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7 7 0 0 L L oggetta la la oggetta di Piansano e la Tuscia Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 26-2-2004 n. 46) art. 1 comma 1 - DCB Centro Viterbo notiziario notiziario di Piansano e la Tuscia Anno XII n Anno XII n° 5 SETTEMBRE / OTTOBRE 2007 SETTEMBRE / OTTOBRE 2007 copertina di Giancarlo Breccola

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Nella memoria profonda delmio paese Garibaldi era ilnome di un mulo. Anzi, dipiù d’uno; e forse anche di

qualche cavallo. Bestie da lavoroforti, cocciute, resistenti. E all’oc-correnza anche d’impeto.C’era anche un ometto, con questosoprannome. Rimasto tarchiatoforse per le troppe fatiche, e con glianni anche ingrugnito in un’espres-sione accigliata, scontrosa. Un

ometto innocuo e tranquillo cheperò non voleva sentir parlare dipreti e di chiesa. Credo che fossel’unico, in paese, a non volere ilprete dentro casa per la benedizio-ne pasquale. O perlomeno ad avereil coraggio di farlo. Non l’avevachiesta lui, quella benedizione, enon ne sentiva alcun bisogno. E ilprete, dopo una insistenza appenaabbozzata, scantonava verso lecase vicine. Nessuno sa perché lo

chiamassero Caribbalde. Solo piùtardi ho provato a immaginare cheforse perché era mangiapreti comel’eroe in camicia rossa. Il che, senon altro, farebbe presupporre neipaesani una conoscenza dell’eroenazionale almeno tale da consenti-re il confronto.Altre tracce del nome non c’erano.Non una targa, non un monumento,non un carteggio. Neppure c’erastata, nel mio paese, l’orgia revisio-nistica dei capovolgimenti istituzio-nali, quella che all’indomani del-l’unità d’Italia aveva portato molticentri della zona a stravolgere lasecolare toponomastica cittadinaper omaggiare i nuovi numi dellapatria: personaggi, date o luoghi-simbolo dell’epopea risorgimenta-le. Furono ribattezzate solo laPiazza dell’Indipendenza, che nellasua genericità dice tutto e niente, epiù tardi la Via Umberto I, cheessendo venuta dopo il regicidiodel 1900 sembra scaturita più da unmoto solidale di umana pietà cheda una precisa scelta politico-istitu-zionale. C’era invece, questo sì,l’aggettivo caribbaldino, con qual-che sfumatura di significato: bir-bantello, discolo o rapido nellemarachelle, forse anche brioso econ l’argento vivo addosso come labiondina capricciosa garibaldinadella canzone, la stella di noi solda’.Ma se non fosse stato che l’eroe eramorto nello stesso anno in cui eranato mio nonno, forse la sua figuranon mi sarebbe rimasta cosìimpressa - con il poncho e l’aureolaromantica - fin dai tempi delle fan-tasticherie d’infanzia. Era quel par-ticolare anagrafico di famiglia chemi portava la storia in casa, comese le imprese dell’eroe fosseroavvenute poco prima e mi arrivas-sero direttamente per concatena-zione generazionale. Immaginavoperfino l’eroe - sia pure ingigantitoda un patriottismo senza pari -come i vecchi che ho conosciuto:essenziali, “antieroi”, umani.Il mio paese è un piccolo paese,povero di storia e di personaggi. Haun passato umile e prosaico. Manon è molto dissimile dai paesi deidintorni, quantunque alcuni di essi

Il “patrimonio”

di Garibaldi

Antonio Mattei

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siano più popolosi e di qualche pre-tesa. E vi si respirava la stessa aria,la stessa limitatezza di orizzontidelle comunità arcaiche, lo stessorassegnato fatalismo che nonostan-te tutto ha consentito alle societàcontadine di sopravvivere a secolidi iniquità e di miserie. Non fa dun-que meraviglia che l’epopea gari-baldina vi sia passata sopra come

l’acqua, ossia senza suscitarvientusiasmi, se non addirittura pro-vocandovi diffidenze o resistenze. Quello del mio paese potrà sembra-re un caso limite, quasi provocato-rio nella sua emblematicità, madice della uguale impermeabilitàdelle plebi rurali a quel sogno nobi-le dell’unificazione nazionale pro-pugnato da una minoranza davvero

esigua. Progetto nobile che erapolitico-istituzionale, nelle suediverse anime monarchica, repub-blicana o neoguelfa; che era cultu-rale, nell’unificazione di norme e dilingua così come nel richiamo alcomune retaggio italico; che eraanche economico, per l’abbatti-mento di barriere doganali internee l’estensione generalizzata di gra-vami e tributi; ma che non parlavadi riscatto sociale, e dunque nonpoteva essere inteso da masse con-tadine da sempre alle prese confame e ignoranza, del tutto succu-be, per di più, di un’amministrazio-ne pretesca che proprio sul mante-nimento di quello “stato di natura”puntava per una migliore governa-bilità delle anime. E’ la critica gram-sciana al Risorgimento, ma non coltono accusatorio di chi vogliaimputargli colpe o manchevolezze,quanto piuttosto come una obietti-va presa d’atto di un processo checosì è stato e che forse non potevaessere diversamente, dati i tempi ele circostanze.I garibaldini nella Tuscia hannooperato a più riprese (non Garibal-di personalmente, giunto a Viterbosoltanto dopo l’unità), anche per-ché la nostra era terra di confine,lambita dal mare e a ridosso delleprovince umbro-toscane. E speciedopo il 1860, con tali province limi-trofe già “italiane” e sotto la pres-sione di “O Roma o morte”, è statateatro di tutti i tentativi di invasio-ne annessionistici, con vari scontritra volontari “italiani” e truppefranco-pontificie. Ma le popolazionilocali non si sono mosse. Salvolodevoli eccezioni, patrioti e cadutisul campo per l’unità nazionalesono tutti di altre province, e anzinon sono mancati esempi di stri-sciante ostilità verso l’“arrembag-gio” delle camicie rosse, con signifi-cativi Te Deum di ringraziamentoper lo scampato pericolo ad ognirestaurazione papalina. Del resto ènoto che le truppe garibaldine, rac-cogliticce e male equipaggiate pro-prio perché formate da volontari,avevano bisogno di tutto e doveva-no autoforaggiarsi, ciò che finì ine-vitabilmente per gravare sui paesi e

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le popolazioni toccate dal loro pas-saggio. Si aggiunga che lo scorraz-zare di soldatesche, con il clima dipaura e di incertezza che accompa-gna ogni vacatio legis, ha sempreesercitato un’attrazione fatale perfacinorosi e poco di buono locali,che inevitabilmente finiscono perintrufolarvisi ed infangare le moti-vazioni più nobili delle campagnemilitari con meschini interessi esordide vendette personali. Non è ilcaso di insistere più di tanto suquesto argomento, ma va ricordatoper esempio che nei certificatipenali di diversi furfantelli e brigan-tucoli della zona, tra gli altri capid’imputazione risulta molto spessoquello di “aver fatto parte dellebande garibaldine al tempo del ces-sato governo [pontificio]”. Il chenon autorizza certamente alcunageneralizzazione, così come nonvuol dire che non vi sono stati spi-riti eletti che hanno combattuto epagato di persona per l’unità dellapatria comune. Ma il punto è chequalche avanguardia di patrioti nel-l’intera provincia del Patrimonio diSan Pietro - espressione, tra l’altro,della piccola aristocrazia o di unceto medio-borghese sicuramenteemergente - non è sufficiente pervantare crediti patriottici collettivi,e certamente non renderemmo unbuon servizio alla storia se volessi-mo spacciarne i meriti individualicome moto unanime di popolo.Non renderemmo un buon servizioneppure allo stesso Garibaldi, lacui tenacia e grandezza d’animoemergono ancor più proprio tenen-do conto del retroterra politico-cul-turale delle stesse popolazioni daliberare, “schiave per antico ser-vaggio”. È una questione di criteriostoriografico, evidentemente. Chementre riconosce il ruolo trainantedelle minoranze, “motrici della sto-ria” - e dunque tale da giustificarel’interesse degli studiosi così comela consacrazione pubblica - per unaltro verso mette in guardia da pos-sibili equivoci sulla loro reale rap-presentatività e l’incidenza concre-ta nella società del tempo.E tuttavia Garibaldi era “nel popo-lo”, “sentito” a distanza nella sua

rustica e gene-rosa irruenza,per la simpa-tia umana,contraltare diuna politicadelle diploma-zie lontana eincomprensi-bile. E voglia-mo rendergliomaggio, nelsecondo cen-tenario dellanascita, perun affettuosodebito di rico-noscenza. Eper riafferma-re una identitàdi patria che,pur con tutti isuoi equivocie le incompiu-tezze, a luideve molto enon può nonrimanere unvalore fondan-te della comunità nazionale. A mag-gior ragione oggi, ossia in un tempoin cui il mondo che ti piomba incasa esige apertura al confrontonel rispetto delle identità etnico-cuturali.Giocando un po’ con le parole, sipotrebbe dire che nella nostra pro-vincia Garibaldi ha spazzato via unanacronistico Patrimonio per la-sciarcene un altro, di patrimonio:non solo quello concreto di unapatria comune, una di lingua e dimemorie nonostante gli steccatistorici, ma anche uno ideale di one-stà personale e abnegazione chenon trova facilmente proseliti tragli italiani di ogni tempo; di difesa aoltranza dei princìpi di nazionalitàe autodeterminazione dei popoliche ancor oggi, nei fatti, sono tut-t’altro che scontati in varie partidel mondo; di una laicità nella con-cezione della res civica che ridottaall’osso è essenzialmente rispettoreciproco e che invece non ha maiavuto vita facile. Un italiano scomo-do, Garibaldi. Allora come oggi.Atipico e di una irrequietezza mo-

derna, a dispetto dell’imbalsama-zione oleografica fattane. E appun-to ne onoreremmo meglio la memo-ria cogliendone l’attualità dellalezione, anziché affannarci ad esibi-re un proselitismo che da questeparti rimase assolutamente margi-nale, durante tutta la sofferta gesta-zione preunitaria.Questo è il senso del presente con-tributo, come al solito senza prete-se esaustive e anzi assolutamentevario e disuguale negli interventi,com’è nello spirito della Loggetta.Un contributo che - a parte la notastorica introduttiva e qualcheapprofondimento qua e là (che permotivi di tempo e spazio seguiràanche nei prossimi numeri) - rinviavolentieri alla bibliografia già esi-stente sull’argomento per privile-giare ove possibile particolari ine-diti, o addirittura curiosità minime,nella consapevolezza che ogni piùumile traccia è utile alle rielabora-zioni di sintesi, e che del resto nonc’è bisogno di accampare chissàquali meriti, perché la gente siaconsiderata storia.

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Il personaggio“Garibaldi”

Su 8100 comuni italiani,circa 5500 hanno un luogointitolato a GiuseppeGaribaldi. Si comprende cosìche nella toponomasticad’Italia, dopo quella di“Roma”, quella dell’eroe risor-gimentale è la denominazionepiù diffusa. Titoli e fama chesi estendono anche negli StatiUniti, in Francia, Brasile,Argentina, Uruguay. Nonmeno estesi della notorietàsono gli studi e biografie a luidedicati. La cultura cattolicaitaliana, avversa a tutto ilRisorgimento, come anchequella dell’Italia sabauda edella critica gramsciana dellarivoluzione sociale mancata,non hanno offuscato l’ampioconsenso di cui godeGaribaldi fra gli italiani.L’Italia della Restaurazione epoi del Ventennio, come luci-damente criticava BenedettoCroce, è stata la negazione diquei principi democratici natidal Risorgimento del qualeGaribaldi è stato l’interpretepiù amato. Le sue contraddi-zioni, i compromessi, le vitto-rie, le sconfitte e anche l’artri-te di cui soffriva, lo rendonoun italiano a noi più vicino. Un recente spot televisivo hariproposto il mito dei Mille diGaribaldi per promuovere unprodotto commerciale. Il regi-sta ha ignorato però del tuttola cronologia della spedizione,in quanto accanto a Garibaldiin camicia rossa appariva unasolerte Anita, che come sap-piamo era morta nel 1849dopo che i due, insieme adaltri quattromila volontari, sierano ritirati da Roma perportare aiuto militare a

Venezia. In modo altrettantomenzognero la propagandapolitica avversa, nella stessacircostanza del ‘49, fece cir-colare la notizia che lo stessoGaribaldi avesse ucciso la sua

compagna (incinta) per nonaverne impedimento nellafuga. La verità storica ci ricor-da invece che a fianco diGaribaldi e Anita, col grado dicomandante dell’ambulanza,da Roma fino a MacerataFeltria vi fu il medico chirurgoviterbese Luigi Savini. Persfuggire agli eserciti francesee austriaco, il volontario gari-baldino si travestì da contadi-

no e fece ritorno a Viterbo,città dalla quale era partitonel marzo 1848 per combat-tere in Veneto.Nell’Italia postunitaria, Viterboe i centri della provincia prov-

vederanno ad onorare i suoinuovi eroi del Risorgimentocon monumenti e targhe, inti-tolare loro vie e piazze. Inmodo meno istituzionale, trale genti di Onano è rimastal’espressione “fare le cose allagaribaldina” o avere il “corpoalla garibaldina” per indicarerispettivamente un lavoro fattoin maniera rapida, ma anchefrettolosa, e una corporatura

longilinea. Tutto ciò a ricordo,forse, delle rapide azioni diguerriglia condotte dai tantigiovani volontari. A Valentano,in alcune filastrocche e abilitàlinguistiche per bambini ritro-viamo ancora l’eroe a suonarel’organetto sul tetto e, sullasostituzione e variazione dellevocali, ad essere cantato sul-l’aria di “Garibaldi fu ferito”.

Introduzionestorica

Due sono i principali riferi-menti strategici del processodi unificazione dell’Italia:Cavour, il politico lucido, ilpaziente tessitore del Palazzo,l’accorto diplomatico;Garibaldi, l’eroe romantico,battagliero, il trascinatorecarismatico capace di suscita-re entusiasmi e calde acco-glienze, generoso e disinteres-sato, l’esponente più batta-gliero dell’ala democratica diun risorgimento da realizzaredal basso. E tuttavia l’epopeagaribaldina non ha trovatopieno riconoscimento nellaTuscia, così come meriterebbeun personaggio che ha contri-buito in maniera determinanteall’unità d’Italia. Eppure nonc’era angolo d’Italia che nonlo osannasse, che non guar-dasse a lui con gli occhi dellasperanza, che non si affidassea lui. Il curriculum diGaribaldi è nella sua vita,nelle sue imprese, nelle suegenerose e, talvolta, spericola-te iniziative. E’ sempre pre-sente ove c’è da combattereper la libertà, contro lo stra-niero invasore o contro inemici dell’Unità d’Italia. Ognipassaggio della sua vita vanella direzione di un disegnopreciso che porta avanti con

Garibaldie la Tuscia

diBonafede Mancini

eRoberto Sèlleri

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determinazione quando damazziniano aderisce allaGiovane Italia; quando, nelcorso della prima guerra diindipendenza, si erge a difen-sore della RepubblicaRomana; quando organizza laspedizione dei Mille; nel1860, quando dopo la procla-mazione del Regno d’Italia,trova intollerabili le lentezze,gli indugi con cui il governoitaliano si muove per l’annes-sione del Lazio (ultimo baluar-do del vecchio Stato pontifi-cio).Non è concepibile l’Italiasenza Roma, senza la suanaturale capitale. E la riprovadi quanto sia stata difficile eproblematica la partecipazio-ne della popolazione delloStato pontificio, e della Tusciain particolare, la si ha conl’invasione di Roma avvenutatra il settembre e l’ottobre del1867, anche questa progetta-ta per forzare la questioneromana e finalmente dareall’Italia una capitale. In quel-l’occasione, qualche adesione,pure coraggiosa e generosa, dicittadini della Tuscia alleimprese garibaldine, qualcheplebiscito organizzato nonsempre in maniera trasparen-te, vi furono; come i tantiriconoscimenti postumi, ravvi-sabili nella toponomastica ditutti i nostri comuni, checomunque videro nell’azionedi Garibaldi un contributodeterminante per la nascitanella Nazione.Questo riconoscimento, però,non aveva trovato pienamenteriscontro nel momento del-l’azione per una serie di ragio-ni. I rapporti tra Garibaldi eStato pontificio erano statiben presto pregiudicati daatteggiamenti marcatamenteanticlericali e da posizioni cul-turali e ideologiche assaidistanti. Le idee del generalesullo stato della Chiesa eranochiare e pesanti. Consideravai preti tiranni e nemici dellalibertà e del popolo; rappre-sentava il pontefice come ilgenio del male e della menzo-gna; predicava una societàdemocratica senza preti esenza altari e diceva che laredenzione di Roma, di cui si

sentiva ancoragenerale, coinci-deva con laredenzione del-l’umanità. Avevaelaborato undecalogo in cuiaffermava alpunto 6 che “ilpapato, essendola più nocivadelle sette, èdichiarato deca-duto”. E mentreovunque venivaosannato, nelloStato pontificiocrescevanointorno alla figu-ra di Garibaldiostilità, diffiden-ze che finironocon il mortifica-re l’adesioneanche di alcuni personaggiche in altri tempi avevanomostrato una certa disponibi-lità, mentre ora erano irritatida come era stata trattata laquestione di Nizza e Savoia esoprattutto dalla piemontesiz-zazione dell’Italia. Il Generalese la prendeva non con lapopolazione ma con i preti.“Ed è davvero incredibile lostato di cretinismo e di timorein cui il prete ha ridotto questidiscendenti di Mario e diScipione! Io l’avevo constatatonella mia ritirata da Roma del1849 quando, neppure con isoldi in mano ero riuscito atrovare una guida. E la storiasi ripete nel 1867”.E’ nota la tesi sul nostroRisorgimento, quale processoa direzione aristocratica e bor-ghese, sebbene corretta eintegrata dalla storiografia piùrecente che ritiene non tra-scurabile il contributo datoanche da persone di modestecondizioni e popolani. E tutta-via nella Tuscia il fenomenorisultò ancora più accentuato.Di fronte alla sfida del genera-le Garibaldi, lo Stato pontificionon era stato a guardare: datempo aveva messo in piediun sistema capillare di con-trollo che doveva scoraggiareogni suggestione eterodossa oinsurrezionale da parte dellapopolazione. Inoltre, nel casospecifico della Tuscia, vennero

meno alcune condizioni cheprobabilmente avrebberomaggiormente sollecitata l’ini-ziativa popolare, e prima fratutte l’assenza di Garibaldi,che, come abbiamo detto, fuarrestato e rispedito a Caprerae che, prima dell’attacco, piùvolte aveva raccomandato aisuoi di trattare le popolazionicome fratelli, cosa che il piùdelle volte non si verificò, percui spesso i garibaldini si pre-sentarono nei nostri comunicome bande di scalmanati edi predoni che accentuaronole diffidenze e le già difficilicondizioni delle nostre popo-lazioni.

Il Risorgimentonella Tuscia

Poiché è impossibile trattarein questa sede l’intera storiarisorgimentale della Tuscia,limiteremo l’intervento allesole linee generali e ai centriraggiunti dalla Loggetta.Iniziando dagli anni 1948-49della prima guerra d’indipen-denza, ritroviamo i nomi ditanti patrioti di Viterbo già adifesa delle città delLombardo-Veneto e dellaRepubblica Romana accantoai volontari di Garibaldi. Ilconte Francesco Caprini colfratello Pacifico furono tra ipiù solleciti. Il primo morì asoli 26 anni; il secondo, il 13

maggio 1849 al comando dialtri volontari viterbesi eromani fece saltare il ponteMilvio per impedire l’accessoai soldati francesi. FrancescoCarnevalini sarà prima a com-battere in Veneto e poi ancoraa Roma, così come anche ilmaresciallo Antonio Moneti,Domenico Marini (Vignanello)e Angelo Mangani.Quest’ultimo patriota è anchel’autore di un “Sommario” delrisorgimento viterbese. Altafigura del Risorgimento fuanche Carlo LucianoBonaparte. Figlio di Luciano eprincipe di Canino, fu uomodi forte tempra democraticarepubblicana e vicepresidentedell’Assemblea CostituenteRomana. A lui si deve l’elabo-razione della Costituzione del1849, uno dei documenticostituzionali più avanzatidella cultura politica democra-tica e morale delRisorgimento. MariaBonaparte, sorella di Carlo, èstata anch’essa figura autore-vole del Risorgimento unita-mente al marito VincenzoValentini. Iscritto al CircoloCastrense, nel 1849 parteci-pò al governo dellaRepubblica Romana con l’in-carico di ministro delle finan-ze. Con il ritorno dell’autoritàpontificia, il conte fu esule aFirenze. Secondo alcuni storiciil suicidio del Valentini, possi-

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dente di Canino, è da relazio-nare al suo tentativo di nonprestarsi all’assassinio dell’im-peratore Napoleone III, com-messogli dalla Giovane Italiache poi girò la richiesta aFelice Orsini (1858).

1848-1849

Nel 1849, dopo la proclama-zione della RepubblicaRomana, il preside di Viterbo,P. Ricci, pubblicò un manife-sto nel quale esortava le auto-rità e la guardia nazionale avigilare per mantenere l’ordinepubblico e ad apprestarsi acombattere i nemici interni edesterni della patria. Indicativiin merito, la protesta avanzatadalla Lega di Castro e dai cit-tadini di Civita Castellana (29aprile) contro l’intervento fran-cese, come anche l’indirizzoche il consiglio municipale diViterbo (1 maggio) rivolgevaal triumvirato nell’appoggiarela guerra allo straniero. Delprimo maggio è un appellodel preside nel quale leggia-mo: “Roma ha vinto. I Francesisono stati battuti su tutta lalinea. Viterbo fa partir uominiper unirsi a Garibaldi, chi nons’unisce a noi è traditore dellaPatria...”. Interessante è latestimonianza contenuta inuna lettera che un volontarioviterbese invia al padre dallebarricate di villa Medici enella quale riferisce diGaribaldi e di altri combatten-ti viterbesi. Utile è anche laproposizione di chiarimentodello stesso preside Ricci del18 maggio nella quale è dettoche “Il Municipio di Viterbolungi dall’idea di combattere laFrancia Repubblicana, ma sol-tanto quei Francesi liberticidi, iquali osassero aggredire iltranquillo nostro paese, gelo-so della propria libertà [...].Per tal effetto si avverte ilpopolo a tenersi pronto adogni chiamata della Patria inpericolo, ed i mezzi di difesagli verranno allora sommini-strati”.

1860

Nel marzo 1860, con votoplebiscitario, anche il

Granducato di Toscana e i ter-ritori pontifici di Bologna eRomagna votarono a favoredell’annessione all’Italia. Inquesta circostanza, molti deiliberali e democratici dei cen-tri laziali posti in prossimitàdel confine italiano, intensifi-carono le loro azioni di propa-ganda politica a favoredell’Italia con l’introduzione distampe, coccarde e bandieretricolori nei territori pontifici.Molti poderi e casali posti interritorio italiano ma a solepoche centinaia di metri dalconfine ecclesiastico delgovernatorato di Acqua-pendente (Grotte di Castro,Onano, Proceno, San LorenzoNuovo, Torre Alfina,Trevinano), di Valentano, maanche a Bagnoregio, divenne-ro nascondigli per armi emateriali di propaganda e luo-ghi di riunioni politiche. Adintrodurre nel territorio roma-no materiali di propagandaitaliana provvedevano, inmolti casi, persone la cuirispettabilità ed insospettabili-tà lasciava disorientati i doga-nieri pontifici. Dei militi fran-cesi stanziati inAcquapendente introducevanonella città i fogli de La Nazione.

Tra gli insospettabili vi eranopoi anche alcuni sacerdoti.Don Alfonso Mattei di Onanoe don Angelo Romagnoli diValentano non sono che inomi più noti di un più ampioelenco di presuli viterbesivotati alla causa italiana. Perle riunioni politiche, il poderedel Riservo, posto nel territo-rio italiano di San Quirico diSorano a poche centinaia dimetri dalla dogana pontificiadi Onano e di proprietà del-l’onanese Giovanni Tonielli,era uno dei rifugi più noti allagendarmeria. Poco distante daquesto era ubicata anche lafattoria di Pratolungo, il cuiproprietario, il senese LuigiBianchi, era anch’esso unuomo di idee democratiche.In un cascinale della fattoria, iCacciatori della Lega deiComuni depositarono le armidopo l’assalto alla caserma diAcquapendente nel novembre1860.Anche il casale del Voltoncino,in territorio pitiglianese ma diproprietà di Luigi Egisti diIschia di Castro, a sole pochecentinaia di metri dalla doga-na pontificia di Valentano, eraluogo d’incontro per molti esi-liati e confinati politici della

Lega Castrense e dei Comuni.Per raggiungere inosservati lesedi delle riunioni, i patriotiseguivano sentieri precedente-mente tracciati da contrab-bandieri, fuoriusciti, banditie... briganti. Già nei calamito-si anni 1848/49 si registranoriunioni politiche in luoghisicuri e dal forte valore storicoe simbolico. Significativa fu laseduta che il CircoloCastrense (47 iscritti tra iquali Costantino De Andreis,Vincenzo Valentini, AntonioBonaparte, FrancescoMazzarigi), tenne sulle ruinedi Castro per una protestacontro i soldati francesi che,sbarcati a Civitavecchia, mar-ciavano su Roma per combat-tere contro la Repubblica diMazzini. Circoli politici segreti, repub-blicani e monarchici, si regi-strano in molti centri dellaTuscia a partire soprattuttodal biennio 1848/49: Viterboe Canino, rispettivamente conil Circolo Popolare e il CircoloCastrense. A Tuscania CarloCampanari aveva fondato ilCircolo Popolare, e durante imoti del 1849 RosatiGiuseppe fece circolare nellacittà fogli a stampa con lafigura della RepubblicaRomana del 1799. Ad Onanoera stato fondato un circolomazziniano che teneva contat-ti con i democratici di Orvieto.Nell’autunno 1860, con l’in-tensificarsi delle azioni politi-che nei due governatorati diAcquapendente e diValentano, il CircoloCastrense si unì a quello dialtri centri dell’Altolazio costi-tuendosi in Cacciatori dellaLega dei Comuni, o più sem-plicemente Lega dei Comuni.Presieduta da F. Ruspantini,l’associazione di volontari eraposta agli ordini di Pepoli,Masi e Mastricola. Ad avviare i moti nell’AltaTuscia erano stati i risultatidei plebisciti di Bologna edella Romagna per l’annessio-ne all’Italia. Per prevenire escoraggiarne la diffusione nelresto dei territori pontifici, il26 marzo 1860 Pio IX fulmi-nò con la scomunica maggio-re tutti i patrioti monarchici e

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mazziniani. Il successivo 2aprile la cancelleria vescoviledi Montefiascone la rendevanota con un Avviso rivolto“contro tutti coloro, che hannousurpato, occupato, invaso leProvincie dell’EcclesiasticoDominio, non che controchiunque ha a quegli atti parte-cipato, comandato, col favore,coll’aiuto, col consiglio, col-l’adesione, o ne ha procuratola esecuzione sotto qualunquepretesto, ed in qualunquemaniera...”.Per i centri pontifici posti alconfine della Toscana, inallerta già nel marzo 1860, iltutto s’infiammò il 7 maggio1860 quando la colonna dei64 volontari del colonnelloCallimaco Zambianchi, dopoaver lasciato a Talamone iMille di Garibaldi, daManciano e poi versoPitigliano, dove arruolò altrivolontari, il successivo 19maggio marciò fin dentro iterritori dello stato dellaChiesa. Dopo aver varcato ilconfine di stato verso il lagodi Mezzano, i volontari gari-baldini furono guidati daAlessandro Gavazzi, un ricer-cato brigante, omonimo delsacerdote barnabita patriota.Il brigante, nativo di Ischia diCastro, condusse da Latera aGrotte di Castro la colonnadei garibaldini che si scontròcon i gendarmi pontifici. Dellabreve ma cruenta battagliadelle Grotte, combattuta den-tro le strette vie del paese, lefonti italiane e quelle papali-ne, come è prassi in guerra,diedero la loro più comodaversione di parte, con tanto dielogi e recensioni giornalisti-che per i vincitori e didisprezzo per gli sconfitti.Diplomi e medaglie al valorefurono rilasciati da Pio IX adalcuni coraggiosi cittadini diGrotte e ai gonfalonieri diValentano (Luigi Cruciani) e diAcquapendente (RoccoCostantini) per la loro corag-giosa risposta. La comunità delle Grotte,scampata al pericolo dell’ordarossa garibaldina per interven-to della Madonna delSuffragio, avrebbe volutoporre una targa a perenne

memoria dello scontro, ma iltutto fu limitato ad un prege-vole foglio a stampa in ele-ganti versi latini che eternavail fatto. La colonna dei volon-tari garibaldini (300 circa),prima che giungesse sul postoun rinforzo di zuavi daValentano, si ritirò in territorioitaliano dalla parte di SanQuirico di Sorano, transitandoper Onano dove ebbe il con-forto di viveri e assistenzalogistica dai fratelli Riccardo eOscar Bousquet e da altridemocratici del posto, tra iquali il notaio Giovanni Rotilie Giuseppe Paglialunga, que-st’ultimo nipote del cardinaleProspero Caterini. L’azionemilitare in territorio ecclesia-stico condotta dalloZambianchi venne immediata-mente condannata dalle auto-rità superiori di Garibaldi eitaliane, e così il colonnello,per noie precedentementeavute con la giustizia, dovetteabbandonare l’Italia lasciandogrande delusione fra le popo-lazioni del partito italiano.All’inizio di novembreGaribaldi rinunciò formalmen-te alle sue conquiste. Neifatti, l’ingresso di Garibaldi aNapoli fu per i patrioti viterbe-si e del Lazio la fine di ognitentativo di annessioneall’Italia. Napoleone III sirivolgeva direttamente aCavour affinché s’impegnassea far cessare ogni moto diannessione nei territori delPatrimonio di San Pietro alregno. Unica eccezione con-cessa fu quella per Orvietoche, staccata dalla sua mille-naria storia di città delPatrimonio, cominciò a farparte dell’Umbria. L’ordine restaurato nel capo-luogo non segnò però lascomparsa di azioni dimostra-tive contro il governo pontifi-cio. Il 19 novembre la direzio-ne di polizia di Viterbo rela-zionava che una trentina dicontadini, armati di “stromen-ti campestri” entrò da portaFiorentina e percorse le stradeprincipale della città inneg-giando a Vittorio Emanuele eGaribaldi per disperdersi poinel rione di Pianoscarano.Il rientro delle autorità pontifi-

cie non comportò, soprattuttonei due governatorati diAcquapendente e diValentano, il cessare dellearmi da parte dei patriotilocali. L’annessione con plebi-scito dell’Umbria, compresaOrvieto, all’Italia, aveva forni-to ai vicini centri laziale ulte-riore forza d’azione. La Legadei Comuni intensificò il pro-prio sforzo sia in termini diazione politica che di rivoltain armi. Con un plebiscito,votato a stragrande maggio-ranza dalle popolazioni diAcquapendente, Onano eGrotte di Castro al regno (l’at-to conclusivo fu rogato il 2novembre dal notaio GiovanniRotili) fu richiesta l’annessio-ne all’Italia delle suddettepopolazioni che, fin dalmedioevo, si avvertivano poli-ticamente unite ad Orvieto.L’annessione, in quest’ultimocaso, fu tentata oltre che perle armi anche per via giuridi-co-amministrativa, appellan-dosi agli antichi vincoli politiciche legavano alcuni centriviterbesi al comune diOrvieto.Del 25 novembre è l’assaltoalla caserma diAcquapendente da parte deivolontari della Lega deiComuni al comando di Ric-cardo Bousquet, GiuseppeMontanucci e GiuseppeBaldini. Quest’ultimo, nativodi Siena ma forse anche di

altre città toscane, era entratoin territorio pontificio con ivolontari garibaldini sbarcati aTalamone risiedendo tempora-neamente a Valentano, doveentrò in contatto conSalvatore, Nicola e LuigiRomagnoli e gli altri esponentidel partito italiano. Sempre aValentano, il capitanoRiccardo Bousquet unitamen-te a Nicola Romagnoli si pre-sentarono al governatore dellacittà intimandogli l’arresto e lapiù sollecita partenza dallacittà.L’iniziativa di lasciare i volon-tari a se stessi e non fornireloro alcun sostegno militare,fu ancora una volta dovutaalle superiori ragioni di inte-resse nazionale. L’ordine nelPatrimonio fu restaurato solonei mesi successivi. Pertantoa partire dal 1861, dopo chedalla direzione provinciale dipolizia di Viterbo fu redatto unaccurato registro delle perso-ne “sospette e che nei passatiultimi sconvolgimenti politici simostrarono caldi e fautori delpartito rivoluzionario”, tutti ipatrioti dei governi diAcquapendente, Bagnorea,Bieda, Canino, Capranica,Caprarola, Civita Castellana,Farnese, Montefiascone,Ronciglione, San Lorenzo,Nuovo, Soriano e Sutri furonoespulsi dallo stato dellaChiesa. Per quelli residenti neicentri pontifici prossimi alla

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Toscana e all’Umbria, aliasregno d’Italia, fu comodo tro-vare sistemazione aRadicofani, Sorano ePitigliano, Orvieto, luoghi con-tigui ai loro centri di prove-nienza e che consentivanoloro di continuare ad ammini-strare i loro beni e a mantene-re alta la tensione politica el’ordine in tutta l’area di confi-ne dello Stato romano concontinue incursioni. Alcuni diloro, come Giovanni Rotili,morirono esuli (1862); unalapide posta nel cimitero diSorano lo ricorda come patrio-ta cui fu cara Roma e l’Italiatutta intera e libera dalle Alpiall’Etna.Fino al 1864, con regolaritàle gendarmerie di Valentano eAcquapendente continuaronoa segnalare nella loro giurisdi-zione la presenza dei rivoltosi(Riccardo Bousquet, OresteIlari al casale del Voltoncino ead Ischia di Castro) e di stam-pe inneggianti all’Italia e aVittorio Emanuele (Farnese). ALatera, nella festa liturgica del19 marzo 1861, in moltiinneggiarono a san Giuseppepalesemente lodando però illoro santo garibaldino:Giuseppe. Ad Orte e Celleno,nella notte del 30 dicembre(1861) apparvero dei bigliettia firma di Garibaldi nei qualiil generale, da Caprera, chie-deva il sostegno per i comitatipatriottici. I biglietti chiudeva-no con l’invito: “A Roma ed aVenezia con Garibaldi e il Re”e con un ironico “Buone feste,buon anno e buon viaggio alBuon Governo della Polizia delPapa-Re”. A margine va precisato chealcuni malavitosi, sebbenenon avessero una chiaracoscienza politica (limitandosiad aspettare che la rivoluzio-ne passasse dalle loro parti),si immischiarono in motiinsurrezionali con la speranzadi ricavarne sconti dalla giu-stizia del nuovo Stato. E’ veropiuttosto che i legami delmovimento patriottico colbanditismo locale erano favo-riti dai suoi protettori, i possi-denti terrieri della zona, quasitutti liberali o mazziniani. Piùin generale i comandi militari

italiani diffidarono di questivolontari e non esitarono adallontanarli dalle loro file.Oltre al citato A. Gavazzi,ricordiamo i nomi di AgostinoPetrucci detto Garibaldi,Giovanni Menichelli e primadi loro anche DomenicoTiburzi. L’adesione di malavi-tosi alle insorgenze sarà pre-sente ancora dopo il 20 set-tembre 1870 quando, protettidalle locali potenti famigliepapaline, si posero a loro ser-vizio con l’abbassamento distemmi sabaudi, bandiere tri-colori e con biglietti contro ilgoverno italiano: Piansano,Bolsena, Vetralla, Valentano,Bagnoregio, Viterbo.

1867

La questione romana, perGaribaldi e per i suoi volonta-ri, continuò ancora nel set-tembre 1867 ma fallì aMentana, a pochi chilometrida Roma. Come già accadutonel 1862, la complicità edoppiezza del governo italianoè difficile da stabilirsi; spiegae giustifica però la condottadisinvolta che Garibaldi potétenere in tutta la vicenda. Ilgenerale, dopo aver tenuto il26 agosto ad Orvieto undiscorso nel quale progettaval’invasione dei territori pontifi-

ci e poi ancora ad Arezzo (22settembre), fu posto agli arre-sti a Caprera (27 settembre).Un indirizzo di protesta, fir-mato da 22 deputati, fra iquali figuravano Crispi,Cairoli, Acerbi, fu rivolto alpresidente della Camera. Lereazioni suscitate dal provve-dimento del governo per l’ar-resto di Garibaldi servirono adincoraggiare i volontari, chegià dai giorni 24 e 25 settem-bre avevano cominciato adaffluire al confine dello statopontificio. Dal 28 settembre 1867 finoalla sconfitta di Mentana,gran parte del territorio viter-bese fu nuovamente zona discontri tra i garibaldini dellacolonna del generale GiovanniAcerbi, zuavi francesi e solda-ti pontifici. La battaglia diViterbo, dopo i tentativi deigiorni precedenti, si concluseil 28 ottobre con l’ingressonella città del generale Acerbi,che si dichiarò pro-dittatore innome di Giuseppe Garibaldi.Nei giorni seguenti, con unvoto plebiscitario, la città,unitamente ad altri centridella provincia, si era positi-vamente espressa per l’annes-sione al regno d’Italia, matutta la successiva storia siferma per tre anni con lasconfitta di Garibaldi.

Le direttive della campagnad’invasione dello stato pontifi-cio, date da Garibaldi ai suoiufficiali, si muovevano con-temporaneamente su tre lineeconvergenti verso Roma. Dallafrontiera meridionale abruzze-se il generale GiovanniNicotera si sarebbe direttoverso Velletri; MenottiGaribaldi sarebbe entrato daTerni-Tivoli o Monterondo, ilgenerale Giovanni Acerbi danord avrebbe seguito la diret-trice per Viterbo. All’interno diRoma, il Partito d’Azioneavrebbe dovuto fomentare larivolta popolare. Il 28 settem-bre ha inizio l’invasione deiterritori della provincia diViterbo da parte dei volontarigaribaldini che si titolavano,più correttamente, Corpo deiCacciatori Romani. La colonnaAcerbi si muoveva pressochécontemporaneamente su tredirezioni principali: Orvieto-Bagnoregio, dal confine tosca-no verso Torre Alfina-Acquapendente, dal Tirrenoverso il lago di Bolsena.Le operazioni dei garibaldiniconcentrati a Torre Alfinaebbero come capi il conteGiovanni Pagliacci Sacchi diViterbo, i fratelli Filippo edAlessandro Salvatori diCaprarola, Angelo e PietroLeali di Acquapendente,Giuseppe Montanucci diBolsena ed Ermenigildo Tondi,uno dei più autorevoli espo-nenti dell’insurrezione diViterbo nel 1860. Lo scaglio-ne che dal confine toscanomarciava nella zona fra ilmare e il lago di Bolsena eche il giorno 29 aveva occu-pato Farnese, inizialmente fuguidata da ReginaldoAlessandrini, successivamentedall’instancabile GiuseppeBaldini.Degli scontri di Bagnorea(Bagnoregio), Farnese,Acquapendente, esiste unadiscreta documentazionebibliografica e non può certoesporsi in questa sede. Ancheper Viterbo, ampie e diversifi-cate risultano sia le fonti stori-che d’archivio che quellebibliografiche (Signorelli,Barbini). Le conoscenze sonocompletate anche da brevissi-

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me annotazioni lasciate daicittadini (Carlo A. Morini) edai garibaldini della città(Angelo Papini), utili informa-zioni che ci rivelano anche lavivacità e la partecipazioneemotiva ai fatti: il fatto d’armea Porta della Verità (24 otto-bre e poi ancora il 28 otto-bre). Dall’Avviso per l’arruola-mento dei volontari dei“Cacciatori Romani” nella pro-vincia di Viterbo (29 ottobre),alle schede che approvanol’annessione plebiscitaria diViterbo al regno, al proclamadel generale Acerbi (6 novem-bre) fino poi al rientro delgoverno pontificio e allaOrazione nella chiesa di santaRosa per lo scampato pericolodalla “orda nemica... che sidisparve senza neppure unastilla di sangue cittadino, tragli orrori della notte, comevapore ad un soffio di vento”,tutto è utile per ricomporre lastoria della città nei fatti del1867. Per il loro marcato giu-dizio sono da segnalare anchedegli articoli di CiviltàCattolica (1867) e il saggio di

G. Castellanno Tarabini, DaBagnorea a Roma ossia iCrociati del secolo XIX alladifesa della tomba di SanPietro (Modena, 1868). Comecrociati difensori della sede diSan Pietro, sulla facciata divilla Lucattini a Farnese doveavvenne lo scontro tra garibal-dini e zuavi (1867), è collo-cata una targa che ricorda lamorte dell’ufficiale francese E.Dufournel. La croce capovoltasulla targa reca il simbolo delmartirio dell’apostolo e confer-ma la missione ideale a cui sirichiamavano gli zuavi a dife-sa della Chiesa.

1870

La sconfitta della Francia aSedan da parte della Prussiasegna l’ingresso in Roma deibersaglieri italiani del genera-le Raffaele Cadorna (20 set-tembre 1870). Pochi giornidopo Viterbo e provincia, con25.386 sì e 261 voti contra-ri, esplicitarono la loro volon-tà di annessione al regnod’Italia.

Bibliografia a cura di Giancarlo Breccola,coordinatore degli interventi

ASCC, Archivio Storico del comune di Canino, DelibereASV, Archivio di Stato di Viterbo, Direzione di PoliziaASV, In nome di Dio e del Popolo. Repubblica Romana 1848-849,sezione didattica, a.s. 1983/84Barbini, Bruno, Angelo Mangani, Viterbo 1978Barbini, Bruno, Come un ufficiale pontificio visse la campagna del1867. Dal diario Mattia Manetti, in Biblioteca e Società anno IX, n.3-4, 31 dicembre 1990 Barbini, Bruno, Dai versi eruditi di Maria Bonaparte alle satire ano-nime affisse sui muri, in Biblioteca e Società, n. 3, anno I, giugno1979Barbini, Bruno, Il Risorgimento viterbese nel ‘Sommario’ di AngeloMangani, Viterbo 1978Bonetti, Da Bagnorea a Mentana, ossia storia dell’invasione gari-baldina negli Stati pontifici, Lucca 1889Carosi, Attilio (catalogo a cura di) Mostra Storica del Risorgimentonel Viterbese, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano,Comitato di Viterbo, Viterbo 1967Castellani, G., Da Bagnorea a Roma, ossia i Crociati del sec. XIXalla difesa della tomba di S. Pietro, Modena 1868Castellanno Tarabini, G., Da Bagnorea a Roma ossia i Crociati delsecolo XIX alla difesa della tomba di San Pietro, Modena 1868 Cavallotti, F.-Maineri, B.E., Storia della insurrezione di Roma nel1867, Milano 1869Civiltà Cattolica, alcuni numeri del 1867Cordovani, Rinaldo, Appunti per una storia locale alternativa, in LaVoce, dicembre 1978Cordovani, Rinaldo, Durò solo un mese la liberazione di Monte-fia-scone nel 1860, in Biblioteca e Società, anno II, n.3, Viterbo1980Crocoli, Giovan Battista, Celleno dalle origini al 1870. Con cennistorici sui castelli vicini, Celleno 1989Di Porto, Bruno, Garibaldini e Restaurazione Pontificia nel 1867 aViterbo, Roma 1970Fumi, Luigi, Orvieto-Note storiche e biografiche, Città di Castello1891Galli, G., Memorie storiche di CaninoIsnenghi, M., Garibaldi fu ferito. Storia e mito di un rivoluzionariodisciplinato, Roma 2007J. M. Schleyer, Die Helden von Mentana, Valentano und Bagnorea,1868Mack Smith, D., Garibaldi, Milano 1995 Morini, Carlo A., annotazioniMorleschi, Marcello, Montefiascone nell’800. Politica, amministra-zione ed economia prima e dopo l’unità, Roma 1985-86 tesi dilaurea - lettere e filosofia - univ. La SapienzaOsservatore Romano, 9, 12 ottobre - 8, 12, 26 novembre 1867Papini, Angelo, annotazioniPetrangeli Papini, F., La battaglia di Bagnorea.Un episodio dellacampagna garibaldina del 1867, Roma 1965 Ruspantini, Angelo, I fatti e i documenti del RisorgimentoViterbese nell’anno 1860, Viterbo 1978Ruspantini, Angelo, I fatti e i documenti del RisorgimentoViterbese negli anni 1848-1849, Viterbo 1980Ruspantini, Angelo, I Fatti e i documenti del RisorgimentoViterbese negli anni 1867 e 1870, Viterbo 1986Signorelli, Giuseppe, Viterbo dal 1789 al 1870, Viterbo 1914 Villari, L. (a cura), Il Risorgimento. Storia, documenti, testimonian-ze, La biblioteca di Repubblica-L’Espresso 2007

Le incisioni riprodotte sono tratte dall’opera di Cavalotti F.-Maineri,B.E., Storia dell’insurrezione di Roma, Milano 1869

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“S e a Viterbo piove, noi a Acquapendente l’om-brella nun l’aprimo” si sente dire spesso, tal-volta anche nelle sedi istituzionali, e questoa significare che i fatti o la politica di Viterbo

non hanno automatiche ripercussioni ad Acquapendentee la “mentalità” predominante degli aquesiani non sempresi trova allineata con quella del resto del viterbese. La posizione geografica del comune, incastonato traUmbria e Toscana, e la via Cassia che da sempre lo attra-versa, hanno favorito la circolazione di beni materiali e diidee e le contaminazioni culturali si sono riflesse nella“mentalità” locale: è successo per decenni nella storiarecente, che l’orientamento politico degli aquesiani fossedi segno opposto rispetto a quello di gran parte della pro-vincia e, andando più indietro nel tempo, è significativoche Acquapendente sia stato tra i primi comuni del Lazioad instaurare una Municipalità repubblicana, nel 1798, aseguito di quel movimento di idee scaturito all’indomanidella Rivoluzione francese. Personaggi di Acquapendenteebbero importanti incarichi nell’ambito della RepubblicaRomana del 1798, come pure ebbero un ruolo significativoin quella del 1849. Poco dopo, sulla base delle precedentiesperienze, la città fu coinvolta, ben più del resto della pro-vincia, negli avvenimenti che sfociarono nell’Unità d’Italia,di cui Garibaldi fu il più popolare dei protagonisti.I fatti che videro Acquapendente teatro delle dispute tral’esercito pontificio e le truppe garibaldine, durante ilperiodo 1860-1870, sono puntualmente descritte, daopposti fronti, dal garibaldino Felice Cavallotti nel volume“Storia dell’insurrezione di Roma nel 1867” e in un mano-scritto, una specie di diario di un testimone locale,Antonio Poponi. Il manoscritto, arricchito da notizie stori-che e documentarie dal giudice, nonché studioso di storiadel risorgimento e appassionato di storia locale, MarioBattaglini, è stato pubblicato nel 1987 con il titolo“Cronache di tempi calamitosi”. Da questo testo ricaviamo la cronaca di quegli anni vistadall’aquesiano Antonio Poponi, un osservatore attento,curioso e critico, che, in occasione della nascita del nuovoStato italiano richiama la canzoncina: “Ai tempi di Lorenav’era pane e la cena. Ai tempi di Piemonte pan di cani eacqua di fonte”. Il Poponi era uomo assai colto per l’epoca, aveva il titolodi geometra e si interessava anche di medicina. Più papa-lino che garibaldino, è certamente un uomo del suotempo e non risparmia critiche a nessuno. Non nascondeinfatti che a “distruggere la dottrina del Cristo” hanno con-corso anche “dei preti non santi”. Nel suo scritto offre un quadro abbastanza completo ed,in ogni caso, preciso delle lotte che infuriavano lungo iconfini dello Stato pontificio, allorché esso si trovò chiuso

da ogni parte dal nuovo Stato sabau-do. Un papato ormai alla fine, vasodi coccio tra due schieramenti chesi ritrovavano anche all’internodella comunità aquesiana: gliamanti dello status quo e i “garibal-dini”: dei primi fanno parte la picco-la aristocrazia cittadina e la classedirigente della comunità, tra cui ilPoponi stesso; dei secondi alcuni rivolu-

Le “Cronache” di Antonio Poponi, riguardano soprattutto tre anni: il 1860, il 1861 e il1867, in cui avvengono anche fatti di sangue con le morti dell’aquesiano AntonioPuggi (consuocero di Antonio Poponi) e del garibaldino Giovanni Casella di Parma.Nel curare le “Cronache”, Mario Battaglini ha compilato la precisa cronologia cheriportiamo di seguito, in cui sono evidenziati tutti gli spostamenti delle truppe e imomenti di occupazione che si sono succeduti in quegli anni.

1860 7 maggio - Partono da Talamone i garibaldini diretti a Roma, agli ordini del comandanteZambianchi. 19 maggio - I garibaldini giungono a Grotte di Castro: dopo uno scontro con i pontifici,nella serata si ritirano rientrando in Toscana. 8 settembre - L’esercito piemontese si concentra ai confini della Toscana con lo Stato pon-tificio. 12 settembre - Le truppe piemontesi entrano a Sansepolcro in Umbria. 18 settembre - Il colonnello Masi occupa Montefiascone. 19 settembre - I piemontesi muovono su Viterbo che viene abbandonata dai pontifici. IlComitato nazionale di Viterbo dichiara decaduto il governo papale. 20 settembre - I piemontesi entrano in Viterbo. 21 settembre - La bandiera tricolore sventola sul Palazzo dell’Archivio: il Governatore egli altri impiegati partono per Roma. 22 settembre - Lo stemma pontificio è abbattuto. Viene nominata una Giunta provvisoria.È abolito il dazio sul macinato ed è istituita la Guardia Nazionale. 6 ottobre - Pepoli raccomanda ai viterbesi di resistere solo ai francesi. 10 ottobre - I piemontesi lasciano Viterbo. 11 ottobre - I francesi rioccupano Viterbo. 12 ottobre - Emigrano dodici capi liberali e fino al 19 ottobre manca qualsiasi organo digoverno. 20 ottobre - Rientrano gli emigrati. 21 ottobre - I francesi a Montefiascone. 22 ottobre - Voci di avanzata dei francesi. 2 novembre - Prima della partenza della Giunta per la Toscana, gli aquesiani approvano,con un plebiscito, l’unione col Regno d’Italia. Trecento francesi rioccupano Acquapendente: Francesco Barberini è Governatore, RoccoCostantini, Gonfaloniere. 18 novembre - Ai Casalini viene affissa l’immagine di Vittorio Emanuele II. 19 novembre - Vengono affissi vari manifesti antipapali. 20 novembre - Giungono 30 gendarmi. 21 novembre - I gendarmi partono per Onano. 22 novembre - Tornano i gendarmi. 25 novembre - Due effigi di Vittorio Emanuele II appaiono sulla pubblica piazza. A mezzanotte 40 volontari al comando di Bousquet e Montanucci assalgono la casermadei gendarmi. Alessandro Puggi è ucciso. 26 novembre - Cinque gendarmi che dormivano alla Locanda della Campana, fuggonoverso Viterbo. - Sul Palazzo comunale viene innalzata la bandiera tricolore. 27 novembre - Entrano i volontari e alloggiano nella Caserma dei gendarmi. 28 novembre - Bousquet ordina la restituzione delle cose rubate nella Caserma. Essendosi annunziato che i francesi si avvicinano, volontari si ritirano ad Onano. 29 novembre - Tornano i volontari che si ritirano di nuovo a Proceno. 30 novembre - Giungono 250 francesi. 1 dicembre - I volontari si ritirano a Santa Maria delle Piane in Toscana. 2 dicembre - Montanucci ad Orvieto, Bosquet a Perugia. Plebiscito votato ad Acquapendente, Onano e Grotta di Castro. 3 dicembre - Giungono 300 francesi in sostituzione di quelli arrivati il 30 novembre. 5 dicembre - È reintrodotto il dazio sul macinato. 8 dicembre - L’editto del macinato è strappato dalle pareti dove era affisso. 10 dicembre - L’applicazione del dazio sul macinato e affidata ai gendarmi. 12 dicembre - Rivolta ad Onano: vi giungono 60 francesi, ma appena essi ripartono, il tri-colore torna sul Palazzo comunale. 21 dicembre - Rissa, davanti al Caffè Antonaroli, tra gendarmi e liberali. 24 dicembre - Un brigadiere dei gendarmi è ferito in una bettola. 25 dicembre - Due degli assalitori del brigadiere si rifugiano ad Orvieto.

Acquapendente

Marcello Rossi

Antonio Poponi

Cronache ditempi calamitosi

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zionari come PaoloChiodo o Giuseppe Tau-relli, e talvolta “emigratiaquesiani” che ben pocoavevano a che fare conGaribaldi, volevano l’an-nessione al Regno d’Italiae andavano e venivano incittà a seconda della si-tuazione politica.Nel ricchissimo e circo-stanziato commento altesto, Mario Battagliniconstata che dopo il1860, con il Papato circo-scritto all’attuale Lazio,Acquapendente fu unpunto strategico in cui lalunghezza del confine, lapresenza di folte mac-

1861 15 febbraio - Giunge notizia della capitolazione di Gaeta. 14 marzo - Vittorio Emanuele II è proclamato Re d’Italia. 22 aprile - Sei giovani partono per Radicofani per arruolarsi. Giunge il 40° Reggimento Granatieri francesi. 23 aprile - Rientrano da Radicofani i sei giovani. 8 maggio - Terremoto senza vittime. 15 giugno - Si dice che Napoleone III abbia riconosciuto il Regno d’Italia.

1867 28 settembre - Azzanesi a Montefiascone. 29 settembre - Voci di volontari nella Bandita. I garibaldini a Grotte di Castro e Farnese.250 garibaldini assalgono Acquapendente. 30 settembre - Una compagnia di camicie rosse marcia su Acquapendente, provenendo daCenteno. I gendarmi si chiudono nella Caserma che viene assalita: muore il garibaldinoCasella; i gendarmi si arrendono. 1 ottobre - Il garibaldino Casella è seppellito nella Chiesa della Colonna. Scaramuccia tra40 volontari e una compagnia di zuavi: 17 volontari fatti prigionieri. - Azzanesi giunge ad Acquapendente. 4 ottobre - Ordine agli zuavi di trasferirsi a Montefiascone. 5 ottobre - Battaglia di Bagnoreggio. 6 ottobre - Arriva una compagnia di linea e molti gendarmi. 8 ottobre - La truppa parte per Farnese. - Acerbi a Torre Alfina. 9 ottobre - Primo bando di Acerbi da Torre Alfìna. 11 ottobre - Giungono dei volontari. 12 ottobre - Altri 120 volontari raggiungono Acerbi a Torre Alfìna. Altri garibaldini giungono agli ordini del maggiore Pennazzi. 13 ottobre - Il maggiore Pennazzi chiede agli aquesiani un contributo di 6000 lire, più dodi-ci cavalli e dodici asini. Sopraggiungono 200 zuavi che, a S. Lorenzo Nuovo, avevano fatto prigioniero ilCommissario di guerra Ellèr, ma si allontanano subito per Valentano. 14 ottobre - Tornano i volontari. 15 ottobre - Un distaccamento, giunto da Torre Alfina, chiede 1000 razioni, armi, cavalli escarpe e si dirige a Valentano, ma è fermato a S. Lorenzo. 16 ottobre - I carabinieri pontifici sono sconfitti a S. Lorenzo. 17 ottobre - Giunge una compagnia agli ordini del Maggiore Proveggi e si accampa al casi-no Piccioni alla Sbarra. 19 ottobre - Scontro a Farnese tra garibaldini e zuavi: vi muoiono il tenente Dufournel etre garibaldini. - Acerbi assume il titolo di prodittatore. 21 ottobre - Giunge Acerbi diretto a Viterbo. 22 ottobre - Acerbi passa in rivista le truppe e chiede al Gonfaloniere 5000 lire. Partenzaper Viterbo. 24 ottobre - Acerbi occupa Celleno. 25 ottobre - Ottocento garibaldini assalgono Viterbo. 26 ottobre - La flotta francese parte per Civitavecchia. 28 ottobre - La flotta francese giunge a Civitavecchia. 29 ottobre - Le truppe francesi sbarcano a Civitavecchia. 30 ottobre - Il governo italiano ordina alle regie truppe di varcare la frontiera. 31 ottobre - Le truppe italiane giungono da Radicofani con quattro pezzi di artiglieria.Paolo Chiodo innalza la bandiera tricolore sul Palazzo comunale. 3 novembre - Battaglia di Mentana. 5 novembre - Partenza delle truppe italiane.

187016 giugno - La Francia dichiara guerra alla Prussia.24 giugno - Iniziano le ostilità.1 settembre - Napoleone III si arrende a Sédan.11 settembre - L’esercito italiano inizia l’invasione dello Stato pontificio.20 settembre - Breccia di Porta Pia.6 ottobre - Annessione di Roma all'Italia.

chie e le numerose strade resero possibile una guerrigliasnervante e solo apparentemente di scarsa importanzaper le sorti dello Stato pontificio.Le azioni talvolta duravano pochi minuti, talvolta un gior-no o due: raramente si prolungavano oltre. Presi di miraerano soprattutto il simbolo di quello che era il fulcrodella lotta: il dazio sul macinato, e cioè la stadera, poi lostemma pontificio, infine la caserma dei gendarmi. Si trat-tava di scontri poco o nulla cruenti, durante i quali leguardie, spesse volte, non comparivano per nulla. Infattidalle “Cronache” traspare chiarissima la scarsa volontà dicombattere delle guardie, dai gendarmi che si chiudono incaserma, ai finanzieri che nella caserma chiudono i propriufficiali e disertano.Secondo il Poponi “fra gli emigranti vi erano dei facoltosi...ma vi erano pure dei piccolissimi possidenti i quali permantenersi dovettero dar fondo e in tutto e in parte ai lorocapitali”. Erano bande male armate e peggio vestite, senzai modi né le sembianze di un vero esercito; molti eranocontadini che nessun rapporto avevano con gruppi o sin-gole persone dell’Italia sabauda. La loro rivolta, il loroarruolamento avveniva spontaneamente “per andare allaguerra dell’Indipendenza italiana: ... per questo nessuno liincita e tuttavia essi si arruolano abbandonando la famigliaed i lavori di campagna”.Pochi motivi ideali o sentimentali traspaiono dal raccon-to del Poponi, l’unico movente sembra quello economico:la lotta contro il dazio del macinato, la rivolta contro ilgoverno papale appare come ribellione dei poveri controgli abusi dei ricchi, guerriglia di coloro che cercavano discuotersi di dosso il peso di uno Stato in sfacelo, cheneanche i suoi soldati difendevano più. Nel novembre 1860 fu scritto sulle mura di Acquapen-dente: “Sai chi vuole il macinato? Quel ladro del segretariodi Stato!”. Inoltre, proprio nei momenti in cui il Poponi siaddolora di più per la fine del “suo Stato”, egli deve am-mettere che la colpa è soprattutto dei “cattivi sacerdoti”, edi questi egli trova esempi notevoli anche entro le mura diAcquapendente.

Acquapendente 1867Scontro tra zuavi pontifici e garibaldini

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“ACQUAPENDENTE LIBERATA DALLA TIRANNIDE PAPA-LE”: così recita la parte iniziale di unagrande lapide bianca sita nel muro dicinta di destra del cimitero della città.

Sotto di essa sono sepolti i resti mortali di GiovanniCasella, al quale il comune volle dare perpetua onoran-za. Questi era un garibaldino parmense caduto com-battendo contro i gendarmi papalini che difendevano anord i confini estremi dello Stato pontificio. Il delegatogovernativo aveva più volte chiesto adeguati rinforzialle autorità competenti per la gendarmeria locale,avendo avuto sentore di quello che stava accadendo.In effetti, quando un numeroso drappello di camicierosse avanzò verso Acquapendente, i pochi gendarmi,raggiunti nel frattempo a rinforzo da alcune decine dimilitari, anziché affrontare i garibaldini, si rinchiuseroa difesa della caserma. Dopo poche scaramucce edalcuni colpi di fucile e pistola, i gendarmi furonocostretti ad arrendersi perché il tetto della loro caser-ma era in fiamme, incendiato dagli assalitori. 36 prigio-nieri, 6 cavalli e 40 carabine il bottino di quest’ultimi,che lasciarono sul campo, tra gli altri, Giovanni Casellafreddato da un colpo di pistola.Erano le due pomeridiane del 30 settembre 1867. Ilgiorno successivo il Governatore mandò una compa-gnia a riconquistare la città perché strategicamente

troppo importante. Con i garibaldini in ritirata, lasalma del Casella fu seppellita, per sfregio, alla chiesadella Colonna, accanto a quella di un brigante, taleAgostino Petrucci, catturato ed ucciso in quei giornidalle forze di polizia. Solo nel 1885 il comune ordinò lariesumazione della salma e la sepoltura, in forma uffi-ciale e solenne, nel nuovo cimitero.Attualmente tutte le persone più anziane sanno chi eraGiovanni Casella e quando si passa davanti a quellalapide, molto spesso, si vedono genitori che racconta-no del garibaldino ai propri figli e nipoti. Non mancamai su quella tomba un fiore, deposto con sensi dipietà e ringraziamento per la ritrovata libertà. Ecco qui, ora, il verbale della esumazione.

Comune di Acquapendente - L’anno milleottocentoottan-tacinque il giorno tre del mese di ottobre alle ore cinquepomeridiane.Il sottoscritto Cavalier Vincenzo Paoletti Sindaco, assisti-to dall’infrascritto Segretario comunale, si è recato nellavia denominata La Recisa e precisamente pel tratto distrada che fiancheggia a mezzogiorno la Chiesa dettadella Colonna per procedere alla esumazione degliavanzi mortali del valoroso Garibaldino GiovanniCasella da Parma morto in Acquapendente combattendopel riscatto della Patria e per la liberazione di Roma il30 settembre 1867.Scopo di tale esumazione si è rimuovere dal luogo inde-gno in cui giacquero per lungo tempo le onorate spoglieper darle conforme giustizia richiede, con degno sepol-cro nel pubblico Cimitero di questa Città.Sono presenti alla esumazione l’Ill.mo Sig. CavaliereUlisse Maccaferri Sotto Prefetto di Viterbo, il Sig. Tavosodr. Alessandro Pretore di questo Mandamento, il Sig.Nicola Contuzzi delegato di P.S., il Sig. Giuseppe TaurelliSalimbeni Assessore Municipale, il Sig. Conte PietroLeali Reduce Garibaldino, Presidente della Società diMutuo soccorso in Acquapendente, la rappresentanzadella Società fra i cappellai, il Sig. Tenente dei RR.Carabinieri comandante la tenenza di Montefiascone.Visto l'art. 66 del Regolamento sanitario 6 settembre1876 n. 2120 si è proceduto all’esumazione nel luogoindicato e riconosciuti e costatati gli avanzi sono staticollocati in un’urna di zingo.Saldata la cassa di zingo si è sovrapposto in forma dicroce un filo di ottone e venne apposto un sigillo di ceralacca con impressovi il timbro municipale.Dopo che, l’urna mortuaria viene affidata allaRappresentanza dei Reduci Garibaldini della Città peressere trasportata al palazzo Municipale e quivi daimedesimi custodita nella sala principale sino al giornodi domani in cui si effettuerà il trasporto con pubblicapompa e manifestazione di onore.Il presente processo verbale viene firmato dagli interve-nuti per essere poi conservato nell’Archivio Municipale.(seguono le firme)

di Giovanni Riccini

Lapide al cimitero di Acquapendente

Giovanni Casellagaribaldino parmense

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Di garibaldini ad Acquapendente parla ancheGiuseppe Corteccioni, classe 1906, calzolaio,personaggio poliedrico e bontempone che sidilettava di poesia e letteratura: “La passione

dell’arte poetica è sorta in me, perché da molti annileggo poesie di grandi illustri maestri. Il Dante, il Tasso,il Carducci, sono stati i miei ispiratori nel farmi compila-re alcuni brani poetici...”. Con queste parole, lasciatenella prefazione, egli introduce il poemetto in quattrocanti dal titolo “Colloquio”, pubblicato appena dopo laseconda guerra mondiale. Ispirato da Dante, il Cor-teccioni pur riconoscendo che “Il lettore nello sfogliareil presente, non creda di trovare versi superbamente bel-li, ma solo modestissime sestine dedicate ai miei amatis-simi concittadini che riposano nel mio Camposanto”,prova a intraprendere, in una notte, un breve viaggio alcimitero accompagnato dallo spettro dell’amicoMoretti, come Dante da Virgilio. Nel girovagare tra lelapidi e le tombe, si imbatte in due garibaldini: unorimasto famoso, il Casella; l’altro, il Meschini, diventa-to successivamente quasi sconosciuto e dimenticatodalla sua città:

Giunti fummo da due GaribaldiniUno è Casella e l’altro in su è il Meschini.

E primi dal Meschini ci fermammo Per soddisfare meglio il nostro ingegno;Ond’io e’l morto così ben parlammoDi quel grand’uomo bellicoso e degno:Ch’egli ben fu di Garibaldi un forteSbarcò a Marsala affrontando la morte.

In effetti, a differenza di Casella, a tutt’oggiLeopoldo Meschini compare nell’elenco deiMille che furono al seguito di Garibaldi nellafamosa spedizione.Leopoldo Meschini, nato a Sarteano il 14 feb-braio 1828, si era trasferito con la famiglia adAcquapendente all’età di due o tre anni. Diprofessione era bracciante agricolo e spesso sirecava in Maremma per svolgere i lavori sta-gionali. Si trovava vicino a Talamone quandoseppe che le imbarcazioni di Garibaldi si eranofermate proprio in questa località per i riforni-menti e per reclutare giovani, così Leopoldo sirecò sul posto e si imbarcò con i Mille. Com-batté tutte le battaglie e quando il corpo dispedizione si sciolse tornò ad Acquapendente,riprese tranquillamente il suo lavoro da brac-ciante agricolo e fu soprannominato dagliaquesiani “MILLE”. Abitava con la moglie (nonavevano figli) nello stabile di fronte alla fonta-na della Rugarella e continuava a recarsi ognianno a svolgere i lavori stagionali in Marem-

di Giovanni Riccini

Acquapendente 1867. Incendio alla caserma dei gendarmi

Mille: grand’uomo bellicoso e degno

ma. Un giorno venne a conoscenza del fatto che Gari-baldi, proveniente da Civitavecchia, sarebbe passatoper la via Aurelia, così, senza esitare, sporco e con ivestiti laceri con cui stava lavorando, corse ad aspet-tarlo. Quando lo vide si mise in mezzo alla strada gri-dando: “Garibaldi, io sono uno dei Mille!”. Questi, scesoda cavallo, lo squadrò da capo a piedi e gli rispose: “...E così sei ridotto?”. Poi fece prendere le sue generalitàe gli fece ottenere un piccola pensione.La tomba originale di Leopoldo, la cui lapide lo ricor-dava come un valoroso garibaldino, si trovava sulmuro di cinta a destra dell’entrata principale del cimi-tero di Acquapendente. Fu poi distrutta per costruiredei loculi e in uno di questi sono stati tumulati i suoiresti, ma sulla sua lapide oggi c’è scritto soltanto“Leopoldo Meschini l883” (morì invece il 12 gennaio1882, lo stesso anno di Garibaldi) e, purtroppo, nessuncenno al suo valoroso passato che gli aveva comporta-to per tutta la vita il soprannome di MILLE.

Un ringraziamento a Giorgio Roncae Gabriella Barboni per le ricerche svolte

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Nel 1866 l’Austria restituisceall’Italia il Veneto, ma è nel-l’anno successivo che av-viene lo scontro cruciale

per la risoluzione della cosiddettaquestione romana, nella campagnadi annessione di Roma e dello Statopontificio. Il primo imprevisto arre-sto della rapida azione garibaldinaha luogo nell’Altolazio, a Bagnore-gio, nell’autunno del 1867.Il 29 settembre uomini guidati da untale Cordella occupano Bagnoregio,abbandonata senza tentativo di resi-stenza dalla guarnigione pontificiacomposta da 70 zuavi al comandodel ten. Enrico Wyart. Ma già primadell’arrivo di Cordella un gruppo dicamicie rosse tenta di prendere disorpresa Bagnoregio con un assaltoal convento di S. Francesco. Durantel’occupazione della cittadina ungruppo di 15 uomini libera dalle car-ceri tre loro compagni e subito vienecostituita un’amministrazione prov-visoria con a capo Domenico Agostie Vincenzo Gaddi, due bagnoresi cheavevano partecipato ad Orvieto aipreparativi della conquista.Nel popolo di Bagnoregio ad unainiziale diffidenza nei confronti del-le camicie rosse, subentra una verae propria ostilità, dovuta soprattut-to all’impeto con cui venivano occu-pate case e procurati viveri per ivolontari. Il 2 ottobre il col. AchilleAzzanesi, luogotenente dell’eserci-to pontificio per la provincia diViterbo, lasciata ad Acquapenden-te una guarnigione di 100 uominifra gendarmi e zuavi, si mette inmarcia verso Bolsena. Il giornoseguente una banda garibaldinadiretta verso Bagnoregio si scon-tra con il cap. Le Godinec, che rie-sce a catturare sei volontari. Aquesto punto Azzanesi, vista l’e-siguità delle forze dei volontari,

decide di riconquistare Bagnoregio.Il cap. Paolo Gentili partendo da Bol-sena porta i suoi uomini e alcunizuavi sulla strada per Bagnoregio,passando per la frazione della Ca-praccia. Nel frattempo si aggiungonoagli uomini di Cordella altri garibal-dini guidati da Giacomo Gallianoche, passando per Graffignano e poiCastiglione in Teverina, giunge a Ba-gnoregio mentre le truppe pontificiesono ancora in marcia alle portedella cittadina. Gli uomini del Gentilivengono subito accerchiati, non glirimane che suonare la ritirata e ritor-nare sulla strada per Bolsena; nono-stante ciò i garibaldini riescono acatturare 24 uomini tra gli avversari.L’arrivo di nuove bande indipenden-ti, ciascuna con un proprio capo, e lamancanza di un coordinamentogenerale crea disordini tra gli uomini

che occupano Bagnoregio. Nasconodelle ostilità tra Galliano e il maggio-re Ravini che secondo gli ordini diAcerbi avrebbe dovuto assumere ilcomando dei garibaldini.L’occupazione di Bagnoregio e ilrisultato dell’azione del 3 ottobrepreoccupa il comando pontificio diRoma. Nel piano strategico di difesa,Bagnoregio e Valentano assumonoun’importanza decisiva nel controllodell’intera area a nord di Roma. Il 4ottobre il col. Azzanesi riceve da Ro-ma il seguente telegramma: “AttacchiBagnorea con forze competenti. Nonlasci inutili guarnigioni”. L’ordine èconfermato dal generale Raffaele deCourten, comandante della primasuddivisione, giunto a Montefiasco-ne il giorno stesso.Gli uomini che avanzano verso Ba-gnoregio sono circa 500 (pari alnumero dei garibaldini), partiti daMontefiascone alle ore 7 del mattinodel 5 ottobre. Divisi in due colonne,un gruppo di papalini riunitosi conuna squadra proveniente da Valen-tano, si dirige verso la Capracciadove li attendono, nel diruto castellodella Cervara, 50 volontari guidati daGalliano. Quella che in seguito saràresa celebre come la battaglia diBagnorea ha inizio alle 11 del matti-no e durerà per circa tre ore.I garibaldini (stanchi, privi di unaguida unitaria e soprattutto malearmati rispetto agli avversari) sonoposizionati sulle due alture princi-pali da cui è possibile controllarel’accesso alla città: il colle dellePalare e il convento di S. Francesco.Superate le difese sparse nella cit-tadina, gli zuavi circondano il con-vento e rispondono violentementeal fuoco proveniente dalle finestre.La porta viene abbattuta; i volon-tari, 50 circa, si ritirano al pianosuperiore ma si rendono subito

Bagnoregio

Luca Pesante

Fare l’ItaliaI garibaldini nella storia di Bagnoregio

Lapide in memoria dei garibaldini caduti

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conto che l’unica soluzione è la resa.Il ten. Wyart dichara i garibaldini pri-gionieri e li fa chiudere in una came-ra.Barbieri, difensore delle Palare, nonprevede l’improvviso arrivo di un’al-tra colonna di zuavi. Lancia alcuniuomini per alleggerire la pressioneesercitata sul convento ma è costret-to a richiamarli subito per non farliprendere alle spalle. Il gruppo dellePalare resiste fino a quando, accer-chiato da ogni lato, esaurisce lemunizioni. I garibaldini non si arren-dono, con una veloce disperata fugascendono dal colle e raggiungono lastrada per Orvieto.Nel frattempo gli uomini del col. Az-zanesi si dirigono davanti la porta diBagnoregio nel tentativo di entrarenell’abitato dove si nasconde un al-tro gruppo di garibaldini. Questi ulti-mi si rendono conto dell’impossibili-tà di cambiare le sorti della battaglia,si ritirano lungo il paese, scendononella valle e si dirigono verso il con-fine per unirsi ad altre bande divolontari. I cittadini stessi di Bagno-regio, vedendo le camicie rosse al-lontanarsi, spalancano le porte dellacittà ai vincitori. Il fuoco termina alleore 14, suonano a festa le campane,il generale De Courten si reca in piaz-za del comune e ristabilisce in nomedel papa le legittime autorità.La battaglia di Bagnorea del 5 otto-bre ha causato un solo morto (il sot-totenente De Mirabal) e 5 feriti tra icombattenti pontifici; 13 invece icaduti e 33 feriti tra i garibaldini. Ilnumero attendibile dei prigioniericondotti nelle prigioni di Castel S.Angelo in Roma, indicato da Grego-rovius nei Diari Romani, è di 110.Ma lo scontro del 5 ottobre non chiu-de la questione di Bagnoregio. Ora ilpiù munito caposaldo garibaldino èTorre Alfina, luogo in cui sono accor-si i reduci di Bagnoregio e dove sitrovano anche il generale Acerbi(dall’8 ottobre) e Giacomo Galliano.Il 22 ottobre Acerbi muove da TorreAlfina con 1400 uomini, pernotta adAcquapendente e a S. Lorenzo, ilgiorno seguente occupa Celleno eprosegue la marcia verso Viterbo. Gliattacchi alla città, da porta Fioren-

tina e porta della Verità, non hannoesito positivo. Costretto a ritirarsi sidirige di nuovo verso la strada dellaCapraccia. Il 25 ottobre una bandagaribaldina guidata dal cap. Grugliar-di marcia verso Bagnoregio e attaccail convento di S. Francesco ma i gen-darmi e gli zuavi che difendevano lacittà respingono con forza i volonta-ri. Nel frattempo Garibaldi (fuggito daCaprera il 14 ottobre) parte in trenoda Firenze diretto verso Terni. Re-catosi a Rieti il 23 ottobre il generaleraggiunge il figlio Menotti a PassoCorese. Nei giorni 25 e 26 occupaMonterotondo e si dirige in marciaverso Roma. La minaccia improvvisaspinge il comando pontificio a richia-mare le truppe dalle provincie, lanotte del 27 è sgombrata Viterbo econtemporaneamente Montefiasco-ne e Bagnoregio. La sera del giornoseguente il generale Acerbi entra aViterbo senza combattere. Altrireparti di camicie rosse occupanoMontefiascone e Bagnoregio. Dichia-rato decaduto lo stato pontificio,Acerbi indice immediatamente il ple-biscito per l’annessione di Viterbo alregno d’Italia e nella stessa Viterboindice una giunta governativa forma-ta da Francesco Grigliardi di Valle-rano, Ermenegildo Tondi di Viterbo eDomenico Agosti di Bagnoregio. Ma

non tutti i cittadini della provinciaviterbese sono a favore del nuovogoverno.In una lettera di Nicola Mostarda eGirolamo Barbacci di Bagnoregioinviata al comandante dell’esercitopontificio Giovanni Battista Zappi epubblicata il 26 novembre dall’Osser-vatore Romano si legge riguardo aBagnoregio: “Principal distintivo del-la città di Bagnorea, conservato e tra-smesso quale retaggio illustre da pa-dre in figlio, di generazione in genera-zione, fu sempre una sincera fedeltàed un attaccamento inconcusso versola sublime Cattedra di S. Pietro ed ilsuo governo. Se nelle or cessate vi-cende Bagnorea, per la peculiare suageografica posizione, fu malaugurata-mente la prima ad essere invasa dallebande garibaldine, fu pure la primache dimostrar sapesse ancora unavolta col proprio contegno come anulla possano sull’animo di questapopolazione i molteplici sforzi dellaempietà e della ribellione a stornarladai suoi propositi [...]”.In soccorso dei pontifici il 29 ottobresbarca a Civitavecchia il corpo dispedizione francese al comando delgenerale De Failly, aiutante di campodi Napoleone III. Garibaldi è sconfit-to il 3 novembre nella celebre batta-glia di Mentana. Costretto alla ritira-ta, il generale riparte per Firenze, ma

La piramide negli anni ‘20 e allo stato attuale

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a Figline viene arrestato e condottonel forte di Varignano presso LaSpezia, di qui portato a Caprera. Il 9novembre le truppe franco-pontifi-cie riprendono Viterbo, il giornoseguente è la volta di Montefiasconee Bagnoregio.Bisognerà attendere ancora tre anniprima di vedere realizzato il movi-mento unificatore innescato dalgenerale Garibaldi e suoi uomini.L’11 settembre 1870 il corpo del-l’esercito italiano guidato da RaffaeleCadorna passa la frontiera dellostato pontificio. Il giorno stesso Ba-gnoregio entra a far parte del regnod’Italia e della provincia di Roma.La battaglia di Bagnoregio è ricorda-ta oggi da una lapide posta sullapiramide-ossario costruita in memo-ria dei morti garibaldini. Il testo del-l’attuale epigrafe fu composto nel

1891, dal viterbese Raffaele Belli, persostituire un’altra epigrafe, ritenutascomoda o ingiusta, composta dalgrande patriota Francesco Domeni-co Guerrazzi. Di seguito le due iscri-zioni a confronto:Iscrizione di R. Belli: QUI / DOVE I GIOR-NI 29 SETTEMBRE / E 3 OTTOBRE DEL 1867/ VITTORIOSI PUGNAMMO / ANCHE NOI MAR-TIRI D’ITALIA / BERNARDI ENRICO DI GENZANO

/ BERNARDI GIUSEPPE DI SIENA / COSTANZI

RAFFAELE DI ORVIETO / FANTI FRANCESCO DI

SORIANO / FIORINI GIOVANNI DI SIENA / FIO-RENTINO ALBERTO DI ROMA / FONTANIERI

PACIFICO DI ORVIETO / FRANCISCI ZENOBIO DI

TODI / MECATTI AURELIO DI SIENA / PORCAC-CHIA ACHILLE DI GIOVE / SCELBA GAETANO DI

BASCHI / SCOPONI GIUSEPPE DI CASTIGLIONE /SUCCHIARELLI MICHELE DI AMELIA / COLL’UL-TIMO SOSPIRO E COGLI OCCHI VOLTI A ROMA

/ DA PONTIFICIE TURBE INFRANTI NON VINTI /IL 5 PERIMMO / UN VERO FATIDICO CI MOSSE

/ GENEROSO ERRORE / FU CHIAMATO IL NO-STRO ARDIMENTO / DA LANGUIDI SCHIAVI ORA

LIBERI / MA LA SPERANZA NUTRITA DI SCHER-NO / TRACCIÒ COL SANGUE NOSTRO / IL CAM-MINO DI ROMA ALL’ITALIA / CHE DAL CAMPI-DOGLIO CI SORRIDE DICENDO / LA LETIZIA

DEGLI ABBRACCIATI POPOLI / È IN PARTE

VOSTRO DONO / ROMA È LIBERA / ESULTATE /CARITÀ PATRIA / NEL VENTESIMOQUARTO

ANNIVERSARIO / POSE

Iscrizione di F. D. Guerrazzi: CORRENDO

L’ANNO DI CRISTO 1867 / IL GIORNO 29 SET-TEMBRE / NOI / ANCHE NOI MARTIRI D’ITALIA

/ BERNARDI ENRICO DI GENZANO / BERNARDI

GIUSEPPE DI SIENA / COSTANZI RAFFAELE DI

ORVIETO / FANTI FRANCESCO DI SORIANO /FIORINI GIOVANNI DI SIENA / FIORENTINO

ALBERTO DI ROMA / FONTANIERI PACIFICO DI

ORVIETO / FRANCISCI ZENOBIO DI TODI /MECATTI AURELIO DI SIENA / PORCACCHIA

ACHILLE DI GIOVE / SCELBA GAETANO DI

BASCHI / SCOPONI GIUSEPPE DI CASTIGLIONE /SUCCHIARELLI MICHELE DI AMELIA / IN

BAGNOREA / INIZIAMMO LA GUERRA PEL

RISCATTO DI ROMA / SETTE DÌ COMBATTEM-MO / AL SETTIMO CINQUE OTTOBRE / ABBAN-DONATI DA TUTTI / SOPRAFFATTI DAL NUME-RO PERIMMO / RABBIA DI PRETE LE RELIQUIE

NOSTRE DISPERSE / RELIGIONE PATRIA LE RAC-COLSE E QUI LE COMPOSE / DOVE ATTESTANO

AI PRESENTI E AI POSTERI / IL POPOLO UNICO

EROE D’ITALIA / AVERE TRACCIATO IL CAMMI-NO DI ROMA / AL POPOLO ITALIANO COL PRO-PRIO SANGUE / E NOI PIANGEREMMO IL

NOSTRO SANGUE EFFUSO / INVANO SE LA SPE-RANZA SEDUTA SULLE OSSA / NON CI PLACAS-SE DICENDO PACE ESACERBATI SPIRITI / FRA-TERNI I GIORNI DELL’OBBROBRIO PASSERANNO

/ DAL VOSTRO MARTIRIO / STA PER NASCERE

QUELLO DELLA GLORIA / SPERATE

Infine una nota personale, riguardoad un’altra connessioneche la sorte ha voluto traGaribaldi e Bagnoregio.Nelle Memorie autobio-grafiche (p. 10) Garibaldiracconta il suo primoviaggio in mare: “[...] In-tanto l’addolorata madremia, preparavami il ne-cessario per il viaggio aOdessa, col brigantino Co-stanza, capitano AngeloPesante di Sanremo, ilmiglior capitano di marech’io m’abbia conosciuto.Se la nostra marina daguerra prendesse l’incre-mento dovuto, il capitanoAngelo Pesante dovrebbecomandare uno dei primilegni da guerra, e certa-mente non ve ne sarebbe-ro meglio comandati. Pe-sante non ha comandato

bastimenti da guerra, maegli creerebbe, inventerebbe ciò cheabbisogna in un barco qualunque, dalpalischermo al vascello, per portarliallo stato di onorare l’Italia”. Que-st’articolo sulle vicende bagnoresi èstato scritto anche immaginando lafigura di Angelo Pesante, bisnonnodi Ernesto Pesante, mio nonno.

[email protected]

Cartolina della fine degli anni ‘10

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La tentatamarcia diGaribaldi suRoma nel

novembre del 1867,finita con il doloro-so episodio diMentana, non brillòper larga e diffusavolontà di insurre-zione popolare, inquei giorni, a Romae nel Lazio, cosaquesta che cagionòla forte sfiducia trai volontari che con-tribuì all’iniziale,poi fatale sbanda-mento, ed allenumerose defezioni.E’ interessante leg-gere la vicenda, ocomunque l’epilogodella stessa dalpunto di vista di unufficiale pontificio,per l’esattezza iltenente (poi capita-no) Mattia Manettidi Ronciglione(1826-1891), delquale esistono dueraccolte di appuntiautobiografici rela-tive la prima allaCampagna del 1848,l’altra all’ultimo decenniodello Stato Pontificio.Vediamo di effettuare unabreve sintesi dei puntisalienti del racconto delManetti sugli avvenimentida lui vissuti dall’autunnodel 1867 alla primavera del1868.

Il 12 ottobre 1867 il tenen-te Manetti è in permesso aRonciglione “in vista dispeciali ragioni”, consi-stenti nel dovere di avver-tire il Ministero delle armi

dell’irrompere del movi-mento garibaldino; il 24settembre il giovane uffi-ciale avverte per iscrittol’Uditore generaleGiovazzini che “...iGaribaldini sul confinedella parte di Orvietoingrossano e ricevono armie denari, ed essi diconoche a giorni saranno sottole mura di Roma...”, eancora, il 26 settembre,che “...a momenti li avre-mo dentro al confine; lebande sono già organizza-

te, ed una forte di qualche500 uomini è condotta dalsig. Angelo Lealid’Acquapendente emigratodal 1860, con il suo figliounico Pietro. Qui avvi untale che si aggira dandosigran moto in mezzo a pub-blici ridotti onde fare arruo-lamenti per Garibaldi, lapulizia vede e tace...” e, diseguito, il 29 settembre:“...una banda diGaribaldini ha passato ilconfine a Civitella Conti diTeverina, guidata da un

certo Salvatori diCaprarola, è giunta già aBomarzo ed indica di diri-gersi su Soriano”.A questo punto, come daordini ricevuti, il Manettisi ritira e si reca a Romaproducendo un rapportodettagliato degli avveni-menti passati e incomben-ti. Dopo i noti eventi, l’av-ventura garibaldina èormai giunta al suo epilo-go; l’esercito franco-ponti-ficio si appresta a restau-rare l’ordine. Narra ilManetti:

Il giorno 7 novembre 1867la Colonna Franco-Pontificia partì da Romaalle 8 ant. [...] prendendola volta di Viterbo [...]Giunti a Viterbo [il giorno 9novembre] si trovò che iGaribaldini erano fuggiti ilgiorno innanzi, per cui ilpopolo venne incontro allatruppa, fuori di PortaRomana con bandiere e gri-dando Viva Pio IX [...] Ilgiorno 11 alle 6Antimeridiane il 1°Battaglione del ReggimentoPontificio partì alla volta diMontefiascone, fu fatto ilgrand’alto, colà giunti el’ordinario borattinate fattedal Colonnello Azzanesiche raggiunse il battaglioneper istrada onde entrare aMontefiascone alla suatesta, giacché aveva prati-che scandalose con lamoglie di un tal Pieri [sic].Ad un ora e mezzaPomeridiane il Battaglioneriprese la marcia alla voltadi Bagnorea ove giunsealle 4 e 3 quarti pomeridia-ne. La 6a Compagnia fuci-lieri Capitano Damiani, da

Bolsena

Antonietta Puri

Sull’un frontee sull’altro

Torre Alfina nel 1867

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Montefiascone andiede aBolsena e raggiunse le altrecompagnie in Bagnorea lasera del 12. Il giorno 13novembre 1867 alle 6Antimeridiane laCompagnia GranatieriCapitano Felisi, e la primafucilieri CapitanoGiannuzzi partirono allavolta di Castiglione inTeverina passando perLubriano onde eseguireuna perlustrazione, ritorna-rono a Bagnorea il 14 alle11 e un quartoAntimeridiane. Il giorno 14novembre alle 7Antimeridiane la 2a

Compagnia fucilieri condot-ta dallo scrivente, giacchéil capitano era ammalato[...] si recò in Bolsena inperlustrazione, ricevendodal Maggiore MazzolàCapo Battaglione le dovuteistruzioni per iscritto, e pas-sando per la Cervara eCapraccia vi giunse alle 9Antimeridiane, ritorno aBagnorea il giorno 15 alle9 e mezza Antimeridiane,portando meco 4 fucili deiGaribaldini presi nelComune con la bandieraItaliana.

Il tenente Mattia Manetticontinua la sua relazionesui fatti finali dellaCampagna Garibaldinadescrivendo dettagliata-mente le operazioni diriconquista del territorio.Tali operazioni proseguo-no per il resto del 1867,fino al 29 marzo 1868, gior-no in cui le truppe pontifi-cie rientreranno a Roma.In una tappa del viaggio diritorno, mentre i contin-genti procedono alla voltadi Civita Castellana, scriveil Manetti:

A Bolsena incontrammouna Compagnia delBattaglione. Scopo dellaperlustrazione che si portaa Bolsena (passando per laCapraccia) è di mantenere

sempre libero lo stradaleche congiunge Bagnorea aBolsena da bande armate,e qualunque atto ostile saràrepresso energicamente, edarrestato chi si permise taliatti. I soli stemmi e coloriPontifici devono vedersi, equalunque stemma o colorenazionale Italiano non saràpermesso sia in mostra, equando vi si rinvenga, saràl’autorità municipale invita-ta a farlo togliere, assistitase occorre dalla truppa. Istemmi Pontifici (se intattie ritrovati) non ancora rial-zati lo saranno immediata-mente. Rinvenendo inBolsena guardia Cittadinasarà ringraziata a nomedel Governo, e disarmataquando abbia armi damunizione, le armi saran-no condotte in Bagnoreacon mezzi di trasportosomministrati dal Comune.Un picchetto diGendarmeria pratica diBolsena e stradale che sipercorre è agli ordini delComand. te la truppa. Sirimarrà domani (14) aBolsena, il seguente giorno

rio. Tanto per dovere etc.Bagnorea lì 15 novembre1867, Il Comandante la per-lustrazione, ManettiTenente.Era una vera Babilonia inquei giorni di trepidazione,ed i servizi venivano ordi-nati senza ombra di regola-mento militare. Carabinieriesteri, comandata dalCapitano Fralbon, TenenteSmit, e SottotenenteSonnenberg, che andavanoa San Lorenzo a rimpiaz-zare noi.

Il tenente Mattia Manettiverrà promosso capitanonel 1868 e destinato comevicecomandante alla piaz-zaforte di CastelSant’Angelo. Nel 1870,dopo l’entrata in cittàdelle forze italiane, ricevel’ordine di abbandonare ilcastello e quando gli vieneofferta la possibilità dientrare a far parte del-l’esercito italiano, coeren-temente con propri princi-pii, respinge l’offerta.

si tornerà a Bagnorea, ovesi mangerà volendo ilRancio. Gli avvenimentistraordinari saranno imme-diatamente fatti sapere alsottoscritto con appositaspedizione, servendosi seoccorre di persona borghe-se fidata. Bagnorea 13novembre 1867, I CapoBattaglione, MazzolàMagg.re

Piazza di Bagnorea, Regg.to di Linea, RapportoAl Comando della guarni-gione della suddettaPiazza. Eseguita dal sotto-scritto la perlustrazionecon la 2a Compagnia fuci-lieri fino a Bolsena (comeagli ordini per iscritto rice-vuti) lungo la stradale nonvi è stata nessuna novitàrapporto a bande armate;solo in Bolsena si ebbenotizia che dalla parte diOnano vi sia per quellecontrade una banda dicirca 20 Garibaldini. Siebbe poi positiva notiziache alle Grotte di sanLorenzo sventola ancoralo stendardo rivoluziona-

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“Che farà ora Garibaldi?”. Era questa ladomanda che, all’indomani della procla-mazione del regno d’Italia nel 1861, angu-stiava non solo il governo papalino, ma

anche la maggioranza degli esponenti del governo ita-liano e di gran parte delle forze politiche del nuovoregno d’Italia che si ponevano ora, in maniera più strin-gente, il problema della “questione romana”.A rimuovere la situazione di stallo, venutasi a crearedopo il ’66, ancora una volta si intromise Garibaldi,intenzionato a mettere a punto un ulteriore tentativoper risolvere la questione romana. Il piano di Garibaldi consisteva in un avanzamentoconcentrico da parte di tre colonne, guidate rispettiva-mente dal generale Acerbi, dal figlio di Garibaldi,Menotti, e da Nicotera che, spostandosi da tre direzio-ni diverse, avrebbero attaccato Roma.Il 30 settembre 1867, verso le ore 20, giunse a Caninouno sparuto gruppo di garibaldini. Un’ora dopo inter-venne con sorprendente rapidità una compagnia dizuavi che, per accerchiare quei pochi scalmanati, sidivise in due tronconi: il primo percorse la strada delfosso (oggi via Garibaldi) e l’altro il vicolo maestro (viaCavour). Al manipolo di garibaldininon restò che darsi alla fuga. L’il-lusione dei fedeli dello stato papali-no che la pace e l’ordine fosserostati definitivamente ristabiliti e ladelusione di quanti speravano inun’azione più efficace da parte deigaribaldini non avevano fatto iconti con una nuova azione che sisarebbe ripetuta, questa volta inmaniera più consistente, a distanzadi appena un mese.Il 29 ottobre nuove masnade di ga-ribaldini, approfittando dell’eva-cuazione avvenuta nei paesi del du-cato di Castro di tutte le truppe pa-paline, si riversavano nuovamentein quel territorio. Una compagnia,forte di circa settanta uomini, sistanziava a Canino per oltre 10giorni, “imponendo al Comune prov-visioni di casermaggio - viveri - scar-pe - sigari, e non basta: il Capitanodi quella compagnia con mandatodel suo Maggiore G. Baldini, coman-dante in Valentano, imponeva una

contribuzione di lire seimila”. Il povero bilancio comu-nale, come era da aspettarsi, non disponeva di quellasomma. Si decise pertanto di fare un appello allabuona volontà dei maggiori proprietari, e creare undebito per conto del comune. L’incarico di gestire l’o-perazione fu affidata al priore Paolo Miccinelli e all’an-ziano Vincenzo Volpini, che seppero con impegno efatica portarla positivamente a conclusione. I cittadiniinterpellati, coscienti della difficile e delicata situazio-ne generale e della responsabilità che si erano assuntii due amministratori, fecero a gara nell’offrire i mezzi,al fine di liberare il paese da quella situazione carica diincertezze e soprattutto liberarlo da ulteriori possibilidanni. Tra i contribuenti c’è da segnalare soprattutto Dome-nico Valentini, a cui andarono numerosi riconoscimen-ti per aver sostenuto gran parte dell’onere. Non feceromancare il loro contributo le famiglie più facoltose diCanino: la famiglia Caraceni De Andreis, il compiantoVincenzo Pala, Miccinelli Paolo, De Carli Angelo, Giu-seppe Cecchini amministratore del principe Torlonia,Cipolletti amministratore Ferri, Luigi Frittelli, FabrizioBrizi, Sante Pomponi.

Canino

di Roberto Sèlleri

I barbari incamicia rossa

Volontari della colonna Acerbi in marcia

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La somma raccolta fu di lire 4968.08, alla quale, aggiuntelire 1075 prelevate dalla cassa comunale, fu possibilemettere insieme lire 6043.08. Si poté, dunque, “risponde-re a quel coatto invito con l’invio di lire 6043.08 che perògraziato il Comune di lire mille, pagammo in effettivo solelire 5043.08 cui aggiungendo l’importare delle spese avuteper viveri e, nella cifra di lire 918.691, l’invasione garibal-dina pesò sulle finanze comunali per lire 5961.70.1 pari ascudi romani 1109.174 che formano un’altra piaga fra letante che già aveva l’Azienda comunale”.Il 2 novembre le camicie rosse si presentarono dalpriore Paolo Miccinelli per avere pane, formaggio, pro-sciutto e vino. Il 5 novembre, prima di mezzogiorno,arrivarono tre ufficiali garibaldini e ordinarono che labanda, con la coccarda tricolore, suonasse per le viedel paese.Ma l’operazione più subdola organizzata dai garibaldi-ni fu l’improvvisazione di un plebiscito per l’annessio-ne al regno d’Italia. Ecco l’avvenimento nell’esposizio-ne di De Andreis.

“Ed invero quei barbari in camicia rossa non contenti diaver derubato le pubbliche casse ed avere colle loroazioni e col loro contegno incusso il più gran terrorenegli animi dei pacifici cittadini, vollero anche attentarein altro modo alla loro rovina e promossero il plebiscitoper unire questi Paesi al governo attuale di Firenze. Mail contegno mostrato dal Paese il 30 Settembre e nellaseconda venuta dei garibaldini il 30 ottobre e nei giornisuccessivi faceva ben prevedere a quegli invasori, chenon avrebbero potuto in Canino ottenere alcun successo.Quindi pensarono ad un ripiego; e poiché la nostraIll.ma Magistratura invitata dal sedicente aiutanteZancardi a trasformarsi in Giunta Municipale in nomedel governo Dittatoriale dell’Acerbi, si era rifiutata, ecedendo alla forza aveva dato le sue dimissioni, si disseche il Comune non poteva rimanere senza chi lo diriges-se, e che perciò dimessa la Magistratura, il Zancardicome forestiero bramava essere illuminato dai Caninesistessi nella scelta delle persone che dovevano formarela nuova Amministrazione comunale. Con questo prete-

sto si andò per la piazza e per le botteghe a chia-mare gente, a cui si faceva credere che si trattassesoltanto d’impedire che l’Amm.ne Comunale cades-se in cattive mani e non già di un’atto di fellonia,contro la S. Sede. Che queste arti si usassero possoio stesso assicurarlo. Imperocché verso l’Ave Mariadi sera del 5 Novembre, trovandomi io già da tremesi confinato nella mia camera dalla gotta, ven-nero due persone del popolo a raccontarmi comefossero state invitate ad andare al PalazzoComunale, per nominare la Giunta, assicurandoleessere un atto di nessun male e nessun pericolo;che esse però volevano prima avere il mio parere.Ed io li ammonii a non andare tanto più che iotemevo che non si sarebbero limitati alla nominadella Giunta. Non andettero e poi mi hanno ringra-

ziato del buon consiglio. Ma non tutti furono così avve-duti; anzi molti andettero, e scelta che ebbero la Giunta,l’aiutante Zancardi (a quanto mi dicono) ordinò che nes-suno uscisse dal Palazzo Comunale, e senza indugiodette principio al Plebiscito. La presenza di quei minac-ciosi ceffi tolse ogni civile coraggio a quell’incauti, sic-ché piegaronsi alle voglie loro e votarono”.

Il giorno 10 novembre fu nuovamente ristabilito l’ordi-ne. Il 24 novembre fu celebrata una messa solennepresso la collegiata alla presenza del priore PaoloMiccinelli, degli impiegati comunali e dei maestri dellascuola cristiana. Terminata la messa fu esposto il SS.Sacramento e fu cantato il Te Deum di ringraziamentoal Signore. La mattina del medesimo giorno furonoesposte le bandiere bianche e gialle dello stato pontifi-cio insieme alla bandiera francese. Nella riunione del13 dicembre del ‘67 il priore Paolo Miccinelli così com-mentò lo scampato pericolo.

“E’ consolazione dolcissima di rivedervi, o Signori, quiradunati dopo la serie degli avvenimenti che improvvi-samente ci assalse. Rendemmo grazie a Dio e rendiamo-ne tuttora che preservati ed incolumi da tanti pericoli, cipermette d’indossare la nostra divisa, quella stessa che inostri Maggiori indossarono e che noi stessi giurammo dinon macchiare, divisa che se freggia l’uomo assennato ecattolico, si addice ancora ai cittadini di Paolo III, agliabitanti di quella terra che Pio VII prescelse per teatrod’un grande attestato d’affetto, all’amicizia sventurata”.

Ora bisognava porre rimedio a due problemi: onorare ildebito contratto dal comune, e la questione delicata sultrattamento da riservare a quanti, e tra questi anchealcuni dipendenti comunali, si erano esposti nel corsodi quelle vicende. Relativamente al debito contrattocon i cittadini per pagare la somma richiesta dai gari-baldini si ricorse, su proposta del priore, all’affranca-zione dei canoni di S. Lucia. Proposta accolta da tutti iconsiglieri e rilanciata con l’estensione dell’affrancazio-ne ad altri terreni comunali. Più delicata era la questio-ne di quanti si erano compromessi con i garibaldini.De Andreis si dichiarò subito per una linea di compren-

Accampamento di volontari garibaldini nella campagna romana

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sione e di indulgenza sottolineando come la popolazio-ne, nel suo complesso, pur sottoposta a tanti pericoli ea una dura pressione delle masnade di Acerbi,

“serbò dignitoso contegno sia nella prima scorreria del30 settembre, quando accolti colla massima freddezza, igaribaldini, riceveva poi con spontaneo e generale plau-so i probi Zuavi, che vennero a liberarci, sia nella secon-da venuta, nella quale disgraziatamente i garibaldini sistanziarono per dieci giorni tra noi, sia quando congenerale spontanea brillantissima luminaria festeggiavail ritorno del governo pontificio ed i bravi nostri difenso-ri ed in massa accorreva al Tempio a ringraziare il Diodegli eserciti per la vittoria della buona causa”.

Intervenendo poi sul trattamento da riservare a quan-ti si fecero coinvolgere in quei funesti avvenimentiaggiunse:

“Che se nei dieci infausti giorni dell’acerbissima domina-zione non possiamo negare che abbiamo dovuto esseretestimoni di qualche atto di debolezza conviene pur giu-dicarlo riportarsi allatrepidazione in cui si vi-veva allora per le conti-nue minacce di uominisenza religione, senzalegge e senza disciplina;e quindi giudicarne be-nignamente e compatir-ne chi forse non sentivanel suo cuore il coraggioche non è merce pertutti. Chi non sente com-plessione e vuole anzimalignamente giudicaredelle debolezze degliuomini merita a mioavviso la risposta che ilDivin Salvatore dette acoloro che volevano la-pidare l’adultera ‘Chi divoi è senza peccato sca-gli la prima pietra”.

Nella riunione del 28dicembre del ‘67 DeAndreis ritornò sulladelicata questione checoinvolgeva alcuni im-piegati comunali che silasciarono abbindolaredai garibaldini. Lo faancora una volta conmolto equilibrio e com-prensione:“Disgraziatamente (ache negarlo?) fra costo-ro vi erano alcuni deinostri impiegati comuna-

li. Per quanto il giudizio di tali atti appartenga al Gover-no, certo è, però, che anche il Municipio deve diportarsiin modo che senza prevenire o pregiudicare in qualsiasimodo l’azione governativa od aggravare anche involon-tariamente la cattiva posizione di taluno, scansi l’altroscoglio di sembrar cioè di approvare atti che sono sem-pre degni della più severa riprovazione. Perciò dal cantomio protesto che non posso che altamente condannarequesti atti; che crederei degni del più severo castigo(qualora vi fossero) quelli che scientemente se ne fosse-ro fatti promotori; ma che credo debbansi riguardare conocchio meno severo quelli che fossero caduti per paurao per debolezza... Rammentiamo che sono cattivi amicidei governi quelli che ambiscono a mostrarsene troppozelanti: lo diceva il Principe di Talleyrand, che nessunopotrà mettere in dubbio che se ne intendesse. Rammen-tiamo pure che le vendette lasciano semenze di odiinelle popolazioni e non ne facciamo per la prima voltal’esperimento funesto nel nostro paese che per grazia diDio ne andò sempre immune per lo passato”.

Questo atteggiamentoperdonista, auspicatoda De Andreis, non po-té essere esteso, alme-no sul momento, all’or-ganista della cattedra-le, il maestro Carletti.Su di lui gravavano pe-santi sospetti di averagito e parlato contro illegittimo sovrano. Rag-ion per cui a partire dalfebbraio del ‘68 fu eso-nerato dall’incarico diorganista. Lo stessoconsiglio comunalenon ne confermò la no-mina come maestro delconcerto musicale. Maanche per lui, dopopochi mesi, nel settem-bre del ‘68, arrivò lagrazia da parte delpapa che gli condonavail reato di fellonia nelquale era incorso nellevicende politiche delpassato autunno e loriabilitava a dirigere ilconcerto musicale. For-te di questo atto di cle-menza il Carletti otten-ne anche dalle autoritàecclesiastiche di potertornare ad esercitareanche la funzione diorganista.

Scontro fra garibaldini e truppe franco-pontificie

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Un giorno tra gente scono-sciuta s’incontrano due ca-micie rosse. Superata la giu-sta meraviglia si salutano:

“Come ti chiami”, domanda uno; “Co-stantino, e tu?”. “Domenico”, rispon-de l’altro. Si guardano con interessee, sempre più incuriositi, insiemeriprendono il cammino.“Dove hai combattuto?”, chiedeCostantino. “A Bagnorea, e tu ?”, re-plica Domenico. “Io nel ‘49 alla dife-sa della Repubblica Romana, sonointervenuto alla battaglia di Velletri,

facevo parte del corpo del Genio, eromatricola 478”. “Che bella memoria -dice Domenico - E poi in quali altrebattaglie hai seguito Garibaldi?”.“Sono romano, perciò nel ‘quaranta-nove, appena rientrati i papalinidovetti emigrare perché a Roma nonpotevo rimanere, mi avrebbero perse-guitato”.“Anch’io sono stato costretto ad emi-grare, ero conosciuto e sempre sorve-gliato, perciò lasciai il paese, maappena possibile ho mollato tutto perpartecipare alla Campagna dell’Agro

Romano per la li-berazione di Ro-ma, mi sono battu-to a Bagnorea il 5ottobre del 67, pur-troppo mi hannofatto prigioniero eper me la guerra siè conclusa con laprigionia a CastelSant’Angelo”.“Lasciamo starequesti avvenimen-ti, sarà la storia agiudicarli - conclu-se Costantino -Parliamo invece

di noi, conosciamo solo il nostronome, ignoriamo il cognome, io sonoCostantino Balvetti di Roma”. “Ed io -soggiunse Domenico - sono Dome-nico Prosperini di Capodimonte, unpaese sul lago di Bolsena”.Come se fosse scoppiata una bom-ba, Costantino tutto emozionatodisse: “Impossibile, incredibile, miofiglio Angelo ha sposato una MariaProsperini di Capodimonte”. Dome-nico si fermò e commosso strinse lamano a Costantino: “Hai ragione èveramente incredibile, Maria è unamia parente”, anche lui molto con-tento per quella bella novità. Par-lando ora di questo nuovo argo-mento proseguirono il loro inter-minabile cammino nell’infinito incui si trovavano: l’Altro Mondo.Così anche Capodimonte ha avuto

un garibaldino, e se ci fosse un DNAche trasmettesse gli ideali, a Capo-dimonte ci sarebbe un altro garibal-dino.

Capodimonte

Sergio Simiele

Un garibaldinoa Capodimonte

Ritratto di Maria Prosperini (proprietà dell’autore)

Lapide cimiteriale (con particolare della foto) del capodimontanoSebastiano Cardarelli fu Francesco (1844-1929), detto ‘l Garibaldinoma che non ha niente a che vedere con la storia narrata

foto

Mec

orio

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Intorno agli anni ’60dell’800 l’Italia sitrova ad affrontareimportanti tappe per

l’unità nazionale: nel1866 la terza guerra diindipendenza permette laconquista del Veneto,strappato all’Austria,mentre è del 1870 labreccia di Porta Pia el’annessione di Roma edel Lazio, con la conse-guente fine dello Statopontificio.Una fase intermedia diquesto processo coinvol-ge direttamente Celleno ei territori della Teverinain generale. Il 28 settem-bre 1867 un gruppo digaribaldini oltrepassa ilconfine dei territori pon-tifici, occupa Grotte S.Stefano e avanza fino aRonciglione. A capo diquesta prima banda sitrovano GiacomoGalliano e GirolamoCorsieri di Castiglione inTeverina. Altri gruppi dicamicie rosse occupanol’alto viterbese e sono

impegnante in scaramuc-ce e battaglie, nonostan-te tutto i garibaldini sonocostretti a retrocedere esi attestano dalle parti diBagnoregio. GiacomoGalliano, con un propriogruppo di volontari,affronta il 5 ottobre lemilizie pontificie presso iruderi del castello dellaCervara, stradaCapraccia, nei pressi diBagnoregio; a fargli daguida c’è Luigi diCelleno, di cui però igno-riamo il cognome.Galliano e i suoi sonosconfitti, quindi decido-no di raggiungere ilTevere per unirsi diretta-mente a Garibaldi. Tra letappe di avvicinamentoal fiume c’è ancheCelleno, dove Gallianopassa la notte del 19ottobre e il giorno suc-cessivo reclama aiuti difronte alle autorità delmunicipio: chiede pane,formaggio, vino e millelire per provvedere a sé eai suoi compagni. La

giunta comunale concedeloro gli alimentari dispo-nibili presso gli spaccidel paese, ma per quantoriguarda i soldi riescesolo a pagare 250 lireperché non c’è altro nellecasse del comune. DaCelleno i volontari parto-no verso Vitorchiano,Canepina e Gallese, poiproseguono fino aBorghetto, una frazionedi Civita Castellana, doverimane una iscrizione aricordare la morte di unodi loro, un cellenese: AGIUSEPPE TASCHINI DI CELLENO

/ CHE IL 28 OTTOBRE 1867 /NELLA IMPARI LOTTA COI SOL-DATI DELLA TIRANNIDE / INQUESTO PICCOLO BORGO /CADENDO IL DIRITTO ITALIANO

AFFERMÒ / LA SOCIETÀ DEI

REDUCI DELLE PATRIE BATTA-GLIE / IN CIVITA CASTELLANA /CON SPONTANEO CONCORSO

DEI PATRIOTI / POSERO CONO-SCENTE E DURABIL MEMORIA /IL DÌ 28 OTTOBRE 1878.Nel frattempo il generaleAcerbi, alla guida di unmigliaio di garibaldini, haattraversato da nord asud l’alto Lazio, fino adarrivare il 24 ottobre aCelleno; i suoi uominisono stanchi a causadelle marcia sotto lapioggia, inoltre non cono-scono lo scopo precisodella spedizione. Acerbirivela sola allora il veroobiettivo: attaccareViterbo e strapparla aipontifici. Il tentativo dioccupare la città andràperò a vuoto, e lascerà

Celleno

Daniele Falcinelli

In marciaattraversola Teverina

Immagine tratta dalla pubblicazione di G.B. Crocolicitata in bibliografia

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tre caduti presso la Portadella Verità. Bisogneràaspettare il risultato delplebiscito del 2 ottobre1870, successivamentealla famosa breccia diPorta Pia, per decretarel’annessione di Roma edel Lazio al Regnod’Italia.Negli anni a seguire unex-garibaldino, il contePacifico Caprini, esercite-rà il titolo di sindaco delpaese nel biennio 1871-72. Forse la sua impresapiù clamorosa era stataquella di far saltare inaria Ponte Milvio dietrol’ordine di Garibaldi il 13maggio 1848. A queltempo Caprini lottò indifesa della città di Romae della RepubblicaRomana, dopo la caccia-ta di papa Pio IX.Comunque successiva-mente a questa parteci-pazione alla lotta armatal’attività del conte saràpiù discreta, intentosoprattutto a coltivarecontatti politici e azionidi propaganda. La suaposizione politica diven-terà moderata, non piùinteressato a colpi dimano rivoluzionari. Ilconte è nativo di Viterbo,comunque manterràsempre un attaccamentoparticolare versoCelleno, dove esiste tut-tora la villa a lui apparte-nuta. Lo spiazzo di frontea questo edificio è statoqualche anno addietroribattezzato dal comuneLargo Pacifico Caprini, inricordo di questo impor-tante personaggio.

Il 19 ottobre una delega-zione del comune diMassa Marittima con ilsuo vicesindaco, dott.

Sergio Martini, e il gonfalo-ne decorato di medagliad’argento al valor militarescortato da due vigili, hapresenziato a Farnese aduna cerimonia ufficiale in-detta dall’amministrazio-ne comunale per ricorda-re, nel 140° anniversariodei fatti, “lo scontro delPodere”, che alle porte delpaese vide, il 19 ottobre1867, un gruppo di volon-tari garibaldini contrap-porsi alle truppe pontifi-cie.

Il sindaco di Massa Marittima ha ricordato come la sua città, che si trovò già nell’esta-te del 1849 ad accogliere un Garibaldi fuggiasco, fu molto legata all’epopea rivoluzio-naria risorgimentale quando tanti giovani del posto, inorgogliti e motivati da quel rap-porto con l’Eroe, si unirono alle truppe di volontari in marcia per Roma. Furono que-ste le lontane premesse che portarono alcuni massetani a morire a Farnese in queglianni lontani. Trovandosi sul confine con la Toscana, Farnese fu tra i primi comuni della provinciaad essere interessata dalla marcia di avvicinamento delle milizie garibaldine alla voltadi Roma. I volontari che coprivano il lato destro delle più ingenti forze che discende-vano la penisola, oltrepassarono il confine provenienti dalla Toscana il giorno 17 epresero posizione nel convento dei francescani. Qui, secondo un altro massetano,Apollonio Apolloni, che scrisse un diario di quei giorni, l’accoglienza fu delle migliorida parte dei frati, ma secondo altri storici (tra questi don Eraclio Stendardi in “Ischiadi Castro. Memorie storiche”) le cose andarono diversamente, in quanto due frati ciavrebbero rimesso la pelle a fucilate. Il giorno 19, verso le undici del mattino, le truppe papaline si mossero da Valentanoalla volta di Farnese, avendo saputo della presenza di trecento rivoltosi. La colonnadegli zuavi, giunta nei pressi del paese, fu raggiunta da colpi di fucile provenienti dallavilla Lucattini, conosciuta da tutti come il Podere, in prossimità del cimitero e di quel-lo che un tempo fu il convento dei frati francescani e che costituiva un importantepunto strategico, affacciata su quella che oggi è strada provinciale. Gli zuavi assalta-rono la villa con le baionette innestate ed il corpo a corpo fu durissimo. Lo scontrodurò alcune ore e costò la vita a molti uomini da entrambe le parti. Alla fine prevalse-ro i papalini ed i volontari garibaldini si ritirarono di nuovo oltre il confine. Nelle prime fasi dello scontro rimase gravemente ferito il comandante francese delletruppe papaline, tenente Emmanuel Dufournel, che, trasportato a Valentano in fin divita, morì lì il giorno seguente. Il giovane ufficiale francese era nato a Poligny nel 1840ed aveva risposto alla chiamata del papa insieme al fratello maggiore di due anni,Adéodat, che lo seguirà nella triste sorte dieci giorni più tardi nei pressi di Roma.

Farnese

Antonio Biagini

La conquista

del Podere

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“Vous m’avez donné deux soldats; jevous rend deux saints”, furono leparole di consolazione che Pio IXtrasmise al padre dei due giovaniche morirono nel tentativo vano diimpedire la fine del potere tempora-le.Nel campo avversario i rivoluzionarierano agli ordini del maggiore livor-nese Giovanni Jacopo Sgarallino, giàcomandante della guardia nazionalecon Francesco Domenico Guerrazzia Livorno, dove nel 1949 si erano im-pegnati nella difesa di quella cittàdalle truppe austriache, e volontariotra i Mille nel 1860. La famiglia Sga-rallino (il fratello Andrea fu altro atti-vissimo patriota) fu sempre moltointima dell’Eroe dei due mondi, ilquale, fuggito avventurosamente daCaprera, proprio nella notte tra il 19ed il 20 ottobre fu ospitato dalla vec-chia madre nella loro casa diLivorno.Dello scontro di Farnese restano duelapidi sulla facciata della villa: una,in francese, ricorda il comandantezuavo; nell’altra il patriota Fran-cesco Domenico Guerrazzi ricorda i tre compagni tosca-ni caduti. In novembre l’ordine nello Stato veniva rista-bilito e la macchina amministrativa pontificia si rimette-va in moto emanando circolari per conoscere i dannifinanziari arrecati dagli invasori e disporre un ordinealle incombenze degli alleati francesi (vedi p. 31). Alleautorità farnesane che il 19 novembre chiedevano di

essere tutelate da una forzabastante ai presunti bisogni chesono ben gravi, il successivo gior-no 23 il delegato apostolico San-tucci rispondeva assicurando chesi sarebbe provveduto perché ilpaese fosse efficacemente garanti-to da ogni nuovo attentato.Il fisco, sollecito come sempre, siera già mosso, e il 14 novembrel’amministrazione camerale deldazio sul macinato intervenivaaffinché il gonfaloniere di Farneserichiamasse i mugnai a lui soggettiper diffidarli dall’eseguire macina-zioni di grano senza la riscossionedi quella odiata tassa sul macinato,che le bande garibaldine avevanoabolito allo scopo di alleggerireper qualche giorno il peso quoti-diano di quei nostri bisnonni e gua-

dagnarne il consenso. Di lì a poco sarebbe stato lo stes-so Regno d’Italia, con Roma ormai capitale, ad impor-gliela di nuovo e, per dieci anni, sarebbe stata causa digrandi disordini popolari e aspro motivo di scontro tragoverno ed opposizione, fino alla sua abolizione nel1880. L’Italia era fatta, ma evidentemente non si è anco-ra... perfezionata!

Villa Lucattini a Farnese (il Podere) teatro dello scontro tra garibaldini e truppe ponti-ficie del 19 ottobre 1867. A fianco, le due lapidi poste ai lati della porta d’ingressoper ricordare i caduti di entrambi gli schieramenti. Sotto, il comandante francesedegli zuavi papalini, tenente Emmanuel Dufournel, una delle vittime

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Nel contesto storico del ten-tativo garibaldino di pren-dere Roma favorendo un’in-surrezione popolare nel

1867, accaddero fatti anche ad Ischiadi Castro, dei quali due sono interes-santi anche perché danno l’ideadella precarietà delle gesta garibaldi-ne, condotte più col coraggio e l’ar-dore patriottico dei volontari, checon uomini e mezzi militari adeguati:“alla garibaldina”, insomma. Ce linarra don Eraclio Stendardi, appas-sionato ricercatore di valore e pub-blicista di storia locale, nel volume“Ischia di Castro-Memorie storiche”(1969, La Toscografica, Empoli).Siamo al settembre del 1867, quandoinizia l’azione garibaldina per pren-dere Roma, con i volontari che pene-trano nel territorio pontificio dallaToscana e dall’Umbria, “alla rinfre-scata”, in autunno, come pittoresca-mente e approssimativamente avevadetto il Generale ai suoi fedelissimi,aggiungendo che non c’erabisogno né di moltiuomini né di mol-te armi, perchés a r e b b e r obastati alcu-ni spari inaria per farinsorgere iromani. Co-me andò a fi-

nire? Il 3 novembre, a Mentana, alleporte di Roma, lui fu arrestato, i suoisconfitti. Sul campo rimasero 150morti e 1600 furono i prigionieri: glichassepot francesi, i nuovi fucili atiro rapido del corpo di spedizionesbarcato a Civitavecchia per difen-dere il papa, funzionarono a meravi-glia; i romani non si mossero.Fin dal 28 settembre le bande garibal-dine, guidate nel viterbese da Gio-vanni Acerbi, erano entrate nel terri-torio castrense. Ma già in precedenzasi era costituito ad Ischia e a Farneseun gruppo di circa 300 garibaldini,comandati dal senese Giuseppe Bal-dini, detto Ciaramella. Il piccolo affre-sco raffigurante un rosso garibaldinoa cavallo, dipinto sulla parete di ungrande caseggiato di proprietà dellafamiglia Fanti in località La Selva, neipressi di Ischia di Castro, salvato for-tunatamente durante recenti lavoridi trasformazione e restauro, può

con buone ragioni essereindice della presenza

garibaldina lì, co-me luogo in po-

sizione strate-gica domi-nante traIschia, Cel-lere e Ca-nino, idoneo

avamposto

nei frequenti spostamenti dei gruppio per l’acquartieramento nei difficiligiorni degli scontri con gli zuavi pon-tifici della piazza di Valentano. Lamano non è quella di un pittore divalore, ma neanche di uno sprovve-duto. E al seguito di Garibaldi sappia-mo che c’erano anche scrittori edartisti. Potrebbe essere quella di ungaribaldino nelle ore di sosta odurante le pause degli scontri. Ditutto ciò, bisogna onestamente dire,non c’è testimonianza, per cui èd’obbligo il “forse...”.Ma ritorniamo agli episodi riportatidallo Stendardi, quelli sì documenta-ti, uno dei quali abbastanza curioso.“Ischia era presidiata in quel tempoda una brigata di gendarmi pontifici,composta del brigadiere MaccaferriRaffaele bolognese, Fabracci Fortu-nato, Colicchia Ignazio, Cellio Ettoree Baldassarri Emidio. Come venisse-ro preparati ed effettuati i motiinsurrezionali, lo riportiamo da undiscarico contrassegnato con n. 519dato dal brig. Maccaferri e rimessoal Comando di Valentano:‘Il giorno 29 settembre 1867, circa leore due pomeridiane, sgombrava labrigata suddetta avendo avuta notiziadella venuta dei Garibaldini. Il giorno30, nel mentre il paese godeva la pa-ce e la tranquillità, si vide alla locan-da di Ermete Sebastiani sventolare

Ischia di Castro

Angelo Alessandrini

“MonsieurCoccardon” e l’alza-ammainabandiera

Il “garibaldino a cavallo” del podere Fanti in località “La Selva”

Don Eraclio Stendardi

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una bandiera tricolore; mentre pocodopo dalla medesima uscivano ilSebastiani e i suoi tre figli insieme alPettinelli Vincenzo e figlio, armatitutti di fucile. Poco dopo giungevanoda Farnese molti Garibaldini, capita-nati da Reginaldo Alessandrini, iquali si diressero col Sebastiani allacaserma dei Gendarmi ed impadroni-tisi delle armi, si portarono alla Chiu-sa Egisti [l’attuale rione che com-prende la chiesa di San Rocco, dallascuola elementare al campo sporti-vo parrocchiale, allora aperta cam-pagna, ndr], ove formarono le senti-nelle per guardare la strada di Valen-tano e Farnese. Oltre ai sunnominatid’Ischia, presero parte all’impresaGiovanni Bettini, Michele Gelsomini,Giuseppe Galli, il maggiore BaldiniGiuseppe, i tenenti Ciampoli, Ravez-zi, Bianchini, Francardi, Alessandrini,il capitano Brunori di Cellere e LuigiFrattini di Cisterna. Il Sebastiani preseil governo d’Ischia e dall’esattore Er-mete Ricci si fece consegnare la cassaesattoriale e prese dai magazzini[della Rocca Farnese, ndr] del mar-chese Capranica 127 rubbia di granoappartenenti al Capitolo di Acquapen-

dente, che fu poi venduto per sostene-re le spese insurrezionali. Dal Baldinie dall’Alessandrini di Farnese fu costi-tuito il nuovo Municipio, composto daErmete Sebastiani, Sindaco, Luigi Viti,Domenico Farina, assistenti. Ad Ales-sandro Bondi di Farnese fu commessodi fare il nuovo stemma da sostituirsia quello pontificio, che il nuovoDirettorio non ebbe il tempo di innal-zare per l’improvviso arrivo delletruppe pontificie”.Fu un episodio veramente curiosoquello che si verificò il giorno stabi-lito per l’inaugurazione del nuovostemma. “Il signor Egisti, che si erafregiato il petto di una grossa coccar-da tricolore, stava dirigendo la ceri-monia della surrogazione dello stem-ma; quello pontificio già era calato abasso tra i fischi del popolo, quandogiunsero i soldati pontifici. Il coman-dante di questi, volgendosi all’Egistigli dice: “Monsieur coccardon, venezici!”, ed avutolo vicino gli ordina difare rimettere a posto l’arme pontifi-cio. E qui risate e fischi all’indirizzodell’Egisti da parte di quegli stessi chepoco prima lo avevano applaudito”.Il colorito episodio fa venire in

mente la bella riflessione manzonia-na: “La massa... un miscuglio acci-dentale di uomini, bisognosi di grida-re, d’applaudire a qualcuno, o d’urlar-gli dietro. Viva e muoia, son le paroleche mandan fuori più volentieri...Attori, spettatori, strumenti, ostacoli,secondo il vento”.Così andavano le cose garibaldine aIschia di Castro nel lontano 1867. LoStendardi conclude:“Il periodo garibaldino in Ischia passòtra alternative di comando: oggi eranoi Codini - così la parte avversaria chia-mava i sostenitori del governo pontifi-cio -; domani erano i Diavoli Rossi -così gli altri chiamavano i Garibaldini- che si contendevano e comandavanola piazza. E molti episodi di sapore u-moristico segnarono le locali competi-zioni, mascherate da uno smalto poli-tico, che nascondeva personali ambi-zioni ed interessi. Nel 1870 Roma èproclamata Capitale d’Italia e l’unitàd’Italia viene con ciò sancita. Ischiachiude le pagine di una storia che leaveva assegnato un posto di prim’or-dine nell’ambito dell’ex Ducato diCastro, per unirla ormai a quella dellacomune Patria: l’Italia”.

Circolari della Delegazione Apostolica di Viterbo (archivio storico comunale di Farnese)

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Dopo l’invasionedei territoridella Tuscia daparte delle trup-

pe «italiane» (11-12 set-tembre 1870), la città diMontefiascone divennereferente dei paesi vicini.Per sancire questa premi-nenza organizzativa laGiunta Governativa diViterbo, in data 15 set-tembre, aveva nominatoil montefiasconeseColombanoCernitori aCommissarioSpeciale delDistretto per la veri-fica dell’operatodelle nuove Giunte,costituite o dacostituire.1

E’ per questo moti-vo che la primissi-ma lettera (proto-collo nr. 1) scrittadall’Amministra-zione di Marta libe-rata dal dominiopontificio, fu inviataalla Giunta diMontefiascone e fir-

mata dal Sindaco sig.Lanzoni.2 In essa si davacomunicazione che lariunione assembleare cit-tadina aveva scelto comepropri rappresentanti isignori Pietro Sabellotti eDomenico Cempanaridella cui nomina si chie-deva ratifica. Con la cir-costanza il Sindacodomandava anche chiari-menti sulla formazionedella Guardia Nazionale e

laconicamente aggiunge-va: «siccome in questoComune non ci è alcunsegno di Governo [man-cano cioè simboli distin-tivi, ndr], potrebbe man-darmi a mezzo del-l’espresso una Bandierapagandone l’importo».3

Dall’Archivio diMontefiascone è emersaanche un’altra notiziaattinente la cittadina diMarta durante quelle

giornate. Inoccasione delpassaggio edello staziona-mento delletruppe italianecomandate daNino Bixio,provenienti daMontefiasconee lentamentedirette aCivitavecchia,furono causatidanni materialial contadinoNazarenoMoretti nellasua proprietà

denominata Maccaron-cello. Egli pertantodenunciò quanto da luisofferto nel «terreno albe-rato vitato nella notte del12 e 13 settembre dalleTruppe Italiane cheaccamparono adiacente-mente al di lui fondo [epertanto] supplica laSS.VV. volersi degnare difar eseguire la perizia deldanno ricevuto nell’uva ...onde poter ottenere ilrelativo compenso». IlPerito agrario comunale,Pietro Britzj, in data 20settembre periziò ildanno in lire cinquanta-due e centesimi cinquan-ta.

1 “Decreto del Sig. ColombanoCernitori a Commissario Specialeper la Formazione delle Giunte delDistretto. Viterbo il 15 settembre1870”. ASCM - Cartella 778P.2 Per dissapori sulla gestione delnuovo corso storico il patriotaLanzoni, con un’altissima e vibrantelettera dell’11 ottobre, comunicòalla Giunta montefiasconese il suoritiro dalle faccende municipali.3 Lettera del Municipio di Marta afirma F. Lanzoni - Protocollo Nr. 1.ASCM - Cartella 778P.

Marta

Normando Onofri

E Martasi scoprìsenzatricolore

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Era un freddo pomeriggio dell’inverno 1943 estavamo a scaldarci intorno al focolare. D’untratto il clacson di una macchina ci fece sobbal-zare. Una Fiat Balilla era entrata nel vialetto del

nostro giardino e gli occupanti, due uomini sulla cin-quantina aspettavano che qualcuno si affacciasse. Miopadre si affacciò e lo vedemmo abbracciarsi con unamico, certo Remigio Belvedere di Roma noto a tutta lafamiglia Zerbini. Lo accompagnava un’altra persona, anoi sconosciuta che da Remigio ci venne presentata.Era niente di meno che il generale Giuseppe Garibaldifu Menotti in missione in Toscana.Mio padre li fece entrare ed ebbe inizio una simpaticaconversazione e il nipote dell’Eroe dei due Mondi rac-contò molti particolari a noi sconosciuti sull’esilio aCaprera. Mio padre scesequindi in cantina a pren-dere il vino della nostracampagna e mia madrepreparò la cena. Duranteil pasto mio padre raccon-tò all’illustre ospite la leg-genda del vino di Mon-tefiascone che lo divertìmolto. Mio padre era unottimo narratore. Ma eraanche ospitale e genero-sissimo.Contrariamente al nonnoera di statura longilinea,vestiva abiti borghesi chelo facevano apparire mol-to elegante. Di grande af-fabilità si dimostrò connoi, in particolare con me,ragazzo tra i quattordici ei quindici anni. Rimanem-mo in piedi fino a tardi aconversare allegramente.Fu brindato alla salute dinoi tutti levando in alto ibicchieri del vino della no-stra vigna. Cantammocanzoni allora in voga e,tutti quanti in coro, l’inno

di Mameli, una canzona patriottica che creò una certacommozione. Prima di coricarci, mio padre scese dinuovo in cantina a prendere del vino che regalò aGaribaldi per bere durante il viaggio. Mia madre, inve-ce, gli regalò una pagnotta di pane bianco (una verararità in quei giorni di guerra), regalo che gradì moltis-simo.A letto rimasi a lungo in dormiveglia come l’alunno cheripassa la lezione: gli eroi del Risorgimento, i nomi dellevarie località: Solferino, San Martino, Magenta, Calata-fimini, Marsala, Aspromonte. Mi giravo nel letto emozio-natissimo. Un Garibaldi in casa! Una cosa veramentestraordinaria che non avrei mai immaginato di vivere. Almattino, quando la Balilla si rimise in moto, vidi miopadre che allungava la mano verso lo sportello per rice-vere il biglietto da visita che ho ereditato io e che con-servo gelosamente tra le carte più importanti.

da La Voce, ottobre 1993, p. 18

Montefiascone

Giorgio Zerbini

“Passaggio memorabile”

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Dalle rivolte del quarantotto a-lle congiure nell’agonizzanteRoma dei papi, dalla caoticarotta di Mentana al tranquillo

e quotidiano mestiere di burocrate,Egidio Bruschi, nato nel 1822 a Giulia-nova degli Abruzzi, si distinse tra itanti e come i tanti, purtroppo spessodimenticati, che hanno speso entusia-smo, fatica e denaro per unire l’Italia.La sua è una figura singolare ed affasci-nante, per anni rimasta nascosta negliarchivi privati dei suoi discendenti,emarginata in vita e nella memoria dal-la famiglia papalina in quanto egli, pa-triota valoroso, non perse occasioneper contribuire alle battaglie risorgi-mentali. E’ stato possibile ricostruirela sua biografia grazie ai documentipiù significativi e apparentementesparsi, che erano stati, da lui in primapersona, catalogati con certosina do-vizia, numerati e raccolti in una sortadi curriculum compilato per ottenerela pensione di danneggiato politico. Nel contesto incandescente del regnoborbonico, nella primavera del 1848comincia la sua carriera risorgimentaledistinguendosi nella rivolta che ebbeluogo a Giulianova degli Abruzzi. Il cre-scente disprezzo per il re, e la delusio-ne per l’ormai evidente fallimento delmoto, si unirono probabilmente al gio-vanile spirito goliardico, se nei docu-menti si legge anche che fu imputato dideformazione di una statua del re si-tuata in luogo pubblico. Alla vigilia del-l’insurrezione abruzzese sposa DonnaElena Ciaffardoni, figlia della facoltosafamiglia di proprietari terrieri e baronidi Giulianova. Il 5 agosto 1848 nasce laprima figlia Tullia. Con sentenza del 12agosto 1850 Egidio fu condannato allapena di un anno di prigionia. Nel dì 17settembre fu spiccato mandato di arre-sto contro il medesimo ma ad Egidioriuscì di emigrare a Malta, dove rimaseper un lasso di tempo imprecisato.Benché non documentata, possiamoconsiderare la permanenza di Egidiosull’isola come un periodo che certa-mente influì sulla formazione del suo

spirito e gli diede conferma della bon-tà della causa che aveva abbracciato;nel minuscolo protettorato ingleseconfluivano infatti in quegli anni colon-ne di esuli e patrioti. Uscito da Malta sitrasferisce a Napoli, poi nel 1851 a Be-nevento, enclave pontificia, e dimorapresso la casa materna; ma non riu-scendo a nascondere i propri senti-menti patriottici emigra ancora, rag-giungendo il padre a Corneto. Si avvici-na così a Roma, città nella quale il po-tere temporale stava ormai tramontan-do e per la quale spenderà ogni ener-gia nella fase più densa ed entusia-smante della sua attività politica e dicospiratore, ricostruibile attraverso lacorrispondenza avuta specialmentenel 1863 in qualità di membro del Co-mitato Nazionale Romano e nel Co-mitato di Emigrazione Romano-Veneta.Dal processo istruito presso il Supre-

mo Tribunale della Sacra Consulta nel1864 risulta che Egidio subì un primoarresto in Roma il 9 gennaio 1862come sospetto agente del ComitatoNazionale Romano. Sempre in Romaperò operano sia un Comitato reazio-nario, guidato dai “puri” della corteborbonica e appoggiato da parte dellagerarchia e con alla testa il conte diTrani, sia, soprattutto, lo stesso Fran-cesco II di Borbone che, sotto la prote-zione del papa, muove le redini delmovimento del brigantaggio e non per-de occasione per fomentare la reazio-ne in vista di un suo ritorno sul tronodelle Due Sicilie. La vicenda di Egidio si snoda in unintreccio di rapporti, finanziamentiocculti, viavai di personaggi oscuri neimeandri di Roma e del Vaticano; ma illegame che più di tutti si rivela impor-tante in questo periodo è quello tessu-to con Cesare Filibeck, personaggio diassoluta preminenza nell’ambito delComitato Nazionale Romano e prota-gonista di un progetto di rapimento diFrancesco II. Egidio subirà un nuovo arresto nelluglio dello stesso anno, “imputatoegualmente come emissario e propaga-tore di massime liberali di scritti disabaudi e stampe incendiarie tendentiad eccitare nemici al Governo Clerica-le”. Nei seguenti cinque mesi speri-menta la segreta cellulare nelle CarceriNuove e, a seguito del processo, il giu-dice Maggi lo condanna all’“esilio conla penale di tre anni di detenzione nelcaso di ritorno nei domini papali”. Dalla penna di Filibeck non solo ci ven-gono fornite notazioni utili a seguire levicende di Egidio, ma ci è permessoanche di assaporarne l’entusiasmoche le guidava e quanta stima ciò frut-tasse nei suoi confronti negli ambientipolitici che frequentava. Scrive Fi-libeck: “Fra breve uscirà dal carcere perandare in esilio tale Egidio Bruschi. Ciassicurano egli essere un degno e per-fetto galantuomo, intraprendente evoglioso di render servigi al paese. Noive lo raccomandiamo caldamente per-ché al suo arrivo egli sia ammesso se lo

Tarquinia

Tiziano Torresi

Il garibaldinoEgidio Bruschi (1822-1891)

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l’abbazia di Casamari e della cittadelladi Ceprano. Il 28 ottobre 1867 il miglia-io di uomini, tra cui Egidio, entra inFrosinone, per ripartire l’indomani allavolta di Roma, arrivando ad occupareVelletri, mentre già nel Lazio settentrio-nale erano state occupate, dalla colon-na guidata dal generale GiovanniAcerbi, Acquapendente, Civita Castel-lana e quasi tutti i piccoli centri dellaTuscia, compresa Viterbo. A Tivoli siricongiunsero le colonne Acerbi eNicotera. Il 3 novembre le forze garibal-dine si scontrarono con la colonnapontificia guidata dal generale DeCourten e con quella francese del gene-rale De Pohles, circa settemila soldatiin tutto che anche grazie all’utilizzo deinuovissimi e micidiali fucili chassepotscostrinsero in poche ore i volontari allafuga disordinata. Egidio conclude la sua avventurarisorgimentale in quella rotta disordi-nata, in quella che fu anche l’ultimavera battaglia, l’ultima carica alla baio-netta del Risorgimento italiano, la finedell’età eroica del garibaldinismo.Meno di tre anni dopo, complice la si-tuazione internazionale modificata, ibersaglieri di Cadorna entreranno,quasi senza difficoltà, nella Città Eter-na e Roma diventerà finalmente italia-na: per Egidio e per tanti altri arriva ilmomento di accantonare l’uniformed’insurrezione e di servire lo stato uni-ficato in una lunga carriera ammini-strativa. Egidio morì a Messina nel1891. Il suo nome è riportato anche in unasingolare stampa commemorativa incarta fine violacea del fondo Lucidiacquisito dall’archivio comunale diTarquinia insieme ai nomi dei volontariaccorsi a difesa della patria della cittàdi Corneto. Si tratta verosimilmente diun opuscolo-diploma distribuito inoccasione di una commemorazione inonore di Ildebrando Lucidi, anch’egligaribaldino natio di Orvieto e combat-tente nella campagna del 1866. Egidio èprobabilmente riconosciuto come Cor-netano per via del titolo assunto dalramo collaterale dei Bruschi di Cor-neto “Dei conti Bruschi”. Nella stessastampa figura, combattente nella cam-pagna del 1859, anche un altro Bruschi,Filippo, cugino di Egidio, il quale intrat-tenne anche corrispondenza con Giu-seppe Garibaldi facendo parte deiCacciatori delle Alpi.

chiede al sussidio di emigrazione e per-ché vi adopriate a trovargli una occupa-zione”. D’altronde il mestiere del pa-triota era un lavoro complesso dasvolgere, perché richiedeva tempoche inevitabilmente veniva sottratto allavoro, uno spirito indomito e soprat-tutto spostamenti frequenti in unclima generale di sospetti, dove lecomunicazioni e in particolare la corri-spondenza andavano gestite con lamassima cautela. Sul finire del 1862 Egidio è quindi dinuovo in esilio e il 10 dicembre vieneimbarcato a Civitavecchia e ripara aNapoli. Da qui, nei primi mesi del 1863continua a essere corrispondente delComitato Nazionale di Roma, Frosino-ne, Velletri e di tutta la Comarca. Egi-dio, con il beneplacito delle autoritàrientra ripetutamente in Roma perpromuovere dimostrazioni patriotti-che e sventare i piani della reazioneborbonica, che sotto l’egida dello sta-to pontificio aveva in Roma il propriofocolaio e incoraggiava il brigantaggiodelle province meridionali. In una diqueste segrete apparizioni, la sera del13 aprile 1863, con un piano ardita-mente concepito e con un successopari all’audacia, riesce a perquisire ildomicilio del barone Achille Cosenza,capo del Comitato Reazionario ed exispettore della polizia borbonica: tuttala corrispondenza, tutti gli elenchidegli affiliati alla congiura borbonica,nonché altri documenti, l’arresto dimigliaia di individui e la produzione di

70 volumi di processo comprovanocome la reazione sarebbe stata auten-ticamente pericolosa per il delicatoequilibrio politico della neonata Italia.Ma l’indomito Egidio certo sa che nonsarebbe bastato aver vinto una batta-glia per vincere la guerra. Non trascor-re infatti neanche un mese da tutto ciòche rientra di soppiatto in Roma.Questa volta però, complice la rad-doppiata sorveglianza da parte dellapolizia pontificia, l’operazione naufra-ga e il 14 giugno viene nuovamente ar-restato. Ma quando il procuratore fi-scale mons. Lambertini conclude lasua requisitoria chiedendo la condan-na dell’ergastolo, il caso sembra assi-sterlo: si guadagna la pena di un nuovoesilio per motu proprio del ponteficePio IX, che si era benignamente ricor-dato di due personaggi eminenti e por-porati distintisi nell’albero genealogi-co dei Bruschi come servitori fedeli diRomana Chiesa: il cardinale GiovanniFrancesco Falzacappa e monsignorSecondiano Bruschi. La famiglia, acer-rima nemica dell’entusiasmo patriotti-co di Egidio, si era rivelata “provviden-ziale”. Egidio si distinse anche nelle vicendedell’autunno del 1867 e questa voltacon la divisa, in prima linea, di capita-no della prima compagnia battaglioneOrsini della colonna degli insorti roma-ni a Mentana. La colonna Nicotera se-guì la direttrice frusinate e, partita daPastena il 25 ottobre 1867, si distinseper l’occupazione e il saccheggio del-

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Il 13 settembre 1869, mentre Garibaldi tentava l’impre-sa di rendere l’Italia un unico paese, un corrisponden-te inglese del London Times scriveva:

“Ho avuto la mia prima intervista con il disinteressato ederoico liberatore d’Italia vestito di una camicia rossa, unpaio di pantaloni jeans e vecchi stivali. Il più grande pa-triota dai tempi di Washington pettinava, in piedi davantiallo specchio, i suoi lunghi, fini capelli”.

Ricordiamo che questo patriota era originariamente uncapitano di mare ligure che vestiva, come i suoi colleghi,pantaloni di una tela indistruttibile chiamata blu di Gene,blu di Genova, da cui il nome blue jeans.Senza saperlo, Garibaldi era anche lo sponsor di altremercanzie, specialmente in Inghilterra dove le signoreusavano camicie simili alle Camicie Rosse e chiamateGaribaldis. Esistevano fermacravatte Garibaldi per gliuomini mentre l’Illustrated London News promuoveva illibro “Memories of Garibaldi” di Dumas, “una lettura per-fetta per la spiaggia o il treno”.L’amore degli inglesi per i souvenir, uniti alla loro adula-zione per il bel Generale, specialmente dopo l’inaspetta-ta invasione della Sicilia nel maggio del 1860, fece nasce-re centinaia di oggetti commemorativi anche senon sempre di buon gusto.Insieme alle figure Staffordshire di Garibaldi acavallo, c’erano foulard di seta Garibaldi esegnalibri con ritratti. C’erano profumiche portavano il nome dell’eroe e lo de-scrivevano come “irresistibile”. C’era-no dolci conosciuti come “palle diGaribaldi” e biscotti Garibaldi, preli-batezze con uva secca che si possonogustare ancora oggi in tutta Europa. Garibaldi era talmente popolare inInghilterra che la rivista satirica Punchlo ha sempre trattato con rispetto eriverenza, a differenza di altre figurerisorgimentali come Pio IX, che era vi-sto come un vecchio bavoso con la tiara

a sbilenco; Napoleone III, disegnato con scarpe rotte evestiti rattoppati, e re Ferdinando II di Napoli, il quale erarappresentato all’inferno in una caricatura pubblicatasubito dopo la sua morte. Qualche volta però quest’ido-latria diventava quasi una persecuzione, come si narra inquesto estratto di un diario inglese: “Alcune signore che volevano un’intervista con lui piùtardi all’Hotel d’Angleterre gli chiedevano baci e ciocche dicapelli come ricordo. Il Generale Turr, di guardia aGaribaldi, sembrava spazientito mentre l’eroe, con un pet-tine, preparava i boccoli”.La moda per Garibaldi ha prodotto inoltre innumerevolipoesie in onore del bravo generale. Fra queste i Poemsbefore Congress di Elizabeth Barrett Browning, compo-ste nella quiete di casa Guidi dove l’autrice, consideratacome un importante punto di riferimento per la situazio-ne italiana, riceveva le visite di numerosi britannici.

Alfred Lord Tennyson mostrava il suo rispetto el’amicizia per Garibaldi nei Memoirs, ricordan-

do la visita del generale presso l’isola diWight durante la quale i due piantarono un

pino. In netto contrasto a quest’idolatria degliinglesi troviamo le poesie e ballatepubblicate sui giornali irlandesi del-l’epoca. In una ballata spiritosa il ge-nerale italiano viene rimproveratoper essersi contrapposto al papa,implicando che tutti i suoi guai (lamorte d’Anita, la ferita d’Aspromontee l’esilio a Caprera) fossero dovuti aquesta ragione.

[email protected] www.elegantetruria.com

Vetralla

Mary Jane Cryan

Garibaldi’sBlue Jeans

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Quando venne aViterbo, il 6 e 7maggio 1876,Garibaldi aveva

69 anni; due anni primaera stato eletto deputatodi Roma. Aveva diversi eseri problemi che limita-rono la sua partecipazio-ne all’intensissimo pro-gramma di manifestazioni,attese le cautele che l’af-franta di lui salute esigerà;opportunamente si rispar-miò, ma l’agenda era cosìfitta che avrebbe stronca-to anche un allenato e gio-vane uomo politico dioggi: per sua fortuna nonci fu molto tempo a dispo-sizione per organizzare ifesteggiamenti, perchésoltanto negli ultimi giornidi aprile il generale avevaaccolto l’invito a prendereparte ai festeggiamentiindetti dalla Società diMutuo Soccorso tra gliOperaj di Viterbo, checelebrava il quinto anni-versario dell’istituzione,con varie manifestazioni eun grande banchetto alle-stito nel bosco dell’exConvento dei Cappuccini(all’epoca espropriato pereffetto delle leggi eversiveche avevano soppressomolti enti ecclesiastici).Fu deciso che l’illustreospite e la sua famigliasarebbero stati ospitatinel Palazzo dei Priori, ovefurono allestite le stanzenecessarie: Garibaldidormì nella Sala Rossa(attuale studio del sinda-co), ove erano stati porta-ti due letti in ferro messi adisposizione dalla famiglia

Ludovisi. Naturalmente siimbandierarono vie epiazze, fu allestito un arcotrionfale presso Portadella Verità, furono predi-sposti addobbi e lumina-rie, mentre autorità eassociazioni si mobilitava-no per partecipare allemanifestazioni: furonoprenotate tutte le stanze

disponibili negli alberghi,locande e affittacamere, lecarrozze esistenti in tutti ipaesi del circondario ven-nero tutte noleggiate, lebande musicali si poseroa disposizione.Le notizie della visitadell’Eroe del Risorgimento

sono tratte da La Gazzettadi Viterbo e da un articolodi Alberto Mario, volonta-rio, amico e biografo diGaribaldi che prese partealla trasferta a Viterbocon gli inviati del Fanfulla,dell’Opinione, del Diritto,del Daily-News, i qualiviaggiarono su altro vago-ne del medesimo treno.

Sabato 6 maggio

Il venerdì 5 maggio unassessore e il presi-dente della SocietàOperaia ClementeCarletti si recarono aRoma per accompa-gnare a Viterbo l’ospi-te, che con i familiari(tra cui i figli Menottie Ricciotti) viaggiò inun vagon salon riser-vato sul treno Roma-Orte; la partenzaavvenne alle ore 9 del6 maggio e all’arrivoalla stazione di Orte,verso le 11, fu ricevu-to dal facente funzio-ne di sindaco diViterbo AlessandroPolidori. Fu festeggia-to dalle popolazioni,

dalle rappresentanze e daiconcerti di molti comuni,anche della provinciadell’Umbria.Il sindaco di Orte avevaapprontato un rinfresco,dopo di che gli ospiti,montati su sei o sette car-

rozze, affrontarono i 32lunghi e disagevoli chilo-metri fino al capoluogo:Garibaldi fu festeggiatovia via dalla gente accorsasullo stradone da paesi ecampagne: Bassano,Bomarzo, Chia, Soriano eVitorchiano; a Bagnaia alcurvone del “ferro dicavallo” venne accolto daun arco di rami verdi conepigrafe e ritratto, innodella banda, mortaretti,suono di campane e poiaccompagnato da calessi,carrozze e cavalieri giuntida Viterbo fino a LaQuercia, ove era previstol’incontro con i viterbesiconvenuti con bande ebandiere per salutarel’Eroe. Accompagnato finoa Piazza del Plebiscito, vigiunse intorno alle 16,30,atteso dalle autorità edalle società e associazio-ni, dai militari, dallebande che suonavano ilsuo Inno e gran folla che,per festeggiarlo, non gliconsentiva neppure discendere dalla carrozza:Garibaldi - riferisce Mario- il quale reggevasi in piediappena sulle grucce, emuove il passo a grandestento e con visibile soffe-renza, sollevato sulle brac-cia di Menotti fu trasporta-to entro una lettiga allesale superiori ove attende-valo il corpo municipale.Chiamato alla finestra gli

Viterbo

Giorgio Falcioni

Garibaldi inaugurò a Viterboun monumento di cartone

La visita a Viterbo del 6-7 maggio 1876 fu per Giuseppe Garibaldi un autenticotrionfo con bande, bandiere, festoni e luminarie, anche se si muoveva a stentoe mostrava segni di sofferenza. Nel bosco dei Cappuccini prese parte ad un ban-chetto con 1272 convitati. In Piazza del Comune doveva inaugurarsi il monu-mento ai Caduti nelle battaglie del Risorgimento progettato da Pio Fedi, ma trainni e discorsi fu scoperto soltanto un cartone su cui era disegnato il bozzetto agrandezza naturale (il monumento non venne mai realizzato)

Alessandro Polidori facente funzionedi sindaco nel 1876

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si offerse lo spettacolo diuna moltitudine...Garibaldi aveva le manienfiate e sul volto leggeva-glisi lo spasimo; pureseppe parlare alla follacon voce maschia e ram-mentò i volontari dati daViterbo alle battaglienazionali... Fu salutato daovazioni e lancio di berret-ti militari e cappelli di cit-tadini. Si trascinò sullegrucce nella sua camerada letto e non poté assiste-re al pranzo di gala, offer-togli dal municipio.Il banchetto, per 50 convi-tati in abito nero e cravat-ta bianca, era servito dalGran Caffè Schenardi e siprotrasse a lungo, connumerosi brindisi, mentrele bande continuavano asuonare sulla piazza.

Domenica 7 maggio

Mentre il generale riceve-va le autorità e gli invitati,i giornalisti presenti furo-

no accompagnati in unavisita al Bulicame e allabasilica di S. Maria dellaQuercia. Quindi, a mezzo-dì, iniziò la sfilata deimille partecipanti al ban-chetto della SocietàOperaja: Garibaldi, in car-rozza, fu oggetto deglievviva di almeno 30.000spettatori in tripudio. Ilbosco era stato variamen-te allestito e decorato conil busto del re, fontane,getti d’acqua, aiole fiorite,bandiere, stemmi, cane-stri di fiori, pennoni, tar-ghe, nomi e ritratti di per-sonaggi; suonavano alter-nativamente 8 bandemusicali; le mense, lunghe500 metri, accolsero 1272persone.Il banchetto, pure allestitodai fratelli Schenardi, siaprì con il canto di unInno alla Concordia scrittoda Giuseppe Manini emusicato dal M°Criscuolo, distribuito a

tutti i presenti insieme apoesie ed epigrafi. Un bat-taglione di camerieri ser-viva l’omerico banchet-to... e provocò una risatagenerale la corsa a preci-pizio... di 100 di loro conuna piadina solenne dimaccheroni ciascheduno(la cui lunghezza fu calco-lata in 7.140 metri da unamante di statistiche, chevalutò anche in 23 ettolitriil vino consumato e in 11metri quadrati per 7 centi-metri di altezza la dimen-sione dei 120 marzapaniserviti).Alla terza portata il presi-dente della SocietàOperaja Clemente Carlettifece il discorso ufficiale:parlò per mezz’ora trat-tando vari argomenti enon mancando di solleci-tare l’intervento dell’ospi-te per la via ferrata.Garibaldi prese la parola

L’inno in occasione del banchetto reca un evidente refuso:“auspici” in luogo di “ospiti”

Il bozzetto del monumento ai Caduti del Risorgimento,di cui fu “inaugurato” il disegno su cartone

per ringraziare per lanomina a presidente ono-rario della Società eanche lui, come Carletti,non mancò di prenderselacon il clero. Ci furono altriinterventi, vennero recita-te poesie e fu indetta per-fino una sottoscrizioneper fondare un asilo infan-tile, alla quale Garibaldicontribuì con 25 lire; subi-to dopo si allontanò perandare a visitare lo stabili-mento dei bagni e i convi-tati se ne andarono: lemense furono occupatedai non convitati i quali simangiarono la secondametà del pranzo.

Pio Fedi e il monumentoai caduti

A tutte le celebrazioniaveva preso parte, comeospite d’onore, anche PioFedi, l’illustre scultore

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nato a Viterbo, che avevaacquisito fama e gloriainternazionali e che inter-veniva quale autore delbozzetto del monumentoper i Caduti del circonda-rio di Viterbo nelle batta-glie del Risorgimento, chedoveva realizzarsi a curadel comune di Viterbo edessere inaugurato in que-sta importante occasione.In realtà, come scriveMario, il monumento rima-ne ancora a farsi.S’inaugurò l’idea delmonumento, figurata inun disegno sovra cartone.Infatti, il bozzetto, buttatogiù in gran fretta dal Fedi,convinto a stento dalcomune ad imbarcarsinell’operazione, era statoriportato su cartone indimensioni naturali dal-l’artista Gaetano Spadini,costruttore dellaMacchina di Santa Rosa,per essere esposto inPiazza del Plebiscito oveavrebbe dovuto essereeretto: sopra un plinto sor-retto da otto leoni (emble-ma della città) sorge unottagono intorno al qualesaranno sculti i nomi deicittadini che si adoperaro-no per la patria indipen-denza; e sovr’esso sta unacolossale figura di donna,rappresentantel’Indipendenza, che frangei ceppi della schiavitù.L’altezza del monumentosarà di nove metri.Il municipio, che aveva inmente di coprire confondi di bilancio unaparte della spesa, speravadi raccogliere contributidai comuni del circonda-rio, ma non riuscì ad otte-nere alcun sostegno eco-nomico e il monumentonon venne più realizzato,con buona pace diGaribaldi e di Fedi.Tuttavia il programma

della visita di Garibaldiprevedeva che nel pome-riggio del 7 maggio, inPiazza del Comune, venis-se inaugurato il “monu-mento” agli eroi delRisorgimento e il pro-gramma fu rispettato,solo che, tra gli squillidelle fanfare, si scoprì, inattesa del marmo, il gran-de cartone realizzato daSpadini. Garibaldi, tra iclamori e gli inni, assiste-va da una finestra delpalazzo del comune.

La partenza

Una leggera pioggia impe-dì più tardi l’illuminazionea luce di magnesio di piaz-za del Plebiscito, ma lafesta proseguì splendida-mente al teatrodell’Unione ove si svolseuna rappresentazionebenefica della SocietàFilodrammatica, che rag-giunse il culmine con ladeclamazione, da parte diuna giovinetta, di unapoesia in onore diGaribaldi, che non avevapotuto presenziare peisuoi fisici incomodi.La partenza dell’Eroe fualtrettanto imponente,dopo una visita allo stori-co Caffè Schenardi. Alleore 10 a Porta Fiorentinavenne salutato da unafolla acclamante e accom-pagnato da gente a piedi,a cavallo, in carrozza finoa Bagnaia, ove Garibaldifece un giro nei giardinidella Villa Lante, prose-guendo poi per Orte, ovefu accolto da un arco ditrionfo da cui scesero sudi lui petali di fiori.Nel 1882, anno della suamorte, per ricordarne lastorica visita, venne appo-sta una lapide nell’atriodel Palazzo dei Priori.

Nella Campagna del 1867

assalto dei Garibaldini

a Porta della Veritàdi Giorgio Falcioni

Il tentativo di occupare Viterbo fu effettuato il24 ottobre da un distaccamento della ColonnaAcerbi e si concluse con tre morti. Nella cittàabbandonata dalle truppe pontificie il gen.Acerbi entrò il 28 ottobre proclamandosi pro-dittatore in nome di Garibaldi

La città diViterbo fudirettamen-

te coinvolta nellacampagna gari-baldina del1867, l’operazio-ne militare per laconquista di Ro-ma condotta daGaribaldi. Il gen.Giovanni Acerbi(che era deputatoal Parlamento diFirenze) al co-mando di un nu-trito gruppo di vo-lontari, proceden-do in azione dicopertura del latodestro della colonna di camicie rosse che avanzava lungola valle del Tevere, si spinse verso il capoluogo dellaProvincia del Patrimonio; tuttavia, il 24 ottobre, le cami-cie rosse vennero avvistate da una pattuglia di militaripontifici del presidio di Montefiascone, i quali ebbero iltempo di avvisare a mezzo telegrafo il comando delletruppe a Viterbo. La guarnigione pontificia del capoluogo,comandata dal col. Azzanesi, non era molto consistentepoiché contava circa 380 uomini e, secondo lo storicoSignorelli, tra i garibaldini era stata discussa la possibilitàdi tentare un assalto a Viterbo, confidando sulla solleva-zione della popolazione, che, invece, rimase tranquillamentre i militari della guarnigione sorvegliavano dall’altodelle mura l’evolversi della situazione. Venuto a cono-scenza dell’avanzare dei volontari di Acerbi, l’Azzanesifece uscire un plotone di dragoni e granatieri, al coman-do del ten. Fagiani, che si scontrò con l’avanguardia gari-baldina sulla strada per Celleno; il dragone AntonioQuadrotta rimase ucciso e il ten. Fagiani ferito, per cui,obbedendo agli ordini, la pattuglia si disimpegnò rientran-do rapidamente a Viterbo. Anche i garibaldini ebbero

Giovanni Acerbipro-dittatoredi Viterbonel 1867

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delle perdite e i feriti si rifugiarono nei casa-li della zona e nella Villa Spreca (poi RossiDanielli, ora Cecchetti) a Villanova.I pontifici sbarrarono ancor meglio le portee si schierarono sulle mura per respingerel’eventuale assalto; le camicie rosse tenta-rono nel punto più difficile, alla PortaFiorentina, ma furono accolti dalle fucilatedella guarnigione che sparava dall’alto dellarocca Albornoz e gettava acqua bollente epietre sugli assalitori. Questi ultimi cercaro-no allora un punto di accesso più facile e lotrovarono in Porta della Verità, ove riusciro-no ad accumulare legname con il qualeincendiarono il portone. Quanto avvennesuccessivamente è stato riferito in versionidiverse e nonostante i tentativi degli studio-si non è stato possibile chiarire l’esattoandamento degli eventi.Signorelli riferisce nella sua Storia che ilcomandante degli assalitori, magg. Luigi DeFranchis, prima di compiere l’assalto con-clusivo inviò i priori dei conventi delParadiso e della Verità a trattare la resa conil vescovo Matteo Eustachio Gonnella, che,dichiarando la questione non attinente aisuoi compiti spirituali, li indirizzò all’autori-tà militare. A questo punto De Franchis,sventolando un fazzoletto bianco, sarebbeavanzato tra i residui del rogo della portainsieme al trombettiere Gioacchino Illu-minati e al servita padre Manetto Nicolini,qualificandosi e chiedendo di parlamentare;ricevuto il permesso andò avanti, ma vennecolpito da una scarica di fucileria dei ponti-fici, appostati davanti alle case vicine, checatturarono alcuni altri garibaldini rimastiillesi. E’ certo che De Franchis e Illuminatimorirono subito, mentre il frate morì inospedale dopo tre mesi. E’ dubbio a qualetitolo il servita sia finito sulla fumante Portadella Verità: a seconda della parte, si volleche di lui si facesse scudo il maggiore gari-baldino, o che fosse lui a guidare gli assali-tori. Comunque sia, finì sulla lapide succes-

sivamente apposta all’interno della Porta che reca inciso:Dai nemici della libertà / qui caddero uccisi / Luigi DeFranchis/ Maggiore garibaldino / Gioacchino Illuminati /trombettiere e / Padre Manetto Nicolini / dell’Ordine deiServiti / Il 24 ottobre 1867. Quell’attacco serale e quei morti furono del tutto inutili, per-ché il giorno 27 le truppe pontificie furono ritirate su Romae il gen. Acerbi poté entrare in città la sera del 28 con lacolonna garibaldina, assumendo in nome del dittatoreGaribaldi la prodittatura della Provincia, che mantenne finoall’8 novembre, quando i garibaldini si ritirarono dalla pro-vincia di Viterbo che tornò a far parte dello Stato Pontificio.

Porta della Verità in una foto del 1880 circa

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101LoggettaLlamar-giu 2008

Garibaldiforever

di GiancarloBreccola

L’avevamo anticipato e manteniamo la promessa.La saga risorgimental-garibaldina, evidente-mente, pur nei limiti storici di fondo già enun-ciati, è cara agli studiosi locali, che di quei lon-

tani accadimenti trovano se non altro qualche riflessonelle microstorie dei nostri piccoli centri. Paesi vissuti “apoventa” della storia - di quella politico-militare ufficiale,intendo - teatri accidentali di un’epopea che vi portò ilsuo soffio senza scomporli più di tanto. Eccone alcuni altri esempi fra i diversi altri ancora che visi potrebbero mettere in relazione. Sono, al solito, divario taglio e “pondo”, a loro modo complementari; signi-ficativi, in ogni caso, del diverso approccio all’argomentoda parte della storiografia locale. Ne alterniamo magari lapresentazione - per renderne più agile la lettura - a secon-da dell’impostazione più o meno storico-documentale oaneddotico-letteraria. Per la bibliografia di riferimentorimandiamo invece a quella curata da Giancarlo Breccolae pubblicata a p. 13 del n. 70 della rivista.E, con tutto il rispetto, ... de hoc satis!

Premessa

Il movimento risorgimentalenella Tuscia, a causa dellaprolungata permanenza dirapporti con la Chiesa e alritardo dell’annessione alRegno d’Italia, ebbe caratteri-stiche diverse da quelle delresto d’Italia. La maggioranzadel clero era giustamentemossa da atteggiamenti antiri-sorgimentali, e a questi siadeguavano anche buonaparte dei possidenti e degliimpiegati pubblici, cioè tuttiquelli che temevano un cam-bio di regime. Un oste diMontefia scone, imprigionatoper aver detto: “Mannaggia alPapa delli Paoletti” - espres-sione in uso tra il popolo perdileggiare un contadino cosìsoprannominato - venne dife-

so in latino proprio da unesponente del clero locale.Furono aliene dal movimentopatriottico anche le masserurali che, fedeli al regimepapale, inevitabilmente segui-vano la corrente conservatrice.

Spedizione del 1860

Il 7 settembre, mentreGaribaldi entrava trionfalmen-te a Napoli, 83 volontariperugini, comandati daGiangaleazzo Ugolini e daGae tano Manni, convergevanoverso Chiusi e - insieme aivolontari di Montepulciano,Foiano, Castel Fiorentino eCortona, giunti nella seratadell’8 - costituivano un primonucleo di combattenti. Ilcolonnello Luigi Masi chiamòquesto corpo di volontariCacciatori del Tevere, conesplicito riferimento agli impa-vidi Cacciatori delle Alpi.Quattro giorni dopo i

Cacciatori del Tevere costrin-sero alla resa le truppe ponti-ficie del presidio orvietano. Inun rapporto del 3 novembre1860, il generale franceseCristoforo De Lamoricière,comandante in capo dell’eser-cito pontificio, relaziona sul-l’episodio e annota come l’8settembre il Masi avesse pas-sato il confine a Città dellaPieve con un esercito compo-sto da quasi un migliaio diuomini, dirigendosi versoOrvieto, in quel momento pre-sidiato da 28 gendarmi e dauna compagnia di 110 bersa-glieri agli ordini del capitanodu Nord.

A dì 11 settembre [...] Lacolonna dei volontari, condottadal colonnello Masi, spingeuna forte ricognizione fin sottole mura [di Orvieto...] Tre uffi-ciali pontifici muovono a par-lamentare per trattare dellacapitolazione. Il colonnello

Masi dà incarico al maggioreBruschi ed al capitano Sestinidi trattare con gli ufficiali pon-tifici Du Nort e Savarzani ipatti della resa...

Il comandante du Nord, con-scio dell’insostenibilità dellasituazione, preferì capitolare eil giorno 11 novembre uscìcon armi e bagagli da unaporta con tutta la delegazione,e s’incamminò alla volta diViterbo; aveva con sé un soloferito.

Alle ore 7 [pomeridiane] entrain città il colonnello Masi conla sua colonna tra gli evvivadella popolazione. A dì 12detto [...] I Cacciatori delTevere nella notte assalgono ipontifici a San Lorenzo, liscacciano e danno loro allespalle. I pontifici si ritiranosulla strada di Montefiascone.

All’Osteria Nuova, appenauscito da Orvieto, il du Nordaveva incontrato il capitanoPetrelli che giungeva in soc-corso con una piccola scorta.Insieme si erano diretti a

I Garibaldini a Montefiascone

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Montefiascone, e lì il Petrelliaveva lasciato il du Nord,accrescendogli le forze conuna quarantina di gendarmied alcuni sedentari. La deci-sione fu disapprovata dalgenerale de Lamoricière, chein un suo rapporto commenta:“Questa disposizione saggia-ceva a molti sconci: in primaMontefiascone, che è a quat-tro leghe da Viterbo, ne statroppo lontano per collocarviun posto di 150 uomini inquelle circostanze in cui siera. Di più l’osservazione soladei luoghi bastava per prova-re che, se non si era potutodifendere Orvieto, menoancora si poteva tener forte aMontefiascone”. I Cacciatoridel Tevere, infatti, si diresseroimmediatamente versoMontefiascone, e la conqui-starono, il 18 settembre, dopoun combattimento protrattosiper due ore. Così ne relazionalo stesso comandante duNord:

Eccellenza Reverendissima.Dal 13 di questo mese mi tro-vavo nella posizione di Monte

Fiascone con 110 Bersaglieridella mia Compagnia, e dueUfficiali, non che 73Gendarmi, 15 sedentariicomandati da un Uffiziale etre Finanzieri parimente conun Uffiziale. Quantunque fosseesposta la mia situazione ovesi uniscono le strade di Orvietoe Acquapendente per giungerea Viterbo, obbedii all’ordinepiù volte ricevuto di mantene-re un punto di tanta importan-za. Il 18 alle ore della sera,una pattuglia, formata di duegendarmi a cavallo e sei apiedi, doveva portarsi aCelleno dietro ordini pervenu-timi da Viterbo. Era partita dadieci minuti quando iGendarmi a piedi tornaronocorrendo e mi annunziaronoche avevano dato in una imbo-scata; i due gendarmi a caval-lo che camminavano avantierano stati uccisi da una tren-tina di colpi di fuoco partiti dauna vigna a cinque minuti didistanza da Montefiascone. Almomento mandai una pattu-glia dal sommo della collina,ov’ero accampato nel giardinodell’Episcopio per riconoscereil nemico. Poco dopo vedevo iostesso dalle vigne sbucare trecolonne di 500 uomini circa

ognuna. Feci subito richiamarela pattuglia, già uscita dallaCittà, che sosteneva un vivissi-mo fuoco contro gli assalitori,dai quali era inseguita fin den-tro la Città, che aggredivano intre punti. I miei uomini armatiin fretta sostennero la difesain modo mirabile per due ore.Il nemico portandosi di casa incasa arrivava già alla sommitàdel giardino ed era sul puntodi forzare una porta, che corri-sponde in un altro giardino dicasa vicina. Diedi alloral’ordine della ritirata, chevenne effettuata sotto la prote-zione di un solo plotone controtutta quella banda. Uscii dalgiardino per il solo lato ancoralibero, aprendomi la stradaalla baionetta, rovesciando varidrappelli appostati sul miopassaggio; dovetti però perdisgrazia ricevere le loro scari-che. Arrivato fuori di città mimisi in battaglia, e presi poi lastrada di Viterbo ove avevoordine di ritirarmi [...] Le per-dite furono 27 bersaglieri, unufficiale e 33 gendarmi, 7sedentari, un uffiziale e duefinanzieri. Il nemico deve averavuto una perdita considerevo-le. È indubitato che uno deicapi dei volontari, forse ilcolonnello Masi, rimase ucciso[...] Per il momento mi sonomesso a disposizione delComandante delle truppe fran-cesi giunto questa notte aCorneto [...] 20 settembre1860.

In realtà il colonnello Masi -popolare nella provincia peressere stato segretario diCarlo Bonaparte - era incolu-me e i Cacciatori del Tevereavevano avuto soltanto 6 feritie 4 morti, contro i 71 cadutidi parte pontificia (per tradi-zione orale si vuole che alcunidei soldati pontifici uccisifurono gettati nel pozzo cheancora esisteva nel giardinodella Rocca dei Papi) e la cat-tura di un sottotenente chetornava da Viterbo con lapaga per i soldati. Ed inoltre,volendo dar fede al rapportodel Masi, il du Nord nonmostrò un contegno propria-mente eroico.

Bollettino di guerra daMontefiascone. Rapporti delColonnello Masi: “IlComandante Du Nort sparì a

mezzo del combattimento chedurò due ore: è quello stessoche violò la capitolazione fattameco in Orvieto”.

Il 30 settembre venne pubbli-cato, a firma del comandanteprovinciale di stanza aMontefiascone, un ordine delgiorno per invitare i cittadinialla concordia e all’unionedelle forze:

Militi Nazionali - Prima istitu-zione di libero governo èl’affidare l’ordine e sicurezzapubblica alle armi Cittadine.Anche la nostra Città venuta afar parte del Regno Italianosotto lo scettro costituzionaledel Re Galantuomo VittorioEmanuele per opera dei gene-rosi Cacciatori del Tevere, ripo-ne in Noi la tutela della vita esostanze di ogni individuo.“Militi Nazionali - Non saràdelusa la speranza che in Noiripone la Patria, e l’unica garasarà nel corrispondere ciascu-no ai propri doveri e nelrimuovere ogni mezzo di rigo-re, che se è rincrescevole inogni sorte d’arma, molto piùdeve evitarsi in questo socialebeneficio. Gli Ufficiali costitui-ti provvisoriamente dalloEcc.mo Sig. Colonnello Masisaranno sempre al vostro fian-co come esempio di patriodovere, amore e moderazione.A questi però è dovuto ilrispetto, l’obbedienza e lavostra fiducia. La buona opi-nione, che deve nutrirsi verso ifratelli, rende certi che nessu-no mancherà a se stesso.Concordi ed uniti ci terremosempre più stretti al nostroMagnanimo Re, primo soldatod’Italia, e renderemo sicura laPatria dai nemici interni edesterni. Viva Italia Unita.Montefiascone, 30 settembre1860 / Il Capitano Comand.Prov.

Una lapide, collocata dopoalcuni anni all’esterno delpalazzo comunale daiCacciatori superstiti, rievoca ilcombattimento diMontefiascone: il più cruentotra quelli avvenuti nello Statopontificio durante l’invasionedel 1860.

IL DI XVIII SETTEMBRE MDCCCLX

I CACCIATORI DEL TEVERE

UMBRI TOSCANI E ROMANI

DUCE LUIGI MASI

Generale francese Cristoforo De Lamoricière �

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LIBERATA ORVIETO

SNIDARONO DA QUESTA ROCCA

STRANIERI ASSOLDATI

A DANNO DELLA LIBERTÀ E DELL’ITALIA.A MEMORIA DI LUDOVICO PINI FIORENTINO

CADUTO PUGNANDO NELLA GLORIOSA GIORNATA

CON ALTRI COMPAGNI D’ARMII COMMILITONI SUPERSTITI

POSERO DOPO XXXVI ANNI

QUESTO RICORDO

Purtroppo, come spesso acca-de, i caduti di entrambi glischieramenti offrirono la lorovita inutilmente, poiché gliaccordi fra Cavour eNapoleone III non autorizza-vano l’occupazione di localitàappartenenti al “Patrimonio”.Il fatto provocò un incidentediplomatico e per dirimere laquestione, l’11 ottobre 1860,Viterbo e Montefiascone furo-no restituite al papa, mentreOrvieto riuscì a dimostrare dinon aver mai fatto parte, informa legittima, del“Patrimonio di San Pietro”.

Per l’occupazione dello StatoPontificio Francia e Spagnaritirano i loro ministri daTorino, i volontari sgombranodal patrimonio: Viterbo eMontefiascone ritornano sotto iFrancesi. Orvieto attende lastessa sorte. Gli Orvietanichiedono ed ottengono la pro-tezione di Vittorio Emanuele[...] Gualterio aveva dimostratoche Orvieto non fece maiparte del Patrimonio di SanPietro e che quando il Governodella Chiesa ve lo aveva incor-porato abusivamente, unabolla pontificia restituitolo aisuoi diritti, lo dichiaravadistaccato. La bolla è di PapaUrbano V del dì 8 dicembre1368.

Il 21 ottobre, quando undistaccamento di truppe fran-cesi, composto di tre compa-gnie, entrò in Montefiascone,trovò già lo stemma pontificiorialzato fra le dimostrazionifestose dei cittadini, mentrediversi altri montefiasconesi,che si erano compromessi coni rivoluzionari, furono costrettia emigrare. A beneficio degliemigrati in generale, e diquelli viterbesi in particolare,Nicola Gaetani Tamburinipubblicò un opuscolo che rac-coglieva ventiquattro stornellicomposti da Carlo Lozzi inti-

tolati “I lutti di Viterbo”; traquesti ce n’è uno che nominaMontefiascone e i Cacciatoridel Tevere:

Fior di montagna,O mercenari vili, o gente indegna,è finita perdio vostra cuccagna!Omai più non si beve a ufo e a maccoL’Orvieto dolce e il vin Montefiascone.Non più stupri e rapine, non più sacco:è con noi Dio la forza e la ragione...Son giunti Masi e i cacciator del Tevere.

Non volete più bevere?

Il tentativo garibaldino del 1867

Alla fine dell’estate del 1867,la certezza di una invasionegaribaldina delle terre dellostato della Chiesa era confer-mata dalla presenza del gene-rale Garibaldi a Orvieto ove,secondo un rapporto del 26agosto 1867, giunse, accoltodai fuoriusciti, con il trenodelle 14,30. L’invasione iniziòil 28 settembre. Il colonnelloAzzanesi, comandante delletruppe pontificie dislocatenella provincia di Viterbo,appena conosciutal’occupazione diAcquapendente, si portò conuna parte delle sue truppe,transitando perMontefiascone, verso quellacittadina, che rioccupavanella mattinata del 2 ottobre.Nel frattempo il generale DeCourten, comandante la primasuddivisione della truppa pon-tificia, si era portato da Roma

a Montefiascone, ovel’Azzanesi aveva concentratomolte delle sue truppe; i dueufficiali concordarono insiemeun comune piano di attaccoal concentramento di garibal-dini che si era creato inBagnorea.

Rapporto Kanzler:“Montefiascone 6 ottobre1867 [...] Circa le ore 7 anti-meridiane del giorno 5 corren-te le due colonne mosseronelle direzioni accennate, everso le ore 11 s’ingaggiò ilcombattimento dalla partedegli Zuavi cogli avamposti deiGaribaldini [...] I nostri bravisoldati resistendo e sormon-tando ogni ostacolo, ricaccia-rono dalle loro posizioni iGaribaldini, mettendo fuoricombattimento circa la metàdi essi [...] Il fuoco, comincia-to circa le 11 antimeridiane,cessò, come ho annunciato,circa l’una e tre quarti pomeri-diane. Il Comandante la laZona Militare F.to A.Azzanesi”.

La controffensiva pontificiaproseguì in altri centri dellaprovincia, e gran parte deigruppi di volontari garibaldiniche erano stati costretti a riti-rarsi si concentrarono a TorreAlfina. Lì il generale Acerbiricompose le sue truppe erivolse l’offensiva controViterbo. Nel primo pomeriggiodel giorno 21 ottobre, lacolonna Acerbi mosse verso

Castel Giorgio e San LorenzoNuovo. Il mattino del 24,passando per la Capraccia,attraversò indisturbata la zonatra Montefiascone eBagnorea, ove erano i presidipontifici, e si portò a Celleno.Il colonnello Azzanesi, a cuiera stata comunicata daMontefiascone la presenza deivolontari in Celleno, sul fardella sera aveva inviato unplotone di dragoni ad avvista-re il nemico. I volontari, giuntinei pressi di Viterbo, si dispo-sero a circondarla, occupandole più importanti posizioni.Ma la città era ben difesadalle truppe dell’Azzanesi, edogni tentativo di prenderlacolla forza riuscì vano. Aseguito di questo fattol’Acerbi, avuta notizia dellaimprovvisa partenza delletruppe pontificie da quelcapoluogo e dai presidi diBagnorea, Valentano eMontefiascone, condusse amarce forzate le sue truppeverso la città di Viterbo, oveentrò nella notte del 28 otto-bre. Subito dopo fece occupa-re da vari distaccamenti lelocalità strategiche diValentano, Montefiascone eBagnorea; da Valentano invia-va poi una compagnia divolontari ad impossessarsi diMontalto di Castro.In seguito alla disfatta diMentana, i garibaldini abban-donarono il territorio; sul loroesempio si mossero tutti glialtri corpi che avevano occu-pato le varie località delloStato della Chiesa. Durante lanotte tra il 6 e il 7 novembre,il generale Giovanni Acerbi,con le sue truppe ammontantia circa 1700 uomini, lasciòViterbo e, passando perBagnorea, rientrò nel territorioitaliano, ponendo fine all’oc-cupazione garibaldina nellaprovincia. Nel pomeriggio del9 novembre 1867, una colon-na di truppe franco-papaline,delle quali le prime al coman-do del generale Porthier e leseconde del marchese Zappi,entrò nella città di Viterboripristinando il governo ponti-ficio; tale riordinamento venne

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esteso nei giorni seguenti atutti i centri della provincia.

A Montefiascone, come abbia-mo visto, le camicie rosseerano giunte il 28 ottobre, esi erano stabilite in manieraconsistente nell’ex baluardodella difesa pontificia.

Cacciatori Romani / ComandoGenerale / Ufficio del pro-Dittatore della Provincia diViterbo / Oggetto Istruzioni alMaggiore angelico FabbriComandante la piazzaforte diMontefiascone / Al Sig.Maggiore Fabbri Angelico inMontefiascone / Montefiascone28 Ottobre 1867 / Ella pren-derà il comando nella piazzaforte di Montefiascone, doverisiederà durante la miaassenza dalla Provincia, ilcomando Militare di tutto ilterritorio attualmente soggettoalla giurisdizione Viterbese;Ella provvederà in conseguen-za ad organizzare tutte leforze insurrezionali dellaProvincia ed a mobilizzarle pertenerle pronte agli ordini chesarò per trasmetterle; neltempo stesso farà occupare,sia temporaneamente sia sta-bilmente a seconda delle cir-costanze, Valentano,Toscanella, Ba gno rea,Acquapendente, Ischia,Farnese e gli altri luoghi piùimportanti della Provincia; enon potendo mantenere nellesu accennate località dei pre-sidi stabili avrà cura di farsidelle passeggiati militari e ilvigilare a che siano stabilitealtrettante Giunte Comunaliche rappresentino al tempostesso il governo provvisoriodella Pro=Dittatura. Cureràinoltre i necessari lavori di for-tificazione della piazza ondetenersi pronto a qualunqueeventualità. / Il Generale /pro=Dittatore della Provinciadi Viterbo / Acerbi

Subito erano rimpatriati gliemigrati Silvestro Argentini,Gaetano Volpini, PietroMenghini, Filippo Manzi eColombano Cernitori chevenne nominato sindaco. L’alasinistra garibaldina era rap-presentata dall’Argentini,mentre il sindaco Cernitoripropugnava la fusione colRegno d’Italia, ottenendomaggiori consensi da parte

della cittadinanza. Il plebisci-to, tenuto il 5 novembre,ottenne ben 700 voti sullaformula dell’unità d’Italia conRoma capitale. Taluni si giu-stificarono, in seguito allarestaurazione pontificia, affer-mando che non indicandosi ilsovrano della futura Italiaunita, avevano pensato a PioIX. Comunque nelle abitazionidi distinte famiglie (Ricca,Battiloro, Basili, Vaggi,Tassoni, Jacopini) furono con-fezionate bandiere sabaudericamate in oro e argentopronte per festeggiare l’unioned’Italia. Il gonfaloniere cav.Pieri Buti, dopo qualche per-plessità, ed il segretariocomunale Giovan BattistaBasili, fin dal primo momentoaderirono alla dittatura gari-baldina, verso la quale unaparte consistente del paese simantenne diffidente.Giuseppe Antonelli, DomenicoTassoni e Vincenzo Basili,inviati dall’Acerbi a costituirela guardia civica, in un primomomento ricusarono, quindilo fecero per l’insistenza delprodittatore e forse per garan-tirsi un armamento locale concui far fronte ad eventualiestremismi dei volontari.Tra le riforme che più stavanoa cuore ai rivoluzionari, gran-de priorità sembrò avere quel-la relativa alla confisca deibeni ecclesiastici. A soli duegiorni dall’occupazione, ilmaggiore Fabbri, di stanza aMontefiascone, così relazionaal generale Acerbi sul semina-rio della cittadina.

Montefiascone 30/10/1867Sig. Generale Acerbi - Viterbo/ Il Latore della presente è unMembro del GovernoProvvisorio - Onorevole Sig.________ al quale si recapresso la Signoria Vostra peraffiancarla a decretare la con-versione di questo Seminarioin Convitto Secolare non chela soppressione delle corpora-zioni religiose, e quant’altricorpi morali ecclesiastici diquesta provincia, colla devolu-zione dei loro beni a favoredegli abitanti poveri delle sin-gole comunità. Io cerco didover caldamente appoggiaretal provvida misura presso la

Signoria Vostra, e pregarla difar apposito Decreto al riguar-do non potendo a meno talatto di riscuoterel’approvazione dei progressistie attaccare al carro dellaRivoluzione questi poveripapalini, ai quali sarannodevoluti i beni in discorso; ori-ginariamente al popolo carpiti./ Il Maggiore / firmato Fabbri.[...] Il latore della presente èun Membro del GovernoProvvisorio - L’OnorevoleAngelico Fabbri, il quale sireca presso V. S. per affian-carla a decretare la conversio-ne del locale Seminario inConvitto Secolare cosa ch’iocredo sarebbe molto benaccolta in questo paese. Se V.S. credesse opportuno diestendere anche in questaprovincia la legge vigente nelregno d’Italia al riguardo dellasoppressione delle corporazio-ni religiose, la preghereid’incaricare le stesse giunteComunali dell’Ammini strazionedei beni, che potrebberodevolversi a vantaggio deipoveri. Il Comandante.

Un successivo dispaccio ci facomprendere come i volontarisi sentissero relativamentetranquilli, non potendo preve-dere quello che sarebbe suc-cesso due giorni dopo aMentana.

Montefiascone 1 Novembre1867 / Ringrazio la S. V.Illustrissima del grado statomiconferito [...] Riguardo poi allaentrata delle truppe regolari inMontefiascone cercherò che imiei volontari mantenganoquel contegno che s’addice a

liberi cittadini armatisi nelsolo scopo di portare l’ordine ela libertà in paesi che la bra-mano. Starò fermo col presidioanche qualora la truppa siponesse guarnigione, nellaqualità che assumo; desideroperò; che la S. V. Illustrissimami desse più chiare istruzionipel caso che il Comandantestati truppa quali regolari svol-gesse lui stesso assumere ilComando della piazza e ciòonde non dipartirmi dall’attitu-dine ch’Ella verso le medesimemi preserva [...] Terrò informa-to questo generale Comando diquanto avverrà di non comune.La prego a volermi significarele di Lei intenzioni per ildistaccamento di torre Alfinatanto presentemente, quantoqualora le truppe regolarioccupassero tutta la zona.

Le truppe regolari, natural-mente, non occuparono maila zona, e i garibaldini dovet-tero allontanarsi daMontefiascone nella notte trail 6 e il 7 novembre. Il giorno8 gli stemmi pontifici vennero

rialzati e le truppe del colon-nello Azzanesi fecero il loroingresso nella città. Le fontipontificie ci informano che lestrade furono “cosperse difiori” e che all’eroe gloriosodella difesa del Patri mo nio fudonata una bandiera in seta,gentile dimostrazione di alcu-ne signore della città. Daparte pontificia si denunciò lasottrazione di circa 5.000scudi a Montefiascone e di25.000 scudi a Viterbo.

Dragoni pontifici

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La conclusione del 1870

Tre anni dopo, grazie allafavorevole situazione dovutaal ritiro del corpo di spedizio-ne francese, il governo italia-no fece ammassare un corpod’armata, al comando delgenerale Raffaele Cadorna,composto da circa 40.000uomini lungo i confini dellostato della Chiesa. La secon-da divisione che, agli ordinidel generale Nino Bixio, era distanza a Orvieto, ricevettel’ordine di occupareCivitavecchia e di intercettarele comunicazioni tra Roma eViterbo. Una sintetica cronacadell’occupazione diMontefiascone è desumibiledai dispacci inviati allo statomaggiore pontificio.

- 11 settembre 1870, ore 4,45pom. [...] Truppe italiane avvi-cinano Montefiascone...- ore 23,00 [...] Montefiasconeattend ennemi [...] Commu -nica tion télégraphique existentencore [...] la divisione Bixio èin vicinanza di Montefiascone,sgombrata dai pontifici, ritra-entisi in Viterbo...

- 12 settembre, ore 0,05 [...]Nemico entrato inMontefiascone, 3° e 4° compa-gnia zuavi ripiegano, protettida retroguardia...- La divisione Bixio entra colgrosso a Montefiascone all’al-ba del 12 settembre: vi sostaalquanto e, alle ore 13, sirimette in marcia facendosiprecedere da una colonnavolante: giunge alla sera aMarta e vi pernotta...

Lo stesso giorno de Charetteda Vetralla telegrafava: “Trecolonne, una daMontefiascone, l’altra da Ortefino alla Quercia, la terzadalla strada di Ronciglione,essendo sul punto di avvilup-parci, ed avendo avuto pri-gionieri due dragoni e glizuavi di Bagnorea; per nonesser tagliati fuori, ritiromiVetralla ove giungiamo alle 6pom. Stradale Civitavecchialibero. Domani partirò.Truppe stanchissime.Cavalleria nemica c’insegue,ma potremo fare bellissimaresistenza”.La prospettata “bellissimaresistenza” non servì, e dopootto giorni le truppe italianeentravano a Roma dalla brec-cia di Porta Pia. Lo straordi-nario avvenimento fu celebra-to in tutta la provincia conindicibile entusiasmo. Il capi-tano Oviglio, comandante lacompagnia dislocata aMontefiascone inviava ilmedesimo giorno il seguentetelegramma: “Notizia dell’in-gresso Truppe Italiane inRoma popolazione in festa,illuminazione generale, gran-de dimostrazione.Acclamazioni al Re, all’Italia,all’Esercito”.Cessati i festeggiamenti esuperate le ultime resistenzepontificie, si arrivò al plebisci-to del 2 ottobre perl’annessione al Regno d’Italia.I risultati di Montefiascone, inlinea con quelli del resto delviterbese, furono i seguenti:inscritti 1.964, votanti 1.473,SÌ 1.469, NO 4, astenuti 491.Il 28 dello stesso mese,Montefiascone entrò a farparte del “Circondario diViterbo”.

... Mi raccontavano i vecchi diTorre Alfina quando ero appenagiovanetto (curioso), che comegiunse la notizia dell’occupazio-ne di Viterbo da parte della

colonna Acerbi, Gaetano Sarchioni, gestore del Sale eTabacchi del paese, meglio noto sin dal 1862 alla gendarme-ria pontificia come “elemento di idee rivoluzionarie contrarieal governo della chiesa” (vedi il documento della paginaseguente), fece grande festa: espose alla finestra la bandieratricolore, pagò la musica perché suonasse inni patriottici,offrì da bere a tutti i paesani compreso il buon parroco donCarlo Nuvoloni, il quale, pur dimostrando avversione e pauraper gli invasori garibaldini, i Cacciatori del Tevere, pur tutta-via, avendo visto gli “ammazza preti” abbastanza malconci emolto affamati, armati per la maggior parte di idee malsane,li accolse con carità cristiana e santa sopportazione. Lo stes-so comportamento aveva tenuto con il Gaetanino, una voltaaccusandolo alla delegazione apostolica di Viterbo di essereun facinoroso rivoluzionario, un’altra implorando per lui lagrazia, essendo “egli un buon padre di famiglia con due figlipiccoli a carico, più la moglie Giuditta e la madre anziana”.Alle spalle del Sarchioni - che si era trasferito a Torre Alfinada Tavernelle (Perugia) ove faceva il falegname - operava conaccorta furbizia un altro torrese molto più importante di lui,il sindaco del paese, certo Luigi Tomasselli. Sicuramente ilsindaco avrebbe potuto raccontare molte cose sulla prepara-zione dell’invasione romana, e certamente sotto sotto eraproprio lui che forniva al generale Acerbi le notizie più utilisulla posizione strategica di Torre Alfina, sulle forze nemichepresenti, sugli umori delle genti locali, sullo stato delle stra-de, ecc.ecc.Insomma abbiamo due personaggi di primo piano (che sannoleggere e scrivere) e sono in contatto con le menti rivoluzio-narie più accese del viterbese e dell’orvietano: il primo, ilGaetanino, è un ingenuo strumento di lavoro nelle mani delsecondo, il Tomasselli, il quale manovra in gran segreto e almomento opportuno trova la maniera di squagliarselalasciando nei guai il Sarchioni. Lo sprovveduto, infatti, cono-sciuto in paese come Ninetto, era tutto sommato anche unbuon cristiano a tal punto che (come faranno in seguito isuoi discendenti gestori come lui del Sale e Tabacchi-Alimentari del paese) faceva credito per la maggior parte del-l’anno a numerose famiglie torresi che riuscivano a procurar-si poche lire al tempo del raccolto del grano e dell’uva, equindi a saldare i debiti contratti durante l’anno per acqui-stare i generi assolutamente necessari come il sale, lo zuc-chero, i forminanti... e pochi altri! Fu accusato tra l’altro diaver costretto insieme al Tomasselli un certo FrancescoSebastiani (cognato del Sarchioni) a vendere loro un monto-ne per uso dei garibaldini; la bestia fu stimata 4 scudi, di cuisolo 3 furono sborsati dal sindaco Tomasselli. Peraltro nelportafoglio del tabaccaio, all’atto dell’arresto furono rinve-nuti “tre Boni del soccorso a sollievo dei cacciatori romani”dati in pagamento di generi loro somministrati (Ninettosostenne senza essere creduto che lo avevano convinto “diavere quei Boni dovunque corso legale”).

�Il generale Giovanni A

cerbi

Torre Alfina

Un garibaldino di paese:Ninetto Sarchioni

di FrancoStella

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Per le accuse conseguenti i fatti di cui sopra, il poveroNinetto scontò diversi giorni di carcere ed altri di confino (inCastelviscardo). Il Tomasselli, molto più furbo ed in contattocon gente informata, riparò per tempo in Orvieto (già partedel Regno d’Italia), “ove riceve 2 (due) franchi al giornovenendo egli considerato come emigrato politico”. Per controil Ninetto continuò ad essere oggetto delle accuse più stra-ne... Lui che, al contrario dei tantissimi bestemmiatori di allo-ra, non osava neanche inveire contro i santi; quando venivaprovocato o quando si infervorava nel parlare delle proprieidee rivoluzionarie, al massimo, con voce roca, gridava“Sangue di Codino!”. Chi fosse Codino non si sa, e, per rispet-to, nessuno mai glielo ha chiesto! Egli, in seguito, ogni annonell’anniversario della proclamazione dell’unità d’Italia espo-neva la bandiera tricolore, faceva suonare la banda, offrivada bere a tutti!... e raccontava, raccontava ai più giovani lasua partecipazione alla rivoluzione garibaldina!La sosta del generale Acerbi in Torre Alfina è ricordata damolti storiografi garibaldini, ma in particolare da GiuseppeGuerzoni, Celestino Bianchi e da Indro Montanelli nella Storiad’Italia di recente pubblicazione. Nelle loro opere sulle gestagaribaldine è simpatico leggere, a proposito dei luoghi oveoperò la colonna Acerbi, soltanto il nome Torre Alfina senzaalcun’altra spiegazione relativa alla posizione topografica oaltro chiarimento.. quasi che il nostro piccolo paese fosseconosciuto in tutto il mondo! I due racconti di pp....,invece,sono riportati sul libro del medico francese Lombard-Martin,il quale aveva seguito Garibaldi per tutto il periodo dellacampagna del 1867 e sicuramente lo aveva conosciuto moltoda vicino: “L’insurrection Romaine: operations militaires dansla Province de Viterbe durant la campagne de 1867”.

dal libro “Torre Alfina” dello stesso autore, tipolit. Morphema, Terni 1985, pp. 62-65

Come nella festa dellaRepubblica del 2 giu-gno 2005l’amministrazione

comunale di Valentano riservòattenzione a Giu seppeMazzini, il 2 giugno 2007 èstato l’occasione per solen-nizzare la festa con un ricordoa Garibaldi nel secondo cente-nario dalla nascita. La ricor-renza, secondo l’iniziativa dipiù alti istituti nazionali, èstata fortemente ri chiesta dal-l’amministrazione comunale edal comitato per le feste civilidella Re pubblica. La manife-stazione, iniziata alle ore 10con la messa e corteo dallachiesa di Santa Croce, è con-tinuata con la deposizione diuna corona ai Caduti delleguerre in Piazza Cavour ed unincisivo intervento del sindacoRaffaela Saraconi. Il gruppoCreatività in Movimento e ilconcerto bandistico diValentano hanno chiuso lacelebrazione con saggio diginnastica ritmica, “Per laRepubblica”, e con le notedell’Inno di Mameli.L’intervento dello scrivente,richiesto dal comitato, è statolimitato ad una breveriflessione sull’operato di Gari -baldi, alle vicende risorgimen-tali legate all’Unità italiana eal contributo ad essa apporta-ta dai patrioti valentanesi.Fatti e personaggi di una sto-ria risorgimentale minore, ingran parte sconosciuti ai più,ma che s’intrecciano con levicende garibaldine nazionali.Unità di ideali che, dopo il1870, è evidente anche dallanuova toponomastica delle viee piazze dell’antico centropapalino. I nomi delle antiche

vie furono perlopiù sostituiticon quelli di fatti (ViaIndipendenza, Via del Plebi -scito, Via Roma, ViaSolferino) e personaggi delRisorgimento (Via CarloAlberto, Via Rattazzi, ViaCialdini, Via Fanti, Via Manin,Via Masi). Uguale titolo onori-fico la comunità valentaneselo riservò al generaleGaribaldi, inizialmente con ladenominazione di una via(dove sono la stazione deicarabinieri e l’ufficio postale)e, successivamente, anchecon una targa in marmo collo-cata nella parete sinistra delloggiato del palazzo comuna-le, in Piazza Cavour. L’anno1908 nella dedica, porta aritenere che la targa fosseposta nella ricorrenza, seppu-re in lieve ritardo, dei festeg-giamenti del primo centenariodella nascita dell’eroe: A / GIU-SEPPE GARIBALDI / SIMBOLOIMMORTALE / DI / LIBERTÀ E FRA-TELLANZA UMANA / IL POPOLOVALENTANESE / MCMVIII. Eroe divenuto talmente popo-lare che nelle fiere, i cocciariven devano con le loro terre-cotte anche pipe con il voltodi Garibaldi e Mazzini. Unafilastrocca valentanese, sul-l’aria di Garibadi fu ferito,recitava: “Garibaldi sopra artetto / che sonava l’orghinetto/ l’orghinetto ‘n’jé sonava /Garibaldi se ‘ncazzava”(Lorenzo Marchiò).L’incipit della Valentano risor-gimentale ha avuto inizio allafi ne del 1799, quando nelcentro irruppero le insorgenzedel Viva Maria per ristabilirvil’autorità pontificia soppressadai giacobini francesi, chenella piazza antistante laRocca e la chiesa di SanGiovanni avevano ribattezzatoil plurisecolare Alberone asimbolo di Albero della liber-tà. L’attività patriottica perl’unificazione ebbe però inizio

Gaetano Sarchioni �

Valentano

... Nel bene della PatriaComune, l’Italia

di BonafedeMancini

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solo con la costituzione delCircolo Castrense (1848) e laRepubblica Romana (1849),per proseguire poi nei motidel 1860, del 1867 e poi conil plebiscito del 1870.L’attività di questi patriotivalentanesi, so prattutto a par-tire dal 1867, fu resa estre-mamente difficoltosa per lapresenza in loco, in un’aladella Rocca Farnese, di unaguarnigione di soldati zuavi,richiesta da don Cruciano Co -doni. Sede di Governatorato,nel centro risiedeva anche latenenza della gendarmeriapontificia. Ciò non impedìche, nel 1849, si manifestas-sero e organizzassero le primeesperienze di un governo dellacittà contrario alla restaurazio-ne del soppresso governopontificio. Il giudizio è espres-so in un’informativa del 24maggio 1849 nella quale ilPreside Castiglioni comunicaal collega di Viterbo che lapopolazione di Valen tano tut-t’altro “brama che la restau-razione dei preti”. Una can-zone, verbalizzata il 28 giu-gno 1849, allertò però leautorità repubblicane valenta-nesi poche settimane dopoconvincendole del nuovoclima politico che gli eventiromani sollevavano: “Viva Pionono, Viva l’unione e laFedeltà. Oh! Roma scellerataarrenditi una volta, questa èla nostra Forza, dentro voglia-mo entrare”. Di questa prima breve espe-rienza politica repubblicana,don Cruciano Codoni fu il piùforte oppositore. Ciò spiegaanche il tono aspro che ilcanonico riserva al CircoloCastrense nei suoi “Cennistorici intorno alla terra diValen tano”. Il breve saggio distoria patria, dato alla stampacon i caratteri di SperandioPompei di Viterbo intorno al1867, fu dall’autore dedicatoagli ufficiali della “NobileArmata Fran cese”. Dedica enote revanchiste che non tro-vavano spazio nella prima ste-sura del suo manoscritto del1844. Una battaglia sull’usopolitico della storia che il reli-

gioso dimostrava di aver benappreso: “ [...] quei sedicentirepubblicani, del 1848, cheassisi sulle rovine di Castrocon ironia la più schifosaardirono proferire sarcasmo -Ecco che cosa sanno fare iPapi - E chi non approverà,purché abbia senno, chequesta Città fù giustamentefatta distruggere? e altresì imoderni Italiani veduto, cheil Territorio Castrense èsempre stato nel Patri monio,cesseranno di portar reclamialla Corte reale di To rino, enon più insisteranno ditogliere ancor queste pocheTerre al Governo temporaledel Sommo Pontefice daisudditi adorato, ed amato,col pretesto che non avessefatto parte del ripetutoPatrimonio” dalla stessaAssociazione Castrense che,contro lo stato teocratico,aveva firmato alcuni manifestipolitici dalle ruine di Castro.La capitale dell’ex Ducato,fatta spianare nel 1649 dapapa Innocenzo X, richiamavada sempre, nell’immaginariodelle popolazioni locali, unforte valore evocativo. Il Circolo Castrense, e quellodella Lega dei Comuni poi(1860), tra i centri apparte-nenti all’ex Ducato, fu tra leprime associazioni politichesegrete attive per la causaitaliana. Mo vi menti e associa-zioni di tipo anche massonicoche operavano nella clandesti-nità e che attraverso una fittarete di informazioni agivano insintonia con i circoli cavouria-

ni e mazziniani della vicinaToscana e di Orvieto, i cui ter-ritori, a partire dal 1860, ini-ziarono a far parte del Regnod’Italia. Sebbene i soci iscrittifossero perlopiù grossi possi-denti terrieri ed esponentidella media e colta borghesialocale (medici, chirurghi, far-macisti, avvocati e notai,insegnanti), non mancarononelle loro file anche piccoliprofessionisti, commercianti(tabaccai) e persino qualchebrigante. Si chiarisce che sel’adesione della popolazionecontadina ai moti unitari risor-gimentali non fu propriamentemassiccia, di contro, e perevitare un uso strumentale eideologico tanto di moda nelvuoto di memoria, si rileva lapressoché totale inesistenteresistenza e difesa del go -verno pontificio nel settembre1870 e nei mesi successivida parte delle popolazionirurali, con la sola eccezionedella conservatrice nobiltànera romana e di gran partedei religiosi. Non mancaronoanzi, fra questi, sacerdoti ver-sati alla causa italiana; aValentano, ma anche adOnano, formavanoun’autorevole presenza attivanel partito filoitaliano. Dopo levicende del 1849, don CarloMagrini e don GiacomoCorradi di Valentano furonoiscritti negli elenchi della poli-zia di Viterbo quali caldisostenitori della Repubblica. Aloro si unì, successivamente,don Salvatore Romagnoli. Quella dei Romagnoli, antica

casata di possidenti, fu unadelle famiglie valentanesi piùattive per la causa dell’unitàitaliana. Nel maggio del 1860don Angelo, insieme ad altrisuoi familiari era a Talamoneper at tendere i volontari gari-baldini e dare loro munizioni,armi e denaro necessari afavorire la spedizione dellecamicie rosse in Sicilia.Sempre nel 1860, AntonioRomagnoli fu milite dellaGuardia Nazionale e il di luifratello Luigi, il capitanoNicola Romagnoli, fu elettopresidente della Commis sioneGovernativa Municipale.Prima di assumerne il titolo,unitamente al capitanoRiccardo Bousquet di Onano,si presentò al Governatore diValentano per intimarglil’arresto e la più sollecita par-tenza dalla città. Sempredurante il moto del 1860,don Angelo, unitamente a donCarlo Cruciani, alzò poi labandiera tricolore in Valen -tano, azione che il Romagnolieseguì anche in altri luoghidel confino pontificio.Unitamente ad altri patriotidella Tuscia, Luigi e NicolaRomagnoli firmaronol’Indirizzo al ParlamentoItaliano, nel quale chiedevanoa Vittorio Emanuelel’annessione della provincia diViter bo all’Italia. Personaggionoto della famiglia, e cono-sciuto anche dalle autoritàreligiose e dalla polizia, fuanche don Angelo Romagnoli(1826-1876). Per il suo coin-volgimento nei moti del

Casale del Voltoncino (1995).Luogo di riunioni politiche nel 1861

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1860, il religioso visse in esi-lio nella non lontana Pitiglianofino al settembre del 1870,quando poté fare ritorno aValentano. In questi vicinicentri toscani emigraronoanche numerosi altri patriotiischiani, farnesani, o na nesi; lavicinanza alla loro patriad’origine consentiva loro ditenere fitti contatti con le pro-prie famiglie e con gli altripatrioti. L’impegno politicorisorgimentale di don Angelo,“cui fu delitto amar la Patrialibera”, è così ricordatonell’epigrafe tom bale colloca-ta, originariamente, nellachiesa della Madonnadell’Eschio.Accanto ai Romagnoli, il regi-stro della direzione di poliziadi Viterbo ha verbalizzato laposizione di poco meno diuna ventina di valentanesi,coinvolti nei moti del 1860 eche lasciarono lo Stato ponti-ficio per non restare nellemani della polizia. I loronomi, solo per indicarne alcu-ni, sono quelli di BrozziniPaolo, Francesco Carosi,Castiglioni Fabio,Collafrancesco Ferdinando eLeopoldo, Domenico Ciucci,Cruciano e Carlo Cruciani, Pit -tore Dobici, MaceraniNazareno, Pietro Marziali,Giustino Pe trucci, GiovanniRocchi e Michele Scala. Leazioni patriottiche cui preseroparte comprendonol’abbassamento dello stemmapontificio, l’esposizione dellabandiera tricolore in mano(Fran cesco Carosi),l’accoglienza in Valentanodella banda di Sorano con ivolontari garibaldini, oltre asostenerne le idee e a ricopri-re incarichi governativi nellacittà. I moti compresero azioniviolente anche contro il mona-stero della Madonna dellaSalute e delle Domenicane,azioni di guerriglia contro lacaserma dei gendarmipontifici di Va lentano. Allaguerra non furono estraneinemmeno i luoghi sacri, ecosì non sorprende che anchel’antica chiesa di Santa Mariadell’Ospedale, nel 1860, fu

utilizzata per l’alloggio deglizuavi, non senza che questiarrecassero consistenti danniagli arredi della chiesa. Nellachiesina rurale della Madonnadel Monte, un graffito lasciatodai soldati del II battaglione,IV compagnia, ricorda che nel1868 a Valentano stanziava-no ancora gli zuavi. Nellachiesa di Santa Croce è inve-ce posta la targa marmorea aldragone pontificio EnricoGomez, caduto il 20 maggioassieme ad altri sei gendarmipontifici, in seguito ad unagravosa ed equivoca sparato-ria notturna, seguente allabattaglia di Grotte dove, daTalamone, si erano portati ivolontari garibaldini del colon-

nello Zambianchi.Inizialmente il Gomez fusepolto nell’antica chiesinama nel successivo giugno, suautorizzazione del vescovo diMontefiasco ne, fu traslato aRoma. Tra gli individui sopra indicatidella polizia, singolare è ilnome e la posizione diGiustino Petrucci. Più propria-mente si tratta di un briganteche, nativo di Valentano, ritro-

viamo in Onano col nome diAgostino Petrucci. Nel novem-bre 1860, unitamente alcapitano Riccardo Bou squet,prese parte all’assaltonotturno del la caserma deifinanzieri di Acquapendente,in cui rimase ucciso un finan-ziere. Il Petrucci si era versatoalla causa italiana ma poi,allontanato dal governo italia-no e da quello pontificio perla sua malvagità criminosa,finì i suoi giorni ucciso(1867) da un suo compare dimacchia, tale Andrea Casali.Il brigante era soprannomina-to Garibaldi, ed al momentodella sua morte i gendarmi diAcquapendente verbalizzaronoche il fucile a due colpi che

aveva con sé recava incisanella cassa la figura “di unatesta somigliante al GeneraleGaribaldi”. Nell’autunno 1860, con ilritorno del governo pontificioin Va lentano e dell’ordine intutta la Provincia, l’azionedegli emigrati politici nonvenne in ogni modo meno,soprattutto per quelli dei cen-tri viterbesi posti al confinecon il territorio italiano. Molti

poderi e casali lungo il confi-no toscano, a poca distanzadal confine pontificio delgovernatorato diAcquapendente e diValentano, divennero deglistrategici luoghi per riunionipolitiche per gli emigrati poli-tici e dai quali i capi potevanoimpartire informazioni e ordiniai compagni democraticirimasti in pa tria. Luoghi neiquali la gendarmeria pontificianon poteva intervenire con lanecessaria sorveglianza,essendo ubicati in territorioitaliano. Il casale delVoltoncino e il Casone delMalpasso, in territorio to sca noma a soli pochi centinaia dimetri dalla dogana pontificia

di Va lentano, ospitò vari riu-nioni politiche alle quali pre-sero parte anche gli emigratiRiccardo Bousquet e OresteIlari, quest’ultimo a sua voltain contatto con il colonnelloMasi. Il governatore diValentano, in data 30 agosto1861, informò la direzione dipolizia che nella giurisdizionedi Valen tano alcuni “dellemilizie rivoluzionarie presso iconfini toscani, massime

Valentano, l’antica Dogana Pontificia (1995)

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stanziate a Pitigliano, si per-mettono di oltrepassare iconfini e persino avvicinarsial Lago della Tenuta diMezza no anco con i lorocavalli”. Dalle autorità gover-native e militari di Valentanosi hanno inoltre informazionidi “pranzi politici”, tenuti dairivoluzionari emigrati in unterreno di proprietà di LuigiEgisti di Ischia in territoriotoscano ma confinante conquello di Valentano.Banchetto nel quale i rivolu-zionari ischiani e farnesaniripeterono invettive contro ilpapa ed esaltazioni al re:“Morca Pio IX, Viva Vittorio”.Il comandante della bri gata diValentano, in merito, chieseinformazioni (5 giugno 1862)ma i testimoni ascoltati,“pecorai”, contrariamente alledenunce anonime pervenute-gli, dichiararono di non averudito nulla. Infor mative falsedel priore di Valentano?Omertà dei testimoni? E per-ché? Che l’ordine nella città fossein ogni modo restaurato, risul-ta evidente dal fatto che nel1861 (21 marzo), un sonettoin acrostico e a stampa, fuofferto dagli ufficiali e guarni-gione della gendarmeria ponti-ficia di Valentano a Pio IX,nell’anniversario della suaincoronazione. Gli ani mi deidemocratici tornarono adinfiammarsi nel 1867 (29settembre), quando un gruppodi vo lontari garibaldini assalìlo dogana pontificia delVoltone ed occupò Farnese edIschia. Nei successivi giorniperò i volontari furono respintidagli zuavi di stanza aValentano del tenente Sal -vatore Jacquemont. Guidatiinizialmente da ReginaldoAles san dri ni, i garibaldini(circa 90) passarono poi agliordini del maggiore Giu seppeBaldini, senese ed ex coman-dante dei Cacciatori dellaLega dei Comuni ma dal1860 in Valentano, doveaveva abbassato lo stemmapontificio. Tale azione politicaseguì anche nei vicini centridi Latera, Ischia e Farnese.

Unitamente al capitanoBousquet e Giuseppe Monta -nuc ci di Bolsena, l’ufficialegaribaldino aveva preso parteanche all’assalto della caser-ma di Acquapendente conaltri 50 volontari nella nottetra il 25 e 26 novembre1860. La sconfitta del gene-rale Garibaldi a Mentana nellasua marcia verso Roma, lasola subìta ma sicuramente lapiù cocente, fermò di tre anniil processo di unità del Lazioall’Italia. Con il plebiscito del1870, con voti favorevoliall’annessione, Valen tanoentrò a far parte del Regnod’Italia. Le azioni di questi nostripatrioti minori, in gran parteignorati nelle storie delle sin-gole comunità, aldilà dei fal-limenti o successi conseguiti,non hanno modificato l’esitodella storia na zio nale risorgi-mentale ma sono ugualmenteutili per ricostruirne il valorepolitico e morale che umiliae supera il cronico interesseparticulare e l’attendismo di“O Francia o Spagna purchése magna”, caro alla storio-grafia revisionista della zonagrigia o di bassa lega. E così,come accade anche in questitempi non meno calamitosi,per il sabato 2 giugno 2007a Valentano in molti sarannostati in coda per il ponte difine settimana al mare, altrial bar per le impareggiabilibattaglie a carte, qualcunaltro al Croce fisso di Castroper il pellegrinaggio del mesedi giugno, pochi altri ancoranei campi per gli insospendi-bili lavori, altre in cucina peril pranzo festivo, altri ancorain Piazza Cavour per condivi-dere ciò che unisce gli italia-ni alla Repubblica di Mazzinie a Garibaldi. E così il titolo,per quanto retorico possasembrare, recita quell’impe-gno che i nostri patrioti del1849 hanno consegnato allamemoria storica. Una sparu-ta minoranza, è vero, maanche fortemente sottovalu-tata, o ancora del tutto dascoprire e studiare.

[...] Ad Onano, piccolo centro di due-mila abitanti situato a soli tre chilo-metri dal confine con la Toscana,intorno al 1860 agiva un gruppo dirivoluzionari che si spostava molto

facilmente da uno Stato all’altro seguendo i percorsi delle macchie,dei fossi e delle strade secondarie. Tra i nomi più importanti delgruppo onanese spiccano quelli di Gio vanni Rotili, Oscar e RiccardoBousquet. Giovanni Tonielli, altro liberale di Onano, aveva inveceun casale posto sul confine nel territorio di Sorano, dove tenevainalberata la bandiera tricolore. Il 25 gennaio il governatore diAcquapendente informava che “in Onano trovansi tristi soggettiche spargono continuamente notizie allarmanti, Stampe eCaricature provenienti dalla Toscana ... i più sfacciati sonoVincenzo e Giovanni fratelli Tonielli, Giovanni Paglialunga,Ricardo Bousquet, Giovanni Rotili e Giovanni Alfonsi”. Oscar e Riccardo Bousquet sono tra i liberali più attivi nel governo-rato di Acquapendente e Valentano. Nei confronti di Oscar la poliziadi Vi terbo annota questo: “E’ conosciuto per nemico acerrimo delGo verno Pontificio. Capitanava un’orda di volontari, colla qualeeccitava i disordini in Acquapendente e in Onano. Si condusse inValen tano ad atterrare il Pontificio Governo e in altri luoghi lungoil confine, associandosi a Giuseppe Montanucci, Gavazzi ed altri”.Da altra versione appare che a dirigerel’assalto contro la caserma di Acqua -pendente sia stato Riccardo, già comandan-te della Lega dei Comuni. Oscar Bou squetdopo i fatti criminosi di Onano e Latera fuperseguito per essere incarcerato insiemecon altri attivisti liberali: Giovanni Tonielli,Gio vanni Paglialunga, Giovanni Rotili eErmenegildo Pel legrini. Ma la maggior partedegli imputati si rese irreperibile rifugiandosiin una cascina di campagna di proprietàdello stesso Rotili situata nel territorio diSorano. Giovanni Rotili il 7 settembre del1862 moriva in So rano, dove si era rifugiatoinsieme ai fratelli Bousquet. Oscar Bousquetmorirà in Onano il 5 novembre del 1904,come ricorda la lapide posta nel cimitero cit-tadino. Riccardo morirà anch’egli in Onano il20 aprile del 1882.Questi personaggi li troviamo coinvoltisoprattutto nel tentativo di invasione garibaldina dello Stato ponti-ficio della primavera 1860. Il 7 maggio di quell’anno sbarcò aTalamone il colonnello Callimaco Zambianchi al comando di unacolonna di 224 uomini. In un clima di generale euforia e incorag-giamento, l’ufficiale garibaldino varcò il confine penetrando nei ter-ritori del Patrimonio, ma la sua missione fallì miseramente a segui-to dello scontro avuto a Grotte di Castro con la cavalleria pontificia.Da una lettera datata 23 maggio, inviata dal barone GiuseppeDanzetta-Alfani al marchese Filippo Gualtiero, già noto all’autoritàdi polizia per essere informatore delle forze italiane, si desumel’esito della missione garibaldina dello Zambianchi: “Il 18 dopomezzogiorno si gettò nello Stato Romano sui paesi di Onano,Latera e Grotte..., il 19 si scontrò con circa 50 gendarmi, tutti diCavalleria, coi quali successe una scaramuccia, e, dopo averliuccisi 11 uomini e 3 cavalli ed aver messo il resto in fuga, si riti-rò nel territorio del regno Italiano, trasportando seco un ferito gra-vemente ed alcuni feriti leggeri”.Questa versione dei fatti, però, poco corrisponderebbe al vero.Come risulta dalla relazione del capitano della missione straordina-

Onano

“Cara avesti la Patria...”

di BrunoPacelli

Lapide di Oscar Bousquetnel cimitero di Onano

IN QUELLA PACECHE IL VOLGO IGNORAQUI GIACE IL FRALEDI OSCAR BOUSQUETDI NOBIL PROSAPIA

NATO IL 23 FEBBRAIO 1835MORTO IL 5 NOVEMBRE 1904

FU UOMO ONESTODI SPECCHIATA LIBERALITÀVOLONTARIO GARIBALDINO

VISSE E MORÌAMATO E COMPIANTO

DA QUANTILO CONOBBERO

LA DESOLATA VEDOVASAVINA OLIVI

PERENNE MEMORIA POSE

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ria, inviata al delega-to apostolico diViterbo in data primogiugno, siamo infor-mati che OscarBousquet - “un certoPossidente oriundoFrancese ma domi-ciliato a Onano” -“nel giorno del fattotrasse alle Grotte enel ritorno che fece-ro i Garibaldini inToscana, costui

compassionava li medesimi feriti nel n. 26 circa che si viderotransitare in Onano chi colla testa fasciata, chi ferito in un brac-cio, chi nelle mani ed altri zoppi feriti nelle gambe, più uno chestava a cavallo assai malconcio e due di loro il tenevano non sore-gendosi solo, un secondo portavasi su di una barella ridotto agliestremi, e che stanchi d’essi loro si fecero a forza coadiuvare daotto contadini che fino a S. Quirichino in Toscana il portarono, chedopo poche ore cessò colà di vivere e altrettanto avvenne a quel-lo che era caricato su di un cavallo il giorno appresso”. Semprenello stesso rapporto si chiarisce la vocazione garibaldina delBousquet: “Nella stessa sera portò ai ribaldi Garibaldini in S.Quirichino due barili di vino un sacco di pane, e due prosciutti”.Inoltre il Bousquet aveva costretto un certo Leonardo Giuliani a farsiconsegnare uno spadone insanguinato senza fodero, rinvenuto dalme-desimo nella macchia della Selva, per consegnarla ai garibaldi-ni quale emblema della vittoria. Sempre dalla lettera dell’Alfani-Danzetta apprendiamo altri particolari sul passaggio dei garibaldiniin Onano: “Dopo il fatto delle Grotte i soldati rossi si sono portatiad Onano in cerca della Dogana, ed hanno bruciato tutti i registrie i libri doganali e del Dazio macinato promettendo líimmediataabolizione di quest’ultima gabella”.Maffeo Caterini, priore del comune di Onano, precisa al delegato apo-stolico di Viterbo che il giorno 19, alle ore 4 pomeridiane erano tran-sitati per il paese circa 300 garibaldini reduci dallo scontro di Grotte,i quali dopo essersi rifocillati a proprie spese si sono diretti in Toscanaportando con sé 3 finanzieri, tra cui Attilio Targhini (1831-1905)finanziere romano addetto alla dogana di Onano fino al 1870. Da un altro documento del 31 maggio inviato dal governo di Acqua -pendente al priore di Onano, si capisce chiaramente l’esito delloscontro di Grotte: “... che nella macchia di questo comune cosidetto Montebello, si siano rinvenuti due cadaveri della Banda cosìdetta di Garibaldi, nello scontro avuto con la nostra gendarmeriaalle Grotte”.

Fino a qui narrano le cronache locali sui fatti avvenuti il 19 di mag-gio del 1860 e dei giorni immediatamente successivi. Rimane ildubbio su come mai dopo lo scontro di Grotte di Castro non sianoseguiti altri tentativi da parte dei garibaldini di occupare lo Statopontificio. Le motivazioni sono tuttora sconosciute, ma ciò cheavvenne in seguito risulta palesamente da alcuni atti rinvenuti pres-so l’archivio storico dello stato maggiore dell’esercito. La bandaZambianchi fu disciolta con l’ordine perentorio di consegnare learmi e di fare ritorno alle proprie case, mentre altri volontari, incon-sapevoli della situazione, stavano convenendo nei distretti diOrbetello e di Grosseto. Stranamente, ad ordinare lo scioglimentodell’armata furono le stesse persone che pochi mesi prima avevanoin tutti modi favorito la loro associazione, avevano provveduto alrifornimento di armi e viveri attraverso le più singolari iniziative:tombole, feste da ballo, donazioni personali o pubbliche, ecc. A giu-gno fu arrestato e trattenuto per alcuni mesi lo stesso colonnelloZambianchi. Il quale solo in un secondo tempo venne riabilitato conla consegna da parte del Cavour di 20.000 lire come risarcimentodella pena subita. Callimaco Zambianchi troverà la morte durantela traversata che lo conduceva in America...

Nell’anno del Signore1867 Garibaldi, con-finato a Caprera,progettava incursio-

ni per conquistare lo Statopontificio, di cui TorreAlfina rappresentavaun’ultima propaggine, terradi confine nello stato delpapa-re, inespugnabile sututti i fronti e collegata almondo civile con un’unica etortuosa strada. Luogo idea-le per poter scorgere consufficiente anticipo eventua-li attacchi e da cui potersiritirare velocemente senecessario, quanto preziosoper mantenere contatti conl’esterno. Le camicie rossevi entrarono al comando delgenerale Giovanni Acerbipermanendovi un mesecirca.La prima incursione torreseper conquistare Romaavvenne nella notte tra il 24e il 25 febbraio, quandoalcuni emigrati politici giàda tempo insediati nellevicinanze del confine, prese-ro il castello e innalzaronola bandiera tricolore per poifuggire ignoti. Era una delletante azioni di disturbomesse in atto per sensibiliz-zare l’opinione pubblica epreparare il terreno a unarisoluzione decisiva. Mal’azione militare vera e pro-pria partì il 28 settembre,quando il governatore diAcquapendente avvertì laDelegazione Apostolica diViterbo che delle truppegaribaldine si erano raduna-te a Torre Alfina, pronte adassalire Acquapen dente.Difatti il 30 di settembre, i200 volontari guidati daltenente Luigi Fontana oltre-passarono il Pagliadirigendosi verso

Acquapen dente dove avven-nero scontri senza buonesito per le camicie rosse,ricche com’erano di fervorepatriottico ma scarse inorganizzazione ed arma-menti. Il generale Acerbi,delegato da Garibaldi adoccupare il viterbese danord, decise di porre ilquartier generale a TorreAlfina il 7 ottobre, dopo cin-que giorni di macchia e alcomando di una cinquanti-na di soldati, prima di orga-nizzare una nuova avanzata. I soldati andavano sostenutie incitati, oltre che equipag-giati e nutriti, onde ridurreal minimo il pericolo didiserzioni che univano allaperdita di forze anche quel-la di munizioni e divise. Lanumerosa corrispondenzaraccolta e pubblicata daMario Montalto ce ne dànotizia. Si tratta di un mistodi pa triottismo e necessitàminime raccolte nella corri-spondenza e nel lungo elen-co di “buoni” rilasciati dal“corpo dei Caccia toriRomani” di stanza a TorreAlfina, che sottoposero asequestro i beni dei paesaniper il sostentamento alletruppe garibaldine tra il 12ottobre e il 3 novembre.Il generale Acerbi restò aTorre Alfina fino alla seradel 15 ottobre per poi recar-si a Valentano, e nella lette-ra da lui scritta per assegna-re il castello al maggioreAngelico Fabbri, ribadiscela posizione di Torre Alfinaforte di per se stessa, e dimolta importanza per la suaprossimità al confine didove si traggono e uomini emezzi materiali, e lo impe-gna a volerla difendere atutta oltranza, nel caso chevenisse attaccata dal nemi-co. Anche successivamente,in data 22 ottobre, il genera-le dispone di far perlustraresubito tutte le macchie che

Lapide di Giovanni Rotili nel cimitero di Sorano

A LA CARA MEMORIADI GIOVANNI ROTILI

NATO IN ONANO IL XX OTTOBRE MDCCCXXVIMORTO IN SORANO IL VII SETTEMBRE MDCCCLXII

GLI AMICIPOSERODOLENTIO TU

CHE SOVRA I PARENTI LA CONSORTE E LA PROLEI CONGIUNTI

GLI AMICI AMATISSIMICARA AVESTI LA PATRIA

PER LO CUI AMORE CON ANIMO VALOROSO IMPERTURBATOSOPPORTASTI ESIGLIO E DOLORI SENZA FINE AMARI

IMPETRA DA DIOCHE PRESTO SI SCARCERILA METROPOLI ETERNA

ONDE L’ITALIA SIA FINALMENTETUTTA INTERA E LIBERADALLE ALPI ALL’ETNA

Torre Alfina

Una (quasi) pacifica invasione

di RitaPepparulli

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circondano il paese perassicurarci completamentela posizione di Torre Alfina,per noi importantissima. Larisposta del maggioreFabbri, confermata in piùlettere di corrispondenza,sta nel titolo in nota 1. Cosìil Corpo dei CacciatoriRomani, sistemato tra lemura del castello, iniziò aprepararsi per le azioni bel-liche.Il freddo avanzava e conesso i problemi di sussi-stenza. Non fu facile per itorresi adattarsi a questobreve ma intenso periodo dioccupazione che, anche sepacifica, procurò loronumerosi disagi. Basti pen-sare che ai 4-500 abitantidel borgo si aggiunseroimprovvisamente circa 200soldati, alcuni ufficiali, piùsuccessivamente i volonta-ri, in totale circa 1000 per-sone. Gli ufficiali venneroospitati in varie abitazionimentre la truppa fu sistema-ta nelle stalle e nelle grottescavate sul pendio del colle.Tra i servizi più richiesti daisoldati quelli del fabbroGiuseppe Baldi e del

calzolaio Angelo Bandini.Fon damentale l’aiuto deitorresi come guide attraver-so l’impervio territorio cir-costante.Non mancarono lamenteledi molta gente del posto,privata di vari beni necessa-ri alla truppa tra cui nume-rosi animali. Anche il parro-co, don Carlo Nuvoloni,denunciò il sequestro di 345lire italiane, ma la maggiorparte dei sequestri consi-stette in generi alimentari.La cifra dichiarata dai torre-si e presentata a dicembrein consiglio comunaleammontò complessivamen-te a 7500 lire, ma i “buoni”di risarcimento, a caricodella Came ra Apostolica,ripagarono solo in parte ipaesani per mancata docu-mentazione. D’altra parte anche le trup-pe dovevano affrontareinnumerevoli difficoltà, e ilmaggiore Fabbri denunciavaspesso scarsità di cibo,armi, munizioni e coperte.Venti giorni dopol’occupazione si verificaro-no le prime diserzioni.Come accertato dal capita-

no Palanca, circa 2-300 sol-dati e alcuni ufficiali dellacolonna Acerbi erano arri-vati vicino a Orvieto privi diequipaggiamento, rimanen-do solo coi berretti chefuron dispensati a TorreAlfina, dopo aver venduto ifucili per 7 franchi cosìcome le coperte avute indotazione, e con la fermaintenzione di tornare acasa. Dopo la cruenta mapositiva battaglia di Vi -terbo, il maggiore Fabbri fuspostato da Torre Alfina aMonte fiascone dopo averacquisito il grado di colon-nello. Uscì dal paese lanotte del 29 ottobre portan-do con sé 150 uomini elasciando un presidio di 15soldati e un sottotenente.La disfatta di Mentana del 3novembre chiuse l’impresagaribaldina riportandoTorre Alfina alla sua abitua-le tranquillità. La solita tranquillità ha sep-pellito tutto quanto accadu-to. Di questo passaggiofugace di storia patria non è

rimasta traccia né memoria,tranne l’identificazione dellapresunta abitazione (ill.1)dove sarebbe stato alloggia-to il generale, appena sottole mura del palazzo e inprossimità del Sasseto (scel-ta forse per la sua posizionestrategica). Ma la memoriapopolare non si accontentadi luogotenenti e gli anzianivagheggiavano la presenzain loco di Garibaldi, puraleggenda metropolitana.Di concreto invece a noirimane la preziosa stampatratta dall’opera diCavallotti, che ritrael’ingresso al paese da sud(ill.2) e ci dà pur nelle sueimperfezioni un’idea diquale fosse il suo aspettoappena prima che il mar-chese Cahen ne cambiasse iconnotati. Vi compare ilcortile rinascimentale del-l’antico palazzoMonaldeschi, allora proprie-tà dei marchesi Bourbondel Monte, nella sua vesteoriginale. Interessante laraffigurazione del campanile

Il presunto quartier generaledi “Garibaldi” a Torre Alfina(foto del 1980 circa)

Torre Alfina nel 1867(da F. Cavallotti: La insurrezione...)

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dell’antica chiesa parroc-chiale, sormontato da unaimprobabile quanto profeti-ca cuspide, mai esistita senon 50 anni dopo nellanuova chiesa parrocchiale(ill.3), al sommo della quale

sventola una benaugurantebandiera tricolore.

Riferimenti bibliografici:Mario Montalto, “Lasciato alla difesadi Torre Alfina terrò fermo finché avròun solo uomo” - Fatti, personaggi edocumenti dell’impresa garibaldinadel 1867, Torre Alfina 1999.

Torresi da oltre vent’anni e conosceva vita, morte e miraco-li di tutti! Egli, mosso da carità cristiana verso quei ragazzi che prove-nivano da ogni parte d’Italia, armati di sciabole e vecchi fuci-li, vestiti nelle fogge più strane, aveva preso l’abitudine a farservire qualche pezzo di cacio a coloro che durante il giornoo la sera gli andavano a far visita nella casa parrocchiale.Faceva servire quel poco cibo da una giovane e prosperacameriera: sua nipote Carlotta. Questa giovane dalle poseaggraziate, dolce nel parlare, carina nel fisico, spaventataall’inizio dagli orrori sentiti sulle gesta dei garibaldiniammazza-preti, non poteva credere a quello che i suoi occhivedevano: non più animali in camicia rossa, mostri nel fisicoe nell’anima, rozzi e senza timore di Dio, ma giovani di buonacompagnia, calmi e simpatici, rispettosi della famiglia, dellaproprietà e dell’ordine. Molti di loro non recitavano le pre-ghiere prima di mangiare e si rifiutavano di chiamare il papadi allora, Pio IX, “Santo Padre”... ma tutto sommato eranobravi figli, ragazzi ventenni con qualche “grillo” per la testa,ma bravi figli. L’ospitalità del parroco era gratuita!... e non c’era verso di far-gli accettare un soldo. Don Carlo peraltro, per niente rassicu-rato, era convinto di essere condannato ad una requisizionecortese ma dovuta. D’altra parte gli ufficiali, per non impres-sionare con troppe presenze il buon prete, avevano stabilitodei turni di presenza a tavola tenendo conto di quelli impiega-ti nei servizi e di quelli che andavano in pattuglia. Questoincessante vai e vieni aveva trasformato il modesto alloggiodel parroco in un ristorante di lusso, almeno agli occhi degliospiti. D’altra parte non mancava nulla: cacio, pane, vino, pro-sciutto, qualche frutto; tutto quanto veniva distribuito gratiscon il benestare dell’albergatore. Alla proposta di pagamentoavanzata timidamente da qualche giovane, don Carlo sommes-samente rispondeva di voler rendere un piccolo contributoindiretto “al compimento del destino nazionale”.In realtà, preso tra due fuochi - le raccomandazioni delvescovo e la presenza armata dei garibaldini - don Carlo sitrovava in un terribile imbarazzo, perché da una parterischiava “il posto” dall’altra “la testa”. Stava molto attento amanifestare il proprio pensiero su quegli avvenimenti chestavano sconvolgendo la tranquilla vita dei Torresi, e prega-va la Madonna del Santo Amore di indicargli la giusta via,anche se in cuor suo l’aveva già adottata: quella del buonsamaritano. Ed una sera più fredda delle altre e più triste delsolito, il paziente don Carlo seduto davanti al focolare, attor-niato dai suoi stravaganti ospiti, l’occhio vigile rivolto allaindaffarata Carlotta, con poche semplici parole chiarì il pro-prio pensiero usando una espressione tutta torrese! Ad unufficialetto che in dialetto bergamasco gli chiedeva “Caro donCarlo, perché Lei aiuta noi che godiamo fama di ammazza-preti?”, il nostro parroco alzandosi in piedi, gli occhi rivolti alcielo, con le mani grassottelle giunte a mo’ di preghiera, lapancia pienotta sotto la tonaca lisa rispose: “Oh che credete,non vengo mica dalla luna, io!”.Questo tipo di frase ricorre tuttora sulla bocca dei torresi, iquali sempre aperti ad ogni novità, ma timorosi di ogni cambia-mento, rivolgendo lo sguardo al cielo, accettano ogni cosa conpaziente remissività, e aspettano convinti che convenga ad altritentare di modificare ciò che il destino ha stabilito per loro!

La nuova chiesa parrocchiale, inaugurata nel 1921

Durante il periodo in cui i garibaldinisostarono in Torre Alfina, mi piace

ricordare due fatti alquanto singolariper essere stati protagonisti, uno diret-to e l’altro meno, due religiosi.

Il parroco del paeseFaceva freddo e c’era poco o niente da mangiare: il vettova-gliamento e il rifornimento di armi erano sempre più difficili.I rifornimenti in Toscana e in Umbria, già territori italiani,venivano spesso sequestrati, e quel poco che sfuggiva ai con-trolli diventava sempre più costoso a causa della difficoltà disuperare la frontiera pontificia (segnata dal corso del fiumePaglia) e della lentezza del trasporto che veniva fatto con imuli e spesso “a spalla”.In questo ambiente non certo facile per gli impazienti e calo-rosi rivoluzionari garibaldini, desiderosi soltanto di arrivareil più presto possibile a Roma, alcuni giovani ufficiali eranoriusciti ad accattivarsi le grazie di don Carlo Nuvoloni, unprete all’antica, calzoni corti sotto la tonaca, calze di seta,scarpe basse con il fibbione luccicante, un viso tondo e com-piaciuto, dal colorito roseo, sul quale brillavano due occhiintelligenti e preoccupati. Si occupava delle anime dei

FrancoStella

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Il santo del castelloL’altro fatto ha per soggetto un quadro, un dipinto di un reli-gioso, appeso per il momento storico in atto, nel posto sba-gliato.I giovani garibaldini, la rivoluzione, la mamma... Il generaleAcerbi ed il limitato numero di ufficiali che costituivano ilsuo stato maggiore si erano sistemati al piano superiore delcastello, nelle stanze ove i nobili rampolli della casataMonaldeschi solevano ricevere i loro invitati negli anni d’orodi Torre Alfina dal 1300 al 1550 circa. Certo, i locali eranomolto cambiati da allora, ma i nuovi occupanti avevano benaltro cui pensare. La stanza riservata al comandante era ubi-cata nell’ala sinistra del castello, in quella parte meglio tenu-ta, ove l’incuria dei proprietari ed il passare del tempo ave-vano prodotto meno danni. Nella stanza molto ampia, dalsoffitto alto più di quattro metri, illuminata da due grandifinestre, un letto in ferro di colore nero, un tavolo in legnomassiccio, tre sedie, uno sgabello, un attaccapanni pure dicolore nero, costituivano l’unico arredamento della camera.L’unica macchia bianca era rappresentata da un asciugama-no di lino ordinatamente ripiegato sui bordi di un lavabopure di ferro, fra le zampe delquale faceva bella mostra unabrocca di rame nuova di zecca etanto lucente da sembrare d’oro.In mezzo a tanto squallore, che ilfreddo e la pioggia facevano perce-pire in tutto il corpo fin nel profon-do delle ossa, faceva bella mostra,sulla parete bianca di calce ancorafresca, il ritratto a mezzo busto diun religioso. Un volto chiaro escarno, circondato da barba ecapelli bianchi, splendida cornicea due occhi scuri e penetranti suun naso sottile, un po’ lungo, chesi stagliava su una tonaca tuttascura adornata da una grossacatena argentata a maglia ritorta,da cui pendeva una croce di legnosulla quale era stato inchiodato unCristo d’argento. Dietro la figuradel religioso, sopra la testa, la fac-ciata di una grande chiesa posta incima ad una collina dipinta a trattipiù scuri, e tutto intorno una cam-pagna dal colore verde cupo rottaqua e là da qualche quercia dicolore più chiaro. La cornice alta elarga più di un metro mostravaancora qualche traccia d’argento; itarli l’avevano attaccata da almeno duecento anni prima, agiudicare dai mille e mille minuscoli forellini sparsi un po’dappertutto.L’immagine severa di quel religioso, sicuramente il superioredi una santuario o di un convento importante, dominava dal-l’alto i preparativi della insurrezione. Il suo sguardo rassere-nante, pacifico e bonario, sembrava richiamare e spargere lebenedizioni celesti proprio sopra quel tavolo dove si discu-tevano i piani degli ammazza-preti. Gli improvvisati soldatidel generale Acerbi passavano e ripassavano nella stanza rin-serrata fra altre due, senza per niente badare al vecchio san-

tone, ora portando qualche fucile, ora trasportando coperte,ora trascinando sul pavimento sconnesso di mattoni rossa-stri qualche cassa di munizioni. Ad un tratto un giovanevolontario carico di coperte inciampa, perde l’equilibrio, siappoggia alla parete del quadro per non cadere... e impreca!Gli altri, tutti giovani, ridono e schiamazzano, egli alza losguardo, incontra il viso del santone, solleva un braccio amo’ di minaccia, sosta la mano aperta qualche secondo... poipian piano l’abbassa e di nascosto si fa il segno della crocemormorando “Padre aiutaci”. Gli altri fanno finta di nulla... leloro teste leggermente inclinate in avanti dicono tutto.Questi ammazza-preti sono figli di brava gente, abituati a pre-gare e ad andare in chiesa... Ora però sono garibaldini, eGaribaldi combatte per togliere ai preti Roma e lo Stato dellaChiesa. Un certo atteggiamento rivoluzionario antiprete daduro è pur necessario... se no che rivoluzionari sarebbero!Chissà mamma cosa sta facendo ora! Al momento di partire,per non vederla piangere il giovane ammazza-preti non l’haneanche salutata. E’ partito con il vestito buono, il sacco coni libri di scuola... ed il sogno nel cuore di conquistare Roma.Forse domani sulla via di Roma vedrà Garibaldi... Sarannomille, duemila e più giovani come lui in marcia contro i mer-

cenari del papa! E se sparano? Nonha neanche di che difendersi: unapistola, un fucile, una sciabola...niente. Ma perché dovrebbero spa-rare? Non ha detto il generaleAcerbi che tutto il popolo è conloro? E che i soldati del papa faran-no solo finta di difendersi? Ma sì,andrà tutto bene! Papà sarà fiero dilui, e quando fra quanche giornofarà ritorno a Bergamo ne avrà daraccontare alle ragazze e agliamici!Però che fame! Mamma magari stascodellando la polenta e papàseduto a capotavola taglia unpezzo di formaggio! No, non parle-ranno volutamente di me! Papàtante volte mi aveva avvertito distare alla larga da quei briganti, daquelle idee... da quel Garibaldi! Masì! Papà e le sue vecchie idee suitempi non maturi, sull’esercitofrancese, gli austriaci, i soldati delpapa, la scomunica, il dolore dellozio prete, Vittorio Emanuele... glistudi da completare... Altro cheGaribaldi e l’Italia! Ma lo vedrà,papà... Tornerò con la camicia

rossa e le medaglie, sarà fiero di me, del suo Sandro!Però... che fame! E questo santone che mi guarda! A momen-ti mi rompevo l’osso del collo. “E voi... non state lì a sghignaz-zare... muovetevi, se non volete che l’ira di questo prete ci pre-cipiti tra le fiamme dell’inferno!”. “Forza, che tra poco si man-gia!”, grida un altro. “Sì, cacio e patate. Patate e cacio!”,aggiunge un signorino ben vestito con accento toscano, lecui mani dalle dita lunghe e ben curate lo fanno appartenerepiù a quelli dalla parte dei preti, che non a quegli altri moltopiù numerosi dalla parte della povera gente.

dal libro “Torre Alfina” cit., pp. 56-62