferrovie metropolitane di tipo tradizionale devono far riferimento alle Norme

UNIFER UNI 7836, che fissano alcune delle caratteristiche principali:

Andamento planimetrico:

Ø i raggi di curvatura devono essere, in linea generale, i maggiori possibili e comunque,

a meno che non sussistano gravi difficoltà locali, devono permettere la circolazione

alla velocità caratteristica fissata dal materiale rotabile e dal segnalamento;

Ø sui tratti percorsi dai treni con i viaggiatori, il raggio di curvatura non deve essere

minore di 150 m; nei depositi e nei raccordi il raggio non deve essere minore del limite

minimo ammesso dal materiale rotabile, solitamente 75 m;

Ø nel passaggio da rettilineo a curva circolare, oppure tra due curve di senso opposto,

oppure ancora da una curva circolare ad un’altra nello stesso senso, ma di raggio

diverso, devono essere inseriti raccordi clotoidici oppure, quando la lunghezza del

raccordo è minore di un terzo del raggio, a parabola cubica;

Ø nel caso di due curve che si susseguono di senso opposto, ove possibile, si deve

ottenere un raccordo continuo o, quando necessario, va inserito un tratto rettilineo che

deve essere lungo almeno 50 m.

Accelerazioni trasversali e sopraelevazioni:

Ø l’accelerazione trasversale non compensata non deve mai superare 0,9 m/s2, con la

velocità massima ammessa in curva; la sopraelevazione non deve mai essere

maggiore di 160 mm, con binario a scartamento ordinario;

Ø se si prevede che, in un determinato tratto della linea, tutti i treni circolino per tutta la

lunghezza del tratto all’incirca alla stessa velocità, la sopraelevazione deve essere

scelta in modo che, a tale velocità, l’accelerazione trasversale non compensata sia

nulla o almeno la minima possibile;

Ø in generale, il raccordo di sopraelevazione va effettuato lungo i raccordi planimetrici e

deve avere variazione altimetrica lineare; nei tratti in cui esistono problemi d’altezza, il

raccordo può essere realizzato mantenendo l’asse del binario lungo il tracciato teorico,

abbassando una rotaia ed alzando l’altra in ugual misura rispetto all’asse; la

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  141  

variazione di sopraelevazione, e quindi il conseguente sghembo, non devono in alcun

caso superare i 3 mm/m; in generale tale valore deve essere il più limitato possibile;

Ø la variazione lungo il raccordo dell’accelerazione trasversale non compensata non

deve in alcun caso superare il limite di 0,4 m/s2 per un treno che percorre il raccordo

stesso alla massima velocità consentita.

Andamento altimetrico:

Ø la pendenza massima ammissibile fuori dalle stazioni deve essere fissata tenendo

conto sia della velocità commerciale prevista e del tipo di materiale rotabile che si

intende adottare, sia della situazione orografia del territorio attraversato;

Ø di regola, tale pendenza massima non deve essere maggiore del 4% e, solo quando le

condizioni locali lo rendano necessario o lo consiglino, possono essere adottate

pendenze maggiori;

Ø il tracciato geometrico della linea, nelle tratte in pendenza, deve tener conto delle

resistenze dovute alla presenza di eventuali curve, resistenze che devono essere

opportunamente compensate riducendo la pendenza rispetto a quella prevista in

rettilineo, nonché delle eventuali condizioni particolari del coefficiente di aderenza, se

la linea è soggetta a fattori che possono influenzare negativamente, come formazione

di ghiaccio, caduta di foglie, etc.;

Ø per le linee in salita, con pendenza

maggiore del 4% , in uscita dalle

stazioni deve essere prevista una

tratta di lunghezza adeguata con

pendenza non maggiore di quella

della stazione;

Ø tra due livellette successive dovrà

essere disposto un raccordo

altimetrico circolare di raggio non

minore di 3000 m. È ammesso un

raggio minore, fino ad un minimo di

1800 m, per raccordi percorsi a velocità inferiori a 60 km/h e, in particolare, all’entrata

e all’uscita delle stazioni.

Figura 4.10 Stazione della metropolitana di New York.

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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico  

 142

Finora il costo elevato delle metropolitane di tipo tradizionale ne ha circoscritto la

costruzione alle sole grandi città, dove la domanda di trasporto giustifica l’entità degli

interventi (Fig. 4.10); più di recente, in ragione dell’estendersi della domanda di mobilità, è

sorta l’esigenza di poter dotare di un sistema di trasporto pubblico che abbia elevata

potenzialità anche nuclei urbani di media entità, dove soprattutto è necessario integrare

l’ambito urbano con quello extraurbano.

A tale scopo sono stati predisposti sistemi di trasporto, sempre di tipo ferroviario, ma con

caratteristiche inferiori a quelli delle ferrovie metropolitane classiche. Questi sistemi di

trasporto prendono il nome di

metropolitana leggera (ML) o

Light Rapid Transit System (LRT).

In pratica si tratta di un

compromesso fra metropolitana e

tranvia con tracciato parzialmente

in superficie e in parte

sotterraneo, in parte in sede

propria e in parte in sede

promiscua; cioè può comportare

un regime di circolazione “a vista”

e con punti di conflitto con il

traffico pubblico e privato su gomma. Il materiale rotabile, a sagoma tranviaria, può

raggiungere una potenza di 360 kW e velocità massima di 75-80 km/h. Le portate orarie

sono mediamente di 12000 passeggeri/ora per senso di marcia (minimo 8000

passeggeri/ora per senso di marcia) contro un valore medio di 30000 pass/h per senso di

marcia nel caso delle metropolitane tradizionali (Fig. 4.11). Potendo essere anche previsto

il tracciato in superficie, la costruzione delle metropolitane leggere deve, in ogni modo,

minimizzare l’occupazione del piano viabile esistente ed in genere delle aree ancora a

disposizione dei cittadini, non creare cesure nel territorio e garantire il rispetto dell’edificato

storico, degli edifici monumentali e dei giacimenti archeologici, soprattutto entro il

perimetro del centro cittadino. Si devono, inoltre, adottare tecniche costruttive che

minimizzino l’impatto sulla viabilità, evitando, per esempio, di peggiorare in modo

Figura 4.11 Layout della metropolitana leggera di Hannover.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  143  

significativo le condizioni di deflusso del traffico per l’ingombro dei cantieri. Le opere civili

possono includere gallerie, trincee coperte, viadotti, una serie di tratti di transizione tra

viadotti e galleria, ponti, stazioni all’aperto ed in sotterraneo, parcheggi su più piani,

interrati ed in elevazione, depositi. La prerogativa fondamentale delle metropolitane

leggere consiste nella riduzione dei costi di costruzione e di esercizio; ciò è dovuto a:

• realizzazione di sezioni trasversali dei tratti in galleria meno estese e di elementi delle

strutture in elevazione (ponti, viadotti, rilevati, etc.) dimensionati per carichi viaggianti

minori in quanto la larghezza delle vetture è di circa 2,40 m ed il peso/ml varia intorno

a 1,25 t/m;

• minor lunghezza di tracciato in galleria o in sede del tutto protetta dato che la

percentuale di percorso in sede propria può variare tra il 25 ed il 75%;

• stazioni con banchine più corte (circa 60 m contro più di 100 m per le metropolitane

tradizionali) spesso prive di piattaforme rialzate e di ampiezza ridotta in quanto è

minore sia la lunghezza dei convogli che la frequentazione di passeggeri alle fermate;

• velocità commerciale ridotta (circa 30 Km/h contro gli oltre 35 Km/h delle

metropolitane tradizionali), per cui non occorre ridurre oltremodo la pendenza

longitudinale della sede ed aumentare il raggio medio di curvatura;

• sistema dei treni, delle stazioni e delle linee, completamente automatizzato, così da

non richiedere l’impiego di personale

sui treni, nelle stazioni e lungo il

tracciato;

• circolazione a vista estesa a parte del

tracciato e mancanza di necessità di

dispositivi di arresto alle fermate

(arresto a bersaglio), in seguito alla

velocità di marcia ridotta ed all’esiguo

numero di elementi che formano un

convoglio.

Strettamente derivata dalla metropolitana

leggera è la cosiddetta metropolitana su

gomma. Si tratta di una forma di trasporto ferroviario che utilizza alcune tecnologie tipiche

Figura 4.12 Metropolitana su gomma a Parigi.

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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico  

 144

della strada: le vetture hanno ruote con pneumatici di gomma che corrono su rotaie di

calcestruzzo o acciaio. Come nelle ferrovie, il macchinista non deve manovrare le ruote,

che scorrono guidate dai binari (Fig. 12).

La famiglia VAL (acronimo di Véhicule Automatique Léger), utilizzata in diverse città, come

a Lille, è una metropolitana a pneumatici. I treni con pneumatici sono perlopiù costruiti e

progettati appositamente per il sistema su cui operano. Spesso vengono costruiti anche

autobus che hanno normali gomme da strada, ma circolano su appositi percorsi composti

da binari che guidano il mezzo; questi sistemi sono chiamati tram su gomma, e sono

spesso associati alla metropolitana su gomma. Su questi sistemi, come a Parigi, Montreal

e Città del Messico, i veicoli hanno anche ruote adatte per i binari più alte delle normali

flange (poste ad altezza maggiore rispetto alle rotaie); tali ruote, però, vengono

solitamente utilizzate in caso di rottura dei pneumatici. A Parigi, in qualche caso, i percorsi

per autobus su rotaia sono stati progettati per essere utilizzati sia da sistemi su gomma

che da treni con ruote normali. I veicoli impiegati in questi sistemi ibridi sono elettrici e la

tensione è fornita loro da una o da entrambe le rotaie che fungono da guida. La corrente di

ritorno passa attraverso la ganascia del freno e ritorna in una o in entrambe le rotaie, a

seconda dei tipo del sistema. Tra i vantaggi della metropolitana su gomma ci sono: la

minore produzione di rumore, le maggiori accelerazioni, gli spazi minori per la frenata e la

capacità di salire o scendere da tracciati più inclinati di quanto sarebbe possibile con le

normali ruote in materiale acciaioso.

Ci sono comunque diversi svantaggi, legati principalmente al fatto che le ruote di gomma

frizionano molto di più contro il binario che quelle di acciaio, il che porta a un consumo più

elevato di energia e ad una maggiore produzione di calore (di solito, proprio per questo

motivo, nei tunnel sono installati impianti di ventilazione). Inoltre i veicoli perdono

rapidamente la capacità di trazione quando sono sottoposti a condizioni climatiche

avverse (specialmente neve e ghiaccio).

Anche il costo è un elemento particolarmente condizionante: i pneumatici di gomma si

consumano molto più velocemente dell'acciaio, e quindi necessitano con maggiore

frequenza di manutenzione e di sostituzioni (anche se le ruote in acciaio sono più costose

di quelle di gomma, la frequenza delle sostituzioni rende i costi delle ruote di gomma

maggiormente onerosi). Anche la qualità del viaggio è variabile: talvolta i livelli di rumore

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  145  

non sono apprezzabilmente minori di quelli prodotti nelle normali ferrovie. Si riportano

infine, nella tabella 4.1, alcuni parametri di confronto tra i diversi sistemi di trasporto

pubblico collettivo, con riferimento alla portata potenziale minima, al distanziamento tra i

convogli, alla capacità dei convogli, alla distanza minima fra le stazioni, alla velocità

commerciale ed alla lunghezza massima dei convogli.

Metropolitana Metropolitana leggera

Tranvia veloce (Metrotranvia)

Tranvia

Portata potenziale minima (pax/h�dir) 24000 8000 2700 1000

Distanziamento (minimo) 3 3 4 10 Capacità del convoglio (pax) 1200 200-400 180 180 Distanza media tra le stazioni (m) 600-1000 500-800 350-500 200-350 Velocità commerciale (km/h) 30-35 25-30 18-25 10-20 Lunghezza massima del convoglio (m) 150 80 60 30

Tabella 4.1 Parametri di confronto tra diversi sistemi di trasporto collettivo su rotaia.

4.4 SISTEMI DI TRASPORTO PUBBLICO INDIVIDUALE

Una modalità di trasporto pubblico innovativa, il cui potenziamento è auspicato anche

dagli strumenti di pianificazione dei trasporti quali il PUM, è costituita dal trasporto

pubblico individuale. In questo modo di trasporto, a differenza di quello collettivo, i punti di

prelievo e di arrivo dei passeggeri, nonché i tragitti (urbani ed extraurbani) di connessione,

non sono prefissati a priori dal gestore del servizio, ma vengono organizzati sulla base

delle esigenze di singoli utenti. In molti casi, dunque, si realizza un sistema di collegamenti

del tipo porta a porta. Un sistema di questo tipo particolarmente diffuso ormai da parecchi

decenni, è quello del servizio taxi; tuttavia esistono altre tipologie di trasporto urbano

individuale (car sharing, car pooling, taxi collettivi, bus a chiamata) le quali, già diffuse

capillarmente a livello mondiale, si stanno rapidamente estendendo a livello europeo e

cominciano ad avere interessanti applicazioni anche sul territorio italiano.

4.4.1 Car Sharing

Il Car Sharing ha come obiettivo quello di fornire alle persone che manifestino l'intenzione

di associarsi al progetto la possibilità di noleggiare una vettura dotata di sistemi ad alta

tecnologia, per spostarsi prevalentemente nelle città e nelle aree metropolitane,

usufruendo di parcheggi dedicati, nei quali è possibile prelevare e riconsegnare la vettura

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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico  

 146

in ogni momento della giornata.

Il Car Sharing, in particolare, è un servizio volto a soddisfare le esigenze di chi, pur non

volendo rinunciare alla comodità di possedere un'auto propria, tuttavia, per l'utilizzo che ne

intende effettuare, reputa assai poco conveniente far fronte a tutte le incombenze ed ai

costi che ne conseguirebbero: non si paga più il "bene automobile", bensì solamente l'uso.

Gli utenti interessati si devono abbonare al servizio ed in base a questo hanno diritto ad

utilizzare l'auto solo per il tempo di cui hanno bisogno (compresi i tempi molto brevi, un'ora

ad esempio). Dopo averla utilizzata la rimettono a disposizione di altri utenti nelle aree di

parcheggio appositamente create pagando una tariffa proporzionata alla durata di utilizzo

ed ai chilometri percorsi. L'utente può scegliere a seconda del tipo di spostamento che

deve compiere l'autovettura più idonea (dalla citycar alla monovolume). Le auto sono

sempre controllate dal punto di vista meccanico e non si hanno problemi di parcheggio

data la capillarità con cui devono essere realizzate le aree di sosta riservate.

Le società di Car Sharing mettono a disposizione dei propri associati un parco autovetture

di proprietà collettiva, disponibile 24 ore su 24, che possono essere utilizzate previa

prenotazione del mezzo con una semplice telefonata, specificando l'orario ed il luogo in

cui si intende prelevare e rilasciare definitivamente l'auto. I costi per l'utenza sono costituiti

da una quota annuale di partecipazione, una tariffa chilometrica ed una oraria.

I vantaggi derivanti dall'uso del Car Sharing come alternativa al possesso di un

autoveicolo (magari la seconda macchina) sono:

Ø non ci si deve più preoccupare di tutte le problematiche connesse con un'auto propria

(assicurazione, bollo, manutenzione, pulizia, garage, riparazioni);

Ø si può differenziare la scelta in funzione dei propri bisogni (una city car per andare in

centro, una più grande per i week-end, una per i grandi acquisti);

Ø per una percorrenza annuale inferiore agli 8000 - 10000 km si risparmiano tra 1500 e

2000 Euro all'anno rispetto all'auto di proprietà;

Ø vi è la possibilità, come succede a Torino e a Venezia, di transitare e sostare

liberamente nelle "Zone a Traffico Limitato", di utilizzare le corsie preferenziali e/o le

corsie riservate ai mezzi pubblici nell'ambito del territorio comunale, di sostare

gratuitamente nei posteggi a pagamento ("strisce blu") di tutta la città e di circolare

liberamente nei giorni cosiddetti a "targhe alterne";

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  147  

Ø inoltre è possibile usufruire dell'interoperabilità del servizio, ovvero, con la medesima

tessera, è possibile utilizzare tale modalità in tutte le città che aderiscono al

programma nazionale Iniziativa Car Sharing (ICS). L'interoperabilità su Rimini e

Milano e provincia è già attiva e completamente gratuita, mentre per poter ottenere

l'interoperabilità sulle altre città del circuito ICS (Genova, Firenze, Bologna, Modena,

Roma, Torino, Venezia) è necessario richiedere esplicitamente l'attivazione del

servizio, comunicando su quali città si desidera attivarlo. L'attivazione viene effettuata

previo pagamento della quota "una tantum" da parte dell'utente: € 10,00 per la singola

città, € 25,00 per tutte le città.

Dalle stime effettuate sui benefici conseguibili dalla diffusione del Car Sharing emerge

inoltre che:

• si riduce di circa 40000 km la percorrenza annua dei mezzi privati (circa il 72% in

meno): ciò è parzialmente compensato dal maggior utilizzo delle due ruote (+1300

persone/km per anno), delle biciclette (+800) e, soprattutto, del trasporto pubblico

(+2000);

• vi è una drastica riduzione delle emissioni inquinanti e del traffico grazie alla

diminuzione della percorrenza chilometrica media;

• diminuisce l'occupazione di suolo pubblico, infatti ogni veicolo di car sharing è capace

di sostituire da 5 a 10 auto private;

• si favorisce l'intermodalità con gli altri mezzi pubblici grazie alla dislocazione dei

parcheggi in cui si possono ritirare le autovetture dedicate al car sharing;

• viene garantita un'ottimizzazione del tempo, evitando le estenuanti ricerche di

posteggi grazie all'uso dei posteggi dedicati alle vetture del car sharing.

Il Car Sharing ha esempi applicativi in Nord-America e nel Canada, dove esistono già più

di dieci organizzazioni, raggruppate in "Car Sharing Network" e distribuite in più di 50 città

americane; a Singapore ed in Giappone.

In Europa, attualmente, le persone associate ad un servizio di Car Sharing sono 100000 e

4000 i veicoli disponibili in oltre 600 città di Austria, Francia, Germania, Olanda, Svizzera e

Scandinavia. Il trend annuo di crescita degli associati è del 50% all'anno.

In Italia, il Ministero dell'Ambiente ha stanziato fondi a sostegno dell'ICS (Iniziativa Car

Sharing). ICS è il circuito nazionale che coordina diverse realtà locali del servizio. Nel

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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico  

 148

primo anno di attivazione del servizio di car sharing gli

utenti sono passati da 2200 a 4300 circa ed i chilometri al

mese sono stati 312 mila contro 145 mila. È risultata in

crescita anche la conoscenza presso i cittadini: dal 15%

del dicembre 2001 al 44,5% del dicembre 2004 (Fig.

4.13).

Venezia, Torino e Bologna (le prime ad attivare il

servizio), nel primo anno di attivazione, hanno guidato la

classifica degli utenti con rispettivamente 1134, 865 e 810

tessere, mentre Torino e Genova sono state in testa per

chilometri mensili percorsi con 91012 e 66266 ciascuna.

L'intento è quello di:

Ø realizzare un servizio nazionale di car sharing;

Ø promuovere e incentivare l'uso del servizio di car sharing in ambito nazionale;

Ø mantenere l'autonomia gestionale delle iniziative locali;

Ø concordare con il Ministero dell'Ambiente le modalità di attivazione e finanziamento

del progetto car sharing;

Ø formalizzare il regolamento che disciplini le attività dell'ufficio Iniziativa car Sharing;

Ø raggiungere, a breve, nelle aree di attivazione del car sharing, il 2 - 2,5% dei

“patentati”.

A tal fine è stato istituita una "Conferenza degli Assessori alla Mobilità" quale organo di

decisione, indirizzo e controllo delle attività connesse all'ICS ed è stato costituito uno

specifico ufficio con la designazione di un Direttore, un Segretario ed un Presidente scelto

fra gli Assessori delle città aderenti all'iniziativa. In particolare, il servizio di Car Sharing è

attualmente disponibile a: Torino, Milano, Sesto San Giovanni, Rimini, Bologna, Venezia,

Bolzano, Genova, Roma, Firenze, Parma, Modena.

4.4.2 Car Pooling

Il servizio di Car Pooling è strutturato in modo tale da permettere l'uso collettivo di un

veicolo da parte di più utenti, accomunati dal dover percorrere il medesimo tratto di strada,

permettendo così di condividere le spese. Il Car Pooling, in pratica, è un sistema di

Figura 4.13 Spot sul Car Sharing della Provincia di Modena.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  149  

trasporto da effettuare con

mezzo privato ed organizzato

dai lavoratori di aziende situate

nella medesima zona che

consiste nell'utilizzare una sola

autovettura, con più persone a

bordo, per compiere un

medesimo tragitto, con

l'obiettivo di diminuire il numero

delle vetture circolanti e di conseguenza ottenere vantaggi ambientali notevoli (Fig. 4.14).

Questo servizio nasce come sistema gestionale rivolto al Mobility Manager aziendale e

non solo, con lo scopo di consentire una pratica organizzazione e gestione degli

spostamenti sistematici dei gruppi di persone che possono trovare conveniente l'uso in

comune di un veicolo di loro proprietà allo scopo di soddisfare il Decreto per la "riduzione

dell'uso del mezzo di trasporto individuale..." (D. Lgsl. 27/03/1998).

L'idea è semplice ma, come altri strumenti di mobilità, non ha avuto un impatto positivo in

Italia. Infatti bisogna prevedere per il suo sviluppo degli incentivi come: aree di parcheggio

dedicate, bonus sugli abbonamenti dei trasporti pubblici, flessibilità negli orari di ingresso

e uscita, etc.

Ad oggi tale modalità risulta ampiamente utilizzata all'interno delle aziende, ma in modo

spontaneo e non coordinato, non ottenendo quindi i risultati potenziali raggiungibili tramite

una gestione unitaria ed efficiente, anche attraverso l'utilizzo di mezzi informatici e

telematici. In alcune città, ad esempio, i cittadini, stanchi di doversi sempre trovare con

altri automobilisti quotidianamente intrappolati lungo tratti stradali continuamente

congestionati, si sono fatti promotori di iniziative di Car Pooling spontaneo, proponendo

che i pendolari e quanti altri interessati prendessero l'abitudine di recarsi nel luogo di

destinazione (azienda, fabbrica, ufficio, etc.) in compagnia di altri automobilisti che

compiono lo stesso percorso, mettendosi d'accordo in anticipo, attraverso messaggi via

Internet o sms e darsi appuntamento ad un determinato incrocio.

Gli sviluppi più significativi dei servizi di Car Pooling si sono avuti negli Stati Uniti dove, ad

oggi, esistono agenzie di raccolta e smistamento dati: gli utenti comunicano

Figura 4.14. Spot sul Car Pooling

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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico  

 150

telefonicamente o via Internet le proprie disponibilità ed esigenze, il call center provvede,

quindi, a fornire i dati relativi più idonei. Gli aspetti positivi del Car Pooling, riscontrati

nell'esperienza americana, sono i seguenti:

Ø è flessibile: lo si può utilizzare anche solo una volta alla settimana;

Ø è comodo: permette di evitare gli ingorghi del traffico percorrendo le corsie

preferenziali;

Ø è utile: non è necessario possedere un'automobile, si può far parte di un "pool" come

passeggero.

In Svizzera è attivo il servizio denominato click, call and pool ("click" significa l'utilizzo di

Internet e "call" indica la chiamata di qualcuno per andare in automobile con questa

persona in un determinato luogo). Si tratta di un servizio che permette di condividere una

corsa con persone sconosciute fino a quel momento. I partecipanti devono registrarsi

elettronicamente (oppure tramite posta o telefono) e possono utilizzare il servizio

immediatamente. In qualità di user non registrato si possono guardare le inserzioni di altri

utilizzatori ma non si possono controllare informazioni ed indirizzi personali. Per quanto

riguarda i costi, se la registrazione avviene tramite Internet, è gratis; se avviene tramite

posta o tramite telefonata al call center, si pagano 25 franchi svizzeri all'anno. Non vi sono

costi aggiuntivi e si può utilizzare il servizio quanto e quando si vuole.

In conclusione, attraverso tale sistema di Car Pooling:

• un guidatore trova dei passeggeri e questi ultimi trovano un guidatore per se stessi;

• si ottiene un vantaggio sia per il profitto dei singoli, sia per l'ambiente;

• il guidatore deve ricevere dal passeggero 0,10 - 0,20 franchi svizzeri per chilometro.

4.4.3 Taxi collettivo

Il taxi collettivo rappresenta uno dei sistemi innovativi e alternativi di trasporto di facile

realizzazione, che impiega vetture aventi una capienza massima di 10-12 passeggeri, con

doti di comodità e duttilità, ad un prezzo inferiore rispetto a quello del taxi tradizionale.

Sebbene un servizio di taxi collettivo possa essere realizzato semplicemente ricalcando il

percorso di linee bus già esistenti o comunque su itinerari fissi, come negli esempi di

Napoli e Roma, può diventare un servizio più personalizzato e aderente ai bisogni degli

utenti, per flessibilità dei percorsi e gestione della flotta in tempo reale, realizzato facendo

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  151  

ricorso a tecnologie telematiche. Può prevedere uno o più luoghi di salita o discesa

comuni (ad esempio, un aeroporto, più fermate) e comprendere un servizio da porta a

porta, a somiglianza del taxi individuale, differenziandosi, sotto questo aspetto, dalle

esperienze dei servizi pubblici a chiamata e percorso variabile (Firenze, Imola, Bologna).

Un possibile esempio di applicazione consiste in un servizio di navette che percorrono

itinerari predeterminati ad orari fissi. La flessibilità è nella fermata dei veicoli che può

essere effettuata su richiesta dell'utente sia per scendere che per salire. Questa

caratteristica non preclude di solito la presenza sul percorso delle possibili fermate

identificabili con apposita segnaletica. Il servizio può essere dotato di uno o due capolinea

a seconda della lunghezza del percorso ed ha una frequenza prestabilita a priori in

funzione della fluttuazione oraria della domanda. Il servizio può anche rispondere a

motivazioni di ordine sociale, come nei casi in cui esso è:

1) destinato a una utenza debole, come ad esempio anziani, bambini, portatori di

handicap, casi in cui il servizio da porta a porta è insostituibile e non surrogabile da

nessuna linea bus;

2) realizzato in aree a domanda debole, caratterizzate cioè da insediamenti molto

dispersi. In quest'ultimo caso il servizio di taxi collettivo può, in prospettiva, diventare

un valido sostituto di antieconomiche, ingombranti e inquinanti linee extraurbane.

Il termine taxi collettivo può essere usato per designare una famiglia di sistemi di trasporto

pubblico personalizzato consistenti in servizi di qualità e complessità crescenti:

Ø Taxibus, ovvero un veicolo da 6-9 posti che effettua lo stesso percorso di un autobus

di linea, possibilmente lungo itinerari protetti (con possibilità di sorpasso), raccogliendo

e depositando i passeggeri a richiesta, anche non in corrispondenza delle fermate: è

più comodo, più veloce, ma in genere parte quando ha raggiunto un certo numero di

passeggeri (3-5) e costa più caro del normale autobus di linea.

Ø Servizio complementare, per zone a domanda debole o ore di morbida, nei casi in cui

il normale servizio di trasporto non risponde alle esigenze, di frequenza e qualità,

dell'utenza. Il servizio è personalizzato con un pulmino (6-9 posti) o una vettura

monovolume (5-6 posti), che integra il trasporto di massa su zone e in orari che non

conviene servire con mezzi di grandi dimensioni.

Presenta diverse possibili soluzioni:

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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico  

 152

• alle fermate periferiche della metropolitana, durante le ore notturne: raccoglie i

passeggeri in uscita e li porta a domicilio. Sostituisce pullman di linea, e per

questo è molto conveniente. Eventualmente, potrebbe essere prenotato dalle

metropolitane, installando agli ingressi delle tastiere che segnalano che si intende

uscire alla tale fermata. Può essere attivato anche solo in corrispondenza di una

sola corsa: per esempio, l'ultima;

• alle fermate periferiche della metropolitana o di alcune linee di superficie a grande

utilizzo, nelle zone a domanda molto debole, anche nelle ore diurne. Sostituisce,

con un servizio personalizzato, mezzi di grande dimensione che resterebbero

inutilizzati;

• come il precedente, ma con un percorso fisso servendo fermate aggiuntive su

chiamata. Richiede un sistema di colonnine per la prenotazione installato alle

fermate opzionali ed, eventualmente, un sistema telematico di localizzazione dei

veicoli ed un sistema di display a messaggio variabile per indicare i tempi di

attesa;

• in partenza dai grandi nodi di interscambio (aeroporti, stazioni FS, stazioni di

pullman interurbani, parcheggi di interscambio): il sistema più semplice consiste

nel disporre su più file i taxi in partenza; ciascuna di tali file è assegnata a un

determinato settore della città (debitamente indicato in un quadro luminoso che

permetta di individuare immediatamente il settore corrispondente all'indirizzo che

si vuole raggiungere). Il taxi parte solo quando ha raggiunto un certo livello di

saturazione. La scelta del percorso può essere effettuata dal taxista senza l'ausilio

di una strumentazione particolare.

Ø Servizio con destinazione comune e origine diversificata. Il servizio può essere

effettuato su prenotazione anticipata (come in molte città degli Stati Uniti). Il centralino

provvede a smistare le diverse prenotazioni sulle vetture in base all'orario e

all'indirizzo di partenza, oppure la gestione delle prenotazioni è affidata a un

programma informatizzato di ottimizzazione. Con un potenziamento del programma di

gestione, il servizio di prenotazione può essere attivato in tempo reale (ma solo se

integrato con un servizio di taxi individuale che subentra nel caso che le chiamate

siano insufficienti): per attivarlo bastano i comuni collegamenti radio e telefonici.

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

  153  

Ø Servizio con origine e destinazione variabili, su prenotazione anticipata. È

sostanzialmente il servizio che si effettua oggi per i disabili, e che si potrebbe

estendere a particolari categorie di utenti, non richiedendo sistemi di localizzazione dei

mezzi.

Ø Taxi collettivo, con gestione dei percorsi e delle prenotazioni centralizzato. Il passo

successivo è quello di attivare in tempo reale il servizio di taxi collettivo a origine e

destinazione variabili, affidando l'assegnazione dei passeggeri alle vetture ad un

sistema di governo centralizzato in grado di localizzare e selezionare in tempo reale la

vettura il cui percorso già programmato è compatibile con quello richiesto dal nuovo

utente. Il sistema è complesso: richiede un sistema di localizzazione dei veicoli GPS e

un numero elevato di vetture in servizio.

Il taxi collettivo utilizza il Sistema Tassametro Multiutente, che si può predisporre già dalla

partenza (ma anche durante una corsa normale), per consentire ad altri utenti di salire a

bordo, lungo il percorso, addebitando ad ogni singolo utente il costo per il percorso da

quest'ultimo effettivamente compiuto. Il servizio può quindi essere richiesto dal primo

utente. La suddivisione dell'importo tra gli utenti, gli eventuali sconti, l'eventuale

suddivisione dei supplementi "festivo" o "notturno" saranno dettati dal Comune.

La destinazione scelta ed il numero di posti liberi sono indicati sul visualizzatore esterno

per consentire ad altri eventuali utenti di fermare il taxi se interessati ad una destinazione

lungo la direttrice di marcia del taxi. I vantaggi principali del tassametro multiutente, in

definitiva, sono i seguenti:

• minor costo del trasporto per l'utente;

• minor inquinamento e riduzione del traffico;

• minori costi di gestione per il tassista.

4.4.4 Bus a chiamata

Tra i sistemi di trasporto innovativi, in particolare operanti su breve distanza, quello che più

ha trovato applicazioni in Italia è sicuramente il bus a chiamata (Dialbus o Drinbus) (Fig.

4.15). Tale sistema svolge un servizio che si pone a metà tra l'autobus convenzionale ed il

taxi, provvedendo al trasporto da porta a porta, su chiamata telefonica. L'utente comunica

attraverso un call center l'origine e la destinazione del suo spostamento; un sistema

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Capitolo 4: Infrastrutture e sistemi di trasporto pubblico  

 154

computerizzato svolge la funzione di

determinare l'assegnazione dei veicoli per il

servizio richiesto, in maniera il più ottimale e

veloce possibile; il veicolo preleverà il cliente

all'orario stabilito telefonicamente e lo porterà

a destinazione con le poche deviazioni

necessarie a far salire sul mezzo altri

passeggeri.

Le caratteristiche principali di questo sistema

ed i suoi vantaggi sono essenzialmente la

capacità di realizzare il trasporto da porta a porta, la quasi totale assenza di attese, di

percorsi a piedi e di trasbordi. Questa modalità particolare di servizio di bus viene di solito

realizzata attraverso piccole vetture da circa 10 posti e può risolvere in maniera efficiente il

problema del trasporto in aree a bassa densità o in situazioni di bassa domanda di

trasporto, ad esempio di notte. Ha una sua validità anche nei confronti di utenti con

caratteristiche di mobilità particolari come i portatori di handicap e gli anziani.

In Svizzera, questa nuova, particolare forma di trasporto collettivo si trova già in fase

avanzata: promossi dalla sperimentazione del bus su chiamata a Leer (all'inizio del 1992),

sono stati avviati 2 progetti pilota realizzando man mano un totale di dodici sistemi di bus

su chiamata da porta a porta. La particolare caratteristica di questo servizio è l'assenza di

vincolo di orario o fermata (come per il taxi) con accumulo delle richieste di viaggio

(aspetto che lo differenzia dal taxi).

Apprezzato dalla clientela soprattutto per la flessibilità oraria e per il servizio praticamente

"a domicilio", questo sistema di trasporto in Svizzera è in continuo sviluppo ed è stato

introdotto con successo anche in Germania nelle aree suburbane. In particolare, nel

distretto di Erding, l'esperimento pilota è durato quattro anni, durante i quali il servizio su

richiesta è stato in funzione parallelamente all'esercizio di linea tradizionale, sfruttandone

cioè il medesimo percorso. Nella seconda fase di sviluppo del progetto, è stato

perfezionato un sistema di esercizio, denominato Odibus, attivo nelle zone extraurbane.

L'autobus a chiamata ha esempi di applicazione in Italia a: Cremona, Firenze, Genova,

Milano, Parma, Trento.

Figura 4.15 Autobus a chiamata (Drinbus).

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Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane – Dispense del corso

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