la dislessia - tesionline · web view1. significato e origine della lettura. 1.1 importanza e...
TRANSCRIPT
1. SIGNIFICATO E ORIGINE DELLA LETTURA1.1 importanza e significato della lettura
Nella nostra cultura, l’incontro tra il bambino e il libro è quasi obbligato poichè
la scrittura è molto diffusa: non necessariamente, però, tale approccio avviene
con l’inizio della scolarizzazione, anzi, molto spesso, si verifica prima in
contesti extrascolastici attraverso la televisione, la pubblicità e i libri per
bambini letti con l’adulto più o meno precocemente a seconda delle abitudini
familiari. Di solito già nella prima infanzia (da 0 a 3 anni) i bambini hanno
dimestichezza con un libro e la lettura di esso attraverso l’interazione con
l’adulto.
Per i bambini più piccoli la lettura si svolge attraverso la decodifica delle
immagini e delle figure che riempiono i testi dedicati a quest’età, e ciò risulta
molto più formativo se accanto ai bambini si pone il genitore o l’insegnante o
meglio ancora il coetaneo. La vicinanza con l’adulto, specie se si tratta del
genitore, rende il momento dedicato alla lettura particolarmente caro al bambino
perchè ne favorisce non solo la formazione culturale, ma anche le relazioni
interpersonali. Con l’adulto, che fa da guida nello scambio conversazionale, si
rendono possibili la comprensione della mente e le capacità socio-cognitive
connesse allo sviluppo della conoscenza psicologica. Con il coetaneo il
bambino, attraverso il libro, inteso come mediatore culturale, progredisce dal
punto di vista cognitivo osservando e imitando le azioni del compagno;
l’interazione per il bambino, secondo la Dunn (1994) rappresenta un fertile
contesto di scambi nel quale egli, trovandosi in una relazione simmetrica in un
rapporto alla pari, può confrontarsi con i bisogni e gli interessi diversi dai propri,
assumendo perciò il proprio punto di vista .
Con la scolarizzazione, leggere diventa uno degli obiettivi primari
dell’alfabetizzazione e imparare a leggere nei primi anni di scuola, diventa
inevitabile per non venire esclusi da gran parte del curricolo scolastico.
Vista e concepita nei termini curricolari, la lettura è importante per la
formazione scolastica e poi culturale del bambino; ma dal punto di vista emotivo
1
1
e intrapersonale è il mezzo più appropriato che consente l’accesso a storie
sempre diverse e a mondi fantastici. Purtroppo però, accade che nella scuola si
dia la precedenza al leggere per imparare a leggere piuttosto che all’imparare a
leggere per leggere; questo ovviamente rende l’apprendimento un’attività fine a
se stessa.
1.2 origini della letturaLa lettura è un’attività cognitiva che, a differenza del linguaggio, non segue uno
“ sviluppo naturale ”. Infatti il bambino con i soli propri mezzi non imparerà mai
a leggere o scrivere attraverso l’incontro casuale con il mondo. Leggere è
un’abilità che deve essere insegnata e deve poter poggiare su basi cognitive già
formate, quali la capacità di scrivere e comprendere una parola o di vedere e
trasformare un segno in un suono. E’ per questo che la capacità di lettura è per
noi la più significativa impresa culturale e cognitiva.
Il presupposto principale della lettura è la scrittura: se non ci fosse niente di
scritto, non ci sarebbe niente da leggere. La scrittura, in quanto rappresentazione
grafica del linguaggio fatta di segni visibili organizzati, è nata dalla necessità
dell’uomo, fin dalla preistoria, di trasmettere il pensiero ai suoi simili: la lettura
è quindi, l’attivazione e la produzione di questa trasmissione e comunicazione.
1.2.1 iter storico della scritturaLa pittografia è la più antica forma di scrittura le cui origini si confondono
appunto con la pittura. Le frasi del discorso sono immagini più o meno stilizzate
di oggetti a cui si riferiscono. Con la pittografia però non si possono
rappresentare idee astratte e d’altra parte lo sviluppo del sapere e la necessità di
conservarlo fanno aumentare il numero dei pittogrammi fino a rendere la lettura
privilegio di pochi. Verso il 3000 a. C. nasce l’ideografia in cui ogni segno
rappresenta una parola: se essa indica oggetti concreti si utilizzano pittogrammi,
se invece indica idee astratte si usano segni o immagini convenzionali allusive e
combinate insieme. Esempi di pittografia e di ideografia sono i geroglifici
egiziani, la scrittura cuneiforme dei popoli mesopotamici e infine la scrittura
2
2
cinese che forse è la più rappresentativa della pittografia per l’uso del pennello
come strumento scrittorio. Il progresso verso un sistema di scrittura che
rappresenta suoni, inizia con i geroglifici egizi e si sviluppa quando i fenici
acquisiscono dagli egiziani i simboli per rappresentare le sillabe del loro
linguaggio.
La conversione da un sistema ideografico a uno sillabico, si ha nel 1500 a. C.;
dalla rappresentazione dell’idea col segno a quella del suono del linguaggio,
cioè l’alfabeto, la scrittura diventa lo strumento pratico di cui si serve la civiltà
per esprimersi e comunicare. Nel 900 a. C. i Greci aggiungono simboli per
denotare le vocali, assenti nel sistema fenicio, costituendo un alfabeto completo
e definitivo.
2. PROCESSO DI LETTURA COME ABILITA’ COGNITIVA2.1 I processi di codifica
Come facciamo a riconoscere le parole scritte ?
Chi è abile nel leggere non si rende conto della complessità dei processi
psicologici che rendono possibile la lettura. Essere capaci a leggere è come
saper guidare la macchina : all’inizio tutto è nuovo e complicato, ma ora
riusciamo a guidare implicando altre capacità cognitive e fisiologiche come
ascoltare la radio, comprendere ciò che dice, cantare, parlare ... E così anche a
noi, abili lettori, capita di leggere magari essendo immersi nella musica
riuscendo a concentrarci in ciò che leggiamo e non in ciò che sentiamo; magari
ci troviamo in una sala rumorosa eppure ci separiamo dagli altri suoni tuffandoci
senza problemi nella lettura; oppure ancora mentre leggiamo pensiamo ad altro,
specie se il testo non ci attrae, senza tuttavia distogliere lo sguardo dalle righe
ma finendo però a non badare alla comprensione.
Insomma facciamo tante cose mentre leggiamo e non ci rendiamo conto di
quanto, invece, sia già di per sé complicato il riconoscere e capire le parole
scritte. Lo stadio iniziale dell’evoluzione della lettura è la decodifica delle
parole. Sebbene decodificare una parola rappresenti solo una parte del processo 3
3
cognitivo del leggere, è tuttavia una parte essenziale che spesso si trova alla base
delle difficoltà della lettura. Sappiamo che il fine ultimo della lettura non è solo
il riconoscere le parole, ma comprendere i concetti esposti nel testo.
Pertanto, per poter quindi individuare il meccanismo che ci permette di leggere
dobbiamo far riferimento a due modi di codifica delle parole: la lettura con
l’orecchio e la lettura con l’occhio.
2.1.1 lettura “a orecchio”La lettura “a orecchio”, o mediazione fonologica, è una strategia che il lettore
usa quando incontra in una pagina una parola sconosciuta e la pronuncia per
vedere se gli suona familiare anche se a occhio così non sembra. Ma è una
strategia che può essere riferita anche a chi non sa ancora leggere e che si pone
quindi come ascoltatore delle parole che gli vengono lette.
Neurologicamente, quando qualcuno parla il suono colpisce l’orecchio sotto
forma di onde sonore che arrivano al cervello in un insieme di impulsi nervosi
attraverso fasci di nervi. Se io sento dire la parola “gatto” l’onda sonora viene
trasformata in un codice acustico dal sistema di analisi acustica dell’orecchio e
delle zone uditive del cervello. Questo codice viene trasmesso al sistema di
riconoscimento uditivo della parola che se corrisponde ad una a me familiare,
attiva allora una particolare unità di riconoscimento. La parola “gatto” risveglia
in me dunque l’immagine dell’animale.
Leggere “a orecchio” significa quindi dover passare da un codice scritto a un
codice basato sul linguaggio parlato. Si ottiene con la conversione dell’input
scritto in una rappresentazione fonologica effettuata dal linguaggio.
Secondo alcuni psicologi, anche i lettori abili fanno uso della mediazione
fonologica anche per parole che hanno magari già incontrato e letto tante volte :
è quindi un passaggio obbligato della lettura ?
Questa domanda fu posta già nel XIX secolo dal neurologo tedesco Wernicke e
recentemente da Rubinstein (1971) e Gough (1972) .
4
4
Il modello di Rubinstein prevede la ricodifica fonologica dello stimolo : il lettore
che si trova di fronte a una stringa di parole, segmenta lo stimolo in lettere e lo
trasforma in fonemi ricercando poi le lettere nella memoria lessicale e
confrontando queste con quelle già preesistenti. Sulla base di queste operazioni,
sono stati fatti degli esperimenti che sembrano convalidare le ipotesi dell’autore,
specialmente quando il lettore si trova di fronte a parole esistenti ma difficili da
pronunciare; parole non esistenti ( non parole ) difficili da pronunciare; non
parole omofone a parole esistenti. I risultati hanno mostrato un tempo di
reazione maggiore per le parole reali di difficile pronuncia rispetto a quelle non
reali. Il tempo usato per riconoscere le non parole omofone a quelle reali è stato
superiore rispetto al tempo impiegato nel pronunciare le non parole non
omofone. Questo ci dice che il soggetto quando segmenta lo stimolo non
riconosce la parola inesistente fin dalle prime lettere perchè la memoria lessicale
non offre alcuna entrata. Se segmentiamo lo stimolo ci rendiamo conto che non
abbiamo nella memoria lessicale insiemi di lettere simili a quelli proposti dalla
non parola. E quindi la ricodificazione fonologica favorisce il riconoscimento
delle parole, ponendo le non parole in cima alla scala delle difficoltà.
Le critiche mosse a questa teoria fonologica vedono come il riconoscimento
della non parola rispetto a quella esistente derivi da un immediato
riconoscimento visivo e non dall’operazione di ricodificazione fonemica.
Il modello di Gough, invece, prevede che ci sia un lavoro di elaborazione
dell’informazione effettuato dal lettore abile nel tempo che passa tra la
fissazione oculare e la pronuncia della parola. Lo stimolo visivo viene
trasformato in percezione visiva chiamata dall’autore “ icona ”; segue poi il
riconoscimento di ogni singola lettera effettuato dalla memoria lessicale e che
avviene sulla base delle caratteristiche fonologiche; dalla traduzione dei grafemi
in fonemi si passa alla rappresentazione fonologica della parola. Da qui vengono
richiamati i sistemi di sintassi e semantica che rappresentano lo strumento di
comprensione e quindi di riconoscimento della parola stessa . Le critiche che
furono rivolte a questo modello riguardavano la modalità di riconoscimento di 5
5
parole omofone ma non omografe (es: l’ago-lago) visto che il riconoscimento
avviene su base fonologica e non visiva. Inoltre non viene fatto riferimento al
richiamo di strutture di ordine superiore da parte del lettore abile quando mostra
flessibilità di elaborazione nel processo di lettura, nè specifiche strategie di
comprensione.
2.1.2 lettura “a occhio”I lettori abili riconoscono parole familiari più facilmente attraverso la lettura “a
occhio” che “a orecchio”. Quando leggiamo “a occhio”, riconosciamo le parole
in modo diretto. I lettori costruiscono unità di identificazione e poi riconoscono
le forme scritte in parole familiari
Tali unità sono proprio come le unità di riconoscimento uditivo delle parole, con
la differenza che nella lettura “a occhio” si identificano codici di lettere invece
che codici acustici. Se incontro una parola più volte e mi diventa familiare in me
si crea un’unità di riconoscimento visivo della parola che mi servirà qualora la
dovessi incontrare ancora. La lettura “a occhio” è una strategia utilizzata dai
lettori abili i quali devono possedere migliaia di tali unità nei loro sistemi di
riconoscimento visivo della parola. Quando incontrerò una parola che ho già
visto e riconosciuto non ci sarà bisogno di pronunciarla ad alta voce per
identificarla : essa è stata già categorizzata.
La lettura visiva, o diretta, risulta essere avvantaggiata nella lettura di parole
omofone perchè vengono lette e differenziate: una parola omofona non costituirà
un problema perchè la possiamo vedere e non solo ascoltare, ci renderemo conto
che è omofona ma non omografa e quindi avrà un diverso significato.
Due studiosi dell’Università di San Diego, in California, Rumelhart e
McClelland (1981) hanno cercato di spiegare come l’uomo riconosca le parole
sviluppando un modello informatico (con l’aiuto di un computer) basato sul
modo visivo di identificazione della parola, cioè sulla lettura “a occhio”.
Questo modello può identificare circa 1200 parole di quattro lettere e con un
carattere tipografico particolare che sia costituito esclusivamente di linee rette e
6
6
non di curve. Il modello è costituito da un sistema di analisi visiva e uno di
identificazione visiva della parola, di cui il primo sistema si suddivide in due
livelli: il livello-tratto e il livello-lettera. Quando una parola si presenta al
computer e le lettere della parola sono fatti di tratti, il computer aziona un
diverso rilevatore di tratti per ognuna delle linee che compongono le lettere.
Se al computer mostriamo la parola TRIP, il computer isola ciascuna lettera
individuando in essa tutti i tratti e le linee rette di cui essa è composta. La lettera
T contiene una linea retta nella parte superiore del grafema, per cui si attiva il
rilevatore corrispondente a questo tratto; nel frattempo vengono selezionate le
lettere che hanno un tratto superiore nel grafema come lo ha la lettera T ( E, F,
I ), inibendo quelle che non lo hanno ( H, L, M ,N ,Y ). Questo sistema di
attivazione -inibizione è la caratteristica del modello dei due studiosi
californiani. Continuando ad analizzare la lettera T, notiamo che possiede una
linea retta centrale per cui si attiva il rilevatore a livello-lettera; le lettere ( E, F ),
che prima erano state scelte in quanto aventi il tratto superiore nel grafema,ora
vengono scartate perchè non possiedono, come la T, quella linea retta centrale: il
rilevatore corrispondente viene quindi inibito. Questo gioco di attivazione -
inibizione verrà eseguito dal computer per le restanti tre lettere della parola
TRIP.
Una volta che i rilevatori del livello-lettera per la T, la R, la I e la P vengono
attivate, queste azionano i rilevatori del livello-parola. La parola in questione
che inizia con la lettera T, ha connessioni con l’attivazione di altre parole che
cominciano con la T e che per esempio differiscono dalla parola iniziale soltanto
per una lettera, come TRAP. Questa, infatti, sarà altamente attivata, per le lettere
che ha in comune con la parola stimolo mentre verrà inibita per la lettera A che
differisce dalla I. Le parole TAPE, TIME, TAKE... saranno invece direttamente
inibite. Un’altra causa di inibizione è data dal fatto che quando le unità del
livello-parola sono attivate cercano, le une contro le altre, di inibirsi; ci sono
cioè connessioni inibitorie mutue tra unità di livello-parola che assicura la
7
7
vittoria di una sola unità di parola affinchè questa rimanga attiva per il processo
ultimo di comprensione.
Questo è uno dei pochi modelli che va oltre la specificazione di ciò che viene
fatto dal sistema cognitivo, illustrando come il sistema potrebbe elaborare
l’informazione durante il riconoscimento delle parole. Tuttavia, spiega soltanto
come viene riconosciuta una singola parola mediante l’uso della lettura “ a
occhio ”.
Infatti non esiste un modello di elaborazione pari per la lettura “ a orecchio”, né
uno di elaborazione di uno qualsiasi degli altri processi cognitivi di livello
superiore implicati nella comprensione.
2.2.MODALITA’ DI LETTURA, COMPRENSIONE E APPRENDIMENTO2.2.1 movimenti oculari
Attraverso il movimento degli occhi che muoviamo da sinistra a destra, a
differenza dei cinesi che li muovono dall’alto in basso, siamo in grado di
leggere. All’apparenza può sembrare che durante la lettura i nostri occhi
scorrano armonicamente e uniformemente lungo le righe. Al contrario, gli occhi
avanzano lungo una riga secondo una se quenza di rapidi scatti che prendono
il nome di saccadi (o movimenti saccadici),ognuno dei quali è separato dal
successivo da brevi pause ( o fissazioni). La durata media di un movimento
saccadico varia da 20-50 millesimi di secondo mentre le fissazioni durano
mediamente tra i 200-500 millesimi di secondo. In conclusione, i nostri occhi,
durante la lettura, rimangono immobili per circa il 90% del tempo.
Cosa accade durante la fissazione ? Avviene quella parte importante della
codifica di un testo che è la comprensione. Comprendere significa raccogliere un
certo numero di informazioni che il lettore prenderà all’interno di uno spazio
chiamato “campo visivo effettivo” ossia l’area intorno al punto di fissazione
dalla quale ricaviamo le informazioni delle parole. Per fare un esempio del
campo visivo effettivo possiamo far riferimento a una frase senza senso
8
8
compiuto al centro della quale poniamo una “x” e ai lati di essa delle parole: ora
concentrandoci sulla “x” saremo in grado di cogliere il campo visivo effettivo
cioè l’area che circonda il punto centrale del quale ricorderemo solo alcune delle
parole disposte ai lati della “x”.
Il campo effettivo visivo è in grado di abbracciare 10-12 caratteri circa ed è
esteso più verso destra che a sinistra del punto di fissazione.
2.2.2 processi di riconoscimento delle parole.Nel momento in cui leggendo una riga, fissiamo una porzione di testo il
contenuto di esso va a finire in un magazzino mnestico chiamato ‘memoria
iconica’ perchè ad ogni informazione corrisponde un immagine di essa. In tale
sede, però, l’informazione non è ancora stata elaborata, è quindi ancora grezza
così come l’hanno rilevata gli organi di senso.
Per trasformare l’informazione grezza in una perfezionata, cioè in una
rappresentazione chiara di stimoli, bisogna operare su di essa una serie di analisi
affinchè si possa riconoscere lo stimolo.
La caratteristica del riconoscimento dello stimolo consiste nella parzialità delle
analisi ossia nella rilevazione di una parte ridotta delle caratteristiche dello
stimolo stesso.
Gli studi sulla percezione visiva hanno evidenziato che i nostri sensi, attraverso
gruppi di cellule specializzate, sono in grado di rilevare alcune caratteristiche
che determinano lo stimolo: la localizzazione e l’orientamento delle linee, la
presenza di angoli, il numero e il tipo di curvature, etc... Per esempio, al fine di
riconoscere una lettera maiuscola scritta in stampatello, la si osserva nei minimi
particolari fino a descriverne la struttura.
Due linee verticali e una orizzontale in mezzo è la descrizione della lettera H e
non qualcun’altra. Due linee verticali con una diagonale può farci pensare a una
N, se invece le linee sono orizzontali allora si tratta di una Z... Insomma nessuna
lettera è uguale all’altra. Una volta definite le caratteristiche di una lettera, si
passa all’esclusione delle altre che in parte rispecchiano la lettera individuata: se
9
9
la lettera prima individuata era la H ci si chiede quale altra lettera assomigli
all’H per numero e tipo di linee (L, E, Z, N). Come abbiamo visto, le parole si
presentano come configurazioni visive estremamente complesse e con un certo
numero di caratteristiche. Data la normale rapidità di lettura è opportuno che
l’informazione sulle lettere da leggere sia ridotta per garantire il riconoscimento.
Ma in ogni caso, come facciamo noi, lettori esperti, a riconoscere le parole e
quali sono i processi che mettiamo in atto per farlo ?
Uno dei processi che analizzano e riconoscono le parole come unità attraverso
un’elaborazione che avviene sulle caratteristiche delle parole, è chiamato effetto
di superiorità della parola (word superiority effect),e consiste in una
rapidissima identificazione di una lettera-bersaglio inserita in una parola rispetto
a quando fa parte di una sequenza di lettere senza senso.
Secondo Thompson e Massaro (1973), l’identificazione delle lettere all’interno
delle parole è più facile grazie alle inferenze che il lettore fa sulla base delle sue
conoscenze ortografiche. In particolare, Massaro ipotizza due meccanismi di
riconoscimento: uno primario che contiene le lettere corrispondenti alle
fissazioni oculari, l’altro secondario che trasforma l’informazione in significato.
Il primo meccanismo si basa sull’aspetto esterno delle lettere e l’efficienza del
riconoscimento primario dipende da come si elabora l’informazione visiva e
dalla conoscenza che il soggetto ha dell’ortografia; il secondo meccanismo,
invece, coglie l’aspetto interno delle lettere cioè mira al significato del termine e
l’efficienza del riconoscimento secondario dipende dal successo del primario in
quanto il secondario utilizza i risultati del primario oltre che le aspettative
sintattiche e semantiche. Poichè il riconoscimento secondario dipende dal primo,
l’analisi delle parole è caratterizzata dalla presenza di lettere ascendenti (b,t, f, l)
e da quelle discendenti (g, p, q ). Se mostriamo a un soggetto una frase in cui sia
stata cancellata la parte superiore delle parole noteremo una certa difficoltà di
riconoscimento, in quanto tutta l’informazione più significativa sembra essere
contenuta proprio lì e non nella parte inferiore. La forma esterna delle parole può
sembrare una informazione generica per il riconoscimento: eppure permette di 10
10
ridurre il numero di alternative possibili circa la parola da riconoscere, e poi se
combinata con informazioni di tipo semantico e sintattico riduce la possibilità di
un falso riconoscimento.
Insieme con Thompson, Massaro mostra a un soggetto delle lettere in una
sequenza ortograficamente irregolare e poi in un’altra ortograficamente regolare
chiedendogli di identificare e ricordare più rapidamente le lettere contenute nelle
sequenze. E’ risultato che nella sequenza scritta in maniera regolare la parola
anche senza senso viene identificata e ricordata molto più rapidamente che non
nella sequenza ortograficamente irregolare. La parola che gli autori propongono
è “SBAND” rispetto a “DBSNA”: quest’ultima viene male riconosciuta perchè
secondo le regole grammaticali tra la lettera B e la N ci aspettiamo per forza di
cose una vocale e non una S.
L’automaticità del riconoscimento delle parole segue anche un altro processo
chiamato stroop effect : al lettore esperto viene chiesto di dire con quale colore
sono scritte le parole che definiscono a loro volta un colore, ciò comporta una
certa difficoltà a denominare il colore di quelle parole perchè non
corrispondono al colore che rappresentano. Se il soggetto si trova di fronte alla
parola “rosso” scritta con dell’inchiostro verde, il compito di denominare il
verde è compromesso dall’avvenuto riconoscimento della parola “rosso” che
però non era richiesto. Questa sorta di conflitto è chiamato stroop effect.
Finora abbiamo focalizzato l’attenzione sui tipi di processi implicati nel
riconoscimento di parole note per il lettore esperto. E per quelle nuove e senza
senso ?
Accanto alla via visiva diretta di lettura, per cui dal segno si passa al significato
senza alcuna mediazione, possiamo trovare il meccanismo di ricodificazione
fonologica : la parola viene suddivisa in grafemi, questi tradotti in fonemi che
fusi tra loro producono la pronuncia tramite la quale si accede al significato.
Questo meccanismo, anche se lento, comporta numerosi vantaggi rispetto alla
via visiva che è più diretta : tutti i lettori esperti delle lingue basate sul sistema
alfabetico sono in grado di saper leggere e comprendere le migliaia di parole che 11
11
sono contenute in un dizionario, rispetto ai lettori di lingue basate su sistemi
ideografici ( come i cinesi), i quali ne comprendono solo una parte in quanto gli
ideogrammi, ciascuno dei quali corrisponde a una parola per volta e alla sua
relativa pronuncia, devono essere memorizzati uno ad uno.
Il lettore esperto utilizza sia la via diretta che quella più lenta per la lettura, ma
in casi decisamente diversi : per parole ad alta frequenza usa la via visiva,
mentre se si trova di fronte una parola sconosciuta usa strategie basate sulla
ricodifica fonologica. In altri casi può usare la via più lenta per avere conferme
del riconoscimento avvenuto con la via diretta.
2.2.3 processi implicati nella comprensioneLa comprensione di un testo può definirsi un processo continuo, attivo, in cui la
conoscenza acquisita precedentemente nel soggetto ha un ruolo importante. Ma
come avviene la comprensione di un testo, o meglio ancora come avviene la
comprensione di una singola parola ?
Innanzitutto per comprendere un linguaggio scritto, è necessario saper
comprendere un linguaggio parlato. Se per quest’ultimo è essenziale l’intervento
delle informazioni contestuali, per quello scritto è il lettore stesso che deve
avvalersi delle sue conoscenze personali oltre che del contesto. Può sembrare
che la comprensione sia un‘analisi obiettiva di un testo, laddove invece consiste
in una serie di operazioni di assimilazione del testo all’esperienza del lettore: è
ciò che accade nel caso di interpretazione di un significato che dà il lettore
rispetto a quello che in realtà voleva dare l’autore.. Quindi, la comprensione non
è un mero atto di ricezione del contenuto del testo, bensì l’informazione di esso
diventa significativa solo nel momento in cui viene connessa alle informazioni
che il lettore possiede.
Per arrivare alla comprensione di un brano, non occorre che il lettore giunga alla
fine del testo per riassumere le principali fonti di informazione : può avvenire a
metà della lettura o perfino soltanto dal titolo. Per esempio se il testo parla di
qualcuno che sta facendo la spesa ovviamente a questa rappresentazione ci si
12
12
aspetteranno informazioni adeguate al contesto di cui si parla, e quindi a
prendere il carrello, scegliere la merce esposta sugli scaffali, riempirlo di merce,
fare la fila alla cassa per pagare....tutte scene di luoghi comuni all’esperienza del
soggetto. Questo attendersi determinate informazioni si chiama ‘schema’ e può
capitare che non tutto ciò che è contenuto nel testo sia coerente con esso. Infatti
se le informazioni non si adattano allo schema non verranno codificate e quindi
ricordate; se invece si adattano parzialmente allora lo schema può essere
modificato o nella struttura o con l’inserimento di nuovi contenuti in modo da
far adattare quelle informazioni ad esso. Può, inoltre, capitare di reinventarsi uno
schema nuovo perchè le informazioni in esso contenute non sono assimilabili,
come nel caso di una lettura non familiare al lettore.
2.2.4 apprendimento della letturaConsiderando che lo sviluppo del bambino, secondo Piaget, avviene per fasi
nell’acquisizione della capacità di lettura dobbiamo avvalerci dello stesso
criterio. Due studiose, Ferreiro e Teberosky (1979) hanno descritto varie
acquisizioni della lingua scritta che i bambini fanno in età prescolare. I bambini
di quattro anni,e anche meno, sono in grado di differenziare ciò che è scritto da
ciò che è immagine anche se non sanno distinguere le lettere dai numeri;
riconoscono una lettera ma la considerano leggibile solo se è inserita in un
determinato contesto fatto di un certo numero di altre lettere; sanno che non
capita quasi mai di incontrare grafemi isolati, eppure è proprio a scuola che si
trovano di fronte a questa situazione nella lettura di piccole parole come “uva”
per indicare la lettera U e la relativa immagine, o l’ “ape” per imparare la A e
l’immagine corrispondente, o ancora S come “sole”, etc... elaborano alcune
regole sulle caratteristiche formali di un testo affinchè possa essere letto : la
parola non può contenere lettere tutte uguali, e le parole devono avere una certa
quantità di lettere (il minimo sono tre). Quindi se il bambino si trova di fronte a
una stringa di lettere del tipo AAA o BC le definisce ‘parole da non leggere’
13
13
perchè la prima non risponde alla regola della varietà delle lettere in una parola,
mentre la seconda non rispetta la regola della quantità minima di caratteri.
Sempre in età prescolare, i bambini sanno leggere secondo certe disposizioni
spaziali (a serpente, cioé da sinistra a destra tornando a sinistra), mentre
imparano a scuola a leggere da sinistra a destra o dall’alto in basso.
Soffermandosi sui bambini prescolari, le due autrici hanno potuto rilevare che.
con un libro per la prima infanzia pieno di immagini, anche quando in loro non è
ancora avvenuta la differenziazione tra immagine e scritto, il bambino attua la
fase dell’ipotesi del nome, aspettandosi cioè che alla frase “il topo mangia il
formaggio” corrisponda l’immagine di un topolino e di un formaggio; oppure la
lunghezza del nome che diciamo deve corrispondere alla lunghezza dell’oggetto
che lo rappresenta : la nave come oggetto è grande eppure si scrive con quattro
lettere, la formica dovrebbe essere scritta con poche lettere perchè rappresenta
un minuscolo animale. Se il bambino guarda una figura che rappresenta un orso,
si aspetta di trovare sotto nella dicitura, una O di orso. L’ipotesi della sillaba,
invece, è un meccanismo che i bambini di quattro anni attuano quando devono
segmentare la parola per riconoscerla : man mano che il bambino cresce questa
capacità aumenta.
Importante in questo campo, oltre agli studi della Ferreiro e della Teberosky, è
stata la teoria di Marsh, Friedman, Welch e Desberg (1981) sui quattro stadi di
apprendimento della lettura.
Il primo stadio può essere chiamato ipotesi linguistica determinata dal fatto che
il bambino piccolo,che ha a che fare e che riconosce un numero limitato di
parole, quando ne incontra una nuova e isolata da un contesto utile, non è in
grado di identificarla nè di comprenderla; ma se la stessa parola è inserita
all’interno di una frase o di un racconto il bambino si concentrerà sul contesto
della frase e sostituirà quella parola a lui sconosciuta con un’altra simile a lui
però familiare. Questi tipi di sostituzioni furono chiamati da Critchley &
Critchley (1978) come “sostituzioni narremiche”. Il secondo stadio detto ipotesi
discriminativa è caratterizzato dal fatto che il bambino riesce maggiormente a 14
14
rispondere a parole nuove che gli vengono presentate isolatamente. E lo fa
basandosi sulla loro somiglianza grafica con parole che conosce. Se per
esempio conosce le parole “papà” e “palla” per distinguerle andrà a cercare
l’accento sull’ultima lettera che contraddistingue la prima parola dall’altra. Il
terzo stadio detto decodifica sequenziale e non più ipotesi, vede un bambino (di
circa 7 anni) che sta diventando un lettore più indipendente in quanto ha la
possibilità di riuscire a decodificare la parola che non conosce, aumentando
l’ampiezza del vocabolario, avendo migliori capacità di elaborazione cognitiva,
rispetto al precedente stadio, adottando dunque la strategia di decodifica
sequenziale dei grafemi. In particolare, la parola sconosciuta viene analizzata
lettera per lettera e ad ogni grafema viene assegnato il fonema corrispondente; i
fonemi così ricavati vengono fusi per formare la parola. Si giunge a questo
stadio quando al bambino viene impartito l’insegnamento fonetico. Il bambino,
quindi, con questa strategia non trova difficoltà a leggere correttamente le
parole nuove se sono regolari; trova ancora difficoltà di fronte a quelle parole
che contengono grafemi come “c” e “g” perchè hanno una duplice pronuncia,
in italiano,più pronunce nell’inglese o nel tedesco. Frith (1985) chiama questa
fase “alfabetica”. Il quarto e ultimo stadio è detto decodifica gerarchica perchè
costituisce l’ultimo scalino dell’apprendimento della lettura; le abilità di
decodifica del bambino-lettore del terzo stadio (8-10 anni) sono ancora basilari
ma si affinano sempre di più con la crescita del soggetto. Il bambino saprà
riconoscere ora dopo l’insegnamento fonetico del terzo stadio, che la “g” avrà un
suono diverso se è seguita da “hi” (ghiro) o da una “i” (giro), e così nel caso di
una “c” (nella lingua italiana). Secondo gli autori, il bambino usa strategie di
analogie per la pronuncia di parole nuove, ed è per questo che Frith identifica
questa fase con il nome di “fase ortografica” nella quale il bambino si affinano
le acquisizioni per una lettura corretta, e in cui la lettura del bambino del quarto
stadio è paragonabile a quella dell’adulto.
15
15
3. DISTURBO DELLA LETTURA : DISLESSIA3.1 interpretazioni sull’argomentoSul problema della dislessia si sono fatte varie interpretazioni: alcuni la
considerano come effetto di deficit percettivi ed emotivi, altri come conseguenza
di ritardi nello sviluppo linguistico e di anomalie neurologiche, altri ancora
come il risultato di disadattamenti di tipo familiare, scolastico e ambientale.
Negli ultimi anni la ricerca psicosociale si è ampiamente interessata
all’argomento consentendo più spazio a quelle che sono le relazioni
interpersonali, i condizionamenti ambientali esercitati sul bambino, insomma
alla sfera pedagogica che riguarda sia internamente che esternamente la sua
personalità. Queste hanno infatti come obiettivo l’individuazione degli indicatori
del comportamento relazionale che l’insegnante deve favorire al fine di
prevenire e rimuovere situazioni di disagio vissute dal bambino.
3.2 teorie sulla dislessiaDurante i primi anni ‘70, Vellutino riporta una serie di teorie sull’argomento
classificandole in due gruppi sulla base delle loro ipotesi : quelle unifattoriali e
quelle multifattoriali. Nelle prime vengono messe a fuoco le teorie dello
sviluppo e delle conseguenze dovute a ritardi maturazionali e quelle con base
medico-neurologica (Morgan & Kerr, 1896; Hinshelwood, 1900; Thompson,
1966; Orton e la “strefosimbolia”, 1925; Bender, 1956; Gesell, 1952; Eustis,
1947; Olson, 1949); teorie che si fondano sulla convinzione che vi siano alla
base delle disfunzioni nei processi visuo-spaziali e in particolare nella memoria
visiva e nella percezione in generale (Bakker, 1970; Rabinovitch, 1968;
Elkoming & Downing, 1973; Shankeweiler & Libermann, 1972; Zangwill,
1962); e infine studi sulla trasmissione genetica (Hermann & Norrie, 1958;
Hallgren, 1950); ma sono effettivamente pochi gli autori che distinguono la
dislessia (in quanto incapacità nel leggere) da incapacità specifica del
linguaggio.
16
16
Nelle teorie multifattoriali, invece, gli autori mettono in rilievo l’esistenza di
categorie o sottotipi di dislessie piuttosto che elaborare teorie eziologiche in
senso stretto.
Il più influente di questi autori è stato Birch (1962), il quale ha sostenuto che la
dislessia sia associata a tre diversi tipi di disturbi di base, ognuno dei quali tocca
diversi aspetti del processo di lettura. Il primo di questi disturbi che ha poi
destato più attenzione rispetto agli altri consiste nell’incapacità di stabilire
equivalenze intersensoriali : questo danno non è limitato soltanto ai sistemi
visivi e uditivi ma avrebbe toccato anche l’area dell’apprendimento dei rapporti
visuo-tattili e cinestetici. Il secondo disturbo, deputato alla difficoltà di lettura, è
l’inadeguato sviluppo di un’appropriata organizzazione gerarchica dei sistemi
sensoriali e poichè il sistema visivo è il più importante nella scala sensoriale,
una volta danneggiato quello il soggetto è incapace a leggere. Infine il terzo
disturbo consiste in una particolare disfunzione nell’analisi e nella sintesi
visiva. La teoria di Birch si pone su basi neuropsicologiche come appunto la
percezione e pertanto egli definisce dislessico quel soggetto che anche in
minima parte è carente nella capacità di analizzare o sintetizzare lo stimolo
visivo. Basandosi su una teorizzazione eziologica della dislessia, Myklebust e
altri (1962, 1967) hanno individuato due tipi di dislessia a seconda dei due più
importanti sistemi sensoriali (la vista e l’udito) considerando come causa del
disturbo l’“incapacità psiconeurologica di imparare”. Secondo Boder (1970),
esistono due tipi di dislessici le cui cause sono rintracciabili nella terminologia
con cui sono stati identificati : i dislessici disfonetici sono quelli che presentano
deficit nella fusione lettera-suono e nell’apprendimento fonetico, i dislessici
diseidetici presentano invece deficit nella percezione delle parole come figure
intere. Infine Satz e collaboratori (1970, 1974) attribuiscono ad un’anormalità
nell’andamento dello sviluppo del SNC la causa di problemi della dislessia.
3.3 tipologie della dislessia3.3.1 dislessia acquisita
17
17
Per molto tempo i ricercatori hanno discusso su come definire la dislessia, ma
hanno ritenuto più opportuno rivolgersi alla classificazione, alla tipologia del
disturbo e poi alla conseguente definizione. Fino a poco tempo fa si riconosceva,
nell’incapacità di lettura, la dislessia acquisita cioè quella che insorgeva in
seguito ad un trauma cerebrale, ad un ictus,etc...Le prestazioni in lettura di
persone affette da dislessia acquisita sono state analizzate ed è risultato che
esistono varie forme di dislessia acquisita in base a determinate caratteristiche.
Per poterle identificare bisognava studiare casi singoli.
Sono stati identificati ben cinque sottotipi di dislessia acquisita : l’alessìa pura
( o lettura lettera per lettera) consistente nell’incapacità di segmentare la scrittura
in unità maggiori delle singole lettere, come sillabe, morfemi, parole... il
soggetto deve poter prima identificare una per una le lettere che compongono la
parola per poi leggerla; la dislessia superficiale caratterizzata dall’incapacità di
leggere parole regolari che diventano irregolari se lette con errata pronuncia
(invece di leggere “scàtola”, leggerà “scatòla”; e non sarà in grado di attribuire il
giusto significato a parole omofone ma non omografe: “l’ago”-“lago”)...ma sa
tuttavia leggere parole regolari e non-parole; la dislessia fonologica, associata a
disgrafia, è caratterizzata dall’incapacità di leggere le non-parole con una
discreta abilità per le parole regolari; la dislessia profonda caratterizzata dalla
sostituzione delle parole per un’attivazione imprecisa del significato a livello del
sistema semantico (leggerà “mela” al posto di “arancia”: la mela appartiene
come l’arancia alla categoria ‘frutta’), ed è molto più problematica dei tipi
precedenti in quanto è compromessa anche la via fonologica oltre che quella
visiva e per diverse lesioni all’emisfero sinistro sovraccaricando quello destro;
infine, l’iperlessìa consistente in un deficit di comprensione dovuto forse a una
contemporanea compromissione della via fonologica e dell’accesso semantico :
il lettore usa la via visiva non semantica per leggere le parole, non riuscendo
però nelle non-parole.
18
18
3.3.2 dislessia evolutivaProprio per distinguerla da quella derivata da lesioni cerebrali, la dislessia
evolutiva si inserisce in un contesto molto diverso , perchè vede in soggetti sani
in assenza di carenze intellettive, socio-culturali e affettive, un vero e proprio
ritardo dell’imparare a leggere.
Ci sono stati ricercatori che hanno voluto attribuire una causa biologica a questo
ritardo a partire dal fatto che prevaleva nei soggetti maschi e con una frequenza
familiare piuttosto elevata. Si pensò quindi che le basi biologiche implicassero
un fattore ereditario, ma le numerose ricerche svolte sull’argomento non hanno
riportato dei validi risultati; altri studi biologici hanno ipotizzato che il ritardo
fosse causato da un deficit percettivo visivo : se risulta danneggiata l’analisi
visiva che rappresenta il primo stadio del processo di lettura, sarà di
conseguenza ostacolata l’integrazione delle informazioni visive con quelle
uditive e il loro magazzino lessicale (Britmeyer & Lovegrove, 1983, 1986 -con
il mascheramento percettivo-; Duffy e coll., 1980- con la riduzione dell’attività
corticale-; Orton, 1937-con una cattiva organizzazione dell’emisfero linguistico-;
Witelson, 1977- che presuppone l’esistenza di due emisferi destri con la
conseguente riduzione delle funzioni linguistiche-; Kinsbourne, 1989-con il
cattivo funzionamento del corpo calloso-). Poteva essere una valida teoria se
non fosse che nei dislessici l’acuità visiva appare normale e la miopia o
l’astigmatismo o lo strabismo non costituiscono la causa della dislessia (Suchoff,
1981); anche secondo Rayner (1983) non ci sono correlazioni significative tra la
durata della fissazione e il numero dei movimenti oculari anche se sono presenti
molte irregolarità e le fissazioni tendono ad essere più lunghe .
4. dislessia come problema relazionale4.1 ipotesi psicodinamicaConsiderando la dislessia come problema relazionale, si vuole fondare
l’approccio educativo sulla concezione psicodinamica della persona , superando
l’ottica di un intervento di tipo curativo-riabilitativo. Infatti se centriamo la 19
19
medicina sulla malattia e non sul malato in quanto persona, non facciamo che
aggravare lo stesso disturbo.
L’approccio psicodinamico considera il malato come un uomo, e postula un
intervento tecnico comprensivo e preventivo su tutti i livelli.
Liberando l’handicap da ogni connotazione medica, prende più spazio l’area di
intervento psico-pedagogico-sociale e la prassi riabilitativa si confronta con il
concetto di educazione come rapporto e prospettiva. Soltanto questo modo di
intervenire accresce e permette di modificare il tipo di comunicazione con gli
altri e la relazione con la famiglia, la scuola e la comunità sociale.
Con ciò non si vuole, però , sottovalutare la reale incidenza della dislessia nel
processo di apprendimento, ma considerare che , specie nei soggetti in età
evolutiva, il concetto salute-malattia va affrontato ricercando i limiti della
malattia nella salute e i meccanismi della salute nella malattia. L’educazione non
si fonda quindi sull’esigenza di attuare un programma riabilitativo, bensì di
valorizzare completamente la personalità del bambino e delle sue aree di
sviluppo potenziale.
Ragionare nei termini di un’educazione volta esclusivamente con l’intento di far
acquisire un’abilità, che è quella del leggere, riduce nel bambino l’interesse e la
possibilità di apprenderla provocando disagi e reattività. Occorre quindi
concepire la pratica pedagogico-educativa come prospettiva di sviluppo per
come il bambino è e si rapporterà nelle sue future mete cognitive. E’ importante
perciò cercare di riconoscere presto il bambino dislessico, e alimentare fin dalla
nascita, attraverso i suoi traguardi personali di conoscenza e sviluppo, le sue
competenze e abilità in modo da prevenire eventuali difficoltà di apprendimento.
La comunicazione tra l’adulto e il bambino diventa un momento delicato perchè
si possano porre le basi per la costruzione dei processi di comunicazione futuri.
L’intervento che si vuole dare in questi casi, si estende all’approccio educativo
più globale di tipo psicoterapico che coinvolga le relazioni bambino-educatore o
ancora meglio bambino-famiglia. Infatti tra le cause che portano a una cattiva
relazione e conseguentemente a una cattiva comunicazione tra il bambino e i 20
20
suoi genitori, si trovano la scarsa curiosità intellettuale e l’inadeguata
identificazione con loro. L’adulto può trovare fastidiosi e invadenti gli spazi che
il bambino occupa in quelli del genitore non rendendosi egli conto che “il
sopraggiungere di emozioni conduce frequentemente ad una riduzione dell’area
psicologica esistente”(Lewin) ,ostacolando la costruzione degli schemi di
conoscenza e alimentando poi una condotta reattiva; e dietro le incertezze egli
errori comunemente addebitati all’inesperienza, il bambino maschera le sue
difficoltà che troveranno sfogo e esplosione nell’impatto diretto con la lettura
alfabetica a scuola. Nella maggior parte dei casi questo disagio non è
riconosciuto come problema psicologico e l’intervento dell’educatore può
rivelarsi controproducente favorendo così sentimenti negativi di disistima
nell’età infantile e di vere e proprie crisi di identità durante l’adolescenza.
21
21
BIBLIOGRAFIA
BAUMGARTNER, E - DEVESCOVI, A. Come e perchè nelle favole raccontate dai bambini. Sestante 1996
BOSCOLO, P . Psicologia dell’apprendimento scolastico. Aspetti cognitivi. Torino : UTET 1996
CORNOLDI, C. Disturbi dell’apprendimento. Aspetti neuropsicologici e psicologici. Bologna : Il Mulino 1991.
ELLIS, A. W. Lettura, scrittura e dislessia: un approccio cognitivo.Torino : SEI 1992.
LEDDOMADE, B . La dislessia, problema relazionale. Roma : Armando 1982
LUMBELLI, L (a cura di ) Incoraggiare a leggere. Firenze : La Nuova Italia 1988
McSHANE, J . Lo sviluppo cognitivo. Bologna : Il Mulino 1994
MERINI, C . Problemi della lettura. Guida all’analisi e al trattamento delle difficoltà di apprendimento della lettura. Torino : Bollati Boringhieri 1991
PONTECORVO, C.e M . Psicologia dell’educazione. Conoscere a scuola. Bologna : Il Mulino 1987
SARTORI, G . Valutazione neuropsicologica della dislessia e della disgrafia. Bologna : Il Mulino 1984
VELLUTINO, F.R. Dyslexia : Theory and Research. Cambridge, MA : MIT Press 1979
VERMIGLI, M . Modelli interpretativi di lettura e dislessia.Torino : SEI 1995
22
22
23
23