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Ci Vuole Costanza n.6, a.3, a.s. 2015/16 1 editoriale La realtà che ci circonda ha il potere di distruggerci, ma anche, nello stesso momento e per gli stessi motivi, di aiutarci a vivere perché la difficoltà ci ostacola e proprio per questo ci fa scoprire nuove strade. Ci pone domande. Ci chiede evoluzione. Dedichiamo allora questo numero al tema della diversità, che unisce come un fil rouge alcune riflessioni svolte nelle classi del biennio e il Progetto del Teatro Sociale messo in atto nel nostro Istituto dal titolo: DIVERSA-MENTE a cui partecipano gli studenti dei diversi Licei e di cui condividiamo gli intenti e vogliamo comunicare gli obiettivi così pressanti e urgenti nella società odierna. Infatti, nel deserto che avanza, si moltiplicano le differenze e i contrasti! Pur non essendo la diversità un problema, ma una realtà che può diventare ricchezza, crea ancora ostacoli. Pesi su pesi. Mentre ci carichiamo inutilmente di impedimenti, creiamo nuovi fardelli e indisponibilità. Nell’umana avventura, invece, guardando si vede la “complessità” che reclama con forza la capacità di fare rete, di costruire ponti e unire il bene, così da produrre sempre nuove connessioni autentiche. L’ospite inquietante arriva, malgrado tutto, malgrado reti che imbrigliano; “Siamo unici esattamente come gli altri”, abbiamo in comune che siamo tutti differenti, dunque, la molteplicità delle vie non dovrebbe impedire di raggiungere la stessa meta. Nessuno è Nessuno, non tutti sono Polifemo senza un occhio, le larve diventano farfalle e le farfalle larve. Siamo apolidi colorati, come tante matite smussate, temperate, spuntate, più o meno innocue e silenziose, più o meno riluttanti e sovversive, siamo matite diverse in cerca di autore, nel disegnare nuove vite e tracce di molteplici mondi, matite che vengono dalla pietra e diventano pensieri, nascono dalla terra e arrivano al cielo… Come scriveva Ungaretti, nella sua Vita di un uomo : Tappeto Ogni colore si espande e si adagia negli altri colori Per essere più solo se lo guardi Impariamo, dunque, a tessere una rete resistente agli strappi, una tela con fili diversi, in un ordito che diventi trama. Simonetta Mosciatti

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Ci Vuole Costanza n.6, a.3, a.s. 2015/16 1

e d i t o r i a l e

La realtà che ci circonda ha il potere di distruggerci, ma anche, nello stesso momento e per gli stessi motivi, di aiutarci a vivere perché la difficoltà ci

ostacola e proprio per questo ci fa scoprire nuove strade. Ci pone domande. Ci chiede evoluzione.Dedichiamo allora questo numero al tema della diversità, che unisce come un fil rouge alcune

riflessioni svolte nelle classi del biennio e il Progetto del Teatro Sociale messo in atto nel nostro Istituto dal titolo: DIVERSA-MENTE a cui partecipano gli studenti

dei diversi Licei e di cui condividiamo gli intenti e vogliamo comunicare gli obiettivi così pressanti e

urgenti nella società odierna. Infatti, nel deserto che avanza, si moltiplicano le

differenze e i contrasti!Pur non essendo la diversità un problema, ma una realtà che può diventare ricchezza, crea

ancora ostacoli. Pesi su pesi. Mentre ci carichiamo inutilmente di impedimenti, creiamo nuovi fardelli

e indisponibilità.Nell’umana avventura, invece, guardando si vede la “complessità” che reclama con forza la capacità di fare rete, di costruire ponti e unire il bene, così da produrre sempre nuove connessioni autentiche.

L’ospite inquietante arriva, malgrado tutto, malgrado reti che imbrigliano; “Siamo unici esattamente come

gli altri”, abbiamo in comune che siamo tutti differenti, dunque, la molteplicità delle vie non dovrebbe

impedire di raggiungere la stessa meta.Nessuno è Nessuno, non tutti sono Polifemo senza un

occhio, le larve diventano farfalle e le farfalle larve.Siamo apolidi colorati, come tante matite smussate,

temperate, spuntate, più o meno innocue e silenziose, più o meno riluttanti e sovversive, siamo matite

diverse in cerca di autore, nel disegnare nuove vite e tracce di molteplici mondi, matite che vengono dalla

pietra e diventano pensieri, nascono dalla terra e arrivano al cielo…

Come scriveva Ungaretti, nella sua Vita di un uomo : Tappeto

Ogni colore si espande e si adagianegli altri colori

Per essere più solo se lo guardi

Impariamo, dunque, a tessere una rete resistente agli strappi, una tela con fili diversi, in un ordito che

diventi trama.

Simonetta Mosciatti

Ci Vuole Costanza n.6, a.3, a.s. 2015/16 Ci Vuole Costanza n.6, a.3, a.s. 2015/162 3

recensionilibrifumettifilmserie tvalbummusicastarmancronache scolasticacome saltano i pescila verità si vela e si svelainchiestaviaggiirlandacruciverbacitazioni

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c r o n a c a

Tutti ci confrontiamo ogni giorno con la tecnologia e veniamo a sapere di continue novità e scoperte, ma quanto ne sappiamo davvero? Anche nelle nuove generazioni, infatti, la consapevolezza di queste conquiste

è quanto mai scarsa e superficiale, derivata da quei media in cui notizie e bufale sembrano avere la stessa risonanza; ecco perché in questa confusione diventa fondamentale rendere la Scienza alla portata di tutti, ma allo stesso tempo corretta e rigorosa, cercando, come dice Hawking, di “arginare l’infinita ignoranza”. Come ricordava il geniale matematico Richard Feynman, la Scienza possiede già un grandissimo rigore alla base, per cui “se la teoria non è in accordo con la realtà sperimentale, essa è sbagliata”, che le permette di stare idealmente al di sopra delle parti e di promuovere il dialogo tra le altre discipline; ma la Scienza non deve essere strumentalizzata, divinizzata o banalizzata e la ricerca dovrebbe sempre essere finalizzata al bene comune. Questo solido principio etico di consapevolezza del limite, insieme a curiosità instancabile e spirito critico sono indispensabili per mostrare la bellezza della Scienza, che i matematici e i fisici amano vedere anche nell’eleganza delle loro equazioni. A questo punto, la sfida maggiore è far conoscere la Scienza ai non addetti ai lavori in un modo chiaro, diretto, accessibile a tutti, senza lasciare campo alle speculazioni pseudo-scientifiche. Attraverso serie di documentari, siti web e saggistica, grandi divulgatori sono attivi a livello internazionale: gli immortali Piero e Alberto Angela, Neil De Grasse (conduttore di Cosmos e “astrofisico più sexy” del 2000), Carlo Rovelli (autore di Sette Brevi Lezioni di Fisica), ma anche attori impegnati come Morgan Freeman (nell’omonimo Science Show). Come diceva Carl Sagan, autore del romanzo fantascientifico Contact, commentando una foto della Terra dallo spazio profondo:

“Che vi piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. […] Per me, sottolinea la nostra

responsabilità di occuparci più gentilmente l’uno dell’altro, e di preservare e proteggere questo pallido punto blu, l’unica

casa che abbiamo mai conosciuto.” (A Pale Blue Dot, Carl Sagan)

Il Quarto Stato della materia

Solido, liquido e gassoso non è abbastanza. Scoperto in una struttura di tricloruro di Rutenio (RuCl3) bombar-data di neutroni lo stato chimico-fisico di spin quantico liquido, in cui le particelle continuano a rimescolarsi anche alle temperature più basse possibili (energia di punto zero, o dello stato fondamentale), come conseg-uenza della meccanica quantistica. I fermioni di Majo-rana in questo stato potrebbero essere la chiave dei futuri supercomputer quantistici.

Computer Quantistici: la rivoluzione dell’informatica e della crittografia

Il futuro della miniaturizzazi-one è oggi, con i nuovi materiali bidimensionali come il grafene. Con velocità migliaia di volte superiori, bisog-

nerà però adattare il sistema binario per elaborare una nuova crittografia che renderà forse non sicura quella tradizionale, ma non sappiamo ancora quali prob-lemi sapranno risolvere i nuovi calcolatori. Consiglio sull’argomento crittografia il libro “Codici e segreti” di Simon Singh.

Quantum Moves: un’ App da provareLa Aarhus University di Cophenaghen ha finanziato una app-esperimento (disponi-bile gratis negli store), basata sulla mec-canica quantistica, in cui il giocatore deve trasportare un onda di particella tenendola stabile. Curiosamente, gli utenti sembrano

Il mio nome è Aasim, che in Urdu vuol dire “protettore”, ma non merito di chiamarmi così.Ho ventidue anni, vengo dal Pakistan e scappo da una realtà che si era fatta più grande di me, che ha cambiato la mia vita.Vivevo in un paesino vicino a Islamabad, la capitale, e dopo gli studi che i miei genitori mi hanno concesso lavorando duramente, ho deciso di aprire una farmacia, così da ripagare tutti i miei debiti con loro. Per molti mesi ho lavorato come una bestia, cercando di dar da mangiare a me e a tutta la mia famiglia, perché sono il fratello maggiore e i miei genitori non erano più in grado di provvedere per tutti. Spesso facevo cose impulsivamente e, senza accorgermene, sono finito nei guai per una scommessa, iniziando ad accumulare debiti su debiti. Non avevo intenzione di parlarne con nessuno, perché speravo che, con il passare del tempo, li avrei ripagati con il lavoro, che era ormai la mia unica salvezza. Una mattina andando a lavoro ho sentito una puzza di bruciato fortissima e ho visto persone che correvano di qua e di là. Inizialmente non mi sono preoccupato, perché dalle nostre parti i piccoli incendi casalinghi sono molto frequenti.Ho iniziato a insospettirmi perché, più mi avvicinavo alla mia farmacia, più la puzza e il fumo aumentavano. Quando l’ho vista, o meglio non l’ho vista di tutte le mie speranze non era rimasto che un mucchietto di macerie e cenere. La mia farmacia era stata bruciata, probabilmente da i miei creditori, ormai stufi di aspettare.Così sono scappato da tutto: dalla mia famiglia, dai miei amici, portando con me poche cose, compresi tutti i soldi che sono riuscito ad arraffare. Non mi sentivo degno di rimanere ad intralciare ancora la mia famiglia, cosi ho viaggiato a lungo. Sono riuscito ad arrivare in Italia, con treni, aerei, taxi quando potevo, e ho provato ad avvicinarmi alla capitale il più possibile, ma mi hanno condotto in un centro accoglienza per le persone senza permesso di soggiorno, a Macerata, dove mi avrebbero aiutato. All’inizio non capivo niente, non sapevo l’Italiano e mi spaventavano anche tutti gli altri ragazzi che erano lì con me, alcuni anche molto più grandi. Abbiamo rotto il ghiaccio solo dopo alcuni giorni, soprattutto grazie ad un ragazzo che si fa chiamare da tutti Viky, che ha un grande cuore e scherza e ride sempre con tutti.Oggi sono otto mesi che aspetto che gli italiani mi

concedano di andarmene. Alcuni miei amici sono qui da un anno, ma io sono speranzoso e so che il mio permesso di soggiorno arriverà presto, concedendomi

di uscire e magari trovare lavoro, per ritrovare la dignità che ho perso nel mio paese. Mi sento fortunato perché in questo posto ho trovato persone che scappano da realtà anche peggiori della mia, da carestie, da povertà, da guerre. Alcuni di loro hanno camminato a piedi per mesi per raggiungere questo posto che promette una nuova vita. Purtroppo qui non possiamo fare nulla, ci danno da mangiare senza

che noi possiamo ripagarli, perché lavorare adesso, senza autorizzazione, sarebbe illegale emi sento come di sfruttare le persone che ogni giorno ci aiutano e ci offrono un posto accogliente per dormire.Una domenica sono venuti dei ragazzi a trovarci, tutti più giovani, maschi e femmine, italiani. Non sapevamo cosa aspettarci da loro e, anche se la nostra insegnante di italiano ci aveva parlato di questi “scout” non sapevo cosa avremmo fatto insieme, non sapevo se fidarmi di loro, anche perché, quando usciamo dal centro, le persone che incontriamo spesso ci guardano male, non tutti sono gentili con noi.All’inizio abbiamo pranzato insieme ma nessuno ha detto una parola, anche se il nostro tavolo di solito è sempre animato da mille voci.Dopo alcuni giochi che avevano organizzato per farci conoscere meglio, abbiamo iniziato a fare attività davvero spassose, abbiamo disegnato e ci siamo divertiti tutti insieme.Abbiamo realizzato un grande cartellone dove ognuno di noi doveva scrivere qualcosa di importante che avrebbe desiderato dall’Italia, mentre gli scout hanno scritto quello che loro volevano donarci:lavoro, rispetto, gioiaNon mi sono sentito diverso da loro: i giochi mi hanno fatto capire che siamo tutti uguali, che possiamo ridere e scherzare nello stesso modo, anche se non parliamo la stessa lingua, o le nostre pelli hanno colori diversi, così io ho scritto che volevo amicizia dagli italiani. Tanti hanno chiesto uguaglianza, ma a me, per ora, basta solamente sentirmi di nuovo così, come se fossimo tutti una grande famiglia, per sentirmi come tra la mia gente, per sentirmi come nel mio paese.

Sara Ricci

l ’ a n g o l o d e l D o c

sulla divulgazione: la missione della scienza quanti di curiosità

Ci Vuole Costanza n.6, a.3, a.s. 2015/16 Ci Vuole Costanza n.6, a.3, a.s. 2015/166 7

a n g o l o d e l D o c

aver trovato soluzioni migliori dell’algoritmo classico del computer. Il nostro cervello è forse esso stesso un computer quantistico?

(δ+m)ψ=0: la verità sulla ”equazione dell’amore”Tutte balle, o quasi. Dietro al mito social-letterario per le coppiette che “non si se-pareranno mai” c’è un’equazione vera, quella delle matrici di Paul Dirac: che apre alla descrizione delle nanoparticelle e dell’antimateria, risolvendo il temi-bile problema delle

energie negative e quindi al Teorema di Bell sulla non-località o entanglement temporaneo. Comunque, a meno che non siate una particella innamorata, questo non vale, mi dispiace.

Esplorazione Spaziale: viaggi interstellari100 sonde a vela da sparare con un raggio laser da 100 gigawatt verso Alpha Centauri, il sistema stellare più vicino a noi, entro una generazione. Questa la sfida lanciata da Breakthrough e sostenuta tra gli altri da Mark Zuckenberg e Stephen Hawking (in odore di No-bel per via della conferma sperimentale che la Radiazi-one da lui teorizzata 40 anni fa effettivamente fa sgon-fiare lentamente i buchi neri come effetto quantistico). Trovato il finanziamento da 100 milioni di dollari, i 4,4 anni luce sarebbero coperti in circa 20 anni, impen-sabile con sonde tradizionali che ne impiegherebbero almeno 30mila.

L’Universo in musica: “ascoltando” una nuova realtà

Le onde gravitazionali non si sono certo sen-tite letteralmente, ma il rumore della notizia nel febbraio scorso è stato notevole, no-nostante girassero voci già da settembre 2015. In tutti i media

se ne è parlato almeno per qualche giorno, presentan-do ogni volta eminenti studiosi a spiegare questa “increspatura nel tessuto dello spazio-tempo” causata dallo scontro e fusione di due buchi neri danzanti a

oltre un miliardo di anni luce il cui effetto ci è giunto solo ora. Esiste una bellissima e chiara spiegazione nel fumetto della PHD Comics, reperibile sul web e per questo non mi dilungherò. Lecito chiedersi: “Cosa sono? Come le hanno trovate se non si sentono? A che ci servono?”

Confermando le teorie di Einstein, tutto ciò che ha una massa e si muove causa onde gravitazionali, ma poi-ché sono le più deboli e quindi le più difficili da cap-tare nella confusione di quelle più familiari sulla Terra, ecco che si devono considerare solo corpi molto mas-sicci (come i buchi neri) ed eliminare il rumore di fon-do: via luce, radio, microonde, raggi X e γ. È così, nei laboratori americani e italiani sono riusciti, dopo anni di tentativi, a pescare qualcosa con il giusto amo (fig.1). L’apparente insignificanza dell’effetto è in realtà un risultato storico che apre ad un intero nuovo ramo della fisica finora solo teorico e contradditorio: la Gravità quantistica, indispensabile per descrivere il Big Bang e la natura dei buchi neri con completezza. Questo è insomma solo l’inizio, le prime note che captiamo di questo grande concerto d’orchestra che è l’Universo, le cui sinfonie che si cerca di riconoscere rapiscono l’ascoltatore nella contemplazione della bellezza della semplicità nella complessità.

Ai confini della Scienza: a caccia dell’animaNella biologia, nella neuroscienza e nei libri di auto-ai-uto sta crescendo l’interesse per l’influenza della men-te sull’organismo umano, recuperando idee di filosofi antichi (spec. orientali e atomisti): energie, vibrazioni, aure come il klinamen, l’“inclinazione” degli atomi che determinerebbe la libera scelta dell’Uomo. Affasci-nante sì, ma prudenza! Democrito non approverebbe.

Matteo Sabbatini

C

Secondo me è non sentirsi uguale agli altri.

Anche portare i capelli in modo stranopuò renderti diverso. La diversità è ciòche ci contraddistingue dagli altri.

È un periodo molto triste. Mi sentivo emarginata, sbagliata: mi sentivo sempre sola contro tutti. Chiunque osasse parlarmi, lo faceva solo per prendersi gioco di me;venivo presa di mira dai miei compagni di classe a scuola e online e qualsiasi cosa facessi per difendermi aggiungeva solo benzina sul fuoco. Quindi ho iniziato ad avere comportamenti autolesionisti. Consideravo quel piccolo momento di sfogo del mio dolore come una via per la felicità e mi serviva per non pensare. Ero arrivata al limite della sopportazione, non trovavo più una ragione per continuare a respirare, parlare o vivere: ero nella depressione più profonda.

Alla fine mia madre ha trovato il mio cellulare, ha letto i brutti messaggi che ricevevo e ha deciso di portarmi da uno “strizza cervelli” per parlare dei miei problemi. La sua terapia non è servita a molto. Solo quando questa estate sono andata a Medjugorje con mia cugina ho trovato la pace con il mio corpo. Il gruppo con cui ero mi ha aperto un mondo, mi ha fatto capire che non devi essere all’altezza di nessuno, che non c’è bisogno di giocare al più grande e il più piccolo, devi essere te stesso sempre e comunque.

Ho trovato la mia forza interiore, ho ricominciato a vivere con la consapevolezza che non importa da dove vieni, chi sei, la tua razza o la tua religione: tu sarai sempre diverso dagli altri perché hai qualcosa dentro di te che rende la tua esistenza grandiosa. Ho sempre pensato che non sarei più uscita da quel circolo vizioso finché mia madre non ha scoperto quei messaggi sul cellulare; non so come sarebbe andata a finire, ma sicuramente non sarei qui a parlare liberamente e tranquillamente del disagio che ho vissuto.

Io credo nella musica, sì, la musica è la cura per tutto: per le brutte giornate, i brutti momenti, per superare perdite e per la noia. La musica è qualcosa a cui aggrapparci nel momento del dolore, come gli affetti della famiglia e degli amici.

S

Per me è come ti fanno sentire gli altri.

Essere un po’ fuori dalle righe, avere gusti e preferenze differenti o un altro orientamento sessuale.

Ho vissuto il bullismo per tre anni alle medie. Mi sentivo minacciata e discriminata: le persone non mi parlavano e se lo facevano era solo per prendermi in giro. In classe, alcune mie compagne passavano ore a fissarmi aspettando una mia reazione, quella reazione, che ci rende fragili agli occhi degli altri: il pianto. Aspettavano solo che io piangessi per chiamarmi “mammona” e in altri modi. Mi facevano sentire diversa e io non ne capivo il motivo.

La verità è che non è mai finita veramente: ora che sono al liceo ho trovato nuovi amici e ho voltato pagina, ma a volte rileggo ancora i messaggi su “Whatsapp” dei gruppi che facevano per prendermi in giro, e penso: ”Come ho fatto ad andare avanti nonostante tutte le critiche, gli insulti, le minacce che ricevevo?” E’ bastato non vedere più quelle brutte persone per smettere di soffrire, ma cose del genere non si dimenticano mai del tutto. La paura ancora c’è.

I miei genitori hanno deciso di portarmi da uno psicoterapeuta per migliorare il mio umore. Ne ho cambiati cinque, ma nessuno mi ha davvero aiutato a superare il malessere. Sono migliorata quando ho iniziato il liceo e ho conosciuto nuove persone che mi hanno sostenuto nelle mie scelte e in ciò che facevo; grazie a loro ho capito che dovevo semplicemente andare avanti, ma soprattutto che la mia vita era stata così vuota perché non avevo mai avuto nessuno con cui aprirmi sulla situazione che stavo vivendo.

Innanzitutto io non credo molto in me stessa, ho l’autostima bassa e questo è dovuto al bullismo che ho vissuto, però credo che siano le persone che ti amanoele emozioni che provi che rendono la tua vita speciale.

Cos’è per te la diversità?

Cos’è cherende una persona diversa dagli altri?

Quando andavi alle medie, gli altri si relazionavano in modo diverso con te?

Com’è andata a finire?

Come hai fatto a tornare a vivere normalmente?

In che cosa credi?

Cos’è la diversità? Abbiamo intervistato due adolescenti come tanti, che si sono sentite molto diverse. Per convenienza le chiameremo C ed S.

In conclusione si potrebbe affermare che spesso il concetto di diversità è un ostacolo da superare, magari cercando di essere se stessi.

i n t e r v i s t aL A D I V E R S I T À

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a t t u a l i t à a t t u a l i t à

Cosa significa BE U? Be yourself: sii te stesso. E’ da questo concetto che la rivista studentesca BLOGmag, nel 2008, ha creato quella che oggi è la vendutissima linea di agende BE U; ma BE U non è nata per essere una semplice agenda. E’, infatti, una piccola tela bianca sulla quale dipingere il proprio mondo, esprimere le proprie emozioni, scarabocchiare quando il professore spiega e, se siete cinici alternativi o comunissimi pigroni, lasciarla come appena uscita dalla fabbrica.BE U ha un messaggio ben preciso: vivi la tua vita in modo originale, come la vuoi tu e non come la vogliono gli altri. Crea il tuo mondo e modellalo sulla tua personalità unica e irripetibile. Ma è qui che lo slogan dell’agenda giunge a un paradosso: cercare di globalizzare l’unicità, non è di per sé un controsenso? Nella smania di essere originali non ci rendiamo conto che, invece, stiamo di nuovo seguendo una moda, ovvero quella di essere pecore nere; ma un gregge di pecore nere è pur sempre un gregge di pecore.Ogni pecora deve essere la migliore, la più differente; ma l’originalità non è un gara, non ci sono né vincitori né vinti.La BE U, in quel 2008, aveva sperato di creare, citando Caparezza, “il prodigio che dà voce a chi non parla, a chi balbetta” e in parte ci è riuscita; d’altro canto, però, ha ottenuto l’effetto opposto; infatti si ritrova ad oggi con schiere di ragazzi che la decorano con i motivi di tendenza del momento.Potrebbe indicare un timore nel distaccarsi dalla massa anche se esortati a farlo, o una tale propensione all’omologazione dal non rendersi conto che la propria personalità si è ormai sciolta nel miscuglio omogeneo della società.

Sandra CaballinaSofia Carducci

Il concetto di responsabilità, è uno dei principi senza i quali non esisterebbe un mondo civile con il quale siamo cresciuti per riconoscere i propri errori. Bisogna considerare però la nascita di un nuovo tipo di responsabilità, collettiva e non più individuale. Quando l’intera umanità è la causa di un determinato fenomeno, come si fa a stabilire di chi è la responsabilità? Ogni singola persona compie delle azioni e non si sente colpevole delle conseguenze, magari proprio per questo non ci si rende conto nemmeno dell’enormità del problema. Nell’ambito ambientale la responsabilità collettiva è il pilastro della salvaguardia del nostro pianeta; sarebbe scontato

citare tutti i dati riguardo l’espansione del buco dell’ozono, l’aumento sregolato della temperatura, la scomparsa di specie viventi, la devastazione di ambienti naturali. Queste sono tutte mancanze di responsabilità e di rispetto verso il

prossimo. Bisognerebbe imparare il prima possibile a non scindere se stessi dal mondo., . A contribuire in modo più grave a questa piaga sono le industrie e le multinazionali, che si rifiutano di incentivare il commercio di auto ecologiche, che non ne vogliono sapere di creare computer che si possano riciclare o di smettere di comprare i laghi più grandi del mondo per produrre le proprie bibite. Però la responsabilità ricade su ogni singolo cittadino dal momento che qualsiasi gesto ha un effetto come buttare a terra la gomma da masticare o la sigaretta, non differenziare i rifiuti, prendere la macchina per andare a fare la spesa. Basta poco, come riusare le buste di plastica, comprare prodotti locali, o magari scoprire quant’è bello viaggiare in treno. Finché non ci si sentirà cittadini del mondo non si arriverà mai a realizzare che tutto dipende da noi e non da qualcun altro. La responsabilità del cittadino del mondo è trattare il pianeta come fosse la propria casa, in cui dovrà crescere i propri figli.

Elena Janata

Quali sono le conseguenze più immediate della rivoluzione informatica? Sicuramente una nuova mentalità: quella del “tutto e subito”, delle notizie in tempo reale, della gestione di una vita virtuale. Per adeguarsi a questa nuova era, sono diventate indispensabili qualità come un atteggiamento positivo nei confronti dell’innovazione, l’intuitività e il cosiddetto multitasking, ossia la capacità di eseguire più azioni simultaneamente. Per i nuovi nati, i problemi di apprendimento sono assenti: sta diventando ormai normale vedere bambini che sperimentano col ditino sullo schermo, quasi istintivamente. Le difficoltà si riscontrano per le generazioni vissute a cavallo tra questi due periodi, nate con l’analogico e improvvisamente catapultate nel digitale. Non è facile apprendere una nuova mentalità, soprattutto quando si vede che ha qualche mancanza: va bene adeguarsi al nuovo mondo di tecnologie, ma questo continuo upgrade delle nostre vite sta diventando un po’ pericoloso. Adattamento è sinonimo di intelligenza; eppure, paradossalmente, l’omologazione è il più grande effetto collaterale della rivoluzione informatica, che rischia di vedere il suo apice nella nascita di

una unumanità senza pensiero critico, attitudine alla risoluzione dei problemi e creatività. La nascita di metodi di insegnamento che si adattano a questa diffusione del progresso tecnologico

sicuramente non aiuta. Non si possono togliere a un essere umano in crescita i mezzi per coltivare le sue immense potenzialità. In poche parole, non è corretto nei confronti dei ragazzi sostituire un libro con un film. Certo, ci sono molti lati positivi, ma se il mondo della didattica subisse una trasformazione così drastica e definitiva, le nuove menti potrebbero perdere la capacità di astrazione, che si può acquisire solo attraverso il linguaggio verbale e che ormai verrà ritenuta superflua. Potrà nascere una nuova concezione del sapere, da sfogliare e applicare quando necessario e non da conoscere e capire. Per fare un esempio, ormai non troverete così facilmente un documentario di storia o arte che non faccia uso di ricostruzioni digitali. Magari quando la rivoluzione sarà terminata nessuno farà più confronti con la vecchia pedagogia; però intanto in tutto questo entusiasmo stiamo iniziando a tarparci le ali da soli.

Elena Janata

imparare nel XXI secolowe can be heroes be-u

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f u m e t t i p o e s i e

LA MATEMATICA

La matematica non è una scienza esattala matematica non è un’opinione

la matematica è un altro tipo di musica:la canzone che i numeri cantano

un’ora prima di andare a dormire.

ALLA LUNA

Per una luna che, imperniata, dondolanel timido cielo della notte,

vorrei scrivere qualcosa in rima:ma non trovo le parole adatte.E costretta a sciogliere i versi

in una breve canzonetta irregolaresenza metrica, priva di niente,

mi rendo pura del tuo candore sfregiato.Come il lieve brivido bianco

che mi accarezza la pelle di sera

AMORE

Forse un giorno mi troveraiSenza il bisogno di cercarmiForse poi sentirai il bisogno

di cercarmi in un posto lontanoMa non mi troverai mai,

perché sarò troppo vicina a te.

GALAVERNA

Cristalli di freddo dondolanoappesi ai rami perplessi

riflessinegli occhi di una fronda ghiacciata:

perché sei così istantanea e fredda morte,galaverna?

IL CIELO Di NOTTE

Il cielo di notteè un diamante opaco.Il cielo di notteha mille occhi.Hai mai visto il cielo di notte?Di sicuro lui ha visto te

FILASTROCCA

Fanno rimaIl dopo e il primaLa notte e il giornoL’andata e il ritorno.Fanno rimaSoffitta e cantinaDentro e fuoriVivi o muori.Ma attento, aspetta un pocoFanno rima solo per giocoSpezza, rimescola cambia il dettoNon val più niente quello che hai letto .Restan soltanto un po’ di paroleVirgola, accento e un raggio di sole:Il poeta è un pagliaccio che sa cosa direLe muse e il talento vadano pure a dormire.Il poeta mescola e tinge i coloriLa gente lo ama e lo copre di alloriPoi scopre il trucco e se ne va viaE a lui non rimane che la sua poesia

EDERA

Edera stritola un muro,tra le sue foglie piccole e zannute. C’è chi dice che l’unione fa la forza.

Ci Vuole Costanza n.6, a.3, a.s. 2015/16 Ci Vuole Costanza n.6, a.3, a.s. 2015/1612 13

Date un Oscar a quest’uomo

“Revenant”, probabilmente il miglior film dell’anno, narra la lotta per la sopravvivenza di Hugh Glass (Leonardo DiCaprio), abbandonato in una delle zone più inospitali dell’America. Questo film ha uno sviluppo pacato, ma riesce comunque a coinvolgere lo spettatore. È interessante la quasi totale assenza di dialogo

che accompagna questa battaglia estrema tra l’uomo e la natura. Questo silenzio dà largo spazio ai suoni della natura e alla colonna sonora, che accompagna perfettamente quello che accade. Un altro elemento rilevante è la dimensione dello schermo quando si va al cinema. Se dovessi descrivere l’impressione che mi ha dato, “colossale” è l’unica parola che mi viene in mente. Scorci di paesaggi che si estendono a vista d’occhio, l’immensità del cielo, la natura incolta e dimenticata da dio che circonda il protagonista sono elementi che hanno dimensioni tali da essere molto adatte a uno schermo grande, che sottolinea l’aspetto epico della battaglia personale di Glass contro le intemperie e ci fa capire quanto l’uomo sia piccolo di fronte all’immensità del territorio americano. L’altro elemento ammirevole è il realismo dell’opera, tra l’altro tratta da una storia vera. I paesaggi, le condizioni atmosferiche, i vestiti (Glass indossa 45 kg di pelli per buona parte del film): l’intero film trasuda realismo e ci coinvolge al punto tale che usciamo quasi provati dalla sala di proiezione. Un altro capolavoro è l’orso che Glass, armato solo di fucile e coltello, si troverà a fronteggiare: lo scontro tra i due è talmente lungo e ricco di particolari da risultare quasi estenuante; anche le ferite sono realizzate con cura: DiCaprio passava fino a 4-5 ore nelle mani degli esperti che lo truccavano per le scene. Per concludere, è un’opera che merita di essere vista, realizzata come si deve da un ottimo regista, che ha creato un capolavoro che può essere considerato il massimo del realismo.

Antonio Gassner

To remember the 400th anniversary of Shakespare’s death, the Director, Justin Kurzel, has reinterpreted the playwrite’s darkest drama, Macbeth. Set in a war torn medieval Scotland, Macbeth is a story of a fearless warrior and inspiring leader brought low by ambition and sinking into psychosis. The director opens the movie with a new scene of the burial of Macbeth’s child, and continues with a graphic depiction of a crucial battle which is won by the protagonist, played by Michael Fassbender. After the battle Macbeth and his friend, Banquo meet three mysterious women, who predict he will be king of Scotland and Banquo will be the father of kings. Returning home he finds the current king, Duncan, whom he kills driven on by his wife, brilliantly played by Marion Cotillard. This is a trigger for ever increasing levels of violence and madness, which lead him to murder Banquo, his best friend, in order to secure his throne. Lady Macbeth at first the more dominant and determined of the couple, soon finds herself destroyed at the sight of her husband killing McDuff’s innocent family, after he escapes. These are brutal deaths which show her, and us, the depth of the new king’s depravity. After his wife’s death, maybe by suicide, Macbeth, no longer capable of emotion, delivers a monologue on the pointlessness of life. One of the greatest speeches in English Literature. Macbeth, thinking himself invincible after a second prediction by the strange witches, fights a vengeful McDuff during a final battle, and meets his brutal death. Fassbender is bleak, lacking contrast or tonality. This is not one of his best performance as he mistakes muttering for intensity. A very good movie, but the poetry is often lost, a factor that should not be missing since Shakespeare is famous for his amazing writing and insights into human nature, centuries before Freud.

Maisie Silvestri

Il libro, pubblicato nel 1991, non ha portato grande successo al suo autore, Alessandro Baricco, forse per il fatto che si tratta di un’opera diversa: non c’è una storia lineare, ma un groviglio di sogni, di desideri, di pagine vuote che si scioglie soltanto nella conclusione, facendo capire il senso del libro la cui trama, nella parte iniziale e durante lo svolgimento, è complicata

da capire. Tutto è basato sull’astratto dei sogni, infatti il titolo esprime bene che se i nostri castelli di felicità non si avverano, a volte è possibile che si avverino quelli che nascono dalla rabbia. In fondo, cos’è un desiderio? È tutto: è una ruota indispensabile del mio carro che continua a portarmi avanti,mi fa sperare, sentire il profumo della felicità, mi permette di pensare in un modo libero, senza limiti. D’altronde così accade anche ai personaggi del romanzo: per loro i desideri sono motivazioni che permettono loro di proseguire. A volte, però, vale la pena di rimanere a pensare a ciò che un desiderio, dopo essersi avverato, potrebbe causare: sarebbe insignificante se il risultato non piacesse alla gente;ma se si dimostrasse un vero sbaglio, allora si dovrebbe pagare. L’importante è non scappare da se stessi, ma rimanere fedeli e sicuri del proprio sogno che si è realizzato, esprimendo tutta la gioia che nel corso del tempo si è accumulata. Bisogna saper andare avanti sulla propria strada, come il signor Rail, che ha cercato di costruire una ferrovia per Elisabeth,la locomotiva di cui si era innamorato e che aveva comprato e portato a casa. Il suo sogno non si è mai realizzato, ma lui ha sempre cercato di fare di tutto, non si è mai piegato davanti a niente, infatti alla fine l’unica gioia che gli rimane è la sua Elisabeth, per la quale ha lottato tanto. Qualcuno non riesce ma continua a sperare, qualcun altro tenta ma fallisce, qualcuno ce la fa. Ed è proprio questo che tiene in vita ogni personaggio del libro ed in generale ogni persona: sono i sogni che ci spingono a superare ogni difficoltà, come accade alla protagonista, Jun, che inventa tutto un mondo per evadere dalla sua degradata realtà e costruisce un’altra se stessa. Ma anche lei rimane lì a pagare fino all’ultima moneta.

Ariana Dzananovic e Aurora Farabollini

r e c e n s i o n i r e c e n s i o n i

macbeththe revenantgolemcastelli di rabbia

LIBRI FILM

Un fumetto tutto italiano, un volume autoconclusivo a metà strada fra manga e strisce americane. Una distopia fantascientifica. Qualcosa che ci riguarda in prima persona. Siamo a Roma, nell’anno 2030. Per l’Italia, ormai, la crisi degli anni 2000 è solo un lontano ricordo; la società è completamente diversa da quella che conosciamo: è ricca, in pace e ognuno può finalmente permettersi ciò che vuole; la ricerca medica ha raggiunto un livello tale da consentire addirittura agli ammalati di cancro di guarire in una settimana. Quattro grandi multinazionali si occupano di diffondere prodotti, dai generi alimentari alle più avanzate tecnologie, in grado di migliorare notevolmente la qualità della vita ed eliminare anche il più piccolo pericolo, per la sicurezza e il benessere del singolo cittadino. Tra quattordici anni, saremo veramente così? Chissà se dopo aver approfondito la faccenda, questo genere di futuro ci apparirà così roseo.Ebbene, questa società perfetta è, in realtà, solo un’illusione. Non c’è più nulla da fare, nulla da creare o inventare, da tempo i ragazzini hanno smesso di sognare... E proprio perché “smettere di sognare è il primo passo per farsi mettere i piedi in testa”, le grandi multinazionali riescono a controllare la popolazione, svuotando progressivamente l’esistenza di ognuno. Inoltre, il governo è alla ricerca di una straordinaria invenzione, che permetta di trasformare tutti i rifiuti prodotti fino a quel momento in preziose risorse da usare per scopi militari e di lucro. Ciononostante c’è ancora chi si oppone a tutto questo, chi si oppone all’estremo egoismo dei politici: gli “shorai” (dal giapponese “futuro”), un gruppo definito terroristico, molto ribelle e troppo ninja, e Steno, un bambino che ha paura dei suoi stessi sogni, ma che imparerà presto a farne buon uso.In conclusione, fra colori sgargianti e simboli in ogni dove, “Golem” ci mette in guardia da un futuro prossimo verso il quale anche noi ci stiamo tristemente dirigendo.

Ludovica Costanza Janata

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Ambientazione horror? C’è. Trama avvincente? C’è. Tematica attuale? C’è anche quella. Infatti non manca praticamente nulla al gioiellino creato dalle menti di Ryan Murphy e Brad Falchuk. La serie tv in questione è niente meno che l’acclamatissimo “American Horror Story”, più precisamente la sua quarta stagione “Freak Show” (NON CI SONO

SPOILER in questo articolo dato che il cast e la storia cambiano di stagione in stagione. Potete tirare tutti un sospiro di sollievo). Ambientata a Jupiter, Florida negli anni ‘50, la serie affronta la tematica della diversità in maniera estrema. In città, misteriosi omicidi fanno pensare all’esistenza di un killer, spaventando praticamente tutti. Poco fuori Jupiter, c’è un circo un po’ particolare dove ad esibirsi non sono giocolieri e trapezisti bensì i “fenomeni da baraccone”, capitanati da Elsa Mars, donna in cerca del successo. Con l’aumento dei morti, i sospetti ricadono sempre più sulla signora Mars e i membri del suo circo. La loro vita in città diventa stracolma di ingiustizie, subite a causa della loro disabilità fisica e/o mentale, creando tensioni perfino all’interno del tendone. “Freak Show” non mette solo in luce le disabilità di questi personaggi, ma ne sottolinea anche la temperanza e sottolinea la fatica di vivere in un mondo che rema contro di loro. È così che capiamo che i veri strambi, i veri pazzi e i veri killer sono le persone normali, così accecate dalla loro voglia di avere l’irraggiungibile da compiere pazzie. Scenografie, montaggio ed effetti speciali sono curatissimi, ma sono solo una briciola in confronto all’importanza del messaggio che lo show vuole trasmettere: “Tutti i mostri sono umani”. Una rappresentazione di diversità che supera l’aspetto fisico e passa a quello psicologico. Si sa, per un horror coi fiocchi non bastano sangue e urla. Unica pecca: gli episodi, che durano un’ora, a volte possono essere pesanti.

Sofia Carducci

Ascolto questo album per la prima volta con tutto lo scetticismo di un’amante del rock anni ‘70 e ‘80 di fronte un disco pop rilasciato nel 2005, incuriosita da un recensore che aveva definito Antony Hegarty, “un personaggio carismatico”.La voce di Antony prima mi infastidisce, poi mi conquista, col suo vibrato vulnerabile - sofferto e celestiale allo stesso tempo. Cerco un termine di paragone tra le voci maschili - il Jeff Buckley di “Hallelujah” - e mi accorgo che la voce di Antony è innegabilmente una voce femminile, anche se potente, come quella di Nina Simone. Dimentico questa intuizione, confusa da “Man is the Baby”, un brano sospeso tra folk e jazz che riporta alla memoria un verso di William Wordsword: “Il bambino è il padre dell’uomo”. Comprendo finalmente la verità grazie a “For today I am a Boy”, l’emblematica terza traccia, che recita: “per oggi sono un bambino”, “per oggi sono un ragazzo”, ma “un giorno sarò una bella ragazza” e “mi sentirò completo e puro”. È allora che le tessere del puzzle ricadono al loro posto: il duetto con Boy George, la copertina. Lo scatto - “Candy Darling sul letto di morte” - è del fotografo Peter Hujar; Candy Darling è un attore transgender celebrato nel singolo dei Velvet Underground “Candy Says” (“Candy dice: sono arrivata ad odiare il mio corpo...”). “I am a bird now” narra la vita di Antony, un artista transgender, il quale, attraverso i disagi (si veda l’inquietante “Fistful of Love”), riesce a trovare grazia e armonia. All’interrogativo della prima traccia, “Dove andrò, quando muoio?”, risponde l’ultima: “Adesso sono un ‘Bird Guhl’ (o forse una “Bird Girl”, è difficile distinguere tra le due pronunce) e i ‘Bird Guhl’ vanno in paradiso”. Ed è proprio “Bird Guhl” il gioiello in cui l’album trascende l’esperienza dell’autore, esortando tutti a essere liberi e indipendenti al di là di ogni differenza (e mi fa maledire l’italiano, che ha zavorrato una parola intensa e simbolica come “uccello”, trasformandola in un doppio senso).

Lucia Giorgi

r e c e n s i o n iSERIE TV

i am a bird nowamerican horror story - freak show

MUSICAm u s i c a

Gli eroi vengono ricordati per sempre, ma le leggende non muoiono mai.E nonostante Bowie cantasse di come possiamo essere eroi, anche solo per un giorno, la sua figura va sicuramente classificata sotto l’etichetta “leggende”. Lo dimostra il fatto che, anche se non può essere considerato un artista della nostra generazione, sono stati tantissimi i ragazzi a piangerlo, ascoltando a ripetizione le playlist dedicategli su youtube o, per i più fortunati, i vinili

che i loro genitori avevano seppellito in cantina.Bowie è stato un’icona: l’uomo dai costumi glitterati che ha cantato ciò che non si aveva il coraggio di dire, l’eccentrico artista dai mille alter ego, colui che ha ispirato innumerevoli cantanti, pittori, registi e persino stilisti. L’uomo che ha venduto il mondo, come cantava lui, ma a chi lo ha venduto? Ai giovani, a tutti coloro che stavano cercando qualcosa o qualcuno, alle persone che cercavano di reinventarsi e di riscoprirsi nuove, comprando, appunto, un mondo scintillante e spesso misterioso e intrigante, che era contenuto interamente nei dischi di Bowie. Lo sperimentalismo che ha attraversato la sua carriera è ammirevole perché non scende mai nel banale: David è riuscito a riflettere nelle sue canzoni la società del tempo in cui cantava, ma facendola sua; molti lo hanno anche definito un venduto, ma Bowie è stato semplicemente bravo nel farsi comprare, ha saputo dare a pubblico quello che voleva senza mai rinunciare a se stesso. La sua “Space oddity” ha fatto da sottofondo al lancio dell’Apollo 11 nel ‘69, “Let’s dance” ha tenuto fede al suo titolo e ha fatto ballare frotte di persone,“Heroes” ha fatto sognare, dando la speranza di essere Re e Regine indivisibili

e “Life on Mars” ha fatto nascere il dubbio che non fosse proprio Bowie un alieno venuto da Marte, perché una musica così sembrava fuori dalla portata degli umani, non si era mai sentita e, probabilmente, non si sentirà mai più.E artisti così non muoiono mai veramente. Sono nel cuore di chi li ha amati, nelle parole di chi li ha osannati e nelle orecchie di chi li ha ascoltati; come si può, in fondo, morire se milioni di persone hanno legato alla loro anima un frammento della loro essenza?

Quello che si rivolge a Bowie non è un addio,quindi, ma un arrivederci. Basta alzare la testa, nella notte più limpida, per dedicare un sorriso all’uomo delle stelle, che ci aspetta nel cielo.Se volete fare una prova e vedere se Bowie riesce a catturare anche il vostro cuore, o se siete già dei fan attanagliati da una forte nostalgia, qui di seguito riporto una piccola playlist, con quelli che considero tra i pezzi più belli. Buon ascolto!

-Life on Mars-Heroes-Ziggy Stardust-The Man Who Sold the World-Space Oddity-Rebel Rebel-Starman -Changes

Sandra Caballina

S T A R M A N

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c r o n a c h e s c o l a s t i c h e i n c h i e s t a

La nostra società è fondamentalmente piatta. La maggior parte delle persone non ha una propria identità e il pensiero di chi ancora ne ha una è schiacciato dalla massa e non riesce ad emergere. Questa piccola parte della popolazione vive come in un’altra dimensione, che si crea per riuscire a sopravvivere senza dare importanza agli altri. La diversità è soggettiva, non ci sono dei veri e propri canoni per definirla; purtroppo nella società di oggi qualsiasi persona che non segua le tendenze viene considerata diversa. Allo stesso tempo però, tutti pensano di distinguersi dalla massa. All’interno dell’ambiente scolastico, ad esempio, troviamo il “gruppo popolare”, formato solitamente da bei ragazzi, che si vestono alla moda e strafottenti, il “gruppo degli sfigati”, ovvero ragazzi comuni che solitamente o non sono abbastanza attraenti, o semplicemente la pensano diversamente, e le persone che non si identificano in nessuno di questi gruppi e convivono tranquillamente ognuno con la propria idea, senza etichetta.Queste sono delle domande fatte ad un campione di ragazzi dai 14 ai 19 anni (indicati con un numero da 1 a 5 in base alla classe frequentata) e di adulti (indicati con una A). –Pensi che ci siano delle “classi sociali” all’interno della scuola? Se sì quali?1°. Sì, ci sono delle “classi sociali” all’interno della scuola. Sono le solite che vivono all’interno del sistema scolastico da anni, è sempre stato così. Si viene considerati più “fighi” perché ci si veste e ci si atteggia in un certo modo ottenendo popolarità e attenzione da parte delle ragazze.2°. Non la vedrei proprio come “classe sociale” ma più come dei singoli individui che spiccano tra gli altri. Ad esempio “il figo”, “il secchione”, “il popolare” e “lo sfigato”. 3°. No, non credo ci siano delle “classi sociali” all’interno della nostra scuola. Certo, c’è sempre qualcuno che “se la tira” e qualcuno che rimane in disparte.5°. No, non ci sono delle “classi sociali”, ognuno decide se frequentare una persona in base al suo carattere.A. Sì, quando ero giovane c’erano delle divisioni sociali

all’interno della scuola, addirittura all’interno delle classi; io, figlia di un operaio, ero emarginata insieme agli altri miei compagni con cui condividevo la stessa situazione familiare perché non eravamo vestiti alla moda o non andavamo in gita tutti gli anni. –Come ti classifichi all’interno della scuola? 1°. Io non mi classifico in nessun gruppo, mi sento una

persona normale che non si fa problemi a frequentarne altre appartenenti a diverse “classi sociali”.2°. Io non mi sento né come i ragazzi che vengono emarginati e presi in giro dal resto della classe, né come le persone che hanno tantissimi amici ai loro piedi; però un mio amico viene escluso persino dai suoi compagni di classe. Infatti la sua autostima è nulla. 3°. Sono una persona normale, se gli altri mi

classificano in un modo a me non importa. Resto sempre la stessa sia che mi diano della “sfigata” o della “popolare”.5°. Non mi ritengo classificabile, sono semplicemente una persona che esprime le proprie idee; come non ritengo classificabile me allo stesso tempo non ritengo classificabili neanche gli altri ragazzi. A. Io ero nel gruppo degli sfigati ma non mi sentivo così perché avevo trovato degli amici nella mia stessa situazione con cui stavo bene.Alla fine la diversità, come tutte le cose, può essere positiva o negativa. Si può essere diversi per scelta o per cause di forza maggiore; l’unica cosa certa è che per quanto si cerchi di essere uguali o diversi rimarremo sempre unici.

Agnese Santori

Il 9 aprile scorso, noi alunni del biennio di tutti i licei di Camerino, siamo andati a vedere il film “Come saltano i pesci”. Uno sceneggiato girato interamente nelle Marche, che non privilegia soltanto il nostro territorio, ma anche temi molto importanti, come la diversità, la famiglia, il perdono. Il protagonista, Matteo, è un abile meccanico il cui sogno è essere assunto a Maranello, e che, nel frattempo, lavora nell’officina del padre Italo, vivendo a casa con mamma Mariella e la sorella Giulia, affetta dalla sindrome di Down. La loro esistenza serena viene sconvolta dalla notizia di un incidente stradale in cui ha perso la vita una persona che appartiene al passato di Italo. Matteo è insoddisfatto delle spiegazioni dei suoi genitori e profondamente deluso per essere stato tenuto all’oscuro di un vero e proprio mistero, che tenterà di risolvere; la sorella Giulia appoggerà ogni sua scelta, dato il forte legame affettivo tra i due. Con l’aiuto di Angela, una ragazza conosciuta per puro caso, Matteo scoprirà una parte della sua vita che prima non conosceva. “Come saltano i pesci” è un film magistrale che parla del peccato e della redenzione, dell’esigenza del

perdono e della volontà umana di punirsi in maniera caparbia e ottusa. Il film entra anche nel dibattito contemporaneo sulla genitorialità, spingendoci a domandarci se

i figli siano di chi li mette al mondo o di chi li ama e li alleva. Esso ha perfino una sua dolcezza, trasmessa dalla figura di Giulia, la quale manifesta la sua diversità in modo positivo, come una ricchezza, con chiunque venga a contatto. Al termine del film abbiamo avuto la fortuna di incontrare il regista (Alessandro Valori) e il protagonista e ideatore della trama, Simone Riccioni, il quale ha pronunciato un breve discorso sui sogni, sull’importanza di averne e di darsi da fare per realizzarli, come ha fatto lui, che, girando questo film, non solo ha realizzato le sue ambizioni, ma ha anche portato centinaia di ragazzi di ogni scuola a riflettere su temi che magari, alle volte, lasciamo in disparte. Al termine di questa mattinata, tutti noi eravamo felici dell’opportunità avuta di incontrare direttamente il protagonista e di ricevere ulteriori spiegazioni sui significati del film, ma soprattutto di essere stati stimolati a raggiungere i nostri obiettivi e a vivere in pieno ciò che ci rende felici.

Luana Paladini

“Le statue coperte a Roma appaiono come la blasfemia della verità velata, a cui il nostro occidente, poco accorto e così assente, deve assistere, come lo

struzzo che preferisce mettere la testa sotto la sabbia.”

Così diceva il filosofo Heidegger: la verità, per i greci, è “svelatezza”. Il vero è ciò che non è più nascosto; verità, pertanto, non significa conformità a qualcosa, ma svelamento. La natura ama nascondersi, mentre la verità si mostra. Che cosa sono questi veli sulle nudità dei musei capitolini? Un eccesso di zelo? Un tentativo di evitare contrasti? Ma nascondere non cambia la verità.Anzi, dire di non guardare è come invitare a farlo. Spesso, infatti, proibire è autorizzare! Nascondere è un po’ come isolare gli oggetti ritenuti di interesse particolare, attirando inevitabilmente l’attenzione su di essi. Così, paradossalmente, nel tentativo di ignorare,

evidenziamo, generando il problema.Questi veli sembrano il “mantello” che protegge gli eletti, divenuto poi la “gabbia di acciaio” con cui imprigioniamo noi stessi.Ci sono tanti occhi: l’occhio logico, l’occhio magico, l’occhio clinico, l’occhio critico, l’occhio puro... Occhi che guardano, che osservano, che scrutano. Occhi che vedono, vedono poco, vedono molto, miopi, presbiti, daltonici, sguardi diversi in diverse direzioni, in una continua interazione e richiesta di decodificazione, verso un compito ermeneutico senza limiti!Evitiamo, dunque, di fare come colei che disfaceva il suo filato, dopo averlo torto a fatica, trasformando i nostri giuramenti e la nostra cultura in mezzi di reciproco inganno, a seconda della prevalenza di un gruppo o di un altro.La verità è “aletheia”, cioè una continua dialettica di apertura e nascondimento: nel momento in cui si manifesta si cela. L’opera d’arte è, a sua volta, una messa in opera della verità, coprente e custodente, in un mistero mai completamente svelato.

Prof. Simonetta Mosciatti

la verità si vela e si svelacome saltano i pesci

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c r u c i v e r b a

“Viaggiando sentiamo che sta accadendo qualcosa di importante, che partecipiamo a un evento di cui siamo nello stesso tempo testimoni e creatori, che siamo responsabili

di qualcosa”Ryzard Kapucinski

Questa semplice frase rappresenta appieno ciò che il viaggio in Irlanda ha significato per noi: nuove esperienze, nuove sfide da affrontare e dalle quali trarre un insegnamento; infatti viaggiare non è solo un modo per “rafforzare” un’altra lingua, che in questo caso è l’inglese, ma anche per crescere e maturare. Viaggiare è bello e anche importante: viaggiando usciamo dalle nostre “mura” non solo fisiche ma anche mentali, scopriamo nuovi luoghi e soprattutto nuove persone, entriamo così a contatto con l’altro.Svegliarsi alle tre di notte; dare un ultimo sguardo alle valigie con la speranza di non aver scordato nulla; salutare con un’ultima occhiata la porta di casa, la fortezza personale che essa rappresenta; arrivare alla piazza della scuola; sistemare le valigie nel bagagliaio; sedersi e aspettare la partenza. Sopportare un viaggio in autobus tra il sonno e la veglia. Una volta in aeroporto, per molti è iniziata la prima sfida: la paura dell’altezza e quella del volo. A bordo dell’aereo ormai era troppo tardi per ripensarci e l’unica soluzione era affidarsi alle mani del pilota.“succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa... e la vedeva. C’era sempre uno, uno solo, uno che per primo ... la vedeva. Magari era lì che stava mangiando, o passeggiando, semplicemente, sul ponte ... alzava la testa un attimo, buttando un occhio verso il mare ... e la vedeva. Allora si inchiodava, lì dove era, gli partiva il cuore a mille, e , sempre tutte le maledette volte, giuro, si girava verso di noi, verso tutti e gridava: l’AMERICA.” (Alessandro Baricco,

“Novecento”)Le scogliere, il mare e la luce del sole, tutto sembrava diverso, nuovo.Poggiati i piedi sul suolo irlandese, molti hanno tirato un sospiro di sollievo. Ma subito, un’altra prova: non

sempre è semplice entrare in buon rapporti con gli altri, soprattutto con persone con una cultura differente dalla nostra; ce l’hanno insegnato le famiglie che ci ospitavano. Il punto di ritrovo iniziale era vicino a una chiesa, dove macchine e persone aspettavano. Loro erano contenti, noi preoccupati, anche se la nostra paura era ben nascosta dietro sorrisi nervosi; per loro era normale, per noi era il primo o secondo incontro di questo tipo.Per la prima volta ho pensato, con non poca inquietudine, che per il prossimo periodo avrei dovuto vivere con dei perfetti sconosciuti. Era un pensiero che ha tormentato il mio tragitto verso casa e penso che anche i miei compagni avessero la stessa cosa in mente.Avere un mezzo di comunicazione universale (o quasi) è un privilegio che scopriamo essere tale solo nel momento del bisogno, ed è in quel contesto che rimpiangiamo la nostra ignoranza.

Diventare membro di una nuova famiglia è stato imbarazzante: soprattutto trovarsi a cena e sentire parlare di cugini, parenti o amici per noi totalmente anonimi.Il cibo ha costituito un’altra sfida: pollo e patate e i piatti tipici della cultura irlandese erano piccanti e molto diversi da quelli mediterranei. La soluzione in questi casi era stringere i denti e soddisfare il bisogno primario. Scoprire Dublino, una città piena di vita che ci ha messo in contatto con una cultura, con usi e costumi e con ceti sociali differenti ci ha aperto la mente. Ma anche svolgere attività normali come prendere il pullman, andare a scuola o passeggiare per negozi o ristoranti sono state esperienze che ci hanno aiutato a crescere e ad entrare in contatto con l’altro che non sempre è come ci aspettiamo che sia. Viaggiare aiuta ad abbattere i muri dei pregiudizi che sono presenti negli uomini concentrati solo su se stessi.

“Viaggiare deve comportare il sacrificio di un programma ordinario a favore del caso, la rinuncia del quotidiano per lo

straordinario, deve essere una ristrutturazione assolutamente personale delle nostre convinzioni.”

Herman Hesse

Natalia Zarzyska

degli Anelli”. 17: Ciascuna delle due parti carnose poste in fondo alla schiena. 19: Relativo al dio del vento greco. 20: Tutti Gli Sbirri Sono Bastardi. 21: Ideale buddistico di liberazione dal dolor-eh-ehm... band di Kurt Cobain che spacca! 23: Il nome della Christie, scrittrice inglese di gialli, ma... senz’acca. 24: Arbusto dai piccoli fiori bianchi e dalla bacche blu, sacro a Venere. 25: Un piatto tipico veneto è la polenta e... 26: IMPERATOR, CAESAR, DIVI, NERVAE, FILIVS, MARCVS, VLPIVS, NERVA, TRAIANVS, OPTIMVS, AVGVSTVS, FORTISSIMVS, PRINCEPS, GERMANICVS, DACICVS, PARTHICVS, per gli amici “...” (Fece erigere una colonna a Roma). 28: Finestre a due aperture. 29: Cognome dei cantanti Julio e Enrique. 31: L’ape che “vola, vola, vola, vola” nei cartoni animati. 33: Il fiume più lungo di Italia. 34: Piante simili alle margherite... e alla parola “inutile”. 36: Sito archeologico vicino a Pompei. 38: Ciao come lo direbbero Julio ed Enrique della 29 orizzontale. 40: La 35 verticale era così arguta che abbiamo deciso di riproporvela. 41: Titolo di un romanzo di Walter Scott... anche stavolta senz’acca. 43: Bambina robot creata dal dottor Slump, protagonista di un cartone animato degli anni ‘90. 44: Life Insurance Corporation. 45: Dio del Sole nell’antico Egitto. 46: Diffusissimo cognome cinese. 47: Il bicchiere come lo vedono gli ottimisti. 48: I cattivi di “Star Wars” o “sedersi” in inglese... con l’acca! 49: Insieme a Barletta e Andria forma una provincia della Puglia (certo che i pugliesi sono proprio... strani). 52: Esclamazione antiquata. 54: Agrigento senza gente. 56: AA, II, OO, UU... cosa manca? 57: Coloro che hanno tentato di risolvere questo cruciverba ormai ci... 58: Basta, ci siamo stufate, riempite le caselle rimaste con lettere a caso e buttate via tutto!

orizzontali

verticali1: Il Voldemort de “I Promessi Sposi”. 2: Il gallo innamorato dice alla gallina: “Non ci lasceremo...”. 3: Il protagonista de “La Storia Infinita”. 4: Paesino sperduto del Friuli... va be’, ve la suggeriamo “Givigliana”. 5: Un piatto prelibato è il patè di fegato di... ragazza sciocca. 7: Sports to the Game! 8: Il più famoso dei cavalli alati. 9: “Prestito” in inglese (P.S. somiglia al cognome di un’attrice e modella di nome Lindsay). 10: Stiamo cercando una definizione, ma siamo ancora in... 11: Rispondete alla 45 verticale e... anagrammatela. 12: La luna di Giove più egocentrica. 13: Persona ingenua, semplice. 14: La parte più alta della polis greca. 15: Minerale appartenente al gruppo delle zeoliti (come ben sapete, le zeoliti sono dei tettosilicati la cui struttura molecolare è caratterizzata da... va be’, dai, “Natrolite”) 16: Strumento musicale a fiato. 18: L’introduttore non cedente. 22: Come si chiama Lupin? 23: Contese con Ulisse le armi di Achille. 24: Missing In Action. 27: Grandi uccelli acquatici... cenerini. 28: Studioso della vita e delle leggi che la governano. 30: Nome dello scrittore russo Лев Николаевич Толстой (... Nikolàevič Tolstoj). 32: Il frutto che gli inglesi chiamano “pino:mela”. 35: La parte finale della mano. 37: La 45 verticale come la pronuncerebbe il signor ... della 46 orizzontale. 39: Combatterono contro i troiani. 42: Il soprannome di Capone. 45: Finalmente, l’attesissima 45 verticale: Radiotelevisione Italiana. 47: Popular music. 48: He said “Ciaone” before it was “Coolone”. 50: Rodeo senza vocali. 51: In mezzo all’Antinori.

1: L’ultima fase della trasformazione del bruco in farfalla. 6: I “Pauperes commilitones Christi templique Salomonis”, meglio noti come cavalieri... 13: Lo è Gimli ne “Il Signore

v i a g g iI R L A N D A

Ludovica Costanza JanataLucia Giorgi

Ci Vuole Costanza n.6, a.3, a.s. 2015/1620

c i t a z i o n i

1 2 3 4 5Nazionalità Norvegese Ucraino Inglese Giapponese SpagnoloColore Gialla Blu Rossa Verde BiancaAnimale Volpe Cavallo Lumache Zebra CaneBevanda Acqua Tè Latte Caffè Succo d’aranciaSigarette Kool Chesterfield Old Gold Parliament Lucky Strike

soluzione all’indovinello del numero precedente: