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1 Nascere…di nuovo Un anonimo ha scritto: "Se l'uovo si rompe a causa di una forza esterna, la vita finisce. Se si rompe a causa di una forza interna, la vita inizia. Le grandi cose iniziano sempre dall'interno". Tutto inizia da dentro di noi, mai dall’esterno. Ci possono arrivare sollecitazioni al cambiamento, esortazioni anche efficaci, ma nulla accade senza di noi. La svolta nella nostra vita arriva quando dal profondo di noi stessi, quella vita che c’è, forte, inesorabile, caparbia, riesce ad emergere, come il filo d’erba dall’asfalto, e a farsi sentire. Quando il bisogno di luce si fa insopprimibile il buio perde ogni libertà. E’ proprio come quando si nasce dal grembo materno, ci si immette in un tunnel che è buio e stretto, sgradevole e difficile da percorrere, ma non possiamo farne a meno, perché la luce, prepotente, ci attira a sé. Non è un passaggio indolore, ma, come per ogni nascita, la forza della vita è molto di più del dolore; è una sofferenza trasfigurata, sublimata dall’energia della vita, dall’entusiasmo che c’è nella vita che nasce.

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Nascere…di nuovo Un anonimo ha scritto: "Se l'uovo si rompe a causa di una forza esterna, la vita finisce. Se si rompe a causa di una forza interna, la vita inizia. Le grandi cose iniziano sempre dall'interno". Tutto inizia da dentro di noi, mai dall’esterno. Ci possono arrivare sollecitazioni al cambiamento, esortazioni anche efficaci, ma nulla accade senza di noi. La svolta nella nostra vita arriva quando dal profondo di noi stessi, quella vita che c’è, forte, inesorabile, caparbia, riesce ad emergere, come il filo d’erba dall’asfalto, e a farsi sentire. Quando il bisogno di luce si fa insopprimibile il buio perde ogni libertà. E’ proprio come quando si nasce dal grembo materno, ci si immette in un tunnel che è buio e stretto, sgradevole e difficile da percorrere, ma non possiamo farne a meno, perché la luce, prepotente, ci attira a sé. Non è un passaggio indolore, ma, come per ogni nascita, la forza della vita è molto di più del dolore; è una sofferenza trasfigurata, sublimata dall’energia della vita, dall’entusiasmo che c’è nella vita che nasce.

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Chiedete ad ogni mamma e vi dirà che, per quanto doloroso, il parto è un’esperienza di gioia, di forza inaspettata e insospettata. Il tempo che si trascorre in questo tunnel varia da persona a persona. Varia anche il momento in cui tutto ciò accade. Alcuni, beati loro, ne sono quasi totalmente esonerati, perché da subito accolgono e ascoltano la vita dentro di loro. Fortunati i nostri figli che crescono nella luce della verità della Parola e non subiscono l’inganno della menzogna. Che nascono e crescono abbracciati a Cristo e così restano nella luce. Dovranno anche loro scegliere, ogni giorno, perché nessuno è esentato dalla scelta, ma non resteranno nel buio. Per tutti arriva il tempo di rinascere. Il quando dipende da noi, non dipende da Dio. Accade nella pienezza del tempo, cioè quando il tempo è maturo. Sono i nostri tempi che segnano il passo, non quelli di Dio. “I tempi di Dio non sono i nostri tempi”, si sente dire quando le cose si allungano all’infinito. Sicuramente i suoi tempi non sono i nostri! Dio farebbe le cose in un attimo, siamo noi ad aver bisogno di tempo per imparare a camminare. Provate a guardare un bimbo che

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cammina col suo papà: è il papà che adatta il suo passo al passetto del bimbo, non viceversa; è il papà che lo affianca attendendo che il passo piccolo e insicuro del bimbo diventi il passo di un adulto. Certo, il papà potrebbe prendere in braccio il figlio e correre, e a volte succede, ma non può essere sempre così, altrimenti il bimbo non imparerebbe mai a camminare. Accade dunque quando siamo pronti. Spesso dico che la maturazione coincide con la saturazione. Quando sei abbastanza stufo del buio, allora sei pronto per la luce. Perché le cose non accadono per magia, accadono per scelta; le devi volere. E se fino a quel momento, ogni volta che nell’uovo si formava una piccola crepa ti affannavi a saldarla, per poter restare chiuso dentro, terrorizzato da quello che poteva esserci fuori, ad un tratto l’imperativo dentro di te diventa: voglio uscire. E tutto quello che fino a quel momento ti aveva trattenuto - la paura, il macigno che ti avevano bloccato - perdono la loro forza e si devono fare da parte. Non ti ferma più niente e nessuno. Accade, perché la vita che abbiamo avuto e vissuto con la nostra

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nascita biologica non ci basta più. Cerchiamo la luce; la nostra anima ne ha bisogno. Cerchiamo il senso, in tutti i sensi. Senso inteso come motivazione: perché sono qui, a che serve la mia vita? E senso inteso come direzione: dove devo andare, verso cosa? Il senso della mia vita, non è ciò che Dio vuole che io sia, che io faccia, come se lui fosse il burattinaio ed io il burattino. Dove vado dipende da chi io sono. Chi io sono dipende da dove vengo. Io vengo da Dio. E’ lui l’amore che mi ha dato vita. Riconoscere l’amore del Padre è basilare perché ci da identità: se lui è Padre, noi siamo figli e gli somigliamo. Matteo ci racconta l’episodio di Gesù tra i dottori della Legge, a dodici anni, e ci dice che Gesù riconosce che Dio è suo Padre. L’uomo Gesù non ha sbagliato direzione nella sua vita terrena perché conosceva la sua identità. Il senso della mia vita dipende da chi io sono, davvero, nel profondo; da qual è la mia identità nella verità. Giovanni 8,14: <Gesù rispose: “Anche se io rendo testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove vengo e dove vado”>. Poter

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rendere testimonianza di noi stessi; sapere chi siamo e vivere la nostra identità senza false immagini e senza compromessi, perché sbocci completamente la nostra vita e dal fiore nasca il frutto. Ci vuole coraggio. Innanzitutto il coraggio di accoglierci, come siamo e dove siamo, perché questo è il punto di partenza obbligatorio ma non scontato. Spesso noi abbiamo una immagine di noi stessi che non corrisponde alla realtà, non alla realtà di quel momento storico. Rifiutiamo di guardarci con onestà per non vedere i nostri limiti, i nostri difetti e ci proiettiamo su un’immagine ideale che però non è ancora reale, concreta. Così, quello che potrebbe realizzarsi, resta ad un livello teorico, immaginario. E’ un po’ come se io, che mi vorrei magra come quindici anni fa, non accettandomi come sono ora, comprassi abiti per la taglia di quindici anni fa: resterebbe tutto nell’armadio ed io in mutande. Prendi atto di quello che sei ora, con serenità e, se lo vuoi davvero, lavora per quello che vorresti essere. Ma puoi farlo solo partendo da quello che sei. Ci vuole il coraggio di cogliere ogni crisi, ogni crepa nel guscio, come una opportunità e non

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come una minaccia; assecondare la spinta della vita per uscire. La nostra vita è, deve essere una trasformazione, giorno dopo giorno. Niente resta immutato. Certo che il cambiamento spaventa, soprattutto chi lo vive. Ma “quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla” (Lao Tze). Da quelle crepe filtra la luce (Leonard Cohen), luce che dobbiamo accogliere; luce che proviene dalle situazioni della nostra vita, che non è una nemica, è maestra. Ciascuno di noi ha il cuore e la mente pieni di cicatrici, di ferite. Ogni volta che la vita, con le sue vicissitudini, tocca quelle ferite, noi abbiamo due possibilità: reagire o agire. Se mi lascio ingabbiare dal dolore, salto e urlo meccanicamente, per reazione, senza interporre la mia volontà, il mio autocontrollo – grande dono di Dio il dominio di sé - resterò sempre chiuso in quella dinamica, come l’asino attaccato alla macina, che gira sempre in tondo senza mai poter andare oltre. Camminare e fare un Cammino non sono la stessa cosa. Purtroppo vediamo Fratelli che abbiamo conosciuto anni fa, essere ancora oggi tali e quali. Se non vado oltre, quella dinamica

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ciclicamente si ripeterà, perché la vita mi ripropone gli stessi ostacoli per darmi la possibilità di superarli. Quando li supero, smette di propormeli. Se invece, quando vengo toccata sul vivo, prima di saltare e urlare e inveire scappando, io riesco, mettendo a tacere per un attimo il dolore, a fermarmi nel silenzio, e comprendere che, se anche sto sentendo lo stesso dolore in realtà io non sono più in quel dolore, perché fa parte del passato; o che non sono obbligata a restarci, perché posso attraversarlo, io sarò libera e sarò cresciuta, rafforzata. Volta dopo volta imparerò ad acquistare autorità sulla mia vita ed entrerò in un tempo nuovo, dove non permetterò alle ferite di far di me ciò che non sono. Vi capita mai di ricevere una critica e avere l’istinto di mandare a quel paese chi vi ha fatto quell’osservazione? Di arrabbiarvi per la seccante esperienza di essere disapprovati? A me si. Perché ammettere la possibilità di essersi sbagliati, e che qualcuno se ne sia accorto - <che figura!> -, fa leva sulla ferita del sentirsi incapaci, pubblicamente umiliati. Significa innanzitutto che quella ferita c’è e che

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non ne abbiamo ancora preso le distanze. Che non abbiamo ancora il dominio su di essa, e quindi nemmeno su noi stessi. Questo però ci limita. Ci limita nei rapporti con gli altri e nella crescita personale. Ci limita nei rapporti con gli altri perché chi ha osato farti osservazione e viene azzannato, di sicuro non lo farà più, si terrà ad una distanza di sicurezza e il vostro rapporto diventerà meno autentico, più superficiale, mentre è fondamentale restare umani; nessuno è tenuto ad essere perfetto. Fondamentale restare a livello degli altri, restare uomo fra gli uomini, che ha qualcosa da insegnare ma anche da imparare, con umiltà. Ci limita nella crescita perché dagli errori si impara molto, se li si ammette. Non si può rinascere replicando gli stessi atteggiamenti mentali; dobbiamo uscire da questo trip. <E ma io finisco sempre per ritrovarmi nelle stesse situazioni>. Scrive James Joyce: “La vita è come un'eco: se non ti piace quello che ti rimanda, devi cambiare il messaggio che invii”. Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose (Einstein), se continuiamo a reagire sempre nello stesso

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modo. Siamo prevedibili, troppo prevedibili e passivi. Noi ci aspettiamo che il cambiamento arrivi dall’esterno, dagli altri, dalla vita, da Dio. No, il cambiamento viene da te, o non viene, perché la vita è tua, e tu sei libero. Se cambi tu cambierà anche la tua vita. <Io desidero tanto un auto>. Si, ma se ancora non hai trovato il coraggio di prendere la patente, l’auto non arriverà; che te ne faresti? Ad occupare uno spazio in garage? Se non sei disposto ad afferrare e vivere i tuoi sogni, non solo sognarli, è inutile affollare la mente di progetti. E’ deprimente, autolesionista; perché i sogni per cui non sei disposto a lottare ti accusano di fallimento. Una carrellata di “vorrei ma non posso”. Siamo tutti leoni fintanto che la preda è lontana; però man mano che si avvicina arrivano tutti i dubbi e i tentennamenti. Le cose arrivano quando dentro di te c’è una sola volontà. Niente “si, no, forse, ci penso ancora un attimo”. Una sola volontà: si, lo voglio! Lettera di Giacomo 1, 6.8: <Infatti chi esita assomiglia a un’onda del mare, mossa e sbattuta dal vento. Un uomo del genere non pensi di ricevere qualcosa dal Signore, essendo

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come sdoppiato interiormente, instabile in tutte le sue vie>. Ricevere dal Signore non significa che io chiedo e Dio elargisce, e lo fa se gli va di farlo. Significa prendere dal Signore la sua stessa capacità creatrice; usare la sua stessa potenza, quella dell’amore. Dio non ci concede quel miracolo, ma la capacità di fare i miracoli. Non ci fa dono di quella cosa specifica, ma condivide con noi la capacità di realizzarla, di crearla. Quella, come ogni altra. Giovanni 14, 12: <In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi>. Marco 9, 23: <Tutto è possibile per chi crede!>. Il problema è che noi crediamo in Dio, ma non è sufficiente: dobbiamo credere anche in noi stessi, come ha fatto Gesù. Noi non crediamo di poter avere la stessa potenza di Dio, invece questa è la sua volontà. Continuiamo a comportarci come il figlio maggiore della parabola che pur avendo tutto non beneficia di niente, perché niente considera come cosa propria. Si comporta come un suddito col sovrano. <Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando; a me però non hai mai dato neppure

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un capretto> Lc 15, 29. Ma Dio è Padre e noi i suoi figli. Luca 15, 31: <Figlio, tu sei sempre con me e ogni cosa mia è tua>. Usala! Autonomamente. Prenditelo sto capretto! Nell’Antico Testamento vediamo un Dio geloso della sua condizione divina, della sua supremazia sull’uomo. Esodo 33, 19: <Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia>. Ma con Gesù tutto cambia, perché lui è l’uomo che ha in sé la condizione divina; il Figlio che condivide ogni cosa col Padre. E questo “potere” è dato a tutti gli uomini. Giovanni 1, 12.13: <A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati>. Tutto è nella volontà di Dio se è nell’amore. Poi ci sono percorsi più giusti per noi, che ci realizzano meglio, altri meno, Dio li conosce ed è lì che cerca di guidarci, ma non ci impone una via obbligata. Dio è un Padre attento e saggio, che sa cosa è buono per i suoi figli ma non decide per loro, non si sostituisce a loro; non vive la vita al posto loro.

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Quando mia figlia ha finito le scuole medie, ha deciso quale indirizzo prendere per le superiori; e quando ha finito le superiori, ha deciso quale carriera universitaria intraprendere. Lei ha deciso. Purtroppo sento ancora di genitori che impongono ai loro figli le loro scelte. Pensano di sapere cosa è meglio per loro e forse a volte hanno anche ragione, ma mai un genitore può imporre la propria scelta al figlio. La vita è sua. Amarlo significa aiutarlo a scegliere e sostenerlo, ma nella libertà. Un bambino diventa adulto e si realizza solo nell’esercizio della libertà. Gesù è l’immagine di ciascuno di noi realizzato: è l’uomo che sa da dove viene: da Dio, dall’Amore; sa dove va: verso Dio, verso l’Amore; sa chi è: figlio di Dio, colui che somiglia al Padre, nell’amore. La potenza del Padre è riversata in lui, in pienezza, e Gesù opera liberamente, secondo il proprio discernimento e sempre nell’amore. Gesù ha dichiarato: <Io sono!>, che è il nome di Dio. Certo, lo ripeto, ci sono cose che non sono nel nostro raggio di azione e che interferiscono con i nostri desideri. A volte i tempi per la realizzazione dei nostri desideri si allungano

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perché si devono intrecciare tante volontà nella costruzione di un progetto che ci riguarda. Io non mi sento di fare un discorso assoluto, ci sono tante variabili a noi sconosciute; tante forze che si intersecano. Prima fra tutte la libertà degli altri, per il si e per il no, e tutto quello che la ostacola, per cui tu puoi pregare per quello che credi essere bene per gli altri, ma di fatto, pur potendo collaborare, non puoi determinare gli eventi della loro vita, per quanto sia buono e giusto quello che tu chiedi per loro. Ma, per buona parte, tu hai la possibilità di determinare la tua vita. Ad esempio, se cambia il modo in cui percepisci te stesso, nel profondo, non in superficie, allora cambierà anche il modo in cui ti vedranno gli altri. <Mi trattano sempre così! Ma ce l’ho scritto in fronte?>. Si, esattamente. A lettere invisibili ma nondimeno chiare. Sono le stesse lettere che sono incise nel tuo inconscio, nella tua memoria; perché non basta dire a parole che valiamo quanto gli altri e che ci meritiamo lo stesso rispetto, la stessa attenzione, lo stesso riposo, le stesse soddisfazioni, le stesse opportunità. Bisogna esserne persuasi fino in

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fondo; e fino in fondo significa oltre le certezze opposte che si sono radicate in noi, spesso in modo inconscio. L’inconscio grida forte e la nostra parte razionale non può impedirgli di farsi sentire. Esiste una dinamica psicologica per cui quello che avviene nella prima infanzia ci forma, lascia una impronta nel nostro modo di essere, nella nostra identità profonda. Per fare due esempi banali e anche superficiali, potrei dire che se nella tua prima infanzia hai sperimentato la soddisfazione dei tuoi bisogni fisici e di relazione, probabilmente crescerai con la convinzione profonda di avere diritto ad essere felice, ad avere quello che desideri; con la convinzione di valere quanto gli altri. Se, al contrario, la tua memoria ha registrato mancanza di cure, di attenzioni, di soddisfazioni fisiche e relazionali, verosimilmente crescerai convinto che non vali quanto gli altri, che non puoi avere ciò che desideri, che sei l’ultima ruota del carro; che quello è il tuo posto e lì devi stare. Non sempre queste convinzioni, che si sono formate nella prima infanzia, si poggiano su una realtà oggettiva, ma i bambini non sanno leggere la

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realtà e non sanno distinguere la realtà dalle loro percezioni. Ci sono milioni di adulti convinti, ad un livello inconscio, di non aver diritto alla felicità, al benessere, perché nella loro infanzia non hanno avuto ciò di cui avevano bisogno. Probabilmente i loro genitori, pur spaccandosi la schiena dalla mattina alla sera, non avevano la possibilità di comprare cose anche necessarie e quei bambini sono cresciuti abituandosi alla privazione. L’adulto di oggi comprende quanto amore in realtà ci sia stato pur nella povertà, e forse lo ha percepito anche il bambino di allora, eppure la condizione di povertà si è radicata in lui. Ci sono milioni di adulti con la ferita inconscia dell’umiliazione perché, quando erano bambini, qualche “grande” ha detto una frase che li ha fatti sentire stupidi, non sapendo che i bambini non capiscono l’ironia. L’adulto di oggi la capirebbe, il bambino di allora, no. Partendo da questo stato di cose, non è per niente facile imporre la propria volontà per invertire questa tendenza che ci condiziona la vita, poiché il nostro inconscio tenderà a rivivere continuamente quegli episodi della tua vita e metterà in moto

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dei meccanismi occulti, nascosti, perché questo accada. Questo per almeno tre motivi: (1)perché io mi riconosco in quella identità, anche se è falso; (2)perchè nonostante tutto è rassicurante non cambiare, restare nella zona conosciuta, (3)ma anche perché ricreare le condizioni del disagio, della caduta, ci da una opportunità di riscatto, di rifarci. Sembra un controsenso, ma è come quando diciamo: <Se mi ritrovassi ora in quella situazione, saprei cosa fare, saprei cosa dire>. Quindi, inconsciamente tendiamo a ricrearla, proprio per avere questa possibilità. Questo meccanismo si chiama “coazione a ripetere”. Il termine “coazione” significa: costrizione ad agire, o a pensare, contro la propria volontà. È la tendenza che non può essere repressa, del tutto inconscia, a mettersi in situazioni penose o dolorose, senza rendersi conto di averle attivamente determinate, né del fatto che si tratta della ripetizione di vecchie esperienze. Un figlio primogenito, che ha dovuto presto cedere le ginocchia del papà agli altri fratelli più piccoli, e che ha dovuto crescere in fretta per aiutare mamma e papà - “perché tu sei

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grande” – crescerà, o pretendendo quel che gli spetta e oltre, con arroganza e con prepotenza, oppure convinto di dover sempre mettere tutti gli altri prima di se stesso, perché solo così si sentirà “buono”, un bravo bambino. Identificandosi in quel ruolo, e, per la coazione a ripetere, rinuncerà anche a ciò che è giusto abbia, con eccessivo spirito di servizio, senza nemmeno rendersi conto di farlo. So perfettamente che quanto sto affermando farà arrabbiare diverse persone che da questo si sentono colpevolizzate. <Ma come? Oltre a subire una situazione dolorosa, devo anche sentirmi dire che è colpa mia? Che me la sono cercata?>. A parte il fatto che non è un discorso assoluto, e fatto salvo che c’è il “concorso di colpa” degli altri che sono parte attiva della situazione che vivi……si, è così. Spesso, quello che ci conduce nella ripetizione di situazioni incresciose e anche di sofferenza, è proprio questa “coazione a ripetere”. Ma non è un torto, non è qualcosa che consapevolmente vogliamo e non ha senso sentirsi in colpa. Piuttosto è fondamentale comprendere per combattere, per agire a

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nostro favore. Ecco perché è così importante la preghiera del cuore, riuscire a rimuovere dalla nostra memoria i vari imprinting negativi. Il nostro inconscio non deve diventare un alibi per non crescere. Una volta che abbiamo compreso questo meccanismo malato abbiamo il dovere di attivarci per disattivarlo. Il Signore ci vuole persone libere che sanno liberare e questo percorso di guarigione è indispensabile per ciascuno di noi, proprio perché il nostro servizio sia da persone libere e non da schiavi. Non siamo schiavi di Dio né dobbiamo esserlo di noi stessi, della nostra vita. Per questo il Padre ci da tutti gli strumenti necessari per un cammino di libertà. Dall’Egitto alla Terra promessa. Ma come si fa a rinascere? Giovanni 3, 4: <Gli disse Nicodèmo: “Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?”>. Rinascere non è tornare indietro ma andare avanti, andare oltre, accogliendo quello che ci rende fecondi e che ci permette di partorire noi stessi: l’amore del Padre. È vitale lasciarsi amare da Dio, perché è l’amore che ci costruisce, che plasma la nostra

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colonna vertebrale e ci fa restare diritti; che forgia i nostri muscoli e ci da potenza e forza. Che ci da occhi che vedono la bellezza. Che da alla nostra bocca parole di vita. Che mantiene la nostra mente e il nostro cuore nella pace. Vitale accogliere il suo Spirito Creatore, Spirito che da la vita. Spesso siamo chiusi a questa accoglienza perché non conosciamo Dio e non conosciamo il suo amore per noi. Nel Vangelo di Marco (1, 15), Gesù inizia la sua predicazione dicendo: <Convertitevi e credete al Vangelo>. Il termine “convertitevi”, ormai lo sappiamo, è “metànoia”, vocabolo greco che significa: radicale mutamento nel modo di pensare. Vangelo significa “buona notizia”. Gesù dice: <Cambiate modo di pensare e credete alla buona notizia>. Qual è la buona notizia? La buona notizia è che Dio ama tutti incondizionatamente e che questo amore cambia le nostre vite: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, come dice Gesù stesso ai discepoli di Giovanni battista. E questa buona notizia è annunciata ai poveri, cioè a chi riconosce di averne bisogno.

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Ammettilo che hai bisogno di amore, dell’amore incondizionato di Dio. Dunque si rinasce per mezzo dello Spirito di Dio, con la forza del suo amore. Colui che ci ha dato la vita è anche capace di ricrearla, di rinnovarla; ma, mentre quando siamo nati dal grembo della mamma, Dio ci ha donato la vita senza il nostro consenso, ora, per rinascere, dobbiamo volerlo, dobbiamo accogliere la vita nuova. Con la prima nascita noi siamo già figli di Dio per volontà del Padre. Ma quando rinasciamo siamo figli davvero, perché lo vogliamo anche noi. Proprio come un bambino è figlio dei suoi genitori perché loro lo hanno deciso, ma poi, crescendo, passando per la contestazione dell’adolescenza, diventa adulto e sceglie a sua volta i propri genitori. La figliolanza con Dio non è più un dono che ci vede passivi, ma diventa attivo, in tutta la sua potenza. Anche Gesù è nato e rinato. Gesù è nato per azione dello Spirito santo, quindi lo Spirito è con lui e in lui da sempre, eppure in tutti i Vangeli, in quello di Giovanni più velatamente ma comunque i riferimenti sono chiari, si dice che Gesù, prima di iniziare la sua attività, prima di

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fare qualsiasi cosa che riguardasse la sua missione, prima di realizzare se stesso, ha ricevuto lo Spirito, ed è successo perché lo ha voluto; le sue azioni ce lo dicono. Matteo, Marco e Luca riportano l’episodio di Gesù che va al Giordano a farsi battezzare da Giovanni, chiara scelta di offrire la sua vita per amore. Al termine di questo episodio leggiamo: <Appena battezzato, Gesù risalì subito dall’acqua. Ed ecco: si aprirono a lui i cieli e vide lo Spirito di Dio discendere in forma di colomba e venire su di lui. Ed ecco: una voce venne dai cieli che diceva: “Questi è il figlio mio, l’amato, in cui mi sono compiaciuto”> Mt 3, 16.17. Non appena Gesù, attraverso la volontà di essere battezzato, esprime la sua scelta di farsi dono d’amore, ecco che per lui si aprono i cieli e discende su di lui lo Spirito, in forma visibile e udibile; una colomba, simbolo dell’amore fedele, e una voce: “Ecco, è lui l’amato, l’erede. Colui che ha tutto di me”. Questo vale per ciascuno di noi. Il Padre ha messo dentro ciascuno di noi la sua vita, il suo pensiero, fin dal principio della nostra esistenza, tramite lo Spirito santo; santo significa: che separa dal

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male. Quando noi, dandogli libertà, assecondando questa vita che preme per uscire, facciamo scelte secondo la nostra natura divina, ecco che il cielo si squarcia e la presenza dello Spirito su di noi si fa attivamente concreta: si vede, si sente e ci fa identificare, riconoscere, da noi stessi e dagli altri, come figli di Dio, a lui somiglianti. Non più quindi una falsa immagine di noi stessi, acquisita dalla nostra infanzia, dai nostri traumi e quant’altro, ma dalla verità. Quando Matteo parla della nascita di Gesù dice che Maria aveva concepito per opera dello Spirito santo (Mt 1, 18); ma quando lo Spirito discende su Gesù al Giordano, l’aggettivo santo scompare. Non c’è più bisogno, in Gesù, di questa opera di separazione dal male, poiché Gesù ha scelto di appartenere a Dio, di essere simile a suo Padre. Infatti Giovanni nella sua prima Lettera, capitolo 3 versetto 9, dice che chiunque è nato da Dio non commette peccato. Chi sceglie di rinascere in Dio si separa dal male. Continuerà a compiere errori, ma l’ingiustizia avrà sempre meno spazio nel suo cuore abitato dalla giustizia di Dio. E’ un cammino di crescita che

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l’uomo Gesù ha fatto. Luca ci dice chiaramente che Gesù è cresciuto in età, sapienza e grazia, davanti a Dio e agli uomini (Lc 2, 52). Ma anche il profeta Isaia (7, 14.15), parlando di Gesù, aveva profetizzato: <Ecco, la giovane concepirà, partorirà un figlio, e lo chiamerà Emmanuele. Egli mangerà panna e miele finché non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene>. Estremamente chiaro quindi, che anche Gesù ha dovuto imparare, ha dovuto scegliere tra il bene e il male, nonostante sia IL Figlio di Dio. Nessun percorso preferenziale. Gesù è Dio che si è fatto uomo, e ha vissuto da vero uomo, perché l’uomo potesse diventare come Dio. Ci ha mostrato e dimostrato che è possibile. Si può rinascere, affrancandosi dalla limitatezza della povertà umana, del “finito”, agganciandosi al cielo dove l’umanità è stata pensata e creata in modo infinito, a immagine del Creatore. Gesù ha fatto così: si è agganciato all’Infinito, all’Eterno. 1 Gv 5, 6: <Questi è colui che è venuto con acqua e sangue: Gesù Cristo; non soltanto con l’acqua, ma con l’acqua e il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, poiché lo Spirito è la verità>.

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Gesù non è venuto soltanto con l’acqua, cioè con la nascita dal grembo di Maria, ma anche col sangue, cioè è rinato attraverso la scelta di fare di se stesso un dono d’amore, fino al sangue, cioè fino al dono totale della sua vita. Scelta che ha potuto fare per mezzo dello Spirito che lo ha guidato verso la verità di se stesso e poi verso la verità dell’amore, perché, non solo lo Spirito è stato attirato da Gesù, ma su Gesù è rimasto, come disse Giovanni il battista (Gv 1, 33), a significare una scelta che è stata mantenuta nel tempo e che per questo ha guidato Gesù alla piena realizzazione. Matteo sottolinea che, appena battezzato, “Gesù risalì subito dall’acqua”; scegliendo l’amore si è sollevato immediatamente dalla condizione della povertà umana per entrare pienamente nella condizione divina, realizzando così il progetto del Padre che l’uomo fosse a sua immagine e somiglianza. Giovanni 3, 7: <Non ti meravigliare se ti ho detto: dovete rinascere dall’alto>. Dovete; è necessario, perché senza la rinascita dall’alto non c’è pienezza di vita. Si resta nella vita biologica, della carne, mentre è lo Spirito che da la vita

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vera. Noi siamo vivi davvero, e restiamo vivi oltre la morte, quando amiamo. Vorrei sottolineare però, che la vita biologica non è poca cosa; è culla della vita spirituale. Così come non è poca cosa il corpo. Come faresti a concretizzare l’amore del Padre se non avessi questa vita, se non avessi occhi per guardare, mani per accarezzare, voce per consolare. La vita di ciascuno di noi è preceduta dalle parole dell’Angelo che dice all’universo intero: <Vi annuncio una grande gioia!>. E durante tutto il cammino che facciamo fino a imparare a scegliere il bene e rigettare il male, siamo nutriti di panna e miele. Panna e miele sono simbolo della benedizione di Dio che segue, custodisce e benedice il suo popolo anche durante i momenti di difficoltà, di crescita, fino alla rinascita nello Spirito. Concludo con questo versetto pieno di luce e di speranza. Giovanni 3, 8: <Il vento soffia dove vuole, senti la sua voce, ma non sai da dove viene né dove va. Così è chiunque è nato dallo Spirito>. “Non sai da dove viene né dove va”. Imprevedibile, libero; non predeterminato dalla volontà di nessuno. Quando rinasciamo nello Spirito, si

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apre la nostra vita. Si apre ad ogni opportunità di compimento, di pienezza. E non è più vero che la mela non cade lontano dall’albero, perché la Ruah, il vento dello Spirito, la spinge verso la sua mèta. Non è vero che siamo legati ad un destino, obbligati a perpetuare i percorsi sbagliati della nostra vita o della vita dei nostri genitori, dei nostri avi. Ciascuno di noi è libero e può fare della sua vita, guidato e illuminato dallo Spirito, un capolavoro! Enza