laboratorio di fotografia

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Territorio Abruzzo Premio Fondazione Industriale Adriatica Laboratorio di Fotografia a cura di Enrico Maddalena del Dipartimento Didattica FIAF e del Dipartimento Cultura FIAF Joseph Nicéphore Niépce - estate 1826

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Page 1: Laboratorio di fotografia

Territorio Abruzzo

Premio Fondazione Industriale Adriatica

Laboratorio di Fotografiaa cura di Enrico Maddalena

del Dipartimento Didattica FIAFe del Dipartimento Cultura FIAF

Joseph Nicéphore Niépce - estate 1826

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Promosso daFondazione AriaDirezione artisticaAchille Bonito OlivaAutore internazionale 2011/2012Oliviero ToscaniGiuria artisticaMario BottaElio FiorucciSilvia Evangelisti (Arte Fiera Bologna)Anna Mattirolo (Maxxi Roma)Marisa Galbiati (Politecnico Milano)Carmen Andriani (Università Pescara)

PatrocinioMIUR, Ministero Istruzione, Università e RicercaDirezione Scolastica Regione Abruzzo

Sponsor TecniciPolitecnico di Milano

FIAF Federazione Italiana Associazioni Fotografiche

Aternum Fotoamatori Abruzzesi

PartnerAlma-cis srl

Ecogas

Valagro spa

Villa Maria

Gruppo Jubatti

Dell’Aventino

Gruppo Lisciani

Media PartnerAbruzzo Impresa

Parallelo 42 contemporary ar

Territorio AbruzzoPremio Fondazione Industriale Adriatica

Razza Abruzzo 1001 lavori

Laboratorio di Fotografiaa cura di Enrico Maddalena

del Dipartimento Didattica FIAFe del Dipartimento Cultura FIAF

Page 3: Laboratorio di fotografia

Laboratorio di Fotografiaa cura di Enrico Maddalena

del Dipartimento Didattica FIAFe del Dipartimento Cultura FIAF

ARIA Fondazione Industriale AdriaticaFIAF Federazione Italiana Associazioni Fotografiche

SOMMARIO

Prima parte Fotografia = scrittura con la luce1a Unità: Cenni di Storia della Fotografia pag. 42a Unità: La luce in fotografia pag. 10

Seconda parte La ripresa fotografica e la postproduzione3a Unità: La ripresa fotografica pag. 154a Unità: La postproduzione pag. 19

Terza parte Comunicare con la fotografia5a Unità: Gli elementi del linguaggio fotografico pag. 22

© Enrico Maddalena 2012ad uso didattico. è vietata la divulgazione con ogni mezzo al di fuori del progetto di cui fa parte.

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4© Enrico Maddalena

NASCITA ED EVOLUZIONE TECNICA

1. L’eliografia

Joseph Nicéphore Niépce (Chalon-sur-Saône, 7 marzo 1765 – Saint-Loup-de-Varennes, 5 luglio 1833).

Poco portato nel disegno, cerca un meto-do per riportare una immagine in modo automatico su di una lastra da stampa. Utilizza del bitume di Giudea steso su di una lastra di peltro. Vi pone sopra un foglio con un disegno ed espone il tut-to alla luce solare. Il bitume di Giudea indurisce solo nelle parti colpite dalla luce. Lava la lastra con olio di lavanda che asporta il bitume là dove la luce è stata bloccata dai tratti ad inchiostro del disegno. Ne vien fuori una lastra che può essere usata per la stampa di molteplici esemplari, al pari di quelle prodotte con

l’incisione mediante bulino. E’ considerato per questo il padre della fotoin-cisione. Prova quindi lo stesso metodo con la camera oscura. Ottiene un risultato direttamente positivo della veduta dei tetti dalla finestra della sua tenuta di campagna dopo otto ore di esposizione, ottenendo quella che è considerata la prima fotografia della storia. Chiamò le sue immagini “eliografie”.Ma si è cacciato così in vicolo cieco per la scarsa sensibilità del materiale e per la scarsa definizione delle immagini ottenibili.Conosce Daguerre e ne diviene socio. Sarà poi Daguerre, per una via di-versa, a mettere a punto un metodo che avrà successo e farà “esplodere” la fotografia in tutto il mondo.

A lato in alto: eliografia del cardinale Georges D’Amboise.

A lato in basso, quella che è considerata la prima fotografia della storia (1826)

Questa è ovviamente una Storia sintetica ed essenziale della Fotografia. Accenniamo soltanto ai personaggi chiave della sua evoluzione tecnica ed alle correnti principali che ne hanno segnato l’evoluzione espressiva, rimandando alla lettera-tura specifica ed al web per eventuali approfondimenti.

1a Unità

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5© Enrico Maddalena

Veduta di Parigi, dagherrotipo. Nell’angolo in basso a sinistra si vede un lustrascarpe col cliente, mentre non c’è traccia di anima viva intorno. Data la lunga esposizione, la lastra ha registrato solo le due persone che sono rimaste ferme nello stesso posto.

2. Il dagherrotipo

Louis-Jacques-Mandé Daguerre (18 Novembre 1787 – 10 Luglio 1851)

Pittore e proprietario di un teatro par-ticolare, il Diorama, per il quale dipin-geva scene utilizzando la camera ottica, socio di Niepce, riuscì a realizzare il sogno di fissare una immagine con la camera oscura in tempi di pochi minu-ti e ad alta definizione. Utilizzava una lastra di peltro o di rame ricoperta d’ar-gento e lucidata. La lastra veniva posta sopra i vapori di iodio (si formava io-duro d’argento, un composto sensibile alla luce). Esposta nella camera oscura, veniva “sviluppata” esponendola ai va-pori di mercurio. Il mercurio formava

un’amalgama bianca sulle parti esposte, rivelando una immagine positiva. Il dagherrotipo veniva chiamato “specchio dotato di memoria”.Arago, scienziato e politico ed amico di Daguerre, gli fece ottenere dallo stato un vitalizio, in cambio della cessione dell’invenzione. Nell’agosto del 1839 la dagherrotipia venne presentata al mondo in una famosa seduta congiunta dell’Accademia delle Scienze e delle Belle Arti (e la Fotografia è in effetti arte e tecnica).

3. Il calotipo

William Fox Henry Talbot (Melbury, Dorset, 11 febbraio 1800 – Lacock Abbey, Wiltshire, 17 settembre 1877)

Pessimo disegnatore, cercò un metodo per fissare le immagini della camera oscura, strumento che usava per fare schizzi dei paesaggi e dei monumenti che incontrava nei suoi viaggi. Utilizzò le proprietà foto-sensibili del cloruro d’argento. Immerge-va della carta da lettere in una soluzione di sale da cucina (cloruro di sodio), quin-di in una di nitrato d’argento. Si forma-va, fra le fibre della carta, un precipitato di cloruro d’argento. All’inizio utilizzava questa carta, sensibile alla luce, ponendo-vi a contatto foglie, merletti ed altri og-

getti, ottenendo quelli che chiamò “disegni fotogenici”.Iniziò quindi ad utilizzare delle piccole camere oscure ottenendo buoni ri-sultati. Per rendere stabili quelle immagini, le immergeva in una soluzione concentrata di sale da cucina. Sir Frederick William Herschel astronomo e scienziato suo amico, gli suggerì di usare, come fissaggio, l’iposolfito di sodio (sostanza utilizzata ancora oggi nella fotografia analogica).

Un calotipo tratto da “The pencil of nature” che può essere consi-derato il primo libro fotografico della storia.

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6© Enrico Maddalena

Scoprì casualmente le proprietà dell’acido gallico di rivelare l’immagine la-tente, portando il tempo di esposizione da qualche ora a pochi minuti pri-ma e ad alcuni secondi poi. Chiamò queste immagini “calotipi”.Otteneva dei negativi che poi esponeva a contatto con un altro foglio di carta sensibile, realizzando il positivo finale. Mentre il dagherrotipo era un esemplare unico, il calotipo, pur inferiore come definizione, poteva essere tirato in più copie a partire dallo stesso negativo.

3. Il collodio

Frederick Scott Archer (1813 – 1857)

Il calotipo aveva il difetto di una scarsa definizione, dovuto alle fibre della car-ta che costituiva il negativo. Si pensò così di sensibilizzare delle lastre di ve-tro. Occorreva però una sostanza che vi aderisse. Si provò con l’albumina (Gustave le Gray). Archer utilizzò il collodio, ottenendo delle immagini di straordinaria finezza. Si scioglieva dello ioduro di potassio nel collodio. Si distribuiva la soluzio-ne su di una lastra di vetro pulita e la si sensibilizzava con nitrato d’argento. La lastra così preparata doveva essere esposta e sviluppata (con solfato fer-roso) subito, prima che il collodio si

asciugasse. I fotografi erano costretti a portarsi la camera oscura al seguito.

4. La gelatina

Richard Leach Maddox (4 Agosto 1816 - 11 Maggio 1902)

Non sopportando l’odore dell’etere che si utilizzava nella fotografia al collodio, Maddox (medico) utilizzò della gelatina animale sensibilizzata con bromuro d’ar-gento. Le lastre potevano essere prepara-te e conservate per molto tempo, senza bisogno di esporle e svilupparle subito. Grazie ai progressi dovuti ad altri scien-ziati, le lastre alla gelatina-bromuro di-vennero talmente sensibili da richiedere esposizioni di frazioni di secondo tan-to che, dal togliere e rimettere il tappo davanti all’obiettivo, si dovette passare all’uso di otturatori. le pellicole odierne sono appunto alla gelatina-bromuro.

Victor Hugo fotografato da Nadar (collodio umido)

Una scatola di lastre alla gelati-na-bromuro.

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7© Enrico Maddalena

L’invenzione dell’emulsione alla gelatina-bromuro apre le porte alla fabbri-cazione industriale del materiale fotografico ed alla nascita dei primi labo-ratori di sviluppo e stampa. La Fotografia cessa di essere una attività artigia-nale ed elitaria per diventare un passatempo popolare.

A lato, la prima Kodak (Voi premete il bottone, noi facciamo il resto).

5. Il digitale

1969: George Smith e William Boyle, due ingegneri della Bell Labs, in-ventano il CCD (Charge-coupled-device): nasce la fotografia digitale.

è una rivoluzione. Il supporto registratore dell’immagine prodotta nella camera oscura, passa da chimico ad elettronico. Ad ogni pixel dell’immagine digitale corrisponde, sulla superficie del sen-sore, un elemento chiamato “photosite”. La luce che colpisce un photosite, fornisce l’energia necessaria perché atomi di silicio liberino elettroni. Que-sta corrente viene analizzata e trasformata in segnale digitale, ovvero in un insieme di cifre binarie che codificano l’immagine originale. L’immagine digitale può essere elaborata attraverso un computer e trasmessa per telefo-no o pubblicata sul web. Fotografare diventa ancora più economico ed alla portata di tutti. Grazie alla diffusione dei telefonini e alla buona risoluzio-ne delle fotocamere annesse, ciascuno può fotografare in ogni luogo ed in qualsiasi momento.

EVOLUZIONE ESPRESSIVA

1. Il pittorialismo

All’inizio, la Fotografia soffriva di un complesso di inferiorità rispetto alla Pittura, complesso dovuto all’aura di mera riproduzione meccanica del reale che le si attribuiva. Così i fotografi cercarono di nobilitarla rifacendosi ai canoni pittorici, anche ricorrendo a metodi di stampa particolari come alla stampa al bicromato o al carbone. D’altra parte, la nuova invenzione non aveva altri riferimenti ed ancora non ci si era resi conto delle peculiarità del mezzo.

A sinistra, Eduard J. Steichen - 1901 Stampa alla gomma bicromata.

A destra, foto di Heinrich Kuhn 1906 - Museo Dorsay - Parigi

Un sensore digitale.

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8© Enrico Maddalena

2. La fotografia straight (diretta)

Nasce come presa di coscienza delle peculiarità del mezzo e come reazio-ne al pittorialismo. Si lavorava prevalentemente all’aperto, lasciando che i soggetti assumessero la posa che volevano e facevano assegnamento, per il risultato, su mezzi strettamente fotografici.

A lato in alto: Alfred Stieglitz, Ritratto di Georgia O’Keeffe

3. Il fotogiornalismo e la fotografia docu-mento

La peculiarità della Fotografia, che la distingue dalla Pittura e la rende, per questo aspetto, ad essa superiore, è quella di portare l’osservatore al referen-te. La fotografia ha una natura “indicale” che riporta all’oggetto fotografato e pertanto assume la funzione di documento. Anche se ciò non è comple-tamente vero poiché la fotografia esprime la visione che del mondo ha il fotografo.Data la sua natura documentale, la fotografia può divenire fotografia socia-le e di denuncia, come accade in Lewis W. Hine che fotografò i bambini sfruttati nelle fabbriche o Jacob Riis che denunciò con le sue immagini, la miseria in cui erano costretti a vivere gli immigrati, usando negli interni il lampo al magnesio.

A lato seconda dall’alto, una foto di Jacob Riis al lampo di magnesio, che mostra come vivevano gli immigrati.A lato terza dall’alto, una foto di Lewis Hine che mostra una bambina al lavoro in una fabbrica.

Altro famoso esempio di fotografia sociale è quella dei fotografi che docu-mentarono, per la Farm Security Administration, la vita dei contadini affit-tuari durante la Grande Depressione. Molto spesso queste fotografie ottennero la modifica di leggi e l’elargizione di contributi a favore delle classi sociali più disagiate.In basso a sinistra, una foto di Dorothea Lange ed a sinistra una di Walker Evans, entrambi della Farm Security Administration.

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9© Enrico Maddalena

Nascono le grandi riviste illustrate. “Una immagine vale più di cento pa-role” e così i servizi fotografici domi-nano sulla pagina scritta. Tutto questo ha termine con la na-scita della televisione verso la cui tempestività nel dare le notizie, il giornale non può competere. Il fotogiornalismo passa allora dall’attualità all’analisi ed alla rifles-sione sui fatti.

4. Il fotoreporter di guerra

In ogni operazione militare sono presenti fotografi che rischiano la propria vita, armati non di fucile ma di macchina fotografica. Sono la testimonian-za verso il resto del mondo di ciò che accade là dove si combatte. Celebre è Robert Capa, fotografo ungherese, morto in Indocina mentre seguiva le truppe francesi dopo aver messo il piede su di una mina.

5. Ma cos’è la Fotografia?

Cosa possiamo fare con una matita? La lista della spesa, un progetto, un disegno, scrivere una poesia. Al pari di una matita, la macchina fotografica è uno strumento attraverso il quale possiamo documentare, raccontare, esprimerci.Come documento, è la semplice registrazione, fredda e precisa, di ciò che è davanti all’obiettivo. Spesso lo sono le foto di viaggio, di cerimonia, quelle che documentano un evento familiare. E sono importanti perché consegnano alla memoria cose, persone, eventi della vita.Quando invece fotografiamo al fine di mostrare il nostro giudizio, il nostro personale modo di vedere un fatto, entriamo nel racconto fotografico, strutturato anche in più immagini legate fra loro.Altre volte la realtà che è davanti all’obiettivo può essere solo una scusa, la materia grezza che utilizziamo per espri-mere noi stessi, i nostri sentimenti, una riflessione profonda sulle cose del mondo. Allora facciamo della poesia e la fotografia può diventare tematica e, a volte, opera d’arte.

Se le vostre foto non sono abbastanza buone è perché non siete andati abba-stanza vicino al soggetto”Robert Capa

Alcune immagini divengono em-blematiche.A sinistra: Huynh Cong Ut conge-la per sempre il terrore di questi bimbi Vietnamiti in seguito a un attacco con il napalm, preoccu-pandosi poi di portar loro le prime cure con acqua per poi accompa-gnarli in ospedale.

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10© Enrico Maddalena

LA DIREZIONE DELLA LUCE

1. Luce frontale

Quando la sorgente luminosa, naturale o artificiale, si trova dalla stessa par-te della fotocamera rispetto al soggetto, si ha una luce piatta, quasi senza ombre (le ombre si trovano infatti dietro al soggetto e sono da questo nasco-ste). é una luce che può esaltare i colori e le superfici, ma non sempre è la scelta migliore. è la luce del flash integrato nella macchina. Il flash prossimo all’obiettivo provoca, se è la sorgente di luce principale, il fenomeno degli occhi rossi.

A lato ed in alto: le ombre proiettate sono dietro il soggetto che è in piena luce.

Al centro: luce solare diretta, frontale e dall’alto. è una luce cruda che crea fastidiose ombre sotto gli occhi. Il soggetto tende a chiudere gli occhi.

In basso: la luce piatta e violenta di un flash frontale che crea ombre piccole e dure.

Il discorso sulla luce è volutamente di tipo esclusivamente pratico, e rivolto all’attrezzatura minima di cui può essere in possesso un dilettante. Non si è ritenuto opportuno parlare delle tecniche di illuminazone di tipo professionale quali flash da studio, ombrellini riflettenti, bank ecc.

Luce frontale

© Enrico Maddalena

Alfredo Munoz de Oliveira

Arthur Sase

Una luce frontale diretta, tende a far chiudere gli occhi.

2a Unità

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11© Enrico Maddalena

2. Luce laterale

La sorgente di luce è posta lateralmente al soggetto. La fotocamera vede sia le parti in luce che quelle in ombra. è una illuminazione plastica che scolpi-sce il soggetto e ne esalta la tridimensionalità. Le ombre portate sono visibili ed esaltano lo spazio e la prospettiva.

A sinistra in alto: luce proveniente da destra e dall’alto. La parte destra del volto (a sinistra nella foto) è illuminata da una luce di schiarita ed emerge dall’ombra.

Al centro: luce morbida proveniente da destra. La parte destra della modella è in ombra.

In basso: luce naturale proveniente da sinistra. le lunghe ombre fanno capire che il sole non è ancora alto sull’orizzonte.

Luce laterale

© Enrico Maddalena

Brassai (Gyula Halász)

Chiara Baschetti

Carlos Cabral da Rocha

Ombra propria: è la parte non illuminata del soggetto, perché dalla parte opposta della sorgente luminosa. Spesso non è completamente buia, perché riceve la luce riflessa dall’ambiente.

Ombra portata: è l’ombra che il soggetto proietta sull’ambiente.

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12© Enrico Maddalena

3. Controluce

La sorgente di luce è posta dietro il soggetto, dalla parte opposta alla mac-china fotografica. La fotocamera vede la parte in ombra del soggetto che, se non illuminata da una luce riflessa o di schiarita, appare “in silouette”.è una luce magica che incendia i capelli ed il fogliame e disegna i contorni del soggetto. Le ombre si proiettano verso il fotografo.

Esistono naturalmente illuminazioni intermedie fra le tre canoniche descritte.

Controluce

© Enrico Maddalena

Daniele Terrini - silouette

Aydin Korkmaz

Tiziano Banci

A destra in alto: il controluce illumina barba e capelli che si stagliano con-tro lo sfondo in ombra. Il soggetto è rischiarato dai riflessi dell’ambiente.Al centro: il soggetto è in ombra profonda ed il controluce ne illumina solo il profilo.in basso: un suggestivo paesaggio in controluce.In basso a sinistra: luce proveniente dal basso (luce di ribalta)

Victor Leorne de Almeida

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13© Enrico Maddalena

LA QUALITà DELLA LUCE

1. Luce direzionale

è prodotta da una sorgente ben definita, come un flash, il sole, una lampa-da. La sua luce è dura e determina ombre ben definite. Se radente, esalta la texture delle superfici ed evidenzia le rughe ed i difetti della pelle.

2. Luce diffusa

è prodotta da una sorgente estesa, come una finestra esposta a nord o scher-mata da tende. All’esterno la si ha con cielo coperto e all’ombra.Le ombre si attenuano, i difetti della pelle vengono minimizzati. La potete ottenere “sparando” il flash sul soffitto anziché rivolgerlo verso il soggetto (ma questo solo se avete un flash esterno con parabola orientabile). Se troppo diffusa, può rendere l’immagine piatta.

A destra in alto: luce direzionale

A destra in basso: luce morbida, piatta.

Sotto: l’illuminazione è estremamente morbida, sia a causa del cielo velato, sia per l’intenso riflesso del suolo e delle pareti chiare.

Jim Miller

Victor Leorne de AlmeidaSzirmainé Bàn Janna

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CONSIGLI PRATICI

1. Il pannello riflettente

In un ritratto con luce laterale o in controluce, ad evitare che la parte in ombra sia troppo scura, si può utilizzare una superficie riflettente come un pannello di polistirolo, un panno bianco o un foglio di carta. In mancanza di altro, va bene anche un foglio di giornale. In situazioni fortunate, lo stesso suolo o una parete possono svolgere questa funzione. Naturalmente esistono pannelli riflettenti professionali per chi volesse acquistarli. L’im-portante è che la superficie riflettente non sia colorata perché altrimenti anche il riflesso sul soggetto sarebbe colorato.

2. Il flash di schiarita

Anche il flash di cui è dotata la fotocamera può essere utilizzato per schiarire un volto in controluce. Essendo solidale alla macchina, la sua luce sarà per forza frontale. Uno schermo riflettente può invece essere posizionato in ma-niera più libera. Per rendere più diffusa la luce del flash, si può posizionare un fazzolettino davanti alla parabola.

A destra in alto: luce principale proveniente da una finestra a sinistra, scher-mo riflettente sulla destra per schiarire la parte in ombra.

A destra: Controluce con lampo di schiarita (tecnica del fill in).

Enrico Maddalena

fines

tra

pann

ello rifl

etten

te

ombra portata

riflesso

ombra propria

alta luce

parte in luce

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1515 © Enrico Maddalena

LA MESSA A FUOCO

1. Automatica

Tutte le moderne fotocamere hanno dei sistemi di messa a fuoco automati-ca. Si inquadra, si preme a metà il pulsante di scatto (con questo la messa a fuoco si regola sul soggetto) si porta a fondo la pressione ed il gioco è fatto. Nel mirino di molte macchine c’è un indicatore di messa a fuoco centrale (in quelle di buon livello ce ne sono diversi selezionabili). Tutto bene se il soggetto è al centro dell’immagine. Ma se preferiamo decentrarlo? è sufficiente porlo al centro e premere a metà il pulsante di scatto (questo fissa la messa a fuoco) quindi lo decentriamo e scattiamo con una ulteriore pressione. Se fra noi ed il soggetto c’è una rete, una inferriata, un vetro non molto pulito, potremmo avere dei problemi perché la messa a fuoco potreb-be regolarsi su questi elementi vicini. In questi casi ci torna utile la messa a fuoco manuale.

2. Manuale

Impostata questa modalità di messa a fuoco, si ruota la ghiera fino a che un segnale luminoso (generalmente una spia verde) ci segnala che la m.a f. è a posto. In macchine più datate, esistono altri sistemi come lo stigmometro, il telemetro (presente anche oggi in macchine di pregio come alcune Leica) o i microprismi. In quelle a banco ottico si usa ancora il vetro smerigliato.

3. Consigli

Quando dobbiamo fermare un evento irripetibile ed improvviso, regoliamo in anticipo la messa a fuoco dove prevedibilmente verrà a trovarsi il sogget-to. La messa a fuoco è critica con lunghe focali e con diaframmi aperti. Lo è meno con corte focali e diaframmi chiusi.Quando ci sono vari elementi in una immagine, quello a fuoco viene messo in evidenza sugli altri: diviene il soggetto principale.

La tecnica della ripresa fotografica richiederebbe interi manuali per essere trattata compiutamente. Diamo qui gli ele-menti fondamentali poiché, accanto ad un contenuto valido, anche la forma è importante per una buona foto. Sarebbe come scrivere una bella poesia, ma piena di errori di grammatica e di sintassi e con una grafia poco leggibile. Si ricorda che per conoscere ed usare al meglio la propria fotocamera, è importante la lettura del libretto di istruzioni.

Immacolata Marrella Addimanda

Enrico Maddalena“Per ottenere una buona immagine, è necessario mettere bene a fuoco il sog-getto”

3a Unità

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16© Enrico Maddalena 17

IL DIAFRAMMA E LA PROFONDITà DI CAMPO

1. Valori

Il diaframma regola il flusso luminoso, in modo simile a quando alziamo o abbassiamo le tapparelle della stanza per far entrare più o meno luce. è un congegno meccanico che si apre e si chiude un po’ come fa l’iride dell’oc-chio. Le diverse aperture di diaframma sono indicate da una serie numerica dove numeri più piccoli indicano aperture più grandi. Ma quello che ci interessa (considerato anche che nelle moderne fotocamere l’esposizione, determinata dai valori di diaframma e tempo di posa, è auto-matica) è l’effetto che ha il diaframma sull’immagine.

1,4 - 2 - 2,8 - 4 - 5,6 - 8 - 11 - 16 - 22 - 32 - 45 - 64

2. La profondità di campo

è l’estensione della zona nitida. Più il diaframma è chiuso (valori alti), mag-giore è la profondità di campo. Più è aperto (valori bassi), minore è la pdc.Se vogliamo isolare il soggetto dall’ambiente, ci conviene ridurre la pdc. Se invece riteniamo che l’ambiente è importante per descrivere il soggetto (artigiano nella sua bottega per esempio), aumentiamo la pdc chiudendo il diaframma.è da dire che la profondità di campo dipende anche dalla lunghezza focale (maggiore è la lunghezza focale, minore è la pdc e viceversa) e dalla distan-za di ripresa (maggiore è la distanza di messa a fuoco, maggiore è la pdc e viceversa). Nel reportage, quando non si ha tempo per regolare la messa a fuoco, si usano diaframmi stretti e corte focali, compatibilmente con tempi di posa sufficientemente brevi da evitare il pericolo di mosso.

IL TEMPO DI POSA

1. Valori

Si misura in frazioni di secondo. Come per il diaframma, ogni valore è la metà ed il doppio di quelli adiacenti.

1/2 - 1/4 - 1/8 - 1/15 - 1/30 - 1/60 - 1/125 - 1/250 - 1/500 - 1/1000 ecc.

1. Mosso e micromosso

Per evitare il mosso, si consiglia di usare tempi di posa non maggiori del valore della focale dell’obiettivo. Per esempio, se utilizziamo una focale di 50 mm, non dobbiamo scendere sotto 1/60 di secondo (il valore più vici-no) a meno di non disporre di un cavalletto e di soggetto fermo. Tanto più il soggetto si muove velocemente, tanto più rapido deve essere il tempo di posa (se vogliamo congelarlo, ovviamente).

Piotr RubiszEstesa pdc grazie ad un diaframma chiuso e ad una corta focale

Giuseppe CannoniUna ridotta pdc pone in rilievo il sog-getto

Jana Lily KleisnerovaQuesta immagine presenta evidente micromosso

Page 17: Laboratorio di fotografia

16 1717 © Enrico Maddalena

Per ottenere immagini nitide, è importante il modo di imbracciare la foto-camera. Non sempre il mosso è un errore. In alcuni casi può essere utilizzato in funzione espressiva.

L’ESPOSIZIONE

1. La corretta esposizione

Una corretta esposizione è il prodotto di tre fattori: tempo di posa, apertura di diaframma, sensibilità (valori ISO). Ne aggiungerei un quarto: l’inten-zione espressiva del fotografo.Nelle macchine di oggi l’esposizione è automatica (ma si può impostare anche in manuale). Possiamo impostare l’esposizione su Matrix (l’automa-tismo tiene conto della luminosità di tutta la scena), su Ponderata centrale (viene valutata la parte centrale della scena) e su Spot (viene valutata una zona molto piccola (di circa 1°). La macchina però “è stupida” ed in condizioni di forti contrasti può sba-gliare, sottoesponendo o sovraesponendo il soggetto. Con le digitali abbiamo la fortuna di poter controllare il risultato immediatamente e, nel caso non fossimo soddisfatti, ripetere lo scatto. Sulle macchine di un certo livello, è possibile incrementare o ridurre l’esposizione rispetto a quello che farebbe la macchina.Per una elevata qualità dell’immagine, è consigliabile impostare la sensibilità (gli ISO) al minimo valore. Possiamo permettercelo se siamo in condizioni di buona illuminazione. Diversamente, oltre alla possibilità di aprire di più il diaframma o aumentare il tempo di posa (senza però rischiare il mosso), sarà necessario alzare gli ISO.Oltre che in automatico, l’esposizione può essere impostata a priorità di dia-

framma “A” (noi impostiamo il diaframma e la macchina decide il tempo di posa;. a priorità di tempi “S” (noi impostiamo i tempi e la macchi-na decide il diaframma), P (programm: la mac-china decide la migliore - secondo lei - coppia tempo/diaframma). Manuale “M” (decidiamo noi tempo e diaframma.

2. I valori ISO

Valori bassi corrispondono a bassa sensibilità e valori alti ad alta sensibi-lità. Ciascuno dei valori seguenti è il doppio di quello che lo precede e la metà di quello che lo segue:

50 - 100 - 200 - 400 - 800 - 1600 - 3200

IL BILANCIAMENTO DEL BIANCO

Il “colore” della luce varia in funzione di diversi fattori, come l’altezza del sole sull’orizzonte, la stagione, le condizioni atmosferiche, il tipo di illumi-nazione. Nelle digitali esiste un automatismo che bilancia automaticamente

Selezionare “Matrix” per paesaggi o scene che presentino valori di lumi-nosità più o meno costanti su tutta la scena.

Selezionare “Ponderata centrale” quando la luminosità dell’ambiente è diversa da quella del soggetto, come nei ritratti in controluce o sullo sfondo luminoso del cielo.

Selezionare “Spot” in casi diffici-li quando ci sono forti variazioni di luminosità e si intende esporre per un soggetto particolare.

Ernst Haas, esempio di mosso creativo.

Page 18: Laboratorio di fotografia

18© Enrico Maddalena

il cromatismo dell’immagine, anche se non sempre lo fa come a noi pia-cerebbe. Senza addentrarci in approfondimenti (regolazione manuale del bilanciamento, temperatura kelvin ecc.) che esulano dalla brevità di questi incontri, vedremo che potremo apportare delle correzioni in postproduzio-ne attraverso i programmi di fotoritocco. In ogni caso, non sempre le domi-nanti cromatiche vanno corrette completamente. Un tramonto perderebbe il suo fascino se non prevalessero i rossi e gli arancio.

LA PROSPETTIVA FOTOGRAFICA

1. Dilatare lo spazio

Mentre un obiettivo “normale” rende una scena più o meno come la vede l’occhio, un grandangolo la fa sembrare più estesa, più “ariosa”. Se è questa la sensazione che vogliamo dare, allora impostiamo una focale corta. Non usiamolo mai però in un ritratto ravvicinato, perché crea delle deformazioni che lo fanno sembrare una caricatura.

2. Comprimere lo spazio

Se usate un teleobiettivo (o se impostate il vostro obiettivo zoom su di una lunga focale), i piani appariranno ravvicinati e lo spazio verrà compresso. Se vogliamo creare una sensazione di sovraffollamento, di vicinanza, impostia-mo allora una lunga focale. Una lunga focale (per esempio un 80 mm o un 135 mm su formato 24 x 26) è l’ideale per i ritratti.

Quando si intende decentrare il soggetto:

1. Tenerlo al centro dell’inquadratura e metterlo a fuoco premendo a metà il pulsante di scatto e mantenerlo pre-muto.

2. Decentrare il soggetto, quindi pre-mere fino in fondo il pulsante di scat-to.

In alcune macchine si può selezionare la zona di messa a fuoco.

Bilanciamento impostato su “Sole diretto”. Si nota la netta dominante azzurra.

Bilanciamento impostato su “Nuvolo-so”. La cromia è più calda.

L’uso di un grandangolo dilata gli spa-zi.

L’uso di un teleobiettivo li comprime.

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19© Enrico Maddalena

L’IMMAGINE DIGITALE

1. Formati

I principali formati digitali sono:

Raw - è il formato “grezzo”, non ancora trattato dal processore della fotoca-mera e che va “sviluppato” al computer. Solo le macchine di buon livello consentono di salvare in Raw che è la scelta di chi ha a cuore un risultato qualitativo di alto livello.

TIFF - Un formato “senza perdita”, più pesante del Raw e del Jpg, nel quale possiamo convertire ad esempio un Raw. Possiamo aprirlo, modificarlo e salvarlo più volte, senza grossi problemi.

Jpg - è il formato più comune e l’unico in cui viene salvata l’immagine nelle macchine poco costose e nei telefonini. è un formato “compresso” che occupa molto meno spazio (è meno pesante) di un Raw o di un Tiff. Se teniamo basso il valore di compressione, possiamo avere delle buone im-magini, altrimenti iniziano a formarsi degli artefatti e la qualità dell’imma-gine decade. A differenza del Tiff, non è consigliabile aprirlo, modificarlo e salvarlo più volte perché ad ogni salvataggio peggiora la qualità essendo un formato “con perdita” di informazioni ad ogni compressione.

2. Risoluzione

Per essere semplici, possiamo dire che esprime la quantità di informazione contenuta nel file. La si esprime in megapixel (milioni di pixel) o indicandone i valori dei lati (3872 x 2592 ad esempio). La si misura in pixel per pollice (ppi) o, per la stampa, in punti per pollice (dpi). La fotocamera dell’iPhone 4 ad esempio, produce immagini di 2592 x 1936 di lato con una una risoluzione di 5 megapixel (2592 x 1936 = 5.018.112).Se le nostre immagini sono destinate al web, dobbiamo portarle a 72 dpi perché non siano troppo pesanti e quindi lente da caricare. Se sono destina-te alla stampa, utilizzeremo una risoluzione di 300 dpi.

Anche ai tempi dell’analogico, la realizzazione di una fotografia non terminava con la pressione sul pulsante di scatto ma continuava in camera oscura. E non era certo una fase meno creativa della ripresa. Infatti i fotografi evoluti non conse-gnavano il rullino al fotonegoziante ma sviluppavano e stampavano in proprio. Lo fanno anche oggi perché l’analogico è ancora vivo e lo sarà a lungo. Con il digitale, alla camera oscura, alla fioca luce di sicurezza, agli odori dei bagni chimici, si è sostituita la più asettica ed inodore camera chiara, ovvero il computer con i programmi di fotoritocco, il più famoso (e costoso) dei quali è Photoshop.

La finestra cui si accede da:Immagine/Dimensione immagine. In essa è possibile impostare sia le dimensioni che la risoluzione dell’im-magine.

Questa immagine, nelle sue dimensio-ni originali, pesa 7,84 MB in forma-to Raw, 14,6 MB in formato TIFF, 2,63 MB in formato Jpg alta qualità (non compresso) e solo 113 KB alla massima compressione.

4a Unità

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20© Enrico Maddalena

3. Ritaglio e raddrizzamento

Per migliorare la composizione potremmo avere la necessità di eliminare parti periferiche dell’immagine. Lo possiamo fare con lo strumento “selezio-ne rettangolare” o con lo strumento “taglierina”. Con quest’ultimo possiamo impostare in anticipo sia la dimensione dei lati (in pixel o in cm), sia la risoluzione.Inoltre capita spesso che la foto sia “storta” ed il bordo di una casa risulti in-clinato anziché verticale, oppure l’orizzonte marino sembri in discesa. Con la funzione “trasformazione libera” possiamo prendere l’immagine per un angolo e ruotarla fino a raddrizzarla, magari aiutandoci con una o più linee guida che trascineremo dai righelli.

PRINCIPALI INTERVENTI SULL’IMMAGINE

1. Luminosità

Una immagine può risultare troppo scura o troppo chiara. Ci sono molti metodi per regolarne la luminosità, oltre a quello di intervenire sul cursore della finestra “Luminosità-Contrasto”.

2. Contrasto

Il contrasto di una immagine è la variazione di luminosità fra le zone più scure e quelle più chiare. In una foto all’ombra o con nebbia, potremmo avere un contrasto basso e la foto potrebbe risultare piatta. Al contrario, po-trebbe esserci una separazione eccessiva fra le zone in luce e quelle in ombra, con perdita di dettaglio in una delle due o in entrambe. Anche qui (ma fino ad un certo punto) può venirci in aiuto il programma di fotoritocco.

3. Sharpening

Lo sharpening aumenta, con un artificio, la sensazione di nitidezza di una foto. Applicandolo, ci sembra che l’immagine sia più a fuoco. Non bisogna esagerare perché otterremmo dei fastidiosi artefatti che rovinerebbero l’im-magine. Si accede alla funzione tramite il percorso: Filtro/Contrasta/Masche-ra di contrasto. Potremmo provare con una regolazione del tipo:Fattore 100% (regola l’intensità dell’effetto)Raggio 1 (regola la dimensione della zona di confine modificata)Soglia 0 (indica la soglia fra zona chiara e scura a partire dalla quale verrà applicato l’effetto).

4. Livelli

A questo strumento si accede seguendo il percorso: Immagine/Regolazioni/Livelli. Comparirà l’istogramma dell’immagine, una specie di montagna nera con un inizio, una fine e una o più cime intermedie. è la descrizione della distribuzione dei toni scuri, medi e chiari dell’immagine. In ascisse a sinistra ci sono i toni scuri che passano a quelli intermedi fino ad i toni più chiari sulla destra. In ordinate la percentuale di pixel che nell’immagine hanno il valore di luminosità corrispondente alla loro posizione in ascisse.

Questa immagine è storta. Trascinia-mo dal righello superiore una linea guida sul bordo della fontana, per avere un riferimento.

Ne modifichiamo l’inquadratura con lo strumento “taglierina”.

Ho voluto convertirla in scala di grigio, ne ho modificato il contrasto con lo strumento “Curve” per far risaltare il biancore del pezzo di carta in primo piano e degli zampilli della fontana in secondo piano. Ho quindi applicato la maschera di contrasto.

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20 21© Enrico Maddalena

L’istogramma è consultabile anche sul display della fotocamera. Sotto l’istogramma compaiono tre cursori triangolari. Se l’istogramma non inizia dal bordo sinistro, ma più a destra lasciando un po’ di spazio vuoto, l’immagine sarà “fiacca” e mancherà dei toni più scuri. Possiamo risolvere il problema trascinando il triangolino nero fino a portarlo là dove inizia l’istogramma.Se l’istogramma non termina sul bordo destro, allora l’immagine mancherà dei toni più chiari, brillanti. Vi poniamo rimedio trascinando il triangolino bianco verso sinistra fino al bordo dell’istogramma. L’immagine ci apparirà più luminosa e brillante (fermo restando che potrebbe essere nostra inten-zione produrre una immagine “grigia” per finalità espressive particolari).Il cursore centrale (triangolino grigio) modifica il gamma, vale a dire ci per-mette di comprimere o estendere i toni chiari, estendendo o comprimendo di riflesso quelli scuri. Con lo strumento “Clone” è possibile ritoccare l’immagine eliminando pic-coli particolari, difetti della pelle, macchie, elementi di disturbo. A livello più avanzato, c’è lo strumento “Curve” che permette una regolazione fine della luminosità e del contrasto in zone diverse della scena, i “Livelli” (diver-si dallo strumento di cui abbiamo detto al paragrafo 4), le maschere, i canali, strumenti che richiederebbero un corso apposito e diversi incontri e che quindi non possiamo permetterci di trattare in questa sede.

1. Questa immagine è piatta, manca di contrasto.

3. Trasciniamo il triangolino nero e quello bianco fino a portarli all’inizio e alla fine dell’istogramma. Ora l’immagine è più brillante, ha più contrasto.

2. Lo vediamo anche dall’istogramma che ha dei vuoti all’inizio e alla fine.

4. Proviamo a modificare il gamma, trascinando il triangolino centrale (quello grigio) verso destra. Questa operazione estende i toni scuri e com-prime quelli chiari.

5. L’immagine è ora più cupa, tempo-ralesca.

6. Qui invece si è effettuata una conversione in bianco e nero mediante lo stru-mento “Miscetalore canale” raggiungibile attraverso il percorso: Immagine/Regolazioni/Miscelatore canale, dove ho aumentato l’intensità del canale del verde e ridotta quella del canale del rosso, schiarendo così la vegetazione in primo piano.

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Inquadrare: Includere ed escludere

La prima cosa che fa il fotografo, dopo essere stato colpito da un certo avvenimento, da un certo volto, da un certo paesaggio, è quella di mettere l’occhio nel mirino della fotocamera. Egli decide l’inquadratura della scena. Sceglie cosa includere e cosa escludere, decide quale parte di quel mondo che lo circonda mostrare agli altri e quale parte nascondere. Attraverso l’in-quadratura, un elemento fra tanti vien fatto emergere ed assurgere al ruolo di protagonista.

Il punto dI vIsta

I dilettanti appena vedono una scena che li interessa, scattano da dove si trovano. E’ un errore. A volte basta spostarsi di poco per migliorare la com-posizione, per escludere un elemento di disturbo, magari facendolo sparire dietro un altro, per modificare la posizione di un altro elemento all’interno del quadro e caricarlo di diversi significati. Ci si può abbassare inginoc-chiandosi o si può salire su di un muretto per veder mutare in maniera radi-cale la visione, riuscendo così a trasmettere meglio agli altri le sensazioni che la scena ci ha procurato dal vivo, anziché produrre una foto che ricorderà solo a noi le emozioni provate.

l’angolazIoneè relativa alla posizione della macchina che può essere mantenuta con l’asse ottico orizzontale, può essere inclinata verso l’alto o verso il basso. Queste scelte inducono delle significazioni che dobbiamo conoscere.

1. a livelloSe ci posizioniamo alla stessa altezza del soggetto, ci poniamo alla pari con lui. Entriamo nel suo mondo e lo condividiamo.

2. dal bassoIncliniamo la macchina verso l’alto. Il soggetto ci sovrasta e questo lo rende importante, dominante, lo esalta fisicamente e moralmente. Poiché lo pone, all’aperto, contro lo sfondo del cielo, lo isola e lo decontestualizza, accre-scendone anche per questa via l’importanza.

3. dall’altoIl soggetto è inserito nell’ambiente. Lo dominiamo. Possiamo usarlo quan-do vogliamo sottolinearne la fragilità.

Agli inizi si riteneva che la Fotografia fosse “una impronta” della realtà, una sua copia meccanica. Lo stesso Talbot (uno dei pionieri di quest’arte) diceva, a proposito delle sue immagini, che erano state prodotte dalla natura “senza il bisogno della mano dell’artista”. Ne metteva in evidenza la sua automaticità. Ma non è così, in quanto dentro ogni immagine non c’è solo quello che è davanti all’obiettivo, ma anche (ed a volte in maniera predominante) quello che c’è dietro, cioé il fotografo. Ogni immagine è infatti il frutto di scelte, sia tecniche che espressive, che fanno della Fotografia uno strumento di espressione. La Fotografia ha quindi un linguaggio che occorre conoscere sia per produrla (l’autore) che per leggerla (il fruitore). Accenneremo ai principali elementi del linguaggio fotografico senza evidentemente poterli esaurire.

Un punto di vista originale.

Werner BischoffL’angolazione dal basso rende domi-nante questa donna che chiede la cari-tà, le dona imponenza. L’autore non la commisera, ma pone lo spettatore più in basso, facendolo quasi sentire re-sponsabile dello stato di povertà di una larga parte della popolazione umana.

5a unità

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l’InclInazIone

La macchina deve essere “in bolla”, cioè non inclinata a destra o a sinistra, cosa che farebbe pendere gli edifici e l’orizzonte.L’inclinazione può però essere utilizzata quando vogliamo indurre una sen-sazione di precarietà, di non equilibrio. Non hanno senso quelle foto incli-nate di proposito solo per un vezzo e senza alcuna motivazione espressiva.

la composIzIone

La realtà che osserviamo è una realtà a tre dimensioni, senza confini. Nella foto, quella realtà diviene bidimensionale ed ogni elemento assume un defi-nito rapporto di posizione con gli altri e con i bordi del quadro. Comporre significa appunto “porre insieme” gli elementi dell’immagine in precisi rap-porti che hanno una ragione estetica ed espressiva. Per farlo, è sufficiente studiare l’inquadratura ed il punto di vista migliori. Muovendoci intorno al soggetto, alzandoci o abbassandoci, inclinando opportunamente la foto-camera, possiamo modificare sia la posizione sia le dimensioni relative di ciascun elemento. In ogni immagine deve esistere un soggetto ben definito. ogni altro ele-mento non deve essere di disturbo ma deve essere funzionale a questo. Deve rafforzarne i significati e deve condurvi l’occhio dell’osservatore.

1. La regola dei terzi

Ne parlo perché la si ritrova citata in tutti i blog di fotografia: “Qui però non hai rispettato la regola dei terzi”, come se esistessero regole e formule magiche per ottenere buone foto. Le regole servono a chi non si sa regola-re... (affermazione valida in campo artistico e solo in campo artistico natu-ralmente).Se dividiamo il quadro con delle linee parallele ai bordi, in tre fasce orizzon-tali ed in tre verticali, si consiglia di porre l’orizzonte non a metà ma su una delle due linee: quella inferiore se vogliamo enfatizzare il cielo e quella supe-riore se ci interessa di più il terreno. Gli elementi importanti dell’immagine andrebbero poi posti in corrispondenza di uno dei punti di intersezione di queste quattro linee.

2. Il taglio

A parte la decisione di disporre il quadro in orizzontale (formato landscape) o verticale (formato portrait), sono pochi quelli che valorizzano alcune loro immagini con formati non convenzionali come formati quadrati o formati particolarmente allungati. Eppure il taglio è un potente mezzo espressivo.Il formato orizzontale è generalmente adatto per i paesaggi ed induce sen-sazioni di calma e quiete (sensazioni che dipendono anche da altri elementi ed un formato orizzontale potrebbe indurre sensazioni anche opposte). Il formato verticale è più dinamico. Il formato quadrato è invece un formato statico.Dinamismo e staticità dipendono anche dalle linee interne all’immagine. Linee oblique inducono dinamismo al contrario di linee orizontali che ri-chiamano all’equilibrio.

Mario D’Onofrio: “Modern Cristh”In alcuni casi la didascalia è impor-tante per capire l’intento dell’autore.

Michael SullivanAttraverso una modifica dell’immagi-ne (mediante un filtro in ripresa o un intervento in PP), l’autore ha espresso non la verità della scena, ma la sua verità.

Un esempio di fedele applicazione del-la regola dei terzi: l’orizzonte è posto nel terzo superiore ed il gruppo di al-beri nel punto d’incontro di due assi.La foto sotto (di Rosario Puglisi) è un altro esempio di applicazione della re-gola.

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24© Enrico Maddalena

3. altro

In un ritratto di profilo o di tre quarti, è bene lasciare più spazio dalla parte dello sguardo.Il soggetto può essere evidenziato, oltre che attraverso la composizione, an-che per mezzo del tono, del colore, della selettività della messa a fuoco.Gli interventi non sono solo quelli in ripresa; non trascuriamo il lavoro al computer che è l’equivalente della camera oscura per l’analogico.E non parlo di alterare le immagini. La macchina fotografica non è uno strumento “oggettivo”, come qualcuno continua a sostenere. Essa vede a modo suo, secondo la sua natura meccanica, chimica ed elettronica. La veri-tà è quello che hanno visto i nostri occhi, le emozioni che abbiamo vissuto. Se sapremo intervenire sull’immagine per riprodurre questa visione, allora avremo fatto della buona fotografia. Allora la foto sarà vera.

FI

PA

MF

PP

Dett

PPP

PI

Carey Sheffield

FI = figura intera

PA = piano americano

PI = piano italiano

MF = mezza figura

PP = primo piano

PPP = primissimo piano

Dett = dettaglio

La regola dei terzi non è stata ri-spettata, con la staccionata proprio al centro dell’immagine. Ma Enzo Lombardi lo ha fatto di proposito: la staccionata separa il cielo dalla terra e, dando la stessa superficie, la stessa importanza a cielo e terra, ha potuto esprimere il suo intento creativo.

I Piani Fotografici si riferiscono invece agli spazi:

CLL: campo lunghissimo (ampi orizzonti)

CL: campo lungo (spazio vasto con orizzonte coperto da elementi più vicini)

CM: campo medio (ripresa più ravvicinata, si riconoscono le persone)

CT: campo totale (un ambiente ripreso nella sua interezza)

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Bryan MusserLa ripresa a “Figura intera” è fun-zionale all’intento del fotografo di de-scrivere, oltre alla persona, l’abito che questa indossa. L’esposizione è stata particolarmente attenta a rendere per-fettamente leggibili i dettagli del vesti-to. Lo sfondo scuro e fuori fuoco mette ancor più in risalto il soggetto.

Hay HeutsUn primo piano per descrivere l’uo-mo attraverso i tratti del volto, che son quelli che più siamo abituati a deci-frare poiché rivelano i segni tempo, la condizione sociale, il carattere, lo stato d’animo più di ogni altra parte del corpo.

Alexander StoyanovUn primissimo piano ci pone vi-cinissimi al soggetto. Qui non è visi-bile un eventuale copricapo o l’abito indossato. Siamo a contatto diretto con l’uomo, con la sua anima. Quello che conta è l’espressione del suo volto, lo sguardo col quale, rompendo ogni barriera di spazio e di tempo, sembra voler entrare in contatto con noi.

Mete OzbekNella ripresa a mezza figura, siamo più vicini al soggetto. Pur percependo-ne l’abbigliamento ed il gesto, ci tro-viamo “a distanza di conversazione”. Non siamo più estranei, osservatori di passaggio.

I piani fotografici

La distanza di ripresa non deve essere mai casuale. Essa è fonda-mentale per esprimere ben definiti significati ed è un elemento impor-tante del linguaggio fotografico.

Alex HowittIl vero soggetto di questa foto sono le mani dell’uomo, la cui struttura ed il cui atteggiamento ci raccontano mol-to della storia e dello stato d’animo di questo personaggio di cui non vediamo il volto.

Alexander StoyanovIl soggetto è decontestualizzato attra-verso uno sfondo nero che assorbe abito e copricapo, ponendo in luce il trian-golo del volto e concentrandovi forte-mente l’attenzione. L’aver “cancella-to” l’ambiente è in perfetta armonia con l’atteggiamento di meditazione. Quando meditiamo, guardiamo in noi stessi dimenticando cosa abbiamo intorno.

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26© Enrico Maddalena

Mete OzbekL’autore ha posto il soggetto nella metà destra dell’immagine e su di uno sfon-do scuro, isolando il soggetto dall’am-biente e facendolo risaltare fortemente. Egli stava guardando il fotografo ma ora, attraverso l’immagine, sta guar-dando noi. Da osservatori, diveniamo osservati.

Mete OzbekIl soggetto è questa volta ben contestualizzato. L’ambiente, la casa, gli oggetti sono una proiezione del carattere, degli interessi, della storia degli individui e spesso contribuiscono, assieme o più delle fattezze fisiche, a raccontare la perso-na. Una immagine come questa (alla Rembrandt) ricca di forti contrasti, parla anche dell’abilità tecnica oltre che espressiva del fotografo, che sa padroneggiare la luce oltre alla composizione. Un ritratto a luce ambiente senza flash, schermi riflettenti o altre sorgenti artificiali.

Talk BetterUna immagine giocata sulla similitu-dine e sul numero tre.

Massimo Della LattaLo sfondo mosso ci pone nello stesso punto di vista dei due ragazzi e ce ne fa condividere l’emozione. Non siamo spettatori esterni ma ci sentiamo an-che noi sul seggiolino.

Robert DoisneauUn esempio di come il significato della foto possa essere molto diverso da quello della cosa fotografata. Nella realtà esistevano una serie di statue disposte lungo i viali. Ma la scelta del punto di vista, della composizione, ha messo in relazione le due statue dando all’immagine un significato che è solo nella mente e nell’in-tento espressivo del fotografo e che è ben espresso dal titolo “Malizia”.