la calda notte dell'ispettore tibbs

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Page 1: La Calda Notte Dell'Ispettore Tibbs
Page 2: La Calda Notte Dell'Ispettore Tibbs

John BallLA CALDA NOTTE

DELL’ISPETTORE TIBBS

Titolo originale:In the heat of the night

Traduzione:Antonio Ghirardelli

Copertina:Oliviero Berni

© 1966 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.

I Classici del GialloPeriodico quattordicinale: 15 aprile 1980

Prima Edizione: I Gialli Mondadori, giugno 1966Prima edizione: I Classici del Giallo, aprile 1980

Page 3: La Calda Notte Dell'Ispettore Tibbs

INDICE

LA CALDA NOTTE DELL’ISPETTORE TIBBS........................2

Personaggi principali:.....................................................................4

1......................................................................................................5

2....................................................................................................13

3....................................................................................................22

4....................................................................................................31

5....................................................................................................44

6....................................................................................................58

7....................................................................................................68

8....................................................................................................75

9....................................................................................................91

10................................................................................................104

11................................................................................................118

12................................................................................................129

13................................................................................................142

14................................................................................................149

Postfazione.................................................................................162

Foto.............................................................................................168

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Personaggi principali:

VIRGIL TIBBSispettore di polizia

BILL GILLESPIECapo della polizia di Wells

SANI WOODagente della polizia di Wells

ENRICO MANTOLIdirettore d’orchestra

DUENA MANTOLIsua figlia

RALPHcameriere del ristorante notturno

GOTTSCHALKingegnere missilistico

GEORGE ENDICOTTamico dei Mantoli

GRACE ENDICOTTsua moglie

DELORES PURDYragazza in cerca di guai

ERIC KAUFMANNmusicista

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1

Alle tre meno dieci del mattino, la città di Wells appariva deserta, nel caldo opprimente. La maggior parte dei suoi undicimila abitanti si agitava senza posa nei letti, e quelli che non potevano dormire imprecavano contro l’afa soffocante della notte, che nemmeno la brezza più lieve veniva a mitigare. L’afa del mese d’agosto, caratteristica delle due Caroline, pesava greve nell’aria.

La luna era tramontata. Poche lampade non schermate, nella strada principale, dov’erano i negozi e la zona degli affari, gettavano ombre nere sulle facciate delle botteghe chiuse, su quella dell’unico cinema superstite e sul silenzioso distributore di benzina. All’angolo, là dove la strada che attraversava la città tagliava ad angolo retto l’arteria principale, il condizionatore d’aria automatico della farmacia di Simon era in moto e il suo ronzio contrastava col silenzio della notte. Di là della strada, la sola macchina che il Dipartimento di polizia di Wells teneva tutta la notte fuori, di ronda, era accostata al marciapiede.

Sam Wood, il poliziotto di servizio, stringeva saldamente nella destra la penna a sfera e con la sinistra teneva fermo il blocchetto dei moduli contro il volante; scriveva il suo rapporto a caratteri chiari, in stampatello, alla luce che dall’esterno filtrava nell’auto; in esso affermava di aver compiuto diligentemente un giro di ronda completo della zona residenziale, come di dovere e di aver trovato tutto in ordine. Come accadeva da tre anni, le affermazioni che andava mettendo per iscritto lo riempivano di orgoglio, per la consapevolezza di essere, a quell’ora della notte, il personaggio più importante di tutta la città.

Sam riempì il modulo e mise il blocchetto sul sedile, accanto a sé; poi, tornò a guardare l’orologio. Erano quasi le tre: l’ora di una tazza di caffè al ristorante notturno. Ma il caldo della notte gli fece respingere l’idea del caffè; meglio sarebbe stato qualcosa di freddo.

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Doveva andar a bere qualcosa, oppure doveva fare, prima, un giro nel quartiere di misere casupole che costituiva la zona povera della città? Quella era la sola parte del suo servizio che gli dispiaceva, ma il dovere è dovere, e Sam, rammentandosi dell’importanza dell’incarico che ricopriva, decise di far attendere il desiderato ristoro; ingranò la marcia e avviò, allontanandosi dal marciapiede, con una manovra perfetta, da esperto guidatore.

Attraversata l’autostrada, deserta in entrambe le direzioni, Sam imboccò le strade dal fondo accidentato del disordinato quartiere negro. Procedeva molto lentamente, memore della notte in cui, mesi prima, aveva investito un cane. La bestia dormiva in mezzo alla strada e lui non l’aveva notata in tempo per scansarla del tutto. Sam si rivedeva, accovacciato nella strada, con la testa dell’animale fra le mani, e gli occhi della povera bestia che pareva lo implorassero. Poi, l’aveva vista morire, e, benché fosse cacciatore e godesse fama di uomo rude, la morte del cane l’aveva rattristato e, assieme a quella, il rimorso per esserne stato la causa.

Sam continuò a guidare tenendo gli occhi fissi sulla strada, per evitare le buche più fonde, e intanto stava attento se mai ci fosse stato qualche cane. Quando il breve giro attraverso il quartiere negro ebbe termine, frenò per diminuire le scosse sulle rotaie del passaggio a livello, poi incominciò a percorrere lentamente una strada fiancheggiata di qua e di là da vecchie, brutte case di legno, la maggior parte delle quali non erano nemmeno state verniciate. Era, quello, un sobborgo abitato da poveri bianchi, un rione per gente senza denaro e senza la speranza di guadagnarne. Sam vagò per le strade del quartiere, concentrando l’attenzione sulle buche della strada. Quando per un istante sollevò gli occhi, vide, a mezzo isolato davanti a sé, un rettangolo di luce gialla, distorto, che delineava una finestra di quella che doveva essere la casa dei Purdy.

La luce accesa a quell’ora poteva indicare che qualcuno, in casa, stava male, o anche molte altre cose. A Sam non garbavano i curiosi che spiano, di notte, attraverso le finestre delle case altrui; ma per un poliziotto in servizio la situazione era diversa; accostò l’auto al marciapiede, badando a non far rumore, per non disturbare nessuno, e rallentò quel tanto che bastava per poter vedere cosa accadeva nella

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cucina dei Purdy, e perché la luce era accesa alle tre e un quarto del mattino, anche se la risposta già se la immaginava.

La cucina era illuminata da una sola lampada da cento candele che pendeva dal filo, nel centro del soffitto. Le leggere, logore tendine che pendevano inerti alle finestre non celavano nulla di quanto c’era all’interno, dove, completamente in vista, la schiena alla finestra, stava Delores Purdy.

Come era accaduto in altre due occasioni, anche stavolta Delores era senza camicia da notte.

Proprio nel momento in cui l’auto raggiungeva un punto di fronte alla finestra, Delores sollevò dal fornello un recipiente, si voltò e ne versò il contenuto in una tazza da tè. Sam poté vedere distintamente i seni da sedicenne e le gradevoli curve delle gambe. Però, c’era qualcosa in quella ragazza che lo respingeva con una specie di ripugnanza, e ormai nemmeno la vista del suo corpo nudo riusciva a interessarlo. Forse, pensava Sam, perché non si lavava mai, o pareva che non lo facesse.

Quando la vide portarsi la tazza alle labbra, comprese che nessuno in casa stava male, e volse altrove lo sguardo. Per un momento si soffermò a riflettere se non era il caso di avvertirla che dalla strada potevano vederla, ma poi non ne fece niente, pensando che, se avesse bussato a quell’ora, avrebbe svegliato tutta la frotta di mocciosi della casa. E poi, Delores non sarebbe potuta venir ad aprire senza niente addosso.

Al primo incrocio Sam svoltò, e tornò verso l’autostrada. Benché il traffico fosse nullo, all’incrocio fermò completamente, poi voltò a destra, accelerò sino a quando l’aria calda che veniva dal finestrino non gli diede l’illusione di un alito di brezza, e continuò così per due o tre minuti. Quando le prime case della città furono in vista, Sam tolse il piede dall’acceleratore e procedette più lentamente, sino al ristorante che stava aperto tutta la notte. Parcheggiata la macchina, ne scese, con agilità per un uomo della sua corporatura, ed entrò nel locale.

Nell’interno, faceva anche più caldo che fuori.Il centro della sala era occupato da un banco a forma di U, coperto

da fòrmica logora. Lungo una parete, una fila di scomparti di nudo

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legno promettevano poco conforto e poca intimità. A una delle finestre, un condizionatore del tutto inadeguato al locale mandava all’interno un esile flusso d’aria fresca, che svaniva inavvertito a pochi centimetri dalla ventola che l’aveva generato. Le pareti di legno erano state dipinte tutte di bianco, e la vernice si era ingiallita col tempo. Sopra la griglia, la macchia nera dei vapori di grasso formava una sorta di monumento.

Il barista di turno era un giovane di diciannove anni, le cui braccia troppo lunghe sporgevano dai polsi della camicia sudicia, come se qualche macchina infernale le avesse allungate. Il volto aguzzo, ossuto, recava ancora i segni dell’acne; il labbro inferiore pendeva, leggermente aperto, come se fosse solito guardare tutti con quel gesto di sfida o fosse semplicemente indeciso. Quando Sam entrò, se ne stava buttato contro il banco, con tutto il peso del corpo poggiato sui gomiti ed era completamente immerso nella lettura di una storia a fumetti, piena di violenza comica che teneva aperta davanti a sé; vedendosi davanti un rappresentante della legge, però, fece scivolare rapidamente l’oggetto della sua lettura sotto il banco, raddrizzò le spalle e si preparò mentalmente per i prossimi minuti che avrebbe trascorsi col guardiano della città addormentata.

Mentre Sam si lasciava andare su uno dei tre unici sgabelli che avessero ancora il rivestimento intatto, il barista allungò la mano verso una caffettiera, nella quale vi era del caffè denso.

— Niente caffè, Ralph. Fa troppo caldo — disse Sam. — Dammi una coca gigante.

Sam si tolse il berretto dell’uniforme e con la mano si deterse il sudore dalla fronte.

Il barista stappò una bottiglia, afferrò un bicchiere pieno a metà di ghiaccio e lo riempì di liquido e schiuma.

Quando il liquido ebbe assorbito la schiuma, Sam vuotò il bicchiere, masticò un pezzetto di ghiaccio, poi domandò:

— Chi ha vinto l’incontro, ieri sera?— Ricci — rispose pronto il giovane. — È stata una decisione

discutibile, ma Ricci ha ancora buone speranze per il titolo.Sam riempì ancora il bicchiere e lo vuotò di nuovo prima di dire il

suo parere:

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— Sono contento che abbia vinto Ricci. Non è che gli italiani mi siano molto simpatici, ma almeno è un bianco, questa volta, che può aspirare al titolo.

Il barista annuì, approvando. — Abbiamo sei campioni negri, adesso, tutti di categoria A. Non riesco a capire come possano combattere così bene.

Il giovane tacque e posò le mani sul banco, le dita ossute aperte, nel vano tentativo di farle apparire più forti; e intanto osservava le mani poderose del poliziotto.

Sam prese un pezzo di torta rimasto sul bancone, solo come un orfano, sotto un coperchio di plastica.

— Quelli, quando “incassano”, non accusano il colpo nello stesso modo dei bianchi — spiegò. — Hanno un sistema nervoso diverso dal nostro. Sono come animali e bisognerebbe colpirli con una mazza, per farli cedere. Ecco tutto! È così che vincono, ed è per questo che non hanno paura, quando salgono sul ring.

Ralph annuì e il suo sguardo ammirato diceva chiaramente che Sam aveva detto una grande verità, l’ultima parola sull’argomento. — Mantoli era in città, ieri sera — disse, rimettendo a posto il coperchio di plastica. — Ha portato con sé anche la figlia. Ho sentito dire che è una gran bellezza.

— Credevo che dovesse venire soltanto dopo il primo del mese.Il barista si sporse in avanti, mentre passava uno strofinaccio

bagnato, sul banco. — Costa più caro di quello che avevano previsto, terminare il teatro all’aperto. Adesso, stanno facendo i conti per vedere di quanto dovranno aumentare il prezzo dei biglietti, se devono rimborsare il mutuo in tempo. Ho sentito dire che Mantoli è venuto in città per dare una mano nell’organizzazione.

Sam versò quel che restava della bottiglia di coca nel bicchiere. — Non lo so — disse. — Questa faccenda può riuscire benissimo o essere il più gran fiasco del secolo. Io non capisco niente di musica classica, ma non riesco a immaginarmi che una folla di gente venga qui, solo per sentire Mantoli dirigere un’orchestra. Lo so che è un’orchestra sinfonica e tutto il resto; ma quelli che amano questo genere di cose possono ascoltare la stessa orchestra durante tutto l’inverno, senza dover venire qui, e sedere su quelle scomode sedie.

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E poi, se piovesse?Sam ingollò il contenuto del bicchiere e guardò l’orologio.— Già! Se piovesse? — ripeté Ralph. — Nemmeno a me interessa

la musica. Almeno, quella difficile. Però, se la manifestazione serve a farci apparire nei dépliant turistici, come dicono, e ad attirare qui turisti con quattrini da spendere, forse darà un buon colpo a questa congiuntura, e potremo vivere un po’ meglio.

Sam si alzò. — Quant’è?— Quindici cents. La torta la offre la ditta; era l’ultimo pezzo.

Buona notte, signor Wood.Sam lasciò sul banco una moneta da venticinque cents e se ne

andò. Una volta, Ralph si era permesso di chiamarlo Sam, ma un’occhiata risentita del poliziotto era bastata. Adesso, lo chiamava signor Wood, ed era proprio ciò che Sam desiderava.

Fuori, Sam risalì in macchina e riferì per radio, prima di prendere la strada per tornare in città, accomodandosi ben bene sul sedile, rassegnato alla monotonia delle ultime ore di ronda.

Quando la macchina prese velocità, l’aria calda tornò a invadere l’abitacolo, e per la prima volta dacché aveva preso servizio quella notte, Sam si permise di imprecare all’afa che prometteva una giornata opprimente. E la giornata opprimente significava un’altra notte soffocante e, forse, un’altra ancora dopo. Sam rallentò in vista del centro; le strade erano deserte, ma lui procedette adagio, per abitudine. Pensava ancora a Delores Purdy; si sarebbe maritata presto, si disse, e qualcuno se la sarebbe spassata un mondo con lei.

In quel preciso momento, Sam vide, un isolato più avanti, qualcosa che giaceva in mezzo alla strada.

Premette il pedale dell’acceleratore e la macchina balzò avanti. Alla luce dei quattro fari, l’oggetto diventava sempre più grande, finché Sam frenò, fermando l’auto in mezzo alla strada; ormai, aveva visto che si trattava di un uomo disteso sul selciato.

Il poliziotto accese il fanale rosso di segnalazione e scese svelto dalla macchina. Prima di curvarsi sullo sconosciuto, gettò una rapida occhiata attorno a sé, la mano ferma sul calcio della 38, pronto a reagire a qualunque minaccia. Ma attorno a lui non c’erano che edifici chiusi e silenziosi e strade deserte. Tranquillizzato, Sam si

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chinò, posando un ginocchio a terra, accanto allo sconosciuto.L’uomo giaceva bocconi, le braccia sopra la testa, le gambe

divaricate, il capo verso la spalla sinistra, sicché la guancia destra posava sul cemento consunto della strada. Aveva capelli straordinariamente lunghi, che gli scendevano sul collo e s’arricciavano dove toccavano il colletto della giacca. Accanto a lui, a un paio di metri distante, c’era un bastone da passeggio col manico d’argento.

Sam infilò la mano sinistra sotto lo sconosciuto, per tentar di sentire se il cuore batteva ancora. Malgrado il caldo impossibile, l’uomo indossava un panciotto accuratamente abbottonato. Attraverso di esso, il poliziotto non avvertì alcun segno di vita, ma poi rammentò quel che aveva letto a proposito delle persone che sembrano morte. Non aveva seguito alcun corso speciale per il suo lavoro: l’avevano assunto, l’avevano istruito verbalmente su quello che era il suo lavoro giornaliero, e lui aveva preso servizio. Ma, in conformità alle istruzioni, aveva studiato il regolamento urbano e quello della contea, nonché i codici dello Stato; in più, aveva letto i due o tre libri disponibili al piccolo Comando di Wells.

Sam aveva buona memoria e le cognizioni assorbite gli tornarono alla mente nel momento del bisogno:

“Non dovete mai ritenere che una persona sia morta, prima che ne venga dichiarato il decesso da un medico. Può darsi che sia svenuta, che sia stata stordita, o che sia priva di sensi per un’infinità di altre cause. Persone che soffrono per carenza di insulina sono state dichiarate morte e, in certi casi, si sono ridestate all’obitorio. A meno che un corpo non sia mutilato tanto da rendere impossibile la sopravvivenza, come nel caso della decapitazione, dovete sempre ritenere che sia in vita, a meno che la decomposizione non sia in stato tanto avanzato, da essere incompatibile con la vita stessa.”

Sam tornò in fretta all’auto e afferrò il microfono della radio. Senza ricorrere ai preamboli usuali, parlò subito con voce chiara, appena venne la risposta alla sua chiamata.

— All’angolo fra Piney e l’autostrada, c’è un uomo in mezzo alla

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strada. Sembra morto. Nessuno accanto a lui, né nelle vicinanze. Da qualche minuto non c’è traffico. Mandate subito un medico e l’ambulanza.

Quando tacque, Sam si chiese mentalmente se il linguaggio era quello ufficiale, adatto alle circostanze. Quella era una esperienza nuova per lui, e voleva comportarsi in modo irreprensibile. Poi la voce del centralinista risuonò secca e lo tolse dalle sue meditazioni. — Pronto. Avete identificato la vittima?

Sam rifletté in fretta. — No, non ancora — rispose. — Non l’ho mai visto prima, che io ricordi. Però credo di sapere chi è. Ha capelli lunghi, indossa il panciotto e aveva un bastone da passeggio. È di bassa statura: non più di un metro e sessantacinque.

— Quello è Mantoli! — esclamò il centralinista. — Il direttore d’orchestra, l’uomo che doveva dirigere il festival. Se è lui, e se è morto, siamo in un gran pasticcio. Ripeto, tenetevi in contatto.

Sam ripose il microfono sul suo sostegno e tornò in fretta accanto all’uomo disteso nella strada. L’ospedale era distante soltanto nove isolati, e l’ambulanza sarebbe arrivata in pochi minuti. Mentre si chinava ancora sul corpo esanime, Sam rammentò il cane che aveva investito, ma questa volta, si disse, era peggio, infinitamente peggio.

Sam allungò la mano e la posò delicatamente sulla nuca dell’uomo, come se, con quel gesto, avesse potuto confortarlo, fargli capire che il soccorso sarebbe venuto presto, che doveva rimanere sul duro selciato per pochi minuti soltanto, ormai, e che, nel frattempo, non era solo. Mentre quei pensieri gli attraversavano la mente, avvertì sotto le dita qualcosa di viscido, di attaccaticcio. Con un movimento brusco, involontario, ritirò la mano; la pietà svanì di colpo sotto l’impeto della collera violenta.

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2

Alle quattro e quattro minuti del mattino il telefono squillò accanto al letto di Bill Gillespie, Capo della polizia della città di Wells. Gillespie ci mise qualche secondo a scrollarsi parzialmente il sonno di dosso, prima di rispondere. Mentre allungava la mano verso il ricevitore, presentiva già che doveva trattarsi di guai, e forse di guai grossi, altrimenti se la sarebbe sbrigata, da solo, l’agente di guardia per la notte.

Proprio l’agente di guardia era all’apparecchio. — Capo, non avrei voluto svegliarvi, ma Sam Wood ha ragione. Abbiamo per le mani un assassinio che desterà scalpore.

Gillespie si sollevò con uno sforzo e mise le gambe giù dal letto. — È un turista?

— No. Non esattamente. Sam crede di aver riconosciuto nel morto Enrico Mantoli... Sapete, quel tizio che doveva organizzare un festival musicale, qui. Capite, Capo, che non siamo ancora sicuri che sia morto, ma se lo è, e se l’identificazione di Sam è esatta, allora qualcuno ha fatto fuori la celebrità del momento, e tutta la faccenda del nostro festival musicale, probabilmente, andrà a rotoli.

Gillespie era completamente sveglio, ormai. Mentre cercava tastoni, coi piedi, le pantofole, capiva che doveva prendere l’iniziativa e dare degli ordini. Quello che doveva dire in simili frangenti gliel’avevano insegnato ai corsi che aveva seguito nel Texas.

— Va bene. Ascoltatemi. Vengo subito. Mandate sul posto un medico e l’ambulanza, subito; anche un fotografo. E racimolate un altro paio di uomini. Dite a Wood che resti lì sino a quando arrivo io. Sapete cosa dovete fare?

L’agente di guardia, che mai prima d’allora aveva avuto a che fare con casi d’omicidio, rispose di sì, che lo sapeva. Appena ebbe riappeso, Gillespie si alzò in tutta la sua statura, un metro e novanta,

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e cominciò a infilarsi rapidamente nei vestiti; intanto ripensava a quello che avrebbe dovuto fare appena fosse stato sul luogo del delitto. Da sole nove settimane era Capo della polizia di Wells, e membro della comunità, e già doveva dar prova di sé. Mentre si chinava per allacciarsi le scarpe, si ripeteva che poteva aver fiducia in se stesso, che avrebbe fatto le cose per bene, ma tuttavia avrebbe desiderato che il mistero fosse già chiarito.

Benché avesse solo trentadue anni, Bill Gillespie confidava senza riserve nella propria capacità e si sentiva in grado di affrontare qualunque sfida del destino. La sua statura gli permetteva di guardare dall’alto al basso, letteralmente, molte persone; l’arroganza gli aveva fatto perdere la ragazza che lui avrebbe voluto sposare, ma era proprio quella a consentirgli di spazzar via numerosi ostacoli come se non fossero mai esistiti. Se aveva per le mani un caso di omicidio, l’avrebbe risolto, e nessuno avrebbe osato porgli domande mentre ancora stava indagando.

A questo punto, si rammentò che non gli avevano detto dov’era stato commesso il delitto. Afferrò rabbiosamente il telefono e nella fretta sbagliò numero. Sbatté il telefono sulla forcella prima che qualcuno potesse rispondere e poi, sforzandosi di rimaner calmo, ritentò.

L’agente di guardia era in attesa della telefonata e rispose subito. — Dov’è? — domandò Gillespie.

— Sull’autostrada, Capo. Verso l’incrocio con Piney. L’ambulanza e il medico sono già arrivati. Il dottore ha constatato il decesso. L’identificazione della vittima non è ancora sicura.

— Va bene — rispose Gillespie, riponendo il ricevitore, contrariato per aver dovuto telefonare e chiedere dove doveva recarsi. Avrebbero dovuto dirgli dov’era avvenuto il delitto, la prima volta che avevano telefonato.

L’auto personale di Gillespie era equipaggiata con sirena, luce rossa dal lunotto posteriore e una radio, di quelle in dotazione alla polizia. Il Capo balzò nella vettura, premette sull’acceleratore e fece balzare la macchina in avanti, senza alcun riguardo per il motore. In meno di cinque minuti si vide davanti l’auto della polizia, l’ambulanza e un capannello di curiosi, fermi in mezzo

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all’autostrada. Gillespie si avvicinò velocemente, frenò e balzò dall’auto prima ancora che questa fosse ferma.

Senza guardare in faccia nessuno si avvicinò a passi rapidi là dove giaceva il cadavere, ancora in mezzo alla strada, s’inginocchiò e incominciò a far scorrere le mani sul corpo inerte. — Dov’è il portafogli? — domandò.

Sam Wood si fece avanti. — Non ce l’ha. Almeno, io non l’ho trovato.

— Nessuno l’ha identificato con certezza? — scattò Gillespie.Gli rispose il giovane medico, giunto con l’ambulanza. — È

Enrico Mantoli, il direttore d’orchestra. Era lui l’anima del concerto che dovevano dare qui.

— Lo so anch’io — ribatté Gillespie seccamente, tornando a dedicare l’attenzione al cadavere. Nel frattempo sentiva un desiderio irresistibile di dirgli di alzarsi, di mettersi seduto, di pulirsi il viso; e di chiedergli cos’era successo, chi era stato. Ma a quell’uomo non poteva comandare. E sta bene! Visto che così non era possibile, bisognava fare in qualche altro modo.

Gillespie alzò gli occhi. — Sam, prendete la vostra macchina, controllate la stazione ferroviaria e le uscite dalla città, a nord e a sud, per vedere se c’è qualcuno così pazzo da cercare di uscire di qui facendo l’autostop. Aspettate un minuto. — Poi, volgendosi bruscamente verso il dottore disse: — A quando risale la morte?

— Meno di un’ora, direi. Probabilmente, anche meno di tre quarti d’ora. Chiunque sia stato, non può essere andato lontano.

Gillespie assunse un’aria annoiata. — Tutto quello che vi ho chiesto, è l’ora del decesso. Non occorre che m’insegniate il mestiere, state sicuro. Voglio fotografie della vittima, prese da tutte le possibili angolazioni, incluse alcune prese da una distanza sufficiente per mostrare la posizione relativamente al marciapiede, e dagli edifici sul lato ovest della strada. Poi segnate la posizione della vittima col gesso, e mettete dei segnali di interruzione del traffico così da impedire che il traffico cancelli tutto. Dopo, potrete portar via il cadavere.

Alzatosi, Gillespie vide Sam che se ne stava tranquillamente ad aspettare. — Cosa vi avevo detto di fare? — gli domandò

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bruscamente.— Mi avete detto di aspettare un minuto — rispose Sam, calmo.— Sta bene, allora. Potete andare. E datevi da fare.Sam si diresse alla sua auto e partì con velocità sufficiente ad

evitare in futuro possibili critiche. Mentre correva verso la stazione, per un momento si augurò che Gillespie si rendesse ridicolo e finisse per ingarbugliare tutto; ma poi comprese che un pensiero simile era indegno di un poliziotto che aveva giurato di essere leale e pensò che, nonostante quello che poteva accadere, la sua parte l’avrebbe fatta presto e bene.

All’ultimo momento, quando già si avvicinava alla stazione, rallentò l’andatura per non allarmare inutilmente un eventuale assassino che se ne stesse acquattato all’interno. Accostata l’auto al marciapiede, Sam balzò a terra senza esitazione. L’edificio della stazione era piccolo, e probabilmente risaliva ad almeno cinquanta anni prima; di notte, era fiocamente illuminato da alcune lampadine polverose che sembravano senza età, come le dure panche consunte e il pavimento a mattonelle. Mentre si dirigeva verso la sala d’aspetto principale, ebbe, per un istante, il desiderio di togliersi il berretto, ma respinse immediatamente l’idea ed entrò tutto d’un pezzo, poliziotto dalla testa ai piedi, la mano destra sul calcio della pistola.

La sala d’aspetto era deserta.Sam fiutò l’aria, rapidamente, ma nell’aria non c’era nulla che

potesse fargli sospettare la presenza recente di qualcuno in quel locale; niente odore di fumo di tabacco; solo l’aroma abituale delle sale d’aspetto di tutte le stazioni come quella: gli effluvi lasciati da migliaia di ignoti che vi erano passati e se n’erano andati. Lo sportello dei biglietti era chiuso. Nella sala d’aspetto c’era, appeso a una parete, un foglio di cartone con gli orari, quelli dei treni notturni, sottolineati a pastello.

Sam guardò ancora in giro per la sala, e prese a riflettere. Se l’assassino era lì, quasi certamente non aveva una pistola: aveva ucciso la sua vittima colpendola alla nuca con un corpo contundente, e Sam credeva di potercela fare contro un uomo armato solo di un oggetto contundente. Chinatosi, guardò lo spazio sotto le panche, e, fatta eccezione per la sporcizia e per alcuni pezzetti di carta, non

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trovò nulla.Attraversata la sala d’aspetto, Sam aprì la porta che dava sui

binari e guardò a destra e a sinistra. Ma anche sotto le pensiline tutto era deserto. Procedendo con passo deciso, passò davanti alla porta chiusa del bagagliaio, ma ne scostò la maniglia per essere sicuro che fosse chiusa; poi andò a fermarsi davanti a una porta più sudicia, sopra la quale un cartello avvertiva che il locale era riservato ai negri. Con la destra ancora sulla pistola, entrò nella sala male illuminata e inspirò profondamente. Lì dentro c’era qualcuno.

Sam lo squadrò con un’occhiata rapida e vide subito che non era di Wells. Era un tipo piuttosto snello e vestito con abiti cittadini, compresa la camicia bianca e la cravatta. A Sam parve che fosse sulla trentina, ma era sempre difficile pronunciarsi sull’età di un uomo di colore. Invece di starsene sdraiato su una panca, data l’ora, il negro era seduto e rigido come chi si aspetta qualcosa. La giacca se l’era tolta posandola accanto a sé sul sedile, accuratamente ripiegata. Quando Sam era entrato, stava leggendo un tascabile; alzò la testa, e il poliziotto poté notare che non aveva il naso schiacciato e le labbra carnose così frequenti fra i negri del Sud: il naso era quasi come quello di un bianco, la bocca ben delineata e le labbra sottili. Se la pelle fosse stata un po’ più chiara, Sam avrebbe pensato che quell’uomo avesse sangue bianco nelle vene; ma la pelle era troppo scura e ciò non era possibile.

Il negro si dimenticò del libro e lasciò cadere le mani penzoloni in grembo mentre fissava la faccia larga di Sam.

Il poliziotto prese subito il comando della situazione. — In piedi, negro — ordinò, attraversando la sala in cinque passi.

Il negro fece per prendere la giacca. — Non ti ci provare! — scattò Sam, fermandolo con una manata, poi lo fece piroettare su se stesso e gli passò il braccio sinistro attorno al collo. In quella posizione, lo poteva dominare facilmente avendo libera la mano destra.

Lo perquisì in fretta. Pareva che il negro fosse troppo spaventato per cercar di resistere. Quando ebbe finito, Sam allentò la stretta alla gola dell’altro e impartì altri ordini: — Mettiti faccia al muro, appoggia al muro le mani e tieni le dita ben larghe. E le mani ben

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alte, ché io le possa vedere, e non ti muovere finché non te lo dico io.Il negro obbedì senza fiatare. Quando Sam vide che i suoi ordini

erano stati eseguiti, afferrò la giacca e incominciò a frugare, prima la tasca interna. Conteneva un portafoglio che appariva rigonfio.

Sam estrasse il portafoglio con un brivido d’eccitazione e incominciò a fissarne il contenuto. Dentro, c’era una bella somma in biglietti di banca; Sam li sfogliò passandovi un dito e vide che erano, per la maggior parte, biglietti da dieci e da venti. Quando si arrestò davanti all’ovale che denotava un biglietto da cinquanta, si sentì tutto soddisfatto. Richiuso il portafoglio, Sam se lo mise in tasca.

Il prigioniero rimaneva immobile, i piedi lontani dal muro, il peso del corpo in parte poggiato sulle mani distese contro la parete. Da tergo, Sam tornò a fissarlo attentamente. Poteva pesare settanta chili, forse qualcosa di più, ma non molto; era alto circa un metro e settantadue e forte abbastanza per poter uccidere un uomo come era stato ucciso Mantoli. I suoi pantaloni recavano la traccia appena visibile di una piega: segno che una volta erano stati stirati. Le sue natiche non erano tanto pronunciate come Sam aveva potuto notare in tanti negri, ma non per questo si poteva dire che fosse mingherlino e, quando lo palpò per accertarsi se non fosse armato, sentì i muscoli ben sviluppati e sodi sotto i vestiti.

Sam mise su un braccio la giacca del negro. — Esci dalla porta alla tua sinistra — gli ordinò. — In strada, c’è una macchina della polizia: monta dietro e richiudi lo sportello. Fa’ anche solamente una mossa sospetta e ti lascio lungo disteso con una pallottola nella spina dorsale. E adesso, muoviti.

Il negro si voltò dalla parte che gli aveva indicato e uscì in strada: obbediente, andò a sedere sul sedile posteriore dell’auto di Sam, parcheggiata davanti alla stazione, richiuse lo sportello con un colpo sufficiente per far comprendere al poliziotto che era chiuso a dovere, poi attese, inerte, dopo aver fatto tutto quello che gli era stato ordinato.

Sam si mise al volante. Gli sportelli posteriori delle auto della polizia erano senza maniglie interne, e Sam era sicuro che il suo prigioniero non avrebbe potuto fuggire. Per un istante, pensò al modo come era stato ucciso Mantoli: colpito alla nuca, da tergo, e

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probabilmente da quel tipo sospetto, che in quel momento stava seduto dietro di lui; ma poi si rassicurò pensando che, nell’auto, non c’era niente che il negro potesse usare come arma contro di lui. Se lo avesse aggredito a mani nude, Sam l’avrebbe ridotto facilmente all’ordine. Anzi, non gli sarebbe spiaciuto se ci si fosse provato.

Prese il microfono della radio e parlò senza perifrasi. — Qui Wood, dalla stazione ferroviaria. Sto portando dentro un negro sospetto. — Tacque per riflettere, poi decise di non aggiungere altro; il resto, l’avrebbe spiegato quando fosse giunto al Comando di polizia. Meno si trasmettevano per radio gli affari che riguardavano la polizia, meglio era.

Mentre Sam guidava con calma e perizia, per tutti gli undici isolati, sino al Comando, il prigioniero non fiatò. Due agenti attendevano nell’ingresso, quando arrivarono. Sam fece cenno che stessero in disparte, sicuro di poter tenere sotto controllo il suo prigioniero senza bisogno d’aiuto. Sceso dalla macchina, andò lentamente allo sportello posteriore, lo spalancò e ordinò: — Fuori.

Il negro scese e si sottomise senza proteste, quando Sam lo afferrò per un braccio, pilotandolo all’interno del Comando. Sam camminava con molta dignità, proprio come aveva appreso dalle illustrazioni dei manuali che aveva studiato, e controllava facilmente con il poderoso braccio sinistro il suo prigioniero, mentre la mano destra rimaneva posata sul calcio della pistola. Sam rimpiangeva che in quell’istante non ci fosse nessuno a prendere una fotografia; ma poi comprese di essersi lasciato andare ancora una volta, di aver dimenticato la dignità della propria posizione.

Quando Sam stava per imboccare il corridoio che portava alle celle, l’agente di guardia lo intercettò e, senza fiatare, gli indicò l’ufficio del Capo. Sam annuì, guidò il suo uomo nella direzione indicata, si fermò all’uscio e bussò.

— Entrate — disse la voce stridente di Gillespie, da dietro l’uscio.Con la mano libera, Sam girò la maniglia, spinse il negro dentro e,

giunto davanti alla scrivania di Gillespie, attese.Il Capo faceva finta di essere occupato con alcune carte che

teneva davanti; alla fine posò la penna e fissò duramente il prigioniero, per una ventina di secondi.

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Sam non poteva vedere la reazione del prigioniero e non osava voltarsi a guardare per paura di interrompere la reazione psicologica.

— Come ti chiami? — domandò improvvisamente Gillespie. La domanda gli era uscita dalle labbra come una cannonata.

Il negro sbalordì Sam per la prima volta, parlando con voce perfettamente calma, senza fretta.

— Il mio nome è Tibbs. Virgil Tibbs — rispose; poi rimase immobile e silenzioso. Sam lasciò il braccio, ma il prigioniero non fece nemmeno il gesto di volersi sedere nella sedia vuota che aveva accanto.

— Cosa facevi alla stazione? — Questa volta la domanda era stata meno esplosiva e un po’ più realistica.

Il negro rispose senza muoversi, nemmeno per sgranchirsi. — Aspettavo il treno delle sette e un quarto, per Washington.

Seguì la solita scena muta: Sam non si muoveva, Gillespie sedeva come una statua e il prigioniero rimase impalato dov’era.

— Quando e come sei arrivato in città? — Questa volta la domanda di Gillespie era stata formulata con tono addirittura paziente e voce dolce.

— Sono arrivato col treno delle dodici e trentacinque. Aveva un ritardo di tre quarti d’ora.

— Quale treno delle dodici e trentacinque? — scattò immediatamente Gillespie.

Il tono di voce del prigioniero rimase immutato.— Quello locale.Sam si confermava sempre più nell’idea che quello doveva essere

uno di quei negri che hanno ricevuto una modesta educazione, un appartenente alla schiera di quelli che bazzicano i paraggi del palazzo delle Nazioni Unite a New York, stando a quanto mostravano nel telegiornale. Se era così, Gillespie avrebbe faticato più del previsto.

Sam si morse appena le labbra, per non tradire i propri pensieri con un sorriso.

— E dove sei andato, col treno?— A trovare mia madre.Vi fu una pausa, prima della nuova domanda; Sam indovinò che

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sarebbe stata importante, e che Gillespie prendeva tempo solo per imprimere maggior forza a quel che avrebbe detto.

— E il denaro per il viaggio, dove l’hai preso?Sam si mosse prima che il prigioniero potesse replicare: prese di

tasca il portafoglio del negro e lo porse a Gillespie. Il Capo guardò in fretta, vide il denaro e posò con forza il portafoglio sul tavolo.

— E dove hai preso tutto questo denaro? — domandò, alzandosi dalla sedia quel tanto da far sì che il negro potesse notare la sua corporatura.

— L’ho guadagnato — rispose il negro.Gillespie si lasciò andare sulla sedia, soddisfatto. I negri non

potevano guadagnare tanto, o, se lo guadagnavano, non sapevano conservarlo. Il verdetto non poteva essere che uno e ormai il Capo della polizia si sentiva un gran peso di meno sullo stomaco. — E dove lavori? — domandò, con una voce che fece capire a Sam come il Capo considerasse ormai chiusa la faccenda e si preparasse a tornarsene a letto.

— A Pasadena, in California.Bill Gillespie sogghignò. Tremila chilometri sono un bel viaggio,

specialmente per gente di colore. È una buona distanza, e può indurre qualcuno a credere che nessuno andrà a indagare sul suo conto.

Bill si protese verso il negro, per dare maggior forza alla domanda che stava per fare. — E cosa fai a Pasadena, in California, per guadagnare tanto?

Il prigioniero rispose immediatamente:— Sono un ispettore di polizia.

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3

Per principio, i negri non andavano a genio a Sam, almeno per quello che riguardava i rapporti umani. Rimase dunque stupefatto quando si accorse di provare una punta di ammirazione per l’agile giovanotto che gli stava accanto. Inoltre, Sam era leale, e godeva a vedere qualcuno, chiunque fosse, che teneva testa, e con vantaggio, al Capo della polizia di Wells.

Prima che Gillespie arrivasse in città, Sam Wood passava per un pezzo d’uomo grande e grosso; ma le dimensioni torreggiami di Gillespie l’avevano quasi degradato alle dimensioni di una statura ordinaria. Il nuovo Capo della polizia aveva solo tre anni più di lui: troppo giovane, pensava Sam, per l’incarico che ricopriva, anche in una cittadina come Wells. Per di più, Gillespie era del Texas, uno Stato per il quale Sam non nutriva affetto. Ma più di tutto, Sam si risentiva per le maniere dure, sconsiderate, autoritarie del suo Capo. Concluse, dunque, che non provava simpatia per il negro, ma solo una gran soddisfazione nel constatare che Gillespie era visibilmente confuso.

Prima che Sam avesse tempo di approfondire quelle considerazioni, Gillespie si voltò verso di lui.

— Non avete interrogato quest’uomo, prima di portarlo qui? — domandò.

— No, signore — rispose Sam, cui quel “signore” pareva dovesse scorticargli la gola.

— E perché no? — gridò Gillespie.Sam credette di notare in quella domanda un’intenzione

deliberatamente offensiva, ma se il negro riusciva a tenersi calmo, anche lui ci sarebbe riuscito, pensò; rifletté per un istante, quindi rispose:

— Voi mi avevate ordinato di controllare la stazione, e poi di guardare se avessi trovato nessuno che cercava di allontanarsi

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furtivamente dalla città. Quando ho trovato questo sac... quest’uomo alla stazione, l’ho portato qui immediatamente, per esser libero di andare a fare il mio giro all’uscita della città, come voi mi avevate ordinato. Adesso posso andare?

Sam era fiero di se stesso. L’eloquenza non era il suo forte e lui lo sapeva; ma quella, lo sentiva di sicuro, era stata una buona risposta.

— Prima voglio finire d’interrogare quest’uomo. — Gillespie tornò a rivolgersi a Tibbs. — Voi dite di essere un poliziotto, in California?

— Sì, sono ispettore di polizia — rispose pazientemente Tibbs, fermo accanto alla sedia vuota.

— Provatelo.— Nel mio portafoglio c’è il tesserino di riconoscimento.Gillespie prese il portafoglio con una smorfia, come se stesse

maneggiando qualcosa di disgustoso e sporco; aprì lo scomparto nel quale stavano i documenti e guardò il cartoncino bianco nella bustina di cellofan, poi richiuse in fretta il portafoglio e lo gettò verso il negro.

Tibbs afferrò il portafoglio e se lo mise in tasca senza commenti.— E cosa avete fatto tutta la notte?C’era una punta d’irritazione nella voce di Gillespie, come se

avesse voluto provocare un diverbio; una nota di sfida e la certezza che nessuno avrebbe osato attaccar briga con lui.

Sceso dal treno, sono entrato in sala d’aspetto e ho atteso. Non sono nemmeno uscito dalla stazione.

Nessun cambiamento nei modi di Tibbs, e pareva proprio che fosse quello a irritare il suo interlocutore che cambiò argomento.

— Lo sapete che, qui da noi, non permetteremmo mai a uno della vostra razza di cercar di farsi arruolare nella polizia?

Gillespie attese. Tibbs rimase in silenzio.— Lo sapevate abbastanza da non osar nemmeno entrare nella

sala d’aspetto riservata ai bianchi. Questo lo sapevate, vero? — Gillespie appoggiò le mani sulla scrivania come se fosse stato sul punto di alzarsi.

— Sì, lo sapevo.Gillespie prese una decisione. — E va bene. Non allontanatevi,

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nel frattempo mi informerò sul vostro conto. Sam, prendetevi cura di lui.

Sam Wood si voltò senza parlare e, seguendo Tibbs fuori dall’ufficio, lasciò che il negro passasse per primo. Normalmente, non l’avrebbe mai permesso; ma Tibbs non aveva atteso perché passasse lui per primo e Sam giudicò che quello non era il momento buono per farne una questione.

I due erano appena usciti che Gillespie, alzato un pugno, lo fece ricadere con furia sulla scrivania, poi afferrò il telefono e dettò un telegramma per la polizia di Pasadena.

Sam condusse Tibbs a sedere su una dura panca nella camera di sicurezza, che era anche anticamera. Tibbs lo ringraziò, sedette, tirò fuori il libro in brossura che stava leggendo quando Sam l’aveva trovato alla stazione, e riprese a leggere. Sam guardò il titolo sulla copertina; era La scienza della ragione di Conant. Sam sedette desiderando anche lui qualcosa da leggere.

Quando il cielo incominciò a farsi grigio, attraverso la finestra, poi prese a rigarsi di curiose strisce di nubi sporche e alte, sullo sfondo sempre più luminoso, Sam capì che, per quella notte, non sarebbe più uscito di ronda; era troppo tardi, ormai. Si sentiva indolenzito per essere rimasto seduto sulla panca; desiderava una tazza di caffè, malgrado il caldo; voleva muoversi, fare qualche passo; e stava chiedendosi mentalmente se non era desiderio di esibirsi quello che lo agitava, quando Gillespie aprì bruscamente la porta e apparve nel vano.

Tibbs sollevò lo sguardo dal libro, con una domanda muta nell’espressione del volto.

— Potete andarvene, se volete — disse Gillespie a Tibbs. — Avete perso il treno e non ce ne sarà un altro sino al pomeriggio. Se volete aspettare qui, vedremo di farvi portare qualcosa da mangiare.

— Grazie — disse a sua volta Tibbs. Sam decise che era venuto il suo turno e si alzò. Appena Gillespie ebbe sgombrato il vano della porta, uscì e si diresse verso le toelette contraddistinte dalla scritta: «Uomini-bianchi». Dentro, c’era l’agente che era stato di guardia durante la notte, intento adesso a lavarsi le mani. Sam dalla smorfia che gli vide sul volto capì che ci dovevano essere notizie di prima

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mano.— Niente di nuovo, Pete? — gli domandò.Pete annuì, mentre si buttava manate d’acqua sul volto e poi se lo

asciugava. Quando levò la faccia dall’asciugamano, per prender fiato, rispose: — Il Capo qualche minuto fa ha ricevuto un telegramma. Tacque e si sporse per controllare che la toeletta fosse vuota. — Da Pasadena. Gillespie ne aveva mandato uno che diceva: Abbiamo un caso di omicidio. Chiediamo informazioni sul conto di Virgil Tibbs, negro, che afferma di appartenere al dipartimento di polizia di Pasadena. Lo tratteniamo come possibile indiziato.

— Io non lo biasimo, se indaga — disse Sam.— Aspetta, prima, di sentire cosa gli hanno risposto. — Pete

abbassò la voce, sicché Sam dovette avvicinarglisi di un passo per udirlo.

— Confermiamo Virgil Tibbs appartiene dipartimento polizia Pasadena da dieci anni. Grado attuale, ispettore. Specialista casi omicidio e maggiori reati. Onestà indiscussa. Informateci se sua opera necessaria vostra zona. Siamo d’accordo che omicidio è delitto grave.

— Dannazione! — esclamò Sam, a bassa voce.— Proprio — convenne Pete. — Scommetto che Gillespie non

capisce niente in fatto di omicidi. Se non troverà l’assassino, tutta la città gli si rivolterà contro e chiederà la sua testa; ora gli offrono uno specialista che è il maggior indiziato e per di più è un ne...

Pete tacque, vedendo che Sam alzava una mano per avvertirlo. Alcuni passi risuonarono nel corridoio, poi il rumore si spense e tornò il silenzio.

— Quello che vorrei sapere — disse Sam — è come ha fatto Gillespie a ottenere questo incarico, se è stupido come io credo. Mi pare che fosse una specie di pistolero, nel Texas, o mi sbaglio?

Pete accennò di sì con un cenno del capo. — Non è mai stato un poliziotto, perché supera il limite di statura. Era un secondino; un ragazzo dalle mani di ferro, capace di fare star calmi gli ubriachi. Dopo tre anni di quel lavoro, rispose a un bando e ottenne questo incarico. Probabilmente, immagina che questo posto gli aprirà la strada a qualcosa di meglio, in breve tempo. Ma se fa fiasco questa

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volta, per lui è finita. E lo sa!— Come fai a sapere tutte queste cose?Pete strinse le labbra e sorrise. — È da un pezzo che faccio questo

mestiere e, qui e là, ho degli amici. Credo proprio che andrò a fare un giretto per gli uffici, per vedere cosa accade. Da domani, farò servizio di giorno, e non sembrerà strano se mi trattengo ancora un poco. E tu?

— Credo che mi fermerò anch’io un altro po’ — rispose Sam.Dieci minuti dopo, il corpo del maestro Enrico Mantoli veniva

portato all’obitorio della polizia, perché all’ospedale si erano rifiutati di trattenerlo ancora. Quando Pete andò nell’ufficio del Capo, per avvertirlo della consegna, lo trovò con le mani infilate nella cintura dei pantaloni, la mente chissà dove. Pete attese finché l’altro si fu ripreso così da riconoscerlo, gli diede la notizia e si ritirò subito. Pochi minuti più tardi Gillespie uscì dal suo ufficio, percorse a grandi passi il corridoio e andò a fermarsi davanti alla porta della camera di sicurezza. Lì si fermò e stette a osservare Tibbs che leggeva.

Quando il negro si accorse della presenza di Gillespie, smise di leggere, lo guardò e attese che parlasse.

— Da Pasadena, mi dicono che passate per un investigatore esperto in fatto di omicidi — sbraitò Gillespie.

— È un lavoro che ho già fatto — ribatté Tibbs.— Avete mai visto un uomo assassinato? — domandò

ironicamente il Capo della polizia di Wells.— Più spesso di quanto avrei desiderato.— Io vado a vederne uno, adesso. Suppongo che vi interesserà.Tibbs si alzò in piedi. — Dopo di voi, signore.Nessuno nel piccolo obitorio parve sorpreso quando Virgil Tibbs

entrò in silenzio, seguendo il torreggiante Gillespie. L’obitorio della polizia era un locale modesto, con un tavolo per le autopsie nel centro della sala e una specie di scansia dai grandi cassetti, una mezza dozzina, allineati alle pareti. C’era anche una scrivania di legno e una sedia vicino alla parete, e un armadietto pieno di strumenti. Il Capo andò senza esitare al tavolo nel mezzo della sala e si chinò a guardare duramente il cadavere che vi era stato adagiato,

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gli girò attorno due volte, gli prese un braccio e lo piegò un poco, poi lo rimise nella posizione primitiva. Poi si chinò per guardare il punto in cui era stato colpito, e si alzò ancora. Col braccio teso e un dito che pareva volesse accusare qualcuno, disse:

— Virgil, qui, lavora per la polizia di Pasadena. È della squadra omicidi, e vuol dare un’occhiata al cadavere. Lasciatelo fare.

Dopo quelle parole, Gillespie si avviò verso la toeletta per lavarsi le mani. Quando si fu ripulito del sudiciume, e dell’odore sgradevole della decomposizione, Bill incominciò a pensare alla colazione. L’idea di riprendere il sonno interrotto l’aveva già abbandonata; così pensò che non era necessario tornare a casa per radersi e che nessuno avrebbe potuto pretendere di vederlo ben rasato in quelle circostanze e poi, il fatto che mostrasse i segni della fatica straordinaria poteva tornare a suo vantaggio.

Avendo deciso per la colazione, Gillespie uscì dal Comando, s’infilò dietro il volante e partì con una svolta a U che fece slittare le gomme. Sei minuti dopo, bloccava l’auto al parcheggio del ristorante notturno e terrorizzava il giovane barista piantandosi come un orco su uno sgabello al banco e ordinando: — Una ricca colazione.

Il barista annuì in fretta e si mise subito al lavoro per preparare le focacce di frumento, le uova, la pancetta, le patate, il pane abbrustolito e il caffè che formavano la colazione rustica chiesta da Gillespie. Nella smania di far presto il barista ruppe i tuorli di due uova e dovette ricominciar da capo, con altre due. Prima che la colazione fosse pronta, aveva già riempito tre volte la tazza del caffè di Gillespie.

Quando questi ebbe terminato di mangiare, pagò senza lasciare la mancia e se ne andò. Le mani del ragazzo tremavano tanto che ebbe difficoltà a riempire un bicchier d’acqua per bagnarsi le labbra inaridite. Tranne l’ordine per la colazione, Gillespie non aveva pronunciato parola, ma il suo cipiglio aveva detto chiaro e tondo che il Capo della polizia era tutto concentrato in un’idea che non gli garbava.

Sulla strada del ritorno, Gillespie guidò a velocità più moderata. Il sole era alto, ormai, e sull’autostrada c’era parecchio traffico. Parte della prudenza era dovuta al fatto che il Capo della polizia non

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voleva essere sorpreso a violare quelle leggi sul traffico che proprio lui doveva far rispettare, e in parte anche al fatto che voleva prendere tempo per riflettere.

“Come si farà a scovare un assassino?” si chiedeva. “Normalmente, si incomincia col cercar di scoprire se c’è qualcuno che aveva motivi di odio contro la vittima, ma questo è stato un semplice omicidio per rapina.” Due cose aveva appreso, dalla sua visita all’obitorio: la vittima era stata trovata priva di portafoglio, e, a quanto si diceva, era solita portare addosso forti somme di denaro. “E sta bene, ma come lo si trova l’uomo che ha colpito la vittima alle spalle, nel cuore della notte, e se n’è andato senza che nessuno fosse testimone del fatto? E come si fa a trovare un uomo che vuole più denaro di quanto abbia diritto di averne; come si rintraccia il denaro rubato quando non si hanno i numeri di serie, senz’altro indizio che il fatto certo dell’esistenza di questo denaro? Nel bel mezzo d’una strada in cemento, non si possono fare i calchi delle impronte lasciate dall’assassino, o prendere quelli dei pneumatici delle auto. E allora, cosa diavolo si può fare? In questi casi si chiede l’intervento di un esperto in questi delitti. Ma allora, cosa si fa quando un esperto ti è caduto in grembo, ma è di pelle nera?”

Gillespie cambiò idea e direzione, puntando verso casa; si fece la barba, al posto della doccia si limitò a spruzzarsi deodorante sotto le ascelle, si pettinò, poi tornò in mezzo al traffico cittadino e andò al Comando di polizia. Per strada, prese la sua decisione: si sarebbe liberato di Tibbs al più presto possibile.

I ragazzi di Pasadena si erano presi gioco di lui quando gliel’avevano raccomandato, e nessuno gli avrebbe mai messo in testa che un ragazzo di colore fosse capace di fare qualcosa che lui non potesse fare.

Ringalluzzito da questo pensiero, Gillespie salì i gradini a tre a tre, si fermò alla scrivania dell’agente di guardia e domandò: — Dov’è Tibbs?

L’agente di servizio, che doveva saper tutto quello che stava accadendo, rispose: — Credo che stia ancora esaminando il cadavere, signore.

— Esamina ancora il cadavere! — esplose Gillespie. — Ma cosa

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diavolo ha intenzione di fare? Vuol scoprire forse com’è morto un uomo che è stato colpito alla nuca con tanta forza da rompergli la scatola cranica?

— Ho dato un’occhiata appena, prima di prendere servizio — rispose l’agente. — In quel momento, stava prelevando piccole particelle di sudiciume da sotto le unghie della vittima. Mi ha domandato se avevamo un microscopio, e io ho risposto di no, che non ce l’abbiamo. Allora lui ha tolto un anello dal dito del morto, e ha guardato le iniziali incise all’interno. Poi io ho dovuto venir via per montare di guardia.

Quando Gillespie raggiunse il proprio ufficio, trovò Sam Wood che l’aspettava. — Ho pensato che fosse meglio venire a fare il mio rapporto a voi, prima di andare a casa — spiegò Sam — anche per sapere se avete qualche domanda da farmi, o se volete che rimanga qui.

Gillespie si dimostrò un po’ più umano, una volta tanto. — È molto cortese da parte vostra, Wood. Sedetevi e ditemi cosa ne pensate del nostro amico dalla pelle nera, l’ispettore Virgil Tibbs.

Sam Wood sedette. — Credo che abbia del fegato — rispose. Poi cambiò tono, come se quell’affermazione fosse andata oltre la sua volontà, e aggiunse: — Almeno, non ha paura di maneggiare un cadavere.

Mi pareva avesse detto che non maneggiava volentieri cadaveri — osservò Gillespie.

— Ho creduto di capire che non gli piacciono gli omicidi — ribatté Sam.

— Mi sembra che gli omicidi siano il suo lavoro.La conversazione venne interrotta da Virgil Tibbs, che apparve

sulla soglia. — Scusatemi, signori, potreste indicarmi dove posso lavarmi? — domandò.

— La toeletta per gli uomini di colore è in fondo al corridoio, alla vostra destra — rispose immediatamente Gillespie.

Tibbs annuì e scomparve.— Non c’è sapone né asciugamani, lì — credette di dover

osservare Sam.— E se ci fossero, a cosa gli servirebbe il fondo dei pantaloni? —

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lo rimbeccò Gillespie.Alla risposta del Capo, Sam cambiò modo di accavallare le

gambe, s’irrigidì, ma poi decise che non era affar suo. Voleva andarsene, ma quando ormai s’era alzato a metà, si rammentò che si era offerto spontaneamente di rimanere e che Gillespie non gli aveva ancora risposto; guardò Gillespie che, invece, si fissava le enormi mani ripiegate sulla scrivania, mentre nubi tempestose gli si addensavano sul volto.

Alla fine, il Capo sollevò gli occhi. — E se prendeste la vostra macchina e cercaste di rintracciare la figlia di Mantoli? Ho sentito dire che è ospite degli Endicott. Portatele la notizia, e pregatela di venir qui a identificare la salma, in modo che non ci siano dubbi. Lo so che non è un incarico piacevole, ma fa parte del nostro dovere. Sarà meglio che vi muoviate subito, prima che apprenda la notizia in qualche altro modo. È vero che noi non abbiamo ancora svelato nulla, ma in questa città non si può tenere a lungo un segreto.

Virgil Tibbs riapparve nel vano della porta aperta e guardò Gillespie. — Volete che vi comunichi il risultato del mio esame, signore?

Gillespie si lasciò andare contro lo schienale, ma con molta cautela, perché, se si fosse spinto di più, avrebbe rischiato di cadere, data la sua mole. — Ho riflettuto, Virgil, e ho deciso che la cosa migliore per voi è lasciare la città col primo treno. Questo non è posto per voi. Quanto al cadavere, so tutto quello che c’è da sapere. E dite al vostro Capo, quando sarete a casa, che apprezzo l’offerta di collaborazione, ma che è inaccettabile, e voi sapete perché. — Gillespie tornò a sporgersi in avanti. — Oh sì — riprese. — Farò battere a macchina una dichiarazione che ci assolve da questo arresto arbitrario, nel caso voleste accusarci. Voglio che la firmiate, prima di andarvene.

— Da poliziotto a poliziotto — replicò in tono calmo Tibbs. — Io non intendo denunciare né voi né il signor Wood per avermi arrestato. Non preoccupatevi per questo. E grazie della vostra ospitalità.

Improvvisamente un braccio spinse da parte Tibbs, e Pete, congestionato in volto, apparve sulla soglia. — L’abbiamo preso,

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Capo. Non ci sono dubbi. È Harvey Oberst, una vecchia conoscenza. I ragazzi, quando l’hanno pescato, gli hanno trovato addosso il portafoglio di Mantoli.

Gillespie tornò a fissare Tibbs, che si poteva ancora intravedere appoggiato a uno stipite. — Proprio come vi ho detto, Virgil. Noi conosciamo il nostro mestiere. Tornatevene a casa.

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4

Poi, Bill Gillespie rivolse la sua attenzione a Sam Wood. — Avete fatto colazione?

— Questa mattina no — rispose Sam.— Allora rimanete qui e fatevi mandare qualcosa da mettere sotto

i denti. Lasciate che sia Arnold ad andare a prendere la figlia di Mantoli.

— No, posso andarci io. So dove abitano gli Endicott, e credo che Arnold non lo sappia... Parlando di colazione, mi pare che dobbiamo far portare qualcosa anche a Virgil... Gliel’avevamo promesso.

— Gli ho detto di andarsene.Sam credette di capire che poteva spingersi oltre.— Sì, signore. Ma il primo treno che parte di qui tarderà ancora

per ore, e l’unico autobus che si dirige al Nord non prende gente di colore. È per colpa mia che ha perso il treno, e dato che è un poliziotto, forse dovremmo permettergli di aspettare qui... — Sam fece una pausa, colpito da un’ispirazione improvvisa: — Così, almeno, potrà parlar bene di noi, quando tornerà a Pasadena.

Gillespie sapeva che la diplomazia è un male necessario. — D’accordo. Ma non ci sono ristoranti per negri, nei paraggi. Fermate Virgil prima che se ne vada e rimandatelo qui. Dite a Pete di prendergli un panino imbottito, o quello che riesce a trovare. Potrebbe essere una buona idea, mostrargli come ce la caviamo, noialtri... fargli vedere che sappiamo come trattare gli uomini, qui.

Avendo vinto la partita, Sam annuì e si ritirò in fretta, prima che Gillespie potesse cambiare idea. Trovò Tibbs all’entrata; stava salutando Pete. — Virgil, il Capo si è ricordato che vi aveva promesso la colazione. Vi vuole nel suo ufficio — gli disse, lottando contro l’orgoglio e lieto quando la ragione prevalse. — E grazie per non aver insistito, a proposito del vostro arresto. Mi avreste messo nei pasticci, se aveste voluto.

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Virgil Tibbs fece per porgergli la mano, ma poi, con immenso sollievo di Sam, cambiò idea e si passò la giacca sull’altro braccio. — Non parliamone più, signor Wood. Sono sicuro che voi avreste fatto lo stesso per me, a Pasadena.

Per un momento Sam provò vergogna di se stesso al pensiero che, se Tibbs gli avesse teso la mano, avrebbe dovuto fingere di non vedere, di guardare altrove. Come avrebbe potuto fare diversamente, con Pete lì e tutto il resto? Ma Tibbs l’aveva salvato da quell’imbarazzo, e lui gliene era grato.

Sam se ne andò per portare a termine l’ingrato compito. Tibbs ripercorse il corridoio e andò nell’ufficio di Gillespie. — Il signor Wood mi ha detto che volevate vedermi.

Gillespie gli indicò una sedia accanto alla parete.— Ho mandato a prendere qualcosa per colazione, per voi. Potete

attendere qui finché arriva. I ragazzi hanno molto da fare. Ora che abbiamo preso l’assassino.

— Avete una confessione? — si informò Tibbs.— Per farne che? — replicò Gillespie. — Ho appena letto la sua

scheda segnaletica: diciannove anni, e si è già cacciato due volte nei pasticci: una volta per un furtarello, e la seconda per alcuni approcci con una ragazza, una certa Delores Purdy. Inoltre aveva addosso il portafoglio di Mantoli.

— Pare un inizio promettente — convenne Virgil.— Vedrete se è un inizio promettente — ribatté Gillespie,

schiacciando il tasto dell’interfono. — Portate qui Oberst — ordinò.Mentre aspettavano, Gillespie lanciò un’occhiata a Tibbs. — Lo

sapete cosa intendiamo noi per poveri bianchi, Virgil? — domandò.— Ne ho sentito parlare — rispose Tibbs.Alcuni passi risuonarono nel corridoio, poi un poliziotto di bassa

statura, piuttosto grosso, spinse nell’ufficio un adolescente. Il prigioniero, troppo magro anche per la sua bassa statura, era ammanettato. I pantaloni di cotone erano così stretti che i muscoli delle gambe si notavano in rilievo; sbatteva incessantemente le palpebre mentre si guardava attorno; poi, tornava a osservarsi le mani strette nelle manette e fissava Gillespie, e ancora i polsi ammanettati; pareva che barcollasse, come se mantenere l’equilibrio fosse uno

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sforzo superiore alle sue possibilità.Gillespie si alzò e ruggì: — Siediti.Harvey Oberst obbedì, lasciandosi cadere sulla sedia che aveva

dietro di sé; il suo corpo ossuto colpì il fondo con un tonfo, ma parve che lui non se ne curasse; abbandonò le mani in grembo, e lasciò cadere da un lato la testa, come se non ci fosse stato più senso né scopo a tenerla dritta.

I secondi passavano; Gillespie aspettava che il prigioniero fosse completamente intimidito. Oberst, tuttavia, pareva incapace di qualunque reazione.

Gillespie guardò l’agente che aveva arrestato il ragazzo. — L’avete con voi? — domandò.

L’agente si mise una mano in tasca e ne trasse un portafoglio rigonfio. Bill Gillespie lo prese e ne esaminò con cura il contenuto poi guardò i documenti di identificazione che conteneva. — Potete toglierli le manette — disse con noncuranza.

Appena liberate le mani, Harvey cominciò a massaggiarsele, prima un polso, poi l’altro, ma rimase in silenzio.

— Perché l’hai fatto? — domandò Gillespie.Oberst respirò e sollevò la testa. — Perché era lì per terra, proprio

dove io potevo vederlo. Ed era pieno di denaro. Io ho guardato: l’uomo era morto e non poteva più servirgli. Era proprio lì per terra. Se non l’avessi preso io, l’avrebbe preso qualcun altro. E io ne avevo proprio bisogno; ecco perché l’ho preso. — Fece una pausa, poi aggiunse, quasi come per scusarsi; — E questo è tutto.

— Cioè, tutto dopo che l’avevi ucciso — rimbeccò Gillespie.Il prigioniero si alzò in piedi coi lineamenti contorti, come se

fosse stato tormentato da una gran pena. — Ho preso il suo portafoglio — gridò. — L’ho preso perché lui era morto, e io ne avevo tanto bisogno... Ma io non l’ho ucciso. — La sua voce si spense, così le ultime parole furono quasi incomprensibili, ma poi tentò ancora. Puntando l’indice sinistro contro il proprio petto, esclamò: — Io non l’ho ucciso, non ne avrei avuto bisogno, anche se avessi voluto rubargli il portafoglio. Era proprio una mezza cartuccia, e io l’avevo visto altre volte. Gliel’avrei fatta facilmente, se avessi voluto. Vi dico che ho preso soltanto il suo portafoglio. Non l’ho

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ucciso! — Tacque di colpo e ricadde sulla sedia, lasciando andare la testa, tanto che il mento gli toccava il petto.

Bill Gillespie fece un cenno con la mano. — Portatelo via e mettetelo dentro — ordinò. — Sospetto di omicidio. — Poi si lasciò cadere all’indietro sulla sedia fin dove glielo permetteva la prudenza, e rimase a fissare il soffitto fino al momento in cui il prigioniero venne condotto fuori.

Quando si udì il tonfo della porta di una cella che veniva richiusa, Gillespie si rilassò visibilmente e guardò Tibbs, che rimaneva seduto sulla scomoda sedia accostata alla parete. — Be’, questo chiarisce il mistero — commentò.

— È un buon passo avanti — convenne Tibbs.— E quanti ne volete fare, di passi, voi? — domandò Gillespie,

con un tono di voce quasi normale, una volta tanto.— Elimina il movente superficiale — replicò Tibbs.— Significa che sarà necessario scavare un po’ più in profondità.

Me lo aspettavo, ma è un gran vantaggio, avere una conferma.Gillespie si voltò per fronteggiare direttamente Tibbs; aveva sul

viso un sorriso divertito. — Non ditemi che avete bevuto la storiella di quel ragazzo. Mi pareva che passaste per un gran poliziotto, investigatore infallibile, lo Sherlock Holmes del Pacifico. Se voi siete un poliziotto, io sono un formichiere.

Apparve Arnold. Portava un panino avvolto in carta oleata e un bicchiere di carta contenente caffè. Senza una parola, porse il tutto a Tibbs, poi si rivolse a Gillespie. — È l’uomo che cerchiamo? — domandò.

Gillespie indicò Tibbs, che stava scartando il suo panino. — Chiedetelo a lui.

Arnold, obbediente, si rivolse al negro. — Ebbene? — domandò.— È innocente dell’assassinio, ne sono quasi sicuro — rispose il

negro.— E adesso ditegli il perché — suggerì Gillespie.— Perché è mancino — rispose Tibbs, addentando il panino.Arnold guardò Gillespie. — Continuate — esortò quest’ultimo,

parlando a Tibbs.Il negro attese di aver la bocca vuota. — Quando ho esaminato il

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corpo della vittima, questa mattina — spiegò pazientemente — ho visto che il colpo era stato inferto con un angolo di diciassette gradi dalla destra, guardando il cranio da tergo. Questo significa quasi sicuramente che il colpo è stato inferto da un assalitore che usa la mano destra. Se volete prendere per un momento la riga che avete sul tavolo, tenendola per una estremità, signor Gillespie, vi spiegherò cosa intendo dire.

Con grande stupore di Arnold, Gillespie obbedì.— Adesso immaginate di voler colpire qualcosa, pressappoco

all’altezza della vostra spalla; o anche un poco più in alto. Se tenete la riga saldamente, vedrete che è quasi impossibile mantenerla verticale. Il vostro polso non lo permette. Se volete puntarla verso destra, dovete ruotare la mano col palmo in alto; se volete colpire qualcosa dritto davanti a voi, dovete ruotare il polso di novanta gradi.

Gillespie guardò la riga che teneva in mano, poi la depose. — E voi credete che quel ragazzo sia mancino.

— Ne sono sicuro — replicò il negro. — Ricordate quando si è puntato l’indice al petto, quando si discolpava. Anche se fosse ambidestro, avrebbe usato la mano che è solito usare di più, cioè la destra. Invece ha usato la mano sinistra. Avevo notato sin da quando era entrato che doveva essere innocente, ma quel particolare è stato una conferma.

Tibbs prese un altro boccone dal panino e lo innaffiò con un sorso di caffè.

— Non vi ho chiesto se volevate lo zucchero — si scusò Arnold.— Così va benone, grazie — disse Tibbs.— Voi avete guardato, semplicemente guardato quel ragazzo, e

avete stabilito che, con ogni probabilità, è innocente. Cos’è questo? Intuito? — volle sapere Gillespie.

— Non è stato l’intuito, ma le sue scarpe — ribatté Tibbs. — E poi, non si era fatto la barba.

Gillespie rimase improvvisamente muto. Arnold si aspettava che il suo superiore chiedesse perché le scarpe e la rasatura fossero così importanti, ma poi comprese che non avrebbe chiesto nulla; sarebbe stato come ammettere la sconfitta, e quel genere di ammissioni non garbavano a Gillespie.

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Arnold si schiarì la gola e attese finché Tibbs ebbe la bocca vuota, prima di chiedere: — Perché?

— Considerate le circostanze dell’aggressione — spiegò Tibbs. — Mantoli è stato colpito alle spalle. Ciò vuol dire che o il suo aggressore era una persona a lui nota e della quale si fidava, tanto che aveva potuto dargli le spalle o, più probabilmente, una persona che lo ha sorpreso senza far rumore e ha potuto così colpirlo. Se Mantoli avesse sentito rumore, anche soltanto un attimo prima di venir colpito, si sarebbe voltato e non avrebbe ricevuto il colpo in quella direzione.

— Capisco — fece Arnold.— Il sospettato porta grosse scarpe di cuoio — continuò il negro.

— Di più, sotto le suole ha dei ferri, così da non consumarle troppo in fretta. Con quelle ai piedi, quando cammina deve fare rumore, e certo non riuscirebbe a cogliere qualcuno di sorpresa.

— Ma chiunque può cambiarsi le scarpe! — osservò Gillespie.— Avete ragione, naturalmente, Capo — convenne Tibbs. — Ma

avete accennato ai poveri bianchi pezzenti, e questo mi ha suggerito l’idea che, forse, quel ragazzo non ha gran varietà di scarpe da scegliere, e che quindi non può cambiarle spesso. A giudicare dalla barba lunga, direi che è stato alzato tutta la notte. Se fosse tornato a casa a cambiarsi le scarpe, si sarebbe anche rasato, perché ha l’abitudine di radersi regolarmente: sotto il mento, ha segni di rasoio tipici di chi si rade spesso e a fondo.

— Non li ho visti — brontolò Gillespie, con aria di sfida.— Io sono seduto più in basso di voi, signor Gillespie — obiettò

Tibbs — e c’è più luce nel punto in cui mi trovo.— Siete molto sicuro di voi, eh, Virgil? — rimbeccò Gillespie —

Virgil, poi, è un nome fantasioso per un ragazzo negro come voi. Come vi chiamano, dalle vostre parti?

— Mi chiamano signor Tibbs — rispose il negro.

Sam Wood guidava senza fretta, diretto alla casa degli Endicott. Benché il sole splendesse alto nel cielo, il caldo pareva più sopportabile, forse perché Sam si era atteso una giornata ancora più calda dopo l’afa della notte. Ciò che lo preoccupava maggiormente

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erano le notti, perché ci si aspetta sempre che il buio, al tramontar del sole, porti qualche refrigerio; e quando non lo porta, lo sconforto pare anche maggiore.

La strada saliva sempre. Il centro di Wells era molto indietro ormai, e c’era ancora un buon tratto prima d’arrivare in cima alla collina, dove abitavano gli Endicott. Come quasi tutti gli abitanti di Wells, Sam sapeva dov’era la casa, perché gli Endicott erano gente facoltosa. Lui però non li aveva mai conosciuti personalmente e non era mai stato a casa loro. Mentre guidava, cercava di pensare a quello che avrebbe detto, al modo di dare la notizia. Non era facile. Immaginava che la figlia di Mantoli, ospite dei padroni di casa, fosse senza madre; sarebbe stata sola al mondo... a meno che non avesse avuto marito, naturalmente. Forse era sposata, si disse Sam. Le ragazze italiane si sposano presto.

In cima alla collina la strada era piana e terminava in uno spiazzo destinato al parcheggio che, Sam stimò, poteva contenere dalle sei alle otto macchine. Parcheggiò con calma e richiuse lo sportello badando a non fare rumore. Pareva che il sole lassù splendesse di più, ma che in compenso il caldo fosse minore. La posizione era eccellente. Malgrado l’incarico, Sam non poté fare a meno di ammirare la maestà del panorama delle Great Smokies, la lunga fila di montagne che elevavano le loro vette per tutta la distesa dell’orizzonte. Poi Sam si diresse all’ingresso. La porta si aprì prima che lui avesse tempo di suonare.

Lo ricevette una donna, che era in attesa con un’aria mista di ospitalità e di autocontrollo e che tacque per dargli modo di spiegare perché era venuto; era sui cinquant’anni, ma l’età l’aveva trattata con grande rispetto. Il vestito semplice, di cotone, le modellava il corpo nelle stesse forme che erano state attraenti trent’anni prima. Il volto era senza rughe, i capelli acconciati con gusto.

La signora attese finché Sam fu arrivato agli ultimi gradini.— La signora Endicott? — domandò Sam, subito conscio che il

suo volto non rasato doveva stonare, in quell’ambiente.— Sì. Che cosa desiderate?Sam prese una decisione. — Posso parlare col signor Endicott?Grace Endicott si fece indietro e spalancò la porta. — Entrate —

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lo invitò. — Lo chiamo subito.Sam entrò, consapevole di essere fuori dal suo elemento naturale;

seguì la padrona di casa in una grande anticamera la cui parete di sinistra era quasi interamente a vetri, mentre la parete opposta era ricoperta da lunghe file di scaffali che salivano sino al soffitto e contenevano la più ricca biblioteca che lui avesse mai visto.

— Prego, accomodatevi — lo invitò la signora Endicott, uscendo subito dopo dalla sala. Sam guardò le poltrone invitanti e decise che era meglio restare in piedi: tutto sarebbe finito in dieci minuti, forse anche meno, e lui avrebbe potuto tornare alla sua auto e al più familiare Comando di polizia.

Sam si voltò quando il padrone di casa entrò.Il signor Endicott mostrava più di sua moglie i segni dell’età, ma

portava i suoi anni con molta dignità. Pareva l’uomo adatto per quella casa e, in cambio, la casa sembrava adatta a lui; si completavano a vicenda, come certi capitani completano la nave che comandano. Mentre aspettava che il suo ospite iniziasse a parlare, Sam si sorprese a rammaricarsi che la sua posizione sociale non gli consentisse di frequentare da amico un simile ambiente.

Poi rammentò il motivo che l’aveva spinto lì.— Credo che desideriate parlarmi — disse il signor Endicott,

quasi come un invito.— Sì, signore. Credo conosciate un certo signor Mantoli.Sam capiva che, come preambolo, andava male, ma ormai era

fatta e non poteva tornare indietro.— Sì. Conosciamo benissimo il maestro Mantoli. Spero che non

sia in difficoltà?Sam stese una mano e si tolse il berretto dell’uniforme,

vergognoso per essersene dimenticato sino allora. — Sì e no, signor Endicott. — Sam arrossì. Ormai non c’era altro che spiattellare i fatti. — Mi rincresce dovervi dire che... è stato ucciso.

Endicott tenne ferma la mano per qualche istante sulla spalliera di una poltrona, poi vi si lasciò cadere, gli occhi fissi lontano. — Enrico morto! Non posso crederlo!

Sam rimase immobile e attese che Endicott si riprendesse.— È terribile! — esclamò Endicott, alla fine. — Era un nostro

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caro amico. Sua figlia è ospite nostra, in questo momento. Io...Sam maledì il giorno in cui aveva avuto l’idea di lasciare il

pacifico lavoro al garage per diventare poliziotto. Endicott si voltò verso di lui. — Com’è avvenuto l’incidente? — domandò con la massima calma.

Questa volta Sam trovò parole più adatte. — Disgraziatamente, signore, non è stato un incidente.

Il signor Mantoli è stato aggredito questa notte in un sobborgo e non sappiamo ancora né da chi né per qual motivo. Sono stato io a trovarlo questa mattina, verso le quattro. — Sam sentì il bisogno di aggiungere qualcosa. — Mi dispiace dover esser io a darvi questa notizia — disse, sperando che quelle parole potessero attenuare in qualche modo le precedenti.

— Cosa volete dire! — esclamò Endicott, scandendo le parole. — Che è stato assassinato?

Sam annuì, lieto di non dover aggiungere altro.Endicott si alzò. — È meglio che informi mia moglie.A Sam parve che Endicott tradisse un’improvvisa stanchezza, non

la stanchezza di una giornata faticosa, ma quella che penetra nelle ossa e vi rimane, come una malattia.

— Accomodatevi — invitò Endicott, mentre usciva lentamente dalla bella sala.

Quando fu scomparso, Sam sentì come un vuoto. Si calò sull’orlo di una delle comode poltrone ben imbottite, mezzo seduto, mezzo accovacciato, ma quella posa si confaceva al suo stato d’animo. Mentre tentava di cacciare dalla mente la scena che doveva aver luogo in un’altra parte della casa, guardava, attraverso la parete a vetri, la vista spettacolare, che suggeriva una sensazione di eternità.

Endicott riapparve. — Posso fare qualcosa per aiutarvi? — domandò.

Sam si alzò. — Sì, signore. Io... Cioè, noi sappiamo che la figlia del signor Mantoli è vostra ospite. Abbiamo pensato che doveva essere informata. Più tardi, quando si sentirà, vorremmo che venisse al Comando per l’identificazione formale della salma.

Endicott esitò un attimo. — La signorina Mantoli è qui, e sta ancora riposando. Siamo rimasti tutti alzati sino a tardi, ieri sera, per

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discutere l’organizzazione del festival. — Tacque un istante, per passarsi una mano sulla fronte. — Quando la signorina Mantoli si sveglierà, mia moglie le darà la notizia. Ma intanto, c’è qualche ragione che impedisca a me di identificare la vittima? Sarei contento di risparmiarle questo dolore, se è possibile.

— Sono sicuro che potete farlo anche voi — rispose Sam, cercando di mostrare tutta la sua simpatia, benché gli sembrasse che il tono non fosse il più appropriato. — Se volete, potete venire al Comando con me. Un altro agente vi riaccompagnerà a casa, dopo le formalità di rito.

— Bene — disse Endicott. — Permettete che avverta mia moglie, e sono subito con voi.

Mentre guidava giù per la discesa, Sam teneva gli occhi fissi sulla strada e badava a ogni manovra, perché l’auto procedesse senza la minima scossa. Guidava ancora con prudenza eccessiva quando fermò la macchina dinanzi all’ingresso del Comando di polizia, nell’edificio municipale, e fece scendere il suo passeggero; attese che Endicott lo precedesse e lo seguì a un passo di distanza, mentre l’anziano signore saliva i gradini e si fermava davanti alla scrivania del piantone.

Sam aveva pensato di lasciare che altri si incaricassero della faccenda e di andarsene a casa; ma quando Endicott si mise a seguire Arnold che lo accompagnava all’obitorio, cambiò idea e si mise a fianco del vecchio, con la speranza di infondergli coraggio con la sua presenza. Quando sollevarono il lenzuolo che ricopriva il cadavere, Sam si sentì a disagio.

Endicott annuì debolmente. — È proprio Enrico Mantoli — dichiarò. Poi, compiuto il suo dovere, si voltò in fretta e si avviò verso l’uscita. Una volta fuori, domandò: — Posso vedere il vostro Capo?

Fred, l’agente di guardia, parlò all’interfonico. Un momento dopo annuì e Sam, tutto compreso dell’importanza del suo incarico, diresse Endicott verso l’ufficio di Gillespie. — Signor Endicott, questo è il signor Gillespie, Capo della polizia — presentò Sam quando furono nell’ufficio.

Endicott porse la mano a Gillespie. — Ci conosciamo già — disse

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semplicemente. — Io sono un membro del consiglio comunale.Gillespie si alzò rapidamente e fece il giro della scrivania. —

Certo, signor Endicott. E grazie per essere venuto. — Gillespie fece per tornare alla sua poltrona, poi si voltò ancora. — Vi prego, sedete.

George Endicott sedette sulla sedia di dura quercia, e cominciò: — Signor Gillespie, sono sicuro che voi e i vostri uomini farete tutto il possibile per trovare e punire la persona che ha commesso questo delitto. Se c’è qualcosa che io posso fare, voglio che lo sappiate, potete contare su di me. Il maestro Mantoli era un nostro caro amico, e siamo stati noi a farlo venire qui. Per questo, ci sentiamo un po’ responsabili della sua morte. Credo che comprenderete cosa provo.

Gillespie prese un blocco di fogli e una penna. — Forse potete darmi qualche informazione. Quanti anni aveva la vittima?

— Quarantasette anni.— Sposato?— Vedovo.Parenti prossimi?— Sua figlia, Duena. Non aveva altri figli; e la ragazza è nostra

ospite, adesso.— Nazionalità?— Era cittadino americano.Gillespie corrugò appena la fronte, poi la distese con uno sforzo.

— Dov’era nato?Endicott esitò. — In Italia. Non ricordo bene dove.— A Genova, credo — suggerì calmo Tibbs.Gli altri due uomini si voltarono a guardarlo, ma Endicott parlò

per primo. — Siete un amico del maestro Mantoli? — domandò.— No, non ho mai avuto l’onore di conoscerlo. Ma, su invito del

Capo della polizia, questa mattina ho esaminato il cadavere.Endicott pareva imbarazzato. — Siete... un becchino? —

domandò ancora.Tibbs scosse la testa. Prima che potesse replicare, Gillespie

intervenne. — Virgil è un investigatore della polizia di Beverly Hills, in California.

— Pasadena — corresse Tibbs.— E va bene, Pasadena. Che differenza fa? — replicò Gillespie

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lasciando che il temperamento gli prendesse la mano.George Endicott si alzò. — Non ho capito bene il vostro nome —

disse a Tibbs, tendendogli la mano.Il giovane negro si alzò e gliela strinse. — Mi chiamo Tibbs.— Lieto di conoscervi, signor Tibbs. Di che indagini vi occupate?— Ho lavorato con la squadra narcotici, sono stato addetto al

traffico, ai furti. Ma poi mi sono specializzato nei delitti contro le persone: omicidi, violenze e altri gravi reati.

Endicott si rivolse a Gillespie. — Come mai il signor Tibbs è qui? — domandò.

Quando Sam vide l’espressione che prendeva il volto di Gillespie, comprese che toccava a lui spiegare.

Sono io il responsabile di questo contrattempo — disse. — Ho trovato Virgil in attesa, alla stazione, e l’ho condotto qui, come possibile sospetto. Poi, abbiamo scoperto chi era.

— L’agente Wood ha agito con grande prontezza — intervenne Tibbs. — Non voleva correre il rischio che un possibile colpevole potesse fuggire.

In quel momento, e per la prima volta in vita sua, Sam sentì di provare simpatia per un negro.

Endicott parlò ancora all’ispettore di Pasadena. — E quanto tempo rimarrete qui a Wells?

— Sino alla partenza del prossimo treno.— E cioè?— Se ricordo bene, fino alle tre e quaranta del pomeriggio.Endicott accennò di sì, e parve soddisfatto. Gillespie si agitò sulla

poltrona, a disagio. A Sam parve che fosse giunta per lui l’ora di andarsene. A poco a poco, aveva incominciato a balenargli l’idea che il suo Capo si trovasse nei guai e che a mettercelo fosse stato proprio lui; si schiarì, dunque, la voce per far comprendere che aveva qualcosa da dire e non perse tempo. — Signore, se posso... se non avete più bisogno di me, vorrei andare a riposare.

Gillespie alzò il volto per guardarlo. — Andate pure a casa.Mentre sedeva al volante della sua Plymouth, vecchia di quattro

anni, Sam incominciò a pensare alla tensione che era nata fra il suo Capo e l’investigatore negro. Per lui, non c’erano dubbi su chi

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sarebbe stato il vincitore, ma lo turbava il pensiero che, se le cose si fossero messe al peggio, lui avrebbe potuto andarci di mezzo.

Riflettendo ancora a quell’idea, parcheggiò l’auto davanti alla sua casetta, entrò e si spogliò in fretta; si cacciò sotto la doccia, poi prese in considerazione la possibilità di mangiare qualcosa, ma si accorse che non aveva fame e andò a letto senza pigiama tirandosi addosso il lenzuolo. Un istante dopo, a dispetto del caldo e delle preoccupazioni, dormiva profondamente.

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Bill Gillespie aspettò che Endicott fosse abbastanza lontano, nel corridoio, per non poterlo più udire, poi si rivolse a Tibbs.

— Chi diavolo vi ha detto di aprire quella vostra boccaccia nera? — scattò. — Se voglio che mi diciate qualcosa, ve lo chiedo. Io stavo interrogando Endicott proprio come avevo stabilito di fare, quando voi avete deciso di metterci il becco. — Poi, chiuse una mano a pugno, strofinandola sul palmo dell’altra. — Statemi bene a sentire: voglio che ve ne andiate di qui adesso, subito. Non so quando arriverà il prossimo treno e non mi importa. Andate alla stazione e aspettatelo. Quando arriva, prendetelo senza curarvi di dove vada. Filate.

Virgil Tibbs si alzò calmo e si diresse verso la porta, dove si fermò, si voltò e fissò dritto in faccia l’omone che dominava nell’ufficio. — Buon giorno, signor Gillespie — disse.

Quando fu all’uscita, il piantone lo fermò.— Virgil, questa mattina, alla stazione, avete lasciato una valigia

di fibra scura? E sopra c’erano le iniziali vi erre ti?Tibbs annuì. — È la mia. Dov’è?— L’abbiamo presa noi. Aspettate cinque minuti, finché finisco, e

ve la faccio portare.Tibbs attese, ma si sentiva a disagio. Non voleva che Gillespie,

uscendo dall’ufficio, lo vedesse ancora lì. Non che avesse paura di quel Golia, ma non vedeva motivo di provocare un’altra scenata. Rimase semplicemente in piedi, per far comprendere, cortesemente, la sua speranza che l’attesa non sarebbe stata lunga.

Dopo cinque minuti abbondanti il piantone venne con la sua valigia. — Potete accompagnarmi alla stazione? — gli domandò il negro.

— Chiedetelo al Capo. Se lui dice di sì, io non ho difficoltà.— Non importa — rispose Tibbs, afferrando la valigia e

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cominciando a discendere la lunga scala che portava nella strada.Nove minuti dopo nell’ufficio di Gillespie trillò il telefono. Era

quello della linea privata, il cui numero erano in pochi a conoscere.Il Capo afferrò il ricevitore. — Qui Gillespie — disse.— Bill, sono Frank Schubert.— Sì, Frank. — Gillespie fece uno sforzo per mostrarsi fiducioso

e cordiale. Frank Schubert aveva un negozio di ferramenta e due distributori di benzina. Inoltre, era sindaco di Wells e capo del comitato ristretto che presiedeva all’amministrazione cittadina.

— Bill, George Endicott è uscito adesso dal mio ufficio.— Sì.Gillespie aveva quasi urlato. Decise di controllare meglio la sua

voce.— Si tratta di quel poliziotto di colore che uno dei tuoi uomini ha

trovato. Endicott ha voluto che chiamassi Pasadena per chiedere se ce lo possono prestare per qualche giorno. George è addirittura sconvolto per la morte di Enrico Mantoli. Tu capisci...

— So anche questo — tagliò corto Gillespie, che sentiva di essere trattato come un bambino.

— Abbiamo parlato subito con un certo Morris, a Pasadena — riprese Schubert. — Ha dato il suo consenso.

Gillespie ingoiò a fatica. — Frank, io apprezzo infinitamente le tue intenzioni, ma mi sono appena liberato di quel ragazzo e, a dirla schietta, non lo voglio più fra i piedi. Ho ottimi elementi, qui, e nemmeno io sono digiuno di esperienza. Scusami se te lo dico, ma Endicott è un ficcanaso.

— Lo so anch’io che lo è — convenne Schubert. — E viene dal Nord, dove hanno idee diverse dalle nostre. Ma mi pare che tu stia trascurando qualcosa.

— E cosa sarebbe?— Questa combinazione ti offre una comoda scusa. Endicott

vuole che usiamo il suo amico negro e sta bene. Accontentalo. Supponi che lui trovi l’assassino: qui non ha poteri, e dovrà rimettere tutto nelle tue mani. Ma se facesse fiasco, tu ne usciresti con le mani pulite e tutti in città sarebbero per te, mentre tutto lo smacco si riverserebbe sulle sue spalle. Tu vinceresti in tutti i modi. Se rifiuti il

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suo aiuto e non riesci ad arrestare l’assassino al più presto, Endicott chiederà la tua testa, e lui ha più denaro di chiunque altro in questa città.

Gillespie si morse le labbra per qualche secondo. — L’ho appena mandato via di qui — disse.

— È meglio che tu lo richiami — suggerì Schubert. — Quel negro è la tua salvezza. Sii gentile con lui, e lascia che si metta da solo la corda intorno al collo. Se qualcuno dovesse criticarti, rispondi che l’hai fatto perché te l’ho ordinato io.

Gillespie capì che era in trappola. — Sta bene — rispose con voce contrariata, riappendendo subito dopo. Mentre si alzava, diceva a se stesso che lui non sapeva nemmeno da che parte si incomincia per prendere un assassino, che Virgil Tibbs era la sua àncora di salvezza, e che l’avrebbe sollevato di ogni responsabilità. Mentre si accomodava al volante, aveva raggiunto la conclusione che sarebbe stato bello dare a Tibbs la corda perché potesse impiccarsi.

Due isolati prima della stazione, vide Tibbs che si era fermato un momento per cambiar di mano la valigia. Gillespie gli si affiancò. — Virgil, salite. Devo parlarvi.

Il giovane negro si accinse a obbedire. A Gillespie venne un’idea che gli fece torcere il naso: Tibbs aveva percorso, a piedi, buona parte della distanza dal Comando di polizia alla stazione, portando, sotto il sole cocente, una grossa valigia. Questo significava che aveva sudato, e a Gillespie era insopportabile l’odore che associava sempre ai negri; voltatosi in fretta, abbassò il finestrino dello sportello posteriore e fece segno a Tibbs di salire sul sedile anteriore. — Mettete la valigia sul sedile, dietro — gli ordinò.

Tibbs fece come gli veniva detto, depose la valigia e andò a sedere accanto a Gillespie. Con grande sollievo del Capo della polizia, Tibbs non puzzava.

Gillespie partì, inserendosi nel traffico. — Virgil, questa mattina sono stato piuttosto brusco con voi — cominciò; poi, sembrandogli che fosse il momento di tacere, si fermò.

Tibbs non rispose.— Il vostro amico Endicott ha parlato col sindaco — continuò

Gillespie. — Il nostro sindaco, Schubert, ha telefonato a Pasadena.

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Dopo essersi consultato con me, abbiamo deciso di affidarvi le indagini sulla morte di Mantoli, sotto la mia direzione.

Nell’auto, mentre percorrevano i successivi tre isolati, regnò il silenzio. Tibbs lo ruppe, soppesando le parole. — Credo sia meglio che lasci la città, come avete suggerito voi, signor Gillespie. Potrebbe essere tutto più facile per voi.

Gillespie girò al primo incrocio.— E cosa fareste se fosse il vostro capo a chiedervi di rimanere

qui? — domandò.— Se Morris me lo chiedesse — rispose pronto Tibbs — andrei

anche in Inghilterra ad arrestare Jack lo sventratore.— Morris ha mandato a dire che vi tratteniate una settimana qui,

con noi. Naturalmente, non entrerete in forza, e perciò non indosserete l’uniforme.

— È da un po’ che non la indosso più — gli fece notare Tibbs.— Benone. Che cosa vi occorre?— Sono stato in piedi tutta la notte, e non ho avuto la possibilità

di lavarmi — rispose Tibbs. — Se c’è un albergo... vorrei radermi, fare un bagno e mettermi abiti puliti. Dopo, se vorrete farmi avere un mezzo di trasporto, è tutto quello che mi occorre. Almeno per ora.

Gillespie rifletté brevemente. — Gli alberghi, qui, non vi accoglierebbero, Virgil; ma c’è un motel per gente di colore, a circa otto chilometri da qui. Potete alloggiare là. Abbiamo una vecchia macchina della polizia che teniamo di riserva; potrete usare quella.

— Prego, non una macchina della polizia — obiettò Tibbs. — Se conoscete un commerciante di macchine usate che possa affittarmi qualche cosa che vada, sarà molto meglio. Non voglio dare nell’occhio.

Gillespie comprese che sarebbe stato difficile mettere nel sacco il negro. — Credo di conoscerne uno — disse, svoltando a metà dell’isolato, senza attendere l’incrocio.

Oltrepassata la ferrovia, Gillespie si fermò davanti a un’autorimessa. Un grosso meccanico negro venne loro incontro.

— Jess, questo è Virgil, lavora per me — gli disse Gillespie. — Voglio che tu gli dia in affitto una macchina o che gliene faccia avere una, e che possa tenerla per una settimana circa. Qualcosa che

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funzioni bene.— Tutto quello che riparo io funziona bene — affermò

immediatamente Jess. — Chi ne sarà responsabile?— Io — rispose Tibbs.— Venite, allora. — Jess si voltò e tornò nella sua officina. Tibbs

scese dall’auto di Gillespie, prese la valigia e, rivolto al suo nuovo superiore, disse: — Verrò al Comando non appena mi sarò rimesso in ordine.

— Non abbiate fretta — lo rassicurò Gillespie. — Domattina andrà benone. — Poi premette a fondo l’acceleratore e la macchina balzò via sollevando una nuvola di polvere.

Virgil prese la valigia ed entrò nel garage.— Come vi chiamate? — domandò Jess.— Virgil Tibbs. Sono un poliziotto della California.Jess si pulì le mani con uno straccio. — Sto mettendo da parte

qualcosa per andare nell’Ovest anch’io — gli confidò. — Voglio andarmene da qui, ma non ditelo a nessuno. Potete prendere la mia macchina. Io ne ho un’altra e posso usare quella, se mi occorre. E cosa dovreste fare qui?

— C’è stato un assassinio, questa mattina; loro non sanno da dove cominciare e hanno pensato di prendere me come paravento.

Jess lo guardò, e sul suo faccione rotondo apparve un’espressione di diffidenza. — E come farete a non cacciarvi nei pasticci?

— Scoverò l’assassino — rispose Tibbs.

Per via del caldo e del sovvertimento delle sue abitudini, a causa di quello che era accaduto durante la notte, Sam dormì di un sonno breve e agitato. Alle due del pomeriggio era già alzato; con le provviste che teneva in casa, si preparò soltanto un panino, poi si mise a leggere la corrispondenza. C’erano tre lettere. L’ultima busta l’aprì con mani tremanti.

Conteneva un foglio su carta intestata e un assegno. Quando ebbe guardato l’assegno, Sam smise di pensare al delitto e guardò l’orologio. Si mise lettera e assegno nella tasca interna della giacca e uscì in fretta. Improvvisamente, sentiva l’urgenza di arrivare alla banca prima che chiudesse.

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Un’ora dopo Sam andò al Comando per sentire le novità; e poi era anche giorno di paga. Con sua grande sorpresa, trovò Gillespie che stava parlando con Virgil Tibbs.

Al tavolo del piantone, Sam prese l’assegno della sua paga, firmò la ricevuta e, quando si voltò, trovò Gillespie che lo aspettava. — Wood, lo so che non siete in servizio, ma abbiamo bisogno d’aiuto, qui. Potete accompagnare Virgil da Endicott? Vuole parlare con la figlia di Mantoli. — Quella non era una richiesta, ma un ordine dato con buone maniere. Sam non capiva il perché di tutta quella tolleranza nei confronti del poliziotto californiano, ma l’istinto gli disse che quello non era né il momento né il luogo per far domande; e poi, era contento di accompagnare Virgil, perché non voleva perdere nessun particolare di quel che sarebbe seguito.

— Sicuro, Capo, se voi desiderate che...Gillespie emise un sospiro. — Se così non fosse, Wood, non ve

l’avrei chiesto. Virgil ha una macchina, ma non conosce la strada, e voi sì.

Ma perché, pensava Sam, tutte le volte che cercava di essere gentile col suo Capo, lui doveva prendersela a male? Fece cenno a Tibbs che potevano andare, chiedendosi se doveva usare la sua macchina personale oppure quella della polizia, che era parcheggiata in cortile. Non era in uniforme!

La soluzione gli balenò improvvisa: per il momento assumeva le funzioni di agente investigativo in borghese e, come tale, avrebbe usato l’auto della polizia. Si avviò, seguito da Tibbs. Quando lui salì, il negro aprì lo sportello e gli sedette accanto. Dopo un istante di esitazione, Sam decise di lasciar correre e mise in moto.

Mentre attraversavano i sobborghi, diretti alla strada panoramica dove abitavano gli Endicott, Sam cedette alla curiosità. — Pare che siate riuscito a tirare il Capo dalla vostra, eh? — disse, chiedendosi, subito dopo, se non si era mostrato troppo gentile, troppo amichevole.

— Sapevo che vi sareste meravigliato — rispose Tibbs. — La mia presenza qui ha imbarazzato il signor Gillespie, e io ho avuto la sconsideratezza di intromettermi in una discussione che aveva con un altro signore.

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— Lo so — confermò Sam.Tibbs non batté ciglio. — Tuttavia, senza entrare in particolari, il

signor Gillespie mi ha incaricato di aiutarlo nelle indagini del caso Mantoli, col permesso dei miei superiori di Pasadena.

— E con quale qualifica siete in forza da noi?— Nessuna. Ma posso tentare di scoprire qualcosa o darmi la

zappa sui piedi, se faccio fiasco.La macchina arrivò dove finiva l’asfalto e sobbalzò sulla ghiaia

della strada.— Credete di poter approdare a qualcosa di buono? — domandò

ancora Sam.— Potrei darvi qualche referenza — rispose Tibbs.— Non vi gioveranno molto, qui, se sono in California — gli fece

notare Sam.— Sono in California, nel penitenziario di San Quintino.Sam decise di tacere e badare solo alla guida.Fu ancora la signora Endicott che venne ad aprire. Aveva

cambiato abito e, adesso, ne indossava uno nero, semplice; anche se non gli sorrise, fece capire a Sam che era ugualmente il benvenuto.

— Sono lieta di vedervi — disse. — Mi rincresce di non sapere il vostro nome.

— Sam Wood, signora.La donna gli porse la mano. — E questo signore è certamente il

signor Tibbs. — Poi, dopo aver stretto la mano anche al negro, disse: — Entrate, signori, prego.

Sam la seguì nel bellissimo soggiorno. Quando entrò, vide che, oltre il signor Endicott, c’erano un uomo più giovane e una ragazza. I due si tenevano per mano e Sam comprese subito che a quella mossa confidenziale doveva essere stato lui a ricorrere, non la ragazza.

I due uomini si alzarono. Endicott fece le presentazioni. — Duena, posso presentarti il signor Tibbs e il signor Wood? La signorina Mantoli. Il signor Eric Kaufmann, socio e agente del maestro Mantoli.

Gli uomini si strinsero la mano. Sam si disinteressò quasi subito di Kaufmann, un tipo piuttosto giovane che cercava di sembrare più giovane di quel che fosse, e anche più importante.

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La ragazza non aveva niente di diverso da quello che Sam conosceva nelle donne. Sam la guardò attentamente, ma brevemente, mentre sedeva, calma, composta, e la sua opinione sulle donne italiane mutò radicalmente; quella non era grassa e pareva destinata a non diventarlo mai. Notò che era scura di carnagione, e che aveva i capelli tagliati corti, come gli era sempre piaciuto nelle donne. Rammentando che solo da poco lei aveva saputo della tragica morte del padre, sentì l’impulso di sederle accanto, di cingerle le spalle con un braccio e di dirle che, in qualche modo, tutto si sarebbe sistemato.

Ma non si sarebbe sistemato niente, per lei, probabilmente per molto tempo. Sam stava ancora pensando a queste cose, quando Virgil, calmo, prese l’iniziativa.

— Signorina Mantoli — disse il negro — abbiamo solo una scusa per disturbarvi in un momento come questo: ci occorre il vostro aiuto per trovare e per punire il responsabile. Ve la sentite di rispondere ad alcune domande?

La ragazza lo guardò con occhi umidi e cerchiati di rosso, poi li chiuse e, col capo, indicò due sedie. Sam sedette con un gran senso di sollievo, contento di trovarsi in disparte e lieto che fosse Tibbs a sbrigare quella faccenda.

— Forse sarà più facile se incomincerò con voi — continuò il negro, rivolto a Eric Kaufmann. — Eravate qui, questa notte?

— Si, ero qui, almeno per parte della serata. Alle dieci sono stato costretto ad andarmene. Dovevo trovarmi ad Atlanta; la strada è lunga, e io dovevo esser lì la mattina presto.

— E avete guidato tutta la notte? — domandò Tibbs.— Oh no! Sono arrivato alle due e mezzo e sono andato in albergo

per riposare. Ero già alzato, e mi stavo radendo, quando... quando ho ricevuto la notizia.

Tibbs si rivolse alla ragazza che stava a testa bassa, le mani strettamente intrecciate attorno alle ginocchia. Quando parlò, il tono della sua voce era mutato appena: era calmo, ma in esso si sentiva una profonda, intima simpatia per la donna che gli stava di fronte.

— C’era qualche candidato che aspirava al posto di vostro padre, senza riuscire a ottenerlo? Qualcuno che sia rimasto particolarmente deluso per l’insuccesso? — domandò.

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Duena alzò il capo. — Nessuno, assolutamente — rispose a voce bassa ma chiara. — Proprio nessuno. Questo festival era stata una sua idea, e non c’è mai stato nessuno che...

La voce si spense, e Duena non tentò nemmeno di finire la frase.— Vostro padre portava con sé grosse somme di denaro? Lo

faceva normalmente? Diciamo... più di duecento dollari?— Certe volte, per le spese di viaggio. Io ho tentato di fargli usare

“travellers’ cheques”, ma lui li trovava scomodi. — Duena fissò Tibbs e fece a sua volta una domanda. — È per questo che l’hanno ucciso...? Per pochi dollari? — chiese con amarezza, mentre le labbra le tremavano e gli occhi le si riempivano di lacrime.

— Ne dubito, signorina Mantoli — rispose Tibbs.— Ci sono tre altri buoni motivi, sui quali dovremo indagare. Ma

io non credo che sia stato quello il movente.Grace Endicott intervenne. — Signor Tibbs, apprezzo quello che

state facendo per noi, ma vorrei suggerirvi di risparmiare Duena. Lo shock è stato tremendo, credo lo comprenderete. Probabilmente, potremmo rispondere noi a molte delle vostre domande.

— Capisco perfettamente — ammise Tibbs. — Dopo che la signorina Mantoli si sarà rimessa, potrò parlarle, se sarà necessario.

Grace Endicott prese Duena per mano. — Vieni a riposarti un poco.

Duena si alzò, ma scosse il capo all’offerta della signora Endicott. — Preferisco uscire un poco — disse. — Lo so che fa caldo, ma voglio uscire, per favore.

La signora Endicott capì. — Ti prendo il cappello — suggerì. — Ti occorre qualcosa per proteggerti dal sole.

Dopo che le due donne ebbero lasciato il soggiorno, Endicott disse: — Non mi piace che esca sola. Siamo molto isolati quassù, ma finché questa faccenda non è chiarita, non voglio correre rischi... Nessun rischio. Eric, vorreste?...

Endicott non finì la domanda. Sam provò un impulso mai provato prima: calmo, si alzò in piedi. — Lasciate che vada io — si offrì. Era molto più alto di Kaufmann, ed era un poliziotto, in divisa o non, importava poco; la responsabilità era sua.

— Io sono perfettamente in grado di... — cominciò Kaufmann.

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— Probabilmente, tu sarai necessario qui, Eric — gli ricordò Endicott.

Sam prese quelle parole come un consenso, fece un cenno del capo a Endicott e uscì; sapeva che non c’erano pericoli, fuori, alla luce del sole, e quasi gli dispiaceva. Avrebbe tuttavia preferito essere in uniforme, in modo che la sua pistola fosse bene in vista, per dar fiducia alla ragazza. Così, era solamente un uomo di buona taglia, vestito in borghese.

Grace Endicott riapparve con Duena; la ragazza aveva in testa un cappello estivo a tesa larga, col quale, malgrado il dolore evidente, appariva attraente in modo quasi sfacciato.

Sam trattenne il respiro. — Scorterò io la signorina Mantoli — disse con fermezza.

— Grazie — disse la signora Endicott.Sam tenne la porta aperta per far passare Duena.Senza parlare, Duena si avviò, fece il giro della casa, poi prese per

un piccolo sentiero in discesa, dal lato opposto all’ingresso della villa. Il sentiero scendeva per una settantina di metri e terminava in uno spiazzo ricoperto da una tettoia. Sam non era a conoscenza di quell’osservatorio, dal quale chiunque avrebbe potuto vedere lo spettacolo delle Great Smokies senza essere visto, poiché la collina lo nascondeva da tre lati.

Duena sedette sulla panca addossata alla collina, poi tirò a sé il lembo della camicetta, per far capire che Sam poteva sedere accanto a lei. Sam sedette, raccolse le mani sulle cosce e rimase a fissare la distesa davanti a sé. Capiva perché Duena aveva voluto andar lì: perché quel luogo pareva sospeso sull’infinito. Era impossibile guardare lontano alle montagne che parevano correr via e non pensare che, oltre l’orizzonte, esse continuavano ininterrotte.

Rimasero seduti tutti e due in silenzio per qualche minuto, poi Duena ruppe il silenzio e, senza perdersi in preamboli, domandò: — Siete stato voi a trovare mio padre, questa mattina, vero?

— Volete proprio che ne parliamo? — domandò a sua volta Sam.— Voglio sapere — rispose lei. — Siete stato voi a trovarlo?— Sì.— Dov’era?

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Sam esitò, prima di rispondere. — In mezzo all’autostrada.— Non potrebbe essere stato investito da qualche macchina?— No. — Sam tacque, chiedendosi quanto altro avrebbe potuto

dire. — Era stato colpito alle spalle, con un corpo contundente. Aveva accanto il bastone da passeggio.

— È stata... — Duena esitò, rifletté prima di continuare. — È stata... istantanea? — Poi si voltò a fissarlo per la prima volta.

Sam annuì. — Non solo, ma non se n’è nemmeno accorto, ne sono sicuro. Non ha sofferto.

La ragazza strinse l’orlo della panca con mani lunghe, affusolate, e tornò a fissare il lontano panorama delle montagne. Non era un grand’uomo, non era importante — disse, come se parlasse al muto paesaggio. — Aveva atteso tutta la vita l’occasione buona. Avrebbe potuto essere questa, il suo avrebbe potuto diventare un nome famoso nel campo della musica. Il nostro è un mondo duro, ed è quasi impossibile farsi una posizione se non si appartiene al gruppo giusto. Chiunque sia stato a uccidere mio padre, ha ucciso anche tutte le sue speranze, i suoi sogni... proprio nel momento in cui stavano per realizzarsi.

Duena tacque e continuò a fissare l’orizzonte. Sam la fissò attentamente, in collera con se stesso perché, in un momento come quello, la trovava molto bella e avrebbe voluto consolarla, offrirle la sua protezione, lasciarla piangere, sfogarsi, tenerle la mano in una stretta rassicurante.

Quel che non poteva fare materialmente, cercò di farlo con le parole. — Signorina Mantoli, voglio dirvi qualcosa che potrà aiutarvi, almeno un poco. Tutti noi della polizia faremo del nostro meglio, senza risparmiarci, per trovare e punire il colpevole. Non sarà un gran conforto per voi, ma forse può aiutarvi un poco.

— Siete molto gentile — disse Duena, proprio come se, mentre pronunciava quelle parole, il suo pensiero fosse altrove. — La presenza del signor Tibbs non vi causerà disturbi? — chiese improvvisamente.

Sam corrugò la fronte per un istante. — È difficile rispondere a questa domanda.

— Perché è un negro, intendo dire.

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— Sì, perché è un negro — fece eco Sam. — Voi sapete come la pensiamo noi, in proposito.

Quando la ragazza lo fissò calma, con fermezza, Sam provò un’emozione improvvisa che non seppe analizzare. — Lo so — disse lei. — C’è, qui, gente che non può soffrire gli italiani; vedete, pensano che siamo diversi da loro. Oh, sono disposti a fare eccezione per un Toscanini, o per una Sofia Loren; ma tutti gli altri sono considerati una masnada di fruttivendoli ambulanti e di gangster.

Duena tacque, si ravviò i capelli, sbadatamente, con una mano, e tornò a fissare le montagne.

— Forse, faremmo bene a rientrare — suggerì Sam, profondamente a disagio.

Duena si alzò. — Lo credo anch’io. E grazie per avermi accompagnata. Mi è stato di conforto.

Quando raggiunsero l’ingresso, la porta si aprì per lasciar passare Kaufmann, il quale la tenne aperta per Tibbs, che lo seguiva. Kaufmann strinse la mano al negro, con una condiscendenza che, anche Sam se ne accorse, era ostentata.

— Signor Tibbs — disse Kaufmann a voce abbastanza alta perché Duena e Sam potessero sentire — non m’importa quello che costerà o quello che voi dovrete fare. Non sono ricco, ma niente potrà fermarmi pur di vedere che l’assas... la persona che ha colpito il maestro venga arrestata e punita. — La voce divenne tremula. — Fargli una cosa simile, a un uomo come lui! A tradimento! Vi prego, fate del vostro meglio!

Sam si chiese quanto c’era di sincero in quelle parole, e quanto era destinato soltanto a far impressione sulla ragazza. Kaufmann doveva conoscerla bene, e forse... Ma cacciò subito quel pensiero, prima di approfondirlo. Irragionevolmente, avrebbe voluto che Duena avesse aperto gli occhi al mondo solo quel giorno, per essere lui il primo a conoscerla, a prendersi cura di lei.

Sam, subito dopo, pensò che stava rammollendo, che era ora di tornare alla realtà. Virgil salutò Kaufmann, si scusò per il disturbo, poi salì in macchina accanto a Sam, che già aveva avviato il motore e subito partì verso la città.

Quando furono lontani, Sam domandò:

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— Avete fatto qualche progresso?— Sì — rispose Tibbs.Sam attese che l’altro gli desse qualche spiegazione, ma capì che

doveva interrogarlo. — Cosa avete scoperto?— I retroscena del festival e della vita di Mantoli. Gli Endicott si

danno molto da fare per lanciare la vostra città. Nelle loro intenzioni, Wells avrebbe dovuto avere un festival musicale come quello delle commemorazioni di Bach, a Bethlehem. Alcune iniziative del genere hanno ottenuto grande successo.

— A molti di noi, qui del luogo, organizzare quel festival è parsa un’idea balorda — osservò Sam.

— Le risposte ai primi inviti sono state straordinariamente favorevoli — disse Virgil. — Io non m’intendo molto di musica, ma pare che Mantoli avesse ideato un programma molto attraente per gli amanti della musica classica. C’era un mucchio di gente disposta a pagare una discreta somma per sedere su panche scomode o su seggiolini pieghevoli, tutta una sera.

— E niente che possa aiutarci a risolvere il problema immediato? Niente che possa rivelarci qualcosa sul colpevole?

— Chi lo sa? — rispose vagamente Tibbs. Poi aggiunse: — Il signor Endicott ha chiesto che il corpo del maestro sia affidato agli impresari delle pompe funebri, il più presto possibile.

Sam attese un momento, sperando che l’altro gli dicesse qualcosa di più, poi ci rinunciò: — E adesso, dove dobbiamo andare? — domandò.

— Torniamo al Comando. Voglio vedere quel ragazzo, quell’Oberst che tengono dentro.

— Me n’ero dimenticato — confessò Sam. — Cosa volete da lui?— Voglio interrogarlo — rispose Tibbs. — Il resto dipenderà

dall’autonomia che Gillespie vorrà concedermi.Il resto della strada lo fecero senza parlare. Mentre guidava giù

per la strada tutta curve, Sam cercava di sondare se stesso, di capire se desiderava davvero il successo dell’uomo che gli sedeva accanto. Aveva in mente Duena Mantoli; poi, come l’immagine messa a fuoco dal fascio di luce di un proiettore, vide anche Gillespie e, senza doverlo guardare, il negro. Proprio questo lo faceva stare a disagio.

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Che un forestiero avesse risolto quel caso, non gli sarebbe dispiaciuto, purché fosse stato un possibile amico; ma in quella faccenda un negro ci stava come una roccia nel bel mezzo di un canale.

Quando raggiunsero il Comando, Sam non aveva ancora deciso; voleva che il mistero venisse risolto, ma da qualcuno che si potesse guardare in faccia con rispetto. Purtroppo, non vedeva nessuno che riunisse in sé tutti quei requisiti.

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6

Virgil Tibbs si fermò al tavolo del piantone e fece la sua richiesta, poi andò alla toeletta riservata ai negri per dar tempo agli altri di ponderare la sua domanda e consultare Gillespie. Ma il Capo era assente e il piantone doveva prendere una decisione; dopo aver riesaminato le istruzioni ricevute, quest’ultimo chiamò Arnold e gli chiese di concedere a Tibbs un colloquio con Oberst.

Quando la porta metallica venne aperta, Oberst si alzò a metà. — Non dovete metterlo qui, voi — protestò. — Mettetelo da qualche altra parte. Non voglio ne...

— Vuole parlarti — tagliò corto Arnold, acido. Poi se ne andò e richiuse la porta con un tonfo.

Oberst sedette a un’estremità della panca e Tibbs, calmo, sedette all’altra estremità; il negro si era tolta la giacca, la cravatta e si era arrotolato le maniche; adesso, se ne stava con le dita intrecciate in grembo, in silenzio, senza badare a Oberst; i minuti passavano e nessuno dei due uomini si muoveva. Poi Oberst incominciò ad agitarsi, a muovere nervosamente le mani, poi i piedi. Dopo un po’, parve trovare la voce. — Cosa fate, vestito come un bianco?

Solo allora parve che Tibbs si accorgesse della presenza di Oberst. — Gli abiti, li ho comprati da un bianco — rispose.

Harvey Oberst rivolse l’attenzione al suo compagno, squadrandolo dalla testa ai piedi con mal celata meraviglia. — Siete stato a scuola? — domandò.

Tibbs annuì lentamente. — All’università.Oberst s’impennò. — E vi credete un grand’uomo, eh?Tibbs continuò a guardarsi le mani. — La laurea l’ho presa.Tornò il silenzio fra i due, ma durò solo un momento. — E dov’è

che vi hanno permesso di frequentare l’università?— In California.— Qui se ne fregano dei negri, anche se hanno studiato.

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Tibbs ignorò il commento. — Chi è Delores Purdy? — domandò.— Niente che vi riguardi — rispose Oberst, chinandosi in avanti.

— È una ragazza bianca.Tibbs si voltò e mise un piede sulla branda, come aveva fatto

Oberst. — O rispondi alle mie domande o corri il rischio di essere impiccato per omicidio — disse.

— Non fare lo sbruffone con me, negro — sogghignò Oberst. — Tu non sei niente e non sarai mai niente. Scuole superiori o università non ti faranno mai diventare bianco, e tu lo sai.

— Non che io desideri essere un bianco — obiettò Tibbs. — Ma bianco o nero non fa molta differenza quando sei appeso all’estremità di una corda. E dopo un po’ che sarai marcito sottoterra, per qualche mese soltanto o magari per un anno, nessuno saprà o si curerà del colore della tua pelle, perché la pelle non l’avrai più. È questo che vuoi?

Oberst tirò il ginocchio ancor più vicino al petto e lo strinse con tutte e due le braccia, come per difenderlo. — Chi diavolo credete di essere! — esclamò. Ma nella sua voce si poteva notare la paura che l’arroganza cercava invano di sostituire.

— Sono un poliziotto. Voglio prendere chi ha ucciso l’uomo che hai derubato. Che tu lo creda o no, è così. E si dà anche il caso che io sia l’unico, qui, a credere nella tua innocenza per quanto riguarda l’omicidio. Perciò, è meglio per te se mi aiuti, perché io sono la tua unica speranza di salvezza.

— Voi non siete un poliziotto! — esclamò Oberst, dopo una pausa.

Tibbs si mise una mano in tasca e ne trasse un cartoncino bianco in una busta di plastica. — Sono un ispettore della polizia di Pasadena. O investigatore, se ti piace di più. Sono stato assegnato alla polizia di Wells per scoprire l’assassino di Mantoli... si chiama così l’uomo che hai visto sulla strada questa mattina. E adesso basta con le chiacchiere; o vai d’accordo con me o ti fai processare per assassinio.

Oberst se ne stette zitto.Tibbs attese un buon minuto. — Chi è Delores Purdy? — ripeté.Oberst si decise. — È una ragazza che abita vicino a casa mia.

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— Quanti anni ha?— Sedici. Quasi diciassette.— Lo sai come le chiamiamo noi, in California, quelle come lei?

— domandò Tibbs. — Fornitrici delle patrie galere.Oberst reagì prontamente. — Io mi sono cacciato nei guai con lei,

ma non così.— Cos’è successo fra voi due?Oberst tacque.— Posso andare a vedere la tua scheda segnaletica — disse Tibbs.

— Ma preferisco sentirlo da te.Oberst si rassegnò alla sconfitta. — Questa Delores è giovane, ma

è proprio un gran bel pezzo di figliola, se mi capite; una di quelle che fanno venire il sangue caldo.

— Ce n’è un’infinità come quelle — commentò Tibbs.— Già, ma questa Delores è proprio fiera di quello che madre

natura le ha dato e le piace metterlo in mostra. Avevo un appuntamento con lei e l’ho portata a Clarke’s Pond. Non avevamo intenzione di far niente di male.

Tibbs annuì.— Ad ogni modo, lei mi domanda cosa ne penso del suo corpo, se

non mi pare bello e, quando io rispondo di sì, lei decide di farmelo vedere.

— E fu proprio un’idea sua?— Proprio come avete detto voi, un’idea sua.Io non l’ho toccata, niente di tutto questo. Soltanto, non gliel’ho

impedito.— Non ci sarebbero molte persone capaci di rimproverartelo. Ma

era pericoloso.— Forse. Ad ogni modo, quando lei si è spogliata per metà un

poliziotto è uscito da un cespuglio e mi ha portato dentro.— E la ragazza?— Lei, l’hanno mandata a casa.— E dopo cos’è accaduto?— Dopo un po’, m’hanno lasciato andare, e mi hanno detto di non

farmi più vedere in giro con quella ragazza.— E da quella volta, non l’hai più vista?

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— Sicuro! Abita nella Terza Strada, all’angolo di Polk! Io abito a mezzo isolato da casa sua e la vedo sempre. Lei vuole un altro appuntamento.

— E c’è stato soltanto questo fra voi?— Non c’è proprio stato nient’altro, e adesso aiutatemi.Tibbs si alzò, afferrò le sbarre della cella e tirò, come per

sgranchirsi le braccia, poi tornò indietro e sedette ancora.— Ti radi ogni mattina? — domandò.Sorpreso, Oberst si passò una mano sul volto. — Be’, sì. Non l’ho

fatto questa mattina perché sono stato alzato tutta la notte.— E come mai?— Sono andato a Canville, per vedere un ragazzo che conosco.

Ci... siamo incontrati un paio di volte.— Così, sei tornato qui che era molto tardi?— Erano circa le due, forse anche più. È stato allora che ho

trovato quell’uomo in mezzo alla strada.— E cos’hai fatto, esattamente? Non dirmi quello che credi possa

farmi piacere, ma ciò che hai fatto.— Be’, quel tale era disteso con la faccia a terra.Io mi sono fermato per vedere se potevo aiutarlo ma era morto.— E come facevi a esserne sicuro?— Be’, l’ho capito e basta.— Continua.— Ho visto il suo portafoglio sulla strada, a un paio di metri da

lui.Virgil si chinò in avanti avvicinandosi al ragazzo.— Questo è molto importante — sottolineò. — A me non importa

se tu l’hai trovato in mezzo alla strada o gliel’hai tolto di tasca; non fa nessuna differenza per me. Ma sei proprio sicuro di averlo trovato nella strada accanto al cadavere?

— Posso giurarlo — rispose Oberst.— D’accordo — concesse Tibbs. — E dopo? Cos’è accaduto?— L’ho raccolto e ho subito guardato dentro. C’era un mucchio di

soldi. Ho pensato che lui non avrebbe potuto più spenderli, e che se l’avessi lasciato dov’era, l’avrebbe preso il primo che passava.

— Forse hai ragione — riconobbe Tibbs. — Adesso sentiamo,

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come hanno fatto a prenderti col portafoglio addosso?Be’, ho incominciato a preoccuparmi perché c’era di mezzo un

morto. Se qualcuno mi avesse trovato con addosso quel portafoglio, sarei stato in un bel guaio. Così, sono andato a trovare il signor Jennings; lo conosco perché lavoro per lui nei giorni di festa, e gli ho raccontato tutto. Lui ha detto che bisognava riferire ogni cosa alla polizia, l’ha chiamata, e così sono finito qui dentro, ecco, e adesso non so cosa mi capiterà.

Tibbs si alzò in piedi. — Lascia fare a me — gli suggerì. — Se quello che hai detto è vero, non preoccuparti. — Poi chiamò forte per farsi sentire da Arnold, e attese che quest’ultimo venisse ad aprire.

Poco dopo Tibbs andò all’ufficio meteorologico e consultò i bollettini delle precipitazioni dell’ultimo mese.

Bill Gillespie sollevò il capo, per guardare il suo nuovo assistente californiano che era apparso sulla soglia. Non se la sentiva di vedere Virgil, non aveva voglia di veder nessuno. Avrebbe voluto andarsene a casa, lavarsi, mangiare qualcosa e poi andare a letto; era sera ormai, e lui era in piedi dalle prime ore del mattino.

— Be’? Cosa c’è? — domandò.Tibbs fece alcuni passi nell’ufficio e rimase in piedi.— Dato che mi avete incaricato delle indagini sul caso Mantoli,

signor Gillespie, vorrei pregarvi di far rilasciare quell’Harvey Oberst immediatamente.

— E perché? — domandò ancora Gillespie, con aria di sfida.— Non è lui il colpevole del delitto, e ho più ragioni di quante ne

abbia dette questa mattina per crederlo. Dal punto di vista legale, potete trattenerlo per il furto del portafoglio, ma ho interrogato il signor Jennings, alla banca, e lui ha confermato la dichiarazione di Oberst, e cioè che aveva consegnato a lui il portafoglio per la restituzione, o almeno, che ha chiesto il suo consiglio. Con la testimonianza di un cittadino incensurato, non riuscireste mai a sostenere l’accusa contro Oberst.

Gillespie fece un gesto con una mano per far capire che lui non si assumeva responsabilità. — Sta bene. Lasciatelo andare. La responsabilità è vostra. A me pareva sospetto, e per buoni motivi.

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— Io non cerco un individuo sospetto — ribatté Tibbs. — Cerco il colpevole. Oberst, ne sono sicuro, non è il nostro uomo. Grazie, signore.

Mentre Tibbs se ne andava, Gillespie osservava, soddisfatto, che il negro aveva capito che doveva chiamarlo “signore”. Alzatosi, gettò un’occhiata alle carte sparse sulla scrivania, poi si strinse nelle spalle e uscì nel corridoio. La responsabilità era di Tibbs e, qualunque cosa accadesse, lui, Gillespie, aveva le spalle sufficientemente coperte.

Pochi minuti dopo la mezzanotte, Sam saliva sull’auto di pattuglia. Controllato l’indicatore della benzina, per vedere se avevano fatto il pieno, uscì dal parcheggio del Comando. Davanti a sé aveva otto ore di solitudine, nella città che ben presto sarebbe sprofondata nel sonno. Ma quella notte, tutto era diverso. Da qualche parte, forse nella città stessa, c’era un assassino; un omicida per il quale la vita umana non aveva importanza.

Quella notte, decise Sam, imboccando la strada che portava verso ponente per incominciare il suo solito giro, avrebbe tenuto gli occhi e le orecchie bene aperti come mai aveva fatto prima. Poi lasciò che la sua immaginazione prendesse a galoppare, immaginandosi di prendere in trappola l’assassino e di trovare prove tali contro di lui, da non lasciare adito al minimo dubbio, quando lo avesse trascinato al Comando di polizia.

Ma le cose non sarebbero andate così, si disse Sam, subito dopo. Tutto sembrava favorire l’omicida. Poteva nascondersi dove voleva, sconosciuto, ignorato, e poteva colpire di nuovo, dove e quando avesse voluto. Forse, il criminale sconosciuto pensava che lui sapesse troppo e, in questo caso, si sarebbe messo sulle sue tracce, quella notte stessa. Sam allungò la mano, con prudenza e, per la prima volta da quando aveva indossato quell’uniforme, slacciò la fondina della pistola.

Quelle otto ore sarebbero state lunghe.Procedendo nella direzione intrapresa, Sam ebbe un’idea

improvvisa. Metterla in pratica avrebbe potuto essere pericoloso e in ogni modo sarebbe stata un’iniziativa in contrasto con gli ordini ricevuti, forse anche in contrasto col suo dovere; ma, a dispetto di

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queste obiezioni, Sam comprese che avrebbe seguito il suo impulso. Voltò a un incrocio e prese la strada che portava alla casa degli Endicott.

Quando la macchina toccò il fondo ghiaioso, Sam era deciso e sentiva una gran calma dentro di sé. Mantoli era morto, e nessuno sapeva perché. Qualunque fosse stato il motivo che aveva condotto alla sua morte, quel motivo avrebbe potuto rivelarsi fatale anche per la figlia. Sam ripensò alla ragazza che era stata seduta accanto a lui quella mattina, con gli occhi fissi alle montagne, e quasi desiderò, in cuor suo, che l’assassino ci si provasse... ma non prima che lui, Sam, fosse lì, pronto a difenderla.

Man mano che la strada saliva, pareva che l’aria si facesse più fresca e più pulita. Sam accese gli abbaglianti e abbordò le curve con l’usata perizia.

Fu un bagliore appena percettibile, contro il palo bianco di una staccionata, che gli disse, prima ancora di vedere le luci, come un’altra macchina venisse in direzione opposta alla sua.

In un punto dove la strada si allargava un poco, Sam fermò, spense le luci e lasciò accesi solo i fanalini di posizione, poi attese, con la torcia elettrica in mano. I fanali della macchina che arrivava gettarono due fasci di luce contro il cielo. D’impulso, Sam accese la luce rossa. L’autista dell’altra macchina tirò i freni e si fermò dall’altra parte della strada e Sam gli puntò in faccia la luce della torcia.

L’altro sollevò le braccia al viso, perché la luce lo abbagliava. Sam riconobbe Eric Kaufmann.

— Cosa fate su questa strada, a quest’ora? — domandò Sam.— Vado ad Atlanta. Perché?Sam avvertì l’ostilità nella voce dell’altro e si sentì urtato.— È questa l’ora in cui voi, normalmente, vi mettete in viaggio

per Atlanta?Kaufmann si sporse parzialmente fuori del finestrino. — E questi

sono, forse, affari vostri? — lo rimbeccò l’altro.Sam scese svelto e andò vicino a Kaufmann, tenendo la mano

destra sul calcio della pistola. — Se per caso ve ne siete dimenticato, in questa città, meno di ventiquattr’ore fa, è stato commesso un

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delitto. Sino a quando non avremo arrestato il colpevole, gli affari di chiunque sono affari nostri, specialmente quando si tratta di lunghi viaggi che s’iniziano dopo la mezzanotte. E adesso, datemi delle spiegazioni.

Kaufmann si sfregò il mento con una mano. — Mi rincresce, agente — si scusò. — Sono sconvolto e voi sapete perché. Sono stato a casa del signor Endicott per discutere del festival sino a pochi minuti fa. Siccome la città ha speso una bella somma per questo spettacolo, abbiamo deciso che deve continuare, malgrado quello che è accaduto al povero Enrico. Se lasciamo che passi un anno, saremo tutti morti... Mi dispiace, non avrei dovuto usare quelle parole. — Kaufmann tacque e fece uno sforzo per concentrarsi. — Ad ogni modo, devo andare ad Atlanta per vedere se trovo un direttore d’orchestra che sia conosciuto e disposto ad accettare. E devo anche occuparmi dell’orchestra. Era tutto fatto, ma la notizia potrebbe aver mandato tutto all’aria.

Sam si rilassò un pochino. — Questo va benissimo. Ma perché mettersi in viaggio a quest’ora? Stando a quello che avete detto a me e a Virgil, questa mattina, ieri notte avete dormito poco. Non potete essere in buone condizioni per guidare.

— Per questo, avete proprio ragione — ammise Kaufmann. — Francamente, parto perché non voglio disturbare. Duena dorme nell’unica stanza che i signori Endicott hanno per gli ospiti, ha bisogno di stare tranquilla e di riposare. La sola cosa giusta che mi restava da fare, era quella di partire, fare un tratto di strada e fermarmi a dormire in un motel, così potrò alzarmi presto e partire per Atlanta. Nessuna obiezione?

Sam comprese che la storia era plausibile e non volle che l’avversione per Kaufmann influisse sul suo contegno. In più, quella strada non era compresa nelle vie che lui doveva pattugliare, e stava trascurando la sua zona. E se l’assassino fosse stato da qualche parte, proprio dove lui non c’era?...

— Come vanno le cose, dagli Endicott? — domandò.— Benissimo. Compatibilmente con quanto è successo,

naturalmente. Siete diretto lassù? Se andaste adesso, li disturbereste e forse si spaventerebbero anche. Preferirei che attendeste, se quello

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che dovete fare non è urgente.Sam fece cenno che poteva andare. — Siate prudente e fermatevi

appena potete. Riposatevi, prima di ripartire, altrimenti potreste finire all’obitorio, a tener compagnia al vostro principale.

Kaufmann rabbrividì, ma non fece commenti. — D’accordo. Seguitemi, se volete, ma lasciateli stare, lassù. Hanno avuto tutto quello che si può sopportare in un giorno solo.

Kaufmann rimise in moto, riportò l’auto in mezzo alla carreggiata e ripartì. Sam attese finché l’altro ebbe un buon vantaggio, poi girò la macchina e lo seguì. Mentre scendeva con la seconda ingranata e usando anche i freni, pensava che, probabilmente, Kaufmann e Duena erano buoni amici; almeno, lui era in una posizione che doveva dargli molta familiarità con la ragazza, e da come erano apparse le cose, pareva che ne avesse quasi il monopolio. Quell’idea lo fece impazzire. Lui l’aveva vista solo una volta, in occasione della morte del padre, ma si sentiva in diritto di interessarsi a lei e di proteggerla.

Il viaggio continuò più confortevole quando la macchina raggiunse la strada asfaltata. In quel momento, Sam tornò col pensiero all’assassino, libero per la città. Le strade erano silenziose e buie ormai, tranne là dove i radi lampioni gettavano la loro luce. Ancora una volta, Sam si ricordò che lui poteva essere la prossima vittima, e il caldo si mischiò a un brivido gelido che pareva covare nella notte, come in attesa.

Qualche tempo prima, Sam aveva letto un libro che descriveva una situazione simile a quella. L’autore usava una parola, per descriverla, una parola che cominciava per “mi” e Sam l’aveva cercata coscienziosamente nel dizionario, per conoscerne il significato. Adesso, gli sfuggiva quella parola, ma non ne aveva dimenticato il senso, e ciò che essa rappresentava, lui lo sentiva nell’aria.

Sam non era un codardo. Deciso a compiere il proprio dovere, fece un giro completo della città. Alla fine, prese la precauzione di parcheggiare in un posto diverso dal solito, per scrivere il suo rapporto; non voleva tentare il destino, fermandosi davanti alla farmacia di Simon, come faceva sempre; chiunque avesse conosciuto

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le sue abitudini, avrebbe potuto tendergli un agguato, in quel posto. Quando ebbe finito di scrivere, ripose il blocco dei moduli e, per un attimo, si sentì come se gli stessero puntando un’arma alla nuca; avviò la macchina e partì in fretta, guidando poi a una velocità del tutto inusitata per lui, diretto al suo solito rifugio, dove le luci gli avrebbero dato un senso di sicurezza.

Quando ebbe bevuto la sua birra e divorato un pezzo di torta al limone, tornò all’auto e alla città che lui aveva il dovere di proteggere. La sensazione di essere spiato, seguito in silenzio, lo abbandonò solo quando le prime luci vennero a illuminare il cielo. Alle otto del mattino, riportò l’auto, guidando con la solita calma, nel cortile della sede. La paga se l’era guadagnata, quella notte.

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7

Gillespie aspettava con impazienza che gli dessero la comunicazione interurbana. In casi ordinari, avrebbe dato a un altro l’incarico di quel controllo, ma aveva le sue buone ragioni per farlo di persona. Naturalmente, aveva sempre Virgil Tibbs sul quale scaricare ogni responsabilità, in caso di insuccesso; ma Gillespie non voleva solo fare lo scaricabarili: voleva esser lui a prendere l’assassino.

Fu il segretario dell’albergo che rispose.— Un certo Eric Kaufmann alloggia da voi? — domandò

Gillespie.— Sì, signore. È nostro ospite.— Vi hanno già detto chi sono. Adesso ditemi tutto quello che

sapete sui movimenti di Kaufmann, l’altro ieri notte. Quando ha preso alloggio da voi quando è rientrato e così via. Voglio tutti i dettagli che potete darmi. Aspettate un minuto.

Gillespie afferrò un blocchetto per appunti e incominciò a scrivere “Kaufmann” in mezzo al primo foglio, ma si fermò in tempo: qualcuno avrebbe potuto trovare il foglio; era stata sua l’idea di controllare l’alibi di Kaufmann e lui non voleva che altri potessero approfittare del suo lavoro.

— Va bene. Vuotate il sacco.— Il signor Kaufmann è arrivato nel nostro albergo quattro giorni

fa. Ha preso una camera con bagno, una delle meno care. L’altro ieri notte è tornato dopo la mezzanotte, anzi, verso le due, per essere più esatti. Il portiere che era di servizio notturno ammette di non poter rammentare esattamente l’ora, perché si era appisolato, ma crede che fossero circa le due. Ricorda che il signor Kaufmann accennò di aver mangiato qualcosa prima di rientrare, ed era preoccupato perché temeva che la torta di ciliegie fosse pesante, a quell’ora.

Gillespie lo interruppe. — Come fate ad avere tutte queste belle

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informazioni così pronte? Vi aspettavate la mia chiamata?— No, signore. Per dire la verità, ho parlato col portiere che era di

servizio l’altra notte, su richiesta di uno dei vostri uomini, Tibbs, mi pare che si chiami.

Gillespie brontolò qualcosa nel telefono. — Uh... Be’, grazie. E non parlate a nessuno di questa telefonata, naturalmente.

— Ma certo che no, signore. Anche il signor Tibbs ci aveva avvertito di tacere, ma anche se non l’avesse fatto, sappiamo come comportarci in questi casi. Vi auguro di trovare il vostro uomo. Sono certo che voi ci riuscirete.

— Grazie — concluse Gillespie, e riappese.Mentre si sdraiava contro lo schienale della poltrona, Gillespie si

consolava pensando che non aveva motivo di rancore contro Tibbs, che il negro l’aveva avuto da lui l’ordine di indagare su quel delitto, e che guai a lui se non avesse eseguito i suoi ordini. Ad ogni modo, Kaufmann era fuori da ogni sospetto.

In quel momento, Arnold mise la testa nel vano della porta. — Capo, Ralph, il cameriere che fa il turno di notte al ristorante, ha telefonato proprio adesso. Si è fermato per far colazione prima di tornare a casa. Dice che nel locale c’è un uomo appena arrivato dalla città e che, secondo lui, dovrebbe sapere qualcosa del delitto.

— Può descriverci la macchina? — scattò Gillespie.— Una Pontiac rosa, di quest’anno. Targa della California.— Andate a prenderlo — ordinò Gillespie. — Chiedetegli

gentilmente di venire da me per un breve colloquio. E portate qui anche Ralph, più presto che potete.

Gillespie tornò ad appoggiarsi allo schienale. Non che ci si potesse fidare troppo di Ralph, ma qualcosa, questa volta, doveva pur esserci. L’intelligenza del cameriere era limitata, ma a volte aveva qualche sprazzo, come l’istinto che ha un animale nei confronti dei suoi nemici. E per Ralph, ogni cosa suscettibile di alterare lo statu quo era nemica, tanto che non ci sarebbe stato da meravigliarsi se avesse fermato anche qualche macchina di passaggio per chiedere aiuto contro avvenimenti che esistevano solo nella sua fantasia. Ma Gillespie sentiva la tensione nervosa aumentare per l’orgasmo messogli addosso da quel mistero; se n’era già accorto, e si era

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imposto un maggior autocontrollo, almeno finché il caso non fosse stato risolto. Era un novellino in quel lavoro, e uno sbaglio avrebbe potuto rovinargli la carriera; lui era ben certo che, se non si fosse controllato, uno sbaglio lo avrebbe commesso.

Tibbs apparve in quel momento ed entrò. Gillespie non avrebbe voluto vederlo, specialmente in quel momento. Per la verità, lui non avrebbe voluto vederlo mai, ma sapeva riconoscere la necessità quando questa gli si presentava. — Buongiorno, Virgil — disse svogliatamente. — Avete fatto progressi nelle indagini?

Tibbs annuì. — Sì. Credo di sì.Gillespie fischiò, ma ci credeva poco. — Ditemi tutto — ordinò.— Sarò ben lieto di farlo, appena sarò pronto, signor Gillespie.

Quello che ho appurato sin qui, non è così sicuro che valga la pena di parlarvene. Appena sarò sicuro, vi farò un rapporto completo.

“Si è arenato”, pensò Gillespie. “Non vuole ammetterlo, ma è a un punto morto.”

Lasciò correre. Arnold comparve ancora. — Capo, c’è il signor Gottschalk.

— E chi è?— Il signore della Pontiac rosa.— Ah! Fatelo accomodare.Gottschalk apparve sulla soglia prima che Tibbs avesse avuto il

tempo di uscire. Era un uomo di mezza età, corpulento, coi capelli tagliati corti e l’aria decisa. — Sono nei guai? — domandò bruscamente.

Gillespie gli indicò una sedia. — Non credo, signor Gottschalk. Sarei lieto però se poteste dedicarmi qualche minuto del vostro tempo. C’è stato un delitto qui, l’altra notte, e noi abbiamo pensato che voi, forse, potete gettare un po’ di luce su questo fattaccio.

Tibbs, che si era allontanato un poco, udite quelle parole tornò sui suoi passi e sedette. Gillespie lo notò, ma non fece commenti.

— Il vostro nome è Gottschalk, non è vero? — domandò Gillespie, con tutta l’aria di attendersi altri dati.

Gottschalk mise una mano in tasca, ne tolse il portafoglio e diede a Gillespie un biglietto da visita.

— Posso averne uno? — domandò Tibbs.

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— Ma sicuro. — Gottschalk glielo diede. — Voi siete... ehm... della polizia?

— Mi chiamo Virgil Tibbs e sto indagando sul delitto di cui parla il signor Gillespie.

— Scusatemi, non ci avevo pensato. — Gottschalk gli tese la mano. I due uomini se la strinsero restando seduti e, dopo, Tibbs rimase in silenzio, aspettando che Gillespie continuasse.

Arnold riapparve ancora nel vano della porta. — C’è qui Ralph — disse semplicemente.

Gillespie esitò, fece per alzarsi e uscire incontro al cameriere; ma Ralph apparve sulla soglia, guardò Gottschalk, gli puntò un dito contro e gridò in tono drammatico: — È lui!

Gillespie tornò a sedersi. Gottschalk allungò il collo per guardare Ralph; era confuso e lo si vedeva. Arnold rimase sulla soglia, come se non sapesse cosa fare.

— Cos’hai da dirmi di questo signore, Ralph? — domandò Gillespie.

Il barista sospirò profondamente. — Be’, io mi ero dimenticato tutto fino a quando non è tornato, ma questo signore, sì, proprio lui, era nel ristorante la notte del delitto, circa tre quarti d’ora prima che entrasse il signor Wood.

— Io non ci capisco niente — brontolò Gottschalk.— Prima che lui entrasse, io stavo pulendo i vetri della porta sulla

strada — continuò Ralph. — Dunque, se fosse passata qualche altra macchina, l’avrei vista. Non ne sono passate altre, tranne la sua.

— E hai notato da che direzione veniva? — domandò Gillespie.— Già. Andava verso sud.— Continua.— Be’, io l’ho saputo dopo che Sam... voglio dire il signor Wood,

aveva trovato in mezzo all’autostrada il cadavere di quell’italiano. Dopo questo individuo, non è passata nessun’altra macchina, sino a quando il signor Wood ha trovato il cadavere. — Ralph tacque e inghiottì. — Così, io ho pensato che fosse stato lui.

Gottschalk balzò dalla sedia con un’agilità straordinaria per un uomo della sua mole, poi tornò lentamente a sedersi.

Bill Gillespie ebbe un’ispirazione. — È tutto vostro, Virgil —

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disse, accomodandosi meglio in poltrona. L’idea di aver a disposizione quella specie di tirapiedi, su cui scaricare tutto il biasimo in caso di sconfitta, e al quale non dare nessun merito in caso di successo, incominciava a sorridergli. E anche se gli dispiaceva ammetterlo, era sicuro che Tibbs aveva qualcosa in pentola; cosa, non avrebbe potuto dire, ma aveva il sospetto che Tibbs fosse migliore di tutti i componenti della polizia locale, incluso lui stesso. Gillespie si sentiva come un allievo pilota che sa volare, ma che si trova all’improvviso in una situazione della quale nessuno gli ha fatto parola e vorrebbe che l’istruttore prendesse i comandi, liberandolo da ogni responsabilità. E Gillespie non aveva mai avuto un istruttore sul quale poter contare, il che peggiorava un pochino le cose.

— Vedo dal vostro biglietto che siete ingegnere collaudatore, signor Gottschalk — incominciò Virgil Tibbs.

— Proprio così — confermò l’interpellato, con un tono di voce ragionevole. — Abbiamo molto lavoro, giù alla base di lancio. Ero diretto là, quando sono passato di qui.

— Per essere presente al lancio di ieri?— Sì. Proprio per quello, signor Tibbs.— Cos’è questa base di lancio? — intervenne Gillespie.— Capo Kennedy.— Oh, già. — Gillespie accennò a Tibbs, perché continuasse, poi

guardò Ralph. Il ragazzo se ne stava con la bocca per metà aperta, come colpito dalla scoperta che l’uomo contro il quale aveva levato il dito accusatore era uno di quelli che avevano parte negli avvenimenti spettacolari di cui aveva letto sui giornali.

— Dopo la sosta al ristorante, signor Gottschalk, avete continuato il vostro viaggio, verso sud?

— Sì. Non sono mai uscito dall’autostrada e non mi sono fermato più sino al momento di far benzina, a duecentocinquanta chilometri da qui.

— Qual è la vostra sigla di riconoscimento, signor Gottschalk? — domandò Tibbs.

— Segreto, e Q.— Dunque, siete stato addetto o lo siete alle ricerche nucleari.

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— Sì, è esatto. La nostra ditta ha diversi contratti in questo campo.— Per chiarire un particolare, posso chiedervi perché viaggiavate

in auto, quando avreste potuto arrivare in poco tempo con un aereo, oppure avreste potuto prendere il treno?

— È una domanda comprensibile, signor Tibbs. Ho preso la macchina perché speravo di avere con me mia moglie per una vacanza di una settimana a Key West, dopo il lancio, se tutto fosse andato bene. Posso dirvi solo che, dopo il lancio, si è reso necessario il mio ritorno in sede, ed ecco perché sono qui.

— In altre parole, avete fatto il viaggio in auto perché speravate che la signora Gottschalk potesse venire in vacanza con voi?

— Esattamente.— E che ragioni avevate per guidare a quell’ora della notte?— Il caldo. Nella mia macchina, non ho l’aria condizionata,

perciò ho deciso di viaggiare di notte, almeno sino a quando avessi potuto, compatibilmente con la sicurezza.

— Adesso, l’ultima cosa che debbo chiedervi, signor Gottschalk, è questa: avete visto niente di anormale, passando per Wells? lo presumo che non abbiate visto un uomo disteso in mezzo alla strada, altrimenti vi sareste fermato. Ma avete notato niente altro che possa esserci utile? Qualche pedone? Qualche segno di attività insolita?

Gottschalk scosse il capo. — Non sto cercando di nascondervi qualcosa, per evitare di dover poi testimoniare, ma proprio non ho visto niente di anormale. A dir la verità, se volete scusare la parola, la città pareva addirittura morta, a quell’ora.

Tibbs si alzò. — Ci siete stato molto utile, signor Gottschalk, e vi siamo grati per averci dedicato parte del vostro tempo.

Gottschalk si alzò. — Volete dire che sono libero di andarmene?— Ma certo. In effetti, voi siete sempre stato libero di andarvene,

quando lo aveste voluto, e non eravate obbligato a restare qui. Spero ve l’abbiano detto, che questa è stata solo una richiesta di informazioni.

— Veramente — disse Gottschalk — questa non è stata la mia impressione. Pensavo di essere incappato in qualcuna di quelle trappole di limite di velocità, o di quelle ordinanze locali fatte per imbrogliare la gente, di cui si sente tanto parlare. Mi aspettavo

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proprio di dover pagare una multa.— Il signor Gillespie e gli altri responsabili di questa città non

fanno di queste cose. Lasciate che dica, ufficialmente, che voi non siete affatto sospettato.

— È un sollievo. Vorrei che tutti i poliziotti fossero come voi. E se posso dire questo senza offendere, sono lieto di vedere che la democrazia è arrivata anche nel Sud, non solo politicamente. Arrivederci, signori.

Quando tutti se ne furono andati, Gillespie accennò a Tibbs di rimanere, ma non lo fece sedere. Dopo aver rigirato per qualche tempo una matita fra le mani, disse:

— Virgil, io vi ho lasciato continuare l’interrogatorio, perché vi ho affidato le indagini su questo caso. Ma vi pare che sia stato giusto dire a quel signore che non è sospettato? Lui lavora per una Compagnia molto importante. Se poi saltasse fuori che la sa più lunga di quello che ha ammesso con noi, come verreste a trovarvi, voi? — Gillespie si aggiustò meglio nella poltrona. — Considerate anche questo, se non l’avete già fatto: quell’uomo è passato di qui, diretto a sud, ed è passato proprio dove Sam, poco dopo, ha trovato il corpo di Mantoli. Voglio dire, il signor Wood — si corresse poi. — E nessun’altra macchina è più passata, nel frattempo, in nessuno dei due sensi. Certo, non ha l’aria del colpevole, ma è stato sulla scena del delitto e nell’ora in cui esso è stato perpetrato. Ricorderete cosa ha detto il dottore, a proposito dell’ora della morte di Mantoli; l’ha fissata circa all’ora in cui il vostro amico Gottschalk passava di lì. E voi dite che è esente da ogni sospetto!

Se anche Tibbs era contrariato, non lo diede a vedere. — Tutte queste sono ottime osservazioni, più che ragionevoli, signor Gillespie, e io sarei completamente d’accordo con voi, se non ci fosse però un particolare.

— E quale sarebbe, Virgil?— Il fatto che Mantoli non è stato ucciso nel luogo dove è stato

trovato.

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8

Alle quattro di quel pomeriggio Sam tornò al Comando per vedere cosa bolliva in pentola; colse a volo un’occhiata di Pete, che era di servizio diurno. Con quell’occhiata, Pete voleva fargli capire che aveva novità per lui e Sam s’incamminò verso la toeletta, dove l’altro lo raggiunse poco dopo.

— Il tuo amico Virgil ha messo nel sacco Gillespie, questa mattina.

Sam si chinò a guardare se tutti i cubicoli erano deserti. — Spiegati meglio — disse.

— Per quello che ho potuto sapere io, Gillespie aveva scovato un nuovo sospetto e Virgil gliel’ha buttato nel cestino.

— Un altro sospetto! — esclamò Sam.— Già. Uno che è passato da Wells la notte del delitto. Ralph, il

ragazzo del ristorante, ha riferito di averlo visto e il Capo l’ha fatto condurre qui. Poi l’ha affidato a Virgil perché lo interrogasse, e Virgil, dopo avergli rivolto qualche domanda, l’ha lasciato andare.

— E Gillespie gliel’ha fatta passare liscia?— Proprio così. Virgil e Gillespie hanno scambiato quattro

chiacchiere, dopo...— Lo credo bene!— No, tu non capisci... Era proprio una conversazione

amichevole. Virgil ha detto qualcosa a Gillespie e, quando Arnold è passato davanti alla porta, c’era il Capo che ascoltava, umile come un agnello, e Virgil che gli spiegava. Arnold non ha potuto capire, ma doveva trattarsi di qualcosa di bello...

— Forse si potrebbe chiedere a Virgil se ci sono delle novità. Chiedergli se c’è stato qualche sviluppo nelle indagini; mostrare interesse per il suo lavoro.

— Virgil è stato fuori tutto il giorno; ha preso il suo macinino e se n’è andato. Nessuno sa dove sia.

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— Forse si sarà sentito solo ed è andato a trovare qualche ragazza negra disposta a fare quattro salti con lui. — Sam provò vergogna di se stesso appena ebbe pronunciato quelle parole e desiderò non averle pronunciate.

— Non so — fece Pete, pensieroso. — È molto in gamba per essere un negro. Scommetterei che sta lavorando al caso Mantoli anche in questo momento.

Sam fece ammenda, e fu ben lieto dell’occasione che gli si offriva. — Stavo scherzando. Virgil è in gamba, e non mi sorprenderei se venisse a capo di questo mistero.

— Se ci riuscisse, Gillespie si prenderebbe lui tutto il merito.— Be’, ad ogni modo, non è uno sciocco.— È il negro più in gamba che io abbia mai visto — concluse

Pete, aggiungendo poi un eccezionale tributo alle capacità di Tibbs: — Dovrebbe essere un bianco.

Sam annuì, convinto.

A dispetto del caldo, e benché nell’intimità della sua casa, il reverendo Amos Whiteburn indossava la nera tonaca sacerdotale. Il salottino era povero e triste, i mobili che l’arredavano vecchi di decenni, i tappeti logori e le tendine fruste e lise. Malgrado tutto, la piccola sala era pulita e presentabile.

— Da quando sono a capo di questa comunità, è la prima volta che la polizia si consulta con me. Lo ritengo un onore — diceva il reverendo, con una voce da basso che aveva in sé un tono di comando.

— Forse — suggerì Tibbs — la vostra guida spirituale ha fatto sì che non ce ne fosse mai bisogno.

— Siete molto gentile, signor Tibbs, ma temo proprio che sia dovuto a ben altre ragioni. Avete trascorso molto tempo nel Sud?

— Non più dello stretto indispensabile — ammise Tibbs. — Mia madre vive qui. Ho cercato di persuaderla a venire con me, in California, dove potrei darle una casa più confortevole, ma lei è vecchia, e ha altri figli sulla costa dell’Atlantico.

— Capisco — disse il reverendo, con una voce che quasi rimbombò nella piccola stanza. — Per alcuni dei nostri, che sono

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sempre vissuti qui, la scossa prodotta da un ambiente con opinioni diverse sarebbe considerevole.

Tibbs continuò: — Un uomo è stato ucciso, qui a Wells, due notti fa. Certo ne avrete saputo qualcosa. Io sto indagando su quel delitto... ne ho l’autorizzazione ufficiale. Per ora, vorrei scoprire due cose: dove è stato commesso il delitto, e l’arma usata.

Il prete si agitò sulla sedia tanto che questa parve sul punto di cedere sotto il suo peso. — Credevo fosse morto per la strada.

— No — rispose Tibbs.Il prete si passò una mano sulla mascella massiccia. — Potete

rivelare altri particolari? — domandò.— Sono venuto qui per interrogarvi ufficialmente. Quanto diremo

non dev’essere rivelato a nessuno.— Non lo sarà — dichiarò con gravità il reverendo.— Il maestro Mantoli è stato ucciso altrove, nei sobborghi o in

questa zona.Il reverendo Whiteburn mutò posizione sulla sedia.— E come avete fatto ad appurarlo?— Esaminando il corpo, e con qualche deduzione logica. Ecco

tutto.Whiteburn esitò, poi domandò cautamente: — Signor Tibbs, c’è

nessuno dei nostri che sia sospettato, direttamente o indirettamente, in questa faccenda?

Tibbs rispose con uguale cautela: — Per quanto ne so io, nessuno ha pensato che l’assassino sia necessariamente un negro.

— Questo — disse il reverendo — è già un piccolo miracolo. Ma io vi ho interrotto. Continuate, vi prego.

Tibbs prima di continuare studiò il prete, che somigliava a un peso massimo ritiratosi dal ring. — Mantoli è stato ucciso con un pezzo di legno grezzo; un pezzo di pino, credo, ma lo saprò con certezza soltanto quando riceverò i risultati delle analisi dal Laboratorio Forestale, al quale ho mandato una scheggia di legno che ho prelevato dal cadavere. Voglio trovare quel pezzo di legno, ma cercar di farlo da solo sarebbe una pazzia. Sono venuto da voi perché ho saputo che vi date molto da fare con le organizzazioni giovanili.

Il reverendo corrugò la fronte, pensieroso, poi unì le dita e dopo

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alcuni minuti disse: — Se è stato usato come una clava, non dev’essere molto grosso. Dovrebbe essere anche piuttosto corto.

— Pressappoco. Circa un mezzo metro.— Uhm! Lo si direbbe un pezzo di legno da ardere. — Il prete

tacque di nuovo e Tibbs attese pazientemente. Il vecchio parlò ancora, dopo parecchi secondi di riflessione. — Vedete... signor Tibbs, io posso fare così: dirò a tutti i giovani che fanno parte del nostro circolo, ragazzi e ragazze dai dieci ai quindici anni, che voglio fare provvista di legna da ardere per la parrocchia. Dirò loro di andare in cerca di legna e darò loro le dimensioni, ma insisterò che non accettino niente in dono, da nessuno, nemmeno se viene offerto spontaneamente. Insomma, cercherò di rendere questa ricerca una specie di gara. E man mano che porteranno la legna, e ne porteranno in abbondanza, io cercherò di trovare quello che voi state cercando, ammesso che sia possibile riconoscerlo.

— Dovrebbe avere del sangue raggrumato, scuro, a una estremità. Non sembrerà nemmeno sangue, almeno ai ragazzi.

Il reverendo Whiteburn considerava chiusa la discussione. — Bene! Ci metteremo subito all’opera. Non posso promettere nulla, naturalmente, ma racimoleremo buona parte della legna abbandonata di tutta la zona. E i ragazzi non sapranno mai i reali motivi di questa ricerca.

— Ci vorrebbe un prete come voi, in California — osservò Tibbs, ammirato.

— Hanno bisogno di me, qui — replicò semplicemente il reverendo.

Bill Gillespie afferrò il ricevitore del telefono che squillava. — Sì! — gridò.

— Bill, se hai qualche minuto libero, vorrei che tu facessi una scappata nel mio ufficio. Ci sono parecchi consiglieri, e dovresti venire anche tu.

Gillespie riconobbe la voce del sindaco. — Vengo subito, Frank — rispose; riappese e uscì subito. Passando nell’entrata, guardò intensamente il piantone e fu soddisfatto di notare nei suoi occhi un’ombra di paura quando si voltò a guardarlo di nuovo. Poi, uscì nel

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sole, soddisfatto e sicuro di sé, pensando che, qualunque cosa il sindaco avesse in mente, lui non avrebbe avuto difficoltà a tenergli testa.

Ma non fu tanto facile. Schubert lo ricevette e, indicandogli i tre uomini che stavano aspettando, glieli presentò: — Tu conosci già il signor Dennis, il signor Shubie e il signor Watkins, Bill.

— Sicuro. Buonasera, signori. — Gillespie sedette con l’aria di un alto ufficiale di polizia chiamato per una testimonianza. Almeno, quello era l’effetto che voleva ottenere; e cercava anche di mantenersi calmo e cortese, perché i quattro uomini presenti disponevano di voti sufficienti per fargli perdere il posto. — Bill, gli amici qui presenti mi hanno pregato di chiamarti per discutere del caso Mantoli. È naturale che tutti quanti noi siamo preoccupati per questo increscioso incidente.

Watkins interruppe il sindaco. — Venendo al sodo, signor Gillespie, noi vogliamo sapere cosa si sta facendo per questo caso e cosa sta accadendo.

— Non è la stessa cosa? — obiettò Gillespie.— Intendo dire che vogliamo sapere cosa si fa per scoprire

l’assassino, e cosa sono queste voci, secondo cui voi avreste un poliziotto negro al Comando di polizia.

Gillespie s’irrigidì. — Risponderò alle vostre domande cominciando dall’ultima, signor Watkins. Uno dei nostri uomini ha agito con precipitazione e ha arrestato un giovane negro trovato alla stazione. Aveva con sé una grossa somma di denaro e così il nostro agente lo ha portato dentro.

— Ha fatto bene — commentò Watkins.— Quando io l’ho interrogato, il negro ha detto che era un

poliziotto, della polizia californiana. Io ho controllato, naturalmente. Ed era proprio così.

— Questa non è la California — insinuò Shubie.— Lo so — scattò Gillespie, controllandosi subito. — Scusatemi,

ma il solo pensiero di quel negro mi fa andare in bestia. — Poi guardò Shubie, e vide che la scusa addotta era stata sufficiente. — A ogni modo ci si mise di mezzo George Endicott. Io non intendo apparire scortese nei riguardi di un consigliere, ma non credo che il

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signor Endicott sappia come dirigere un reparto di polizia. Comunque sia, il signor Endicott seppe dal capo della polizia californiana che questo ragazzo negro è un esperto in casi di omicidio. Allora chiese di averlo in prestito, perché potessimo servircene in questo caso.

— Ma è un negro! — esclamò Watkins.— E non è tutto — riprese Gillespie. — Senza voler fare lo

scaricabarili, il signor Schubert qui presente mi disse di accettare, e lui è il capo; io faccio quello che dice lui.

— Be’, io non sono soddisfatto — ribatté Watkins, alzandosi a metà. — Non voglio un sacco di carbone in giro per questa città, a interrogare i bianchi, come se credesse di essere chissà chi. Voleva parlare al mio cameriere che fa la notte, Ralph, al ristorante; ma Ralph non voleva farlo entrare. E quello si è messo al banco, comportandosi come se fosse stato un bianco. Alcuni ragazzi si preparano a insegnargli qual è il suo posto, e lo faranno anche, se non lo leverete di torno.

Gillespie guardò il sindaco e aspettò che rispondesse a quella tirata. Quando vide che tutti fissavano lui, Schubert prese da un cassetto della scrivania un piccolo fascio di ritagli di giornali. — Mantoli non era un personaggio famoso, ma la sua morte ha suscitato rumore. E c’è stato anche più rumore quando un poliziotto negro ha assunto le indagini in questo delitto. Se non avete ancora letto questi articoli, sarebbe bene che lo faceste. Sapete tutti che la stampa si occupa molto di noi, proprio per queste due ragioni. Fin qui, è tutto per il meglio, e noi ne ricaviamo una gran pubblicità per il festival musicale.

— Sciocchezze — sbottò Dennis, che aveva taciuto sino allora.Schubert lo guardò come uno che si sforzi di essere paziente, ma

trovi il compito troppo gravoso. — Luke, lo so che sei sempre stato contrario all’idea del festival, e questo è un tuo diritto. Ma ti piaccia o no, adesso ci siamo dentro fino al collo, e non possiamo più tirarci indietro. Se sarà un fiasco, tu avevi ragione, e nessuno cercherà scuse. Se andrà bene, può darsi che porti un po’ di denaro in questa città, e non farebbe proprio male a nessuno.

— Forse — mormorò Dennis, come per scusarsi.

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Schubert tornò ai ritagli di giornale. — Signori, ho ricevuto una telefonata dal Newsweek proprio pochi minuti prima che voi arrivaste. Volevano un resoconto completo sull’incarico che abbiamo affidato a Tibbs. Se lo pubblicano, questo significa pubblicità su scala nazionale, per noi.

— Ma cosa ne penseranno i nostri concittadini? — domandò Watkins.

— Will, non ha nessuna importanza. Adesso il negro ce lo dobbiamo tenere, finché potremo buttarlo nella spazzatura o finché il nostro Bill avrà scoperto l’assassino. — Si rivolse a Gillespie. — È proprio di questo che ti volevo parlare. Non che io voglia farti fretta, Bill, ma ci caverai alla svelta da questo imbroglio?

Gillespie parlò con voce suadente. — C’è una prassi da seguire in queste cose, una prassi che dà frutti, e noi la stiamo seguendo. Oltre a questo, io sto compiendo altre indagini personalmente. Non intendo dirvi, signori, quando metteremo il nostro uomo sotto chiave, ma vi dirò, in confidenza, che stiamo progredendo. Di più: io tengo Virgil sotto stretta sorveglianza, e se ponesse dei problemi a questa città, lo metterei subito a posto senza tanti complimenti. Lo so che è stato alla banca, ma si è comportato molto rispettosamente e, sin qui, non ha fatto nulla che io possa rimproverargli.

— Io, comunque, non sono soddisfatto — insistette Watkins. — Nessun periodico di New York, redatto da una manica di integrazionisti, ci insegnerà cosa dobbiamo fare nella nostra città. Noi viviamo qui, e questo posto lo amministriamo noi.

Frank Schubert batté forte con il palmo della mano sulla scrivania. — Will, anche noi la pensiamo come te. Ma sii pratico. Gillespie tiene quel muso nero sotto controllo. Quanto al Newsweek, non so chi lo redige e, francamente, non me ne importa; mi piace, e ci sono abbonato. Adesso, sii ragionevole. Dobbiamo farcela, e questa potrebbe essere una grande occasione per noi.

— Non m’importa quello che facciamo — ribatté Watkins. — Io voglio che ci liberiamo di quel negro prima che i ragazzi perdano la pazienza e lo strapazzino. Allora sì che ne ricaveremmo una pubblicità che non desideriamo! Potrebbe intervenire anche il Federal Bureau.

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Schubert picchiò un’altra manata sulla scrivania.— Sicuro! Sicuro! Ma il fatto è che noi vogliamo che sia fatta luce

sul delitto Mantoli e che quel bravo ragazzo se ne vada al più presto. Qui c’è Bill che afferma di tenerlo in pugno, e se lo dice lui è vero. — Schubert si rivolse a Gillespie. — Noi siamo con te, Bill, e tu lo sai. Continua e fa’ il tuo mestiere. Solo, cerca di sbrigarti. Quando la faccenda sarà finita, tutto ritornerà normale, qui.

Dennis fece altre difficoltà. — No, invece. Prima, dovremo far finire il festival, e nel frattempo ci toccherà tener le nostre donne chiuse a chiave per diverse notti finché ci saranno i turisti in città. Non c’è che dire: abbiamo dei comodi tronchi d’albero per farci sedere gli spettatori, e il direttore d’orchestra è all’obitorio. Quando avremo eliminato questa canea, allora, forse, potremo tornare alle nostre occupazioni normali.

Schubert fu lì lì per esplodere, ma seppe controllarsi. — Tutte queste diatribe non approderanno a nulla. Ci siamo capiti benissimo, Bill ha del lavoro da fare, e anch’io. Grazie per essere venuti. Vi terremo informati.

I consiglieri se ne andarono in silenzio.Sulla via del ritorno, Gillespie chiudeva e apriva i pugni. Ci

doveva ben essere un modo per scovare l’assassino.Decise di scoprire quale fosse, e di metterlo in pratica. Aveva dei

subalterni, e li avrebbe messi sotto, a lavorare sul serio.

Quando andò a prendere servizio, mancava un quarto alla mezzanotte, Sam rimase sorpreso di trovare Virgil Tibbs seduto tranquillamente nel corridoio, e ancor più quando gli dissero che il negro aspettava proprio lui.

Dopo che Sam ebbe terminato lo scambio delle consegne, Virgil gli si avvicinò. — Se non avete niente in contrario, vorrei fare la ronda con voi, questa notte.

Sam rimase confuso a quella richiesta. C’erano molte ragioni per accettare il negro, e anche per non accettarlo. — Volete dire per tutta la notte? — domandò.

Tibbs annuì. — Tutta la notte.— Non so cosa direbbe Gillespie. — Sam esitava.

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— Gillespie mi ha detto di fare quello che credo. Io desidero venire con voi.

— Venite pure, quand’è così. — A Sam non sorrideva l’idea di avere Tibbs come compagno, per otto ore, ma poi rifletté che, dopo tre anni di pattuglie solitarie, non ci sarebbe stato niente di male, per una volta, avere un passeggero. Anzi, era meglio. E rammentò con sgomento le preoccupazioni della notte precedente. E poi, se si fosse rifiutato di accontentare Tibbs, Gillespie avrebbe potuto prendersela a male; il piantone avrebbe testimoniato che Tibbs aveva fatto la richiesta affermando che il Capo aveva dato il suo consenso. Sam decise di far buon viso alla cattiva sorte e si avviò verso l’auto.

Dopo che Sam si fu messo al volante, Tibbs aprì l’altro sportello e sedette accanto a lui. Sam strinse forte il volante domandandosi se doveva proprio tollerare la vicinanza del negro, ma poi ricordò che erano stati seduti fianco a fianco anche durante la corsa dagli Endicott e lasciò correre. Accese il motore e uscì in retromarcia dal cortile del Comando di polizia.

— Cosa volete che faccia? — domandò Sam, quando furono lontani dal Comando.

— Niente di speciale — rispose Tibbs. — Vorrei che rifaceste esattamente il giro che avete fatto la notte in cui Mantoli è stato ucciso. Cercate di seguire il medesimo itinerario e, possibilmente, alla stessa velocità. Credete di poterci riuscire?

— Posso seguire lo stesso itinerario e, quando mi fermerò per scrivere il rapporto, non avrò sbagliato nemmeno di cinque minuti.

— Sarebbe di grande aiuto. Volete che rimanga tranquillo e vi lasci guidare in pace?

— Parlate finché vi pare — rispose Sam. — Non mi confonderete.Tuttavia, rimasero in silenzio per un poco. Sam sentiva crescere in

sé l’orgoglio per l’abilità con la quale guidava lungo l’itinerario che aveva prescelto. Poco dopo, guardando l’orologio, domandò: — Scoprite qualcosa?

— Sto scoprendo quanto possa essere calda la notte — rispose Tibbs.

— Credevo che questo lo sapeste già.— “Touché” — ribatté il negro.

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— Cosa vuol dire? — domandò Sam.— Nella scherma, quando l’avversario mette a segno un colpo,

voi lo riconoscete dicendo “touché”. Letteralmente, significa “toccato”.

— In che lingua?— Francese.— Avete ricevuto una quantità di istruzioni, Virgil, ve lo dico io.

— Sam girò abilmente la macchina a un incrocio e controllò l’ora all’orologio.

— Io non saprei guidare bene come voi — ammise Tibbs. — Non ho mai visto uno bravo come voi.

Sam provò piacere, a dispetto di se stesso. Era conscio di saper guidare con abilità, e gli faceva piacere che altri se ne accorgessero; perciò, a dispetto della sua mentalità, Tibbs incominciava a piacergli.

— Forse voi, Virgil, lo sapete. Una volta lessi un romanzo; parlava di un uomo che aveva una gran paura. Era fuori, di notte, e si aspettava che da un momento all’altro lo aggredissero, e gli pareva di poter fiutare la paura nell’aria, se mi capite. Ad ogni modo, l’autore usava una parola per definire questa sensazione. Io non ricordo la parola, ma so che incominciava per “mi”. Una specie... di miagolio. Mi ricordo che, allora, la cercai nel dizionario.

— Uhm! Lasciate che ci pensi... Potrebbe essere... miasma? — rispose Tibbs.

— Proprio così! — esclamò Sam. — Era da tanto che ci pensavo. È una parola piuttosto rara; come fate a saperla?

— L’ho letta in un racconto anch’io, più di una volta. Una coincidenza.

— Vorrei che mi fosse stato possibile studiare di più! — esclamò Sam, sbalordendo se stesso con quell’esplosione di confidenza. — Ho frequentato l’istituto tecnico per un po’, poi ho lavorato in un garage e ci sono rimasto per qualche anno, fino a che ho trovato questo lavoro.

— Avete frequentato i corsi del Federal Bureau?— No, non li ho frequentati. Non ne ho avuto l’occasione. Ma

questo mi ricorda qualcosa che volevo chiedervi.Tibbs attese un poco, poi lo incoraggiò.

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— Dite pure.— Forse non sono affari miei, ma ho saputo che avete detto

qualcosa, oggi, a Gillespie, qualcosa che l’ha scosso. Mi piacerebbe davvero sapere di che cosa si trattava.

Tibbs guardò il selciato fuori del finestrino e rimase in silenzio per qualche secondo. — Gli ho detto che Mantoli non è stato ucciso dove l’avete trovato, che il suo cadavere era stato trasportato e buttato lì, e che per questo Gottschalk, l’ingegnere missilistico, doveva esser considerato innocente. Quando l’ingegnere passò di lì, il corpo di Mantoli non c’era. Ce l’hanno portato poi, magari pochi minuti, e voi l’avete trovato.

— Virgil, e come diavolo fate a sapere tutte queste cose?— Le sapreste anche voi, Sam, se aveste avuto, come me, la

possibilità di esaminare il cadavere della vittima.Sam rabbrividì a sentirsi chiamare per nome. Proprio quando

incominciava a trovare simpatico il suo compagno, questo cercava di mettersi su un piano di parità, e lui non poteva tollerarlo. Tuttavia, decise di lasciar correre, almeno per il momento e anziché irrigidirsi, fece una domanda: — E come?

— Dai palmi delle mani.— E se incominciaste dal principio? — Ancora irritato, Sam cercò

di dare alle parole il tono di un comando, ma la voce gli riuscì meno irosa.

— D’accordo, Sam. Torniamo al momento in cui Mantoli fu colpito. Noi sappiamo che il colpo è stato fatale, ma ignoriamo se la vittima morì subito o se conservò la conoscenza, almeno per qualche secondo.

Sam svoltò, affrontando una lieve salita, poi tornò a guardare l’orologio: era in orario perfetto, e tornò ad ascoltare attentamente quello che Tibbs diceva.

— Se Mantoli fosse morto sul colpo, o avesse perso subito i sensi, cosa sarebbe accaduto?

— Sarebbe caduto — rispose Sam.— Sì. Ma come sarebbe caduto? Ricordate che è morto o privo di

sensi.Sam ci pensò su per qualche istante. — Credo che sarebbe andato

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giù come un sacco di patate. — E si voltò a guardare Tibbs che stava voltato verso di lui e teneva un braccio fuori del finestrino.

— Esattamente. Le sue ginocchia avrebbero ceduto, le spalle si sarebbero rilassate, la testa sarebbe caduta in avanti e lui sarebbe caduto rannicchiato su se stesso.

La mente di Sam a quella nuova prospettiva s’illuminò. — Ma il corpo di Mantoli, invece, era lungo disteso. Le mani erano allungate oltre la testa.

— Esattamente — convenne Tibbs. — Ho visto le fotografie del corpo, nella posizione in cui l’avete trovato.

— Aspettate un momento! — esclamò Sam. — Supponiamo che, dopo essere stato colpito, Mantoli sia rimasto in sé ancora per qualche istante...

— Continuate — lo invitò Tibbs.— In questo caso, avrà cercato di buttare le mani avanti, per

proteggersi nella caduta.— Adesso cominciate a parlare come un esperto in omicidi — lo

incoraggiò il negro.— Ed è così che l’ho trovato io.— Esattamente.— Dunque, con tutta probabilità, era ancora in sé, dopo essere

stato colpito.Sam si era tanto immedesimato nella discussione, che, a un certo

momento, dimenticò di voltare. Allora guardò rapidamente dietro e poiché la strada era sgombra, svoltò a U e accelerò per riguadagnare il tempo perduto.

— Non credo — disse Tibbs.— Forse mi è sfuggito qualche particolare.— Supponete che Mantoli sia stato colpito dove l’avete trovato.

Perché il suo corpo rimanesse in quella posizione, bisognava che lui avesse tentato di proteggersi nella caduta mettendo le mani avanti.

— Ci sono! — esclamò Sam. — Se l’avesse fatto, si sarebbe ferito le mani contro l’asfalto.

— Allora?— Allora, se le mani non erano ferite, se non vi era traccia di

ammaccature o altro, non era caduto lì.

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— O se era caduto lì, qualcuno doveva aver alterato la posizione del corpo, dopo.

— Sì, benché sia poco probabile — aggiunse Sam. — Era in mezzo all’autostrada e avrebbe potuto passare una macchina da un momento all’altro. Avrei potuto passare anch’io.

— Sam — affermò il negro — avete tutte le doti di un vero segugio.

Questa volta Sam non si era nemmeno accorto che Tibbs l’aveva chiamato per nome; la fantasia gli aveva preso la mano e già si vedeva Sam Wood esperto della squadra investigativa. Poi si ricordò che il giovane negro che gli sedeva accanto era proprio un esperto della squadra investigativa e domandò:

— Come avete fatto a diventare ispettore, Virgil?— Frequentando la migliore scuola del mondo e con dieci anni di

esperienza. Chiunque venga assunto in forza, a Pasadena, incomincia con l’andare a scuola. È sorprendente quante cose riescono a insegnare, in un tempo relativamente breve.

Sam rifletté un attimo, poi disse: — Virgil, vi faccio una domanda che non vi piacerà, ma c’è una cosa che voglio sapere. Com’è che vi hanno accettato? No, non mi sono spiegato bene: come mai ha potuto fare tanta strada un uomo di colore? E adesso, se volete prendervela a male, fate pure.

Tibbs replicò a sua volta con una domanda: — Voi siete sempre vissuto nel Sud, vero?

— Non sono mai stato più a nord di Atlanta — ammise Sam.— Allora, è comprensibile che stentiate a crederlo, ma ci sono

luoghi, qui negli Stati Uniti, dove un uomo di colore, per usare le vostre parole, è un essere umano come gli altri. Non tutti la pensano così, ma tanti quanti bastano perché io, a casa mia, possa andar avanti per mesi, senza che nessuno mi rinfacci di essere un negro. Qui, non passano quindici minuti senza che uno lo senta ricordare. Se vi capitasse di andare in un paese dove la gente aborrisse il vostro accento del Sud, e voi non faceste altro che parlare naturalmente, come vi hanno insegnato, avreste una pallida idea di quel che significa essere costantemente maledetto per qualcosa di cui voi non avete colpa e che non dovrebbe fare differenza in nessun caso.

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Sam scosse il capo. — Certa gente, qui, vi ucciderebbe se vi sentisse dire queste cose — lo ammonì.

— Siete stato voi a farmele dire — ribatté Tibbs.Sam rifletté per un po’, su quella risposta, poi concluse che

avevano parlato abbastanza e stette zitto fino a quando accostò la macchina al marciapiede, davanti alla farmacia di Simon. Quando guardò l’orologio, vide che era in anticipo di un minuto. Prese il blocco dei moduli e si mise a scrivere lentamente il suo rapporto; quando tornò a guardare l’ora, vide che aveva recuperato metà del minuto di vantaggio. Con precisione, Sam segnò l’ora, quindi porse il rapporto a Tibbs.

Il negro studiò attentamente il rapporto, poi lo rese a Sam. Quest’ultimo sapeva che Tibbs aveva notato senz’altro la coincidenza delle ore con quella della notte fatale e non si sbagliava. — È sorprendente, Sam — gli disse Tibbs. — Conosco pochi uomini che sarebbero stati capaci di seguire il solito giro con tanta precisione. — Tibbs tacque per qualche secondo. — La parte che ci resta, adesso, è la più critica, naturalmente.

— Lo so, signor Tibbs — disse Sam, con un po’ di astio nella voce.

— Allora la fiducia che ho riposto in voi è giustificata — riconobbe Tibbs.

La risposta confuse Sam, che non sapeva quanta ironia vi fosse e non poteva nemmeno accertarlo. — Sta bene — concluse. — Andiamo.

Ancora rabbuiato, attraversò il passaggio a livello e penetrò nella bidonville del quartiere negro; una volta lì, si chinò sul volante e stette attento, come al solito, ai cani in mezzo alla strada; ma non ce n’erano. Sam rifece il cammino già percorso quella notte attraverso le case di legno, attraverso i binari di raccordo e poi per la strada che portava alla casa di Purdy.

In quel momento, Sam pensò a Delores. E se lei fosse stata alzata, e un’altra volta in quel costume adamitico? Era accaduto già due volte e, se si fosse ripetuto quella notte, avrebbe permesso a un negro di veder bene una bella donna bianca nuda.

Sam voltò due isolati prima della casa di Purdy; prese a destra e si

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allontanò di due isolati dalla strada che avrebbe dovuto seguire. Scacciò un leggero senso di colpa che voleva far capolino; la piccola deviazione sarebbe passata inosservata.

Alla fine dei due isolati, Sam girò a sinistra e procedette con la calma con cui aveva guidato per tutta la notte; la strada era buia, e quando la macchina sobbalzò sulla massicciata non asfaltata, rimase sorpreso, poi ricordò che, al primo incrocio, c’era una trasversale che l’avrebbe portato sulla strada giusta, oltre la casa di Delores.

Voltò e continuò a guidare adagio finché raggiunse l’autostrada, dove si fermò come sempre, poi diresse verso il ristorante notturno, e mentre accelerava, si domandava cosa ne avrebbe fatto di Tibbs. I negri non erano ammessi nel ristorante. Quando parcheggiò, non aveva ancora trovato risposta a quella domanda.

— Siamo sempre in orario? — domandò Tibbs.Sam annuì. — Io mi fermo qui un quarto d’ora, per mangiare

qualcosa.Prima che potesse aggiungere qualcosa, Tibbs lo liberò

dall’imbarazzo. — Fate pure, e non abbiate fretta. Io vi aspetterò qui.Nel ristorante, Sam si sentiva tormentato dal rimorso, risvegliato

da quella piccola deviazione dall’itinerario. Ma quella era un’inezia trascurabile. Invece, il fatto di tenere un uomo, anche se era un negro, ad aspettarlo in macchina mentre lui mangiava e beveva, gli dava fastidio.

Sam si rivolse a Ralph. — Preparami un panino col prosciutto. Mettici anche un pezzo di torta e una scatola di latte. Da portar via.

— Non è mica per quel poliziotto negro, eh? — domandò Ralph. — Perché se è per lui, abbiamo finito tutto.

Sam si alzò in tutta la sua statura. — Quando ti ordino qualcosa — gridò — tu devi farla. Ciò che farò di quella roba, non è affar tuo.

Ralph abbassò la cresta visibilmente, ma non si diede per vinto. — Al mio principale non piacerà — brontolò.

— Muoviti!Ralph si mosse, e alla svelta. Quando Sam mise un dollaro sul

banco, il ragazzo lo prese come se fosse qualcosa di immondo, e gli diede il resto. Quando Sam ebbe richiuso la porta dietro di sé, il giovane smilzo sogghignò. — Un integrazionista! — Qualunque cosa

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fosse accaduta, avrebbe avvertito il principale, che era consigliere comunale e Sam Wood non avrebbe alzato la voce con lui.

Il dispetto di Ralph non preoccupava minimamente Sam; anzi, lo aiutava a sentirsi in pace con la coscienza; e, quando diede il pacchetto a Tibbs, si sentiva persino fiero di sé; avviò il motore e ricevette la sua ricompensa quando guardò l’orologio: era in orario perfetto. Seguì l’autostrada sino al punto dove aveva trovato Mantoli, fermò la macchina e accese il fanale rosso.

— Siamo in orario? — domandò Tibbs.— Al minuto.— Grazie infinite. Mi siete stato di grande aiuto; più di quanto

possiate immaginare. E grazie anche per avermi procurato qualcosa da mangiare. — Tibbs addentò il panino e masticò in silenzio, poi bevve un sorso di latte. — E adesso voglio farvi un’altra domanda: perché avete deviato deliberatamente, poco fa, quando eravamo sulla strada giusta?

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Quando gli avevano comunicato che era stato nominato Capo della polizia della cittadina di Wells, Bill Gillespie aveva festeggiato l’avvenimento comprando parecchi testi sull’organizzazione della pubblica sicurezza e sull’investigazione scientifica. A Wells, durante le prime settimane quei libri gli avevano dato un certo qual senso d’importanza, anche se lui non aveva avuto tempo di leggerli. Ma dopo la riunione dal sindaco, Bill decise di leggerli senza indugio. Nella quiete della prima sera, dopo aver ben cenato, si infilò le pantofole, sedette sotto una buona lampada e fece il primo tentativo di mettersi a studiare, incominciando con Indagini nei casi di omicidio, di Snyder. Fin dalle prime pagine, cominciò ad aver un’idea del numero di cose che ignorava, e di quelle che avrebbe dovuto fare e non aveva fatto. C’era la faccenda del cadavere, per esempio: invece dell’esame accurato che avrebbe dovuto fare, o avrebbe dovuto far fare ad altri, lui aveva dato un’occhiata frettolosa e poi se n’era andato. Di più, quell’errore era stato commesso davanti a testimoni. Fortunatamente, quei testimoni inesperti non erano in grado di accorgersi della sua trascuratezza; ma poi ricordò che Tibbs era stato presente. Non solo, ma quando lui gliel’aveva ordinato, il negro aveva compiuto quello che appariva un esame minuzioso, anche se il suo interesse, in quel momento, era stato soltanto provocato dalla curiosità professionale.

Gillespie depose il libro e intrecciò le mani dietro la nuca. In un momento, raro in lui, di lealtà, riconobbe che quello era un punto in vantaggio dell’investigatore negro. Poi ebbe un’idea allegra: avrebbe sempre potuto chiedere a Tibbs un rapporto completo sui risultati delle sue indagini; il solo guaio era che, facendolo, sarebbe stato come ammettere che il negro era capace nel suo lavoro. Gillespie soppesò il pro e il contro, poi decise che il prezzo non era eccessivo. Sì, chiedere il rapporto sarebbe stata la cosa migliore e l’avrebbe

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chiesto subito, la mattina dopo.Quando, finalmente, andò a dormire, soddisfatto di aver così

proficuamente impiegato la serata, dormì sodo. Traccia di quel benessere restava ancora in lui il mattino successivo, e mentre si radeva, e poi faceva colazione, pensava alle tante cose che avrebbe fatto. Giunto in ufficio, trovò Eric Kaufmann che lo aspettava. Gillespie lo ricevette subito, gli indicò una sedia e chiese: — Cosa posso fare per voi?

— Voglio chiedere il permesso di portare una pistola — rispose Kaufmann, venendo subito al solo.

— Una pistola? E perché? Andate in giro, di norma, con grosse somme di denaro? — volle sapere Gillespie.

— Vorrei averlo, tanto denaro! — esclamò Kaufmann. — Il maestro Mantoli portava forti somme con sé, e... Ma io no.

— E allora, perché volete andare in giro armato?Kaufmann si sporse in avanti. — Non intendo gettare ombre sulla

vostra polizia, signor Gillespie, e vi prego di non fraintendermi. Ma in questa città c’è un assassino ancora libero. Ha ucciso il maestro; io o la signorina Mantoli potremmo fare la stessa fine. Sino a che non sapremo perché il maestro è stato ucciso, mi sentirò molto meglio se sarò in grado di difendermi.

— Volete dire che intendete rimanere qui ancora parecchio?— Sì. Il signor Endicott e i soci del comitato hanno insistito

perché continui ad occuparmi della parte amministrativa del festival, almeno finché potranno trovare qualcun altro che mi sostituisca. Duena, voglio dire la signorina Mantoli, rimarrà, sin dopo la fine del festival, ospite dei signori Endicott. Non saprebbe dove andare, ormai.

— Credevo che sarebbe tornata in Italia, con le spoglie del padre.— Accompagnerà la salma in Italia, ma tornerà subito qui. Dopo

tutto, è nata qui. Mantoli era cittadino americano, anche se tutti i suoi parenti vivono nel loro paese d’origine.

Gillespie era soddisfatto. — Signor Kaufmann, avete mai subito una condanna penale?

Kaufmann reagì vivacemente. — Nemmeno per sogno! Non ho mai avuto a che fare con la giustizia... nemmeno una multa, in tutta la

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mia vita!Gillespie parlò all’interfono. — Arnold, potete accogliere la

domanda di porto d’armi che vi darà il signor Kaufmann e prendere le sue impronte digitali.

— Grazie, signor Gillespie — disse Kaufmann. — Questo significa che posso andare a comprarmi una pistola, adesso?

— Purtroppo no — rispose Gillespie. — Ci sono alcune formalità da sbrigare, prima.

— Quanto tempo ci vorrà?— Oh, pochi giorni. Comunque, se credete di essere in pericolo, e

benché io sia sicuro che noi possiamo proteggervi adeguatamente, andate a comprare un’arma, portatela qui in modo che possiamo registrarla, e io vi rilascerò un permesso provvisorio, in attesa di quello definitivo. Ma se doveste andare ad Atlanta, o fuori della nostra giurisdizione, non andateci armato.

Kaufmann si alzò. — Siete stato molto gentile — disse.— Non è nulla — replicò Gillespie, alzandosi e stringendogli la

mano; poi, quando Kaufmann scomparve, tornò a sprofondarsi nella poltrona. Poco dopo apparve Pete, il piantone, col rapporto giornaliero.

— Nessuna novità? — domandò Gillespie.Pete scosse il capo. — No... Niente che, a mio parere, possa

aiutarci nel caso Mantoli. — Poi, dopo aver esitato un poco: — Lo sapete che Sam ha avuto compagnia, per parte della notte?

Gillespie sollevò le sopracciglia con aria interrogativa.— Virgil è andato con lui — spiegò l’altro. — È capitato qui

pochi minuti prima della mezzanotte e ha chiesto di andare con lui. Voi avevate ordinato di aiutarlo, e Sam l’ha accontentato.

— Immagino che Sam ne sarà stato entusiasta — commentò Gillespie.

— Non in modo particolare, per quel che so. Mi hanno detto che Sam è tornato qui alle quattro per liberarsene e che era addirittura furibondo.

— Dov’è Virgil, adesso?— Non lo so proprio. Si è fatto prestare una mappa della città, di

quelle che riportano i minimi particolari, poi se n’è andato con la sua

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macchina.— Quando torna, ditegli che lo voglio vedere.— Sì, signore. Ah sì! C’è una lettera, fra la posta, che noi non

abbiamo aperto, perché c’è scritto “strettamente riservata”.— Grazie. — Gillespie gli fece cenno che poteva andare e si mise

a frugare in cerca della lettera nel mucchio ordinato che gli era stato messo davanti. Quando l’ebbe trovata, e notato che non c’era l’indirizzo del mittente, comprese di che cosa si trattava; lacerò la busta con rabbia e lesse più svelto che poté per farla finita.

Gillespie,forse ti sarai domandato perché hai ottenuto questo posto, quando uomini migliori di te sono stati bocciati. È perché tu vieni dal Sud, e noi credevamo che avresti saputo tenere i musi neri al loro posto. Noi non vogliamo l’integrazione, vogliamo che tu tenga i maledetti negri fuori dalle nostre scuole e da tutti gli altri posti dove gli integrazionisti vorrebbero farli entrare. E non li vogliamo nemmeno nella nostra polizia; perciò, liberati di quel sacco di carbone che hai preso a lavorare con te e buttalo fuori da questa città, altrimenti... Se non lo fai tu, lo faremo noi e bada che non scherziamo. F, se non lo farai, butteremo fuori anche te. Non sei tanto forte da poter mantenere il tuo posto, se noi non ti vogliamo più.

Sei stato avvertito.

La collera che, come Gillespie ben sapeva, era il suo maggior problema, gli montò così violenta che quasi non gli riusciva più di dominarsi. Capiva che avrebbe dovuto studiare la lettera per cercare qualche indizio che gli consentisse di risalire al mittente, ma capiva anche che non ne avrebbe trovati; la appallottolò nella sua manaccia e la gettò nel cestino. Sicché, volevano buttarlo fuori! Sperava davvero che ci si provassero! Strinse i pugni e li tenne sollevati per vederli meglio. Nessun pidocchioso bianco del Sud poteva insegnare a un texano cosa fare. Piacesse o no, lui era il Capo della polizia e il posto non gliel’avrebbero soffiato.

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Non si era ancora calmato quando chiamarono all’interfonico.— Sì? — disse Gillespie.— Virgil ha telefonato proprio adesso per domandare qual è

l’officina che ripara le nostre auto.Io gli ho detto che volevate vederlo e lui sta arrivando.La prima reazione di Gillespie fu un senso di rabbia nei confronti

del poliziotto negro che l’aveva messo in quella situazione, poi la sua collera prese un’altra direzione. Gli avevano ordinato di liberarsi di Tibbs? Lui, invece, l’avrebbe tenuto finché gli fosse piaciuto.

Stava ancora pensando alle rappresaglie da tentare contro gli ignoti autori della lettera, quando bussarono alla porta. Gillespie alzò la testa per vedersi davanti la causa dei suoi guai che attendeva rispettosamente sulla soglia.

— Volevate vedermi, signore? — gli domandò Tibbs.Gillespie fece uno sforzo di volontà per parlare senza mostrare la

collera, per controllarsi. — Sì, Virgil. Mi stavo chiedendo quando vi deciderete a darmi un rapporto sull’esame che avete fatto sul corpo di Mantoli.

Sul volto, solitamente impassibile, di Tibbs, apparve la più grande sorpresa. — Ma io l’ho consegnato al signor Arnold, due giorni fa! Credevo che l’aveste ricevuto.

Gillespie cercò di rimediare. — Sarà sulla mia scrivania, probabilmente. Volevo anche sapere perché siete uscito con Sam... Cioè, volevo dire col signor Wood, questa notte.

— Perché volevo rendermi conto del giro che aveva compiuto prima di trovare il corpo di Mantoli, per quali strade era passato.

— Eh? E vi pareva importante?— Sì, signore. Mi pareva importante.— Vedo. E avete scoperto tutto quello che volevate scoprire?— Quasi. Ma credo di aver trovato il resto questa mattina.— Virgil, mi hanno detto che Sam vi ha riportato qui, questa

mattina, e che era in collera. Cos’avete fatto per metterlo in quello stato? Di solito, è un uomo abbastanza tranquillo.

Tibbs esitò e prima di rispondere intrecciò assieme le mani. — Il signor Wood e io siamo andati perfettamente d’accordo, ma a un certo punto mi ha portato un poco fuori strada e quando gliel’ho fatto

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osservare, mi ha scaricato qui senza cerimonie.— Cosa volete dire, che vi ha portato fuori strada? Siate preciso.— Dato che me lo chiedete, signor Gillespie... Io gli avevo detto

di farmi rifare l’itinerario che lui aveva seguito la notte del delitto. Invece, a un certo punto, ha fatto una breve deviazione.

Gillespie si accomodò all’indietro sulla poltrona.— Virgil, voi dovete capire che il signor Wood ha pattugliato le

strade della città per tre anni, e che in questi tre anni ha sempre corso il rischio di finire al cimitero. È naturale che si preoccupi di prendere sempre strade diverse, in modo che nessuno possa sapere per dove passerà in un dato momento. Come potrebbe ricordare esattamente il giro compiuto in una notte qualunque, anche se soltanto quarantott’ore prima?

— Grazie, signore — rispose Tibbs. — C’è niente altro che desiderate sapere?

Gillespie rifletté se mai ci fosse qualcosa di offensivo nella riposta di Tibbs, ma se c’era, non pareva.

— No. Questo è tutto.Dopo che il negro ebbe lasciato l’ufficio, Gillespie si rannicchiò

sulla poltrona. Un’idea improvvisa gli balenò alla mente, un’idea che non gli piaceva, e si chiese perché mai non ci avesse pensato prima. Era un’idea terribile, ma avrebbe potuto essere la soluzione di quel mistero.

Gillespie chiuse gli occhi e gli parve di vedere una figura brandire un pezzo di legno. Il pezzo di legno sibilava nell’aria, infliggeva un colpo spietato che avrebbe fracassato il cranio di un italiano, e l’uomo che avrebbe distrutto la vita di un essere umano, era Sam Wood.

Sam aveva avuto l’occasione; su questo non c’erano dubbi. Per lui, sarebbe stato facile, e per chiunque altro un rischio tremendo. Se Sam si fosse avvicinato anche nelle ore più solitarie della notte, la vittima non avrebbe avuto sospetti, pensando di non aver niente da temere da un poliziotto in uniforme.

Preso da improvvisa tensione, Gillespie telefonò alla banca e chiese di parlare al signor Jennings.

— È un’informazione strettamente confidenziale, quella che

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voglio chiedervi — cominciò. — Conoscete Sam Wood?— Sì, molto bene — rispose Jennings, pronto.— Vorrei sapere se, negli ultimi due mesi, ci sono stati movimenti

notevoli nel suo conto corrente. Nessun deposito, o prelievo, notevole? È stato costretto a prendere prestiti?

— Normalmente noi non forniamo informazioni concernenti i nostri clienti — rispose Jennings, evasivo. — Comunque, non ci piace darle per telefono. Sono certo che voi comprenderete.

Gillespie tornò a perdere le staffe. — Va bene! Va bene! Siete prudente e io non posso biasimarvi; è il vostro dovere. Ma intanto non avete risposto alla mia domanda.

— Spiegatemi chiaramente, signor Gillespie — ribatté Jennings. — È ufficiale questa richiesta di informazioni?

— Potete considerarla ufficiale.— Allora noi coopereremo senz’altro. Se avrete la cortesia di

passare dal mio ufficio, in qualunque momento, vi farò vedere il suo conto corrente.

— Non potete dirmelo adesso?— Se ci mostrerete un ordine del tribunale, saremo ben lieti di

accontentarvi — rispose Jennings. — Altrimenti, sarebbe molto meglio se voi veniste qui, perché, logicamente, noi non abbiamo piacere di dar fuori i nostri documenti ed evitiamo sempre di rilasciarne copia, quando è possibile.

Convinto di non poter fare di più, Gillespie riappese, ma gli dispiaceva che la conversazione non gli avesse permesso di appurare quanto gli stava a cuore. Il furto non pareva il movente del delitto, anche se Kaufmann aveva accennato all’abitudine che Mantoli aveva di portar con sé molto denaro. Sam avrebbe sempre potuto ucciderlo, derubarlo, lasciandogli nel portafoglio denaro a sufficienza per sviare ogni sospetto. Quel genere di trucco era già stato fatto.

Arnold apparve in quel momento, con in mano alcuni fogli. — Virgil dice che volete vedere il suo rapporto sull’esame del corpo di Mantoli.

— Certo che voglio vederlo! — scattò Gillespie. — Perché ve lo siete trattenuto?

— Non sapevo che lo volevate — rispose Arnold, stringendosi

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nelle spalle e andandosene.Gillespie incominciò a scorrere il rapporto e man mano che

leggeva sentiva di odiare sempre più quel documento, perché era il lavoro di un sottoposto ed era più di quel che lui avrebbe saputo fare e aveva fatto. Tuttavia, quel rapporto lo avrebbe salvato più tardi, se fosse stato costretto a testimoniare. Inoltre, sul conto di Mantoli, apprese molte cose che aveva sempre ignorato. Ma per quanto ci si sforzasse, non poteva calmare l’ira da cui era pervaso all’idea che quel rapporto era il lavoro di un negro.

I negri non avevano il diritto di essere in gamba.Squillò il telefono. Era Frank Schubert che chiamava. — Bill, mi

dispiace disturbarti, ma il mio telefono non è stato zitto un momento tutto il giorno. Puoi dirmi qualcosa di più, su questo caso, di quanto mi hai detto ieri? I consiglieri non si danno pace, e tutti quelli che conosco mi hanno telefonato per chiedere quando scopriremo e arresteremo l’assassino.

— Maledizione, Frank, avresti dovuto rispondere che vadano al diavolo, che mi lascino finire in pace le indagini. Farci pressioni non gioverà a nulla; dovresti saperlo.

Il sindaco esitò. — Sta bene, Bill. Ti capisco. Ah, sì... c’è un’altra cosa: quel negro della California... Te ne sei sbarazzato?

— No, e non me ne sbarazzerò. — Gillespie si era controllato con uno sforzo.

— Credo che faresti bene a mandarlo via, Bill.— Per motivi personali, non lo farò. — Suo malgrado, Gillespie

aveva parlato a voce alta. — Frank, adesso devo riattaccare. Ti prometto che ti informerò appena ci saranno novità.

— Sta bene, Bill. — Schubert riappese. Gillespie comprendeva che anche la pazienza del sindaco incominciava a svanire, e se Frank Schubert avesse perso la pazienza, addio posto di Capo della polizia.

Gillespie premette un pulsante dell’interfono. — Dov’è Virgil? — domandò.

— È uscito — rispose Pete. — L’ha chiamato non so che prete, e lui è uscito a rompicollo. Lo volete?

— Dopo — ribatté Gillespie, chiudendo la comunicazione. Emozioni diverse lo tormentavano; finì per alzarsi, prese il cappello e

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si diresse alla propria auto. Una cosa doveva essere chiarita, immediatamente: sarebbe andato alla banca per parlare con Jennings.

Il direttore della banca lo ricevette gentilmente e mandò a prendere subito la cartella di Sam Wood. Gillespie rimase soddisfatto nel constatare che la sua presenza, e le sue parole, avevano qualche peso in quella città che incominciava cordialmente a odiare. Quando tirò fuori la cartella, Jennings la tenne nelle proprie mani, e dopo averla guardata incominciò a spiegare.

— Il signor Wood ha aperto un conto corrente da noi, alcuni anni or sono. Il conto non ha mai superato alcune centinaia di dollari. Due volte sono stati emessi assegni per cifre superiori al deposito, ma gli assegni sono stati coperti in tempo. Depositi e prelievi per qualche tempo sono stati consistenti.

— C’è niente di più di questo? — domandò Gillespie.— Stavo arrivandoci — rispose Jennings, impassibile. — Due

giorni or sono, il signor Wood è venuto qui e ha pagato l’ipoteca che aveva sulla casa. È un piccolo appartamento e non doveva molto. Ha depositato un assegno che, ha detto, era frutto di un’eredità e gli era stato recapitato per posta, poco più di seicento dollari in contanti.

— Seicento dollari in contanti! — ripeté Gillespie. — Questo mi sembra fuori dell’ordinario.

— Sì e no — replicò il banchiere. — C’è tanta gente che accumula i propri risparmi nei materassi e nei vasi di terracotta.

— Ma non quando hanno conti correnti in banca da parecchio tempo! — ribatté Gillespie. La prova che aveva scoperto incominciava a far sentire il suo peso. La grande occasione che aveva tanto cercato gli era caduta inaspettatamente fra le braccia.

Sam era abituato a passare dal Comando, verso le quattro di ogni pomeriggio. Proprio quel giorno sentiva di non averne voglia, ma poi si disse che doveva farlo, almeno per salvare le apparenze. Nell’ultima parte del suo servizio, aveva avuto il tempo di riflettere sulla ingiustizia commessa ai danni del suo indesiderato compagno di ronda. Aveva passato parecchio tempo a chiedersi come avesse mai fatto Tibbs a scoprire la sua marachella, ma, comunque fosse, non se la sentiva di ritrovarsi faccia a faccia col negro.

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Quando fu nell’atrio, Sam vide Kaufmann che mostrava una piccola pistola a Pete e quest’ultimo occupato, almeno in apparenza, a prendere il numero di serie e la marca dell’arma.

Kaufmann si voltò, vide Sam e gli andò incontro. — Potete dedicarmi un momento? — domandò. — Mi sbrigo e vengo subito da voi.

— Certo. — Sam sedette su una panca contro la parete, dove, almeno, avrebbe potuto starsene un po’ in disparte. Dopo un minuto o due, Kaufmann fece scivolare in tasca la pistola e andò da lui. — Prima di tutto — disse — mi rincresce molto essermela presa con voi, ieri notte. Sono molto sconvolto, è vero, ma questa non è una buona ragione...

— Lasciamo perdere — lo interruppe generosamente Sam.— Quando ho potuto riflettere, ho capito quanto sia stato

premuroso da parte vostra salire a ispezionare sino alla casa di Endicott, solo per proteggere tutti quanti noi. Duena e io desideriamo dirvi che apprezziamo immensamente quanto avete fatto.

Le ultime parole colpirono Sam come un pugno nello stomaco, e non rispose.

— Quando ci ho riflettuto, ho chiesto il porto d’armi — continuò Kaufmann.

— E sapete usarla? — domandò Sam.— Non molto bene. Ma io non intendo usarla. Mi basta poterla

puntare contro qualcuno, se ci sarò costretto. È solo per questo che l’ho voluta, finché non sia finita questa storia. Ritengo che stiate facendo qualche progresso.

— Non possiamo rivelare niente — rispose Sam, sicuro che era la risposta meno impegnativa.

— Capisco. Ah, sì: Duena mi ha pregato di ringraziarvi, per la gentilezza che le avete usato il giorno della morte di suo padre. Non si è ancora ripresa, ma reagisce meglio di quanto ci si sarebbe potuto aspettare. Se voi la conosceste come la conosco io, sapreste che è una ragazza meravigliosa.

— Ne sono sicuro — non poté far a meno di dire Sam, che lo pensava davvero. Poi, prese il coraggio a due mani e aggiunse: — Mi meraviglio che non l’abbiate sposata.

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— Ne sarei stato ben felice — rispose Kaufmann. — Forse, tutto sarebbe andato bene, se non fosse accaduta questa orribile disgrazia. Quando la burrasca sarà passata e potremo andarcene lontano da qui, Duena avrà modo di ripensarci.

— Dovreste avere buone probabilità — disse Sam, torturandosi deliberatamente.

— Lo spero.— Bene! Vi auguro sinceramente ogni fortuna — mentì Sam,

tendendogli la mano. Nonostante tutto, Kaufmann cominciava a piacergli. Sam guardò se Virgil era in vista. Pete lo scorse e lo chiamò. — Il Capo ti vuole.

— Subito — rispose Sam. Prima di entrare nell’ufficio del Capo, si fermò nella toeletta per riordinarsi i capelli e raddrizzare il nodo della cravatta; pur non avendo un gran rispetto per Gillespie, quando andava da lui voleva essere in ordine.

Erano quasi le sei quando Virgil parcheggiò l’auto presa in affitto nello spiazzo del Comando, e scese lentamente. Prima di chiudere lo sportello, prese qualcosa dall’interno, poi entrò. Il piantone lo guardò. — Allora? — gli chiese.

— Il signor Gillespie è in ufficio? — domandò Tibbs.— Sì. Ma non credo che voglia essere disturbato.— C’è qualcuno da lui? — volle sapere Virgil.— No, è solo. Ma sarà meglio che abbiate qualcosa di molto

importante da dirgli, se volete andare da lui, adesso.— Ditegli che sono qui, e che vorrei vederlo — insisté Tibbs.Il piantone ci mise parecchio prima di trasmettere la richiesta. —

C’è Virgil, qui. Gli ho detto di non disturbare, ma lui ha insistito per parlarvi.

Dall’apparecchio venne la voce di Gillespie. — Sta bene.— Potete passare — disse il piantone a Tibbs, mettendosi subito

dopo a leggere il giornale.Tibbs percorse il corridoio e andò a bussare all’uscio dell’ufficio

di Gillespie.— Avevo già detto che potete entrare — rispose Gillespie, da

dietro l’uscio.

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Tibbs entrò e gli bastò un’occhiata all’omone seduto alla scrivania per capire che qualcosa l’aveva turbato malamente.

— Cosa c’è di tanto importante, Virgil? — Nella voce di Gillespie non c’era animosità, ma piuttosto preoccupazione, come di uno che, dopo aver preso una decisione grave, si chieda se ha fatto bene o no.

Tibbs posò un pezzo di legno sulla scrivania. Era un pezzo di ramo, ruvido, di cinque centimetri di diametro per una cinquantina di lunghezza. Prima Gillespie lo guardò in silenzio, poi domandò: — E cosa volete che me ne faccia?

— È il corpo del reato — spiegò Tibbs.Gillespie afferrò il pezzo di legno, e lo guardò con curiosità; a

un’estremità, vi erano macchie inconfondibili che dicevano chiaramente a cosa era servito. Gillespie lo rigirò fra le mani, poi lo guardò da un’estremità per vedere se era diritto. — Come avete fatto a trovarlo? — domandò poi.

— Mi hanno aiutato — ammise Tibbs, aspettando che l’altro facesse altre domande.

Gillespie continuava a rigirarsi fra le mani il bastone. Vedendo che taceva, Tibbs domandò: — C’è qualcosa che non va, Capo?

— Ve l’avevo detto che siamo capaci di risolverli da soli, i nostri problemi! Non che io non apprezzi quanto avete fatto; avete trovato il corpo del reato e il vostro rapporto sull’esame del corpo di Mantoli era soddisfacente. Ma è meglio che ve lo dica subito... Ho arrestato personalmente l’assassino di Mantoli, circa un’ora fa.

Tibbs sospirò. — Potete dirmi...Vedendo che il negro esitava, Gillespie finì la frase per lui. — Chi

è?— Se l’assassino ha confessato? — precisò Tibbs.— No, non ha confessato. Anzi, si protesta innocente, come è

naturale. — Gillespie tacque e riprese in mano il pezzo di legno che aveva deposto. — Ma è stato lui, lo so. — Intanto, continuava a esaminare il pezzo di legno, a soppesarlo. — E questo cosa vi dice, Virgil?

— Sarebbe più preciso dire che ha confermato quello che già sapevo in anticipo, signor Gillespie.

— E sarebbe?

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— Chi è l’assassino — rispose Tibbs.Gillespie rimise il pezzo di legno sulla scrivania. — Uhm! Be’, io

vi ho preceduto. E adesso, se volete vedere il vostro amico Sam Wood, lo troverete nella prima cella in fondo al corridoio.

Virgil Tibbs sbirciò incredulo, stupito, Gillespie, poi guardò fuori della finestra, mentre cercava di rimettere ordine nelle proprie idee. — Sam Wood! — esclamò, come se l’idea fosse di un altro mondo.

— Precisamente — ribatté Gillespie. — Sam Wood.Tibbs si lasciò andare, muto, su una sedia davanti alla scrivania.

— Signore — disse alla fine, con la massima circospezione — lo so che questo non vi farà piacere, ma devo dirvelo. Il signor Wood è innocente. Potete comprendere cosa significherà per la vostra carriera se non lo rilasciate immediatamente. — Virgil tacque e fissò con fermezza il Capo. — Vedete, signore, lo so con assoluta certezza che avete arrestato l’uomo sbagliato.

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10

Sin dall’infanzia, Bill Gillespie era stato considerevolmente superiore, per statura e per forza, ai suoi coetanei, e questo gli permetteva di dettar legge nei giochi, di imporre la sua volontà sugli altri che non erano in grado di competere con lui. A suo credito, va detto che non aveva mai cercato di litigare deliberatamente con quelli che non andavano d’accordo con lui. Ma la sua supremazia, riconosciuta senza difficoltà, l’aveva privato di quel necessario complemento del carattere che è la diplomazia. Non che ne ignorasse l’esistenza, ma sapeva che, a volte, essa gli dava fastidio!

Anche la notte dopo l’arresto di Sam, la diplomazia venne a turbarlo, e Gillespie si rigirava nel letto, sprimacciava il guanciale, che cedeva, docile, ma non lo aiutava. Alla fine, il Capo della polizia di Wells si alzò e si preparò un caffè; intanto, riviveva la scena che aveva avuto luogo nel suo ufficio: nessun uomo aveva mai osato tenergli testa come Sam Wood aveva fatto, e lui lo ammirava per questo. Gillespie aveva vinto, naturalmente, come sempre; ma adesso i dubbi lo assalivano, prendevano corpo, si ordinavano come una coorte romana, e un contributo enorme a questi dubbi veniva dall’insistenza di Virgil Tibbs, che aveva proclamato l’innocenza di Sam. Gillespie non intendeva dar molto peso alle affermazioni dell’investigatore negro, come aveva detto chiaramente, ma non poteva ignorare che l’uomo di Pasadena godeva di un’ottima reputazione.

Gillespie sperava, desiderava una buona prova, solida, concreta, che venisse a confortare il suo giudizio. Sam Wood gli piaceva, anche se non gli sembrava un gran che come poliziotto; ma Gillespie non poteva soffrire gli assassini, e Sam Wood, ne era sicuro, era un assassino.

Ma... Sam aveva respinto l’accusa con tutte le sue forze, e Tibbs gli aveva dato ragione. Gillespie tornò a letto e dormì del sonno

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agitato del colpevole. La mattina dopo non si sentiva meglio e si recò in ufficio augurandosi in cuor suo di non aver mai accettato un incarico per il quale non si sentiva preparato. Poteva fiutare nell’aria l’ostilità nei suoi confronti; Pete lo salutò rispettosamente come sempre, ma le sue parole suonavano vuote e false.

Gillespie sedette alla scrivania come un uomo straordinariamente indaffarato e incominciò a frugare fra la pila di corrispondenza che aspettava la sua attenzione. Mentre leggeva, un’idea veniva prendendo forma nella sua mente: avrebbe esaminato ulteriormente le prove contro Sam, e se ci fosse stata soltanto l’ombra di un dubbio, avrebbe preso in considerazione la possibilità di rilasciare Sam. Sapeva che non lo avrebbe fatto senza esservi costretto, ma sapere che sarebbe stato imparziale aiutava la sua coscienza.

In quel momento, un rumore proveniente dal corridoio attirò la sua attenzione. Udiva voci, e fra queste, pareva che una pronunciasse il suo nome. Gillespie avrebbe voluto uscire, andare a vedere; ma la dignità della sua posizione gli imponeva di attendere che altri venissero da lui a riferire.

Non dovette attendere a lungo. Arnold comparve sulla soglia e attese un po’ prima di spiegare. — Signore, c’è gente venuta a lamentarsi, e credo che voi dovreste ascoltarla. Voglio dire che è necessario che l’ascoltiate. Volete che la faccia entrare?

Gillespie annuì. S’udì, nel corridoio, rumore confuso di passi, poi due persone entrarono nell’ufficio. La prima era un uomo ossuto, dal volto estremamente magro, ridotto a un intrico di rughe; indossava abiti da lavoro e teneva le spalle protese in avanti, in una posa perennemente guardinga; gli occhiali cerchiati di metallo accentuavano la durezza di quel volto.

L’altra persona era una ragazza sui quindici anni; la gonna aderente e un maglioncino di lana mettevano in evidenza le mature forme del suo corpo. Aveva forse qualche chilo di troppo, cosa che le scarpe col tacco basso facevano risaltare. Le vesti attillate, la posa con la quale metteva in mostra il seno e il viso spavaldo, non lasciavano alcun dubbio sull’atteggiamento della ragazza. Gillespie si disse che sarebbe finita nei guai, se già non c’era cascata.

— Siete il Capo, qui? — domandò l’uomo, rivelando con quelle

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poche parole la più totale mancanza di istruzione; ciò rassicurò Gillespie che si vedeva di fronte un suo inferiore.

— Sì — rispose Gillespie. — Cosa desiderate?— Mi chiamo Purdy. Questa è mia figlia Delores.Delores si affrettò a sfoderare un sorriso che voleva essere

provocante. Gillespie distolse gli occhi da lei e tornò a fissarli sul padre.

— Mia figlia, l’hanno messa nei pasticci, Capo, ed è per questo che siamo qui.

— Il solito genere di pasticci?— Voglio dire che aspetta un bambino. Mi sono spiegato?Gillespie si rivolse alla ragazza. — Quanti anni hai, Delores?— Sedici — rispose allegramente la ragazza, strascicando le

parole.Il padre mise una mano sulla spalla della figlia. — Non è così.

Vedete, Delores è stata ammalata per un po’ di tempo ed è rimasta indietro, a scuola. Lei aveva paura che i compagni la sfottessero e allora, quando siamo venuti ad abitare qui, abbiamo fatto credere che avesse quindici anni. Invece, ne aveva diciassette, così adesso ne ha diciotto.

— Questo cambia tutto — spiegò Gillespie. — Nel nostro Stato, se un uomo compromette una sedicenne è colpevole di violenza carnale e di corruzione di minorenne, anche se la ragazza era consenziente.

— A meno che non sia sposata — intervenne il padre.— Esattamente. A meno che non sia sposata.Ma se ha più di diciotto anni, allora sussiste solo il reato di

violenza.La faccia del padre di Delores si fece più dura. — Allora se un

tale convince con parole dolci la mia Delores a fare cose che lei non si sognava nemmeno, cos’è? Non è corruzione?

Gillespie scosse il capo. — È violenza carnale, e anche se è un reato abbastanza grave, non è però grave quanto la corruzione di minorenne, che, con l’assassinio, la rapina a mano armata ed altri è fra i più gravi reati contemplati dal Codice. Ma perché non vi sedete tutti e due e mi dite cos’è accaduto?

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Arnold, che era rimasto sulla soglia per tutto quel tempo, approfittò della pausa per andarsene. Mentre i due Purdy si sedevano, squillò l’interfono. Bill aprì il circuito. — Capo, c’è qui Virgil. Vuol sapere se potete riceverlo. Dice che c’è qualcosa d’importante, per il caso al quale sta lavorando.

Gillespie respirò forte, preparandosi a respingere la richiesta, ma un’idea sadica gli balenò alla mente: chissà come si sarebbe sentito Purdy, se fosse stato costretto a descrivere i guai di sua figlia davanti a un negro? Purdy l’aveva interrotto, facendogli un’osservazione, quando Gillespie stava spiegando le leggi su quel genere di reati, e il Capo della polizia ne era rimasto contrariato. — Fatelo passare — rispose.

Tibbs entrò, modesto come sempre e andò a sedere su una panca, come se non dovesse fare altro che attendere ordini. — Mandatelo via — protestò Purdy. — Non voglio parlare di queste cose con un negro fra i piedi.

— Voglio che lui resti — ribatté Gillespie. — Adesso continuate e fate finta che lui non ci sia.

Purdy non voleva cedere. — Prima fatelo uscire — insistette.Con stupore Gillespie vide che Tibbs si alzava e si avviava verso

la porta. Gillespie lo guardò incollerito e il negro spiegò: — Ho dimenticato qualcosa. Torno subito. — Quando Purdy distolse gli occhi da lui, Tibbs indicò il citofono, poi uscì richiudendosi l’uscio alle spalle.

La situazione era risolta, senza che Gillespie avesse perso la faccia. Il Capo frugò fra alcune carte sulla scrivania, poi premette il pulsante dell’interfono. — Bene! Adesso, siamo soli — disse — sentiamo com’è andata.

— Be’, Delores è proprio una brava ragazza, che non ha fatto mai niente di male, tranne le solite marachelle dei bambini. Poi, senza che io ne sapessi niente, incontra un tizio che ha il doppio dei suoi anni, che non è sposato e che incomincia a portarla in giro, la mia bambina.

— E perché non l’avete tenuta in casa?Purdy si fece cupo: — Signor Capo, io lavoro tutta la notte e non

ho tempo da badare ai bambini, di stargli dietro ogni minuto. E poi,

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Delores non m’ha detto niente, sino a poco tempo fa.— Era proprio un bravo ragazzo — intervenne Delores. — Io non

ci trovavo niente di male. Lui, con me era molto gentile.— Veniamo al sodo — ribatté Gillespie. — Quando è accaduto?— Una sera, molto tardi — rispose il padre. — La madre era a

letto, naturalmente, quando Delores si è alzata per vedere questo tizio, ed è stata quella volta...

Gillespie si rivolse alla ragazza.— Ditemi cos’è accaduto di preciso.Delores fece del suo meglio per mostrarsi vergognosa, ma fu solo

una misera imitazione. — Be’, come ha detto papà, lui era molto gentile con me. Abbiamo parlato, poi ci siamo seduti molto vicini e dopo...

La ragazza tacque, ma solo perché non trovava le parole giuste.Gillespie prese una matita e si mise a picchiettare il tavolo. —

Voglio sapere una cosa: quell’uomo ha dovuto lottare per ottenere quello che voleva? Tu ti sei difesa, hai reagito, o ti sei lasciata andare?

Delores esitò a lungo prima di dare la risposta che Gillespie voleva. — lo non capivo esattamente cosa stava succedendo — disse alla fine.

Gillespie si rilassò. — Sta bene, Delores. Quell’uomo t’ha compromessa, e noi lo arresteremo. Possiamo accusarlo di violenza, e questo è già molto. Ma chi è?

Purdy non seppe trattenersi più a lungo. — Lo conoscete benissimo — esplose. — È proprio per questo che volevamo vedere voi in persona. È il poliziotto che voi mandate in giro la notte perché protegga le donne e i bambini! Conosco anche il suo nome... È Sam Wood.

Quando Gillespie fu di nuovo solo, parlò all’interfono. — Mandatemi Virgil.

— Virgil non è più qui — rispose Pete.— E dove diavolo s’è cacciato? — scattò Gillespie. — Credevo

che ascoltasse all’interfonico.— Sì, signore, ascoltava. Ma proprio mentre la conversazione

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stava per finire, ha detto qualcosa come di essere stato il più gran scemo del mondo e se l’è filata.

— E questo è tutto?— Sì, signore, tranne che ha fatto una breve telefonata, prima di

andarsene.Pete aveva mentito al suo capo. Effettivamente, non era una gran

menzogna e a Pete pareva un gesto pietoso. Mentre se n’andava in fretta, il negro si era voltato e gli aveva detto: — Dite a Sam Wood che stia tranquillo. — Pete aveva deciso, in un secondo, di tacere quel particolare a Gillespie.

La vecchia auto che Jess il meccanico aveva affittato a Tibbs faticava un poco e sbuffava nell’affrontare la ripida salita che portava alla casa degli Endicott; quando giunse in vetta alla collina, il radiatore fumava. Tibbs parcheggiò nello spiazzo accanto alla casa, tirò forte il freno a mano e scese. Un momento dopo, suonava il campanello.

George Endicott andò subito ad aprire. — Entrate, signor Tibbs. — Era gentile, ma non cordiale. Il padrone di casa fece strada sin nella sontuosa sala di soggiorno, poi invitò Tibbs a sedere. — Che cosa desiderate? — domandò.

— Vorrei farvi alcune domande che avrei dovuto rivolgervi da molto tempo — replicò Tibbs. — Nel frattempo, sono accadute cose che mi hanno indotto a rompere gli indugi. È per questo che ho chiesto di parlarvi subito.

— Bene, allora — accettò George Endicott. — Voi interrogatemi, e io farò del mio meglio per rispondervi.

— Bene, signore. La notte in cui venne ucciso, il maestro Mantoli venne qui presto, la sera, immagino. È così?

Endicott annuì. — Sì.— Chi fu il primo a lasciare la vostra casa?— Il signor Kaufmann.— A che ora, circa, se ne andò?— Direi verso le dieci. — Endicott rifletté un poco. — Non posso

dirlo con esattezza, nessuno fece caso all’ora. Eravamo tutti molto occupati in altre cose.

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— Chi c’era qui, quella sera?— Enrico, il maestro Mantoli, sua figlia... io e mia moglie, e il

signor Kaufmann.Virgil Tibbs si sporse in avanti, intrecciò forte le dita e rimase a

fissarle intensamente prima di formulare la nuova domanda. — Potreste dirmi, pressappoco, l’ora in cui se ne andò il maestro Mantoli?

— Le undici o le undici e mezza — rispose Endicott.Tibbs tacque un momento. — Quando se ne andò, con che mezzo

raggiunse la città?Questa volta Endicott attese prima di rispondere. — Lo

accompagnai io — rispose alla fine.— Eravate voi due soli?— Sì. Le signore andarono a dormire appena noi ce ne andammo.— Grazie. E che ora era quando voi tornaste qui?— Un’ora circa dopo che ero uscito. L’ora esatta non la so. Vi ho

già detto che eravamo molto occupati in altre cose, quella sera.— Dove lasciaste il maestro?Endicott mostrò qualche segno di impazienza. — Lo lasciai al suo

albergo. Gli avevamo offerto di alloggiare qui, ma lui aveva rifiutato perché era un uomo molto sensibile e sapeva che, se avesse accettato, io e mia moglie avremmo dovuto lasciare la nostra camera per cederla a lui. Abbiamo una camera per gli ospiti, ma l’occupava già sua figlia, e lui decise di fermarsi in albergo, sebbene sia di seconda categoria.

— Dal momento in cui siete uscito di casa, sino a quando siete tornato, avete visto o incontrato nessuno? — domandò Tibbs.

Endicott lo fissò con fermezza. — Signor Tibbs, non mi piace la vostra domanda. Vorreste insinuare, forse, che ho bisogno di un alibi? Che ho ucciso un amico?

Virgil strinse ancora di più le mani intrecciate. — Signor Endicott, io non insinuo nulla. Cerco solo informazioni. Se avete visto o incontrato qualcuno, quella sera, potete fornirci una traccia capace di condurre all’assassino.

Endicott guardò fuori dall’immensa finestra, al panorama che si estendeva sulle lontane montagne. — D’accordo. Mi dispiace. Voi

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dovete seguire tutte le tracce, naturalmente.I due uomini vennero interrotti dall’arrivo di Grace Endicott e di

Duena Mantoli; si alzarono tutti e due; il negro scambiò alcuni convenevoli con le signore e intanto notò che la ragazza pareva essersi ripresa: i suoi occhi sfavillavano e non pareva più spaurita.

Quando tutti si furono seduti, Grace Endicott domandò: — Le vostre indagini progrediscono?

— Credo di sì, signora — rispose Tibbs. Oggi è stata una buona giornata. Ma è sempre difficile definire cos’è il progresso nelle indagini poliziesche. A volte si lavora per settimane per trovare che si è finiti in un vicolo cieco. Non si può mai essere sicuri, sino a quando non si ha in mano l’ultima prova, non solo per identificare il colpevole, ma per dimostrarne la colpevolezza in modo che non possano più esistere dubbi.

— Tutti noi apprezziamo la teoria — lo interruppe George Endicott. — Però preferiamo i fatti. C’è nulla che lasci presagire un arresto?

Tibbs tornò a fissarsi le mani. — Un uomo è già stato arrestato — rispose. — Ma non è lui il colpevole.

— E allora, perché è stato arrestato?Tibbs lo guardò fisso. — Perché il signor Gillespie non ha

abbastanza fiducia in me per rilasciarlo.— Chi è? — domandò Grace. — È qualcuno che conosciamo?— Sì, signora Endicott, lo conoscete. È l’agente Wood. Quello

che era con me l’ultima volta che sono venuto qui.Duena s’irrigidì. — Volete dire... quel signore gentile che fu tanto

buono con me?...— Sì, proprio lui, signorina.— È accusato... — Duena esitò, poi terminò la frase con uno

sforzo — di aver ucciso mio padre?— E anche di altro — replicò Tibbs. — E anche se nessuno pare

condividere la mia idea, sono sicuro che è innocente.— Se è così, perché non lo dimostrate? — domandò Endicott.Quando Tibbs alzò gli occhi, in essi brillava una fiamma a stento

repressa e Endicott rimase sorpreso di vedere quel segno di vitalità nel negro. — È quello che intendo fare — rispose quest’ultimo — e

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proprio per questo vi facevo quelle domande.Endicott si alzò e andò alla finestra; dopo un po’, ruppe il silenzio

che regnava nella stanza. — Gillespie vi lascerà provare l’innocenza di Wood? — domandò senza voltarsi.

— È mio dovere proteggere il signor Gillespie dai propri errori — rispose Tibbs. — L’arresto del signor Wood è uno di questi errori. Dopo, gli metterò nelle mani la persona che è causa di tutto questo, e in modo tale che anche lui finirà col riconoscere la verità. Poi, me ne andrò a casa, dove ho il diritto di non scansarmi per la strada, quando passa un bianco.

Endicott si voltò. — Dal momento che siamo usciti di qui, sino a quando ci sono tornato, non ho visto né incontrato anima viva, signor Tibbs, e credo che non abbia visto nessuno nemmeno il maestro. Almeno, sino a quando l’ho lasciato all’albergo; lì, gli ho dato la buona notte e sono tornato a casa. Che sappia io, non c’è nessuno che possa confermare quanto dico, ma è la verità.

— Grazie — disse Tibbs. — Ora vorrei farvi ancora solo qualche domanda, ma vi prego di far bene attenzione alle risposte, perché sono molto importanti. Prima di tutto, mi hanno detto che il signor Mantoli portava con sé grosse somme. Sapete se ne aveva anche l’ultima notte che voi l’avete visto?

— Non ne ho idea. Normalmente, Enrico non portava con sé ciò che voi chiamereste grosse somme di denaro. Certe volte aveva alcune centinaia di dollari, ma non di più, che io sappia.

— Era una persona impulsiva, per caso?— È difficile dirlo — rispose Endicott.— Credo di poter rispondere affermativamente — disse

inaspettatamente Duena. — A volte, decideva lì per lì su cose importanti, ma solitamente aveva ragione. Se voi intendete riferirvi a cattivo carattere, invece, allora debbo dire di no.

Tibbs si rivolse a lei. — Signorina Mantoli, vostro padre era facile a fare amicizia?

— Tutti gli volevano bene — rispose la ragazza.In quel momento, nel silenzio che seguì, tutti compresero che

c’era stata tuttavia una persona che non aveva amato il maestro, ma nessuno espresse a parole quello che pensava.

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— Un’ultima domanda. — Tibbs si rivolse ancora alla ragazza. — Credete che se vostro padre mi avesse conosciuto, avrebbe avuto simpatia per me?

Duena sollevò lo sguardo e accettò la sfida. — Sì, ne sono sicura. Non ho mai conosciuto nessuno libero da pregiudizi come mio padre.

Tibbs si alzò. — Grazie. Mi siete stati di grande aiuto e spero che fra poco saprete perché.

— Mi fa piacere — dichiarò Endicott.Duena si alzò. — Vorrei andare in città — disse. — Forse il

signor Tibbs può offrirmi un passaggio.— La mia macchina è molto modesta, ma è a vostra disposizione

— disse Tibbs.— Sarò pronta in un momento. — E Duena uscì senza altre

spiegazioni.Quando erano già sulla porta, pronti per andarsene, Endicott,

fregandosi il mento, domandò: — Come tornerai?— Se non troverò un mezzo per tornare, vi chiamerò — promise

Duena.Tibbs la fece salire, si mise al volante e avviò il motore. Duena

aveva cambiato l’abito e si era messa un cappellino che le donava. Tibbs pensò che era molto seducente, ma ciò che più lo aveva colpito, dal momento in cui lei gli aveva chiesto un passaggio, era l’aria decisa di Duena, come se avesse uno scopo ben definito da raggiungere. Faceva pensare a una persona che si prepara a dar battaglia e la sua espressione si raddolcì soltanto quando l’auto fu quasi al centro della cittadina.

— Dove volete andare? — le domandò.— Al Comando di polizia — rispose lei.— Siete sicura di far bene? — domandò Tibbs.— Sicurissima.Tibbs guidò senza più parlare; giunto al Comando, parcheggiò

l’auto, poi accompagnò Duena nell’atrio. La ragazza andò dritta dal piantone. — Vorrei parlare col signor Wood — disse.

Pete fu preso completamente alla sprovvista. — Ehm, il signor Wood non è in servizio, in questo momento.

— Lo so — ribatté Duena. — È in prigione. Vorrei vederlo.

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Pete parlò all’interfono. — C’è una signorina che vorrebbe vedere Sam, e Virgil è appena tornato — riferì.

— Chi è la signorina? — rispose Gillespie.— Duena Mantoli — suggerì pronta la ragazza. — E potete anche

dire che il signor Tibbs è stato tanto gentile da darmi un passaggio, quando gliel’ho chiesto.

Pete ripeté quanto Duena aveva detto.— Mi dispiace, ma è meglio che la signorina Mantoli non veda

Sam — rispose Gillespie.— Chi era? — domandò Duena.— Gillespie, il Capo della polizia.Il volto della ragazza assunse un’espressione decisa. — Voglio

parlare col signor Gillespie, allora. Se non mi riceverà, andrò a parlare al sindaco.

Pete l’accompagnò per il corridoio, sino all’ufficio di Gillespie.

Sam Wood era giunto a un punto in cui la sua mente esausta non poteva più sostenere lo sforzo causato dalla rabbia, dalla frustrazione, dalla disperazione che l’avevano assalito in quelle ore d’isolamento. Ormai non gli importava più di nulla, non voleva nemmeno contemplare la possibilità che lo trovassero colpevole, ma era certo che la sua carriera come poliziotto era finita; non avrebbe più potuto tornare a fare quel mestiere. Poco prima dell’ora di pranzo, quando Gillespie era fuori, Arnold si era fermato da lui e gli aveva dato le ultime notizie, sicché Sam, adesso, sapeva che, all’accusa di omicidio, se ne aggiungeva un’altra, di seduzione. La coppa della disperazione e dello sconforto era stracolma.

Sedeva, le braccia sulle ginocchia, la testa sul petto, ma non per la vergogna o perché si sentisse sconfitto; la sua era solo una grande stanchezza, l’esaurimento di ogni energia causato dall’aver tenuto sotto controllo mille impulsi, che tentavano di avere la meglio sulla sua volontà e sul suo corpo.

Pete venne alla grata. — Hai una visita — annunziò.— Il mio avvocato? — domandò Sam.— Quello è ancora fuori città. Dovrebbe tornare stasera. È una

visita di tutt’altro genere, questa. — Pete infilò la chiave nella toppa

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e aprì la porta a metà. Sam lo guardava, poco curioso, poi il suo cuore ebbe un tonfo: Duena Mantoli entrò nella cella spoglia e poco accogliente, e Sam, profondamente imbarazzato, si alzò in piedi, confuso di trovarsi in disordine, con la barba lunga e il colletto della camicia sbottonato, senza cravatta. In quel momento, quei particolari lo turbavano più che l’accusa che gli pendeva sul capo.

— Buona sera, signor Wood — disse Duena. — Vi prego, sedetevi.

Confuso dalla calma della ragazza, Sam sedette sull’orlo della dura panca che serviva da scomodo letto. Anche Duena sedette a un metro da lui e rimase eretta e graziosa. Sam taceva, fidandosi poco persino della sua voce.

— Signor Wood — cominciò Duena con voce chiara, senza mostrare segno di emozione — mi hanno detto che siete accusato della morte di mio padre. — Le labbra le tremarono a quelle parole, ma ben presto tornò a controllarsi e continuò con voce più calma: — Il signor Tibbs mi ha accompagnata qui, e mi ha detto che siete innocente.

Sam strinse l’orlo della cuccetta con tutta la forza di cui era capace. La mente, ribellandosi ancora una volta, gli diceva di voltarsi, di afferrare quella ragazza e tenerla fra le braccia, stretta. Si trattenne, e intanto si chiedeva se doveva dire qualcosa; alla fine, tenendo gli occhi fissi a terra, mormorò: — Non sono stato io.

— Vi prego, raccontatemi della notte in cui... avete trovato mio padre — continuò Duena, tenendo gli occhi fissi alla parete della cella. — Voglio sapere tutto.

— Io... — Sam non trovava le parole. — Io ho soltanto trovato vostro padre, questo è tutto. Ero stato di pattuglia tutta la notte. Mi ero fermato al ristorante, come faccio sempre, poi ho preso l’autostrada e l’ho trovato.

Duena continuava a fissare la muta parete. — Signor Wood, io credo che il signor Tibbs abbia ragione. Neanch’io credo che siate stato voi. — Si voltò a fissarlo. — Quando vi ho incontrato la prima volta, ero ancora turbata... da quello che era accaduto, ma anche in quel momento ho capito che siete una persona per bene, e lo penso ancora.

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Sam si voltò a guardarla. — Volete dire che credete alla mia innocenza?

— Ho un modo per accertarlo — rispose lei. — È molto semplice. Volete che proviamo?

Sam si sentì rivivere, la mente stanca si ridestò; in un impeto improvviso, si risentì un uomo e si voltò a fissare la ragazza. — Ditemi cosa devo fare, e lo farò, qualunque cosa sia — rispose.

— Bene! Alzatevi.Sam obbedì, resistendo al desiderio di riordinarsi la camicia; lo

contrariava il fatto di essere senza cravatta, si sentiva goffo e impacciato. Poi, per sua maggior confusione. Duena si alzò e andò a fermarsi a pochi centimetri da lui. Sam sentì il cuore accelerare i battiti, come se un meccanismo segreto pompasse nel suo sangue un eccesso di adrenalina e, per la prima volta in molti anni, ebbe paura.

— Vi chiamate Sam, vero? — domandò la ragazza. — Voglio che mi chiamiate Duena. Provate.

— Sì, signorina — rispose Sam, confuso. Poi, correggendosi: — Duena — disse, obbediente.

— Prendimi, Sam — disse lei. — Voglio che tu mi tenga stretta a te.

La mente di Sam, che aveva detto no tante volte nelle ultime ventiquattr’ore, non voleva permetterglielo nemmeno adesso. Vedendo che non obbediva, la ragazza gettò la testa indietro e con la mano destra spinse indietro il cappello, poi scosse la testa, così che i capelli corvini le si sciolsero lungo il collo. — Hai detto che avresti fatto tutto quello che ti avrei ordinato. Ora ubbidisci — lo sfidò lei. E Duena gli si avvicinò ancor di più e gli mise le mani sulle spalle.

Senza più pensare, dimentico di tutto, Sam cinse la ragazza fra le sue braccia. In quell’istante confuso la sentì calda, arrendevole e la vide bella. Non avrebbe più voluto lasciarla; le sbarre della cella erano svanite sotto una sensazione nuova.

— Guardami — disse ancora Duena.Sam la fissò; aveva tenuto fra le braccia altre donne, ma niente

uguagliava quella sensazione.— Adesso — continuò lei — voglio che tu mi guardi negli occhi e

che tu mi dica: “Duena, io non ho ucciso tuo padre”. Dillo — ordinò.

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Sam parlò a fatica, perché un nodo l’aveva preso alla gola. — Duena... — Ritentò ancora. — Duena, io non ho ucciso tuo padre. — Le braccia gli caddero lungo i fianchi, e forte com’era, Sam sentì irresistibile il desiderio di mettersi a piangere. La reazione era stata troppo forte.

Mentre lui se ne stava impalato, cercando di riprendere il controllo delle proprie emozioni, sentì le mani di Duena allacciarsi dietro la sua nuca, la loro stretta farsi più forte, udì Duena che mormorava: — Ti credo. — E prima ancora che lui capisse quel che accadeva, sentì la testa attratta verso il basso, il corpo caldo di Duena contro il suo e un lungo fremito quando le labbra di lei toccarono le sue.

Duena era tornata quella di sempre, prima che Sam avesse avuto il tempo di muoversi. Calmissima, prese il cappello che aveva lasciato cadere, si guardò in giro, alle pareti nude della cella, in cerca di uno specchio, poi frugò nella borsetta che aveva posato sulla panca. — Come faccio per uscire? — domandò.

Sam si riempì ben bene i polmoni per chiamare Pete.

Per tutto quel lungo pomeriggio Sam rivisse quei pochi minuti che gli avevano dato nuove energie per affrontare la vita; si permise persino di pensare che, alla fine, sarebbe emerso da quella esperienza senza alcun disonore, degno ancora del rispetto di tutti: la certezza che lei gli credeva gli dava un grande coraggio. La fiducia che Duena riponeva in lui gli avrebbe fatto superare ogni prova.

In quel momento Sam rammentò qualcos’altro: la figura affettata, matura di Delores Purdy si affacciò alla sua mente. Un abisso incolmabile separava Delores dalla ragazza che aveva tenuto fra le braccia quel giorno. Ma Delores aveva affermato che lui l’aveva sedotta. Cos’avrebbe pensato Duena di lui, quando avesse saputo? Il castello che Sam aveva costruito rovinava in un mucchio di sabbia.

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11

Era quasi buio quando Tibbs entrò con la vecchia auto nel distributore-garage gestito da Jess. Il robusto negro lavorava attorno a una grossa Lincoln con aria condizionata, sistemata sul ponte.

— Mi occorre un po’ di benzina, Jess — disse Virgil. — Domattina penso di restituirvi la macchina.

— Ci lasciate? — domandò Jess, prendendo il tubo di gomma.— Credo di sì — rispose Tibbs. — Ma che resti fra me e voi. Non

ditelo a nessuno.— Una gran bella macchina — osservò poi Tibbs, indicando la

Lincoln. — Come mai l’hanno portata da voi per le riparazioni?— Turisti — rispose laconicamente Jess. — Le prende il garage

sull’autostrada, e poi le manda a me che le riparo. Vorrei prendere io quello che si fanno pagare per il mio lavoro.

— Però loro hanno più spese generali di voi — gli fece notare Tibbs. — E se il garage è sull’autostrada, devono essere notevolmente superiori alle vostre.

Jess finì di fare il pieno, poi disse: — Aspettate un minuto — e scomparve passando di fianco all’officina. Tre minuti dopo era di ritorno. — Abbiamo pensato che resterete a cena con noi — annunziò semplicemente.

— Grazie infinite, ma non posso — disse Tibbs.— Ho un figlio; ha tredici anni e non ha mai visto un vero

investigatore. Io gliel’avevo promesso.Tibbs scese in silenzio dalla macchina. Pochi minuti dopo sedeva

a tavola davanti a una modesta cena a base di polpette di carne che, quella sera, erano più grosse del solito, per lui. Andy, il figlio di Jess, osservava ogni movimento di Tibbs, tanto che mangiare era diventato imbarazzante. Finalmente, il ragazzo non seppe più contenersi: — Raccontateci il primo caso che vi è capitato! — implorò.

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Tibbs l’accontentò. — Si trattava di contrabbando di narcotici. Da qualche parte, a Pasadena, venivano introdotte capsule di eroina che poi erano vendute. Io fui assegnato a quel caso, assieme a diversi altri agenti.

— Eravate già un investigatore? — domandò il ragazzo.— No, non ancora. Ma ero in servizio già da cinque anni, e così

decisero di mettermi alla prova. Poi un giorno, da un lustrascarpe in un sobborgo, un uomo, che si faceva pulire le scarpe, finì di leggere il giornale e lo diede al cliente che aspettava per essere servito dopo di lui. Ma il fatto è che il secondo cliente non aveva alcun bisogno di farsi lustrare le scarpe.

— E voi, come avete fatto a scoprirlo?— Il lustrascarpe ero io. Nessuno avrebbe mai immaginato che un

negro che faceva il lustrascarpe fosse un agente di polizia.— Allora, se foste stato bianco, non avreste potuto farcela.— Forse hai ragione — ammise Tibbs. — Anche se, in questo

caso, avrebbero finito per prenderli, prima o poi. Ma quello fu il primo caso che risolsi.

Andy tornò a mangiare, cercando di far andare d’accordo quell’occupazione con l’altra di non levar gli occhi di dosso all’ospite eccezionale, seduto alla tavola di suo padre.

Quando la cena finì, Tibbs si scusò, adducendo a pretesto la notevole mole di lavoro che aveva da sbrigare. Dato che l’abitazione di Jess era vicina al luogo dove aveva lasciato la macchina, salutò i suoi ospiti sulla porta e si avviò a piedi, e intanto pensava a quel che doveva fare. Non sarebbe stato piacevole e nemmeno facile, ma, come aveva appreso molti anni prima, doveva superare le difficoltà se voleva continuare nella sua professione. Lì a Wells, era soltanto più duro, ma era la sola differenza. Era ancora immerso in quel pensiero, quando qualcosa balenò al suo occhio e lo avvertì, ma troppo tardi.

Tibbs si voltò di scatto e si trovò di fronte due uomini che gli erano scivolati alle spalle. Mentre i due gli si lanciavano addosso, vide solo che uno teneva stretto in pugno un pesante randello e lo alzava, pronto a colpire. Tibbs si lanciò, colpendo l’aggressore sotto l’ascella destra; il randello finì a terra. Tibbs afferrò il braccio del suo

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avversario e nello stesso tempo alzò un ginocchio con tutta la forza di cui era capace, poi girò su se stesso e facendo leva sul braccio intrappolato e chinandosi in avanti con tutto il peso del corpo, si fece volare l’aggressore sopra la testa. Quando colpì il selciato con la nuca, l’uomo urlò.

Il primo dei due era appena caduto a terra e già Tibbs si girava per affrontare l’altro, grosso e goffo, ma disarmato. Ma il secondo assalitore lo attaccò deciso, menandogli un diretto: Tibbs lo evitò chinandosi, poi afferrò il polso dell’energumeno e girò sulla sinistra. L’altro, trascinato dal proprio slancio, barcollò e cadde pesantemente. Tibbs afferrò il randello che somigliava assai al pezzo di legno col quale avevano ucciso Mantoli. Guardandosi attorno, vide il figlio di Jess che, attirato dal rumore, guardava con un misto di paura e di ammirazione.

— Andy, corri più forte che puoi; va’ a chiamare tuo padre, poi telefona alla polizia e di’ loro di venire qui subito.

Andy corse via a gambe levate e incontrò suo padre a metà strada. Pochi secondi dopo il grosso meccanico raggiungeva Tibbs. Le mani di Jess si aprivano e chiudevano, come se avesse una gran voglia di usarle.

— Mi hanno aggredito — disse Tibbs. — Aiutatemi a tenerli d’occhio.

Jess guardò i due. — Non azzardatevi a muovervi — minacciò. Quello che aveva attaccato Tibbs per primo gemeva debolmente, il suo braccio destro giaceva in una posizione inconsueta. Andy tornò di corsa.

— Vengono — annunziò. — Ho detto che due uomini avevano assalito il signor Tibbs, e che portassero il dottore.

— Bravo, figliolo — disse Jess. — Adesso vammi a prendere la leva dei pneumatici per gli autocarri. Non mi occorrerà, ma potrebbe anche venir buona.

Andy scappò di corsa, desideroso di fare quel che gli dicevano; tornò dopo pochi secondi col pesante attrezzo. — È una fortuna che abbiamo fatto mettere quel telefono per le riparazioni d’emergenza — disse Jess a Tibbs.

Dall’autostrada s’intese la sirena delle macchine della polizia; le

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luci rosse apparvero in fondo alla strada e obbedirono ai gesti frenetici di Andy, che segnalava loro di fermarsi. Due uomini in uniforme scesero e a loro Tibbs indicò i due ancora stesi a terra. — Aggressione a mano armata — disse. — Preferisco stendere la denuncia quando saremo al Comando.

— Così voi vorreste denunciarli, eh? — domandò uno dei due agenti.

— Credo sia Virgil — gli fece notare il suo compagno.— Sono proprio Virgil — disse Tibbs. Fate piano con quello a

destra; deve avere un braccio rotto.Quando giunsero al Comando, Gillespie aspettava sulla porta. —

Cos’è accaduto? — domandò.— Ho cenato con Jess, il meccanico che mi avete fatto conoscere

voi — spiegò Tibbs. — Dopo cena, mentre tornavo alla mia macchina, due uomini mi hanno aggredito e uno di essi ha tentato di colpirmi con un randello.

Gillespie parve stranamente contento. — Portateli nel mio ufficio — ordinò, avviandosi subito dopo. Quando tutti furono raggruppati da lui, Gillespie sedette alla sua scrivania e fissò i due per un buon minuto, senza parlare, poi respirò forte e, con voce che fece tremare le pareti, chiese: — Chi di voi, carogne, mi ha scritto una lettera anonima?

Nessuno rispose. Il silenzio venne rotto dal suono dell’interfono. Gillespie aprì il circuito. — Il dottore che avete fatto chiamare è qui — annunciò il piantone.

— Fatelo venire nel mio ufficio — ordinò Gillespie.Pochi secondi dopo il piantone faceva entrare un negro attempato,

allampanato, che portava una borsa nera. — Sono il dottor Harding — disse.

Gillespie indicò col dito l’uomo che si teneva il braccio malconcio penzoloni lungo il fianco. — Metteteglielo a posto — ordinò. — Quando mi hanno detto che Virgil era stato assalito da due uomini, ho pensato che fosse Virgil che aveva bisogno del dottore, e così ho chiamato un medico negro. Adesso che siete qui, potete fare il vostro lavoro.

Il dottor Harding ignorò l’insulto e guardò il suo paziente. —

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Bisognerà che lo facciamo distendere. Dove possiamo sistemarlo? — domandò.

— Tenete le vostre mani lontane da me — intimò il ferito. — Voglio il mio dottore.

— Silenzio! — tuonò Gillespie. — Non mi piace la gente che mi scrive lettere anonime e poi pretende di insegnarmi quel che devo fare.

— Non durerete a lungo in questa città — rimbeccò l’uomo.— Ci starò abbastanza — assicurò Gillespie. — Portatelo in una

cella, e il dottore potrà curarlo lì.Il ferito venne condotto via. Gillespie rivolse l’attenzione all’altro

che era rimasto. — Dunque, di chi è stata questa bella idea? Parla, o finirai in un mucchio di guai.

— Voglio un processo regolare, con una giuria — rispose quello. — Sapete cosa significa.

— Certo che lo so — rispose Gillespie. — Adesso ti dico cosa farò io. Chiamerò i giornalisti e dirò loro che tu e il tuo compagno avete assalito questo negro, e che lui ve le ha suonate a tutti e due. Dopo, avrai il tuo bel processo.

— Io dirò che lui e il suo compagno ci hanno assalito, armati di randelli, mentre ce n’andavamo per i fatti nostri — rispose l’uomo, indifferente alla minaccia.

— Ma sicuro! Nel quartiere negro! Tu e quell’altro ve ne andavate in qualche bordello di negre, quando siete stati aggrediti. Due cittadini rispettabili come voi! Svegliati! Non vedi che non ne imbrocchi una?

— Non parlerò — rispose l’uomo, ostinato.Gillespie si rivolse a Tibbs. — Voi non siete bianco, ma credo che

siate capace di menar le mani.— Merito di quello che mi ha istruito. Si chiama Takahashi e

nemmeno lui è di razza bianca. — Tibbs si voltò a metà verso la porta. — Ho un lavoro da finire e l’ho quasi terminato. Se mi scusate, vorrei andare.

Con sorpresa di Tibbs, Gillespie lo accompagnò nel corridoio. — Virgil — disse — io vi credo abbastanza intelligente per capire che dovete lasciare questa città. Questa notte avete avuto fortuna, ma la

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prossima volta qualcuno vi pianterà una pallottola nella schiena, e quella non potrete evitarla. Vi do un consiglio: andatevene di qui, prima che mi ritrovi con un altro omicidio per le mani. Dirò ai vostri superiori di Pasadena che avete fatto un buon lavoro, per me.

— Me ne andrò, ma non prima di avervi consegnato l’assassino di Mantoli, con le prove della sua colpevolezza. Devo farlo. Forse voi potete capire perché.

— Io non voglio responsabilità — ribatté Gillespie.— D’accordo — convenne Tibbs, uscendo in fretta.

Duena Mantoli sedeva tranquilla nell’oscurità della prima sera, sull’alto osservatorio dove, pochi giorni prima, Sam era rimasto rigido accanto a lei. Adesso era sola e guardava la silenziosa catena di montagne, e intanto cercava di mettere ordine nei propri pensieri. Aveva saputo che Sam era accusato anche di aver sedotto una ragazza sedicenne, figlia di un povero operaio privo d’istruzione.

Suo malgrado, Duena paragonava mentalmente se stessa con quello che immaginava fosse l’altra ragazza; poi, con vergogna crescente, vedeva se stessa, in una cella, in punta di piedi, nell’atto di baciare sulla bocca un uomo nel quale aveva riposto subito fiducia. Ora, quella fiducia era scomparsa, e il suo gesto acquistava un significato basso e volgare. Si era comportata da stupida. Era assurdo pretendere che l’educazione e la decenza soffocassero l’istinto sessuale. Sam era un pezzo d’uomo, forte; non era sposato e quella ragazza, chiunque fosse, aveva ridestato in lui l’istinto animale.

Duena rabbrividì, mentre lacrime di collera le bagnavano gli occhi. Rimase seduta dove si trovava, finché Endicott, preoccupato, venne a cercarla e la ricondusse in casa.

Erano passate da poco le nove del sabato mattina, quando Delores andò ad aprire, ma prima si pettinò un poco, perché una ragazza che risponde allo squillo del campanello non sa mai chi possa essere il visitatore. Quando aprì la porta e si trovò davanti la faccia nera di Virgil Tibbs, le sue maniere mutarono di colpo. — I negri passano dalla porta di servizio — sbottò.

— Io no — rispose Tibbs. — Sono venuto per parlare con vostro

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padre.— Non azzardatevi a entrare! — intimò la ragazza, sbattendogli la

porta in faccia. Un minuto dopo l’uscio veniva riaperto dal padre, che aveva in viso un’espressione di profondo disgusto. — Andatevene di qui — gridò. — Non vi vogliamo fra i piedi.

— Non avete scelta — ribatté Tibbs, entrando tranquillamente. — Vengo dal Comando di polizia e devo parlare con voi e con vostra figlia.

— Lo so chi siete — esplose il vecchio. Adesso andatevene di qui, o vi romperò in due.

— Se vi ci provate, non rispondo di quello che vi accadrà. Altri due ci si sono provati, ieri sera.

— Già, me l’hanno detto. Voi e il vostro socio gli siete saltati addosso e li avete pestati coi ferri dei pneumatici. Uno dei due è all’ospedale.

— Se non volete raggiungerlo, chiudete il becco e sedetevi! — intimò Tibbs. — Ormai ne ho abbastanza di sentir blaterare gli ignoranti come voi. Siete venuto al Comando e avete accusato un uomo. Io sono venuto per questo.

— Non ho altro da aggiungere — ribatté Purdy.— E nessun negro si siederà nel mio salotto.Tibbs sedette. — Vengo per aiutarvi, se volete evitare la galera.Entrò Delores. — Papà, fallo andar via.— Andrò via quando avrò finito — disse Tibbs. — Prima che io

abbia finito, vi sarete accorti che la mia visita è la più gran fortuna che potesse capitarvi.

— I negri portano scalogna! — esclamò Delores.— Signor Purdy! — esclamò Tibbs, come se le divergenze fossero

già appianate. — Voi siete venuto al Comando e ci avete detto che vostra figlia ha ricevuto una grave offesa. Adesso, è nostro dovere far in modo che sia resa giustizia a vostra figlia, che il colpevole sia punito, e che il buon nome della ragazza venga protetto.

— Sam Wood ha offeso mia figlia — asserì Purdy.Tibbs annuì, come se gli credesse. — Così ci avete detto.

S’intende, il Capo della polizia, Gillespie, è rimasto assai sorpreso. Il signor Wood è nella polizia da parecchi anni e tutti l’hanno sempre

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stimato per una persona seria e onesta.— È in galera per assassinio — aveva quasi gridato Purdy.Tibbs annuì ancora. — Lo so. Non voglio rivelare segreti, ma una

volta io rimasi chiuso in una cella per tre settimane, finché l’uomo che vi era rinchiuso con me non mi ebbe detto tutto quello che la polizia voleva sapere a qualunque costo.

— Sbirro negro! — esclamò Purdy, come se avesse scagliato una maledizione.

— Adesso torniamo al caso di vostra figlia — riprese, calmo, Tibbs. — Se Wood ammette la propria colpa, allora tutto è finito. Ma lui è un uomo ostinato, e non lo farà mai, e noi dovremo indagare a fondo. Naturalmente, questo si farà se voi non mi aiuterete a dimostrare la sua colpevolezza.

— Volete dire che devo ripetere quello che ho detto? — interruppe Delores.

— Che indagini? — volle sapere il padre.— Be’, in casi come questo, ci sono tante cose da accertare. Lo

stabilisce la legge. Vedete, è difficile che un uomo possa dimostrare di non essere stato con una ragazza; la sola possibilità, è quella di sottoporsi a certi esami medici.

— Cosa significa? — chiese Purdy. — Delores è mia figlia!Tibbs allargò le mani. — Nessuno ne dubita, e lo sanno tutti che

voi siete una persona rispettabile. Ma se Sam Wood continua ad affermare di non averle nemmeno parlato, la polizia eseguirà alcuni esami su vostra figlia, per accertare la verità.

— Non ci sono esami che possano dire chi è stato a fare quelle cose a una ragazza — protestò Delores.

— È vero ammise Tibbs. — Ma ci sono certi esami che possono dire se una certa persona non le ha fatte. Voi, signorina, dovrete sottoporvi soltanto a questi esami.

— E che esami sarebbero? — domandò Purdy.— Be’, prima di tutto faranno l’esame del sangue. Le metteranno

l’ago di una siringa in una vena e preleveranno tanto sangue che basti a riempire alcune provette.

— Non voglio che mi facciano le punture — protestò Delores.— E chi lo farà? — domandò il padre.

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— Un medico — rispose Tibbs. — Tutti gli esami e le visite saranno compiuti dal medico. Nessun altro toccherà vostra figlia.

— Sarà meglio per loro.— Poi, dopo questo esame, dovranno visitarla, per vedere se le è

successo ciò che lei afferma, e dovranno anche stabilire se è vero o no che aspetta un bambino.

Il padre scattò in piedi, il volto acceso dalla rabbia.— Nessuno ficcherà il naso nei suoi segreti — urlò.— Sparerò al primo che ci prova. Uscite subito. Tibbs rimase

tranquillamente seduto. — Io non faccio altro che avvertirvi. Lo volete sapere, vero, cosa le faranno, magari quando voi non ci sarete?

— Nessuno metterà il naso nei suoi segreti — insistette Purdy.— La sola cosa che può evitare questo fastidio a vostra figlia, è

che l’uomo confessi — spiegò Tibbs. — Ma lui afferma di essere innocente! E voi l’avete accusato, così un medico dovrà eseguire questi esami.

— Gillespie non lo permetterà, vedrete! — esclamò il vecchio.Tibbs scosse il capo. — Non vorrebbe permetterlo, naturalmente.

Ma la legge parla chiaro. Wood si farà autorizzare dal tribunale, e allora voi dovrete sottomettervi. — Tibbs intrecciò le dita e rimase a fissarle prima di continuare. — Adesso devo dirvi una cosa che non dovete ripetere a nessuno: io non posso tollerare che un uomo innocente e rispettabile come siete voi, venga messo nei pasticci.

— Non possono farmi niente — urlò Purdy, quasi isterico. — Non sono stato io. Ve l’ho detto che è mia figlia.

— Ma certo che lo è — ribatté Tibbs, assumendo improvvisamente un tono autoritario. — Immaginate ora di essere in tribunale e di affermare che Sam Wood ha messo nei guai vostra figlia, e poi supponete che il medico commetta uno sbaglio e dica che non è stato lui. Voi sarete accusato di falso; falsa testimonianza in tribunale, e questo basta per mandarvi in galera. È per questo che voglio avvertirvi, e dirvi come potete fare per proteggervi.

— I medici non fanno di questi sbagli — protestò stancamente Delores.

— Qualche volta sì, e i giurati ci credono. Adesso, se mi dite com’è accaduto, cercherò di far confessare Sam Wood. Se lui

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confessa, nessuno di voi due ha più niente da temere.— Volete dire che ci lasceranno in pace? — domandò Purdy.— Proprio così.— Diglielo — ordinò il vecchio alla figlia.Delores si dimenò sulla sedia e fece del suo meglio per somigliare

a una verginella pudica. — Be’, lui veniva sempre qui, la notte, e guardava dalla finestra. Io avrei dovuto dirlo a papà, ma avevo paura, perché quello è un poliziotto, capite? Poi una notte che papà era via, lui viene qui e bussa alla porta. Ha detto che stava andando al lavoro, e voleva sapere i nomi delle ragazze che desideravano partecipare al festival musicale. Ha detto che io ero molto bella, e che voleva iscrivermi come candidata all’elezione di miss Festival.

Delores si fermò e alzò gli occhi. Tibbs le rivolse un cenno d’incoraggiamento.

— Be’, lui si è messo a fare lo sdolcinato e ha detto che, anche se lavorava la notte, conosceva un sacco di gente e avrebbe potuto procurarmi un sacco di voti, e che io avrei vinto e se avessi voluto avrei potuto fare un viaggio a New York. Io non ricordo molto dopo questo, ma lui mi ha dato da bere qualcosa dicendo che non mi avrebbe fatto male, che, anzi, mi avrebbe fatto sentire benissimo... e che sarei stata la futura miss e che tutti avrebbero voluto essere nei miei panni e che a New York avrei imparato a cantare e a ballare e forse anche a fare il cinema... che lui poteva fare tutto questo per me e che io dovevo essergli riconoscente... Dopo, ricordo poco. Solo che, quando se n’è andato, mi ha detto di non preoccuparmi, perché lui era stato attento; proprio così... lui era stato attento.

Tibbs balzò in piedi. — Siete sicura che sia stato Sam? Badate, non voglio commettere errori che ricadrebbero su di voi.

Delores lo fissò: il suo volto pareva una maschera. — Era proprio Sam — insisté.

Virgil uscì e andò al Comando, da dove telefonò a Gottschalk, l’ingegnere missilistico, poi andò a far visita ad Harvey Oberst, che non amava farsi vedere con un negro, ma non dimenticava che quel negro l’aveva levato di prigione. Poi Tibbs andò a far visita al reverendo Amos Whiteburn e parlò con due ragazzetti, che il reverendo chiamò perché lui potesse interrogarli. Dopo, tornò al

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Comando, da dove telefonò a un albergo di Atlanta; poi, andò a trovare due negri di Wells e quattro bianchi, due dei quali rifiutarono di riceverlo; inoltre, fece visita al dottor Harding. Quando ebbe finito, era quasi al limite dell’esaurimento; aveva dormito pochissimo, era stanco di lottare contro l’odio e l’incomprensione degli altri, ma aveva ottenuto il suo premio: adesso era pronto per parlare con Gillespie.

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La mattina, dopo una notte insonne e piena d’amarezza, Duena Mantoli si alzò; nella sua mente era maturata una decisione. Finita la doccia, si guardò nello specchio e si vide più bella che mai, ma più che sulla bellezza, adesso doveva far conto sul cervello.

Quando scese per la colazione, trovò George e Grace Endicott che l’aspettavano. — Abbiamo avuto nuove notizie da parte di Eric — le disse Grace, dopo che lei si fu seduta. — Due buone nuove. La prima, è che ha trovato un direttore d’orchestra molto bravo, e ciò salverà il nostro festival.

— Chi è? — domandò Duena.— Eric non ha voluto dirlo; ha detto che voleva farci una sorpresa.

Poi l’agenzia che si occupa della vendita dei biglietti ha informato che gli affari procedono meglio di quanto ci si aspettasse.

— Mi fa piacere — disse Duena; poi, dopo aver finito di bere un bicchiere di succo d’arancia: — Penserete che sono pazza quando vi dirò quel che intendo fare. Voglio andare in città e parlare col signor Schubert.

— Per far che? — domandò Endicott.— Non mi piace la piega che hanno preso le cose; c’è qualcosa

che non va. Hanno messo in prigione un uomo, e io credo che sia innocente. Non capisco perché non lo abbiano rilasciato su cauzione, o non lo abbiano incriminato.

George Endicott intervenne. — Io non lo farei, Duena. Francamente, né io né te siamo esperti in queste cose; finiresti solo col far perdere tempo a quelli che lo sono; e potrebbero anche risentirsene.

Duena si versò ancora succo d’arancia e bevve.— Voi non capite. Il signor Wood, l’agente che venne qui... quel

giorno... è in prigione. Non è colpevole, lo so; non chiedetemi perché, ma lo so. È per questo che voglio parlare col sindaco.

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George rispose, scegliendo con cura le parole. — Duena, dovresti stare tranquilla e lasciar che siano gli uomini a sbrigare queste cose. Se il signor Wood è innocente, non resterà a lungo in prigione. E poi, c’è il signor Tibbs, che mi pare una persona molto competente.

— Non gli servirà molto, qui — ribatté Duena. Poi, cambiando argomento: — Oh be’! Andate in città, oggi?

— Sì, questo pomeriggio.— Allora, posso venire con voi? Almeno, potrò fare qualche

compera.Endicott accennò di sì.

Frank Schubert, consapevole del fascino della sua visitatrice, cercò di assumere una posa più conveniente sulla poltrona mentre si domandava come avesse fatto Duena a convincere Endicott a portarla lì. Comunque, era evidente che Duena c’era riuscita.

— Signorina Mantoli — cominciò il sindaco — sarò estremamente franco con voi. Vi dirò particolari confidenziali. Mi promettete di non rivelarli a nessuno?

— Lo prometto — disse Duena.— Bene. Io non so quanto ne sappiate sull’economia del Sud, ma

vi sono aree che sono state fortemente colpite e Wells è una di queste. Siamo lontani dalle principali vie di comunicazione e quella che arriva sin qui è solo una strada di raccordo con poco traffico. Questo significa che perdiamo una gran quantità di turisti e le relative risorse. In questi paraggi, l’agricoltura è in declino, e sinora non abbiamo potuto richiamare qui industrie. Per dirla chiaramente, sia la città sia buona parte dei cittadini sono sull’orlo del fallimento.

Duena annuì.— Noi, cioè io e il Consiglio comunale, abbiamo capito la

necessità di fare qualcosa, altrimenti la situazione diverrà insostenibile. Fu così che George venne fuori con l’idea del festival. Sulle prime le cose non andarono molto bene, ma lui riuscì a convincerci che questa iniziativa avrebbe reso una buona pubblicità turistica alla nostra città e, se ciò accadesse, sarebbe davvero un grande aiuto. Malgrado molte apprensioni, abbiamo portato avanti l’organizzazione e adesso sento da George che la vendita dei biglietti

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procede molto bene, sicché la bontà della sua idea è dimostrata.“Tutto questo implica un’altra cosa che riguarda voi. Il posto di

Capo della polizia si era reso vacante, e noi dovevamo trovare uno che lo occupasse, perché nessuno degli agenti che avevamo in servizio era all’altezza dell’incarico. Allora, pubblicammo un avviso sui giornali, con la speranza di trovare qualcuno che si accontentasse di uno stipendio basso per amor della carriera e con la promessa che il salario sarebbe aumentato se le finanze pubbliche avessero prosperato. Risposero in parecchi, e uno fra gli altri fu Bill Gillespie. Alcuni membri del Consiglio, non voglio far nomi, insistettero perché si assumesse uno del Sud che, almeno, avrebbe fatto tutto il possibile per imporre il rispetto della nostra tradizione razziale. Uno del Nord avrebbe potuto costringerci a ingoiare il rospo dell’integrazione prima che noi si fosse pronti ad accettarla e, in qualche modo, a farla funzionare.”

— E così, avete assunto Gillespie — interruppe Duena.— Esattamente. Il suo stato di servizio era buono, per quelle che

potevano essere le nostre pretese. Personalmente, ve lo dico in stretta confidenza, sono convinto che abbiamo fatto una pessima scelta, ma almeno si diede soddisfazione a quei certi membri del Consiglio cui ho accennato poco fa.

Schubert si guardò attorno, quasi per accertarsi che nessuno potesse ascoltare, poi si chinò in avanti come per rendere anche più confidenziale quel che stava per dire. — Se ha arrestato un innocente, salterà dal posto fra non molto, ve lo prometto. Ma voi dovete capire che ci sono buone prove contro Sam Wood. Io ho parlato con alcuni consiglieri, e voglio che lo sappia anche George, che se Gillespie non risolve questo pasticcio entro pochi giorni, noi lo licenzieremo. È vero che ha un contratto con noi, ma c’è un periodo di prova che non è ancora scaduto. Perciò, state tranquilla che riusciremo.

Mancavano pochi minuti alle quattro quando George Endicott e Duena lasciarono l’ufficio del sindaco. Avevano saputo che Eric Kaufmann sarebbe arrivato presto, quella sera, e quando George suggerì di attenderlo in città (intanto avrebbero potuto cenare da qualche parte), Duena trovò l’occasione che cercava. Per la cena era

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ancora presto, ma lei aveva un’altra idea. — Devo parlare con il signor Tibbs — disse.

— Faresti bene a rinunciare — la consigliò Endicott. — Se ci andrai, potresti commettere qualche errore, con conseguenze forse gravi.

Duena lo guardò con aria imbronciata e delusa, e George decise che, nella sua qualità di consigliere comunale, forse doveva andare a parlare con Tibbs.

Arnold parlò attraverso le sbarre. — Hai un’altra visita, Sam. — Poi aprì l’uscio per lasciar passare Virgil. Il negro entrò e andò a sedere sulla cuccetta senza attendere che Sam lo invitasse.

— Be’, Virgil? — chiese stancamente Sam. — Cosa c’è, adesso?— Volevo dirvi soltanto che andrò da Gillespie, appena rientra, e

gli dimostrerò, in modo che anche lui debba convincersene, che siete innocente. Credo che riuscirò a convincerlo a liberarvi.

— Perché non rinunciate e ve ne andate a casa? — domandò Sam, e nella sua voce non c’era traccia di emozione. — Vi credevo furbo.

— Non ho ancora finito il mio lavoro replicò Tibbs. — Il mondo è pieno di gente che non conclude nulla perché non ha costanza. Mi restano da fare due cose, qui: dimostrare la vostra innocenza e farvi liberare, e consegnare un assassino nelle mani di Gillespie. Dopo, andrò a casa.

— Vi auguro buona fortuna — disse Sam, senza guardare il negro.— Prima di andare da Gillespie, voglio chiarire un particolare con

voi — disse Tibbs. — Sono quasi sicuro di sapere la risposta, ma meno congetture dovrò fare, più forza avranno le mie argomentazioni.

Sam si strinse nelle spalle. — Cosa volete fare?— La notte che siamo usciti assieme, voi avete fatto un giro e

l’avete fatto di proposito. Lì per lì, non ho capito perché, ma ora credo di saperlo. Volevate evitare di passare davanti alla casa dei Purdy, vero?

Sam mostrò segni d’insofferenza. — Virgil, vorrei che non vi immischiate in questo. Lo so che volete aiutarmi, ma...

— E credo anche di sapere perché non volevate passare davanti a

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quella casa.— Ci siete passato anche voi, di notte? — domandò

sospettosamente Sam.— No, non è stato necessario. Harvey Oberst mi ha detto tutto

quello che volevo sapere il giorno che passò qui, in camera di sicurezza.

Tibbs tacque e nella cella regnò il silenzio. Tibbs pensava che, a volte, era meglio lasciar tempo ai suoi interlocutori, perché riflettessero; sapeva che Sam pensava, ed era proprio ciò che lui voleva.

— Virgil — disse Sam, alla fine — voi avete affermato che io, quella notte, ho fatto una deviazione. Cosa ve lo fa pensare?

— Oh, un’inezia rispose Tibbs. — La notte che venni con voi, passammo per una strada non asfaltata. Mentre vi aspettavo fuori dal ristorante, notai che la macchina era molto impolverata.

— Niente di straordinario.— D’accordo. Ma la notte prima, quando ero salito con voi alla

stazione, non c’era polvere sull’auto, e allora ne ho arguito che quella notte, prima di venire a prelevarmi, non avevate percorso quel tratto di strada di terra battuta.

— Forse non avevate fatto caso, la sera prima, alla polvere.— Invece sì. E poi, mi pareva, e in seguito ho controllato, che

l’auto fosse stata lavata il giorno prima sicché sarebbe stato chiaramente visibile anche uno strato sottilissimo di polvere.

— Volete dire che, quando vi arr... quando vi portai al Comando, voi aveste il tempo di osservare quanta polvere c’era sulla mia auto? Non è possibile. Avevate un po’ troppa paura in quel momento!

— Nient’affatto — disse Virgil. — Stavo zitto perché, prima di parlare, volevo sapere cosa c’era sotto, e quella era la sola cosa da fare; ma tenevo gli occhi aperti, perché questo fa parte del mio mestiere.

— Be’, per esempio, come facevate a sapere che non era piovuto, smorzando la polvere su quel breve tratto di strada?

— Ho controllato coi bollettini dell’ufficio meteorologico.Fra i due tornò il silenzio. Sam capì che insistere su quel tasto

sarebbe stato non solo puerile, ma inutile; che a lui piacesse o no,

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Tibbs sapeva il fatto suo. Dopo tutto, quell’uomo che apparteneva a una razza segregata oltre una barriera ritenuta invalicabile, era con lui, ed era già un conforto; decise, quindi, di dare al negro il premio che meritava. — Per questo, avete ragione.

— Avrei preferito che me l’aveste detto prima, Sam. Avremmo risparmiato molto tempo, il vostro tempo, voglio dire. — Con sorpresa di Sam, Tibbs si alzò in piedi. — Sappiate che ho avuto una breve conversazione con Purdy e sua figlia Delores, e li ho spaventati con la prospettiva di esami medici per convalidare le accuse della ragazza contro di voi, poi ho dato loro appuntamento per questo pomeriggio tardi. Devono venir qui, per gli esami, e io non ho specificato di che genere saranno. Se mi riuscirà di farle cambiare storia dinanzi a testimoni, le accuse di Delores andranno a farsi benedire. Quando avremo dimostrato la vostra innocenza su questo particolare, il resto sarà più facile.

Sam sentì per la prima volta il desiderio di cooperare. — Virgil, forse gioverebbe sapere chi è stato a molestarla. Lo so che non è facile.

— Grazie, Sam — rispose Tibbs. — Credo di saperlo già.

Quando gli dissero che Tibbs voleva parlargli, Gillespie decise di farlo aspettare qualche minuto, per mantenere le distanze. Dopo quello che ritenne un periodo sufficiente, ordinò che facessero entrare il negro.

A causa del ritardo, Tibbs entrò da Gillespie proprio nel momento in cui Duena Mantoli, accompagnata da George Endicott, entrava nell’atrio. Endicott non era entusiasta di quella visita, ma si rendeva conto di aver a che fare con una ragazza decisa e preferiva che la conversazione con Gillespie si tenesse in sua presenza, per poterla in qualche modo controllare. — Vorremmo parlare col signor Gillespie — disse al piantone. — È libero?

Pete, riconoscendo il consigliere comunale nonché il più ricco cittadino di Wells, rispose sollecitamente:

— Potete entrare subito. C’è solo Virgil con lui.I due s’incamminarono nel corridoio e bussarono da Gillespie.

Quest’ultimo levò lo sguardo per vedere chi fosse, riconobbe

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Endicott che sostava sulla soglia e si affrettò a farlo entrare. — Entrate, prego.

Poi si alzò quando vide entrare anche Duena. — Sedetevi, prego, — invitò, dopo che gli fu presentata la ragazza. — Virgil, uscite, voi. Parleremo dopo.

Virgil non si mosse. — Quello che vi devo dire, signore, è molto importante. Poiché il signor Endicott e la signorina Mantoli sono qui, penso sia meglio che sentano anche loro.

Gillespie alzò il pugno e lo batté sulla scrivania. Non poteva permettere che altri avesse l’ultima parola con lui, specialmente un uomo che stava dalla parte sbagliata della linea di separazione dei colori. Endicott se ne accorse e lo prevenne. — Mi sembra interessante. Col vostro permesso, Bill, mi piacerebbe sentire cos’ha da dire il signor Tibbs.

— Vorrei saperlo anch’io — rincarò Duena.Gillespie non vide via d’uscita. Ripromettendosi di conciare per le

feste Tibbs quando si fossero ritrovati soli, accettò la temporanea sconfitta. — Come volete, signor Endicott.

Tutti sedettero. — Prima che incominci — disse Tibbs — vorrei che venisse qui anche Sam Wood. Poi, guardando Gillespie: — Vorrei rivolgergli qualche domanda.

Irritatissimo, ma ormai in trappola, Gillespie diede un ordine attraverso l’interfono e poco dopo Sam comparve. Gillespie gli indicò una sedia con un cenno del capo. Con un secondo cenno del capo, Gillespie fece uscire Arnold, che aveva accompagnato il prigioniero, e controllando la pressione interna, che era a un livello pericoloso, disse a Tibbs: — Bene, Virgil. Sarà meglio che quel che avete da dirci sia importante.

Tibbs intrecciò forte le mani e li guardò a uno a uno prima d’incominciare. — Mi occuperò, prima di tutto, di una giovane donna: Delores Purdy. La ragazza è figlia di un uomo mentalmente ritardato, di un livello intellettuale e di una educazione al di sotto della media più comune. Non conosco la madre, ma l’ambiente familiare lascia a desiderare, a dir poco.

— Tutto questo lo so — disse Gillespie.Tibbs attese un istante prima di continuare. — Delores ha diciotto

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anni. Lei e i suoi dicono che ne ha sedici perché i compagni non la prendano in giro a scuola. Il fatto che sia diciottenne elimina la violenza nella configurazione del reato. Questa ragazza è affetta da mania esibizionistica, e di ciò si trova traccia nella scheda segnaletica della polizia. Per un qualche motivo, crede che il suo corpo eserciti un fascino irresistibile, che sia incantevole, tale da sedurre ogni essere di sesso maschile. Non è un fatto nuovo in ragazze che conducono vita molto appartata; esse credono di poter vincere questo complesso comportandosi in modo da attirare l’attenzione degli uomini.

Tibbs alzò gli occhi per vedere come Duena prendeva le sue parole; la ragazza mostrava un vivo interesse, e così gli altri. — La cosa che accade più comunemente con queste ragazze, è che si danno a un uomo con la speranza di vincolarlo a loro grazie all’attrattiva sessuale. A volte la cosa funziona; altre volte è una nuova delusione che si aggiunge alle altre, di cui dicevo prima.

“Se diamo retta ad Harvey Oberst, che ha qualche anno più di lei, Delores gli si mostrava discinta senza nemmeno che lui glielo chiedesse. Io credo che sia vero, se non altro per il modo in cui si è presentata qui a sporgere denuncia contro il signor Wood. È un gesto grave, accusare un agente ben conosciuto e rispettato. Ma invece di essere sconvolta, o almeno preoccupata, Delores faceva di tutto, anche in quell’occasione, per mettere in mostra tutti gli attributi avuti da madre natura. Non è così che si comporta una pudica ragazzina alla quale sia stata usata violenza.”

Tibbs attese qualche secondo, ma nessuno dei suoi ascoltatori mostrò di volerlo interrompere.

— Adesso, veniamo al signor Wood. La notte del delitto, egli passò davanti alla casa dei Purdy dopo aver quasi completato il giro di ronda della città. Dovevano essere le tre passate da pochi minuti. Posso immaginare cosa è successo, anche se il signor Wood non me n’ha parlato. La notte che io andai con lui, evitò, di proposito, di passare davanti alla casa dei Purdy e siccome io ignoravo il motivo di quella deviazione, conclusi che aveva qualcosa da nascondere. La mia fiducia in lui fu alquanto scossa, ma mi sbagliavo sul suo conto e gliene chiedo scusa.

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— Come sapete dove abitano i Purdy? — domandò Gillespie.— Me ne aveva dato un’idea Harvey, quando lo interrogai

qualche giorno fa.Gillespie annuì per far comprendere che era soddisfatto.— Adesso, tirando le somme, ecco come credo di poter ricostruire

i fatti. Poco tempo fa, la signorina Purdy deve aver concesso i propri favori a un uomo di sua conoscenza e si trovò in stato interessante, oppure è convinta di esserlo. Chi sia l’uomo, non ha importanza, adesso, ma sta di fatto che lei non voleva, o non poteva sposarlo. Credendo di essere nei guai, fece ciò che fanno molte altre donne: si guardò attorno, in cerca di un uomo da incolpare, uno che non potesse scagionarsi e che sarebbe stato, almeno temporaneamente, un marito più accettabile, o almeno, uno che avrebbe potuto provvedere alle spese della maternità. Ma la polizia li conosce bene, ormai, questi trucchi, e le parole avventate di una ragazza non vengono credute, se non sono suffragate da prove. Naturalmente, il signor Gillespie conosce questa procedura.

“La signorina Purdy sapeva che il signor Wood pattugliava la città, di notte, e poteva supporre che si fosse soffermato anche davanti a casa sua. Inoltre, sapeva che lui non è sposato, ed è quindi libero di contrarre matrimonio. E infine, il signor Wood le piaceva, come dimostra il fatto che si fece vedere da lui pressoché nuda, almeno una volta, quando il signor Wood si trovò a passare davanti alla sua abitazione, anche se, probabilmente, cercò di far apparire la cosa come incidentale. Io penso che ciò sia accaduto più di una volta, ma non tanto spesso da far sorgere sospetti nella mente di un agente coscienzioso. — Tibbs si rivolse a Sam. — Non vorrei imbarazzarvi, signor Wood, specie davanti alla signorina Mantoli, ma potete confermare quanto ho detto?”

Sam stentò a trovare le parole, poi si limitò a dire:— Sì.— Il resto basta intuirlo. Se il signor Wood fosse stato portato ad

accettare questo genere di offerte, se ne sarebbe notata l’inclinazione nei tre anni che ha trascorso nella polizia, sempre di ronda notturna. Questo non è un indizio sicuro, perché si sa di gente onesta che ha commesso delitti quando meno c’era da aspettarselo. Ma il signor

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Wood è scapolo, e ha il diritto di corteggiare tutte le donne che vuole. Se fosse stato incline ad abusare delle fanciulle inesperte, non godrebbe della buona reputazione di cui, invece, gode in tutta Wells. Io ho parlato coi dirigenti della banca della quale è cliente il signor Wood, e le banche sono informatissime sul conto dei loro clienti. Ebbene, essi hanno un’ottima opinione su di lui.

“Concludendo, per quanto riguarda le accuse della signorina Purdy, contro il signor Wood, posso dire che sono tutte menzogne.”

— Ma sareste capace di fargliele ritrattare? — domandò Endicott.Suonò l’interfono e Gillespie premette il pulsante.— Il signor Purdy e sua figlia sono qui per parlare con voi —

disse una voce.Gillespie guardò a uno a uno i presenti, poi rispose:— Fateli passare, e portate un paio di sedie.Tutti gli occhi rimasero fissi alla porta, mentre nel corridoio si

sentivano passi avvicinarsi. Delores apparve per prima, impacciata; suo padre la seguiva, con la bocca anche più tirata del solito e le rughe che parevano anche più profonde. Poi veniva Arnold, che camminava di sbieco perché reggeva due sedie che mise davanti alla scrivania.

Quando Arnold se ne fu andato, Gillespie invitò i due ultimi arrivati a sedere.

Purdy padre puntò un dito contro Tibbs. — Mandatelo via — ordinò.

La statura di Gillespie parve persino aumentare.— Invece rimane — e indicò le sedie.I due Purdy sedettero.— Io non dirò niente con un negro che sta a sentire — disse a sua

volta Delores.Gillespie la ignorò. — Abbiamo parecchie cosette da chiedervi e

gli esami medici richiederanno molto tempo — avvertì. — Volete dirmi qualche cosa, prima di incominciare?

Seguì un lungo silenzio. Gillespie si appoggiò allo schienale della poltrona, che scricchiolò sotto il suo peso, poi fu di nuovo silenzio. Delores si contorse sulla sedia, si aggiustò la camicetta, poi disse: — Forse mi pare di aver fatto uno sbaglio.

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— Sappiamo che sbaglio è. Ce ne avete parlato l’ultima volta che siete stata qui — ribatté Gillespie.

Delores attese che alla sua mente tarda venissero le parole giuste. — Voglio dire che... mi pare che non fosse lui.

— Volete dire il signor Wood? — fece Gillespie.— Già, lui.Suo padre si schiarì la gola e intervenne. — Vedete, Delores non

dorme troppo bene la notte, certe volte. Ha visto la macchina della polizia che passava e sapeva chi c’era dentro. Poi, quando è tornata a dormire, se l’è sognato, e così le è venuta l’idea.

— Volete dire — esclamò Gillespie — che vostra figlia ha visto il signor Wood mentre faceva la sua ronda, e che poi si è sognata di avere rapporti sessuali con lui?

I lineamenti del vecchio Purdy si contrassero prima che rispondesse. — Già, qualcosa del genere.

Gillespie si piegò in avanti. — Stento proprio a credere che una ragazzina come Delores sogni cose come questa con tanto realismo da venir poi qui e sporgere formalmente querela. Se fosse stata più giovane di qualche mese soltanto, avrebbe fatto rischiare la pena di morte a un uomo.

— Be’, questo non è accaduto — scattò il padre. — Delores ha un’età che può fare quello che vuole.

— Adesso non mi dovranno più visitare, eh? — domandò Delores.

— No — rispose Gillespie. — Se affermerete, qui, alla presenza di testimoni, che le accuse contro il signor Wood sono infondate, non ci sarà bisogno di visite mediche.

— E poi, adesso non potreste, ad ogni modo — aggiunse Delores.Seguì un breve silenzio, sino a quando Tibbs prese la parola. —

Avete dato prova di molto coraggio, venendo qui — disse a Delores. — Molte ragazze non sarebbero venute di loro spontanea volontà.

— Papà mi ci ha fatto venire — ammise lei, candida.— C’è qualcosa che potreste fare per aiutarci — riprese Tibbs. —

È più importante di quanto crediate. Potreste dirci come avete fatto a sognarvi del signor Wood?

— Ho detto che lei l’ha visto passare e così ci ha pensato —

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intervenne, collerico, il padre.Tibbs ignorò l’interruzione e tenne gli occhi lissi sulla ragazza.

Delores, finalmente, parve accorgersene; si riaggiustò la camicetta e per la prima volta incominciò ad apparire imbarazzata. — Bè — disse lentamente — è un bel giovanotto. Io non gli ho mai parlato, ma ho sentito che parlavano di lui. E ha un buon lavoro, un lavoro sicuro, e l’automobile, e ho pensato che forse gli sarei piaciuta, specialmente perché ho sentito dire che non ha la ragazza.

— Io sono la sua fidanzata — disse Duena.Sam guardò Duena, meravigliato e incredulo.Anche Delores guardò Duena. Quando distolse gli occhi da lei e

tornò a fissare Gillespie, era così stordita da non capire cosa accadeva attorno a lei, e pronta a dire o fare tutto ciò che avessero voluto.

— Lui non può sposare la mia bambina; è troppo vecchio — osservò Purdy.

Gillespie prese una decisione. — Poiché avete ritirato spontaneamente le accuse, riterrò l’incidente chiuso. Questo non significa che il signor Wood non vi possa querelare per diffamazione, e probabilmente lo farà.

— Non intendo querelare nessuno — intervenne Sam.Purdy si rivolse alla figlia. — Andiamo a casa — e si alzò.

Delores fece altrettanto, poi si voltò e fece del suo meglio per sorridere a Sam. — Mi dispiace tanto — gli disse.

Sam si rammentò di essere un gentiluomo e si alzò in piedi, imitato da Tibbs. Endicott rimase seduto. Senz’altre parole, i due Purdy se ne andarono, ma ci volle un po’ prima che l’atmosfera, nell’ufficio, tornasse normale.

— E adesso cosa c’è ancora? — domandò Gillespie.Gli rispose Tibbs. — Finiamo di scagionare il signor Wood.

Desiderate chiarire altri particolari, prima di poterlo rilasciare?— Sì — rispose Gillespie. — Voglio che mi dica dove ha preso i

seicento dollari in più, coi quali ha pagato la sua ipoteca.Tibbs parlò prima che Sam avesse il tempo di rispondere. —

Credo di poter rispondere io. Alla banca, vi dissero che il signor Wood aveva portato quei soldi in contanti, ma non vi dissero che

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genere di contanti.— Il contante è contante — replicò Gillespie.— Non in questo caso — rispose Tibbs. — Quando io lo chiesi,

mi dissero che quel contante era, per la maggior parte, in spiccioli. C’erano anche biglietti, ma nessuno superava i cinque dollari.

La verità incominciava a farsi avanti. — Volete dire che lui li metteva da parte un po’ alla volta? — domandò Gillespie.

— Proprio così — rispose Tibbs. — Non era la cosa migliore, perché avrebbe potuto depositarli, e guadagnare, con gli interessi, circa diciotto dollari l’anno; e il suo denaro sarebbe stato più al sicuro. Io penso che li accumulasse sin da quando era entrato nella polizia.

— Cercavo di metter via cinquanta centesimi al giorno — ammise Sam.

— In realtà, siete riuscito a metter via qualcosa di più — obiettò Tibbs. — Circa quattro dollari la settimana. Ma perché non li avete depositati in banca?

— Volevo metterli via a poco a poco.— Ad ogni modo, questo chiarisce ogni dubbio disse il negro. —

È libero, adesso?Gillespie guardò Endicott prima di rispondere. Il Capo della

polizia pareva svuotato di ogni energia — Credo di sì — disse alla fine.

— Allora, desidererei che lo riammetteste subito in servizio, in modo che possa riprendere la sua ronda questa notte — concluse Tibbs.

— Preferirei passare una notte a casa mia — pregò Sam.— Credo che sia molto importante che facciate il vostro servizio,

questa notte — insistette Tibbs. — E se non avete niente in contrario, verrò insieme con voi. — Poi, a Gillespie: — Ve lo prometto: a meno che non capiti niente di imprevedibile, prima di domattina il signor Wood arresterà l’assassino di Enrico Mantoli.

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13

Quando Sam uscì all’aperto, provò la sensazione di aver vissuto un brutto sogno; rabbia, umiliazione, desiderio di vendetta, erano svaniti, e lui si trovava nelle stesse condizioni in cui era prima che tutto iniziasse. Ma c’era una cosa: Duena Mantoli era stata fra le sue braccia, l’aveva baciata e, in presenza di testimoni, lei aveva detto di essere la sua fidanzata.

Naturalmente, non lo era, e Sam lo sapeva. Lei l’aveva detto solo per mettere in imbarazzo Delores, e c’era riuscita. Per alcuni istanti Sam volle credere che fosse vero, ma poi smise di fantasticare e rammentò che era l’ora di cena; andò all’unico ristorante dove cuocevano bistecche mangiabili e ne ordinò una. Il proprietario del locale venne a salutarlo. — Sono lieto di rivedervi, signor Wood.

Sam comprese il significato di quelle parole. — E io sono contento di essere qui. Volete dire al cuoco che veda di prepararmi una bistecca di quelle buone?

— Già fatto — rispose l’altro. — Dicevo, vorrei chiedervi una cosa, ma non rispondetemi, se non volete. Però, ne parla tutta la città. Cosa c’è stato con quel poliziotto negro che lavora con voi?

— Virgil? — domandò Sam. — Cosa c’è che non va?— Be’, come è potuto accadere che...— È uno specialista in casi di omicidio. È capitato qui per caso, e

il Capo l’ha messo subito alla prova. Ecco tutto.— Dev’essere dura per voi — azzardò il proprietario.— Invece proprio no. È più scaltro del diavolo, e mi ha tirato fuori

dei guai. — Sam si sentì subito fiero di aver preso le difese dell’uomo che l’aveva aiutato.

— Sì, ma questo non significa che non sia un sacco di carbone! — insistette l’altro.

Sam mise le mani distese sul banco e se le fissò.— Virgil non è un sacco di carbone. Sarà un negro, sarà nero, ma

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non è un sacco di carbone, e io ho conosciuto un mucchio di bianchi che non sono bravi come lui.

Il proprietario fece subito marcia indietro. — Alcuni di loro sono bravi, lo so. Uno ha scritto persino un libro. Ma ecco la vostra bistecca. — Il proprietario curò di persona che fosse servito bene, portò la boccetta della salsa, poi disse ai camerieri che il signor Wood doveva essere scusato per tutto quello che avrebbe detto, perché aveva avuto un’esperienza terribile.

Finito di mangiare, Sam andò a casa, aprì le finestre per dar aria, si tolse l’uniforme, la controllò, fece la doccia e la barba e poi si allungò sul letto per concedersi un po’ di riposo. Tibbs aveva detto che, quella notte, lui avrebbe arrestato un assassino, ma la cosa gli pareva inverosimile; e intanto le palpebre si appesantivano. Si ridestò al trillo della sveglia che suonava le undici.

Al Comando, Sam trovò Tibbs che lo aspettava. Il piantone fece del suo meglio, per comportarsi come se nulla fosse accaduto. Sam prese le chiavi e il blocco dei moduli, poi si rivolse a Tibbs. — Andiamo? — E quando furono sull’auto, domandò: — Dove si va, Virgil?

— Dove volete — rispose l’altro. — Per me, non fa differenza. Basta che non passiamo davanti alla casa dei Purdy, questa notte. Ne ho avuto abbastanza.

Sam formulò la domanda che aveva avuto in mente per tutta l’ultima ora. — Credete che l’assassino di Mantoli sarà in giro, questa notte?

— Ne sono quasi sicuro — rispose Tibbs.— Allora, forse, sarebbe meglio andare a vedere dagli Endicott, se

tutto è in ordine.— Sono sicuro che là tutto è a posto. Andiamo pure su, se volete,

ma io credo che sarebbe meglio rimanere in città.— Volete dirmi qualcosa, adesso? Avete detto che dovrò

arrestarlo io, quel tale.— Preferirei non dirvi nulla, Sam. Se lo facessi, potreste tradirvi

in qualche modo, magari nel momento decisivo. Controllarvi come se non sapeste nulla, far finta di niente, è quasi impossibile, quando

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ve lo avessi detto. Prima che sia il momento, in meno siamo a sapere, meglio è.

— Ma non possiamo fare niente, adesso?Tibbs guardò fuori del finestrino. — Senza offesa, Sam. Volete

fidarvi di me e lasciar che sia io a dirigere questa faccenda? Vi prometto che ci sarete anche voi, quando accadrà. In verità, intendo sistemare tutto in modo che possiate arrestarlo voi.

— Va bene, Virgil. — Sam era contrariato.La notte non gli era mai sembrata tanto lunga. Parlarono della

California, e della vita sulla costa del Pacifico, che Sam non aveva mai visitato; parlarono di baseball e di pugilato. — È un mestiere infernale per guadagnarsi da vivere — commentò Tibbs. — Conosco alcuni pugili, e quello che devono sopportare è tremendo. Il brutto viene dopo l’ultimo round, finiti gli evviva, se ce ne sono, e si va negli spogliatoi, dove vi aspetta il medico, che deve ricucire ferite, suturare.

— Virgil, io mi sono chiesto tante volte come mai ci sono tanti pugili negri. È perché sono più bravi, o perché per loro è più facile?

— Se è più facile per i negri, io non so in che modo. Una volta, parlai con un pugile negro che aveva avuto un incontro nel Texas e le aveva prese, benché avesse combattuto meglio che poteva. Ad ogni modo, quando il medico gli suturò una ferita, gli fece tanto male che lui urlò, e il dottore disse che non aveva creduto di fargli male, perché era un negro.

A Sam tornò in mente una conversazione con Ralph; gli pareva che avesse avuto luogo settimane prima, ed era stato soltanto la notte del delitto. — E quei due che vi hanno aggredito? — domandò a un tratto. — Non ho saputo più nulla.

— Li ha fatti liberare un certo Watkins, un consigliere. Mi ha detto che, se sapevo qual era il mio interesse, dovevo star zitto, sennò, sarei stato accusato per le lesioni riportate da quello che aveva avuto un braccio rotto.

— Credete che sia stato Watkins a pagarli?— Spero di sì; così dovrà pagare le spese mediche al ferito. Ce ne

dovrebbero essere altri, fuori, a cercarmi, questa notte — disse, con la stessa noncuranza come se avesse detto che poteva piovere fra

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qualche giorno.— Vorrei proprio che ci provassero quando ci sono anch’io! —

esclamò Sam.— Anch’io — ammise subito Tibbs. — Il judo va bene sino a un

certo punto, ma quando ne hai tolti di mezzo un paio, di più non si può fare.

— C’è niente che superi il judo? — domandò Sam.— L’aikido va benissimo, specialmente quando si vuol ridurre

all’impotenza una persona, ma senza fargli male. La polizia di Los Angeles lo usa molto. Se le cose si mettono al peggio, allora il karate è utilissimo. Col karate si può anche uccidere.

— C’è gente che lo conosce, nel nostro paese?— Sì. Io ne conosco alcuni. L’allenamento è severo, ma ne vale la

pena.All’ora solita, Sam accostò al marciapiede, davanti alla farmacia

di Simon. — Possiamo star tranquilli se ci fermiamo qui, questa notte? — domandò.

— Credo di sì — rispose Virgil.Sam premette leggermente il freno e, quando la macchina rimase

ferma, prese il blocco dei moduli.— Abbiamo compagnia — annunziò Virgil.Sam guardò, sorpreso, e vide movimenti nell’ombra densa

dell’ingresso della farmacia. Una figura emerse dal buio e si diresse verso di loro. Era un uomo alto e robusto, ma camminava senza far rumore. Un istante dopo, Sam riconobbe Gillespie.

Il Capo della polizia si chinò e posò un braccio sul finestrino. — Come va, ragazzi? — domandò.

Sam si sentiva la lingua inaridita; era difficile rispondere. — Per ora, va bene. Ho visto luci accese in due o tre case, ma nessun guaio.

Gillespie aprì lo sportello posteriore. — Credo proprio che farò un giretto con voi — disse, salendo e richiudendo. — Non c’è molto posto, qui dietro — aggiunse poi, premendo le ginocchia contro il sedile anteriore.

Sam spostò in avanti il proprio sedile per fargli più posto. — Dove volete andare?

— Non ho preferenze — rispose il Capo. — Virgil, qui, ha detto

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che vi avrebbe fatto arrestare l’assassino, questa notte, e io voglio proprio vedere.

Sam guardò di sottecchi il negro che gli stava accanto e per la prima volta comprese di aver trovato il compagno ideale, a parte il colore; Virgil aveva cervello, e Sam aveva i muscoli. Tutti e due avrebbero potuto essere necessari, prima che la notte finisse. Rimessa in moto l’auto attraversarono l’autostrada e penetrarono nel quartiere negro. Sam guidava adagio, per via dei cani; ne vide uno in mezzo alla strada e lo evitò con ogni cura.

L’officina di Jess era buia, e anche la canonica del reverendo Whiteburn; la luce, invece, ardeva nell’abitazione e ambulatorio del dottor Harding, che curava la gente di colore di Wells. L’auto rimbalzò sulle rotaie, poi Sam prese la strada che passava davanti alla casa dei Purdy; rimase qualche istante dibattuto sul da farsi, poi tirò diritto. Dopo quel che era accaduto, non c’era da attendersi novità alcuna per quella notte. La casa dei Purdy era buia e silenziosa.

— Si prova una strana sensazione a quest’ora della notte — disse Gillespie.

Sam annuì. — L’avverto sempre anch’io. C’è come un miasma, nell’aria.

— Un che cosa? — volle sapere Gillespie.— Scusate. Un non so che... una atmosfera diversa.— È quello che intendevo io — convenne Gillespie. — I Purdy

non abitano qui, nei paraggi?— Abbiamo appena oltrepassato casa loro — rispose Sam.Percorsero altri tre isolati, poi Sam fermò all’incrocio con

l’autostrada, anche se a quell’ora era quasi sempre deserta. Quella mattina c’era una macchina che veniva e Sam attese che passasse. Alla luce dei lampioni, Sam poté riconoscere l’uomo che guidava: era Eric Kaufmann, o uno che gli somigliava stranamente.

Sam girò nella direzione del ristorante. — Normalmente, a quest’ora, mi fermo per uno spuntino.

— Non ho niente in contrario — disse Gillespie.Sam accelerò e si tenne la macchina di Kaufmann in vista.

Quando furono all’inizio della città, l’auto che li precedeva rallentò e

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andò a fermarsi nel parcheggio del ristorante. Sam attese che Kaufmann entrasse, prima di parcheggiare a sua volta.

I due bianchi scesero. — E Virgil? — domandò Gillespie.— Io aspetterò qui — lo rassicurò Tibbs.— Cosa volete che vi porti? — domandò Sam.— Niente — rispose Tibbs. — Se mi occorrerà qualcosa ve lo farò

sapere.Sam e Gillespie entrarono. Eric Kaufmann sollevò gli occhi, li

vide e parve sorpreso, poi si alzò e andò a stringer loro la mano. — È proprio una piacevole sorpresa! — esclamò.

— Anche per noi — rispose Gillespie. — Come mai siete qui, a quest’ora della notte? — La domanda era stata formulata in tono amichevole, ma poteva anche significare che Gillespie voleva una risposta.

— Arrivo proprio adesso da Atlanta — spiegò Kaufmann. — Ho preso l’abitudine di viaggiare di notte. È più fresco, e sulla strada c’è meno traffico.

— Capisco — disse Gillespie. — Nessuna novità?— Sì. Sono riuscito ad assumere un direttore d’orchestra che

prenda il posto del povero Enrico. È uno dei migliori, ma non vi dirò chi è, perché voglio che sia il signor Endicott il primo a saperlo. E la vendita dei biglietti procede a gonfie vele. Il prossimo mese, avrete una gran folla, qui.

Sam sedette, chiedendosi cosa ordinare, perciò accennò a Ralph che servisse gli altri, mentre lui decideva ma tutto quello che gli veniva in mente era la promessa che, quella notte, avrebbe arrestato un assassino. Il suo giro di ronda era finito per metà, e niente era accaduto; fra poco, sarebbero comparse le prime luci del nuovo giorno e, con quelle, sarebbe scomparso l’alone di mistero portato dalle tenebre; allora, pareva a Sam, sarebbe stato troppo tardi. L’assassino aveva colpito di notte, e pareva naturale doverlo catturare di notte. Adesso, pareva persino una figura irreale, diversa dai comuni mortali.

Ma come si fa a distinguere un assassino da una persona onesta?Sam ordinò una birra e un toast, attese che Ralph lo preparasse,

poi, quando lo ebbe servito, rimase a guardarlo; si riscosse sentendo

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rumore dietro di sé.Sam si volse e vide Tibbs che se ne stava fermo contro la porta. Il

negro aveva un che di patetico in quel momento, come se si rendesse ben conto di trovarsi in un luogo in cui non aveva diritto di restare.

Ralph guardò a sua volta, e lo vide. — Ehi, voi! Fuori! — intimò.Virgil esitò, poi fece qualche passo avanti, ma lentamente, quasi

con prudenza. — Vi prego, ho una sete terribile — disse. — Vorrei solo un bicchiere di latte.

Ralph sbirciò i suoi ospiti, poi tornò a fissare Tibbs. — Voi non potete entrare qui, lo sapete. Tornate fuori. Quando questi signori avranno finito, può darsi che uno di loro si degni di portarvi fuori una scatola di latte.

— Glielo porterò io — si offerse Sam.Invece di ritirarsi, Virgil avanzò ancora nella sala a lui proibita. —

Sentite, lo so che avete delle regole, qui, ma io sono un agente come questi signori, e non ho nessuna malattia infettiva. Voglio solo sedermi e mangiare qualcosa, come gli altri.

Sam respirò profondamente, preparandosi a mettere pace. Per la prima volta dacché lo conosceva, Virgil si metteva dalla parte del torto e lui si sentiva profondamente imbarazzato. Poi, prima che potesse parlare, Ralph uscì da dietro il banco e si avvicinò a Virgil.

— Ho sentito parlare di voi — disse il garzone.— Vi chiamate Virgil, e non siete nemmeno di queste parti. So

tutto di voi. Per rispetto a questi signori, non voglio usare le brutte maniere con voi, ma dovete andarvene. Se il mio padrone sa che siete entrato qui, mi licenzia sicuramente. Uscite, vi prego.

— Perché? — domandò Tibbs.Il volto di Ralph si imporporò e la collera ebbe il sopravvento. —

Perché ve lo dico io. — E con queste parole mise le mani addosso al negro e lo spinse verso la porta.

Tibbs si girò in un lampo, afferrò il braccio teso del giovane e glielo torse dietro la schiena.

Sam non poté più trattenersi e si alzò in piedi. — Lasciatelo, Virgil. Non è colpa sua.

Parve che Tibbs nemmeno l’udisse; in lui, ogni esitazione era scomparsa. — Eccovelo qui, Sam — disse. — Potete arrestare

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quest’uomo per l’assassinio di Enrico Mantoli.

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14

Era un’alba triste, grosse nubi striavano il cielo; i colori apparivano opachi e mancava la bellezza che accompagnava solitamente il sorgere del sole: Virgil Tibbs sedeva nell’anticamera del Comando di polizia e leggeva un altro romanzo; questa volta si trattava di Anatomia di un delitto.

Erano trascorse circa tre ore quando l’uscio dell’ufficio di Gillespie si aprì; s’udì rumore di passi, poi il richiudersi della porta di una cella. Poco dopo, l’omone che comandava la polizia di Wells entrò dov’era Tibbs, sedette e accese una sigaretta.

Tibbs attese che parlasse.— Ha confessato — disse Gillespie.Tibbs depose il libro. — Ero sicuro che ce l’avreste fatta. Ha detto

anche dell’aborto?Gillespie parve sorpreso. — Sembra che sappiate tutto, Virgil.

Vorrei proprio sapere come avete fatto.— Dov’è Sam? — domandò Virgil. Era la prima volta che il

negro chiamava Sam soltanto per nome, in presenza di Gillespie.Parve che Gillespie non rilevasse quella confidenza.— È tornato a fare il suo giro di ronda. Ha detto che è il suo

dovere.— È un agente estremamente coscienzioso, e non è poco. Con la

gente che verrà qui per il festival musicale, vi servirà maggior aiuto.— Lo so — rispose Gillespie.— Pensavo che Sam sarebbe un buon sergente. La gente lo

rispetta e lui se la caverebbe benissimo.— Vorreste decidere voi al posto mio, qui? — domandò Gillespie.— No. Pensavo solo che, se decideste qualcosa del genere, Sam

ve ne sarebbe grato. In questo caso, finirebbe col dimenticare del tutto l’esperienza per la quale è passato. Scusatemi se ne ho riparlato.

Gillespie tacque per un po’. Tibbs lasciò che riflettesse. — Da

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quanto tempo sapevate che era Ralph? — domandò alla fine il Capo.— Solo da ieri — ammise Tibbs. — Ho una confessione da fare.

Per poco, combinavo un guaio senza rimedio. Vedete, sino a ieri, davo la caccia all’uomo sbagliato.

Squillò il telefono. Rispose il piantone, che poi annunziò : — È per voi, Capo.

Gillespie uscì per vedere chi chiamasse alle sette del mattino. Era George Endicott. — Ho telefonato per chiedere a che ora sareste arrivato in ufficio. Non mi aspettavo di trovarvi a quest’ora.

— Siete mattiniero, signor Endicott — osservò Gillespie.— Questa è un’eccezione. Il signor Kaufmann mi ha detto che

avete arrestato l’assassino di Enrico. Vogliate accettare le mie congratulazioni. Mi ha detto che l’avete arrestato personalmente. È stato davvero un capolavoro.

Gillespie si rammentò di alcune delle decisioni prese prima. — L’arresto è stato compiuto dal signor Wood — disse. — Io ero lì e basta. Il mio turno è venuto dopo, quando si è trattato di interrogare l’arrestato, sino a quando ha ceduto e ha confessato.

— Non lo posso credere, che voi foste lì per caso! — esclamò Endicott.

Gillespie respirò profondamente e fece una cosa che non aveva mai fatto prima. — Il merito dovete attribuirlo a Virgil. Ha fatto molto in questa faccenda.

Adesso che era fatta, doveva ammettere che, dopo tutto, non era stata così terribile. Ed Endicott veniva dal Nord, sicché era stato anche più facile.

— Ascoltate. Ne ho parlato con Grace e con Duena, e anche se non è il momento migliore, con Enrico morto da poco. Vogliamo ritrovarci tutti questa sera. Spero che anche voi sarete dei nostri.

— Con piacere.— Benissimo. E, vi prego, portate con voi anche Sam Wood e

Virgil Tibbs. Li vedrete di sicuro.Quella era più amara da ingoiare, ma Gillespie la mandò giù. —

Lo dirò anche a loro.Quando riappese, Gillespie rifletté che per due volte, in poco

tempo, aveva messo da parie i suoi pregiudizi; ormai, poteva fare tre

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e se qualcuno avesse osato trovarci da ridire, l’avrebbe messo a posto lui. Tornò in sala d’aspetto e tese la mano a Tibbs.

Tibbs si alzò e gliela strinse.— Virgil, voglio ringraziarvi per l’aiuto che ci avete dato.

Scriverò una lettera al vostro Capo, e lo ringrazierò per avervi permesso di restare qui, e gli dirò che avete fatto un ottimo lavoro.

Gillespie lasciò la prima mano di negro che avesse mai stretto; quando guardò Tibbs, vide che il negro aveva gli occhi umidi e ne fu sorpreso.

— Siete un uomo da ammirare, signor Gillespie — disse il negro, con voce che tremava un poco.

Fu in quel momento che Gillespie si rammentò una frase famosa; la rammentò perché l’aveva odiata. — Voi fate onore alla vostra razza — disse. — Intendo, la razza umana.

Alle sette e mezzo, quella sera, Gillespie prese Sam e Virgil al Comando di polizia e li fece salire nella sua auto personale. Tibbs salì dietro. La conversazione languì, mentre salivano la strada diretti alla casa degli Endicott; nessuno di loro aveva dormito molto, ma l’invito non si poteva rifiutare. Gillespie si domandava come si sarebbe sentito a un ricevimento, con un negro fra gli ospiti.

Quando arrivarono, Grace li ricevette e li introdusse nel grande soggiorno.

La sala era abbastanza affollata. C’erano Jennings, il direttore della banca, con la moglie; Kaufmann, Duena e i signori Schubert.

Sam si accorse appena della presenza di tutte le altre persone, ma vide soltanto nettamente Duena, la cui bellezza, quella sera, gli toglieva quasi il respiro; rimase impacciato nel mezzo della sala, incapace di levarle gli occhi di dosso e ripetendosi che l’aveva tenuta tra le braccia, che l’aveva baciata. Pur vivido com’era, quel ricordo, aveva sempre un che d’irreale.

George Endicott chiese silenzio e quando l’ebbe ottenuto si alzò in piedi, tenendo gli occhi fissi sul bicchiere che aveva in mano. — Questo è un caso piuttosto strano — incominciò. — Però, io e Grace abbiamo pensato di invitarvi qui, perché, malgrado la grande disgrazia abbattutasi su di noi, abbiamo alcune cose da festeggiare.

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Abbiamo un direttore d’orchestra per il nostro festival, e voi sapete già chi è. I biglietti sono quasi esauriti. L’orchestra ha terminato le prove generali. Il signor Kaufmann, che ha assistito alle prove ieri, mi assicura del successo del nostro festival, e io voglio pregarlo di essere lui a dirigere l’orchestra, almeno per una sera.

Scoppiò un breve applauso. Kaufmann arrossì, si riprese e disse: — Ne sarò lieto.

— Poi, abbiamo pensato a un nome per il nostro teatro all’aperto. Considerato che si è realizzato solo grazie alle energie che ad esso aveva dedicato un uomo, al suo entusiasmo, la commissione ha deciso, questo pomeriggio, di chiamarlo “Arena Mantoli”.

Tutti guardarono Duena. La ragazza si nascose il volto fra le mani e tacque.

— Sono sicuro che Duena vorrà inaugurarlo — continuò Endicott. — Adesso, veniamo al terzo motivo di compiacimento: il modo come la nostra polizia, aiutata da un uomo di talento, è riuscita ad assicurare alla giustizia il responsabile del disastro che incombeva su di noi. Io non so come sia stato possibile, e vorrei proprio che qualcuno ce ne parlasse: però, se il momento non è mal scelto.

— Vorrei sapere anch’io — disse Schubert.— Allora, Gillespie... — invitò Endicott.In un momento di rara lucidità, Gillespie comprese che non poteva

accontentarli, semplicemente perché non sapeva com’era andata. Mostrarsi ignoranti in quel momento, non c’era nemmeno da pensarci. Gillespie comprese che la cosa migliore da fare era quella di attribuire il merito a chi spettava, e che la sua stessa reputazione ne avrebbe guadagnato.

— Il signor Wood e il signor Tibbs hanno svolto le indagini che hanno portato all’identificazione del colpevole — disse. — Vi suggerirei di chiedere a loro.

“Questo”, pensò Gillespie “dovrebbe mettere Sam in buona luce agli occhi di Endicott.”

George si rivolse a Sam. — Signor Wood?— Domandatelo a Virgil — rispose Sam, con umiltà genuina. —

È lui che l’ha scoperto.— Signor Tibbs, la parola a voi — disse Endicott, rivolgendosi al

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negro che se ne stava in disparte. — Ho saputo che ci lascerete questa notte. Non vorrete andarvene senza dirci com’è andata.

Tibbs guardò Gillespie.— Tocca a voi, Tibbs — disse il Capo.— Sono imbarazzato — ammise Tibbs.— Non siate così modesto — lo incoraggiò Endicott. — So che

godete di un’ottima reputazione in California. Un successo, non è cosa nuova per voi.

— Non si tratta di questo. Il fatto è che non posso nascondere l’errore madornale che stavo per commettere. Più che merito mio, è stato il caso che mi ha messo sulla traccia giusta e ha salvato tutto.

— Lasciate che siamo noi a giudicare — disse Jennings.Tibbs respirò profondamente. — Quando viene commesso un

delitto, la prima cosa da farsi è quella di cercare il movente, se è possibile. Quando si è scoperto chi poteva trarre vantaggio dalla morte della vittima, si ha, almeno, un punto di partenza. Questo, nel caso in cui manchino tracce precise, che sarebbe facile seguire.

“Quando il Capo della polizia Gillespie mi incaricò di queste indagini, appresi alcuni particolari, e mi misi al lavoro cercando di stabilire quale fosse stato il movente del delitto. Ora, temo di dover irritare voi tutti, e il signor Kaufmann in modo particolare, e mi chiedo se potrà mai perdonarmi. Vedete, per diversi giorni l’ho ritenuto colpevole e ho fatto del mio meglio per provare che lo era.”

Tibbs guardò il giovane direttore d’orchestra, il cui volto era una maschera. Anche Sam lo guardò, e dovette riconoscere che era impossibile immaginare cosa pensava. Ma Sam non era sorpreso, perché, anche se non capiva ancora per quale ragione, lui pure aveva sospettato di Kaufmann.

— Vedete — riprese Tibbs — il signor Kaufmann poteva avere una ragione valida: la scomparsa del maestro Mantoli gli offriva la possibilità di sostituirlo, coi vantaggi finanziari che ne sarebbero derivati. Tanti uomini hanno ucciso per molto meno. Debbo dire che il signor Kaufmann dimostrò tempestivamente l’infondatezza di questo sospetto trovando un direttore d’orchestra abbastanza rinomato.

“A questo punto, diventava difficile sospettare il signor

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Kaufmann, ma anche scagionarlo completamente. Vedete, in mia presenza, quando venni qui per la prima volta, lui disse che il signor Mantoli era stato colpito mortalmente. Ora, i giornali non erano ancora usciti col resoconto del delitto e il signor Kaufmann era venuto qui direttamente da un’altra città. Per quanto doveva saperne lui, il maestro avrebbe potuto essere stato avvelenato, ucciso a colpi di pistola o in altri cento modi diversi. Io pensai che questo era un motivo ragionevole per sospettarlo e lo tenni d’occhio. Commisi un errore: dimenticai che colpito a morte può avere più di un significato”.

— Forse preferiresti non ascoltare? — domandò Grace a Duena.La ragazza scosse il capo senza togliere gli occhi di dosso a Tibbs.— Poi c’è la faccenda della torta di ciliegie — riprese Tibbs. —

Quando verificai le affermazioni del signor Kaufmann, dovetti ammettere che non era possibile stabilire con esattezza l’ora del suo arrivo ad Atlanta, in quella notte fatale, ma seppi che si era lamentato col fattorino dell’albergo, di aver mangiato della torta di ciliegie, e questo aveva tutta l’aria di un alibi preparato a bella posta. E siccome non era possibile provare che si era fermato veramente per fare uno spuntino, il sospetto diventava anche più logico. Inoltre, il signor Kaufmann, affermando di essersi fermato a mangiare, allungava la durata del viaggio di circa un’ora. Insomma, il fatto della torta a quell’ora strana, il fatto che l’avesse menzionata quasi di proposito al ragazzo dell’albergo, in modo che quest’ultimo potesse riferirne poi, se interrogato, destarono i miei sospetti, tanto più che il signor Kaufmann non aveva alcuna ragione per pensare che il ragazzo non avrebbe ricordato esattamente l’ora del suo rientro. Insomma, mi ero convinto di aver trovato il mio uomo e cercai di incriminarlo con una specie di gioia vendicativa.

— Non posso biasimarvi davvero — lo interruppe Kaufmann. — Voi non potevate immaginare quanto mi piacciano i dolci, e che ne mangio sempre, anche quando sarebbe bene farne a meno.

— Siete molto generoso — disse Tibbs. — Appena fui convinto di aver trovato il colpevole, non mi resi più conto di quel che accadeva intorno a me.

— Ma niente affatto! — esclamò Sam. — Vi siete accorto persino

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della poca polvere che c’era sulla mia auto, e ne avete tratto delle conclusioni sbalorditive.

Gillespie non voleva farsi prendere la mano.— Vi siete accorto anche che Harvey Oberst era mancino.— È vero. Ma non mi accorsi di ciò che era più importante.

Mentre davo la caccia al signor Kaufmann, trascuravo ogni altro indizio. Insomma, cercavo di far in modo che le prove corroborassero il sospetto, invece di vedere se il sospetto era suffragato da quelle; e questo è un errore imperdonabile.

“Alla fine, feci ricercare l’arma del delitto, e fui fortunato, perché la trovarono e me la consegnarono. — Tibbs respirò profondamente prima di continuare. — L’avevano trovata sul limitare del teatro, all’aperto, e questo, se non poteva ritenersi una prova convincente, rafforzava i sospetti sul conto del signor Kaufmann. Giunto a quel punto, ritenevo di aver prove a sufficienza, ma nessuna che potesse essere ritenuta decisiva in un processo. E più riflettevo, più ero spinto a dubitare, perché il signor Kaufmann era innocente e prove sicure non potevano esservene.

“Quando venne arrestato Harvey Oberst, sospettato del delitto, appresi da lui che c’era a Wells una ragazza di quelle che hanno l’abitudine di mettere nei pasticci quanti hanno la disgrazia di conoscerle. Parlo di Delores Purdy. Io trascurai questa informazione, senza comprendere che tutto il mistero si imperniava attorno a lei. Poi Ralph accusò formalmente un rispettabile ingegnere missilistico che si era trovato a passare per caso da Wells. Era un indizio troppo labile per consentire un arresto, ma l’accusa del ragazzo poteva sembrare il tentativo di intorbidire le acque, come era, infatti. Così, per la prima volta, incominciai a sospettare del giovanotto. Però, non vedevo ancora alcun legame fra lui e Delores.”

— Ma c’era, questo legame? — domandò Duena.Tibbs annuì. — Il signor Purdy lavorava di notte. Ralph

conosceva Delores e incominciò a farle visita quando il padre della ragazza era assente. A quanto pare, la signora Purdy si preoccupa poco dei suoi figli e li sorveglia anche meno. Ralph e Delores avevano molto in comune: hanno ricevuto poca istruzione entrambi, hanno gli stessi pregiudizi, entrambi sono poco intelligenti. Inoltre,

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tutti e due erano in cerca di sensazioni eccitanti. Circa sei settimane fa, due mesi fa, forse, ebbero rapporti intimi, e poco dopo Delores credette di essere in stato interessante. Quando Ralph tornò, lei glielo disse e gli chiese di aiutarla.

“Ralph ne fu spaventato. Credeva che Delores avesse sedici anni e ne sapeva abbastanza per capire in che genere di guaio si era messo; inoltre, temeva il padre di Delores. Fece quello che fanno infiniti altri che si trovano nei pasticci: cercò una via d’uscita, ma sapeva che sarebbe stato difficilissimo trovare un medico rispettabile disposto a procurare un aborto; comunque, pensava che ne avrebbe trovato facilmente uno se avesse avuto abbastanza denaro.”

— Incomincio a vederci chiaro — disse il sindaco.— Mentre Ralph seguiva questa strada. Delores ebbe un’idea tutta

sua. Ralph non era un gran che, come partito per il matrimonio, ma lei credeva di conoscere un uomo che poteva esserlo.

Duena Mantoli guardò Sam, ma senza tradire le intime emozioni. Per Sam fu come la scossa elettrica: si afferrò più stretto ai braccioli e cercò di ricomporsi.

— Il signor Wood, nel suo giro di ronda, passava quasi tutte le notti davanti a casa sua e lei fece in modo che lui la vedesse nuda, sicura che non avrebbe mancato di notarla e, magari, si sarebbe fermato per parlare, forse soltanto per avvertirla di essere più discreta. Ad ogni modo, riteneva che il suo fascino, rivelato a quel modo, sarebbe stato irresistibile. E una volta che il signor Wood si fosse compromesso in qualche modo, lei avrebbe affermato che era il padre del suo bambino, l’avrebbe costretto a sposarla e avrebbe potuto farsi una buona posizione. Ma il signor Wood è abbastanza intelligente e onesto; comprese in che rischio si sarebbe messo se si fosse fermato; perciò tirò diritto e il piano di quella ragazza fallì.

Sam si accorse che tutti gli occhi erano fissi su di lui; sapeva di non aver pensato a quelle possibilità, quando era accaduto, ma dopo tutto, si era comportato esattamente così e poteva lasciarglielo credere.

— Poi accadde ciò che mi costrinse a seguire la pista giusta. Il signor Gillespie, in base ad alcune prove che aveva scoperto, arrestò il signor Wood come sospetto del delitto. Adesso, il mio primo

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dovere diventava quello di dimostrare l’innocenza del signor Wood, di farlo liberare, più che di dimostrare la colpevolezza del signor Kaufmann e farlo arrestare.

E qui, la signorina Purdy venne in mio aiuto! Ritenendo il signor Wood nei pasticci, lo accusò immediatamente di aver avuto contatti con lei, credendo che lui fosse in condizioni tali da non poter smentirla.

— Proprio una brava ragazza! — commentò il signor Jennings.— Proprio — convenne Endicott. — Ma ce ne sono tante come

lei.Tibbs continuò. — Il signor Wood mi diede un indizio che

portava diritto alla casa dei Purdy e io mi interessai a quella ragazza. Grazie alla prontezza di spirito del signor Gillespie, potei ascoltare una conversazione fra lui, la ragazza e il padre; così, intesi Delores accusare il signor Wood di essersi recato più volte da lei, di notte. Non era vero, naturalmente, ma allora mi ricordai che c’era un’altra persona che andava a lavorare di notte, ed era più probabile che questa fosse la persona che aveva rapporti intimi con la ragazza. Si trattava di Ralph. Poi rammentai che il ragazzo aveva cercato di accusare un innocente, in un modo che aveva del cervellotico.

“Ormai i pezzi del mosaico incominciavano ad andare a posto. Controllai, e trovai sei persone che avevano visto il signor Wood compiere il solito giro di ronda, la notte del delitto. Quattro persone acconsentirono a ricevermi e, in sostanza, mi fornirono un alibi abbastanza solido per il signor Wood. Trovai queste persone quasi per caso, perché avevo notato la luce accesa nelle loro case la notte in cui andai di ronda col signor Wood. Poi compresi che la persona che aveva messo il corpo del maestro Mantoli in mezzo alla strada doveva avere un’idea abbastanza precisa del traffico notturno in quella parte della città e a quell’ora, e Ralph doveva essere in queste condizioni. Infine compresi l’importanza che aveva avuto il caldo di quella notte.”

— Volete dire che il caldo di quella notte ebbe qualcosa a che fare col delitto? — domandò Schubert.

— Esattamente, e per due ragioni, e tutte e due tendevano a fornire Ralph di un alibi al quale certamente lui non aveva nemmeno

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pensato. Appena ricordai il caldo di quella notte, capii di aver trovato il mio uomo. Il movente l’avevo appurato, la possibilità c’era stata e il comportamento dell’individuo combinava con quello di un eventuale colpevole.

— Ma cosa fece Ralph, esattamente? — domandò Endicott.— Uscì di casa presto per recarsi al lavoro, ma prima andò da

Delores. Lei gli disse chiaro e tondo che doveva assumersi le sue responsabilità, oppure doveva affrontare le conseguenze e lui pensò che, per togliersi da quell’imbarazzo, tutto quello che gli ci voleva era il denaro; ma lui non ne aveva e la sua paga non bastava. Era con le spalle al muro, o così credeva.

— Ma non era vero niente, che la ragazza stesse per diventare madre! — osservò Duena.

— Sì, è così! — ammise Tibbs. — Come avete fatto a capirlo?— Il giorno che la vidi, al Comando di polizia, quando seppe che

non l’avrebbero visitata, il suo sollievo fu fin troppo evidente. Voleva solo essere lasciata in pace, e disse pure che, in quel momento, non avrebbero comunque potuto visitarla.

— Continuate — disse Gillespie.— Quella notte, Ralph passò con l’auto per l’autostrada, e intanto

pensava a escogitare qualcosa per liberarsi da quel pasticcio; la sua conclusione fu che doveva derubare qualcuno, ma chi? Pochi minuti prima, il signor Endicott aveva lasciato il maestro Mantoli al suo albergo, un albergo di seconda categoria, privo di aria condizionata. Forse, tutto preso dall’euforia del concerto che stava organizzando, il maestro capì che non avrebbe potuto prendere subito sonno e decise di fare una passeggiata. Rammentate che vi chiesi se era solito alle decisioni impulsive? In quell’occasione, vi chiesi pure se era facile alle amicizie e se avrebbe sdegnato l’amicizia di una persona di condizione sociale inferiore alla sua.

— E io vi dissi che era impulsivo, ma che non aveva pregiudizi sociali ed era facile alle amicizie — disse Duena.

— Infatti. Allora compresi com’era andata. Ralph, in macchina, incontrò il maestro e lo riconobbe facilmente, perché era un uomo che si notava subito, almeno in questa cittadina. Ralph pensò che quella era l’occasione sperata; allora offerse un passaggio al maestro.

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“Quando mi dissero che l’arma del delitto era stata ritrovata nei pressi dell’arena, i miei sospetti sul signor Kaufmann aumentarono, ma mi sbagliavo. Quella notte, il maestro voleva rivedere il teatro, perché aveva discusso a lungo i piani del festival e voleva controllare ancora una volta. Forse, Ralph gli disse che desiderava vederlo anche lui, e il maestro si offerse di mostrarglielo.

“Così, andarono al teatro, il maestro per la ragione che ho detto, Ralph per derubarlo. I due uomini scesero e si fermarono sul limitare dell’arena. In quel periodo, stavano sistemando i sedili, e per terra dovevano esserci molti pezzi di legno usati come zeppe sotto le sedie. Ralph ne afferrò uno e credette di poter stordire il maestro colpendolo alla nuca. Certamente, non intendeva uccidere.”

— Così, in parte, fu una fatalità? — balbettò Duena.— Sì. Rapina a mano armata e omicidio preterintenzionale.

Quando il maestro cadde, Ralph ne fu terrorizzato e il suo primo impulso fu quello di portare da un medico l’uomo che aveva colpito. Sudava freddo ed era spaventato da morire. Riportò il maestro sull’auto e tornò in città. Prima ancora di arrivare in centro, aveva avuto modo di rendersi conto di quel che aveva fatto; si fermò in una via secondaria, prese dal portafogli della sua vittima il denaro che gli occorreva per risolvere il problema più urgente, poi gettò il corpo in mezzo all’autostrada e accanto al corpo mise anche il portafogli. Infine, andò al lavoro in ritardo, cosa che gli accadeva regolarmente due o tre volte la settimana.

— Ma perché proprio in mezzo all’autostrada? — domandò Grace.

— Sperava che ne avrebbero incolpato un automobilista pirata.— E il caldo? — domandò Endicott.— Oh sì. Ebbe due effetti, favorevoli a Ralph: primo, mantenne il

traffico quasi a zero, secondo, ritardò la scoperta del delitto.— Aspettate un minuto — interruppe Frank Schubert. — E

l’ingegnere missilistico?— Nessuno chiese al signor Gottschalk a che ora fosse passato di

qui. Ralph affermò che erano passati circa tre quarti d’ora prima che il signor Wood trovasse il corpo del maestro, e l’ingegnere non protestò perché ignorava l’ora del ritrovamento. Ad ogni modo,

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passò di là, mentre Ralph derubava la sua vittima. Ralph vide la macchina, la notò e, quando il signor Gottschalk si fermò al ristorante, nel viaggio di ritorno, la riconobbe, chiamò la polizia con la speranza che l’ingegnere venisse arrestato sotto l’accusa di aver investito il maestro e di essere fuggito.

Grace Endicott scosse il capo. — Che mente infernale deve avere quel ragazzo! Non posso crederci. Dev’essere un animale.

— Sentiamo il resto sul caldo della notte — disse Gillespie.— Ci arrivo. La temperatura eccezionale diede un alibi insperato a

Ralph. Quando arrivò il medico, stimò nel modo usuale l’ora del decesso, cioè tenendo conto del calore perduto dal corpo della vittima, ma trascurò il caldo eccezionale di quella nottata e così sbagliò grossolanamente. Il caldo di quella notte aveva mantenuto il corpo a temperatura quasi normale, e solo dopo che ebbi capito ciò, l’alibi di Ralph poté essere smontato.

Tibbs apparve improvvisamente molto stanco. — Questo è quasi tutto. Io entrai nel ristorante e domandai un bicchiere di latte. Se gliene avessi chiesto una scatola, forse me l’avrebbe data; ma l’idea che io potessi bere a un bicchiere lo fece andare in bestia e, quando mi mise le mani addosso, potei afferrarlo. Non avrei dovuto comportarmi così, ma era una soddisfazione che desideravo. Mi disprezzava tanto per il colore della mia pelle, che ho voluto dargli una lezione. È stato puerile da parte mia, ma non ho potuto evitarlo.

Bill Gillespie accompagnò Tibbs alla stazione e, dopo aver parcheggiato, prese la valigia del negro. Tibbs comprese e lo lasciò fare.

Gillespie fece strada sino alla pensilina e depose la valigia accanto all’unica panca che offriva ben poco conforto a coloro che avevano la disgrazia di dover aspettare. — Virgil, vorrei tenervi compagnia, ma sono stanco morto — disse il Capo della polizia. — Vi dispiace se vado a casa?

— No, certo, Capo Gillespie. — Tibbs attese un attimo prima di continuare. — Credete che vada bene se mi siedo qui ad aspettare? È una bella nottata.

Gillespie sapeva senza bisogno di guardare che la panchina era

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riservata ai bianchi e recava la scritta relativa. Tuttavia, era passata la mezzanotte e la stazione era deserta.

— Non credo che abbia importanza — rispose. — Se qualcuno vi farà osservazione, ditegli che ve l’ho permesso io.

— Bene — disse Tibbs.Gillespie fece due passi, poi si voltò. — Grazie, Virgil.— È stato un piacere, Capo.Gillespie avrebbe voluto dire qualcosa ancora; tentò, ma non vi

riuscì. L’uomo che aveva di fronte era un negro e la luce lunare accentuava il contrasto che gli occhi bianchi facevano su quel volto.

— Be’, buona notte — si limitò a mormorare.— Buona notte, signor Gillespie.Il Capo pensò di stringergli la mano, ma poi non ne fece niente.

Gliel’aveva già stretta una volta, e poteva bastare; farlo ancora, magari, sarebbe parso un’ostentazione. Gillespie uscì e risalì in macchina.

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Postfazione

A cena con Virgil Tibbs

La signora Diane Stone, segretaria di Robert McGowan, Capo del Dipartimento di Polizia di Pasadena, era al telefono. “Il capo ha dato il benestare perché le vengano forniti i particolari del caso Morales” mi disse. “L’autorizza, se vuole, a procedere fin d’ora nel lavoro.”

Certo che lo volevo: il modo in cui il caso era stato dipanato attraverso il lavoro d’indagine paziente e intelligente del dipartimento in generale, e di Virgil Tibbs in particolare, non avrebbe richiesto abbellimenti per essere narrato. Come faccio sempre in circostanze del genere, telefonai a Virgil e gli proposi un incontro. Due sere dopo eravamo seduti a cena, insieme, in uno dei migliori ristoranti di Pasadena.

Nonostante il fatto che le luci erano talmente tenui da richiedere che il menu venisse scritto in Braille, l’atmosfera invitava alla conversazione. Il tempo necessario perché la prima portata ci venisse messa davanti, e noi avevamo già esaminato nei particolari il caso Morales. Anzi, Virgil m’aveva messo al corrente su diversi punti che, in precedenza, non erano stati resi pubblici. Come sempre, aveva accettato di non pubblicare niente se prima il dipartimento non avesse preso visione del manoscritto e dato la sua approvazione ufficiale. Tale procedimento serviva a eliminare possibili errori e accertava inoltre che non avessi, senza volerlo, incluso elementi che erano ancora confidenziali.

“Quando hai avuto l’intuizione che si trattava di omicidio?” domandai.

“Quando ho scoperto che il televisore era sintonizzato su un certo canale” rispose Tibbs. “Al momento della morte di Morales, stavano trasmettendo la partita di pallacanestro. A prima vista, la cosa poteva sembrare normalissima, ma quando ho indagato su quel punto, ho

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scoperto che Morales non aveva nessun interesse per il basket e che non capiva niente del gioco. Alla stessa ora su un altro canale, veniva trasmesso invece un programma che lui seguiva regolarmente, per cui era chiaro che qualcosa non quadrava.”

La cameriera ci portò del tè ghiacciato e io presi a rimescolare il mio.

“Ho avuto una lettera da Otto Penzler” dissi.Virgil assentì. “Autore, insieme a Steinbrunner,

dell’Encyclopaedia of Mystery and Detection? Ne ho anch’io una copia.”

“Otto mi ha chiesto di tracciargli un tuo profilo. Quanto mi autorizzi a dirgli?”

A questo punto, dovrei inserire una nota. Virgil Tibbs è un uomo fondamentalmente riservato, a volte quasi schivo. La sua modestia è autentica. Più di una volta mi ha fatto capire che i miei resoconti dei casi da lui risolti gli hanno procurato un certo imbarazzo. D’altra parte, il Capo McGowan è del parere che questi libri aiutino a spiegare al cittadino medio l’importanza della polizia, e a dimostrare come funzioni un dipartimento di polizia illuminato e moderno. È facile prevedere il risultato di tali differenze d’opinione.

“So bene che hai McGowan dalla tua” disse Tibbs. “Altrimenti, nonostante la nostra amicizia personale, ti avrei pregato di lasciar perdere. D’accordo: sono nato nel profondo Sud, come ben sai. Avevo cinque anni, ricordo, quando mio padre mi fece sedere accanto a lui, in un bel pomeriggio di primavera, e mi spiegò che eravamo negri e che, di conseguenza, dovevo aspettarmi di lottare contro il pregiudizio, l’antipatia, la sfiducia e perfino l’odio, e questo per tutta la vita. Per me, fu uno choc terribile. Rimasi sveglio tutta la notte a domandarmi perché Dio m’avesse fatto diverso dagli altri, visto che io non Gliel’avevo chiesto. Quando finalmente ritrovai il controllo di me stesso, cominciai a comprendere alcune cose che già avevo notato.

“Poi, Papà ebbe un altro colloquio con me. Mi spiegò che le cose cominciavano ad andar meglio, in modo lento ma ben definito. Mi parlò del dottor Carver, di Walter White, di John Hammond, e di altri personaggi importanti che si stavano prodigando. Questo,

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naturalmente, accadeva prima che venissero alla ribalta un Ralph Bunche o un Martin Luther King.”

La graziosa cameriera tornò e versò il caffè a Virgil. I suoi modi amabili attestavano che i tempi erano effettivamente cambiati, e prima di tutto per lei: era d’origine coreana, infatti.

“Quando avevo circa diciassette anni” continuò Virgil “uno dei miei amici venne assassinato, a causa del suo colore. Quando questo accadde, invece di recriminare e di farneticare, sentii nascere dentro di me una determinazione ferrea. Giurai a me stesso che, se mi fosse stato possibile, avrei tentato di fare di tutto per far cessare una violenza così insensata e per ostacolare coloro che ne erano responsabili.”

“E ci sei riuscito” assicurai. “Hai già tolto dalla circolazione un buon numero di assassini, per non parlare degli spacciatori di droga e via dicendo. Ma continua, ti prego.”

Tibbs mangiò per un poco in silenzio, prima di ricominciare. Sapevo di tormentarlo, costringendolo a riportare alla mente certi ricordi penosi; ma lui ha l’intelligenza per superarle, certe distrazioni.

“Arrivai in California e riuscii a iscrivermi all’università. Lavoravo per mantenermi agli studi, facevo il lavamacchine, il lavapiatti, a volte l’uomo di fatica... tutto quello che mi riusciva di trovare. Intanto, studiavo più che altro sociologia e altre materie che servissero a prepararmi per lo scopo che mi proponevo. Volevo diventare un poliziotto.”

Ogni volta che riprendeva a mangiare, riportavo l’attenzione sul mio piatto e aspettavo, senza commenti. Sapevo che, appena pronto, avrebbe ripreso a parlare.

“Ero ancora matricola e già mi preoccupavo di non avere i requisiti fisici richiesti; ero magrissimo, infatti. Un giorno, lì al campus, alcuni membri della Federazione Americana di Karate vennero a dare una dimostrazione. Ne rimasi quanto mai colpito, e andai subito a informarmi per vedere di prendere delle lezioni. Denaro ne avevo pochissimo, e volevo sentire se c’era un modo col quale potessi guadagnarmi la tassa di iscrizione al corso. Sai, John, forse per la prima volta in vita mia mi trovai a contatto con un

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gruppo di persone che mi fecero completamente dimenticare il fatto d’avere origini etniche diverse. Erano quasi tutti giapponesi, è logico, e capivano perfettamente la situazione. Mi offrirono una borsa di studio. Due anni dopo, venni scelto per un corso speciale; ebbi per maestri prima George Takahashi e, in un secondo tempo, Nishiyama in persona. Sai di chi parlo, immagino.”

“Il migliore del mondo, in senso assoluto” dissi.“Credimi” disse Tibbs. “Se penso a quello che ci faceva fare, non

credo che mi sentirei di affrontarlo una seconda volta, ma mi portò al livello di cintura marrone e, sotto la direzione di lui, cominciai a gareggiare. L’arte mi si addiceva; reagivo positivamente alle sue discipline in senso sia fisico sia mentale, e in genere a tutto quello che ci veniva insegnato. Nove anni dopo quel primo giorno in cui ero entrato nella scuola, Nishiyama mi conferiva la cintura nera.

“Più o meno, è tutto, John. Terminai gli studi, mi laureai, poi cercai un dipartimento di polizia dove un aspirante negro potesse essere accettato. A Pasadena c’era un concorso e lo superai.”

La ragazza tornò, ci affascinò di nuovo con un sorriso e si portò via i piatti sporchi. Virgil ordinò dell’altro caffè.

“Ti basta?” mi domandò.“Sì” risposi. “Il resto è noto.”“Ah, senti” disse Virgil. “Se credi, puoi aggiungere questo, da

parte mia. Se la gente vuole chiamarmi nero, a me non importa, ma preferisco un’altra denominazione. S’intende che vorrei vedere ignorare le mie origini, cosa che al dipartimento avviene, del resto. Non mi va l’idea di dividere la gente per ‘colori’; se dessi del ‘rosso’ a Jim Lonetree, probabilmente mi mollerebbe un pugno sul naso. E se qualcuno chiamasse ‘giallo’ il mio collega, Bob Nakamura, credo che mi offenderei io per lui. Ma se proprio debbo essere classificato, allora che mi chiamino ‘negro’. È un termine fiero e dignitoso: me l’ha insegnato mio padre.”

Feci segno che mi portassero il conto. “Grazie” dissi. “Trasmetterò questo materiale a Otto, e farò in modo che parta da lì.”

Ci trattenemmo ancora qualche istante nel parcheggio esterno, prima di darci la buonanotte. Tibbs si guardava attorno, contemplando il cielo punteggiato di stelle, sopra di noi, e poi i

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veicoli parcheggiati in file ordinate. Io, intanto, guardavo il mio amico. Ancora al di sotto della quarantina, sul metro e settantatré, doveva pesare poco più di settanta chili. Io ero vestito così alla buona, lui invece indossava un serico, sobrio completo di taglio italiano e una cravatta che proveniva da uno dei migliori negozi. Nonostante la carnagione scura, i lineamenti avevano un che di aquilino; il naso era diritto e ben disegnato, le labbra erano piuttosto sottili. In passato, avevo avuto perfino il sospetto che fosse di razza mista, ma lui l’aveva negato. Aveva conosciuto tutti e quattro i suoi nonni e non vi era stato alcun dubbio sulle loro origini.

“C’è qualcosa che vorrei tu mettessi nel tuo articolo” disse, rompendo il silenzio. “Una cosa che molti trascurano. Il lavoro di polizia è uno sforzo collettivo, dalle questioni relativamente semplici su su, fino alle indagini più importanti. Tra noi non c’è spazio per le prime-donne, e nessuno di noi lavora in un vuoto.

“È una guerra incessante quella in cui siamo impegnati, e alcuni di quelli per cui ci battiamo, e per i quali corriamo dei rischi in situazioni decisamente pericolose, ci odiano proprio per quello che facciamo.”

“Lo so” dissi.Ci stringemmo la mano e ci separammo, partendo di là ciascuno

con la propria auto, lo mi diressi a ovest, per fare ritorno a Encino.Un quarto d’ora dopo che avevo lasciato Pasadena accesi la radio

sulla stazione che trasmetteva notiziari, per sentire un po’ se stesse accadendo qualcosa, e che cosa, eventualmente. Diciamo meglio, per sentire se qualcosa di quanto accadeva era stato reso di pubblico dominio. Raramente le due cose coincidevano. Dopo un po’, l’annunciatore ruppe in un flusso regolare di parole per informare gli ascoltatori di una notizia appena arrivata. Un cadavere era stato trovato in un vicolo della parte occidentale di Pasadena, una zona tutta negozi di roba di poco prezzo e così via.

Io stavo andando a casa, a godermi quello che rimaneva di una serata essenzialmente tranquilla. Quel morto poteva essere un barbone, o un ubriacone ucciso dall’alcool, o qualcuno spentosi per cause naturali. Ma c’era, naturalmente, la possibilità che si trattasse di morte violenta; in parole povere, che quel cadavere fosse di un

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‘morto ammazzato’.Tra poco io mi sarei comodamente sistemato in poltrona, pronto a

immergermi nella lettura di un buon libro. Forse a Virgil Tibbs non sarebbe toccato lo stesso privilegio, anche se sapevo quanto l’avrebbe valutato. Se si trattava effettivamente di omicidio, con ogni probabilità lui, a quell’ora, era già tornato al lavoro.

John Ball

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Foto

LA CALDA NOTTEDELL’ISPETTORE TIBBSTratto dall’omonimo romanzo di John BallPersonaggi e interpreti: Virgil Tibbs (Sidney Poiter); Bill Gillespie (Rod Steiger); Sam Wood (Warren Oates); Leslie Colbert (Lee Grant); Purdy (James Patterson); Dolores Purdy (Quentin Dean); Eric Endicott (Larry Gates); Philip Colbert (Jack Teter); sceneggiatura di Stirling Silliphant; Regia di Norman Jewison.

L’ispettore Virgil Tibbs osserva Philip Colbertun ricchissimo industriale assassinato nel profondo Sud

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Il giovane sospettato dell’omicidio di Colbert cerca di convincere la polizia e la moglie della vittima (nel romanzo la moglie non esiste)

della sua innocenza.

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Virgil Tibbs «scoperto» alla stazione in attesa del treno per Memphis viene condotto al posto di polizia per essere interrogato.

Virgil Tibbs è innocente. Consegna le chiavi della sua cella a Sam Wood e comincia anche lui a partecipare alle indagini per scoprire il

vero colpevole.

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L’ispettore di colore Virgil Tibbs (Sidney Poitier) e Bill Gillespie (Rod Steiger), superbi interpreti di un poliziesco d’eccezione

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Agenti di polizia al lavoro.

Drammatico colloquio fra Virgil Tibbs e un notabile di Sparta, la cittadina teatro di conflitti razziali e… di delitti.

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È notte. Il luogo è isolato. La scena ideale, dunque, per un regolamento di conti fra polizia e una banda di teppisti. Alla luce dei

fari, Virgil Tibbs cerca di contrastare l’attacco.

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Alla fine del conflitto, qualcuno resta a terra. La sequenza è una delle più violente e avvincenti del film.

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Al bar della cittadina per una «coca» prima della fine.

Siamo alla resa dei conti. Per Virgil Tibbs la missione è finita.