la casa del flauto

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La casa del flauto Storia di un’opera site specific per Casa Massarotto, Asolo Opera di Francesco Arecco Apparato critico di Ilaria Bignotti, Matteo Galbiati, Kevin McManus Novembre 2011 - febbraio 2012

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Catalogue of a private art installation made for Giorgio Massarotto by Francesco Arecco

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Page 1: La casa del flauto

La casa del flauto

Storia di un’opera site specific per Casa Massarotto, Asolo

Opera di Francesco AreccoApparato critico di Ilaria Bignotti, Matteo Galbiati, Kevin McManus

Novembre 2011 - febbraio 2012

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“I fantastici presepi della mia infanzia. [...] Quando la mezzanotte stava ormai per scoccare, mio padre estraeva da un misterioso ripostiglio un astuccio di cuoio nero, lungo e stretto, lo apriva solennemente sotto i nostri occhi immobili e incantati e ne estraeva un flauto d’argento, lucente come una cometa.” (Cantavamo al suono del flauto, i fratelli Massarotto raccontano, Torino, 2009).

Un ricordo piccolo come un flauto d’argento, anzi leggero e finito come il suo suono.Da decenni unisce una famiglia grande come quella dei Massarotto.Giorgio Massarotto mi chiede un’opera per la sua casa.È naturale voler indagare il ricordo.E cercare con i Massarottoil nascondiglio segretodel flauto.

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Novembre 2011. Commessa.

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La casa della famiglia Massarotto, quella di Giorgio, sesto dei nove fratelli di questa grande famiglia, è costruita nelle pietre delle mura di Asolo.

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Per rispettare queste pietrela nuova cucina della casa

è stata costruita fuori.

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Con un focolare sospeso all’interno.

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E mura di vetro.

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Da dove si controllano le valli del Curogna, del Musone e del Grappa.

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I Massarotto amano l’arte. Però sulle pareti in vetro

non si può appendere nulla.

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Le pareti di cucina e accesso alla casa formano una teca.Pronta per contenere un diorama come in un museo di storia naturale.

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Unica differenza: il diorama starà all’aperto.

Sotto il cielo.

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L’intenzione è ricostruireil misterioso ripostiglio del flauto che ha unito il canto della famiglia Massarotto e ora ne unisce il ricordo. Un luogo intimo che sivede da un luogo intimo come il focolare.

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L’opera, in castagno (Castanea sativa), non verniciata, subirà gli sguardi ele intemperie e - all’aria pur sotto vetro -invecchierà, come i ricordi e come gli uomini che li conservano.

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La storia che l’opera porterà con sé e il tempo che la cambierà di continuo saranno valori e contenuti che arricchiranno l’opera negli anni e la renderanno sempre nuova agli occhi di una famiglia che è sempre la stessa ma si rinnova.

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SCHEDA TECNICA

La casa del flauto

Francesco Arecco

Corredata da tre commenti critici di Ilaria Bignotti, Matteo Galbiati, Kevin McManus e da un’opera gelosa, non rappresentata né raccontata.

Sede: site specific per Casa Massarotto, Asolo

Tecnica: scultura, castagno ed ebano

Dimensioni: 171X65X30 cm.

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Gennaio 2012. Realizzazione dell’opera. Studio di Francesco Arecco, Gavi (AL)

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Febbraio 2012. Collocazione dell’opera ad Asolo (TV)

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Opera e committente

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Apparato critico

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La Casa del Flauto:

Una casa

che è una scultura

che diventa casa

per proteggere un oggetto

che racchiude l’idea di casa.

Il titolo è sibillino e detta così la cosa sa di enigmatica, di scatole cinesi, o di mappe del tesoro.O ancor meglio: una cosa da feticisti."FETICCIO, dal portoghese FETIÇO, dal latino FACTITIUM: fatticcio, manufatto, fatto. In portoghese ha preso al sostantivo il significato di INCANTESIMO, SORTILEGIO, donde quello di OGGETTO INCANTATO.Si dice che i primi feticci fossero i fiori di sale trovati lungo le rive del fiume Nilo.Poi feticci furono amuleti, filtri e oggetti di terracotta, legno e altri materiali, dotati di poteri magici”.

Un collezionista è un feticista. Dato di fatto, risaputo.La sua dimora diventa il guscio protettivo, e al contempo espositivo, nel quale mostrare opere che sono indizi di una storia personale, fatta di sguardi e di pensieri, di scelte e di scoperte. Oggetti magici, intrisi di un sapere antico, universale, esposti all’ospite atteso o al visitatore inatteso, i feticci-opere si caricano, ogni volta, di mistero, scaturito dall’incontro con chi li guarda, per la prima volta. Nella Casa del Flauto, i feticci sono due: se l’uno è il ricordo di un tempo che si annida nella forma di un oggetto prezioso e capace di risalire alle prime note di una storia famigliare, il secondo è il ricordo di una scultura in divenire, capace di riannodare in sé, nelle sue trame legnose che si sovrappongono e intrecciano, la storia di tutte le sculture – la storia della materia in attesa del suo farsi opera esposta al tempo della storia.

Entrambi, la Casa e il Flauto, diventano l’uno il simbolo dell’altro, nati da una magia che passa attraverso le mani che proteggono e nascondono, raccolgono e compongono, assemblano e intrecciano, offrono ed espongono.

Come lance acuminate, ora in riposo ma memori di una antica lotta, le assi di castagno piegate dall’artista abbracciano il cuore dell’opera, sconosciuto ai più; lo sostengono, e se ne fingono protettrici; lo hanno rubato ad altri; ai legittimi proprietari. A chi ha avuto l’intuizione di cedere un feticcio – e di renderlo pretesto, e punto di partenza, di un altro feticcio: l’opera d’arte.

In questo la sensibilità di un collezionista e di uno scultore contemporaneo si sono incontrate e riconosciute nel coraggio di esporsi non tanto attraverso l’opera compiuta, o l’oggetto dichiarato, ma nel mistero che appartiene all’uomo nel suo più intimo essere, sentire, e amare.

Ilaria Bignotti, 11 gennaio 2012

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Stare nel mezzo

Disvelamento e nascondimento; naturalezza e artificialità; compiutezza e indefinibilità; realtà e immaginazione… Si potrebbe continuare e trovare un’infinita altra gamma di coppie di significati contrari e antitetici che identificano e, ancor tanto specificatamente, si rilevano nel cuore della ricerca di Francesco Arecco. Ci facciamo, però, bastare anche questi soli. Per intuirne senso e valore. Non si deve, infatti, impiegare un’acuta osservazione o promuovere intellettualistiche dissertazioni per capire il peso che ha tale confronto in seno alle sue opere. Lo si accerta fin dal primo sguardo. Anche da quello più distratto, benché questa considerazione avesse una sua certezza appurabile subdermicamente, rispetto all’immagine che si profila dalla consistenza fisica dell’apparire dell’opera. Siamo noi stessi proiettati in un vortice di opposte sensazioni: siamo attratti e respinti, cediamo all’intuizione ma dubitiamo della reale impressione che emerge… I sensi e la percezione si sbilanciano su pareri differenti. Eppure tutto convince, tutto dissipa ogni dubbio. Le opere piacciono, interessano, mobilitano il sentimento.Arecco ricorre ad un minimalismo vivo – non a caso impiega il legno – che tocca, che accalora, che appassiona. Un minimalismo che si anima intimamente di vitalità, ma che si mantiene anche formalmente puro. Volumi e geometrie chiari, non fraintendibili. Sculture che si scaldano di tonalità ed essenze. Ancora ci troviamo nel pieno della provocazione complessa della sua cosa semplice. Ancora in mezzo ad opposti. Una consistenza antinomica che si radica allora davvero nel profondo di questa ricerca. Non può proprio farne a meno, non riesce a prescinderne. Eppure la somma virtù delle opere di Arecco, e di lui come persona e artista, rimane la sua complessa semplicità. Pura e sincera. Senza conflitti.Così non lavora su fronti opposti ma lui, il suo pensiero e ogni suo lavoro si collocano con riguardosa attenzione e rispetto nel mezzo, in un territorio neutrale, ma non neutro. Per creare un ponte tra due estremi, tra due mondi. Per conciliare due universi. Tra opera e mondo, tra arte ed esperienza, tra spettatore ed artista. Tra reale e fantastico.Questa compresenza e compartecipazione é determinante. Scritta nel carattere genetico, nell’intimità stessa del suo operare. Ripetizione e risonanza. Alterazione e mutazione.Ora il naturale ultimo approdo: La Casa del Flauto. Quest’opera si pone come momento di svolta, attimo cruciale ed emblematico nel divenire della sua ricerca. Presagio di future riflessioni, ancorato alla ragione del suo passato. Superati i volumi primari accede recentemente a incastri scomposti, a trame fitte e compatte, ma anche non rifinite, non chiuse o bloccate. Ne La Casa del Flauto li troviamo entrambi. Il doppio riunito tangibilmente. Quegli opposti che si manifestano e si chiariscono. Opera che si fa apice di un percorso, dove la ricerca di quel senso fa guardare all’arte – quella vera – lontano.Felice scelta anche il titolo La Casa (il contenitore, la protezione) del Flauto (il ritmo, il suono). Musica e silenzio, gli altri nuovi opposti. Armonia e stasi.Arecco ritorna alle sue simmetrie essenziali e il suo lavoro si mette al centro, sottolinea l’equilibrio perfetto e la sintesi visiva di due estremi. Che sono anche nel suo lavoro, nella sua scultura. Recente e passata. Lì sta Arecco. Nel punto che è sempre fuori fuoco alla vista comune. Lui lo sa far risuonare agli occhi. Vista-udito, due opposti. Come le note di un flauto – il più semplice e dolce degli strumenti, il più delicato e minimale – nella casa – il tempio degli affetti, l’approdo naturale, il punto di ritorno e partenza – lo fa sommessamente scoprire.Ci porta nel mezzo di tempi e luoghi indefinibili, ma alquanto riscontrabili nell’individuale esperienza di ciascuno.La scoperta avviene precisata oltre ogni dualità, oltre ogni confine, superando qualsiasi al di qua e al di là. Senza scontro, senza mediazione. Nessuna parola per far orientare, solo una ferma comprensione di una sintesi insperata. Comprensione che si culla nel segreto di ciascuno sguardo, quando le note di quel flauto si smorzano nel silenzio dentro la sua casa. Quando il suono, che ha inebriato delicatamente l’aria del mondo, torna muto a risuonare nella memoria, per farsi tesoro nel chiuso di ogni anima.

Matteo GalbiatiFebbraio 2012

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Dire niente, dire tutto

Un filosofo di media bravura, se adeguatamente stimolato, può dimostrare con una certa facilità che dire «la casa del flauto» è quasi una tautologia, un’ovvietà logica. Perché il flauto non ha senso senza una casa – e fin qui può arrivare anche il pensatore comune – ma è altrettanto vero, e qui si entra nella filosofia, che la casa non ha senso senza un flauto.

Non deve sembrare, questa, la solita iperbole critica, e neanche il solito generico, retorico elogio della musica (retorico perché contiene, in circa cinque parole, un paradosso e una sineddoche). C’è la convinzione, oziosa, che la musica sia solo una cosa: un testo fatto di note scritte su un pentagramma ed eseguite, possibilmente con un certo talento, da uno specialista. Quella è una musica, è l’accezione culturale del termine, accanto alla quale ne esiste una naturale, così come è un’immagine quella sapientemente e semioticamente prodotta da un pubblicitario, ma è altrettanto immagine quella che invade il nostro campo visivo quando attraversiamo la strada, scaliamo una montagna o esploriamo il fondo del mare.

La musica naturale è quella vibrazione, quell’esistenza sensibile che riempie di sé il reale. È il contenuto di qualsiasi contenitore apparentemente vuoto, per chi è disposto ad ascoltare. È il senso, inteso sia come categoria logica ed esistenziale, sia come facoltà di percepire con il corpo (i cinque sensi). Il contenitore per antonomasia, la CASA, deve per forza avere una musica per antonomasia, quella del FLAUTO: un vuoto che diventa senso nel momento in cui viene riempito. Hemingway, in Addio alle armi, scrive: «Quando ai giovanotti facevano le serenate, soltanto il flauto era proibito […] perché alle ragazze non faceva bene udire il flauto di notte». Troppo fisico, troppo elementare il senso, quando c’è un flauto. Un flauto in una casa, la sua casa, vuol dire mostrare di cosa è fatto l’essere. Grazie a Francesco Arecco per avercene mostrato un po’.

Kevin McManus

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Francesco AreccoNato nel 1977 a Gavi, Alessandria.Compie studi classici e artistici, giuridici e naturalistici.Avvocato e autore in materia di energia e ambiente.Menzione speciale della Giuria al Premioartivisive S. Fedele 2011 (Milano), invitato dalla Giuria al Premio Bice Bugatti 2011 di Nova Milanese (MB), menzione speciale della Giuria al Premio Nocivelli 2011 (Brescia) e al Premio Guerrieri Rizzardi - Fondazione Canova 2011 di Negrar (VR).Mostre collettive alla Galleria S. Fedele di Milano (2010, 2011 e 2012), in Galleria Bianconi (2011), alla Barchessa Rambaldi di Bardolino (VR) (2011).Galleria di riferimento: Bianconi, Milano.