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ARACNE L’ESPERIENZA COSTITUZIONALE EUROPEA Stelio Mangiameli

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ARACNE

L’ESPERIENZACOSTITUZIONALE

EUROPEA

Stelio Mangiameli

Copyright © MMVIIIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–1718–0

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: aprile 2008

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INDICE Avvertenza ............................................................................... 7 § 1. Integrazione europea e diritto costituzionale ..................... 11 § 2. La clausola di omogeneità nel Trattato dell’Unione europea e nella Costituzione europea ................................................ 93 § 3. La competenza europea, il suo esercizio e l’impatto sull’ordinamento degli Stati membri ............... 131 § 4. La forma di governo europea ............................................... 213 § 5. L’amministrazione fra integrazione, unificazione e Verflechtung europea ......................................................... 249 § 6. La liberalizzazione dei servizi nell’Unione europea ......... 279 § 7. Funzioni nazionali e normativa comunitaria nella garanzia dei diritti ......................................................... 299 § 8. La tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento europeo .................................................... 325 § 9. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ..... 343 § 10. Il ruolo delle collettività regionali e locali nella Governance europea .................................................... 355 § 11. La Costituzione europea ....................................................... 385 Indice analitico ........................................................................ 407

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§ 1

Integrazione europea e diritto costituzionale SOMMARIO: 1. Il problema: diritto europeo e Costituzione europea. – 2. Il sistema

delle fonti. – 2.1. L’esperienza italiana. – 2.1.1. Segue: il diritto comunitario nella più recente giurisprudenza costituzionale. – [2.1.2. “La terza fase” della giuri-sprudenza italiana]. – 2.2. L’esperienza tedesca: gli inizi. – 2.2.1. Segue: la sen-tenza c.d. “Solange I”. – 2.2.2. Segue: la sentenza c.d. “Solange II”. – 2.2.3. Segue: la sentenza sul Trattato di Maastricht. – [2.2.4. La successiva giurisprudenza del Bundesfervassungsgericht]. – 2.3. Considerazioni d’insieme – 3. La tutela dei diritti fondamentali. – 3.1. La cittadinanza europea. – 3.2. La concorrenza della tutela comunitaria con la tutela interna. – 3.3. Innovazioni e limiti della garanzia comunitaria dei diritti fondamentali. – 4. Il c.d. “doppio federalismo”. – 4.1. la riduzione del federalismo interno. – 4.2. La posizione degli enti substatali. – 4.2.1. Le risposte interne: la Germania. – [4.2.1.1. La riforma del federalismo tedesco del 2006]. – 4.2.2. Segue: l’Italia. – [4.2.2.1. Segue: la riforma del Titolo V]. – 4.3. Il “doppio federalismo” e la crescita del regionalismo europeo. – 5. L’integrazione tra competenza e sovranità. – 6. L’ordinamento costituzionale eu-ropeo.

1. Il problema: diritto europeo e Costituzione europea

L’esistenza di una Costituzione europea è negata, ma all’ombra dell’antico jus publicum europaeum ha già mosso i suoi primi passi. Ed anche se è ancora forte, pure dopo il trattato istitutivo dell’UE, il rifiu-to di conferire all’Europa un impianto di tipo costituzionale, le vicen-de europee si prestano sempre più ad essere ricostruite in termini di “diritto costituzionale”. Tant’è che le relazioni tra UE e CE, da una parte, e gli Stati membri, dall’altra, possono ricevere una valutazione significativa solo se vengono in discussione, insieme alle categorie del diritto internazionale, pure quelle del “diritto dello Stato” (1).

(1) La questione della “Costituzione europea” è sempre più dibattuta v. A. BARBERA, E-siste una “costituzione europea”?, in Quad. cost., 2000, 59 ss.; nonché J. SCHWARZE, Auf dem Wege zu einer europäischen Verfassung – Wechselwirkungen zwischen europäischem und nationalem Verfassungsrecht; J.F. FLAUSS, Auf dem Wege zu einer europäischen Verfassung – Wechselwirkungen zwischen europäischem und nationalem Verfassungsrecht aus französi-

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È pur vero che una valutazione coerente dell’integrazione europea è resa difficile dai due profili che devono essere presi in considerazione: da un lato, il versante interno degli stati membri, nel quale opera anco-ra la pretesa della sovranità nazionale; dall’altro, il versante dell’ordina-mento europeo, che si delinea pur sempre come una organizzazione so-pranazionale regolata dal diritto internazionale.

Altrimenti detto, in questa fase il processo di integrazione si pre-senta ancora come “Giano bifronte”, che toglierebbe lo spazio ad una autonoma prospettiva di diritto costituzionale, la quale, in via di prin-cipio, è quella di un ordinamento statuale, autolegittimantesi e in se stesso chiuso, con elementi strutturali ben precisi (il popolo — il terri-torio — la sovranità) e un sistema di regole giuridiche che ne discipli-nano l’organizzazione e danno luogo ad una “Costituzione”. Espressio-ne, questa, che sta ad indicare una sostanza coessenziale al presentarsi del fenomeno statale e che riassume non solo i fattori che sono in gra-do, dal punto di vista esistenziale, di assicurare l’integrazione e l’unità di un gruppo, ma anche i principi e le norme che determinano il signi-ficato prescrittivo dell’intero ordinamento (2).

Secondo l’opinione dominante, i caratteri della statualità, così co-me sono stati richiamati, difficilmente possono riscontrarsi, senza equi-voco alcuno, nel caso dell’integrazione europea, e, anche basandosi sul-la sola osservazione empirica, un vero e proprio processo di formazione di un nuovo Stato europeo non può dirsi ancora attivo, atteso che gli elementi su cui si fonda l’Europa (nel senso che sono stati centralizzati) sono di tipo economico e manca una politica estera e militare, la quale resterebbe strettamente ancorata nelle mani degli Stati, che decidereb-

scher Sicht; F.G. JACOBS, The interaction of European law and national law: A comment with special reference to the United Kingdom; P. BADURA, Wandlungen der europäischen Wir-tschaftsverfassung, in Europäische Verfassungsentwicklung, in EuR–Beiheft, 1/2000, rispet-tivamente, 7, 31, 41 e 45. [La letteratura sul tema della Costituzione europea, in occasione del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, è diventata alquanto estesa, v. in pro-posito P. COSTANZO, L. MEZZETTI, A. RUGGERI, Lineamenti di diritto costituzionale dell’Unione europea, Torino 2006].

(2) Sulla definizione del termine “Stato” e “Costituzione” v. V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, I, Introduzione al diritto costituzionale italiano, Padova 1970, 49 ss. e 86 ss.

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bero anche dell’esistenza dell’ordinamento europeo, disponendo del potere di recesso (3).

Lo stesso Bundesverfassungsgericht, nella sua celebre sentenza del 12 ottobre 1993, sul trattato di Maastricht, afferma espressamente che «il Trattato dell’Unione dà vita ad una Staatenverbund (associazione di Stati) per la realizzazione di una sempre più stretta unione tra i popoli europei organizzati in Stati», ma l’affermazione — per quanto densa di significato — non è riuscita a sbarrare la strada ad un (lento) “processo costituente” di rango europeo (4).

In tal senso, la prospettiva enunciata nell’imminenza della sotto-scrizione del Trattato, che ridurrebbe le vicende interne agli stati membri ad una questione, se non di adattamento, di adeguamento, mentre quelle esterne sarebbero pur sempre ancora nell’orizzonte del diritto internazionale, risente molto della funzione politica che in quel momento il giudice costituzionale tedesco era chiamato a svolgere, e cioè a lasciare intravedere una impostazione tranquillizzante, assai im-portante per attenuare gli effetti psicologici del cambiamento che l’unione monetaria avrebbe realizzato. Un atteggiamento riduttivo, at-teso lo sviluppo che il diritto europeo ha avuto, in grado come è di sconvolgere situazioni costituzionali consolidate, come nel caso della Gran Bretagna e della Costituzione inglese (5).

Per quanto temeraria, perciò, la prospettiva del “diritto costitu-zionale europeo” sembra ormai percorribile efficacemente e tenden-zialmente in modo organico, anche se non è possibile avere ancora un “trattato–costituzione” e i significati costituzionali del sistema europeo vanno rinvenuti molto spesso in via empirica ed induttiva, più che in via deduttiva da norme e concetti giuridici espressi (6).

Una conferma della possibilità di leggere l’intero fenomeno euro-peo (Unione–Comunità–Stati membri) in modo, se non unitario,

(3) Pur convinto di un processo che muove nel senso della formazione di uno Stato eu-ropeo, v., per la considerazione espressa, G. BOGNETTI, Federalismo, in Digesto, Disc. Pubbl., IV, Torino 1991, 295 ss.

(4) BVerfGe 89, 155. Una traduzione della sentenza sul Trattato di Maastricht può leg-gersi in Giur. cost., 1994, 677 ss.

(5) Su questo aspetto v. A. BRADLEY, La Sovranità del Parlamento in eterno?, in Giur. cost., 1997, 1334 ss.

(6) Sul punto v. il saggio La Costituzione europea, in questo volume.

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quanto meno omogeneo, sembra trarsi dalla diffusa abitudine ad uti-lizzare, per definire le relazioni e i rapporti tra le diverse parti, lo stru-mentario federale (7).

A questa prospettiva la trattazione che segue vuole dare un contri-buto, anche se inevitabilmente non sarà esaustiva, ma si limiterà ad in-dividuare i fenomeni di maggiore rilievo che hanno interessato il dibat-tito in Italia e in Germania. 2. Il sistema delle fonti

Una valutazione coerente ed obiettiva delle conseguenze giuridi-che che si stanno producendo sull’assetto strutturale degli Stati che compongono l’UE, deve tener conto di alcuni elementi che toccano il modo con cui si è avviata la questione (costituzionale) del rapporto tra ordinamenti nazionali ed ordinamento comunitario. Se oggi, infatti, a fronte dell’idea originaria che emergeva dai Trattati istitutivi delle Comunità europee, circoscritta ad una cooperazione di tipo eco-nomico, si consacrano obiettivi di maggior respiro, con i Trattati di Maastricht e di Amsterdam, protesi ad una “cooperazione–integrazio-ne” (anche) di tipo sociale, lo si deve al ruolo che il diritto europeo ha assunto rispetto agli ordinamenti nazionali, il cui criterio informatore è dato dalla preminenza del diritto comunitario sul diritto interno degli Stati membri (8).

Tale supremazia si manifesta per il tramite dell’efficacia obbliga-toria del diritto primario (Trattati istitutivi) e la diretta applicabili-

(7) Afferma ciò, con convinzione, anche G. BOGNETTI, Federalismo, cit., 296 s.

(8) Sulla preminenza del diritto comunitario come Grundprinzip v., per tutti, I. PERNI-CE, Grundrechtsgehalte im Europäischen Gemeinschaftsrecht, Baden–Baden 1979, 29; U. EVERLING, Zum Vorrang des EG–Rechts vor nationales Recht, in DVBl., 1985, 1201 ss.; C.O. LENZ, Entwicklung und unmittelbare Geltung des Gemeinschaftsrechts, in DVBl., 1990, 903 ss.; J. LORD STUART, The acceptance of Community Law in the English legal order, 1991; H. SCHÄFFER, Europa und die österreichische Bundestaatlichkeit, in DÖV, 1994, 181 ss.; da ultimo, J. CASPAR, Nationale Grundrechtsgarantien und sekundäres Gemeinschaftsrecht, in DÖV, 2000, 349 ss.; per la giurisprudenza comunitaria, v. Corte di giustizia, sentenze 15 lu-glio 1964, C–6/64, Costa/Enel, in Racc., 1964, I–1135 ss. e 9 marzo 1978, C–106/77, Am-ministrazione delle finanze dello Stato / Simmenthal, in Racc., 1978, I–629 ss.

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tà (9) di quasi tutto il diritto secondario posto in essere dalle Istituzioni della Comunità (es. art. 189, ora 249, TCE) (10), nonché dei principi generali del diritto comunitario (11), e passa attraverso il riconosci-mento della forza di legge del diritto secondario che incide sull’ambito di applicazione della legge nazionale, erodendone il ruolo di fonte primaria dell’ordinamento, come è possibile verificare anche attraverso il percorso che la problematica ha compiuto nella giurisprudenza dei giudici costituzionali degli Stati membri. 2.1. L’esperienza italiana

In Italia tale “questione” si svolge in due fasi. Con la prima, che ha inizio con una pronuncia del 1964 (12), la Cor-

te costituzionale interpreta per la prima volta la relazione tra l’art. 11 Cost. («per la parte nella quale si enuncia che l’Italia consente, in con-dizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessa-rie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni e promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale sco-

(9) Sul significato di tali concetti v., ad es., W. KÖSSINGER, Die Durchführung des Euro-päischen Gemeinschaftsrecht im Bundestaat, Berlin 1989, 64.

(10 ) Sulla distinzione tra diritto comunitario primario e secondario, v. per tutti M. ZU-LEEG, Das Recht der Europäischen Gemeinschaften im innerstaatlichen Bereich, KSE 9, Köln–Berlin–Bonn–München 1969, 33 ss.

(11 ) Sul rapporto tra diritto nazionale e principi generali del diritto comunitario, da ul-timo T. SCHILLING, Bestand und allgemeinen Rechtsgrundsätze des Gemeinschaftsrecht, in EuGRZ, 2000, 3 ss., 33 ss.; sul rango occupato dagli allgemeine Rechtsgrundsätze nell’ordi-namento comunitario, si v., per tutti, B. WEGENER, Art. 220 EG–Vertrag, in C. CALLIESS, M. RUFFERT, Kommentar zu EU–Vertrag und EG–Vertrag, Neuwied–Kriftel 1999, 1705 ss., 1721, nonché T. OPPERMANN, Europarecht, München 1999, 2. Aufl., 184 ss.; v. anche F. TORIELLO, I principi generali del diritto comunitario. Il ruolo della comparazione, Milano 2000.

(12 ) Corte costituzionale, sentenza n. 14 del 1964, in Giur. cost., 1964, 129 ss., su cui le osservazioni di M. BON VALSASSINA, Considerazioni sulla sent. n. 14 della Corte costituzio-nale, in Giur. cost., 1964, 133 ss.; L. PALADIN, Il sindacato della Corte costituzionale sull’utilità delle leggi, in Giur. cost., 1964, 145 ss.; M. MAZZIOTTI DI CELSO, Appunti sulla sentenza della Corte costituzionale riguardante la legge istitutiva dell’ENEL, in Giur. cost., 1964, 443 ss.; N. CATALANO, Portata dell’art. 11 della Costituzione in relazione ai Trattati istitutivi della Comunità europea, in Foro it., 1964, 465 ss.; R. MONACO, Diritto comunitario e diritto interno davanti alla Corte costituzionale, in Giur. it., 1964, I, 1312 ss.

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po») e i trattati istitutivi delle Comunità europee, in base alla quale «la norma (significherebbe) che, quando ricorrano certi presupposti, è possibile stipulare trattati con cui si assumano limitazioni della sovrani-tà ed è consentito darvi esecuzione con legge ordinana»; tuttavia, «ciò non (importerebbe) alcuna deviazione dalle regole vigenti in ordine al-la efficacia nel diritto interno degli obblighi assunti dallo Stato nei rapporti con gli altri Stati, non avendo l’art. 11 conferito alla legge or-dinaria, che rende esecutivo il trattato, un’efficacia superiore a quella propria di tale fonte di diritto».

Di conseguenza, non potrebbe dirsi possibile una interpretazione, per la quale «la legge che contenga disposizioni difformi da quei patti sarebbe incostituzionale per violazione indiretta dell’art. 11 attraverso il contrasto con la legge esecutiva del trattato». Sicché, «la violazione del trattato, se importa responsabilità dello Stato sul piano internazio-nale, non toglie alla legge con esso in contrasto la sua piena efficacia», dal momento che «deve rimanere saldo l’impero delle leggi posteriori a quest’ultima, secondo i principi della successione delle leggi nel tem-po, ne consegue che ogni ipotesi di conflitto fra l’una e le altre non può dar luogo a questioni di costituzionalità» (13).

È di tutta evidenza come il giudice costituzionale fondi la sua im-postazione duale sulla base della dottrina del diritto internazionale, che si fonda, secondo la concezione classica, sul principio di impenetrabili-tà dell’ordinamento giuridico statale — quale portato della sovranità — che rende impossibile a fonti diverse da quelle statali di produrre effetti validi nell’ambito dell’ordinamento statuale senza l’intermedia-zione di specifiche disposizioni interne (14).

Successivamente, pur mantenendo in modo costante il principio duale, per il quale l’ordinamento comunitario deve considerarsi «un or-dinamento del tutto distinto da quello interno» (15) ammette che en-

(13 ) Corte costituzionale, sentenza n. 14 del 1964, cit., 160, dove si afferma anche: «Nessun dubbio che lo Stato debba fare onore agli impegni assunti e nessun dubbio che il trattato spieghi l’efficacia ad esso conferita dalla legge di esecuzione».

(14 ) V. H. TRIEPEL, Völkerrecht und Landesrecht, Leipzig 1899; D. ANZILOTTI, Teoria generale della responsabilità dello Stato nel diritto internazionale, 1902.

(15 ) Corte costituzionale, sentenza n. 98 del 1965, in Giur. cost., 1965, 1322 ss. Sulla pronuncia, v. i commenti di M. BERRI, Ordinamento comunitario ed ordinamento interno, in Giust. civ., 1966, 3 ss.; F. DURANTE, Diritto interno e diritto comunitario, in Riv. dir. int., 1966, 56 ss.; N. CATALANO, Osservazione a Corte costituzionale 27 dicembre 1965, n. 98, in

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trambi gli ordinamenti, quello interno e quello comunitario sono, sì «autonomi e distinti», ma anche «coordinati secondo la ripartizione di competenze stabilita dal Trattato» (16).

In questa prospettiva, l’ordinamento comunitario troverebbe il proprio fondamento di legittimazione nell’art. 11 Cost., in base al qua-le «l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limi-tazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni e promuove e favorisce le organizzazioni in-ternazionali rivolte a tale scopo» (17). La norma costituzionale defini-rebbe «l’apertura dell’Italia alle più impegnative forme di collabora-zione e organizzazione internazionale».

Per il giudice costituzionale, la disposizione andava interpretata nel senso di ritenere che qualora soccorrano determinati presupposti, sarebbe possibile stipulare trattati con i quali procedere a “limitazioni di sovranità”, consentendo di darvi esecuzione per il tramite di una legge ordinaria e senza ricorrere alla procedura aggravata di cui all’art. 138 Cost. (18).

Foro it., 1966, 9 ss.; M. MAZZIOTTI DI CELSO, in Giur. cost., 1965, 1329 ss.; A. MIGLIAZZA, Giudizio di legittimità costituzionale e giudizio innanzi alla Corte di giustizia delle Co-munità europee, in Riv. dir. proc., 1966, 308 ss.

(16 ) Corte costituzionale, sentenza n. 183 del 1973, in Giur. cost., 1973, 2401 ss., 2415. Sulla pronuncia v. P. BARILE, Il cammino comunitario della Corte, in Giur. cost., 1973, 2406 ss.; G. PANICO, La legittimità costituzionale della normativa comunitaria di effetto di-retto: luci ed ombre della sentenza della C. Cost. n. 183 del 1973, in Riv. dir. eu., 1974, 201 ss.; A. VALENTI, Norme comunitarie e norme interne dello Stato nella giurisprudenza costitu-zionale, in Cons. Stato, 1974, II, 702 ss.; M. BERRI, Legittimità della normativa comunitaria, in Giur. it., 1974, I, 513 ss.; R. MONACO, La legittimità costituzionale dei regolamenti co-munitari, in Foro it., 1974, I, 315 ss.

(17 ) Sul problema del fondamento costituzionale dell’ordinamento comunitario, v., con opinioni divergenti, A. LA PERGOLA, Costituzione e adattamento dell’ordinamento interno al diritto internazionale, Milano 1961, 296 ss.; R. QUADRI, Diritto internazionale pubblico, Napoli 1968, V ed., 63 ss.; B. CONFORTI, Regolamenti comunitari, leggi nazionali e Corte co-stituzionale, in Foro it., 1976, I, 542 ss.

(18 ) Secondo la Corte (sentenza n. 183 del 1973, cit., 2412) «questa formula legittima le limitazioni dei poteri dello Stato in ordine all’esercizio delle funzioni legislativa, esecutiva, e giurisdizionale, quali si rendevano necessarie per la istituzione di una Comunità tra gli Stati europei, ossia di una nuova organizzazione interstatuale, di tipo sovranazionale, a carattere permanente, con personalità giuridica e capacità di rappresentanza internazionale. […] l’I-talia e gli altri Stati promotori hanno conferito e riconosciuto determinati (2413) poteri so-vrani, costituendola come istituzione caratterizzata da ordinamento giuridico autonomo e indipendente. In particolare, con l’art. 189 del Trattato istitutivo, è stato attribuito al Consi-glio e alla Commissione della Comunità il potere di emanare regolamenti con portata generale,

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Tuttavia, il giudice delle leggi negava che la legge di esecuzione potesse rivestire una peculiare posizione entro il sistema delle fonti, in quanto la norma costituzionale dell’art. 11, avendo natura permissiva, non avrebbe potuto attribuire un particolare valore alla legge di esecu-zione rispetto alle altre leggi ordinarie. Per conseguenza, l’eventuale contrasto tra normativa nazionale e normativa comunitaria veniva risol-to ricorrendo al principio della successione delle leggi nel tempo (19).

Il ricorso al criterio cronologico, però, presupponendo non una re-lazione gerarchica, ma un rapporto di tipo equiordinato tra fonti co-munitarie e fonti nazionali, ingenerava alcuni problemi che la Corte ri-solveva in questo modo: qualora la fonte comunitaria sia adottata suc-cessivamente all’entrata in vigore di quella nazionale, essa determine-rebbe «un’implicita abrogazione delle anteriori disposizioni con esse incompatibili e confliggenti», con la conseguenza che spetterebbe al singolo giudice di merito provvedere alla risoluzione dell’antinomia normativa, senza dover sollevare questione di legittimità dinanzi alla

ossia — secondo l’interpretazione data dalla giurisprudenza comunitaria e da quella ormai concorde dei diversi Stati membri, nonché dalla dominante dottrina —, atti aventi contenuto normativo generale al pari delle leggi statuali, forniti di efficacia obbligatoria in tutti i loro ele-menti, e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri, cioè immediatamente vinco-lanti per gli Stati e per i loro cittadini, senza la necessità di norme interne di adattamento o re-cezione. […] Questo potere normativo compete agli organi della Comunità “per l’assolvimento dei loro compiti e alle condizioni contemplate dal Trattato”; è stato così attua-to da ciascuno degli Stati membri un parziale trasferimento agli organi comunitari dell’esercizio della funzione legislativa, in base ad un preciso criterio di ripartizione di compe-tenze per le materie analiticamente indicate nelle parti seconda e terza del Trattato, in corre-lazione necessaria con le finalità di interesse generale stabilite dal Trattato stesso per la politica economica e sociale della Comunità. […] Questa attribuzione di potestà normativa agli orga-ni della C.E.E., con la corrispondente limitazione di quella propria degli organi costituzionali dei singoli Stati membri, non è stata consentita unilateralmente né senza che l’Italia abbia ac-quistato poteri nell’ambito della nuova istituzione. Stipulando il Trattato di Roma l’Italia ha liberamente compiuto una scelta politica di importanza storica, ed ha acquistato, con la par-tecipazione (2414) alla Comunità economica europea, il diritto di nominare propri rappre-sentanti nelle istituzioni della Comunità, Assemblea e Consiglio, e di concorrere alla forma-zione della Commissione e della Corte di giustizia. Le consentite limitazioni di sovranità tro-vano quindi il loro corrispettivo nei poteri acquisiti in seno alla più vasta Comunità di cui l’Italia è parte, e con la quale è stato concretamente iniziato il processo di integrazione degli Stati d’Europa».

(19 ) La Corte, però, precisa che il significato da attribuire alle limitazioni della sovranità non può consistere nell’ammissione di un «potere di violare i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana»; se così fosse, sarebbe pur sempre «assicurata la garanzia del sindacato (costituzionale) sulla perdurante compatibili-tà del Trattato con i predetti principi fondamentali»: v. sentenza n. 183 del 1973, cit., 2420.

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Corte (20); qualora, invece, l’incompatibilità derivasse da norme interne successive a quella comunitaria, sarebbe sorto «il differente problema della legittimità costituzionale dei singoli atti legislativi» (21).

La seconda fase, che coincide con la fine del periodo transitorio per l’instaurazione del mercato comune, conosce un revirement delle pregresse posizioni sulle quali si era attestato il giudice delle leggi.

Il nuovo orientamento giurisprudenziale è provocato dalla nota sentenza della Corte di giustizia sul caso Simmenthal ove si statuisce che il giudice nazionale «ha l’obbligo di garantire la piena efficacia del diritto comunitario disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legge nazionale, anche po-steriore, senza doverne chiedere o attendere la rimozione in via le-gislativa e mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale» (22).

La pronuncia mette in evidenza il differente presupposto dal qua-le muovono i due giudici. Infatti, diversamente da quanto sino ad allo-ra ritenuto dalla Corte costituzionale italiana, per il giudice comunita-rio i rapporti tra i due tipi di fonte vanno ricomposti attraverso il ri-corso al “criterio gerarchico”, che si imporrebbe in forza del “principio

(20 ) Corte costituzionale, sentenza n. 163 del 1977, in Giur. cost., 1524 ss., con osser-vazione di F. SORRENTINO, Abrogazione e incostituzionalità nei rapporti tra leggi nazionali e regolamenti comunitari.

(21 ) Corte costituzionale, sentenza n. 232 del 1975, in Giur. cost., 1975, 2211 ss. (in dottrina, v. M. BERRI, Preteso potere del giudice ordinario di disapplicare leggi interne costi-tuzionalmente illegittime, perché riproduttive di regolamenti direttamente applicabili, in Studi Monaco, 1977, 13 ss.); questa decisione appariva singolare sotto diversi aspetti: in primo luogo, essa era nella motivazione speculare alla sentenza n. 14 del 1964, in quanto faceva ap-plicazione del principio della norma interposta per valutare la costituzionalità della legge sta-tale in contrasto con la norma comunitaria; inoltre, non si prestava ad una soluzione univoca, in quanto per una parte rimetteva al giudice comune la valutazione dell’antinomia e in parte imponeva l’obbligo di sollevare la questione di costituzionalità; infine, per questa parte, isti-tuiva un ferreo controllo con riferimento all’applicazione del diritto comunitario nell’ordina-mento interno da parte del giudice costituzionale. Queste ultime due conseguenze non pote-vano non apparire in contrasto con il principio della diretta efficacia e prevalenza del diritto comunitario che la Corte di giustizia aveva affermato a partire dalla sentenza Van Gend & Loos (C–26/62, in Racc., 1963, I, 1) e nella sentenza Costa c/ Enel (C–6/64, in Racc., 1964, I, 1131). Per una censura espressa della giurisprudenza costituzionale italiana v. la sentenza Simmenthal (subito dopo nel testo)

(22 ) Corte di giustizia, sentenza 9 marzo 1978, C–106/77, Amministrazione delle fi-nanze dello Stato / Simmenthal, cit., 629 ss.; a commento della decisione, v., per tutti, L. CONDORELLI, Il caso Simmenthal e il primato del diritto comunitario: due Corti a confronto, in Giur. cost., 1978, 669 ss.

L’ESPERIENZA COSTITUZIONALE EUROPEA 20

della preminenza del diritto comunitario” su quello nazionale: «Le di-sposizioni del Trattato e gli atti delle Istituzioni, qualora siano diretta-mente applicabili, hanno l’effetto […] non solo di rendere inapplica-bile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizio-ne contrastante della legislazione nazionale preesistente, ma anche — in quanto dette disposizioni e detti atti fanno parte integrante, con rango superiore rispetto alle norme interne dell’ordinamento giuridico vigen-te nel territorio dei singoli Stati membri — di impedire la valida for-mazione di nuovi atti legislativi nazionali, nella misura in cui questi fos-sero incompatibili con norme comunitarie» (23).

Così, in una sentenza del 1984, la Corte ha affermato che dinanzi ad una irriducibile incompatibilità tra norma interna e norma comuni-taria, «è quest’ultima, in ogni caso, a prevalere» (24). Contrariamente, però, a quanto aveva espressamente accennato nella pronuncia del 1977 (ed anche a quanto implicitamente affermato dal giudice comu-nitario), essa ritiene che l’effetto che si connette alla vigenza di una norma comunitaria immediatamente applicabile (25) — come, ad e-

(23 ) Corte di giustizia, sentenza 9 marzo 1978, C–106/77, Amministrazione delle fi-nanze dello Stato / Simmenthal, cit., p.to 17 della motivazione.

(24 ) Corte costituzionale, sentenza n. 170 del 1984, in Giur. cost., 1984, 1098 ss.; sulla pronuncia v. le considerazioni di A. TIZZANO, La Corte costituzionale e il diritto comunitario: vent’anni dopo, in Foro it., 1984, I, 2063 ss.; G. GEMMA, Un’opportuna composizione di un dissidio, in Giur. cost., 1984, 1222 ss.; A. RUGGERI, Comunità europee, Stato e regioni dopo la sent. n. 170/1984 della Corte costituzionale sull’efficacia dei regolamenti comunitari, in Le Regioni, 1985, 433 ss.

(25 ) Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 113 del 1985, in Giur. cost., 1985, 694 ss., ove si legge che «il principio (della immediata applicabilità) vale non soltanto per la disciplina prodotta dagli organi della CEE mediante regolamento, ma anche per le statuizioni risultanti […] da sentenze della Corte di Giustizia»; v. anche sentenza n. 389 del 1989, in Giur. cost., 1989, 1757 ss., ove si puntualizza che «il principio […] è di portata più generale. […] Quan-do questo principio viene riferito ad una norma comunitaria avente “effetti diretti” […] non v’è dubbio che la precisazione o l’integrazione del significato normativo compiute attraverso una sentenza dichiarativa della Corte di Giustizia abbiano la stessa immediata efficacia delle disposizioni interpretate»; sul rapporto tra preminenza del diritto comunitario ed interpreta-zione giudiziale, v. B. WEGENER, Art. 220, cit., 1718: «Konsequenz des Vorrang des Ge-meinschaftsrechts und zugleich eine seiner wirkungsformen ist das Gebot der Gemeinschaf-tsrechtskonforme Auslegung, wie es wiederum vor allem durch Gerichtshof konkretisiert worden ist», ed ivi giurisprudenza comunitaria e dottrina citata; a commento della decisione del 1985 v., in dottrina, P. MORI, La recente giurisprudenza della Corte costituzionale sui rapporti tra diritto comunitario e diritto interno, in Riv. intern. priv. proc., 1985, 773 ss.; M. BELLOCCI, Sul nuovo orientamento della Corte costituzionale in tema di rapporti tra ordina-mento comunitario e ordinamento interno, in Giur. it., 1986, I, 30; a commento della deci-

INTEGRAZIONE EUROPEA E DIRITTO COSTITUZIONALE 21

sempio, il regolamento comunitario — non è, a seconda che la norma comunitaria sia successiva o anteriore, di tipo caducatorio (abrogazione) o invalidante (illegittimità costituzionale), ma semplicemente “impedi-tivo”, secondo il criterio della competenza, in quanto ciò che viene evi-tato è che la norma nazionale possa aver «rilievo per la definizione del-la controversia innanzi al giudice nazionale». Entro tale prospettiva, pertanto, il fenomeno andrebbe distinto «dall’abrogazione, o da alcun altro effetto estintivo o derogatorio, che investe le norme all’interno dello stesso ordinamento statuale, e ad opera delle sue fonti», posto che gli stessi rapporti tra i due ordinamenti non possono essere “com-posti ad unità”, ma, secondo una impostazione di tipo dualista, rico-noscendo che essi, «per quanto coordinati, sono distinti e reciproca-mente autonomi» (26).

La soluzione tratteggiata dalla Corte, peraltro, non comporta che tali rapporti siano sottratti in modo assoluto alla competenza del giu-dice costituzionale, in quanto la “coordinazione” tra i due ordinamenti può riguardare unicamente “le limitazioni di sovranità”, ma mai la ri-nuncia ad essa. Per conseguenza — e come si era già prefigurato nella sentenza del 1973 — la legge di esecuzione del Trattato di Roma ben potrebbe essere assoggettata al vaglio di costituzionalità, nonostante la copertura dell’art. 11 Cost., qualora la normativa comunitaria si pones-se in violazione dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzio-nale e dei diritti inalienabili della persona umana (27).

sione del 1989, G.U. RESCIGNO, Un sedicente atto di indirizzo e coordinamento che per la Corte non è tale, in Le Regioni, 1990, 1556; P.F. LOTITO, Diretta applicabilità delle norme comunitarie ed efficacia delle sentenze della Corte di Giustizia nella giurisprudenza costitu-zionale, in Quad. cost., 1990, 161 ss.

(26 ) V. Corte costituzionale, sentenza n. 170 del 1984, cit., 1114 ss.

(27 ) V. Corte costituzionale, sentenza n. 170 del 1984, cit., 1117. Sul rapporto tra dirit-ti fondamentali della Costituzione italiana e diritto comunitario, v. V. ANGIOLINI, Trasforma-zione dei «principi fondamentali» della Costituzione italiana in confronto al diritto comuni-tario, 1 ss., in V. ANGIOLINI, N. MARZONA, Diritto comunitario diritto interno: effetti costi-tuzionali e amministrativi, Padova 1990; adde M. CARTABIA, Principi inviolabili e integra-zione europea, Milano 1995, 1995, 95 ss.; v. anche S. MANGIAMELI, Il contributo dell’espe-rienza costituzionale italiana alla dommatica europea della tutela dei diritti fondamentali, in Corte costituzionale e processo costituzionale, nell’esperienza della rivista «Giurispruden-za costituzionale» per il cinquantesimo anniversario, a cura di Alessandro Pace, Milano, Giuf-frè, 2006, 471 ss.

L’ESPERIENZA COSTITUZIONALE EUROPEA 22

2.1.1. Segue: il diritto comunitario nella più recente giurisprudenza co-stituzionale

La giurisprudenza costituzionale elaborata a partire dal 1989 solo

apparentemente si inserisce nel solco dell’orientamento inaugurato a partire con la decisione n. 170 del 1984. Ad una attenta disamina, in-fatti, il tentativo di affinamento del precedente indirizzo giurispru-denziale si rivela ricco di contraddizioni, non facilmente superabili. Le “nuove” decisioni costituzionali, infatti, pur continuando a muo-versi entro la prospettiva dualista — prospettiva mai condivisa dalla Corte di giustizia — utilizzano argomenti e giungono a conclusioni che contraddicono il dato di partenza, in base al quale i due ordina-menti, ancorché coordinati, sarebbero autonomi ed indipendenti l’uno dall’altro.

In particolare, nella sentenza n. 389 del 1989, la Corte costitu-zionale, dopo aver precisato che tenuti alla disapplicazione della norma interna, contrastante con quella comunitaria, sono «tutti i soggetti com-petenti nel nostro ordinamento a dare esecuzione alle leggi […] tanto se dotati di poteri di dichiarazione del diritto, come gli organi giu-risdizionali, quanto se privi di tali poteri, come gli organi amministrati-vi» e dopo aver ribadito che l’atto di disapplicazione «non produce al-cun effetto sull’esistenza» delle norme stesse e, «pertanto, non può esser causa di estinzione o di modificazione delle disposizioni che ne siano oggetto», ha modo di precisare che, tuttavia, «resta ferma l’esigenza che gli Stati membri apportino le necessarie modificazioni o abro-gazioni del proprio diritto interno al fine di depurarlo da eventuali in-compatibilità o disarmonie con le prevalenti norme comunitarie» (28).

La puntualizzazione, in tutta evidenza, si ricollega a precedenti af-fermazioni del giudice comunitario. Per questo, infatti, la disapplica-zione di norme interne in contrasto con quelle comunitarie, rappresenta solo una “garanzia minima” della preminenza del diritto comunitario su quello nazionale, poiché, in ogni caso, lo Stato sarebbe tenuto ad e-

(28 ) Corte costituzionale, sentenza n. 389 del 1989, cit., 1766–67, ove si conclude: «e se, sul piano dell’ordinamento nazionale, tale esigenza si collega al principio della certezza del diritto, sul piano comunitario, invece, rappresenta una garanzia così essenziale al principio della prevalenza del proprio diritto su quelli nazionali da costituire l’oggetto di un preciso ob-bligo per gli Stati membri».

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spungere dal proprio ordinamento la norma interna incompatibile (29). E la sussistenza di un obbligo in tal senso, per lo Stato membro, indur-rebbe a ritenere che i due ordinamenti — dal punto di vista del giudi-ce europeo — non si collocano in una posizione di netta distinzione, quanto invece di stretto collegamento, sino al punto da inficiare la le-gittimità della fonte nazionale.

In ordine a questo aspetto, non a caso la Corte costituzionale, nella sentenza n. 168 del 1991, chiarisce che, nei rapporti tra normativa co-munitaria direttamente applicabile e norma interna incompatibile, l’effetto prodotto dal diritto comunitario consiste più propriamente nella “non applicazione” della legge nazionale, piuttosto che nella sua disapplicazione (30). Il rilievo non appare inutile, atteso che il concetto di disapplicazione — a dire della Corte — evocherebbe «vizi della norma, in realtà non sussistenti in ragione proprio dell’autonomia dei due ordinamenti».

(29 ) V., tra le tante, Corte di giustizia, sentenza 15 ottobre 1986, C–168/85, Commis-sione/Repubblica italiana, in Racc., 1986, I–2945 ss.

(30 ) Come già era accaduto nelle decisioni del 1985 e del 1989, nelle quali la Corte ave-va ritenuto che le statuizioni delle sentenze interpretative rese dalla Corte di giustizia in sede di rinvio pregiudiziale, ex art. 177 (ora 234) TCE, ed in sede contenziosa, ex art. 169 (ora 226) TCE, fossero immediatamente applicabili, nella sentenza n. 168 del 1991, in Giur. cost., 1991, 1409 ss. (con nota di F. SORRENTINO, Delegazione legislativa e direttive comunitarie direttamente applicabili, ivi, 1418 ss.), essa sottolinea che «questo sviluppo coerente» (già preannunciato nella precedente sentenza n. 64 del 1990, in Giur. cost., 1990, 265 ss.) ora tocca anche l’ambito delle direttive comunitarie. Secondo il giudice delle leggi, infatti, la di-stinzione tra immediata applicabilità e non immediata applicabilità deve essere effettuata guardando allo stesso sistema comunitario delle fonti, tenendo conto, peraltro, della elabora-zione giurisprudenziale offerta dalla Corte di giustizia. Anche una direttiva, quindi, in tutti i casi in cui le relative disposizioni appaiano, «dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise», possono essere fatte valere dal singolo «dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, sia che questo abbia tempestivamente recepito la direttiva nel dirit-to nazionale, sia che l’abbia recepita in modo inadeguato» (v. Corte di giustizia, sentenza 19 gennaio 1982, C–8/81, Becker, in Racc., 1982, nonché Corte di giustizia, sentenza 26 feb-braio 1986, C–152/84, Marshall, in Racc., 1986). In dottrina, sul problema della diretta ap-plicabilità delle direttive, v. ad es. R. LUZZATO, La diretta applicabilità del diritto comunita-rio, Milano 1980, 20 ss.; A. BARONE, L’efficacia diretta delle direttive Cee nella giurispru-denza della Corte di giustizia e della Corte costituzionale, in Foro it., 1991, IV, 130 ss.; H.D. JARASS, Direkte Wirkungen von EG–Richtlinien, in JZ, 1990, 1108 ss.; N. GRIEF, Direct ef-fect of Directives and Organs of the State, in ELRev, 1991, 136 ss.; V. GÖTZ, Europäische Ge-setzgebung durch Richtlinien, in NJW, 1992, 1849 ss.; sulla efficacia delle direttive, con par-ticolare riguardo a quella c.d. orizzontale, v. F. EMMERT, M. PEREIRA DE AZEVEDO, L’effet horizontal des directives, in RTDE, 1993, 503 ss., nonché U. GASSNER, Horizontale Wir-kung von EG–Richtlinien, in JuS, 1996, 303 ss.

L’ESPERIENZA COSTITUZIONALE EUROPEA 24

Il ragionamento del giudice costituzionale italiano tende, perciò, a marcare un distinguo rispetto al giudice comunitario, anche se l’effetto pratico sembra portare alla medesima conclusione. Per la prima, infatti la preminenza del diritto europeo è un effetto del riparto di com-petenza instaurato dai trattati, per il secondo, invece, della posizione gerarchica superiore in cui si collocherebbe la norma comunitaria.

Tuttavia, la posizione della Corte appare nel complesso non priva di incertezze e foriera di incongruenze, se nella successiva sentenza n. 384 del 1994 (31) si dichiara l’illegittimità costituzionale di una legge regionale (rectius: delibera legislativa regionale), la cui entrata in vigore avrebbe altrimenti determinato il sicuro contrasto tra la norma regio-nale e la norma comunitaria. In ipotesi di questo tipo, secondo il giudi-ce delle leggi, la verifica di legittimità costituzionale si renderebbe in-dispensabile «al fine di impedire, in radice, il rischio di inottemperan-za agli obblighi comunitari», non essendovi alcun giudice (a quo) che possa “non applicare” la normativa interna, trattandosi di giudizio principale.

Occorre ricordare che, quantunque il rispetto per le Regioni degli “obblighi internazionali” (entro il quale sono da ricompendere anche quelli derivanti dal diritto europeo) costituisce espresso limite costitu-zionale della legge regionale, se la delibera legislativa regionale non fos-se stata impugnata, essa sarebbe divenuta legge e come tale avrebbe potuto conoscere unicamente un atto di disapplicazione (o meglio: di “non applicazione”) da parte del giudice di merito, ma mai una pro-nuncia di illegittimità costituzionale, posto che la “non applicazione”, al contrario di una pronuncia di annullamento, presuppone, secondo la Corte, la validità della norma che si intende disapplicare (32).

(31 ) Corte costituzionale, sentenza n. 384 del 1994, in Giur. cost., 1994, 3449 ss., con nota di F. SORRENTINO, Una svolta apparente nel “cammino comunitario” della Corte: l’impugnativa statale delle leggi regionali per contrasto con il diritto comunitario, ivi, 3456 ss.; F. BIENTINESI, Regolamenti comunitari e controllo preventivo delle leggi regionali, ivi, 3458 ss.; F. DONATI, I rapporti tra diritto interno e diritto comunitario: problemi e prospetti-ve alla luce di una recente sentenza della Corte costituzionale, ivi, 3476 ss.; E. GIANFRANCE-SCO, Giudizio in via d’azione su leggi regionali ed obblighi comunitari, ivi, 3477 ss.; P. GIANGASPERO, Note sull’utilizzazione del diritto comunitario immediatamente applicabile nel giudizio di legittimità in via principale, ivi, 3482 ss.

(32 ) Sul punto, v. F. BIENTINESI, Regolamenti comunitari, cit., 3461, la quale sottoli-nea come «la medesima norma regionale avrebbe un duplice status: viziata di illegittimità co-stituzionale se impugnata in via preventiva dal Governo, non viziata e semplicemente non ap-plicabile una volta promulgata» e prosegue considerando come non potrebbe sostenersi che

INTEGRAZIONE EUROPEA E DIRITTO COSTITUZIONALE 25

A ben vedere, però, sia la necessità di una pronuncia di annulla-mento di una norma regionale prima della sua entrata in vigore (sulla base di quanto effettuato con la sentenza n. 384 del 1994), sia la ne-cessità di espungere una norma già entrata in vigore e provviso-riamente “non applicata” (così come affermato nella sentenza n. 389 del 1989), sottendono, in realtà, una medesima preoccupazione: quella di prestare fede agli impegni comunitari assunti dallo Stato, il cui fon-damento risiede nell’art. 5 (ora 10) TCE e nell’art. 11 Cost. (33).

Questo intersecarsi di criteri di risoluzione delle antinomie tra di-ritto interno (statale e regionale) e diritto europeo, infatti, «sul piano dell’ordinamento nazionale, si collega al principio della certezza del di-ritto; sul piano comunitario, invece, rappresenta una garanzia così es-senziale al principio della prevalenza del proprio diritto su quelli na-zionali da costituire l’oggetto di un preciso obbligo per gli Stati mem-bri»; e, in particolare, «l’esigenza di depurare l’ordinamento nazionale da norme incompatibili con quelle comunitarie» — secondo la Corte costituzionale — «essendo ancorata al valore costituzionale comportan-te la chiarezza normativa e la certezza nell’applicazione del diritto da parte di tutti i sottoposti alla legge, può essere soddisfatta anche con una dichiarazione d’illegittimità costituzionale» (34).

Di conseguenza, si realizza un sistema di interrelazioni, in cui, da un lato, si concretizza la prevalenza del diritto europeo sul diritto in-terno e, dall’altro, le tecniche, attraverso cui si perfeziona la confor-mazione, possono variare, ricomprendendo anche il processo costitu-zionale (in via principale). Quanto al fondamento della prevalenza, poi, il profilo dominante finisce con l’essere quello dell’illegittimità (comunitaria e, al contempo, costituzionale) della norma nazionale, sic-ché risulta attenuata, non solo la tesi che sostiene i rapporti tra le due fonti regolati secondo il criterio della competenza, ma anche quella che sostiene che i due ordinamenti siano nettamente separati; per cui non

il criterio discretivo delle due ipotesi in discorso risieda nel fatto che la norma regionale debba rispettare il limite degli obblighi internazionali, di modo che possa legittimarsi l’intervento del giudice costituzionale. Se così fosse, anche la norma regionale che sia già entrata in vigore non potrebbe essere “non applicata” dal giudice di merito, ma dovrebbe scontare il giudizio dinanzi alla Corte.

(33 ) La questione della combinazione della “non applicazione” e della pronuncia di ille-gittimità, nel caso di giudizi in via principale, è stata espressamente esaminata dalla Corte costi-tuzionale, nella sentenza n. 94 del 1995, in Giur. cost., 1995, 788 ss.

(34 ) Corte costituzionale, sentenza n. 94 del 1995, cit., 798.

L’ESPERIENZA COSTITUZIONALE EUROPEA 26

sono mancati coloro che hanno ritenuto di dovere sostenere che i rap-porti tra diritto comunitario e diritto nazionale vanno (ri)considerati secondo una prospettiva monista e non dualista (35), con la sola riserva del controllo di costituzionalità delle norme di esecuzione dei trattati, in riferimento ai principi fondamentali della Costituzione e ai diritti inalienabili della persona. [2.1.2. La giurisprudenza costituzionale dopo la revisione del Titolo V

della Costituzione

La terza fase si apre in un contesto positivo ormai mutato, con la revisione, ad opera della legge cost. 3/2001, del primo comma art. 117 Cost. che contiene un esplicito riferimento al rispetto dei “vincoli co-munitari” (volutamente distinti dagli “obblighi internazionali”) da parte della legislazione statale e regionale. La circostanza che l’Italia ar-rivasse per ultima all’inserimento in Costituzione di una norma avente ad oggetto la partecipazione al processo di integrazione europea, che per cinquant’anni aveva trovato fondamento nell’art. 11 Cost., aveva creato aspettative anche alla luce delle esperienze straniere che fin dall’inizio avevano proceduto attraverso modifiche costituzionali. Tut-tavia la formulazione di tale disposizione ha deluso le varie aspettative e ha dato luogo ad un acceso dibattito dottrinale sui possibili effetti che essa avrebbe dovuto sortire, riaccendendo anche l’annosa discus-sione tra concezioni monistiche o dualistiche. Su di essa si sono così re-gistrate posizioni anche profondamente antitetiche, in parte in linea di continuità con l’evoluzione finora avutasi in merito ai rapporti tra i due ordinamenti (lettura “minimalista” avallata anche da una sentenza del-la Cassazione) che nulla aggiungerebbe all’art. 11 Cost. (36); in parte in-

(35 ) Sul punto, v. ad es. P. CARETTI, Ordinamento comunitario e autonomia regionale, Milano 1979, 76 ss.; A. CELOTTO, La prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno: gli orientamenti della Corte costituzionale e spunti di teoria generale, in Giur. cost., 1991, 4534; M.P. CHITI, I signori del diritto comunitario: la Corte di Giustizia e lo sviluppo del diritto comunitario europeo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1991, 804 ss.; F. BIENTINESI, Regola-menti comunitari, cit., 3465.; F. DONATI, I rapporti tra diritto interno e diritto comunitario, cit., 3470 ss.

(36 ) C. PINELLI, I limiti generali alla potestà legislativa statale e regionale e i rapporti con l’ordinamento comunitario, in Foro it., 2001, V, 194 ss. secondo cui la disposizione si limi-terebbe a confermare l’assetto dei rapporti tra ordinamento interno e ordinamento comuni-

INTEGRAZIONE EUROPEA E DIRITTO COSTITUZIONALE 27

novative, che intendono tale disposizione come una sorta di Europarti-kel sulla scorta dell’art. 23 GG (37). Non ha avuto la funzione chiarifi-catrice che da più parti si auspicava nemmeno la legge di attuazione n. 131 del 2003 (c.d. legge La Loggia), la quale non ha fatto altro che ri-badire quanto già espresso dalla disposizione costituzionale, ossia che «costituiscono vincoli alla potestà legislativa dello Stato e delle Regioni, ai sensi dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione, quelli deri-vanti […] dall’ordinamento comunitario e dai trattati internazionali».

In simili circostanze la reale portata della disposizione non poteva che dipendere dall’interpretazione della giurisprudenza costituzionale, dalla quale ci si attendeva una presa di posizione sul significato della stessa (38). Intervento che nel caso di specie è mancato e non di certo perchè ne siano mancate le occasioni. Difatti, di fronte alle numerose censure di incostituzionalità che ponevano a parametro l’art. 117 pri-mo comma (39), la Corte ha talvolta proceduto attraverso sentenze di rigetto o inammissibilità, mentre nelle restanti ha dichiarato l’incostituzionalità della norma in relazione ad altro parametro costituzionale (generalmente l’art. 117 comma 2), ritenendo così assorbito quello

tario precedentemente avutosi, per cui la locuzione «vincoli derivanti dall’ordinamento co-munitario» andrebbe riferita non tanto ai rapporti tra le diverse fonti, quanto al rapporto tra ordinamenti: da un lato, quello interno (Statale e regionale), dall’altro, quello comunitario ed internazionale, «senza alcuna pretesa della norma di ridisegnare immediatamente e specifica-mente i rapporti tra le fonti dei rispettivi ordinamenti comunitario ed internazionale»; tale in-terpretazione è stata seguita dalla Corte Cass., 10 dicembre 2002, n. 17564, in Giur. cost., 2003, 459 ss.; sulla decisione v. A. GUAZZAROTTI, Niente di nuovo sul fronte comunitario? La Cassazione in esplorazione del nuovo art. 117, comma 1, Cost., ivi, 467 ss.; sulla critica a tale orientamento v. E. DI SALVATORE, La prevalenza del diritto europeo nel Trattato costituzio-nale alla luce dell’esperienza comunitaria, in L’ordinamento europeo, II, Il riparto delle com-petenze, a cura di S. Mangiameli, Milano 2006, 477.

(37 ) F. SORRENTINO, Nuovi profili costituzionali dei rapporti tra diritto interno e dirit-to internazionale e comunitario, in Dir. Pubbl. comp. ed europeo, 2002, 1355 ss.; v. anche L. SICO, Senso e portata dell’art. 11 della Costituzione nell’attuale contesto normativo e nelle proposte di riforma costituzionale, in Dir. Pubbl. comp. ed europeo, 2003, 1511 ss.; per un’analisi di entrambe le interpretazioni, v. G.F. FERRARI, Il primo comma dell’art. 117 della Costituzione e la tutela dei diritti, in Dir. Pubbl. comp. ed europeo, 2002, 1849 ss.

(38 ) A. Ruggeri afferma che si tratta di “strategia istituzionale”, “politica della giurisdi-zione costituzionale” (A. RUGGERI, Riforma del titolo V e giudizi di “comunitarietà” delle leggi, Intervento al Seminario su Diritto comunitario e diritto interno, Palazzo della Consul-ta, 20 aprile 2007, disponibile anche su www.associazionedeicostituzionalisti.it).

(39 ) V. solo nel 2005 le sentenze nn. 62, 65, 150, 161, 304, 355, 393, 428, 434, 469, nel 2004 le sentenze nn. 6, 7, 8, 166, 176; nel 2003 le sentenze nn. 96 e 353.

L’ESPERIENZA COSTITUZIONALE EUROPEA 28

specifico profilo di censura (v. ad es. la sentenza n. 355/2005). Sul punto, in una pronuncia del 2004 ha sostenuto che «quanto invece alla lamentata violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al limite costituzionale […] deve comunque notarsi che la deduzione del mancato rispetto del limite costituzionale in tale disposizione previsto non può costituire autonomo motivo di censura, risultando inevitabil-mente collegato alla violazione di ulteriori e specifiche norme costituzio-nali» (sentenza n. 6 del 2004).

Per attendere un mutamento di tale giurisprudenza occorre atten-dere il 2005, anche se già nelle sentenze 7 e 166 del 2004 (40), sembra venga implicitamente riconosciuta la possibilità che la normativa co-munitaria possa fungere da norma interposta atta ad integrare il para-metro di costituzionalità del nuovo art. 117 primo comma, nonostante esso non venga utilizzato ai fini della pronuncia (nella prima decisione in quanto il giudice costituzionale giunge ad una pronuncia di infonda-tezza attraverso una sentenza interpretativa di rigetto, mentre nella se-conda la censura di incostituzionalità viene valutata in relazione al terzo comma dell’art. 117, poiché il riferimento alla lesione del diritto co-munitario prospettato dalla ricorrente appare, a giudizio della Corte, «del tutto generico e perplesso»).

In tal modo, solo dopo quattro anni dalla sua entrata in vigore, nella sentenza 406 del 2005 (41), la Corte viene ad utilizzare tale comma nel corso di un giudizio in via d’azione, pervenendo ad una pronuncia di incostituzionalità di una legge (42), perché contrastante con una di-rettiva comunitaria, che fungerebbe da parametro interposto, ritenen-do questa volta assorbito ogni altro profilo di censura.

Detta sentenza appare una voluta presa di posizione sul punto, a-vendo potuto essa ricorrere, oltre alle precedenti tecniche (considerato che in un precedente giudizio in via d’azione proprio sullo stesso ar-

(40 ) V. il commento alla sentenza n. 166 del 2004 di S. MANGIAMELI, Il riparto Stato–Regioni tra assetto delle materie e disciplina delle fonti, in Le Regioni, 5/2004.

(41 ) V. il commento alla sentenza di C. NAPOLI, La Corte dinanzi ai “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”: tra applicazione dell’art. 117, primo comma e rispetto dei po-teri interpretativi della Corte di Giustizia, in Le Regioni, 2/2006.

(42 ) Oggetto del giudizio è la legge della Regione Abruzzo n. 14 del 2004, recante “Di-sposizioni urgenti in materia di zootecnia”, la quale interviene sui fenomeni relativi alla febbre catarrale degli ovini sospendendo, nell’ambito del territorio regionale e per un periodo di otto mesi, la campagna di profilassi della c.d. blue tongue).

INTEGRAZIONE EUROPEA E DIRITTO COSTITUZIONALE 29

gomento — nella sentenza 12/2004 — la materia era stata inquadrata tra quelle ex art. 117 comma 2, pervenendo ad una pronuncia di in-fondatezza), anche a porre come parametro, anziché la direttiva comu-nitaria che a giudizio della giurisprudenza pregressa della Corte do-vrebbe configurare una norma di un altro ordinamento, la legge inter-na di esecuzione della direttiva violata.

Nel 2006 la Corte torna con la sentenza n. 129 a ribadire quanto detto nelle «(sentenze n. 406 del 2005, n. 7 e n. 166 del 2004), (che) le direttive comunitarie fungono da norme interposte atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformità della normativa regionale all’art. 117, primo comma, Cost.», pervenendo anche in questo caso ad una pronuncia di incostituzionalità.

Queste pronunce si collocano, tuttavia, sempre nell’ambito delle impugnazioni in via principale, per le quali la Corte ha sempre riserva-to a sé il giudizio sul contrasto con la normativa comunitaria, quindi in linea di continuità con quanto emerso nelle sentenze n. 384 del 1994 e n. 94 del 1995. Anche se, occorre precisare, la medesima ipotesi sem-bra collocarsi in un contesto normativo differente: precedentemente (nel vigore del vecchio art. 127 Cost.) trattavasi, infatti, di delibere non ancora promulgate, mentre con la modifica dell’art. 127 Cost., la Corte, non potendo far leva sulle presunte esigenze di certezza, giusti-fica la sua pronuncia di incostituzionalità proprio sul nuovo art. 117 Cost. A questo punto, però, se nelle motivazioni della Corte la ratio delle nuove pronunce si rinviene nella garanzia del rispetto dei vincoli comunitari, resta ambigua la differente soluzione prevista per i giudizi in via incidentale, per i quali si resterebbe nella scia tracciata dalla pro-nuncia n. 170 del 1984.

In definitiva, anche con la nuova disposizione, la Corte tendereb-be a ricostruire il sistema secondo gli schemi pregressi, e cioè come se nulla fosse cambiato in merito alle modalità di risoluzione delle anti-nomie (disapplicazione, anzi “non applicazione”, per il giudizio inci-dentale e incostituzionalità per quello in via diretta e per norme non self–executing), cambiando semmai il fondamento di queste: l’art. 117 comma 1 anziché l’art. 11 Cost.

Nel caso di norme antinomiche non direttamente applicabili, poi, si avrebbe una ulteriore dicotomia dovuta ai rapporti della Corte con il giudice comunitario, dato che nel giudizio sul contrasto tra norme, essa sarebbe tenuta a compiere una interpretazione delle norme comunita-rie poste a parametro, invadendo il campo di azione della Corte di

L’ESPERIENZA COSTITUZIONALE EUROPEA 30

Giustizia, la sola a cui è demandata la funzione di garantirne l’uniforme applicazione. Secondo una lettura (43) del ruolo delle due Corti, alla lu-ce della giurisprudenza citata, in casi di contrasto manifesto potrebbe essere la Corte Costituzionale a decidere (come nella sentenza n. 406), mentre negli altri casi l’interpretazione spetterebbe alla Corte di Giu-stizia (44).

Un revirement della giurisprudenza costituzionale sul punto po-trebbe sciogliere quei nodi che rendono ancora fortemente ambiguo e problematico il modo in cui il nostro ordinamento risolve l’antinomia tra norme interne e norme comunitarie, pur assicurando in concreto gli esiti dello stesso, dato che la prevalenza delle fonti europee è ormai un “dato convalidato” (45).] 2.2. L’esperienza tedesca: gli inizi

In Germania la vicenda della preminenza del diritto comunitario ha inizio con la decisione del Bundesverfassungsgericht n. 28 del 1967 (46), con cui il Tribunale costituzionale federale dichiara inammis-sibile un ricorso presentato contro alcune disposizioni di due regola-menti CEE (47). Il ricorrente, il quale lamentava di aver subito una le-sione dei suoi diritti fondamentali, come riconosciuti agli artt. 2, comma 1, 3, comma 1, 12, comma 1, e 14 della GG, sosteneva che il giudice costituzionale dovesse essere competente a sindacare tali rego-lamenti, sul presupposto che i provvedimenti adottati dagli organi

(43 ) A. BARBERA, Corte costituzionale e giudici di fronte ai “vincoli comunitari”: una ridefinizione dei confini?, in Quad. Cost., 2/2007, 336.

(44 ) Per questi motivi, la dottrina ha auspicato un mutamento di atteggiamento del giu-dice costituzionale, che finora ha mostrato una certa ritrosia a rivolgersi alla Corte di Giustizia, permettendo di risolvere le incongruenze del doppio rinvio e, attraverso una “ridefinizione dei confini”, rivalutando il ruolo della Corte costituzionale (A. BARBERA, ibidem).

(45 ) A. CELOTTO, Le “modalità” di prevalenza delle norme comunitarie sulle norme in-terne: spunti ricostruttivi, in Riv. It. Dir. pubbl. com., 1999, 1473.

(46 ) BVerfGE 22, 293 ss.

(47 ) In dottrina, per tutti, v. H.B. BROCKMEYER, Art. 24, in B. SCHMIDT–BLEIBTREU, F. KLEIN, Kommentar zum Grundgesetz, Neuwied und Berlin 1973, 3. Aufl., 362 ss., nonché B. WENGLER, Anmerkung zu BVerfGE 22, 293, in JZ, 1968, 100 ss. e R.C. MEIER, Anmerkung zu BVerfGE 22, 134, in DVBl., 1968, 467 ss.

INTEGRAZIONE EUROPEA E DIRITTO COSTITUZIONALE 31

della Comunità andassero intesi quali atti del potere pubblico tedesco, in virtù della competenza normativa che ad essi derivava dalla previ-sione costituzionale dell’art. 24, comma 1, GG (48).

Il Tribunale costituzionale, per parte sua, replicava che, in virtù di quanto contemplato dal § 90 della BVerfGG, esso fosse competente a sindacare solo gli “atti dei pubblici poteri”, ricomprendendo questa espressione — secondo il significato precisato in altre decisioni costitu-zionali (49) — solo gli atti cui farebbe riferimento la Legge fondamen-tale, e cioè gli atti del potere pubblico statale tedesco, mentre i rego-lamenti comunitari sarebbero atti di un potere pubblico sopranaziona-le non riconducibile alla categoria individuata (50).

Secondo il BVerfG, inoltre, la circostanza che gli organi della Co-munità avessero potuto esercitare diritti di sovranità, dei quali gli Stati membri si erano spogliati (51), non comportava altresì che la Comunità stessa avesse potuto assumere i tratti strutturali di uno Stato (unitario) o di uno Stato federale: la Comunità «ist selbst kein Staat, auch kein Bundesstaat».

Nel processo (progressivo) di integrazione, essa, invece, andava in-tesa quale istituzione (internazionale) interstatuale (eine “zwischen-staatliche Einrichtung”) (52), secondo l’accezione data dall’art. 24, com-

(48 ) «Der Bund kann durch Gesetz Hoheitsrechte auf zwischenstaatliche Einrichtun-gen übertragen».

(49 ) Cfr. BVerfGE 1, 10; 6, 15; 18, 385 (387 s.); 22, 91.

(50 ) Sul Beschwerdegegenstand, secondo quanto dispone il § 90 della BVerfGG, v. K. SCHLAICH, Das Bundesverfassungericht – Stellung, Verfahren, Entscheidungen, München 1985, 105 ss. e, più di recente, R. FLEURY, Verfassungsprozeß, Neuwied–Kriftel–Berlin 1997, 2. neubearb. Aufl., 64 s.; sul concetto di öffentlichen Gewalt v., per tutti, R. ZUCK, Das Recht der Verfassungsbeschwerde, München 1988, 2. Aufl., 177 ss.; v. anche BVerfGE 58, 1, (27).

(51 ) Per il tramite di una legge ordinaria: sul punto già K. H. KLEIN, Die Übertragung von Hoheitsrechten, Berlin 1952, 28.

(52 ) Contra, ad es., G. ERLER, Das Grundgesetz und die öffentliche Gewalt internatio-naler Staatengemeinschaften, in VVDStRL 18, 1960, 8; P. BADURA, Bewahrung und Verän-derung demokratischer und rechtstaatlicher Verfassungsstruktur in den internationalen Ge-meinschaften, in VVDStRL 23, 1966; sul punto, comunque, v. anche i rilievi di R. SCHOLZ, Grundgesetz und europäische Einigung, in NJW, 1992, 2594, per il quale la Comunità, pur essendo da considerare una zwischenstaatlichen Einrichtung, sarebbe destinata a divenire una eigenstaatlichen Einrichtung.

L’ESPERIENZA COSTITUZIONALE EUROPEA 32

ma 1, GG (53) e in base a tale disposizione, la Grundgesetz avrebbe ri-conosciuto l’esistenza di un nuovo potere pubblico, per il quale il Trat-tato di Roma veniva a configurarsi “in un certo qual modo” quale Ver-fassung dieser Gemeinschaft (54), nei cui confronti i singoli Stati membri sarebbero stati però autonomi ed indipendenti (55), essendo i due ordi-namenti “diversi l’uno dall’altro”. Di conseguenza, gli atti adottati dal-la Comunità, per la sfera di competenza prevista dal Trattato, avreb-bero costituito «eine eigene Rechtsordnung, deren Normen weder Völkerrecht noch nationales Recht der Mitgliedstaaten sind» (56).

Il rigetto del ricorso, pertanto, trovava giustificazione nella confi-gurazione dell’ordinamento della Comunità come ordinamento auto-nomo, separato e diverso da quello dello Stato membro. A questa stre-gua, poi, la garanzia dei diritti fondamentali, pretesa davanti al Tribu-nale costituzionale, sarebbe stata devoluta ad un sistema (comunitario) di tutela giurisdizionale, il cui garante risultava essere il giudice comu-nitario, secondo il disegno voluto dall’art. 164 TCEE (ora 220 TCE). 2.2.1. Segue: la sentenza c.d. “Solange I”

Nel 1974, il giudice costituzionale tedesco si pronunciava su una questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Francoforte, in rela-

(53 ) In dottrina, sulle difficoltà di determinazione del concetto di zwischenstaatlichen Einrichtung, si v. per tutti U. DI FABIO, Der neue Art. 23 des Grundgesetz – Positivierung vollzogenen Verfassungswandels oder Verfassungsneuschöpfung?, in Der Staat, 13/1993, 192, spec. nt. 4.

(54 ) Cfr. ad es. K. STERN, Das Staatsrecht der Bundesrepublik Deutschland. Grundbe-griffe und Grundlagen des Staatsrecht, Strukturprinzipien der Verfassung, vol. I, 2. Aufl., München 1984, 542.

(55 ) E pertanto gli atti normativi che gli organi comunitari adottassero non necessite-rebbero di alcun provvedimento specifico di ratifica: BVerfGE 22, 293 (296).

(56 ) Il Tribunale costituzionale, come può notarsi, pur qualificando la Comunità euro-pea come organizzazione internazionale, giunge alla conclusione che le norme da essa pro-dotte non appartengano né al diritto internazionale, né al diritto interno degli Stati membri. Sul punto, la dottrina è sostanzialmente concorde: v., ad es., H.P. IPSEN, Europäisches Ge-meinschaftsrecht, Tübingen 1972, 6, e K. STERN, Das Statsrecht der Bundesrepublik, cit., 540; cfr., sul punto, anche BVerfGE 31, 145 (173 ss.) ove si precisa: «Art. 24, Abs. 1 GG be-sagt bei sachgerechter Auslegung nicht nur, daß die Übertragung von Hoheitsrechten auf zwischenstaatliche Einrichtungen überhaupt zulässig ist, sondern auch, daß die Hoheitsakte ihrer Organe vom ursprünglich ausschließlichen Hoheitsträger anzuerkennen sind».

INTEGRAZIONE EUROPEA E DIRITTO COSTITUZIONALE 33

zione ad alcune disposizioni di un regolamento comunitario (57). Con tale decisione, dopo aver ribadito che il diritto comunitario non costi-tuiva parte dell’ordinamento giuridico nazionale, né poteva essere ri-condotto al diritto internazionale, il Tribunale di Karlsruhe affermava che si trattava di un peculiare ordinamento che «promana da autono-me fonti del diritto» (58), aggiungeva che dalla reciproca autonomia ed indipendenza dell’ordinamento comunitario e dell’ordinamento tede-sco derivava che né il giudice comunitario nei confronti del diritto te-desco, né il Tribunale costituzionale nei confronti del diritto comunita-rio, avrebbero potuto pronunciarsi sulla validità delle norme prodotte dai rispettivi ordinamenti e decidere, dunque, nel primo caso, se una norma del diritto comunitario violasse la Grundgesetz e, nel secondo caso, se una norma del diritto comunitario secondario potesse dirsi compatibile con i Trattati istitutivi.

Tuttavia, nel caso in cui si fosse manifestato un contrasto tra il di-ritto dei due ordinamenti, la soluzione pratica sarebbe stata differente. In una ipotesi di questo tipo, infatti, entrambi i giudici avrebbero do-vuto conseguire una Konkordanz beider Rechtsordnungen, tenendo fermo che, laddove ciò non fosse stato possibile, non si sarebbe potuto concludere per la preminenza del diritto comunitario su quello nazio-nale, e segnatamente su quello costituzionale, dal momento che il dirit-to europeo, come il diritto internazionale generalmente riconosciuto (art. 25 GG), avrebbe potuto precedere solo il diritto ordinario, ma non anche quello di rango costituzionale.

Secondo il Tribunale costituzionale, inoltre, il trasferimento dei diritti di sovranità in capo ad organizzazioni internazionali, previsto dall’art. 24, comma 1, GG, non poteva essere inteso in senso letterale, ma doveva essere considerato nel contesto delle altre prescrizioni costi-tuzionali. Da ciò conseguiva che l’ordinamento giuridico non avrebbe «eröffnet […] den Weg, die Grundstruktur der Verfassung, auf der ihre Identität beruht, ohne Verfassungsänderung nämlich durch die Gesetzgebung der zwischenstaatlichen Einrichtung zu ändern» (59).

Non si disconosceva che gli organi comunitari avessero potuto stabilire norme giuridiche direttamente applicabili e validi entro

(57 ) BVerfGE 37, 271 ss. (c.d. Solange I).

(58 ) V. anche BVerGE 31, 45 (173).

(59 ) BVerfGE 37, 271 (279).

L’ESPERIENZA COSTITUZIONALE EUROPEA 34

l’ordinamento della Repubblica federale, ma che l’art. 24, comma 1, GG, potesse permettere, per questa via, una incursione, nella sfera del diritto tedesco, tale da provocare una rottura della struttura co-stituzionale, in modo da intaccare l’identità della Legge fondamentale di Bonn; e lo stesso sarebbe valso per il diritto comunitario di rango secondario che, pur conforme al diritto dei Trattati istitutivi, avesse al-lo stesso modo toccato l’essenza della struttura della Costituzione.

Una siffatta interpretazione (restrittiva) della disposizione dell’art. 24, comma 1, GG, peraltro, era determinata — a dire del giudice co-stituzionale — dallo stato del processo di integrazione europea, carat-terizzato da un “deficit di democrazia”, nonché dall’assenza di un cata-logo di diritti fondamentali, il cui contenuto, «zuverlässig und für die Zukunft unzweideutig», apprestasse un livello standard minimo di ga-ranzia, pari a quello riconosciuto ai propri cittadini dalla Legge fon-damentale.

Di conseguenza, fin tanto che (Solange) non si fosse conseguito tale livello, avrebbe operato la riserva di giurisdizione del Tribunale fede-rale costituzionale, in base alla quale il contrasto tra diritto comunitario e diritti fondamentali si sarebbe ricomposto facendo prevalere le ga-ranzie della Grundgesetz, e il giudice costituzionale avrebbe potuto co-noscere di tale contrasto, assoggettando gli atti comunitari al Normen-kontrollverfahren (art. 100, comma 1, GG) senza con ciò statuire sulla validità o invalidità delle norme prodotte dal livello sovranazionale. La pronuncia costituzionale si sarebbe, infatti, limitata a stabilire, il divie-to di applicazione degli atti della Comunità da parte delle autorità amministrative o da parte dei giudici, qualora il diritto comunitario fosse risultato in contrastato con le norme sui diritti fondamentali (60).

La competenza del Tribunale costituzionale si sarebbe esercitata anche nei confronti dei regolamenti comunitari e persino dopo la deci-sione della Corte di giustizia prevista dall’art. 177 TCEE (ora art. 234 TCE), nonostante — come si era già precisato nella sentenza del 1967 — non avesse ad oggetto atti dei pubblici poteri dello Stato. Infatti, l’esecuzione dei regolamenti comunitari, da parte dell’autorità ammini-strativa, o la loro applicazione da parte del giudice si sarebbero confi-gurate come atti di esecuzione e di applicazione da parte di un pubbli-co potere tedesco.

(60 ) BVerfGE 37, 271 (285).

INTEGRAZIONE EUROPEA E DIRITTO COSTITUZIONALE 35

E, in questa logica, il giudice di merito avrebbe dovuto rimettere sempre la questione dinanzi al Tribunale costituzionale, e non già di-sapplicare autonomamente la norma comunitaria in contrasto con il di-ritto nazionale, fondamentalmente per due ordini di ragioni: anzitutto perché solo una pronuncia costituzionale avrebbe potuto spiegare ef-fetti erga omnes, nell’interesse generale della collettività; ed in secondo luogo, perché la stessa Grundgesetz prescrive che il giudice deve adire il Tribunale costituzionale, ogni qual volta è da decidere se una norma di diritto internazionale, direttamente produttiva di diritti e doveri in capo al singolo, faccia parte integrante del diritto tedesco (art. 100, comma 2, GG).

Alla pronuncia costituzionale la dottrina tedesca reagì duramen-te (61) e spesso con toni sprezzanti (62), ponendo in luce le numerose contraddizioni nelle quali il Tribunale costituzionale era incorso e che erano state già in parte sottolineate nella Abweichende Meinung dei giudici Rupp, Hirsch e Wand (63). A ben vedere, infatti, la sentenza non convince per più motivi. Anzitutto perché, contrariamente a quanto si sostiene nella pronuncia, il Tribunale costituzionale non potrebbe rite-nersi competente a sindacare direttamente i regolamenti comunitari, dal momento che la competenza ad esso assegnata dall’art. 100, com-ma 1, GG può interessare unicamente le leggi formali del diritto na-

(61 ) H. RUPP, Zur Verfassungsrichtlichen Kontrolle des gemeinschaftsrecht am Maßstab der Grundrechte, in NJW, 1974, 2153 ss.; R. C. MEIER, Anmerkung zu BVerfGE 37, 271, in NJW, 1974, 1704 s.; R. RIEGEL, Zum Problem der Allgemeinen Rechtsgrundsätze und Grundrechte im Gemeinschaftsrecht, in NJW, 1974, 1585 ss.; C. PESTALOZZA, Sekundäres Gemeinschaftsrecht und nationale Grundrechte, in DVBl., 1974, 716 ss.; M. ZULEEG, Das Bundesverfassungsgericht als Hüter der Grundrechte gegenüber der Gemeinschaftsgewalt, in DÖV, 1975, 44 ss.; M. HILF, Zum Beschluß des Bundesverfassungsgerichts vom 29. Mai 1974. I. Auswirkungen auf die Gemeinschaftsrechtsordnung, in ZaöRV, 1975, 51 ss.; H.P. IPSEN, BVerfG versus EuGH re »Grundrechte« – Zum Beschluß des Zwiten Senats des Bun-desverfassungsgerichts vom 29. Mai 1974, in EuR, 1975, 1 ss.; FEIGE, Bundesverfassungsge-richt–Grundrechte–Europa – Zum Beschluß des BVerfG vom 29. Mai 1974, in JZ, 1975, 476 ss.; M. FROMONT, Note à l’ordonnance de la Cour constitutionnelle fédérale du 29 mai 1974, in RTDE, 1975, 333; U. SCHEUNER, Zum Beschluß des Bundesverfassungsgerichts vom 29. Mai 1974, in AöR, 1975, 30 ss.; F. OSSENBÜHL, Die Interpretation der Grundrechte in der Rechtsprechung des Bundesverfassungsgerichts, in NJW, 1976, 2100.

(62 ) R.C. MEIER, Anmerkung, cit., 1705: «Das sind politische Phantastereien».

(63 ) V. BVerfGE 37, 271 (291 ss.).

L’ESPERIENZA COSTITUZIONALE EUROPEA 36

zionale (64). Non a caso risultava alquanto distorto il riferimento opera-to al § 90 della BverfGG, che rinvia agli atti dei pubblici poteri, intesi — come in passato lo stesso Tribunale aveva chiarito — quali atti del potere statale e, ovviamente, detta qualificazione riguarda, non tanto il momento dell’applicazione o dell’esecuzione materiale dell’atto, quan-to la sua imputazione formale.

In secondo luogo, poi, è alquanto problematica l’affermazione del giudice costituzionale circa la pretesa di non volere statuire sulla va-lidità o invalidità del diritto comunitario, poiché, diversamente da quanto accadrebbe qualora l’atto fosse impugnato attraverso la c.d. Verfassungsbeschwerde, l’assoggettamento degli atti comunitari al Nor-menkontrollverfahren, di cui all’art. 100, comma 1, GG (65), compor-terebbe necessariamente un annullamento della norma impugnata. Tant’è che, quando il Tribunale sottolinea come l’effetto prodotto dal-la sua decisione consista in un generalizzato divieto di applicazione del-la norma comunitaria, per contrasto con le disposizioni sui diritti fon-damentali, ciò finisce col significare che quella norma non può più e-splicare la propria efficacia entro l’ordinamento giuridico nazionale (66).

In terzo luogo, non sembra neppure pertinente il riferimento ope-rato dal Tribunale costituzionale al comma 2 dell’art. 100, GG. È fin troppo noto, infatti, che il procedimento contemplato dalla disposi-zione citata non è volto ad instaurare un Normenkontrolle, ma una Normenverification (67), sul presupposto che il giudice si trovi a dover

(64 ) Inaccettabile, pertanto l’argomentazione opposta dal Tribunale a sostegno della tesi della sindacabilità dei regolamenti comunitari: secondo il giudice costituzionale, poiché il di-ritto comunitario non conoscerebbe la distinzione tra norme di legge formale e norme di re-golamenti emanate sulla base di una legge formale «ist jeder Form einer Verordung der Ge-meinschaft im Sinne der Verfahrensvorschriften für das Bundesverfassungsgericht eine gese-tzliche Vorschrift»; sulla sindacabilità delle sole leggi formali del diritto nazionale, v. però ora BVerfGE 70, 35 ss.; sul punto, per tutti, B. SCHMIDT–BLEIBTREU, Art. 100, in B. Schmidt–Bleibtreu, F. Klein, Kommentar, cit., 1487 ss.

(65 ) V. M. ZULEEG, Das Bundesverfassungsgericht als Hüter, cit., 42.

(66 ) Così anche l’opinione dissenziente dei giudici W. RUPP, M. HIRSCH e W.R. WAND: cfr. BVerfGE 37, 271 (299). In proposito v. anche M. ZULEEG, Das Bundesverfassungsge-richt als Hüter, cit., 45, il quale sottolinea che, in virtù di quanto stabilisce il § 31 della BVerfGG, «Der Spruch des BVerfG bindet alle Gerichte und Behörden […], so daß keine deutsche Behörde und kein deutsches Gericht mehr die Auffassung vertreten können, die Gemeinschaftsverordnung sei doch andwendbar».

(67 ) Come del resto lo stesso Tribunale costituzionale aveva precisato: v. BVerfGE 23, 288 (318).

INTEGRAZIONE EUROPEA E DIRITTO COSTITUZIONALE 37

fare applicazione di una norma, che egli dubita appartenga al diritto internazionale generalmente riconosciuto, senza la quale non possa giungere alla decisione del caso sottoposto alla sua attenzione (68), per cui in tale ipotesi la pronuncia del giudice costituzionale non affronta il tema della validità di una norma, ma quello della sua esistenza (69).

In quarto luogo, infine, non appare convincente l’affermazione per cui, in relazione al settore dei diritti fondamentali, il limite alla compe-tenza degli organi comunitari sarebbe stato immanente alla stessa di-sposizione dell’art. 24, comma 1, GG. A parte i dubbi di legittimità che solleverebbero le stesse condizioni dettate dal Tribunale costitu-zionale circa la rinuncia ad esercitare la propria giurisdizione solo in presenza di un catalogo di diritti fondamentali “adeguato” a quello della Grundgesetz (70), il limite non deriverebbe propriamente dall’art. 24, comma 1, ma dagli artt. 79, comma 3, e 19, comma 2, GG (71). 2.2.2. Segue: la sentenza c.d. “Solange II”

L’impostazione sopra riferita viene sostanzialmente ribaltata dalla pronuncia del 22 ottobre 1986, comunemente nota come “Solange II”, con la quale il Tribunale costituzionale federale ha affermato il princi-pio della non sottoponibilità a giudizio del diritto comunitario deriva-to (72). La fattispecie sottoposta all’esame del giudice costituzionale ri-guardava una Verfassungsbeschwerde di una impresa di importazione avverso una sentenza del Tribunale federale amministrativo che aveva ritenuto legittimo il rifiuto di un permesso di importazione, sulla base di un regolamento comunitario — esaminato ai sensi dell’art. 177 TCEE e giudicato legittimo dalla Corte di giustizia —, e rifiutato di

(68 ) Cfr. BVerfGE 4, 318 s.; 15, 30; 16, 279; 18, 447; 64, 1 ss.

(69 ) Sul punto v. B. SCHMIDT–BLEIBTREU, Art. 100, cit., 1498 s.

(70 ) Sul punto cfr. H.J. CREMER, Europäische Hoheitsgewalt und deutsche Grundrechte, in Der Staat 34, 1995, 273, il quale sottolinea come con ciò si sarebbe richiesto «die Paralle-lität des Wesengehalts des nationalen deutschen und des europäischen Grundrechtsstandard, nicht aber dessen Identität».

(71 ) La prima disposizione riguarda i limiti alla revisione costituzionale e la seconda la salvaguardia del contenuto essenziale dei diritti fondamentali.

(72 ) V. BverfGe 73, 339 ss., anche in NJW, 1987, 577 ss.

L’ESPERIENZA COSTITUZIONALE EUROPEA 38

sollevare la questione di costituzionalità sulla base dell’affermazione che l’art. 100, comma 1, GG non autorizza il giudice costituzionale a controllare le decisioni della Corte di giustizia.

La questione sollevata dalla ricorrente riguarda se i regolamenti della Commissione, nell’interpretazione della Corte Europea, violano i diritti fondamentali, come riconosciuti nell’art. 12, comma 1, frase 2, GG, in collegamento con l’art. 20, comma 3, GG.

Il Tribunale costituzionale muove dalla premessa che la Corte di Giustizia europea è giudice precostituito per legge ai sensi dell’art. 101, comma 1, frase 2, GG ed è un organo sovrano di cura del dirit-to, istituito dai trattati della Comunità, chiamato a decidere questioni giuridiche, fondamentalmente in modo definitivo, sulla base (e nel quadro normativo) di competenze specifiche, secondo la previsione di norme e criteri giuridici, e posto in posizione di indipendenza giu-ridica.

Inoltre, il diritto processuale della Corte — secondo il giudice co-stituzionale tedesco — soddisfa le esigenze dello Stato di diritto dando luogo ad un procedimento, nel quale è garantito, in particolare, il dirit-to ad essere sentito nel processo, con adeguate possibilità di difesa e di attacco e con avvocati liberamente scelti o licenziati.

Ad avviso del Tribunale costituzionale, pertanto, fin tanto che (Solange) le Comunità europee, in particolare la giurisprudenza della Corte di Giustizia è in grado di garantire, in generale, una efficace pro-tezione dei diritti fondamentali, nei confronti del potere sovrano delle Comunità, da considerare in sostanza eguale a quella della GG, come protezione del diritto fondamentale data in modo inderogabile, e in particolare modo capace di assicurare il contenuto essenziale dei diritti fondamentali, il Tribunale federale costituzionale non eserciterà più la sua giurisdizione sulla applicabilità del diritto comunitario derivato, che è preso a fondamento per una decisione da un giudice o da una autori-tà tedesca nell’ambito dell’ordinamento della Repubblica federale di Germania, e per conseguenza il diritto europeo non sarà esaminato più secondo il parametro dei diritti fondamentali della GG (73).

(73 ) V. BverfGe 73, 339 (387). La dottrina, in generale, ha valutato positivamente la so-luzione procedimentale approntata dal Tribunale federale costituzionale, v. M. HERDEGEN, Europäisches Gemeinschaftsrecht und die Bindung deutscher Verfassungsorgane an das Grundgesetz, in EuGRZ 1989, 310 ss.; P. KIRCHHOF, Gegenwartsfragen an das Grundgesetz, in JZ, 1989, 454 ss.; H.H. RUPP, Urteilsanmerkungen, in JZ, 1987, 241 ss.; R. SCHOLZ, Euro-

INTEGRAZIONE EUROPEA E DIRITTO COSTITUZIONALE 39

Un cambiamento di prospettiva così radicale si spiega anche con lo sviluppo delle istituzioni comunitarie nell’arco di tempo che va dalla precedente sentenza (1974) alla sentenza da ultimo richiamata (1986) e dal ruolo che nel processo di integrazione europeo la Germania ha svolto.

Tuttavia, non va sottaciuto come, nonostante l’apertura a favore del diritto europeo, la sentenza richiamata contenga anche delle riserve consistenti. In particolare, il giudice costituzionale tedesco ribadisce che l’autorizzazione, basata sull’art. 24, comma 1, GG, non è senza li-miti costituzionali e, in modo specifico, detta norma non consente che l’attribuzione di diritti di sovranità a istituzioni interstatuali comporti la rinuncia dell’identità dell’ordinamento costituzionale da parte della Repubblica federale di Germania (74).

In questa logica il giudice costituzionale pone a fondamento della parte irrinunciabile della Costituzione i principi giuridici della parte re-lativa ai diritti fondamentali della Grundgesetz (75), con la avvertenza che, rispetto al tempo della pronuncia del 1974, nell’ambito delle Co-munità europee è cresciuta una dimensione di protezione dei diritti fondamentali, che per concezione contenuto ed efficacia è corrispon-dente nell’essenziale allo standard dei diritti fondamentali della Legge fondamentale. Su queste basi — secondo il Tribunale costituzionale — tutti gli organi della Comunità hanno riconosciuto che essi sentono come obbligo giuridico di esercitare le loro competenze e di realizzare i fini della Comunità osservando i diritti fondamentali, come risultano in particolare aus den Verfassungen der Mitgliedstaaten und der Euro-päischen Menschenrechtskonvention (76).

päisches Gemeinschaftsrecht und innerstaatlicher Verfassungsrechtsschutz, in H.F. Friauf, R. Scholz, Europarecht und Grundgesetz, Berlin 1990, 53 ss. e in particolare 81; ID., Wie lange bis „Solange III“?, in NJW 1990, 941 ss.; contra, U. EVERLING, Brauchen wir „Solange III“?, in EuR, 1990, 195 ss.

(74 ) V. BverfGe 73, 339 (375, 376) dove è presente un riferimento espresso ai «compa-rabili limiti della Costituzione italiana e della giurisprudenza della Corte costituzionale italia-na».

(75 ) V. BverfGe 73, 339 (376).

(76 ) V. BverfGe 73, 339 (378), dove si afferma, subito dopo, che questo standard dei diritti fondamentali è stato formato, rafforzato e garantito nel contenuto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità. In dottrina v. K.E. HEINZ, Grundrechtsschutz und Gemeinschaftsrecht, in DÖV, 1987, 851 ss.

L’ESPERIENZA COSTITUZIONALE EUROPEA 40

E, alla fine, nonostante ritenga la pretesa della ricorrente inam-missibile (unzulässig), la sentenza conclude affermando che né dalle manifestazioni della ricorrente, né dalle sue prime determinazioni si e-vince che la Corte nella sua interpretazione non riconosca o protegga i diritti fondamentali fatti valere dalla ricorrente nella situazione con-creta e che il livello di protezione di diritti fondamentali, determinato dalla GG, sia stato attenuato a livello del diritto comunitario (77).

Una conclusione, questa, che è parsa chiaramente come una ef-fettiva conservazione della posizione di fondo già espressa dal Tribu-nale costituzionale, secondo cui nel caso di gravi violazioni dei diritti fondamentali sono da considerare possibili correzioni nazionali, anche se, alla luce del nuovo orientamento espresso nell’ambito del diritto comunitario, una situazione del genere non dovrebbe realizzarsi (quasi) mai (78). 2.2.3. Segue: la sentenza sul Trattato di Maastricht

L’importanza della sentenza del Tribunale federale costituzionale sul Trattato di Maastricht deriva direttamente dal momento (12 otto-bre 1993) in cui questa fu pronunciata. Come è noto, infatti, l’intera vicenda europea, legata all’entrata in vigore del Trattato, dipendeva dal processo costituzionale, in quanto le impugnative proposte aveva-no sospeso la ratifica (e ritardato l’entrata in vigore rispetto a quanto previsto anche dallo stesso Trattato) da parte della Repubblica Fede-rale di Germania, riguardando direttamente la Zustimmungsgesetz e la legge di revisione costituzionale, rispetto alla Grundgesetz. Per di più, oltre alle questioni già proposte nelle precedenti sentenze, in cui la re-golamentazione dei rapporti tra i due ordinamenti era stata formulata alla luce del parametro dei diritti fondamentali, in questa sentenza vengono affrontati anche profili diversi, quali la violazione dei principi di struttura di cui all’art. 20 GG e quella dei limiti alla revisione costi-

(77 ) V. BverfGe 73, 339 (387) (A prescindere da ciò — afferma, subito dopo, il giudice costituzionale — non viene in evidenza un esame dei regolamenti della Commissione in con-nessione con i diritti fondamentali della Legge fondamentale).

(78 ) V. C. TOMUSCHAT, Aller guten Dinge sind III?, in EuR 1990, 340; v. anche K. D. EHLERMANN, Zur Diskussion um einen „Solange III“ – Beschluß: Rechtspolitische Perspekti-ven aus Sicht der Gemeinschaftsrecht, in EuR, Beiheft 1, 1993, 27 ss.

INTEGRAZIONE EUROPEA E DIRITTO COSTITUZIONALE 41

tuzionale di cui all’art. 79, comma 3, GG, dal punto di vista del prin-cipio democratico, di quello della divisione dei poteri e della indipen-denza dello Stato (souveräne Staatlichkeit) (79) (80).

La prima questione relativa alla violazione dei diritti fondamentali appare posta in modo alquanto singolare, in quanto si sostiene che i di-ritti medesimi non sarebbero garantiti solo in Germania, ma divente-rebbero diritti europei e che pertanto dal processo di europeizzazione possa derivare una riduzione del grado di tutela.

Osserva, in proposito, il giudice costituzionale che «l’apertura all’integrazione europea […] ha come conseguenza che atti incidenti su diritti fondamentali possano essere adottati anche da autorità europee e che la tutela di questi diritti debba essere quindi garantita per l’intero ambito di operatività degli atti medesimi; in questo modo si amplia, in particolare, la sfera spaziale di applicazione dei diritti di libertà e il parametro di raffronto per l’applicazione del principio d’eguaglian-za» (81). Tuttavia, pur ad ammettere detta possibilità, ad avviso del Tribunale costituzionale — che sul punto richiama le due sentenze pre-cedentemente esaminate (82) — ciò non comporterebbe necessariamen-te una riduzione rilevante dello standard di tutela dei diritti fondamen-tali, atteso che proprio l’organo di giustizia costituzionale assicurereb-be, nell’esercizio delle sue competenze, «una protezione effettiva di tali diritti per gli abitanti della Germania» anche nei confronti del potere sovrano delle Comunità e che tale protezione sia sostanzialmente egua-le (im wesentlichen gleich) a quella prescritta come inderogabile dalla

(79 ) BVerfGe 89, 155 ss. e in NJW 1993, 3047 ss., per una documentata raccolta dei materiali riguardanti la sentenza in commento v. I. WINKELMANN, Das Maastricht–Urteil des Bundesverfassungsgerichts vom 12. Oktober 1993 – Dokumentation des Verfahrens mit Ein-führung, Berlin 1994.

(80 ) Sulla pronuncia v., fra i molti commenti, H. STEINBERGER, Die europäische Union im Lichte der Entscheidung des Bundesverfassungsgerichts vom 12. Oktober 1993, in FS Bernhardt, 1995, 1321 ss.; J.A. FROWEIN, Das Maastricht–Urteil und die Grenzen des Ver-fassungsgerichtsbarkeit, in ZaöR, 1994, 1 ss.; C. TOMUSCHAT, Europäische Union unter der Aufsicht des Bundesverfassungsgerichts, in EuGRZ, 1993, 489 ss.; J. KOKOTT, Deutschland im Rahmen der Europäischen Union – Zum Vertrag von Maastricht, in AöR, 119, 1994, 207 ss.; V. GÖTZ, Das Maastricht–Urteil des Bundesverfassungsgerichts, in JZ, 1993, 1081 ss.; K.M. MEESSEN, Maastricht nach Karlsruhe, in NJW, 1994, 549 ss.

(81 ) BVerfGe 89, 155 (174).

(82 ) V. BVerfGe 89, 155 (174) che rinvia a BVerfGE 37, 271 (280 ss.); 73, 339 (376 s.).

L’ESPERIENZA COSTITUZIONALE EUROPEA 42

Legge Fondamentale, e che quindi sia tutelato almeno «il contenuto essenziale dei diritti medesimi».

Sul punto, poi, il Tribunale costituzionale ribadisce quanto espres-so nella Solange II, e cioè di avere la competenza per garantire il conte-nuto essenziale dei diritti fondamentali anche nei confronti del potere sovrano della Comunità (cfr. BverfGE 73, 339 (386)), dal momento che pure gli atti di una autorità pubblica appartenente ad una organiz-zazione sovranazionale e distinta da quella degli Stati membri possono concernere i titolari dei diritti fondamentali in Germania e, pertanto, detti atti possono interferire con le garanzie disposte dalla Legge fon-damentale e con le competenze del Tribunale costituzionale, che hanno ad oggetto la difesa dei diritti fondamentali in Germania, e perciò non soltanto nei confronti degli organi dello Stato tedesco.

Qui il giudice costituzionale introduce un elemento di novità ri-spetto alla sua pregressa giurisprudenza, che tocca direttamente il tema delle fonti, asserendo che l’esercizio della sua giurisdizione, sull’appli-cabilità in Germania del diritto comunitario derivato, si svolge nel qua-dro di un “rapporto di cooperazione” con la Corte di Giustizia euro-pea e che, in virtù di tale rapporto, la Corte garantisce la tutela dei di-ritti fondamentali, in ogni caso concreto, per l’intero territorio delle Comunità Europee, mentre il Tribunale Costituzionale Federale può limitarsi ad assicurare una garanzia degli standard inderogabili dei di-ritti fondamentali (83).

La sentenza, nonostante avesse pronunciato, all’inizio, l’inammissi-bilità delle questioni sollevate in relazione alla legge di revisione costi-tuzionale dell’art. 23 GG, si sofferma lo stesso sul rapporto tra detta norma (nella nuova formulazione) e i limiti alla revisione costituzionale e l’art. 38, ponendo in relazione ordinamento costituzionale nazionale e sviluppo del processo di integrazione europeo e asserendo che la parti-colare autorizzazione contenuta nell’art. 23 GG, che consente alla Germania di partecipare alla realizzazione di una Europa unita, sareb-be espressamente vincolata ai limiti dell’art. 79, comma 3, GG e, poi-ché questa disposizione segna i limiti del potere di revisione costituzio-nale «non può insorgere una discrepanza tra il significato democratico dell’art. 38 GG e il nuovo art. 23 GG». Una conclusione, questa, sicu-ramente ineccepibile da un punto di vista formale, ma sostanzialmente

(83 ) V. BVerfGe 89, 155 (175), cfr. anche BVerfGE 73, 339 (387).

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ambiguo, atteso che nell’esperienza concreta degli ordinamenti nazio-nali, compreso quello tedesco, è stato in genere il diritto costituzionale interno ad adeguarsi ai risultati del processo di integrazione e a ricon-ferma lo stesso giudice costituzionale sottolinea che comunque «dal-l’art. 38 GG non si può derivare come debba essere strutturato il qua-dro istituzionale dell’Unione Europea» (84).

La seconda questione è affrontata dal giudice costituzionale con un respiro teorico che serve a spostare la collocazione dell’asserito con-trasto tra i principi di struttura della Grundgesetz e il Trattato di Maa-stricht. In particolare, si afferma l’esistenza di un riparto di competenza tra Stati membri ed Unione e di modalità di funzionamento tali da as-sicurare i poteri dei parlamenti nazionali. Significativa in proposito l’affermazione che non sussiste alcuna Kompetenz–Kompetenz a favore dell’Unione Europea (85) e quella relativa alla “responsabilità politica” del Bundestag — insieme con il Bundesrat — nel determinare le com-petenze che vengono trasferite ai sensi dell’art. 23 GG. (86). A questi fi-ni non a caso il giudice costituzionale nel prosieguo della sentenza insite sui limiti che il Trattato pone all’espansione delle competenze comuni-tarie derivanti dal principio democratico e alla necessità che gli Stati membri mantengano propri compiti in misura significativa e sufficien-te, concludendo che «dem Deutschen Bundestag Aufgaben und Befu-gnisse von substantiellem Gewicht verbleiben müssen» (87).

Infine, dopo avere ribadito il mantenimento della sovranità in ca-po alla Germania, come a tutti gli altri Stati membri, il Tribunale co-stituzionale traccia la differenza tra Rechtsfortbildung innerhalb der Verträge e «una esecuzione che supera questi limiti non coperta dal di-ritto pattizio in vigore» (88), per la quale viene effettuata la riserva che, «qualora le istituzioni o gli organi europei applicassero o sviluppassero la normativa pattizia in modo non più conforme al Trattato oggetto della legge tedesca di autorizzazione, i relativi atti non sarebbero vin-colanti nella sfera di sovranità tedesca», con la conseguenza che «agli

(84 ) V. BVerfGe 89, 155 (179).

(85 ) V. BVerfGe 89, 155 (181).

(86 ) V. BVerfGe 89, 155 (183).

(87 ) V. BVerfGe 89, 155 (186).

(88 ) V. BVerfGe 89, 155 (210).

L’ESPERIENZA COSTITUZIONALE EUROPEA 44

organi dello Stato tedesco sarebbe costituzionalmente precluso di dare attuazione a tali atti in Germania», per cui resta sempre necessario mantenere la riserva di giurisdizione in base alla quale «il Tribunale Costituzionale Federale controlla se gli atti delle istituzioni e degli or-gani europei rispettino o superino i limiti dei poteri a questi devoluti». [2.2.4. La successiva giurisprudenza del Bundesfervassungsgericht

In una successiva pronuncia (c.d. Bananen–Beschluss) il giudice co-stituzionale tedesco ha chiarito il modo in cui la sua pregressa giuri-sprudenza andava intesa e, in particolare, che tra la sentenza Solange II e la Maastricht–Urteil non sussiste alcuna contraddizione e che le due pronunce si completano a vicenda, fornendo le coordinate delle rela-zioni esistenti tra l’ordinamento comunitario e quello tedesco (89).

In particolare, secondo l’impostazione seguita i ricorsi costituzionali diretti e le istanze dei tribunali che si basano sulla violazione dei diritti fondamentali da parte di una disposizione del diritto comu-nitario secondario sono ammissibili solo se lo sviluppo del diritto eu-ropeo sia tale da non rispettare nell’essenza il livello di tutela tedesco. Questa condizione risulta soddisfatta, con la salvaguardia del contenu-to essenziale (Wesensgehalt) dei diritti fondamentali (90).

In questo quadro giuridico un intervento del Tribunale costituzionale federale si può di nuovo chiedere, secondo quanto evidenziato dalla pronuncia Solange II, solo qualora si dimostri che la Corte di Giu-stizia abbandoni lo standard di tutela dei diritti fondamentali offerto o che lo sviluppo del diritto europeo, compresa la giurisprudenza della

(89 ) La Bananen–Beschluss è del 7 giugno 2000; BVerfGE 102, 147 (163 ss.), p.to 61: «Non si pretende, dal diritto comunitario europeo e dalla giurisprudenza della Corte di Giu-stizia, fondata su questo, una tutela concordante nei singoli ambiti dei diritti fondamentali della Grundgesetz. Dal punto di vista dei requisiti costituzionali sono corrispondentemente sufficienti i presupposti, indicati nella Solange II, BVerfGe 73, 339 (340, 387), se la giurispru-denza della Corte di Giustizia garantisce in via generale una efficace tutela dei diritti fonda-mentali, nei confronti del potere delle comunità, che sia da considerare nell’essenziale eguale alla protezione dei diritti fondamentali offerta dalla Grundgesetz come indisponibile e neces-saria, specialmente se garantisce in generale il contenuto essenziale dei diritti fondamentali».

(90 ) BVerfGE 102, 147 (164).

INTEGRAZIONE EUROPEA E DIRITTO COSTITUZIONALE 45

Corte di giustizia sia precipitato sotto lo standard richiesto per i diritti fondamentali (91).

In questo modo, la giurisprudenza costituzionale tedesca avrebbe affermato, per un verso, la sussistenza, secondo la Maastricht–Urteil, di una garanzia offerta dal Bundesverfassungsgericht attraverso la sua competenza esercitata in cooperazione con la Corte di giustizia sugli at-ti del diritto comunitario, che assicurerebbe il contenuto essenziale dei diritti fondamentali; e, per altro verso, la competenza della Corte di giustizia, sulla base dei presupposti della sentenza Solange II, a garanti-re la protezione dei diritti fondamentali (dei cittadini tedeschi) anche nei confronti degli atti del potere pubblico nazionale (i.e. tedesco) che sono emanati sulla base del diritto comunitarioo secondario (92).

Di conseguenza, la controversia sulla incoerenza delle norme giuri-diche deve essere decisa autonomamente da ciascuna giurisdizione, guardando l’ordinamento di riferimento, senza il pericolo che possa re-alizzarsi una sovrapposizione di una giurisdizione rispetto all’altra (93).] 2.3. Considerazioni d’insieme

È estremamente complesso raccogliere in breve tutte le indicazio-ni che possono derivarsi dall’evoluzione dell’ordinamento comunitario e degli ordinamenti nazionali, e segnatamente dall’esperienza della giu-risprudenza costituzionale sul tema delle “fonti del diritto”. La dottri-na del Diritto costituzionale ha sempre sottolineato che la determina-zione sui fatti e sugli atti produttivi di diritto in un gruppo organizzato è l’espressione più propria della “sovranità” e la perdita del controllo del sistema delle fonti equivale alla perdita della sovranità (94). Sembra certo che questa seconda condizione non si è formalmente determinata nelle relazioni tra diritto comunitario e diritto interno, anche se in en-trambe gli ordinamenti considerati l’impostazione seguita dai rispettivi giudici costituzionali ha portato ad un cambio di orientamento che

(91 ) BVerfGE 102, 147 (163), p.ti 60 e 62.

(92 ) BVerfGE 102, 147 (163), p.to 60.

(93 ) Cfr. W. HOFFMANN–RIEM, Kohärenz der Anwendung europäischer und nationaler Grundrechte, in EuGRZ 2002, 476 ss.

(94 ) V. V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, cit., 43 ss.

L’ESPERIENZA COSTITUZIONALE EUROPEA 46

tendenzialmente rende assai remoto il controllo di costituzionalità della normativa europea, sino ad un punto tale da potere giustificare l’impostazione (sostanzialmente e formalmente diversa) della Corte di Giustizia, la quale afferma la prevalenza del diritto comunitario sul di-ritto interno (95).

Se, poi, questa condizione delle fonti sia tale da ridurre effettiva-mente la tutela (interna) dei diritti costituzionali è questione che verrà subito dopo affrontata, ciò che preme qui rilevare è che il fondamento reale della prevalenza (nell’applicazione, se non nella validità) del dirit-to comunitario cessa di essere a questo punto la Costituzione (l’art. 11 Cost. it., o l’art. 24 GG o, dopo la sua introduzione, l’art. 23 GG, che non modifica la situazione, in quanto la norma razionalizza sostanzial-mente la prevalenza che già di fatto esisteva, giustificando a posteriori, senza incidere, in ogni caso, sul meccanismo della diretta applicazione con self restraint da parte del giudice costituzionale (Solange II)) e di-venta lo stesso art. 189 del Trattato da dove scaturisce la previsione della diretta applicabilità.

Inoltre, questo attributo delle fonti comunitarie cessa di essere un elemento caratteristico della fonte, per diventare un criterio di risolu-zione delle antinomie che incide sulle fonti interne. Infatti, l’inappli-cabilità delle fonti interne, sta a significare che il regime delle fonti, sotto questo aspetto, non è governato (più) dalle norme costituzionali.

Anche la negazione costante, da parte del giudice costituzionale tedesco, di una “competenza delle competenze” a favore del livello comunitario sconta l’errore del necessario e preventivo conferimento normativo con atti degli Stati membri. In realtà, un ordinamento dota-to di una diretta efficacia, quale è quello comunitario, ritrova nel pro-prio ambito le risorse normative per concretizzarsi e positivizzarsi sen-za ripetere da altri soggetti la legittimazione. A questo riguardo, ven-gono in rilievo alcune disposizioni del Trattato che, fermo il discrimine tra compiti dell’Unione e compiti della Comunità, i primi riconnessi alla politica intergovernativa, i secondi affidati direttamente agli organi comuni, consentono alla Comunità di incidere sull’assetto delle compe-tenze, autorizzandola ad ampliare la sua sfera di intervento: in primo luogo viene in discussione l’art. F, comma 3, TUE (ora art. 6, comma

(95 ) Per il quale v. la giurisprudenza della Corte di giustizia a partire dalla sentenza Van Gend & Loos (C–26/62, in Racc., 1963, I, 1), dalla sentenza Costa c/ Enel (C–6/64, in Racc., 1964, I, 1131) e dalla sentenza Simmenthal (C–106/77, in Racc., 1978, I–629 ss.).

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4) (96), che rende piena la capacità dell’Unione di sperimentare forme strutture per la realizzazione dei «suoi obiettivi e per portare a com-pimento le sue politiche»; in secondo luogo, l’art. B, ultimo comma, TUE (ora art. 2, ultimo comma) che assume a criterio di realizzazione degli obiettivi dell’Unione il “principio di sussidiarietà” come definito dall’art. 3B TCE (ora art. 5), che non è — nell’interpretazione testuale e nella prassi — una norma limitativa dell’azione della Comunità; e, in-fine, vengono in discussione le norme che consentono una espansione delle competenze, come l’art. 235 (ora art. 308), TCE, con la sua pre-visione sugli implied powers (97), ed una crescita dinamica dell’amplia-mento delle competenze (art. B e art. C TUE, ora artt. 2 e 3).

Se si può considerare esistente — implicitamente, e inverata dalla pratica del giudice comunitario — una “clausola di supremazia”, analo-ga a quella prevista dalla Costituzione americana, o al principio “Bun-desrecht bricht Landesrecht” (98), bisognerebbe concludere che gli ele-

(96 ) Su ciò, con differenti posizioni, v. ad esempio KA. SCHACHTSCHNEIDER, A. EMME-RICH–FRITSCHE, Th. CW. BEYER, Der Vertrag über die Europäische Union und das Grun-dgesetz, in JZ, 1993, 751 ss. e G. RESS, Die Europäische Union und die neue juristische Qua-lität der Beziehungen zu den Europäischen Gemeinschaften, in JuS, 1992, 985 ss.

(97 ) Secondo la giurisprudenza comunitaria, il ricorso all’art. 235 presuppone la man-canza di qualsiasi altro potere d’azione (sent. 6 luglio 1982, cause riunite C–188–190/80, Francia, Italia, Regno Unito/Commissione, in Racc., 1982, I–2545 ss.; v. anche sent. 2 feb-braio 1989, C–242/87, Commissione/Consiglio, in Racc., 1989, I–259 ss.). Occorre sottolineare, comunque, che il principio non configura un obbligo, bensì una facoltà del Consiglio (sent. 31 marzo 1971, C–22/70, Commissione/Consiglio (AETS), in Racc., 1971, I–265 ss.); in dottrina, v. G. NICOLAYSEN, Zur Theorie von den implied powers in den EG, in EuR, 1966, 129 ss.; H. P. IPSEN, Europäisches Gemeinschaftsrecht, cit., 196 ss.; v. inoltre, nel numero speciale di EuR del 1976, i contributi di U. EVERLING, Die Allgemeine Ermächtigung der Europäischen Gemeinschaft zur Zielverwirklichung nach Art. 235 EWG–Vertrag, 2 ss.; C. TOMUSCHAT, Die Rechtsetzungsbefugnisse der EWG in Generaler-mächtigung, insbesondere in Art. 235, 60 ss. e I. SCHWARTZ, EG–Rechtsetzungsbefugnisse, insebesondere nach Art. 235 – Ausschließlich oder konkurrierend, in U. EVERLING, I. SCHWARTZ, C. TOMUSCHAT, Die Rechtsetzungsbefugnisse der EWG in Generalermächtigung, insbesondere in Art. 235, in EWG, 1976, 28 ss; G. CLOSE, Harmonisation of laws: use or abuse of the powers under the EEC Treaty, in ELRev., 1978, 461 ss.; E. STEINDORFF, Grenzen der EG–Kompetenzen, Heidelberg 1990, 112 ss.; 6 ss.; H.P. KRAUßER, Das Prinzip begrenzter Ermächtigung im Gemeinschaftsrecht als Strukturprinzip des EWG–Vertrages, Berlin 1991; Th. Cw. BEYER, Die Ermächtigung der Europäischen Union, in Der Staat 35, 1996, 201; A. DASHWOOD, The limits of European Community Powers, in ELRev., 1996, 113 ss.; U. HÄDE, A. PUTTLER, Zur Abgrenzung des Art. 235 EGV von der Vertragsänderung, in EuZW, 1997, 13 ss.

(98 ) Sul punto, da ultimo, v. J. CASPAR, Nationalen Grundrechtsgarantien, cit., 350, il quale sottolinea come nel diritto comunitario non esista una disposizione analoga a quella dell’art. 31 GG. In argomento fondamentale resta il lavoro monografico di E. GRABITZ, Bun-

L’ESPERIENZA COSTITUZIONALE EUROPEA 48

menti considerati, in ordine al sistema delle fonti (e alla sovranità statua-le) costituiscono un tratto caratteristico di un sistema costituzionale dif-ferente (di stampo federale), il quale regolerebbe già i rapporti tra CE UE e Stati membri in modo unitario (99). Anche se alcuni Autori parlano — per ragioni di prudenza e per le difficoltà di ordine teorico — di “sovranità condivisa” tra CE–UE e Stati membri, si pone oramai in modo evidente la necessità di valutare l’ordinamento comunitario in termini di diritto sopranazionale, fondato da atti di diritto internaziona-le, ma dotato anche di un proprio diritto costituzionale; sin dall’inizio, infatti, è apparso chiaro che i Trattati istitutivi delle Comunità europee avevano un carattere peculiare, tale da imporre persino regole interpre-tative diverse da quelle solitamente adottate per i Trattati internazionali, in quanto essi non davano origine a meri obblighi internazionali, ma ad un vero e proprio ordinamento giuridico comune degli Stati membri e direttamente efficace nei confronti dei loro cittadini.

Evidentemente, il tema delle fonti da solo, nonostante la sua im-portanza, non esprime tutto il senso di una ricostruzione costituzionale dell’ordinamento comunitario e, infatti, insistono ancora altri profili, tra cui spiccano, in modo particolare, due: a) la tutela dei diritti fon-damentali; b) la strutturazione interna degli Stati membri. 3. La tutela dei diritti fondamentali

I trattati istitutivi hanno previsto, originariamente, alcuni diritti dei singoli, funzionali allo sviluppo del mercato comune, e da questo

desrecht bricht Landesrecht, Hamburg 1966; sull’interpretazione della disposizione costitu-zionale dell’art. 31 v. ad esempio G. BARBEY, Bundesrecht bricht Landesrecht, in DÖV, 1960, 566 ss.; E.W BÖCKENFÖRDE, R. GRAWERT, Kollisionsfälle und Geltungsprobleme im Ver-hältnis von Bundesrecht und Landesverfassung, in DÖV, 1971, 119 ss.; A. BLECKMANN, Zur Bindung der Länder an die Ziele der Bundespolitik, in DÖV, 1986, 125 ss.; B. LEMHÖFER, Landesverfassungsgerichte als kleine Bundesverfassungsgerichte?, in NJW, 1996, 1714 ss.; K. LANGE, Kontrolle bundesrechtlich geregelter Verfahren durch Landesverfassungsgerichte?, in NJW, 1998, 1278 ss. Sul rapporto tra la disposizione dell’art. 31 GG e le altre disposizioni costituzionali v. BVerfGE 36, 362; sulla prevalenza del Bundesrecht sul Landesrecht (qualora l’oggetto e la Rechtsfrage siano i medesimi) v. BVerfGE26, 135 ss.; sull’impossibilità di far vale-re la prevalenza del Bundesrecht sul Landesrecht nel caso in cui il diritto federale sia incostitu-zionale v. BVerfGE 1, 34 ss.

(99 ) Nel senso in cui la dottrina, anche di orientamento diverso, riferisce il principio di “unità” all’ordinamento federale, v. K. HESSE, Der unitarische Bundesstaat, Karlsruhe 1962.

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embrione è stato costruito un insieme di pretese e facoltà che hanno dato luogo ad uno status comune ai cittadini degli Stati membri.

Questi elementi, per lo sviluppo che hanno avuto, impongono una interpretazione diversa dal mero riconoscimento internazionale di de-terminati diritti e si prestano ad essere ricomposti in modello che ha una valenza generale. 3.1. La cittadinanza europea

Il primo punto che emerge attualmente è quello della cittadinanza dell’Unione, alla quale è dedicata un’intera Parte del Trattato sulla Comunità europea (100).

La nozione di cittadinanza europea si è sviluppato attraverso la giurisprudenza della Corte di giustizia e le direttive 90/366 (libertà di circolazione e soggiorno degli studenti) e 90/364 (Aufenthaltsrecht dei parenti del lavoratore) (101). Essa ha accompagnato l’esercizio dei diritti riconosciuti in ambito comunitario ed ha non un carattere ideologico o sociologico, ma strumentale e la sua stessa istituzione ubbidisce alla ne-

(100 ) Sulla cittadinanza europea v. anzitutto E. GRABITZ, Europäisches Bürgerrecht zwi-schen Marktbürgerschaft und Staatsbürgerschaft, Köln 1970, ove si critica la nozione di Mar-ktbürgerschaft conosciuta dal Trattato di Roma, in quanto legandosi essa agli obiettivi di na-tura economica della Comunità, non avrebbe potuto accordare un reale diritto di cittadinan-za europea ai cittadini degli Stati membri; critico sul punto H. P. IPSEN, Europäisches Ge-meinschaftsrecht, cit., 187 s., nt. 10; S. MAGIERA, Die Europäische Gemeinschaft auf dem Wege zu einem Europa der Bürger, in DÖV, 1987, 221 ss.; R. GRAWERT, Staatsangehörigkeit und Staatsbürgerschaft, in Der Staat 23, 1984, 179 ss.; F. CUOCOLO, La cittadinanza europea (prospettive costituzionali), in Pol. dir., 1991, 659 ss. U. EVERLING, Die Stellung des Bürgers in der Europäischen Gemeinschaft, in ZfRV, 1992, 241 ss.; M. PIERANGELINI, La cittadinan-za europea. Un nuovo status per il soggetto comunitario, in Affari sociali intern., 1993, 181 ss.; V. LIPPOLIS, La cittadinanza europea, Bologna 1994; A. RANDELZHOFER, Marktbürger-schaft–Union–Unionsbürgerschaft–Staatsbürgerschaft, in FS Grabitz, München 1995, 581 ss.; S. CASSESE, La cittadinanza europea e le prospettive di sviluppo dell’Europa, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1996, 869 ss.; M. CARTABIA, Cittadinanza europea, in Enc. giur., Aggiorn., 1996; E. CASTORINA, Introduzione allo studio della cittadinanza, Milano 1997; L. AZZENA, L’integrazione attraverso i diritti. Dal cittadino italiano al cittadino europeo, Torino 1998, 49 ss.; S. BARTOLE, in Quad. cost., 2000; da ultimo T. SCHILLING, Bestand und allgemeine Lehren der bürgerschützenden allgemeinen Rechtsgrundsätze des Gemeinschaftsrecht, in EuGRZ, 2000, 17.

(101 ) A partire dalla sent. 31 gennaio 1984, cause riunite C–286/82 e C–26/83, Luisi e Carbone/Ministero del Tesoro, in Racc., 1984, I–377 ss.: su ciò v. A. RANDELZHOFER, Mar-ktbürgerschaft, cit., 588 s.

L’ESPERIENZA COSTITUZIONALE EUROPEA 50

cessità di «rafforzare la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini dei suoi Stati membri» (art. 2, TUE) ed ha il compito di assicurare che «i cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dal presente trattato» (art. 17, u.c., TCE).

Ciò non toglie che elementi di ordine culturale possano influenzare il suo contenuto. A questa tendenza ubbidisce il tentativo, che traspare da alcune norme dei Trattati, di fare riferimento ad una identità co-mune (art. 2, TUE: l’Unione si prefigge di «affermare la sua identità sulla scena internazionale»), o ad una tradizione comune (art. 6, TUE: «L’Unione rispetta i diritti fondamentali […] quali risultano dalle tra-dizioni costituzionali comuni degli Stati membri»).

La sua disciplina positiva, tuttavia, presenta, come tratto peculia-re, una diretta relazione con la cittadinanza nazionale, cioè con quella di uno Stato membro dell’Unione. Il legame è originario, in quanto l’art. 17, TCE ha, per un verso, istituito la cittadinanza dell’Unione e, per l’altro, ha affermato «è cittadino dell’Unione chiunque abbia la citta-dinanza di uno Stato membro» e la norma ha comportato che il diritto per l’innanzi riconosciuto dal diritto secondario trovasse ora una diretta garanzia nel diritto primario (102). Con il Trattato di Amsterdam, poi, la disposizione in discorso è stata completata con l’ulteriore previsione che «la cittadinanza dell’Unione costituisce un completamento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest’ultima», in modo da con-correre a rafforzare il principio per il quale «l’Unione rispetta l’identità nazionale dei suoi Stati membri» (art. 6, comma 3, TUE) (103).

Come è facile osservare la cittadinanza europea è il frutto di un ri-conoscimento indiretto, sul presupposto di uno status che è attribuito ai cittadini sulla base dei criteri e delle modalità definite nelle singole leggi degli Stati membri. Manca, cioè, una “legge” sulla cittadinanza europea e questa circostanza è stata valutata come un sintomo «della persistente dipendenza dell’ordinamento comunitario da quello degli Stati membri e della sua particolare natura sopranazionale» (104).

Tuttavia, il diritto comunitario già contiene una disposizione che vieta «ogni discriminazione in base alla nazionalità» e può «stabilire regole volte a vietare tali discriminazioni» (art. 6, ora 12, commi 1 e 2,

(102 ) Così ancora A. RANDELZHOFER, Marktbürgerschaft, cit., 590.

(103 ) V. S. BARTOLE, La cittadinanza e l’identità europea, in Quad. cost. 2000, 41 ss.

(104 ) M. CARTABIA, Cittadinanza europea, in Encicl. Giur. Treccani, Roma 1988–1995, 4.