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Pag. 1 | 50 I.P.S.A.R. “LE STREGHESede Centrale, Presidenza, Uff. di Segreteria: Via S. Colomba 52/A - 82100 Benevento 0824-363486 Fax 0824-363487 Succursale: Via S. Colomba, 50 - 0824-362579 0824-361657 Fax 0824-362572 Codice meccanografico: BNRH030005 – Cod. fiscale: 92018460623 Sede Associata: I.P.S.A.R. “CASA CIRCONDARIALE” Codice meccanografico BNRH030016 Web www.ipsarlestre ghe.gov.it e-mail: [email protected] p.e.c.: bnrh 030005 @ p ec.istru zion e. it LA COSTITUZIONE E LA CITTADINANZA Manoscritto a cura del Prof. Massimo De Pietro Dall’autore ….. Cittadinanza e Costituzione” …… Per gli studenti delle classi quinte dell’ IPSAR Le Streghe

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I.P.S.A.R. “LE STREGHE” Sede Centrale, Presidenza, Uff. di Segreteria: Via S. Colomba 52/A - 82100 Benevento

0824-363486 Fax 0824-363487

Succursale: Via S. Colomba, 50 - 0824-362579 0824-361657 Fax 0824-362572

Codice meccanografico: BNRH030005 – Cod. fiscale: 92018460623 Sede Associata: I.P.S.A.R. “CASA CIRCONDARIALE” Codice meccanografico BNRH030016

Web www.ipsarlestre ghe.gov.it e-mail: [email protected] p.e.c.: bnrh 030005 @ p ec.istru zion e. it

LA COSTITUZIONE E LA CITTADINANZA

Manoscritto a cura del Prof. Massimo De Pietro

Dall’autore ….. “Cittadinanza e Costituzione” ……

Per gli studenti delle classi quinte dell’ IPSAR “Le Streghe”

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LA COSTITUZIONE E LA CITTADINANZA

Premessa e presentazione

Questo manoscritto, nato da

un’idea della Dirigente

del’Ipsar Le Streghe,

prof.ssa Maria Gaetana

Ianzito, e del prof. Massimo

De Pietro, intende essere

uno strumento offerto agli

allievi delle classi quinte al

fine di affrontare con maggiore serenità l’esame di maturità, come

riformato, comprendente un colloquio orale sui temi della

Costituzione e della Cittadinanza. I maturandi, solo nel corso

dell’anno scolastico, hanno saputo delle riforme e, naturalmente,

avranno più di una preoccupazione: la modifica dello status quo, le

innovazioni generano sempre incertezze, ancor più, in ragazzi

giovanissimi. E’ un lavoro concettuale e contestualizzato, meramente

integrativo delle conoscenze che gli allievi dell’Ipsar “Le Streghe”

hanno acquisito attraverso il magistrale insegnamento dei docenti di

Italiano, Storia, Diritto, e non solo. Probabilmente, molti concetti

sono già patrimonio dei ragazzi, grazie al professionale e saggio

contributo di tutti i loro docenti, ciascuno dei quali, al di là

dell’insegnamento della disciplina, svolge una quotidiana azione

didattica finalizzata a far divenire l’alunno un buon cittadino ed eleva

la Costituzione a bussola del vivere sociale. L’esigenza di provare a

dare a ciascun allievo un quadro ancor più chiaro della Costituzione,

sotto l’aspetto storico, sociale e giuridico, di comprendere il ruolo e

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l’essere cittadino, ha guidato il redattore alla stesura di questo

scritto. L’idea è nata dall’acquisizione dei contenuti della riforma

dell’esame di maturità, a cui non si è inteso replicare con una sterile,

seppure condivisibile, polemica sulla sua opportunità e sui tempi di

introduzione, ma ideando un mezzo per sostenere gli alunni delle

quinte che dovranno confrontarsi con una nuova disciplina. “Dura

lex, sed lex” recitava un antico brocardo latino: è inutile contestare

una riforma vigente, per quanto discutibile; è preferibile attrezzare i

ragazzi ad affrontarne i contenuti innovativi su cui dovranno

cimentarsi. Nell’epoca dell’indebolimento generalizzato di ogni

autorità simbolica, l’insegnamento può ridursi alla mera trasmissione

di informazioni? Certamente no! Da qui uno scritto che, in qualche

frammento, pur complesso e tecnico, tende ad un’acquisizione

critica e contestualizzata dei principi e degli istituti, nonché del loro

modus operandi. E’ necessario, soprattutto, in un momento in cui

prevale un modello ipercognitivo, emancipato da ogni

preoccupazione valoriale, che rafforza le competenze e risolve i

problemi, piuttosto che saperli porre. La metafora più appropriata a

questo contesto, come afferma Massimo Recalcati, “non è più

botanica ma informatica: in gioco non sono più le viti storte da

raddrizzare con fili di ferro ma le informazioni da immagazzinare. Le

teste funzionano come computer, come mappe cognitive che

esigono un puntuale aggiornamento. Si tratta semplicemente di

caricare files secondo il principio utilitaristico del massimo beneficio

con il minimo sforzo”. A soccombere è il rapporto del sapere con la

vita; prevale una concezione utilitaristica dell’apprendimento come

una gara che non offre tempo alla riflessione critica. Da qui, il timido

tentativo di contestualizzare le istituzioni, esplicare i meccanismi di

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funzionamento dell’apparato statale, analizzare storicamente i

processi, formulare riflessioni ciritiche, identificare i progetti di

riforma che, pur creando qualche naturale difficoltà, tende a

mantenere vivo il rapporto dell’allievo con il sapere. Consapevoli,

naturalmente, dell’impossibilità di sapere tutto il sapere e che

l’insegnamento è un confronto con il limite del sapere attraverso il

conoscere, si è inteso elaborare questo manoscritto al fine di fornire

un mezzo aggiuntivo ai ragazzi, che vogliano servirsene, per

confrontarsi con i contenuti della Costituzione e dello status di

cittadino. Il manoscritto è diviso in due segmenti culturali: 1. La

Costituzione Italiana; 2 Lo Stato e la cittadinanza. Nella prima parte,

si esamina il tradizionale passaggio storico – dallo Statuto Albertino

alla Costituzione Italiana, con la crisi dello Stato liberale, l’avvento

del fascismo e l’elezione dell’assemblea costituente - , si delineano i

caratteri della Costituzione, la procedura di revisione costituzionale,

attualizzandola fino ai giorni nostri (con il fallimento, per volontà

popolare, della legge di revisione dell’assetto istituzionale del

Governo Renzi), i limiti alla revisione costituzionale, l’identificazione

del nucleo essenziale irriformabile. Nella seconda parte, si collega il

concetto di cittadinanza a quello di Stato: esiste un civis in quanto

esiste uno Stato. Identificato lo Stato, si analizza l’evoluzione storica

dello Stato moderno, dall’assoluto a quello democratico, si

individuano le forme di Governo e le modalità di acquisto della

cittadinanza, alla luce delle riforme introdotte, nonché il patrimonio

di diritti, libertà e doveri derivanti dallo status di cittadino.

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Parte I - La Costituzione Italiana -

La Costituzione della

Repubblica Italiana è la

legge fondativa dello Stato

Italiano. Fu approvata

dall’Assemblea Costituente

il 22 Dicembre 1947 e,

promulgata dal Capo

provvisorio dello Stato

Enrico De Nicola il 27

Dicembre, entrò in vigore

il primo Gennaio 1948.

Essa è costituita da tre

Sezioni: 1. I principi

fondamentali: artt. da 1 a

12; 2. Diritti e Doveri dei

Cittadini: artt. da 13 a 54;

3. Ordinamento della Repubblica: artt. da 55 a 139; oltre 18

disposizioni transitorie e finali.

Origini e nascita

Lo Stato italiano nasce istituzionalmente con la legge 17 Marzo 1861

che attribuisce a Vittorio Emanuele II, allora Re di Sardegna, il titolo

di “Re d’Italia”. E’ la nascita giuridica dello Stato Italiano. L’assetto

normativo del regno di Sardegna divenne struttura portante del

neonato Stato Italiano in base all’estensione dell’applicazione della

sua legge fondamentale, lo Statuto Albertino, concesso nel 1848 da

Carlo Alberto di Savoia, a tutti i territori del regno d’Italia, annessi al

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regno sabaudo con le guerre di indipendenza. La conservazione

dell’ordine dinastico da parte di Vittorio Emanuele e l’estensione

dello Statuto Albertino hanno indotto gli storici a parlare di

”piemontesizzazione” dello Stato Italiano da parte dei Savoia. Lo

Statuto Albertino rimase in vigore formalmente quasi 100 anni, dal 4

Marzo 1848 al primo Gennaio del 1948, quando entrò in vigore la

Costituzione Italiana. Lo Statuto Albertino rese l’Italia una monarchia

costituzionale, pur concedendo al popolo molto meno delle

costituzioni liberali vigenti negli altri Stati Europei. Era una

costituzione “ottriata”, ossia elargita dal sovrano ai propri sudditi, ed

era “flessibile,” ovvero derogabile ed integrabile in forza di un atto

legislativo ordinario. A causa della sua “flessibilità”, fu possibile la

trasformazione della monarchia costituzionale pura in una forma di

monarchia parlamentare (benché il potere esecutivo fosse detenuto

dal Re, il Consiglio dei Ministri spesso si rifiutò di restare in carica

ove non godesse del sostegno della camera elettiva). Il primo

Parlamento dello Stato Unitario, all’inizio del 1861, si compose con

suffragio elettorale ristretto al 3% della popolazione; nel 1882 il

diritto di voto fu portato al 7% della popolazione, con le riforme del

1912 e del 1918 il diritto fu esteso fino ad una forma di suffragio

universale maschile. Le camere, stante la limitatezza del diritto di

voto, non furono affatto rappresentative della volontà popolare,. A

causa della mancanza di rigidità dello Statuto, fu agevole deviare

verso un regime autoritario (il fascismo) in cui le forme di libertà

pubblica vennero travolte: le opposizioni vennero eliminate, la

Camera dei deputati abolita e sostituita dalla “Camera dei fasci e

delle corporazioni”, il diritto di voto cancellato; il diritto di riunione e

la libertà di stampa piegati a garanzia dello Stato fascista. Lo Statuto

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non solo non fu un argine alla deriva plebiscitaria ed alla involuzione

autoritaria dello Stato italiano, esso divenne addirittura uno

strumento, modificato, corretto ed integrato, per affermare i principi

fascisti e celebrare il partito unico fascista come mezzo di

mobilitazione politica pilotata dall’alto. Nonostante le modifiche, non

fu mai formalmente abolito.

I rapporti con la Chiesa Cattolica (nel cinquantennio precedente

erano stati decisamente aspri), vennero sanati nel 1929 tramite i

Patti Lateranensi per volontà espressa del duce; essi ristabilirono

ampie relazioni politico diplomatiche tra la Santa Sede e lo Stato

fascista. Le relazioni erano state interrotte tra il 1870 ed il 1929,

sebbene l’art. 1 dello Statuto Albertino proclamasse la religione

cattolica religione di Stato, per via della “Questione romana”. E’

eloquente che i rapporti migliorassero con l’avvento del fascismo: i

benefici che la Chiesa trasse dai Patti giustificarono l’intesa con uno

stato dittatoriale, irrispettoso dei diritti e delle libertà fondamentali

della persona; Mussolini ebbe bisogno di “una legittimazione” della

Chiesa per consolidare una involuzione ancor più autoritaria che

avvenne con il varo delle leggi c.d. “fascistissime”. Dopo il discorso

del 3.1.1925, in cui il duce si assunse di fatto la responsabilità del

delitto Matteotti, in Italia si attuò lo smantellamento dello Stato

liberale e si instaurò un vero e proprio regime totalitario. Mussolini,

con l’appoggio di Vittorio Emanuele III ed il tacito assenso della

Chiesa e delle gerarchie ecclesisastiche, godé della massima libertà

di azione. Le leggi fascistisime crearono la fusione tra il Fascismo e

lo Stato Italiano: svuotarono di poteri il Parlamento, rafforzarono i

poteri del Consiglio dei Ministri, riorganizzarono l’apparato statale

periferico, sostituendo ai rappresentanti locali, di nomina elettiva, i

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podestà, di nomina governativa, sciolsero le organizazioni politiche e

sindacali antifasciste, istituirono il Tribunale di Difesa dello Stato,

crearono l’OVRA, un nucleo di polizia politica segreta, attraverso cui

i gerarchi fascisti effettuarono un controllo capillare del territorio ed

una repressione di ogni forma di antifascismo. Epilogo infelice della

c.d. “fascistizzazione della nazione” fu la trasformazione del Gran

Consiglio del Fascismo nell’organo supremo dello Stato ed il varo di

una legge elettorale che, in concreto, divenne un referendum

meramente confermativo del fascismo. Le elezioni plebiscitarie del

1929 - in cui il popolo potè solo approvare o rifutare la lista

nazionale di 409 candidati, scelti dal Gran Consiglio - divenne uno

strumento di affermazione e di propaganda della dittatura fascista.

Nel 1943, Benito Mussolini perse il potere, il re Vittorio Emanuele III

nominò il Maresciallo Pietro Badoglio per presiedere il Governo che

ripristinò in parte le libertà dello Statuto: iniziò così il c.d. regime

transitorio di 5 anni che terminò con l’entrata in vigore della nuova

Costituzione e le successive elezioni politiche dell’aprile 1948, le

prime della storia repubblicana. I partiti antifascisti, costretti alla

clandestinità durante il regime, si riunirono nel Comitato di

Liberazione Nazionale, e si dichiararono decisi a modificare

completamente le istituzioni al fine di fondare uno Stato

democratico. La Corona fu giudicata fortemente compromessa con il

regime fascista (pagò la sua ipocrita complicità con il regime) e la

forte divergenza, in un clima ancora bellico, trovò una soluzione

temporanea in una tregua istituzionale in cui si stabilì: il

trasferimento dei poteri del re nel figlio (proclama del 12 Aprile

1944) che assunse la carica provvisoria di luogotenente del regno; la

convocazione dell’assemblea costituente incaricata di scrivere la

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nuova carta costituzionale, eletta a suffragio universale nel giugno

1944, con estensione del diritto di voto alle donne e l’indizione del

referendum istituzionale per la scelta tra repubblica e monarchia. Il

2 Giugno 1946, si svolsero contemporaneamente il referendum

istituzionale e l’elezione dell’assemblea costituente con la

partecipazione dell’89% degli aventi diritto al voto. Il 54%, (oltre 12

milioni) scelse la repubblica, superando di 2 milioni i voti a favore

della monarchia. L’assemblea costituente fu eletta con sistema

proporzionale e tre furono le formazioni che prevalsero alle elezioni:

la Democrazia Cristiana ottenne il 35,2% dei voti e 207 seggi, il

Partito socialista, il 20,7% con 115 seggi, il Partito comunista il

18,9% e 104 seggi. Le forze liberali e repubblicane ottennero 64

deputati con il 13% dei consensi. All’interno dell’Assemblea, venne

nominata una “Commissione per la Costituzione” composta da 75

membri appartenenti alle forze politiche presenti in assemblea. A

tale commissione venne affidato il compito di presentare un

“Progetto per la Costituzione”. La commissione dei 75, presieduta

dall’onorevole Meuccio Ruini, iniziò i suoi lavori il 20 Luglio 1946 e li

concluse approvando un ”Progetto di Costituzione per la Repubblica

Italiana” che presentò all’Assemblea Costituente il 31 Gennaio 1947.

L’Assemblea Costituente esaminò, emendò ed approvò il Progetto il

22 Dicembre 1947. Meuccio Reini, Presidente della Commissione,

nella seduta pomeridiana del 22 Dicembre, così si espresse: “Questa

Carta che stiamo per darci è essa stessa, un inno di speranza e di

fede. Infondato è ogni timore che sarà facilmente divelta, sommersa

e che sparirà presto. Noi abbiamo la certezza che durerà a lungo, e

forse non finirà mai, ma si verrà completando ed adattando alle

esigenze dell’esperienza storica…… la Costituzione sarà

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gradualmente perfezionata, e resterà la base definitiva della vita

costituzionale italiana. Noi stessi – ed i nostri figli - rimedieremo alle

lacune ed ai difetti, che esistono, e sono inevitabili”.

Così è stato! La Costituzione, a distanza di oltre settanta anni dalla

sua approvazione, nella sua struttura portante, è restata immutata

ed ha guidato il popolo italiano e la sua classe dirigente alla

realizzazione di una compiuta democrazia. Ha consentito al popolo,

provato da un ventennio di repressione, irrispettoso dei diritti e delle

libertà fondamentali, di evolversi ed approdare, come nei moderni

Stati occidentali, ad una corretta comprensione di una perfetta

democrazia. La Costituzione italiana nasce da un compromesso

politico di tutte le forze democratiche, ciascuna delle quali ha dato

un contributo determinante alla realizzazione di un’opera legislativa

che, ancora oggi, conserva del tutto intatto il suo significato ed

immutata la sua struttura. I Costituenti realizzarono una Carta

costituzionale che doveva tendere al pieno sviluppo della persona

umana affermando i diritti individuali, i diritti sociali e l’esistenza dei

diritti delle comunità intermedie, dalla famiglia alla comunità

internazionale, in questo distinguendosi tanto da un modello

individualista (alla Rousseau) che da quello statalista di tipo

hegeliano. In essa, vi sono principi sostenuti dalle forze di sinistra: il

diritto al lavoro, la necessità che lo Stato rimuova gli ostacoli alla

esercizio del diritto al lavoro, il diritto del lavoratore ad una

retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato

ed in ogni caso idonea a garantire al lavoratore ed alla sua famiglia

una esistenza libera e dignitosa, la libertà sindacale; principi tipici

delle forze cattoliche: la società fondata sulla famiglia, suo nucleo

essenziale, il matrimonio come atto genetico della famiglia, la

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solidarietà e la cooperazione come valori universalmente

riconosciuti; principi delle forze liberali: la libertà di iniziativa

economica, la tutela della proprietà privata, la precisa scelta di un

modello economico liberista (lontano dal modello pianificato

sovietico). Tutte le forze politiche, però, erano accomunate da un

“idem sentire”: creare una struttura organica, con poteri di controllo

e garanzia, che potesse proteggere lo Stato da possibili involuzioni

autoritarie e derive plebiscitarie e veicolarlo ad una reale e compiuta

democrazia. In Italia, oggi, sovente, si accusa di malgoverno, di

inefficienza, di incapacità la classe dirigente, ma l’organo di governo

è espressione di una maggioranza parlamentare, rappresentativa

della sovranità popolare: è il popolo italiano che ha eletto e scelto,

indiettamente, tramite i suoi rappresentanti, quella classe dirigente.

Come avviene in democrazia (che politologi illustri ritengono “la

forma di Stato meno dannosa” e non certamente “la panacea di tutti

i mali”) la sintesi tra opposte e divergenti volontà avviene attraverso

l’applicazione puntuale e corretta del principio maggioritario: la

maggioranza prevale e la minoranza rispetta la volontà della

maggioranza. Probabilmente, un esercizio corretto del diritto di voto

(lontano da logiche clientelari, di appartenenza e di scambio, a cui

sovente “è sacrificata” la libertà di voto) che faccia realmente valere

il principio di responsabilità politica dell’eletto nei confronti dei propri

elettori aiuterebbe alla realizzazione di un’azione governativa

efficace, coerente con gli obiettivi programmatici, e di tutela

dell’intera comunità nazionale. Se è vero che il parlamentare non è

vincolato alla volontà dei propri elettori (divieto del mandato

imperativo), ed è libero nello svolgimento della propria attività di

parlamentare, è altrettanto vero che egli ne è responsabile

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politicamente nei confronti del corpo elettorale: a fine legislatura, se

l’operato politico dell’eletto sarà apprezzato, dovrebbe essere

confermato, in caso contrario, non sarebbe rieletto. In Italia - al di là

delle ultime leggi elettorali, qualcuna dichiarata illegittima dalla

Corte Costituzionale, che hanno impedito al corpo elettorale di

scegliere la persona – tale sistema di rappresentanza e

responsabilità politica non ha trovato piena applicazione. Non si

spiegherebbe altrimenti come politici, condannati penalmente per

reati gravi ed altri prosciolti, solo per prescrizione, il cui operato

politico è stato in gran parte criticato, abbiano ricoperto cariche

elettive per oltre un quarantennio.

Limiti alla revisione della Costituzione Italiana

La Costituzione, come già detto, è un testo costituzionale

gerarchicamente sovraordinato alla legge ordinaria e modificabile

solo da leggi di rango costituzionale. Sono previsti anche specifici

limiti alla revisione costituzionale che definiscono principi

costituzionali assolutamente immodificabili anche da leggi

costituzionali. Sono quei principi che costituzionalisti, giuristi e

dottrina definiscono il nucleo essenziale della Costituzione, e, come

tale, assolutamente immodificabile. Riformare il nucleo essenziale

significherebbe stravolgere l’assetto costituzionale dello Stato e,

quindi, porre necessariamente in essere uno Stato diverso da quello

strutturato in Costituzione. Esso è rappresentato dai principi supremi

dell’ordinamento costituzionale, coincidenti con i valori consacrati

nei primi 12 articoli della Costituzione (I Principi fondamentali). Il

limite “dei principi supremi” è stato ripetutamente richiamato dalla

Corte Costituzionale. Nel 2014, con la sentenza n.238, la Corte

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Costituzionale coglie l’occasione per una ricostruzione organica del

concetto di principi supremi, riconducendo ad unità la

giurisprudenza resa in sede di limiti alla revisione costituzionale.

L’art. 138 della Costituzione contempla il procedimento della

revisione costituzionale e di formazione delle leggi costituzionali,

differenziandolo naturalmente dalla procedura di approvazione delle

leggi ordinarie, previsto dagli artt. 70 e ss. della Costituzione. La

dottrina ritiene che l’art. 138, che prevede la c.d. procedura

aggravata, sia riformabile a patto che non venga eliminato il

carattere rigido della Costituzione: significa che sarebbe possibile

riformare l’art. 138 a condizione che rimanga sempre un

procedimento aggravato, prevedendo una procedura rinforzata

rispetto a quella necessaria per l’approvazione della legge ordinaria.

L’art. 138 sancisce che il Parlamento si esprima su una legge

costituzionale con 4 votazioni (due del Senato e due della Camera).

Per la prima votazione non è richiesta alcuna maggioranza

qualificata, nella seconda votazione è richiesta almeno la

maggioranza assoluta per dar corso ad un procedimento

referendario di tipo confermativo, oppure la maggioranza dei 2/3 dei

componenti che confermerebbe, senza bisogno di referendum, la

reale necessità di approvazione della legge di revisione. Tra prima e

seconda votazione è richiesto l’intercorrere di un tempo di almeno

tre mesi per permettere ai parlamentari di prendere piena coscienza

di ciò che è stato votato permettendo una seconda votazione più

consapevole. Oltre al nucleo essenziale, un altro limite alla revisione

costituzionale è sancito dall’art. 139 che ne sottrae “la forma

repubblicana”. Tale limite deriva dal risultato del referendum

istituzionale del 1946 che ha decretato il passaggio dalla monarchia

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alla Repubblica. L’Assemblea Costituente, essendo vincolata al

rispetto di tale decisione popolare, ha sentito il bisogno di esplicitare

il limite anche nei confronti del legislatore costituzionale futuro. Ci si

è domandatati se pur, in presenza dell’art. 139, non fosse possibile

individuare un procedimento idoneo a modificare la forma

repubblicana. Avendo il procedimento di revisione costituzionale la

funzione di mantenere viva nel tempo la Costituzione adeguandola

alle esigenze che emergano successivamente, essa non potrebbe

sovvertire il sistema di principi e valori contrassegnanti l’assetto

originario. Accanto al limite imposto dall’art. 139, si rinvengono altri

limiti alla revisione della Costituzione: alcuni espressi ed altri

impliciti. I diritti inviolabili dell’uomo (art. 2) ed il principio di unità

ed indivisibilità della Repubblica sancito dall’art. 5 sono

unanimemente ritenuti immodificabili (rientrano tra l’altro nel nucleo

essenziale che secondo i costituzionalisti, come detto, è

irriformabile). Ne deriva che forze politiche, come la lega, che

“inneggiava”, in passato, alla secessione era consapevole della

impossibilità di una sua realizzazione, a meno che non si volesse

sovvertire l’ordine costituito. La finalità di proganda e di

consolidamento del consenso elettorale dei partiti è stata prevalente

sulla reale volontà di migliorare, ove possibile, l’assetto

costituzionale. Immodificabili sono anche gli artt. dal 13 al 15

concernenti le libertà che la stessa Costituzione definisce inviolabili.

Tra i diritti inviolabili rientra senz’altro anche ’il diritto alla vita ed il

rispetto della persona umana”. Ne deriva che anche l’art. 27 è

immodificabile (la responsabilità penale personale, l’umanità delle

pene, la presunzione di innocenza, il divieto della pena di morte).

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Proposte di modifica della procedura di

revisione costituzionale

Sono state avanzate più proposte di revisione

costituzionale dell’art. 138. La proposta di

legge Boato alla Camera e quella di Mancino al Senato, negli anni

scorsi, erano indirizzate ad accentuare il carattere aggravato del

procedimento voluto dal Costituente, onde evitare che la revisione

restasse nella disponibilità della maggioranza vittoriosa nell’ultima

elezione. Maggioranza che, col passaggio dal sistema elettorale

proporzionale a quello maggioritario, con premio in favore della

coalizione vincente, consentiva la formazione di Governi sostenuti da

una maggioranza parlamentare che non era espressione della

maggioranza dei votanti. A tale scopo, si proponeva di elevare a tre

quinti dei componenti delle Camere il quorum previsto dalla

maggioranza assoluta in seconda votazione e di stabilire anche che

non si desse adito a referendum se la legge di revisione

costituzionale fosse stata approvata nella seconda votazione da

ciascuna camera a maggioranza dei quattro quinti. Tali proposte

sono naufragate per lo scioglimento anticipato della legislatura;

esse, però, confermavano la volontà politica delle forze parlmentari

che eventuali modifiche alla Costituzione fossero il più largamente

condivise e non fossero di provenienza esclusiva della maggioranza

vittoriosa alle elezioni. Stona con tale intento, il progetto di riforma

istituzionale della Costituzione presentato dal Governo Renzi nel

2016 che, ignorando la volontà dei parlamentari di accentuare il

carattere aggravato della procedura di revisione della Costituzione,

con una mera maggioranza semplice, peraltro non rappresentativa

della maggioranza degli elettori (stante il sistema elettorale con

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premio di maggioranza e l’operazione trasformista di reclutamento

di parlamentari eletti nella coalizione antagonista), ritenne di voler

modificare strutturalmente lo Stato senza alcun accordo con le forze

di opposizione. L’operazione politica del Governo, presieduto da

Renzi, fu pienamente legittima (perché consentita dalla Costituzione

che ne subordinava l’efficacia al referendum confermativo) ma

irrispettosa della volontà dei Costituenti, delle forze politiche, che

(con l’ingresso del modello elettorale maggioritario, con premio alla

coalizione vincente) erano propensi, come suddetto, a creare

quorum più elevati al fine di far sì che le riforme delle regole di

Stato e della Costituzione avvenissero in modo condiviso (intesa tra

maggioranza ed opposizione). Il popolo, in sede referendaria, nel

Dicembre 2016, respinse la riforma istituzionale del Governo

presieduto da Matteo Renzi. I suddetti progetti di revisione

costituzionale, tutti falliti, - o per anticipato scioglimento della

legislatura (legge Boato e legge Mancino) o per volontà popolare

(legge Boschi-Renzi) – confermano l’importanza che ha avuto la

Costituzione dal dopo guerra ad oggi: essa è stata la bussola che ha

guidato e tutelato gli italiani anche di fronte alle volubilità delle forze

politiche e delle maggioranze parlamentari che si succedevano

(sovente con operazioni trasformiste). In pochi anni, abbiamo

assistito, prima, a maggioranze che intendevano riformare la

procedura aggravata di riforma della Costituizione con quorum più

ampi e, qualche anno dopo, una risicata maggioranza (a sostegno

del Governo Renzi) voler stravolgere completamente addirittura

l’assetto istituzionale dello Stato. E’ stata la Costituzione lo stabile

timone che ha consentito allo Stato Italiano di appordare a lidi

sicuri.

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I principi fondamentali

I principi fondamentali, come già

detto, sono irriformabili (non

possono essere modificati

nemmeno con la procedura di

revisione prevista dall’art. 138),

contenuti negli artt. da 1 a 12,

rappresentano il nucleo di valori a

fondamento di ogni atto normativo

e dell’azione dei poteri dello Stato.

Il loro valore è precettivo e non programmatico: sono suscettibili di

applicazione diretta anche quando manchi nel caso concreto una

esauriente disciplina ordinaria di dettaglio. I primi dodici articoli

affermano i seguenti principi: 1. democrazia - art.1, I comma; 2.

sovranità popolare art.1, II comma; 3. Inviolabilità dei diritti - art.2;

4. uguaglianza formale e sostanziale - art.3; 5. diritto del lavoro; –

art.4; 6. riconoscimento delle autonomia locali - art.5; 7. tutela delle

minoranze linguisstiche - art.6; libertà religiosa - art.8; 8. sviluppo

della cultura, della tutela ambientale e del patrimonio storico ed

artistico - art.9; 10. ripudio della guerra come strumento di offesa; -

art.11; 11.riconoscimento di collaborazioni internazionali; -. Art.10;

12. Bandiera italiana- art-12.

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I diritti e i doveri dei cittadini

Dall’art. 13 all’art. 54 sono descritti i

diritti che lo Stato riconosce ai cittadini.

L’art. 13 afferma che la libertà personale

è inviolabile. La libertà è un bene

prezioso, un valore insopprimibile: essa

può essere limitata solo su disposizione del Giudice, oppure dalla

polizia, in flagranza di reato. E’ naturalmente una garanzia contro gli

abusi delle forze dell’ordine. L’art. 18 contempla la libertà di

associazione. I cittadini sono liberi di associarsi senza dover chiedere

l’autorizzazione dei pubblici poteri. Dal diritto di associazione

scaturisce il pluralismo politico che è alla base della democrazia.

Sono vietate le associazioni segrete, a delinquere ed eversive. L’art.

21 garantisce la libertà di manifestazione del pensiero: le forme di

manifestazione, profondamente mutate nel tempo (si pensi al web,

ai social, alle chat, agli sms etc.), incontrano l’unico limite nel

rispetto della legge, dell’ordine pubblico e del buon costume. L’art.

27, già richiamato perché gran parte dei costituzionalisti lo ritengono

irriformabile, sancisce che la responsabilità penale è personale,

impone tre gradi di giudizio (due di merito ed uno di legittimità), la

presunzione di innocenza dell’imputato fino a sentenza passata in

giudicato, la pena deve tendere alla rieducazione del condannato

(non ha solo una finalità punitiva). Non è ammessa la pena di

morte. Gli artt. da 35 a 40 si occupano dei diritti dei lavoratori. L’art.

36 recita che “la retribuzione del lavoratore dipendente deve essere

commisurata alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque

essere sufficiente a garantire a lui e alla sua famiglia una esistenza

libera e dignitosa”. Il lavoratore ha diritto a ferie e a risposo

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settimanale (tali diritti sono irrinunciabili ed indisponibili). L’art. 38

pone le basi del sistema previdenziale: lo Stato deve occuparsi dei

cittadini che si trovino nell’impossibilità di lavorare a causa di

malattia, infortunio, invalidità vecchiaia, disoccupazione. L’art. 39

riconosce la libertà sindacale. L’art. 40 riconosce il diritto di sciopero

nel rispetto delle leggi e dei regolamenti. Una normativa dettagliata

regolamenta il diritto di sciopero nell’ambito dei servizi pubblici

essenziali. Per le violazioni di tale regolamento è prevista anche la

precettazione. Gli artt.41 e 42 enunciano i principi fondamentali del

sistema economico liberista. L’art. 41 recita così: ”l’iniziativa

economica privata è libera”; l’art. 42 afferma: ”la proprietà privata è

riconosciuta e garantita dalla legge”; I beni possono essere di

proprietà dello Stato e dei privati. Gli artt. 48 e 49 sono dedicati ai

diritti politici. Il diritto di voto, attivo e passivo, di tutti i cittadini; il

voto uguale, personale, libero e segreto ed il riconoscimento del

pluralismo politico e partitico. Gli artt.52, 53 e 54 richiamano i doveri

dei cittadini: rispettare le leggi, difendere la patria in caso di guerra,

pagare le tasse. Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche

in ragione della loro capacità contributiva, tanto che il sistema

tributario è informato al criterio di progressività (aliquota crescente

all’aumentare della capacità reddituale).

La parte seconda della Costituzione della Repubblica Italiana

descrive l'ordinamento dello stato, in particolare le caratteristiche

del suo garante, identificato nel Presidente della Repubblica, del

potere legislativo, di quello esecutivo e di quello giudiziario, nonché

degli enti locali e degli istituti a garanzia della Costituzione stessa.

Lo Stato Italiano si fonda sul principio di separazione dei poteri; le

tre funzioni fondamentali sono indipendenti tra loro: la funzione

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legislativa spetta al Parlamento, quella esecutiva al Governo, la

funzione giurisdizionale alla Magistratura. Ciascuno di questi organi

costituzionali è autonomo ed indipendente dall’altro. Al centro del

sistema istituzionale si pone il Parlamento, organo rappresentativo

della volontà popolare, che elegge in seduta comune il Presidente

della Repubblica, accorda la fiducia al Governo e può revocarla in

qualsiasi momento costringendo il Governo alle dimissioni (effettua

di fatto un controllo continuo sull’operato dell’organo esecutivo

attraverso, interrogazioni, interpellanze e mozioni), è detentore della

funzione legislativa (quindi “creatore” dell’ordinamento normativo

vigente). La Costituzione ha previsto una forma di bicameralismo

perfetto, due Camere, Camera dei Deputati e Senato della

Repubblica, aventi gli stessi poteri. In realtà, i Costituenti vollero

dare al Senato quel ruolo di "Camera di riflessione" che deliberasse

sulle leggi già approvate dalla Camera dei deputati, “l'Assemblea

nazionale" italiana. Nel Senato siedono anche i senatori a vita,

cittadini che, pur non essendo eletti, appartengono alla Camera alta

perché ex Presidenti della Repubblica (senatori di diritto) o per

altissimi meriti in ambito sociale, scientifico, artistico o letterario.

Tali cittadini sono nominati senatori dal Presidente della Repubblica

in carica, e non possono essere più di cinque, sebbene sia esistita

l'interpretazione dell'articolo 59 per cui il numero di cinque valga per

ogni Presidente della Repubblica, interpretazione data da Pertini.

Entrambe le camere rimangono in carica per una durata di 5 anni,

tale periodo prende il nome di "legislatura" e non può essere

prorogato se non per legge e soltanto in caso di guerra. Tuttavia

una legislatura può anche durare meno su decisione del Presidente

della Repubblica che può "sciogliere le camere" dopo aver verificato

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l’impossibilità delle stesse di esprimere una maggioranza

parlamentare in grado di sostenere un Governo. Al termine della

legislatura, lo stesso Capo dello Stato indice le elezioni, che hanno

luogo entro settanta giorni, e fissa la data della prima riunione delle

Camere; nel periodo tra la scadenza della legislatura e la formazione

delle nuove Camere, la prorogatio: sono prorogati i poteri delle

Camere precedenti, che però sono assai ridotti (limitati all'ordinaria

amministrazione), essendo ormai scaduta la funzione

rappresentativa del popolo. La Costituzione pone un limite esplicito

ai poteri delle camere in prorogatio: esse non possono procedere

all'elezione del Presidente della Repubblica. Ogni membro del

Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza

vincolo di mandato (divieto di mandato imperativo). Ciascun

parlamentare è responsabile politicamente del proprio operato ma

non è vincolato alla volontà degli elettori che lo hanno votato. I

parlamentari non sono responsabili delle opinioni espresse e dei voti

dati nell'esercizio delle loro funzioni, proprio per quel principio di

rappresentanza della volontà popolare ad essi rimessa. Se l’autorità

giudiziaria, nelle modalità previste dalla legge di procedura penale,

intende procedere ad atti coercitivi nei confronti dei membri del

Parlamento, tale richiesta deve essere approvata dalla Camera cui il

parlamentare appartiene. La ratio di tale disposizione: in passato era

capitato in altri Paesi e in altre epoche - il caso più famoso è quello

della Prima rivoluzione inglese - che membri del Parlamento fossero

arrestati solo perché non amati dai giudici.

La parte della Costituzione che va dall'articolo 70 all'82 è dedicata

alla formazione della legge. Secondo i dettami costituzionali, la

funzione legislativa è esercitata dalle due Camere, entrambe

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esaminano la proposta di legge in base ai propri regolamenti interni.

La legge approvata viene promulgata dal Presidente della

Repubblica; tuttavia il Presidente può con messaggio motivato

rifiutarsi di promulgarla e rinviarla alle Camere che, ove approvino

nuovamente la legge (senza accogliere le censure mosse dal

Presidente della Repubblica) deve essere promulgata. In sede

abrogativa, totale o parziale, il popolo sovrano ha a disposizione lo

strumento del referendum, previsto dall'articolo 75, fatte salve

alcune materie descritte nel medesimo articolo. La proposta

referendaria è considerata approvata se ha partecipato alla

votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è stata raggiunta

la maggioranza dei voti validamente espressi.

Il Presidente della Repubblica

Il secondo titolo, dall'articolo

83 al 91, riguarda le

modalità di elezione, i poteri

e le responsabilità del

presidente della Repubblica

Italiana che l'ordinamento

italiano identifica come capo

dello Stato, garante

dell'equilibrio dei poteri e

che rappresenta l'unità

nazionale : “Il Presidente

della Repubblica è il capo

dello Stato e rappresenta l’unità nazionale. Può inviare messaggi alle

Camere. Indice elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima

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riunione. Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge

di iniziativa del Governo. Promulga le leggi ed emana i decreti aventi

valore di legge e i regolamenti. Indice il referendum popolare nei

casi previsti dalla Costituzione. Nomina, nei casi indicati dalla legge,

i funzionari dello Stato. Accredita e riceve i rappresentanti

diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra,

l’autorizzazione delle Camere. Ha il comando delle Forze armate,

presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge,

dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Presiede il

Consiglio superiore della magistratura. Può concedere grazia e

commutare le pene. Conferisce le onorificenze della Repubblica.” E’

un interpotere, ovvero ha attribuzioni relative alle tre funzioni

fondamentali dello Stato (legislativa, esecutiva e giurisdizionale) e

solge una fuzione di raccordo tra le isituzioni. Il Presidente è

sollevato dalla responsabilità penale (salvo per i reati di alto

tradimento e attentato alla Costituzione) negli atti e comportamenti

esclusivamente riconducibili all'esercizio delle sue funzioni. Per gli

eventuali reati commessi al di fuori del suo ufficio, nonostante non

vi sia nulla di esplicito a proposito nella Costituzione, la

giurisprudenza ritiene che sia comunque intoccabile per tutta la

durata del mandato. Il Presidente nomina il Presidente del Consiglio

dei Ministri e, su sua proposta, i Ministri. Inoltre, tranne che durante

gli ultimi sei mesi del suo mandato, può procedere allo scioglimento

anticipato delle camere. Questi compiti lo rendono un attore

fondamentale nella soluzione delle crisi di Governo. Nel caso che il

Presidente non fosse nelle condizioni di adempiere alle sue funzioni,

esse vengono esercitate dal Presidente del Senato.

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Il Governo

Il Consiglio dei Ministri è l’organo

che costituisce il Governo della

Repubblica ed è composto,

secondo l’art. 92, dal Presidente

del Consiglio dei Ministri e dai

Ministri: è un organo collegiale a

numero variabile: si sono

succeduti governi con più dicasteri

e governi più snelli, con meno dicasteri. Soprattutto nella prima

repubblica, i governi con più ministeri rispondevano ad una logica di

spartizione del potere e di soddisfacimento della bulimia di poltrone

dei partiti. Esso esercita il potere esecutivo e detiene la funzione di

indirizzo politico. La Costituzione esclude che il Governo sia scelto

formalmente dal corpo elettorale, bensì, secondo l'articolo 92, la

nomina del Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di

questo, dei ministri spetta al Presidente della Repubblica. Il Governo

trae la sua legittimazione dalla "fiducia parlamentare" che è

imprescindibile e deve essere chiesta entro dieci giorni dalla sua

formazione, presentandosi innanzi ad entrambe le due camere; la

fiducia può essere revocata, anche da una sola camera, in qualsiasi

momento, si aprirà una crisi parlamentare ed il Governo sarà

obbligato a dimettersi. La mozione di sfiducia deve essere firmata da

almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere

messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.

L'attività del Governo successiva alle dimissioni è limitata al disbrigo

degli affari correnti; solitamente il Presidente del Consiglio

dimissionario emana apposite circolari per regolare i poteri. In

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seguito alla crisi di Governo, il Presidente della Repubblica avvia le

consultazioni per la sua risoluzione. Per quanto riguarda i compiti e i

poteri del Presidente del Consiglio dei ministri, l'articolo 95 recita: “Il

Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del

Governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed

amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri. I

ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei

ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri. La legge

provvede all'ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina

il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei ministeri.” Il Governo

deve dunque agire come un soggetto politicamente unitario in cui il

Presidente del Consiglio è un “primus inter pares”. A tal fine

vengono, appunto, attribuiti al Presidente del Consiglio, i poteri

necessari per poter assicurare ciò. Il Governo rimane in carica

fintantoché non si dimette, o per scelta spontanea o perché

costretto per la revoca della fiducia da parte di almeno una Camera.

La bocciatura da parte di una Camera ad una proposta del Governo

non comporta l'implicita sfiducia; tuttavia, anche se non è una

pratica prevista espressamente dalla Costituzione, spesso il governo

ricorre alla questione di fiducia a sostegno dei propri atti. L'articolo

97 e 98 sono dedicati alla pubblica amministrazione italiana e per la

loro organizzazione si rimanda ad una riserva di legge mentre è

stabilito che, salvo casi demandati sempre alla legge, agli incarichi vi

si acceda per concorso pubblico.

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La magistratura

La Costituzione sancisce

due principi fondamentali:

1."La giustizia è

amministrata in nome del

popolo", marcando una

profonda differenza con il

passato (come lo Statuto

Albertino) in cui era

amministrata in "nome del

Re", 2."I giudici sono

soggetti soltanto alla

legge" ribadendo così la separazione dei poteri e costituendo un

collegamento tra il giudice (carica non elettiva e non politica) e la

sovranità popolare. La Costituzione, inoltre prevede forti garanzie a

favore dell'indipendenza dei giudici asserendo che la magistratura

sia autonoma e vietando ingerenze di ogni altro potere. Il Consiglio

superiore della magistratura è presieduto dal Presidente della

Repubblica ed è l’organo autogoverno della magistratura: ne fanno

parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della

Corte di cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da

tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e

per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari

di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di

esercizio. Il Consiglio elegge un vicepresidente fra i componenti

designati dal Parlamento. L'articolo 111 descrive i principi del giusto

processo demandando alla legge la regolamentazione. Il

contraddittorio e la condizione di parità tra le parti, la presenza di un

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giudice terzo ed imparziale, una durata del processo ragionevole e

ulteriori istituti a garanzia dei diritti dell'accusato nel rito penale

sono essenziali per un buon processo. Nel processo penale, la legge

assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve

tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi

dell’accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle

condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà,

davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che

rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e

l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni

dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore;

sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua

impiegata nel processo. Il processo penale è regolato dal principio

del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza

dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese

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da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto

all'interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore. La legge

regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in

contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata

impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta

illecita. Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.

Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale,

pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre

ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge. Si può

derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari

in tempo di guerra.

Le Regioni, le Province, i Comuni

Il quinto titolo, dall'articolo 114 al 133, riguarda le norme relative ai

governi locali. Questa parte è stata oggetto di una profonda

revisione con le leggi costituzionali del 1999 e del 2001.

Originariamente veniva ripartita in regioni, province e comuni a cui,

dal 2001, si sono aggiunte le città metropolitane: “La Repubblica è

costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle

Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e

le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni

secondo i principi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della

Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento.»Tra

le regioni, secondo l'articolo 116, il Friuli-Venezia Giulia, la

Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle

d'Aosta/Vallée d’Aoste, godono di particolari forme di autonomia

garantite dai loro statuti speciali”. Il rapporto tra stato-regioni e

dunque le materie di legislazione esclusiva statale o concorrenti tra

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lo stato e le regioni, in cui la potestà legislativa spetta comunque a

queste ultime, sono elencate nell'articolo 117. La legge dello stato

deve individuare le funzioni che possono essere attribuite ai comuni,

alle province e alle città metropolitane, quest'ultimi potranno così

regolamentare l'organizzazione e lo svolgimento di tali funzioni. In

caso di contrasti di competenza tra lo stato e le regioni, la Corte

costituzionale è incaricata di risolvere la questione. Infatti, con

l'articolo 127, si stabilisce che il Governo "può promuovere la

questione di legittimità costituzionale" inerente a una legge

regionale che ritiene ecceda le competenze delle Regioni, dinnanzi a

questa corte. Altresì, una regione può promuovere la stessa azione

quando ritiene che una legge o un atto avente forza di legge dello

Stato o di un'altra Regione leda la sua sfera di influenza". L'articolo

120 pone alcune limitazioni all'autonomia delle Regioni vietandogli

l'istituzione di dazi o di provvedimenti che ostacolino la circolazione

di persone o cose tra le Regioni, nonché limitare in qualsiasi modo il

diritto del lavoro. In casi specifici, individuati nell'articolo 120, al

Governo è data la possibilità di sostituirsi agli enti locali,

demandando alla legge le "procedure atte a garantire che i poteri

sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e

del principio di leale collaborazione".

Dall'articolo 121 all'articolo 123, la Costituzione descrive

l'organizzazione della Regione, individuandone gli organi che sono: il

Consiglio regionale, organo deliberativo, la Giunta regionale, organo

esecutivo, e il Presidente, Capo dell’esecutivo, quest'ultimo

incaricato di dirigere la politica della Giunta e le funzioni

amministrative delegate dallo stato. La disciplina dell'elezione dei

precedenti organi è demandata alla legge regionale (nei limiti dei

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principi fondamentali stabiliti dalla legge dello Stato). Le Regioni

sono organizzate secondo uno statuto regionale (armonizzato con la

Costituzione) che viene disciplinato dall'articolo 123.

Tutte le autonomie regionali descritte non devono, comunque, far

pensare ad una tendenza ad una netta separazione tra Stato e

Regioni, bensì ad un decentramento del potere coordinato ed

equilibrato con gli interessi statali in ossequio all'art 5 della

Costituzione che prevede l'indivisibilità della Repubblica.

Garanzie Costituzionali

Il sesto titolo, dall'articolo 134 al 139, riguarda le garanzie poste per

preservare la stessa Costituzione ed è suddiviso in due sezioni: "La

Corte costituzionale" e "Revisione della Costituzione - Leggi

costituzionali."

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La Costituzione si caratterizza per un organo di garanzia esterno

all'organo di produzione legislativa e al circuito democratico

individuato nell'istituzione della Corte costituzionale della Repubblica

Italiana. Essendo essa un organo di garanzia esterno, non può

essere espressione della maggioranza e non ha una legittimazione

derivante dalla rappresentanza del corpo elettorale. È composta da

15 giudici, di cui 5 eletti dal Parlamento in seduta comune (la cui

scelta generalmente è di matrice politica), 5 nominati dal Presidente

della repubblica (solitamente scelti con lo scopo di assicurare un

equilibrio tra le varie correnti), tre sono eletti dai magistrati di

Cassazione, uno dal Consiglio di Stato e uno dalla Corte dei Conti; la

scelta di quest'ultimi garantisce un collegamento tra il potere

giudiziario e la Corte. Tutti i membri vengono scelti, secondo

l'articolo 135, tra i "magistrati anche a riposo delle giurisdizioni

superiori ordinaria ed amministrative, i professori ordinari di

università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni

d’esercizio". Il funzionamento della Corte è stato disciplinato dalla

legge costituzionale del 1967, in cui tra l'altro si è stabilito che

rimangono in carica 9 anni, che il Presidente è eletto in seno ad essa

e da parte degli stessi appartenenti, che si riunisce in udienza

pubblica o in camera di consiglio e che si pronuncia mediante

sentenze o ordinanze. Oltre che per la risoluzione dei conflitti di

attribuzione tra Stato e Regioni. tra Regioni e Regioni ed altri organi

dello Stato, la Corte può essere chiamata ad un giudizio in via

incidentale quando, nel corso di un procedimento giudiziale, ad un

giudice sorga un dubbio di costituzionalità di una norma e dunque

interrompa il processo rimettendo così alla Corte la questione di

legittimità costituzionale. Con questo, i costituenti (ed in particolare i

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membri appartenenti all'area comunista) hanno voluto evitare che

un singolo cittadino potesse impugnare un atto del Parlamento

legittimato come rappresentante del popolo. Secondo l'articolo 136,

"quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di

legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere

efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione".

Infine, la Corte costituzionale viene chiamata ad esprimersi nei

giudizi d’accusa contro il Presidente della Repubblica per altro

tradimento ed attentato alla costituzione, coadiuvata da sedici

cittadini tratti a sorte tra coloro con i requisiti per l’eleggibilità a

senatore, e sull'ammissibilità del referendum abrogativo.

Secondo la procedura prevista dall'articolo 138 della Costituzione:

«Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali

sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni

ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a

maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella

seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum

popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne

facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o

cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge

sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla

maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge

è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere

a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.»

Le modifiche al testo della Costituzione non devono comunque

compromettere lo spirito repubblicano e gli ideali sui quali essa si

fonda. La dottrina prevalente e la giurisprudenza (Corte Costi.

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1146/1988, Corte Costi. 366/1991), come già detto, ritiene che i

principi fondamentali (art. dall'1 al 12) e quelli ad essi collegati,

siano una base irrinunciabile per lo spirito repubblicano su cui la

Costituzione si fonda e che costituiscano parte integrante della

forma repubblicana. Per questo motivo non possono essere

modificati (vedi limiti alla revisione costituzionale).

Disposizioni transitorie e finali

La Costituzione della Repubblica Italiana contiene diciotto

disposizioni transitorie e finali inserite con l'intento di gestire il

passaggio dal precedente ordinamento a quello repubblicano. Esse

hanno carattere di eccezionalità, ovvero una volta raggiunto il loro

scopo non sono atte a ripetersi.

Tra le principali ci sono:

la previsione del Capo provvisorio dello Stato facente funzioni di

Presidente della Repubblica (sarà eletto Enrico De Nicola);

il non riconoscimento dei titoli nobiliari, e la loro nullità;

il divieto di riorganizzazione del disciolto Partito Nazionale Fascista e

deroga alle norme costituzionali per la temporanea limitazione dei

diritti politici dei suoi dirigenti;

alcune indicazioni in merito alla prima composizione del Senato dopo

l'entrata in vigore della costituzione;

l'esproprio e il passaggio alla Proprietà dello Stato dei beni

appartenenti a Casa Savoia sul territorio italiano.

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Leggi costituzionali

Il testo originario della

Costituzione, nel corso della

storia, ha subito alcune

revisioni o emendamenti. Per

revisioni costituzionali in senso

più ampio, riferite alla configurazione dei poteri contenuta nella

parte II della Costituzione, la dottrina giuridica avanzò proposte che

nel tempo furono convogliate nei lavori di apposite commissioni

bicamerali, che però non portarono a nessun esito.

Nel primo cinquantennio di vita della Costituzione italiana sono state

approvate venticinque leggi costituzionali o di revisione

costituzionale, in gran parte finalizzate a consolidare alcune

istituzioni ed aggiornare alcune norme alle nuove esigenze della vita

politica e civile. Tra le più significative approvate vi è la L. Cost.

1/1953 in cui vengono integrate alcune norme riguardanti la Corte

costituzionale; la L. Cost. 2/1963 con la quale si regola l'elezione

delle camere e la durata della legislatura; la L. Cost. 2/1967

riguardante norme sulla composizione del collegio dei giudici

costituzionali; la L. Cost. 1/1989 sulla responsabilità penale dei

ministri; la L. Cost. 3/1993 che regola l'immunità parlamentare. Con

la legge costituzionale 23 ottobre 2002 venne stabilito che i commi

primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della

Costituzione, relativi al divieto per i discendenti maschi di Casa

Savoia di soggiornare in Italia e partecipare alla vita pubblica del

paese, esaurivano i loro effetti. A partire dalla XIII legislatura, si è

assistito ad una nuova inclinazione verso un "revisionismo

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costituzionale" caratterizzato da alcune proposte più ampie ed

articolate di riforma della Costituzione. Tuttavia non sono mancante

delle revisioni più dettagliate come, a titolo di esempio, l'inserimento

del principio delle pari opportunità (L. Cost. 1/2003) . Di seguito,

invece, sono trattate le revisioni più consistenti tra quelle approvate

o, solamente, proposte.

La revisione costituzionale del 2001

Il Parlamento italiano, quasi alla conclusione della XIII Legislatura,

ha approvato una rilevante modifica della Costituzione modificando

9 articoli della stessa, tutti contenuti all'interno del Titolo V della

Seconda parte, relativo all'ordinamento territoriale italiano. La legge

di revisione punta a creare le basi e le condizioni essenziali per una

futura trasformazione dell'Italia in una Repubblica federale, in prima

istanza rovesciando l'ordine di preminenza nella formazione delle

leggi disposto dall'articolo 117: se prima venivano elencate le

materie in cui le Regioni avevano potere di legiferare (in via

concorrenziale) ed era lasciata allo Stato la competenza su tutto il

resto, ora vengono elencate le materie di competenza esclusiva

dello Stato, nonché alcune materie di competenza concorrente dello

Stato e delle Regioni, mentre viene lasciata alle Regioni la

competenza generale o "residuale" (cosiddetto federalismo

legislativo).

Altri effetti della riforma sono:

L'ordinamento policentrico della Repubblica italiana (adesso

costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle

Regioni e dallo Stato);

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La prima citazione dell'ordinamento sovranazionale europeo

("comunitario") tra quelli che danno luogo ad obblighi che limitano

la discrezionalità legislativa nazionale (sia dello Stato che delle

regioni);

La "costituzionalizzazione" di Roma capitale della Repubblica;

La possibilità di concedere alle Regioni a statuto ordinario che ne

facciano richiesta (e previa intesa con lo Stato) forme e condizioni

particolari di autonomia (cosiddetto federalismo differenziato, di

natura pattizia);

L'attribuzione ai Comuni della preminenza nell'azione amministrativa

(inserimento in Costituzione dei principi del federalismo

amministrativo);

L'inserimento dei principi del federalismo fiscale e la previsione di un

fondo perequativo per le aree svantaggiate del Paese (eliminando

qualsiasi riferimento specifico al Mezzogiorno e alle Isole);

L'introduzione del potere di supplenza dello Stato qualora una

Regione o un ente locale non svolga le funzioni proprie o attribuite;

La previsione dell'inserimento negli Statuti regionali del Consiglio

delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione

e gli enti locali;

La soppressione del controllo preventivo statale sulla legislazione

regionale;

La possibilità, nelle more dell'istituzione del Senato federale, di

integrare la Commissione parlamentare per le questioni regionali con

rappresentanti delle Regioni e degli enti locali.

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Questa riforma, realizzata dall'Ulivo sulla base di un testo approvato

da maggioranza e opposizione nella Commissione bicamerale per le

riforme istituzionali presieduta dall'onorevole D'Alema, non è stata

appoggiata dal quorum dei 2/3 del Parlamento: ciò ha permesso

l'indizione di un referendum per chiederne all'elettorato

l'approvazione o la bocciatura. Attraverso il voto popolare del

referendum, svoltosi il 7 ottobre 2001, il 64,20% dei votanti

(34,10% di affluenza) ha espresso la volontà di confermare la

riforma, entrata poi in vigore l'8 novembre 2001.

II parte - Lo Stato e la cittadinanza -

Concetto di cittadinanza

La cittadinanza è la condizione

di una persona fisica alla quale

l’ordinamento normativo di

uno Stato riconosce la

pienezza dei diritti civili e

politici. E’ uno status del

cittadino, dal punto di vista

giuridico, ed anche una

relazione fra il cittadino e lo Stato: coloro che ne sono privi sono

detti stranieri se hanno la cittadinanza di un altro Stato o apolidi se

non hanno alcuna cittadinanza. Il cittadino, naturalmente, al

contrario dello straniero, conserva questo peculiare rapporto con il

suo Stato di appartenenza anche quando esce al di fuori dei suoi

confini, a differenza dello straniero che ha un rapporto occasionale

limitato al periodo di permanenza nel territorio nazionale. Nel diritto

romano, lo status civitatis distingueva il cittadino romano (civis

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romanus) da colui che non era cittadino ed, unito allo status

libertatis, che identificava l’uomo libero distinguendolo dallo schiavo,

e lo status familiae, che distingueva il pater familias dagli altri

membri della famiglia, era condizione necessaria per disporre di

capacità giuridica. Nel suo significato attuale, può intendersi come

soggetto titolare di una molteplicità di diritti e doveri riferibili ad un

individuo, parte di un determinato assetto politico. Il concetto di

cittadinanza è, dal punto di vista storico, abbastanza recente perché

espressione dello Stato moderno caratterizzato dalla sovranità e

dalla territorialità.

La condizione di cittadino differisce da quello di suddito: il cittadino

è titolare di diritti e doveri, situazioni giuridiche attive e passive, il

suddito è il sottoposto alla sovranità dello Sato ed è titolare soltanto

di situazioni giuridiche passive e di doveri: è’ stata la condizione del

popolo nell’epoca medievale e, in tempi più recenti, nelle monarchie

assolute e negli Stati totalitari. Soltanto quando lo Stato si è evoluto

e ha riconosciuto al suddito diritti civili e politici, costui è diventato

un cittadino. E’ la condizione tipica del popolo nelle monarchie

costituzionali e liberali, nonché nelle repubbliche democratiche. Il

concetto di cittadinanza implica la configurazione del concetto di

Stato, nella sua accezione moderna e condivisa. E’ ipotizzabile un

diritto di cittadinanza in quanto esista uno Stato nel suo tradizionale

assetto istituzionale. All’art. 22, la Costituzione afferma che

“nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità

giuridica, della cittadinanza, del nome”. La ratio di tale disposizione

è la necessità di una garanzia della persona dagli arbitri di derive

plebiscitarie e totalitarie. Il fascismo aveva privato della cittadinanza

italiana gli antifascisti in esilio ed aveva stabilito grosse limitazioni

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alla cittadinanza ed alla capacità giuridica dei “cittadini di razza

ebraica” (Legge n.1728 del 1938).

La legge n.91 del 1992 indica chiaramente i tre criteri fondamentali

per essere cittadini italiani: 1. lo ius sanguinis: è cittadino italiano

chi nasce da uno o da entrambi cittadini italiani; 2. lo ius soli: è

cittadino italiano chi nasce nel territorio italiano se i genitori sono

ignoti o apolidi, o se il figlio non abbia acquistato la cittadinanza dei

genitori in base alla legge del loro Stato (sono in discussione in

Parlamento nuove proposte di legge di riforma dello ius soli). 3. la

volontà dell’interessato secondo cui lo straniero o l’apolide possono

chiedere la cittadinanza, qualora si trovi in determinate condizioni,

cioè abbia rapporti di parentela con cittadini italiani, residenza

ininterrotta per 10 anni o 5 anni per l’apolide, o abbia prestato

servizio, anche all’estero, alle dipendenze dello Stato Italiano. La

legge n.91 del 1992 riconosce la doppia cittadinanza: non prevede

più, nel caso di cittadini che acquistino anche la cittadinanza di altri

Stati, la decadenza automatica da quella italiana. In virtù di questa

modifica si è reso necessario estendere l’esercizio del diritto di voto

ai cittadini all’estero con l’approvazione della legge costituzionale

n1/2000. La decadenza dalla cittadinanza italiana è limitata a due

sole ipotesi: quando il cittadino abbia accettato un impiego pubblico

o una carica pubblica di uno Stato estero o abbia prestato servizio

militare per uno Stato estero e non ottemperi l’intimazione del

Governo italiano di abbandonare la carica, l’impiego o il servizio

militare, oppure quando il cittadino, in stato di guerra con uno Stato

estero, abbia accettato o non abbia abbandonato un impiego o una

carica pubblica, o abbia prestato servizio militare per quello Stato. Al

di fuori di queste ipotesi, la cittadinanza si può perdere solo per

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rinunzia espressa. Nel caso di perdita della cittadinanza è prevista,

comunque, la possibilità di acquistarla se si soddisfano determinate

condizioni.

Differenze tra cittadinanza e nazionalità

Diversa dalla cittadinanza è il principio di nazionalità con cui si

intende l’appartenenza ad una nazione. Il concetto di nazione

coincide con un sentimento di appartenenza e comunanza ad una

lingua, ad una cultura, a consolidate tradizioni. Il termine nazionalità

ha un’accezione puramente culturale: non sempre cittadinanza e

nazionalità coincidono. Tanti si sono chiesti se per acquisire la

cittadinanza fosse necessario che il richiedente avesse assimilato la

lingua, le tradizioni locali, insomma, fosse integrato nella comunità.

Allo stato, non è una condizione imprescindibile.

Lo Stato

Il concetto di Stato moderno fu

sviluppato nel diciannovesimo secolo

da studiosi di diritto pubblico e di

politica che vedevano

nell’organizzazione statale

l’espressione di un processo di

razionalizzazione politica in grado di

incidere sui comportamenti

individuali. E’ la nuova forma di

organizzazione politica interna ed internazionale che caratterizza il

sistema dei rapporti in Europa tra il XV secolo ed il XVII secolo. Lo

Stato moderno è certamente un processo in evoluzione, non un

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sistema. La sua origine è nella crisi degli ordinamenti medievali e nel

distacco delle vecchie sovranità da basi popolari e territoriali. La fase

intermedia è costituita dalla progressiva centralizzazione del potere

avvenuta nel XVII secolo; la fase matura, di pieno consolidamento,

inizia nella seconda metà del XVII secolo. Il primo vero

riconoscimento di uno Stato moderno avviene con la Dichiarazione

dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 con cui i rappresentanti

del popolo francese proclamarono “i diritti naturali, inalienabili e

sacri dell’uomo”. Lo Stato, secondo una condivisa definizione politica

e sociale, è un ente giuridico pubblico, dotato di personalità

giuridica, che esercita su di un determinato territorio un potere

originario, la sovranità, disponendo del monopolio dell’uso legittimo

della forza e che persegue l’interesse generale della collettività in

esso presente. Le elaborazioni concettuali, anche recenti, di politici

contemporanei, che intendevano dare ad esso una struttura

aziendale, naturalmente naufragati, rappresentavano un abnormità

sociale, giuridica ed economica. Sotto l’aspetto economico, a

differenza di un’azienda, lo Stato, come condiviso dai prevalenti

economisti, non deve realizzare utili e profitti ma garantire il

benessere della collettività. Keynes, teorizzatore della

macroeconomia, ha affermato che, ove necessario, nelle fasi di

depressione economica, lo Stato, pur di contrastare il fenomeno

recessivo, deve effettuare opere pubbliche, sostenute naturalmente

da un incremento della spesa pubblica, anche a discapito di bilanci

statali in passivo che accrescano il deficit. Sotto l’aspetto sociale e

giuridico, si ribadisce che lo Stato è un ente giuridico pubblico che

persegue il bene collettivo, non quello di una ristretta oligarchia. Lo

Stato consta di tre elementi costituivi: il popolo, il territorio e la

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sovranità; sono elementi indefettibili, la mancanza di uno di essi fa

sì che non si abbia uno Stato. Il popolo è rappresentato dai cittadini

stanziati sul territorio dello Stato che condividono lo status di

cittadini; il territorio è lo spazio geografico racchiuso nell’ambito dei

confini dello Stato dove si esercita la forza dello Stato, allargato alle

c.d. acque territoriali (i mari bagnanti le coste) ed all’estensione

aerea; la sovranità è il potere originario, indipendente e supremo,

che si manifesta nei tre poteri fondamentali dello Stato: potere

legislativo, fare le leggi, potere esecutivo, amministrare e governare

lo Stato, potere giudiziario, applicare le leggi dirimendo le liti. Lo

Stato non deriva da nessun ente superiore, la sua sovranità è

riconosciuta dagli altri Stati ed è sovrano rispetto agli altri organi

interni. Un popolo stanziato su di un territorio, privo di sovranità,

non è uno Stato; al più, sarebbe un’organizzazione tribale, in cui non

vi è certezza del diritto, non esiste un ordine costituito e la presunta

giustizia è dispensata dal saggio della tribù.

Il principio di separazione dei poteri

La divisione dei poteri risponde ai principi del costituzionalismo che,

in Italia, più tardi, purtroppo, rispetto alle monarchie costituzionali

europee, fu il fondamento dello Stato postfascista per volontà

espressa dei costituenti. Il potere diviso e separato, mutuato da

Mountesquie, deve essere in grado di arrestare un potere illegittimo

esercitato da un altro organo. Con la separazione dei poteri si

realizza il duplice obiettivo di limitare il potere politico per la tutela

della libertà degli individui e di creare un sistema di controllo e di

garanzia di ciascun potere sull’altro al fine di evitare pericolose

forme di accentramento di poteri legittimate da derive plebiscitarie. I

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tre poteri fondamentali (legislativo, esecutivo e giudiziario) devono

avere ciascuno organi e struttura distinte dalle altre funzioni e dagli

altri poteri al fine di creare un sistema di controlli e di

interdipendenza acché ciascun potere possa frenare gli eccessi

dell’altro.

Lo Stato e le sue varie forme

Per forma di Stato si intende il rapporto intercorrente tra le autorità

pubbliche e la società civile e l’insieme di principi e valori a cui si

attiene l’azione dello Stato. Le forme di Governo, invece, sono i

modi in cui il potere è distribuito tra gli organi principali dello Stato e

l’insieme delle relazioni tra essi. A seconda delle varie combinazioni

dei tre elementi costitutivi dello Stato avremo diverse forme di

Stato. Lo Stato assoluto è caratterizzato dal fondamento teocratico

del potere (il monarca gode di un’autorità legittimata direttamente

da Dio, assoluta deriva da ab soluto, sciolto da ogni costrizione

esterna, quindi il sovrano può esercitare liberamente il potere), dal

territorio come proprietà dello Stato, dall’accentramento del potere

nella mani del sovrano, tanto che Luigi XVI fieramente affermava:

“lo Stato sono io”. Questa forma di Stato entra in crisi nel ‘700. Lo

Stato di polizia ha un impianto similare allo Stato assoluto ma il

sovrano, ritenuto “illuminato”, pone in atto riforme finalizzate al

miglioramento della vita statale. Questa forma di Stato entrò in crisi

con la Rivoluzione francese del 1789 che introdusse il

costituzionalismo. Lo Stato liberale si sviluppò in tutto il 1800. Esso

solo in parte attuò principi c.d. rivoluzionari. E’ uno Stato di diritto,

cioè ogni potere statale è sottoposto alla legge (nascono le

monarchie costituzionali), si fonda sul principio di eguaglianza

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innanzi alla legge, sulla tutela dei diritti di libertà e la separazione

dei poteri fondamentali dello Stato. Lo Stato non interviene nelle

dinamiche sociali ed economiche: si riconosce un’ampia sfera di

libertà all’autonomia privata. Questo Stato, specie in Italia, lascia le

masse, le fasce popolari fuori dalla vita politica e le pressanti

richieste di diritti di libertà, politici e sociali portarono alla sua crisi.

In Italia, purtroppo, la crisi dello Stato liberale ebbe conseguenze

devastanti: ci fu un’involuzione autoritaria, l’avvento del fascismo e,

con la complicità della monarchia Savoia, della Chiesa e delle

gerarchie ecclesiastiche, l’instaurazione di uno Stato totalitario. Lo

Stato totalitario si fonda sull’accentramento dei poteri nel Capo e

nella ristretta elite di persone che lo coadiuvano, sulla sudditanza

del popolo al Capo, sullo scioglimento dei partiti e la fine del

multipartititmo, sull’eliminazione delle libertà fondamentali in nome

delle prioritarie esigenze dello Stato. La sconfitta dei totalitarismi

segna la nascita della democrazia. La sovranità popolare investe le

istituzioni. Ritorna il pluripartitismo, lo Stato si fonda sul

riconoscimento e la tutela dei diritti, il popolo e il corpo elettorale

rappresentano il soggetto di riferimento della democrazia. Il

principio maggioritario è elevato a strumento di sintesi negli organi

collegiali: la maggioranza prevale sulla minoranza e quest’ultima è

tenuta a rispettare la volontà della maggioranza.

Forme di Governo

Le forme di Governo riconosciute nello Stato liberale sono: la

monarchia costituzionale, il governo parlamentare, il governo

presidenziale. La monarchia costituzionale si afferma nel passaggio

dallo Stato assoluto allo Stato liberale ed è caratterizzata dalla

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separazione dei poteri del Re da quelli del Parlamento, titolari

rispettivamente del potere esecutivo e del potere legislativo. Questa

forma di governo si basa sull’equilibrio tra due centri di potere:

quello monarchico – ereditario e quello elettivo. Gradualmente con il

consolidarsi dei poteri del Governo, la monarchia costituzionale si è

trasformata in governo parlamentare; il governo è divenuto sempre

più autonomo dal Re e collegato all’organo elettivo (il Parlamento),

di cui doveva godere la fiducia. Dall’originario “esecutivo bicefalo” –

potere esecutivo del Re e del Governo che doveva godere della

fiducia del Re e del Parlamento – si è passati ad un parlamentarismo

in cui i poteri del Re, Capo dello Stato, erano più circoscritti

rafforzando il sistema incentrato sul rapporto di fiducia tra

Parlamento e Governo. La forma di governo parlamentare si

caratterizza per l’esistenza di un rapporto di fiducia tra governo e

parlamento: il Governo per esercitare le attribuzioni amministrative

deve essere sostenuto da una maggioranza parlamentare. Nella

forma di governo presidenziale, il Presidente della Repubblica è

eletto direttamente dal corpo elettorale, non può essere sfiduciato

durante il suo mandato e dirige l’attività dei Governi da lui nominati

e presieduti. La repubblica semipresidenziale – sul modello francese

– è caratterizzata dall’elezione diretta del Capo dello Stato che

nomina un governo che comunque deve godere della fiducia del

Parlamento. Il potere del governo è diviso tra Presidente della

Repubblica e Premier. Un governo operativo presuppone un’intesa

tra Capo dello Stato che ha un ruolo politico e Primo Ministro.

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La repubblica parlamentare italiana

L’Italia è stata, ed è tuttora, una repubblica parlamentare,

nonostante i tentativi di modifica della struttura istituzionale e le

riforme dei sistemi elettorali che tentavano di generare

un’investitura popolare dell’organo di governo. La legittimazione

popolare dell’esecutivo presuppone un rafforzamento delle

prerogative di governo, che non c’è stato: da qui una sfasatura che

ha originato dubbi costituzionali, tuttora irrisolti. Nel nostro paese, il

sistema elettorale proporzionale (rappresentanza parlamentare

proporzionale ai voti conseguiti), che ha regolamentato le elezioni

politiche dal dopoguerra fino agli inizi degli anni ‘90, ha prodotto i

c. d. governi di coalizione (accordi tra più partiti: è famoso il c. d.

pentapartito - DC-PSI.PLI-PSDIPRI. Con l’introduzione del sistema

elettorale maggioritario “corretto” (nel maggioritario puro, vince chi

ha ottenuto più voti, anche un solo voto in più) si è giunti ad un

parlamentarismo maggioritario, tipico di un sistema bipolare, in cui

le elezioni consentono di dar luogo ad una maggioranza

parlamentare politica, il cui leader diventa Premier: egli gode

dell’investitura popolare e della relativa legittimazione politica ed il

Governo gode di una maggioranza parlamentare che lo sostiene; la

minoranza ha un ruolo di opposizione che si concretizza nel controllo

politico sull’operato del Governo. E ciò, con tante difficoltà,

cagionate da leggi elettorali pasticciate, è avvenuto per un

ventennio con i governi Berlusconi, Prodi etc... Oggi, il sistema

politico è divenuto tripolare, tre grosse forze politiche antagoniste (il

centrodestra, il PD ed il movimento cinque stelle), ciascuna delle

quali, nelle ultime elezioni, non ha conseguito una rappresentanza

parlamentare maggioritaria per governare; da qui lo stallo (con mesi

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di consultazioni) da cui il Presidente della Repubblica, faticosamente,

è uscito con “l’audace” accordo tra Lega (forza coalizzata nel

centrodestra e antagonista del Pd e dei 5 stelle) e cinque stelle.

Accordo pienamente legittimo perché consentito dalla Costituzione

vigente che ha dato origine ad una repubblica parlamentare, in cui

organo centrale è il Parlamento, detentore della funzione legislativa

e di controllo dell’operato politico del Governo. Nell’organo

rappresentativo della volontà popolare si deve verificare l’esistenza

di una maggioranza parlamentare in grado di sostenere il governo:

ove vi sia una maggioranza, il Presidente della Repubblica è

obbligato a nominare Presidente del Consiglio colui che gode di un

sostegno maggioritario in Parlamento. E ciò che, legittimamente, ha

fatto il Presidente della Repubblica Mattarella: accertata l’esistenza

di una maggioranza parlamentare di sostegno al governo, Lega - 5

Stelle, ha nominato Presidente del Consiglio Giuseppe Conte che,

redatto un programma politico (in questo si concretizza la funzione

di indirizzo politico del governo, ovvero indicare obiettivi e strategia

di governo), condiviso dalle forze parlamentari che lo sostengono,

ed una lista dei Ministri, si è presentato alle Camere per la fiducia.

Un’operazione legittima e conforme al dettato costituzionale.

Qualche riserva può esserci solo di natura politica: forze antagoniste

alle elezioni, poi si coalizzano. Dell’intesa politica (che può essere

ritenuta discutibile), saranno responsabili politicamente e ne

risponderanno ai propri elettori quando si tornerà alle urne. I

parlamentari non sono vincolati alla volontà dei propri elettori

(divieto del mandato imperativo), possono operare liberamente,

però, sono responsabili politicamente della loro azione politica

innanzi al corpo elettorale che esercitando il diritto di voto manifesta

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la condivisione o la contestazione confermando o meno il voto al

parlamentare. Purtroppo, specie nei territori più depressi, sovente,

non vi è un libero esercizio del diritto di voto (come sancito dalla

Costituzione) perché prevalgono le logiche clientelari, il voto di

scambio, il do ut des che privano, di fatto, il corpo elettorale della

propria sovranità.

In Italia, le forze politiche non sono state in grado di affrontare

snodi costituzionali che la situazione politica poneva: il passaggio dal

proporzionale al maggioritario, sebbene “corretto sempre con una

base proporzionale”, presuppone un rafforzamento delle prerogative

del governo, legittimato dal popolo, che non c’è stato. La deviazione

verso un nuovo sistema elettorale con premio di maggioranza e la

successiva riforma che ha reso prevalente il proporzionale sul

maggioritario dimostrano che le forze politiche non hanno

metabolizzato l’attuale sistema tripolare. Dopo tangentopoli, che ha

fatto luce sul sistema di corruzione imperante per decenni nella

prassi politica italiana, si è introdotto un sistema maggioritario

corretto (con un 25% dei seggi assegnati con quota proporzionale).

Successivamente, nel 2005, si è varato il c. d. porcellum (dalla

definizione “porcata” che ne ha dato il suo ideatore) che assegna, in

modo pasticciato, un premio di maggioranza al partito o a alla

coalizione che prende più voti e prevede soglie di sbarramento. Il

combinato disposto di due sentenze della Corte Costituzionale,

dichiaranti parzialmente incostituzionali il Porcellum e l’Italicum

(sistema elettorale che avrebbe dovuto accompagnare la riforma

costituzionale di Renzi, naufragata per volontà popolare), ha

“partorito” il c.d. Legalicum, con cui, fortunatamente, non si è mai

andati al voto, perché abrogato dal Rosatellum (sistema misto con il

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37% dei seggi assegnato con il maggioritario e 61% con il

proporzionale, con diverse soglie di sbarramento) che, alle ultime

elezioni del Marzo 2018, ha mostrato tutti i suoi limiti. Insomma, le

forze politiche, presenti in Parlamento, non sono state in grado in

questi anni di elaborare una legge elettorale funzionale alle

contingenze politiche e riformare l’assetto istituzionale dello Stato.

Diritti e doveri dei cittadini

La Costituzione italiana riconosce ai cittadini una serie di diritti civili,

economici e sociali e politici. I diritti civili vengono definiti “diritti di

libertà” e si suddividono in libertà individuali (libertà personali) e

libertà collettive (libertà di associazione). I diritti economico sociali

includono la proprietà privata, il diritto al lavoro, il diritto

all’istruzione, alla salute. I diritti politici garantiti sono il diritto di

elettorato attivo e passivo, il diritto di petizione, il diritto di accesso

agli uffici pubblici. La Costituzione prevede una serie di doveri

pubblici che lo Stato può vantare nei confronti dei singoli, affinché

sia data concreta attuazione al principio di solidarietà sociale. Tali

doveri sono detti inderogabili poiché nessuno può essere esentato

dalla loro osservanza, in quanto costituiscono il fondamento di una

pacifica e costruttiva convivenza. In particolare, la Costituzione

impone ai cittadini i seguenti doveri: 1. il dovere al lavoro, nel senso

di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta,

un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o

spirituale della società; 2. il dovere di difendere la patria; 3. il

dovere di prestazione patrimoniale per concorrere alla spesa

pubblica in proporzione alla propria capacità contributiva; per gli

Page 50: LA COSTITUZIONE E LA CITTADINANZA · Costituzione Italiana; 2 Lo Stato e la cittadinanza. Nella prima parte, si esamina il tradizionale passaggio storico – dallo Statuto Albertino

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stranieri tale obbligo è limitato al reddito prodotto in Italia; 4. il

dovere di fedeltà alla Repubblica.

Al di là di quelli che sono i riconoscimenti normativi, le conseguenze

sociali e gli effetti politici collegati allo status di cittadino, cittadini si

è dalla nascita. L’essere cittadini, crescendo, divenendo adulti,

determina una serie di diritti e doveri, come già visto, che sempre

più vengono vissuti non tanto come una conseguenza approfondita

di ciò che essi significhino, quanto come una sorta di percorso

generato, gestito e controllato da altri: qualcosa che non ci

appartiene dal momento che non ne comprendiamo né la natura, né

la ragione. Invece, lo status di cittadino di una nazione, deve

conferire ad ognuno una larga serie di possibilità, non ultima, quella

di essere attivamente coinvolti nella gestione della vita e

nell’organizzazione della comunità nazione in cui si vive, oltre che

della possibilità di essere voce dell’organizzazione sociale di cui si fa

parte. Di questa condizione unica e preziosa, il singolo individuo non

ne è consapevole. Nel “mestiere” del cittadino è ammesso scegliere

e decidere, è doveroso denunciare le scorrettezze e le illegalità. E’

un diritto perpetuo aver voce in ogni decisione che ci rende

protagonisti del luogo in cui viviamo e siamo nati; è assolutamente

necessario che lo Stato sia sostenuto quotidianamente dalla propria

linfa vitale: i propri cittadini. Di frequente, invece, si è ritenuto, che

il cittadino dovesse essere solo un numero ed, al più, partecipare

economicamente in caso di crisi, sopperendo alle incapacità dei

governanti. I doveri del cittadino non possono essere un peso, “un

fardello pesante”; per un popolo sovrano di cittadini consapevoli e

partecipativi, essi sono alla base della cooperazione, della solidarietà

e del vivere civile.