magzine 06

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06 3 marzo 31 marzo 2010 Periodico di approfondimento della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore www.magzine.it magzine »» Nando Dalla Chiesa, editori contro i boss »» Francesco Forgione, mafia da esportazione »» Milena Gabanelli, la scomoda verità »» Turchia, la dura vita dei giornalisti curdi »» Voices of Africa, l’era del mobile reporting Pallone l’africano I Mondiali di calcio in Sudafrica sono un’opportunità per rilanciare l’economia del continente nero. Diario di una sfida sportiva che può cambiare la storia

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Page 1: magzine 06

063marzo

31marzo2010

Periodico di approfondimento della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

www.magzine.it

magzine

»» Nando Dalla Chiesa,e d i t o ri contro i boss

»» Francesco Fo r g i o n e,mafia da esport a z i o n e

»» Milena Gabanelli,la scomoda ve ri t à

»» Turchia, la dura vitadei giornalisti curdi

»» Voices of Afri c a ,l’era del mobile rep o rt i n g

Pa l l o n el ’ a f r i c a n o

I Mondiali di calcio in Sudafrica sono un’opportunitàper rilanciare l’economia del continente nero.

Diario di una sfida sportiva che può cambiare la storia

Page 2: magzine 06

MAGZINE 6 | 3 marzo - 31 marzo 20102

inchiesta

di Enrico Turcato

Il torneo a 32 nazioni che si disputerà l’11 giugno porterà in Sudafrica 6 miliardi di euro di inve s t i m e n t i .N o n o s t a n t el ’ e n t u s i a s m o,l ’ o rganizzazione dell’evento è farra g i n o s a .Milioni di vite sperano di uscire dalla pove rtà dei ghetti

R A I L 15 M A G G I O 2004 Q U A N D O, A ZU R I G O, il presi-

dente della Fifa Joseph Blatter annunciava l’as-

segnazione del Mondiale di calcio 2010 al Suda-

frica. Un momento di esultanza indimenticabile,

sia per la delegazione guidata da Nelson Mande-

la, sia per il resto del continente nero, orgoglioso

di ospitare il primo Mondiale africano della storia. Sono passati

quasi sei anni da quelle immagini di festa a ritmo di v u v u z e l a p e r

le strade di Johannesburg, Città del Capo, Durban, Pretoria. E, a

tre mesi dall’inizio del torneo, i preparativi sembrano finalmente

u l t i m a t i .

L’occasione è davvero unica per il Sudafrica, che potrebbe

sfruttare la visibilità del Mondiale - al quale parteciperanno 32

nazioni - per dare nuova linfa al movimento calcistico africano e

per rilanciare il proprio sistema economico. Secondo le stime,

l’evento metterà in moto una girandola di investimenti: 50 miliar-

di di rand (4,6 miliardi di euro) nel campo delle costruzioni e ulte-

riori 15,6 miliardi di rand (1,5 miliardi di euro) in quello del turi-

smo. Gli introiti potrebbero anche essere maggiori se i due miliar-

di di dollari di diritti televisivi e d’immagine non venissero incas-

sati direttamente dalla Fifa.

Ma in che misura questi investimenti cambieranno la vita

materiale del popolo sudafricano e in particolare dei milioni di

persone che affollano le township nei sobborghi delle grandi

città? Le strutture realizzate verranno utilizzate anche dopo

la kermesse? Il Mondiale potrà essere un’opportunità di

crescita economica, sociale, culturale, organizzativa? Le opi-

nioni sono contrastanti.

«La Coppa del Mondo significa molto per il Sudafrica - spie-

ga Phil Masinga, ex attaccante del Bari e ora dirigente della

Federazione calcio sudafricana -, unirà gli africani e mostrerà al

mondo intero cosa siamo capaci di fare. Il Sudafrica è all’altezza

dell’impegno, ha già ospitato i mondiali di rugby e di cricket con

ottimi risultati. Sarà proprio a questi e ad altri sport che verranno

destinati i nuovi stadi. Non ho dubbi che il nostro popolo trarrà

vantaggio da questa manifestazione».

«Il Mondiale è un orgoglio e un evento sovranazionale - osser-

va Filippo Maria Ricci, giornalista del-

la Gazzetta dello Sport, esperto di calcio

africano -. Può essere un volano per lo svi-

luppo, lo strumento giusto per sconfigge-

re definitivamente il razzismo e la disor-

ganizzazione, due aspetti che caratteriz-

zano la società sudafricana». Dopo l’abo-

lizione dell’apartheid, nel 1994 una legge

ha introdotto il principio del Black eco -

nomic empowerment (Bee), in base al

quale per partecipare ad appalti governa-

tivi o parastatali deve esservi una congrua

presenza azionaria di sudafricani di colo-

re e, nella forza di lavoro, di almeno sette

neri ogni dieci posti.

Sull’apparato organizzativo, invece,

le perplessità sono giustificate. Se è vero

che la costruzione degli stadi e delle infrastrutture per ospitare

milioni di tifosi è stata perfezionata in tempo utile, sul fronte logi-

stico restano da superare grossi ostacoli. Quello che è successo

durante l’ultima Coppa D’Africa in Angola è emblematico: la Fede-

razione africana di calcio (Caf) ha deciso di squalificare per quat-

tro anni la nazionale del Togo, colpevole di aver abbandonato la

competizione dopo aver subito un attentato nel quale sono

state uccise tre persone. Per non parlare dei disordini avve-

nuti in seguito allo spareggio mondiale tra Algeria ed Egit-

to. Se poi si considera la situazione tecnica delle principali

nazionali africane che parteciperanno alla fase finale della

Coppa del Mondo, l’impressione è quella di un immenso caos: la

Costa d’Avorio non ha ancora un commissario tecnico e la Nige-

ria ne ha appena designato uno.

«Il paradosso - aggiunge Ricci - è che in Africa il calcio conta

molto, anche a livello politico. Parreira, l’allenatore brasiliano del

Sudafrica, è stato ricoperto d’oro ed è titolare di un contratto da

100 mila euro al mese. I soldi ci sarebbero anche, il punto è che

vengono spesi male. È minimo, per esempio, l’investimento sui

giovani calciatori, che sono costretti a venire in Europa a cercare

E

Su d a f r i c a2 0 1 0,un paese in gioco

Page 3: magzine 06

fortuna». Le scuole di calcio in Africa sono poche e mal gestite. A

parte qualche caso isolato, per i giovanissimi calciatori africani che

sognano di diventare grandi campioni, come Didier Drogba o

Samuel Eto’o, la vita nei campi di terra battuta delle township è

durissima. Anche nei campionati semiprofessionistici afri-

cani i calciatori non se la passano meglio: nella Serie A

sudafricana ci sono solamente otto squadre, e un cal-

ciatore di Serie A arriva a guadagnare al massimo 200

dollari al mese.

Ecco perché qualunque africano, appena ne ha opportunità,

parte per l’Europa e non torna più indietro. È un fenomeno che

risulta comprensibile anche analizzando le probabili convocazio-

ni ai Mondiali delle sei squadre partecipan-

ti alla competizione. Nigeria, Camerun e

Costa D’avorio non porteranno giocatori

che militano nei campionati africani. Il Gha-

na ne porterà 4, l’Algeria 7 e il Sudafrica 8. Su

138 convocati delle sei nazionali solamente

19 provengono dai campionati africani, appena il 14%. Una goc-

cia nel mare.

C’è poi un’altra questione che preoccupa gli organizzatori dei

Mondiali e che induce i calciatori africani a partire: il problema

della sicurezza. Oltre ai già citati casi di Angola ed Egitto,

l’Africa è afflitta nelle sue zone interne da sanguinose

guerre. Secondo Ciro Migliore, direttore della G a z z e t -

ta del Sud Africa, quotidiano d’informazione degli ita-

liani pubblicato a Città del Capo, non è però il caso di esagerare:

«Il cartoonist di un giornale sudafricano ha recentemente pubbli-

cato una vignetta con un quiz - racconta -. Dice: in quale di queste

grandi città non è stato compiuto alcun attentato terroristico negli

ultimi quindici anni? Madrid, Parigi, Londra, Roma, New York o

Johannesburg?». Proprio l’ultima, assicura il direttore, che pre-

cisa: «Nel Paese ci sono quasi 500 mila guardie giurate che lavo-

rano per organizzazioni private e sappiamo che molte nazionali le

hanno ingaggiate per il periodo dei Mondiali». Nonostante tutto,

il Sudafrica arriva abbastanza preparato al grande evento, che rap-

presenta un’occasione irripetibile. Starà al Paese ospitante e alle

altre nazioni africane sfruttarla al massimo.

MAGZINE 6 | 3 marzo - 31 marzo 2010 3

Le scuole di calcio sono pochee disorganizzate. È per questoche tutti giovani più promettenti se ne vanno a giocare in Europa

C R I M I NA L I TÀ - 2,1 milioni

di casi nel 2008/2009. Uno su tre

(32,7%) è stato un crimine contro

la pers o n a : più di 18 mila omicidi,

a l t rettanti tentati, 71.500 violenze sessuali,

121 mila furti con gravi conseguenze.

Nel 1997, secondo le statistiche

d e l l ’ I n t e rp o l , il Sudafrica va n t ava due

p rimati mondiali poco inv i d i a b i l i : la più

alta percentuale di omicidi e violenze

s e s s u a l i . Reati in costante aumento fino al

2 0 0 3 . Dal gennaio 2004 un piano speciale

del gove rno fi s s ava l’obiettivo di ri d u rre

del 7- 10% tutti i reati contro la pers o n a .

Le statistiche del 2009 mostrano una

situazione fatta di luci e ombre : o b i e t t ivo

raggiunto per reati come aggressioni

e semplici furt i . In calo anche gli omicidi,

con un -3,7% annuo a part i re dal 2004

che è tuttavia lontano dalla previsione

e che nasconde un dato allarm a n t e :

l’aumento di omicidi a seguito di re a t i

m i n o ri , come le ra p i n e.Tra 2008 e 2009

c’è stato un leggero incremento (+0,8%)

di furti con gravi conseguenze, dato che

c o mu n q u e, dal 2004, ha re g i s t rato

un sensibile calo. In totale, nel 2008/09 si

sono re g i s t rati circa 15 mila casi in meno

di crimini contro la pers o n a . Le violenze

s e s s u a l i , t u t t av i a , sono aumentate del

1 2 % , t o rnando ai livelli del 2005.

s chede a cura di Salvo Cat a l a n o

Page 4: magzine 06

A CO P P A D E L MO N D O, a dispetto

di tutto, avrà un grande impat-

to per il Sudafrica. Ne è convin-

to l’arcivescovo Desmond

Tutu, premio Nobel per la Pace

nel 1984: «Con tutte le cose negative che suc-

cedono in Africa, il Mondiale sarà un momen-

to superbo per il Paese». Un’occasione imper-

dibile per una nazione attraversata da conti-

nue turbolenze. Dal luglio scorso, nelle town-

ship sudafricane sono aumentati scioperi e

proteste violente: nelle periferie delle grandi

città mancano servizi essenziali, l’acqua cor-

rente e l’elettricità. La popolazione rimprovera

al nuovo governo di Jacob Zuma di non aver

mantenuto le promesse della campagna elet-

torale sullo sviluppo dei servizi. A ciò si

aggiunge il malcontento degli abitanti degli

slums più vicini agli stadi che sono stati sfrat-

tati verso altre baraccopoli lontane dalla vista

dei tifosi.

Matteo Fagotto, giornalista esperto di

questioni africane, non ritiene che il Mondiale

sia un problema per i sudafricani, anche se

sarebbe stato giusto creare maggiori

opportunità. «Molte persone - dice

Fagotto - sono state assunte per costrui-

re le strutture. Ma, finite le opere, sono

rimaste senza lavoro». Per Clara Bosco d i

Ucodep, la disoccupazione si attesta ben

oltre la stima ufficiale del 25%. La crisi econo-

mica, poi, ha tagliato oltre 800 mila posti di

l a v o r o .

Non è un caso che, durante le proteste

nelle township, siano stati assaltati i negozi

gestiti da immigrati e siano state recapitate

molte lettere di minaccia a lavoratori pakistani

e somali. È una guerra tra poveri. E m a n u e l a

Citterio di A f r o n l i n e stima in 5 milioni il

numero di persone arrivate da altri Paesi afri-

cani. E, come spiega Fagotto, la popolazione

black nutre un profondo risentimento verso gli

immigrati che, impiegati spesso in nero, tolgo-

no lavoro ai sudafricani.

Per contro, negli ultimi 15 anni si è anda-

ta creando una nuova èlite politico-imprendi-

toriale, in buona parte nera, che ha conquista-

to posizioni di potere nel Paese. Il Black econo -

mic empowerment (Bee), però, non è servito a

far nascere una vera classe dirigente e alla

lunga si è trasformato in un sistema clientela-

re: oggi la corruzione del ceto politico è consi-

derata uno dei principali elementi d’arretra-

tezza del Sudafrica. Tali questioni hanno crea-

to nuove fratture in una società ancora

influenzata dai postumi dell’apartheid. La

segregazione, seppur smantellata sul piano

politico, è ancora forte a livello economico e

sociale.

Questo scenario avrà ripercussioni sul-

l’evento più atteso del 2010? Matteo Fagotto

non vede il rischio di esplosioni di violenza,

«anche perché i sudafricani sono molto sensi-

bili a quello che il mondo pensa di loro». Più

complicata la questione dei nuovi stadi, i dieci

costosissimi “elefanti bianchi”, così come ven-

gono chiamati dalla popolazione. Già si discu-

te sulla loro futura destinazione. «Le squadre

di rugby - osserva Fagotto - non vogliono

andare a giocare in queste strutture perché

sono lontane dalle township in cui hanno le

loro radici. Probabilmente gli elefanti bianchi

rimarranno cattedrali nel deserto».

Il maggior beneficio per il Sudafrica, se il

Mondiale dovesse avere successo, deriverà dal

guadagno di immagine che potrebbe rendere

il Paese un’appetibile meta turistica. Già

durante la manifestazione sono attesi oltre

300 mila visitatori: non male, se si pensa

che saranno concentrati in un mese e che

raggiungeranno anche località solitamen-

te poco battute dai turisti. Ma si tratta di

stime. L’unico dato certo è che la Fifa intasche-

rà 2 miliardi di dollari dalla sola vendita dei

diritti televisivi legati al Mondiale. E di questi

soldi nemmeno un centesimo finirà nelle

tasche dei sudafricani.

Dieci elefanti bianchi nelle township africane

Sono dieci gli stadi costruiti per ospitare le part i t edella Coppa del Mondo di calcio. Sono il simbolodi un paese pieno di contra d d i z i o n i , che rischia diri m a n e re ai margini del grande business sport ivo

L

MAGZINE 6 | 3 marzo - 31 marzo 20104

inchiesta

DI Marco Billeci e Fabio Forlano

I S T RU Z I O N E - Il Sudafrica

i nveste nell’istruzione il 5,3%

del Prodotto interno lord o. Più di ogni

altro Paese afri c a n o. I ri s u l t at i , p e r ò , sono

t ra i pegg i o ri : in una classifica mondiale

di 134 Pa e s i , occupa il 110° posto come

qualità del sistema d’istru z i o n e , il 104°

se il dato si limita all’istruzione pri m a ri a .

E n o rmi le diffe re n ze tra il rendimento

scolastico della popolazione bianca

e quella nera . Nel 2008, soltanto il 39%

di ra gazzi di colore ha superato gli esami

di Mat e m atica di secondo liv e l l o, contro

il 98% di studenti bianchi. I dati hanno

una spiegazione stori c a . Dal 1960 al 1994,

il gov e rno sudafricano ha investito 16 volte

di più per l’istruzione di un bambino

bianco rispetto ad uno di colore . G o o d

n ew s : nel 2009 il 39% dei bambini neri

t ra i 4 e i 6 anni e il 98% tra i 7 e i 15

u s u f ruiscono del tempo pieno alla scuola

p ri m a ri a . Nelle univ e rsità il numero

di studenti di colore è quadru p l i c ato

negli ultimi quindici anni.

Page 5: magzine 06

ovrebbero essere

neri, invece sono

bianchi. Troppo

bianchi. Non è colpa

loro, nascono con

un difetto congeni-

to: una deficienza di melanina

nella pelle, negli occhi e nei

capelli. Ma la loro comunità li

discrimina, li emargina, li elimi-

na. Sono gli albini africani.

In tutto il continente anti-

che credenze considerano gli

albini come portatori di sfortu-

na e maledizioni. Le donne in

età fertile, quando li incontrano

per strada, sputano per terra. Al

contrario i loro organi sarebbero

utilizzati per compiere riti pro-

piziatori e di buon auspicio. Per

questo, lontano dai centri urba-

nizzati, i crimini contro gli albi-

ni, come le mutilazioni e perfino

le uccisioni, sono molto comuni.

In Tanzania qualcosa sta

cambiando. La Albino United è

una squadra di calcio composta

da 25 albini tanzanesi che ha

giocato la sua prima partita uffi-

ciale il 26 ottobre 2008. Il team

milita in un campionato minore.

La società che si occupa dei

diritti degli albini ha sede nei

pressi dell’ospedale oncologico

di Dar es Saalam. Qui gli albini

che hanno subito violenze si

sentono al sicuro. L’obiettivo del

progetto, ideato da S e v e r i n

Edward Mallya, attivista per i

diritti umani, è dimostrare che

l’albinismo non è una forma di

maledizione.

Marco Trovatoe M a r c o

G a r o f a l o, giornalista e fotogra-

fo, hanno scoperto la squadra in

uno dei loro viaggi nel continente

e ne hanno seguito la storia per

conto della rivista A f r i c a: «C i

hanno dato appuntamento verso

le 18 al ritrovo per gli allenamenti

- racconta Garofalo -. Quando

siamo arrivati abbiamo scoperto

che il campo era in prossimità di

uno svincolo stradale e di alcuni

cantieri, aveva una forma irrego-

lare e nel mezzo c’era un grande

albero». I giocatori, come molti

in Africa, non hanno mezzi di

sostentamento, ma l’entusiasmo

è tanto: «Giocano anche a piedi

nudi e il pallone glielo abbiamo

regalato noi perché il loro si era

distrutto». La squadra, come

poche in Africa, non vanta eccel-

lenti prestazioni agonistiche, ma

il suo valore simbolico è straordi-

nario: «A causa della malattia, la

vista degli albini è molto debole e

il rischio che si ammalino di can-

cro è elevato, però il calcio è un

buon punto di partenza per sfata-

re i pregiudizi».

Solo l’allenatore e il portiere

della squadra sono neri e come

gli altri cittadini di Dar es Saa-

lam non hanno problemi a con-

vivere con gli albini. Il problema

sono le zone più arretrate. «È

strano pensare che in una nazio-

ne relativamente sviluppata

rispetto al resto dell’Africa esi-

stano ancora queste credenze.

Quando raccontavamo del

nostro lavoro con l’Albino Uni -

t e d, alcuni quasi si schifavano».

Se in Sudamerica gli albini

sono chiamati “figli della luna”,

in Africa sono considerati il frut-

to di relazioni extraconiugali

con i coloni bianchi. Solo in Tan-

zania gli albini sono 170mila su

una popolazione di 39 milioni.

Negli ultimi tre anni ne sono sta-

ti uccisi una cinquantina e il

governo ha dovuto pensare a

provvedimenti efficaci: sono

stati effettuati controlli su chi

praticava riti magici e i colpevoli

di reati contro gli albini sono

stati condannati anche alla pena

di morte. Nel 2008 una donna

albina è stata eletta parlamenta-

re. Ma la maggior parte delle

albine donne continua a essere

emarginata dai loro genitori e a

non poter andare a scuola. Gli

uomini, invece, hanno maggiori

possibilità di sottrarsi alle vio-

lenze e alle mutilazioni dei geni-

tali: il calcio è un modo, forse

l’unico, per riscattarsi. «L a

squadra gira la nazione e si fa

conoscere dalla gente. Un’altra

iniziativa non avrebbe avuto lo

stesso successo».

La nostra squadraè nata nel 2008.Volevamo solofare qualcosa perridurre i criminicontro gli albinie dimostrare che l’albinismo non è una maledizione

Un calcio alla magia neraAlbino United in campo

MAGZINE 6 | 3 marzo - 31 marzo 2010 5

E C O N O M I A - Secondo

il ra p p o rto del Wo r l d

Economic Fo rum del 2009,

l’economia sudafricana è fre n ata

dall’insufficiente prep a ra z i o n e

della forza lavoro (22.3%),

da criminalità e furti (19.8%),

da infra s t ru t t u re inadeguat e

(12.9%) e da un apparato

bu r o c ratico inefficiente (8.3%).

Dopo 17 anni di crescita

costante (dal 2005 al 2008

+ 5 % ) , negli ultimi dodici mesi

l ’ i n c remento si è ri d o t t o

a l l ’ 1 , 8 % , m a , d ato più

a l l a rm a n t e , sono stati bru c i at i

900mila posti di lav o r o. Il tasso

di disoccupazione è volato al

3 4 % : un sudafricano su tre non

l av o ra , nonostante il Mondiale

e la Fifa preveda un guadagno

di oltre due miliardi di dollari

con la vendita dei diritti

t e l ev i s iv i .

ddi Carlotta Gara n c i n i

inchiesta

Page 6: magzine 06

N IT A L I A A N C H E L’A N T I M A F I A d i v e n t a

spesso una bandiera intorno a cui

disporsi per tifoserie contrapposte.

Ma Francesco Forgione- docente

di Storia e sociologia delle organizza-

zioni criminali all’Università del-

l’Aquila e presidente della Commissione parla-

mentare d'inchiesta sul fenomeno della crimina-

lità organizzata durante il governo Prodi - rifugge

da questa consuetudine. Ha sempre denunciato

il costume tutto italiano di dividersi ideologica-

mente per clan. E, soprattutto, si rifiuta di chiama-

re eroi personaggi che non meritano un appella-

tivo del genere. «Oggi si è perso - dice - il senso e il

rigore delle leggi, il distacco della magistratura

dalla politica. Da cittadino pretenderei che il giu-

dice sia terzo, senza alcun legame con le liste elet-

torali». «Se ci mettiamo in mente - prosegue For-

gione - che Massimo Ciancimino, figlio di mafio-

so e testimone di giustizia, possa riscrivere la sto-

ria d’Italia e faccia cadere il governo, temo per l’in-

columità della democrazia».

C’è mai stata una trattativa tra

mafia e Stato?

Credo di sì e credo che questo spieghi la manca-

ta perquisizione del covo di Totò Riina, nel 1993.

Dopo l’a n d r e o t t i s m o andava riequilibrato il

r a p p o rto tra poteri politici. Lo si può

dedurre anche da come è nata Forza Ita-

lia in Sicilia, con l’aiuto di Marcello Del-

l’Utri e con esponenti di secondo piano

della Dc che servivano per creare conti-

nuità tra la vecchia e la nuova classe dirigente.

Che una parte della politica non si sia resa imper-

meabile alle pressioni mafiose è un fatto. Ma se

per i ragionamenti politici basta il pasoliniano “io

so”, per la magistratura servono le prove.

Mafia e politica: è un legame davve -

ro così stretto?

No, non tutta la politica è infiltrata dalla mafia.

Se vediamo la mafia ovunque, corriamo il

rischio di non scorgerla più. Ad esempio, i poli-

tici rinviati a giudizio o che hanno subito una

condanna per concorso esterno in associazione

mafiosa sono una ventina: non equivale a dire

che tutti e mille i parlamentari siano mafiosi.

Bisogna saper riconoscere che le responsabilità

ricadono solo su una certa politica. Non siamo

nemmeno all’anno zero dell’antimafia. Persino

all’interno del decreto sicurezza, che non è con-

divisibile per quanto riguarda il capitolo sull’im-

migrazione, ci sono delle ottime norme antima-

fia che accelerano i tempi del sequestro dei beni.

Quei beni, prima, erano sempre legati alla per-

sona: per questo, una volta scontata la pena, i

beni ritornavano ai mafiosi usciti dal carcere,

oppure venivano affidati ai loro figli. Oggi, inve-

ce, si è riconosciuto che il bene mafioso è perico-

loso perché frutto di accumulazione di

attività illecite. Il problema è che l’etica

pubblica non riguarda solo la politica, ma

anche l’economia. I due ambiti sono stret-

tamente correlati.

Come giudica la legge sullo scudo

f i s c a l e ?

La decisione di impedire la tracciabilità dei con-

ti favorisce il rientro di capitali sporchi prove-

nienti dall’estero. In Germania, Angela Merkel,

per citare un’esponente di centrodestra, ha paga-

to gli investigatori per conoscere i nomi dei depo-

sitari di denaro nei paradisi fiscali. In Italia ne ha

parlato solo il quotidiano La Stampa.

E il modo di gestire in Italia le gare

d ’ a p p a l t o ?

Le opere pubbliche si possono fare solo se si

inchiodano le imprese alle loro responsabilità e

si stabiliscono regole stringenti sui subappalti.

Bisogna monitorare le imprese e la loro solidità

economica, evitare i meccanismi criminosi del-

le cordate che consentono di ottenere appalti

con offerte fuori mercato. Troppo spesso capita

che l’impresa che riceve l’appalto diventi solo il

luogo dove reinvestire denaro sporco. L’unico

modo per evitare che questo accada è fissare

nuove regole.

Politica Vs magistraturaNuove regole di galateo

I professionisti dell’antimafia esagerano? Il rischio è di condannare a pri o ri la politica e di tra s f o rm a rei testimoni di giustizia in eroi autorizzati a ri s c rive rela storia d’Italia. L’analisi di Francesco Fo rg i o n e

MAGZINE 6 | 3 marzo - 31 marzo 20106

criminalità organizzata

di Lorenzo Bagnoli

I

Per sap e rne di più

Francesco Forgione,Mafia Export .

Come ’ndra n g h e t a ,Cosa Nostra e Camorra

hanno colonizzato il mondo (Baldini Castoldi

D a l a i ) ;Nicola Gratteri e Antonio Nicasio,Fra t e l l i

di sangue (Mondadori ) ;Davide Carlucci e

Giuseppe Caruso,A Milano comanda la

’ n d ra n g h e t a ( Ponte alle Gra z i e ) .

Page 7: magzine 06

ra il 3 settembre

1982 quando il gene-

rale Carlo Alberto

Dalla Chiesa fu ucci-

so dalla mafia. La sua integrità e

il suo sacrificio sono rimasti vivi

nella memoria di tanti italiani. Il

figlio Nando ricorda l’importan-

za dei valori ereditati dal padre,

che lo hanno sempre ispirato a

perseguire la cultura della legali-

tà. Nando Dalla Chiesaè sta-

to senatore nel 2001 per la Mar-

gherita e oggi è docente di Socio-

logia della criminalità organiz-

zata all’Università degli Studi di

Milano. Ma è anche direttore

della casa editrice milanese

M e l a m p o e fondatore di O m i -

c r o n, mensile di impegno civile

sulla criminalità organizzata del

Nord, fondato insieme all’amico

Gianni Barbacetto. Dalla

Chiesa parla dell’attuale situa-

zione dell’editoria civile e delle

prospettive che questa può for-

nire nello sviluppo di una effica-

ce cultura dell’antimafia, sinoni-

mo di denuncia, ma soprattutto

di impegno civile.

Qual è la situazione

attuale dell’editoria

c i v i l e ?

È un’editoria intellettualmente

stanca. È auspicabile che nascano

libri che ci facciano riflettere, attra-

verso la denuncia, a patto però che

non si cada nel sensazionalismo.

Dobbiamo segnalare nuovi autori

e costruire con loro una cultura

dell’antimafia che privilegi lo svi-

luppo del senso critico ma soprat-

tutto l’impegno civile più che il cla-

more a tutti i costi.

Come l’editoria può

contribuire a sviluppa -

re una cultura della

l e g a l i t à ?

Facendo dei buoni libri e rivalu-

tando quelli validi che già esisto-

no. Molti libri di inchiesta spes-

so sono dimenticati o fuori cata-

logo. Lo dico con cognizione di

causa perchè mi è capitato di

segnalare libri ai miei studenti e

poi avere difficoltà a reperirli.

Spesso si parla di libri importan-

ti, gli stessi su cui si sono formati

i nostri giudici eroi, quelli che le

piccole case editrici tenderebbe-

ro a privilegiare per promuovere

l’impegno civile.

Dall’editoria al giorna -

lismo, quale fu il ruolo

delle piccole testate nel -

la querelle tra lei e

S c i a s c i a ?

Nel caso dei venti articoli che

furono pubblicati da Sciascia nel

1987 sul Corriere della Serae

che si riferivano ai professionisti

dell’antimafia, ci fu uno scontro

di idee civili. Il giornalismo più

forte era ovviamente quello che

puntava a sostenere la teoria dei

"professionisti dell’antimafia",

considerando che il C o r r i e r ee r a

il più grande quotidiano nazio-

nale e venne appoggiato un po’

da tutti i giornali. Le piccole

testate e le voci fuori dal coro

allora dovettero difendersi ma,

alla luce della storia, hanno avu-

to la meglio. Basta guardare ciò

che è accaduto qualche anno

dopo: il professionista dell’anti-

mafia indicato in quell’articolo,

Paolo Borsellino, è saltato in aria.

A che punto è la cultura

dell’antimafia in Italia?

Ci sarebbe sempre da fare. Nel-

l’editoria, ad esempio, c’è una

sovrapproduzione di libri di

livello medio-basso. Avremmo

invece bisogno di una maggiore

quantità di libri scritti per edu-

care e non per vendere sul mer-

c a t o .

In Lombardia si è svi -

luppata una cultura

a n t i m a f i a ?

È cresciuta la sensibilità verso

l’impegno civile grazie al lavoro

delle scuole ma anche a una con-

sapevolezza nuova sui rischi cor-

ruttivi. Oggi potremmo quasi

definire Milano la capitale

nazionale dell’antimafia, c’è una

ventata di legalità che la sta

attraversando. È una città sem-

pre più animata da giovani e gio-

vanissimi che affollano le piazze

durante le manifestazioni sul

t e m a .

Quanto è stata impor -

tante la famiglia nel

suo percorso personale

e pubblico?

Quello che si impara in famiglia

è importante. Spesso si assimila

una vera e propria cultura, è il

luogo dove si comincia a cono-

scere la vita, non da soli ma gui-

dati dall’amore di altre persone.

Che messaggio le ha lascia -

to suo padre?

Che i valori della legalità e del-

l’onestà, più che predicati, devo-

no essere praticati. Quando

sono praticati costituiscono un

esempio per gli altri. Solo così si

tramandano davvero.

Nando Dalla Chiesa:«Editori contro le mafie»

criminalità organizzata

MAGZINE 6 | 3 marzo - 31 marzo 2010 7

di Giuditta Ave l l i n a

Per sap e rne di più

L i b e ra è un’associazione

di promozione sociale

p resieduta da Don Luigi Ciotti.

Nando Dalla Chiesa ne è

il presidente onora ri o.

Nata nel 1995, il suo obiettivo

è sollecitare la società civ i l e

nella lotta alle mafie e nella

p romozione dei va l o ri

della legalità e della giustizia.

L i b e ra p ro mu ove il 21marzo

di ogni anno la Giornata della

m e m o ria e dell’impegno civ i l e

per ri c o rd a re le vittime di tutte

le mafi e. L’ultima edizione ha

re g i s t rato un re c o rd di pre s e n ze :

in piazza Duomo a Milano

150 mila i giovani hanno ri b a d i t o

il pro p rio impegno anti mafi a .

w w w. l i b e ra . i t

e

Page 8: magzine 06

MAGZINE 6 | 3 marzo - 31 marzo 20108

giornalismo

di Chiara Avesani

U A N D O S U O N A i l

postino urlando

“atti giudiziari!”,

prima spero che

sia una multa,

poi che sia una

querela, ma il più delle volte è una

causa civile. Il fatto è che il giorna-

lista è costretto a preoccuparsi,

non tanto del telespettatore,

quanto del giudice. E finisce col

dedicare la maggior parte del

tempo a difendersi anziché occu-

parsi del prodotto».

Per Milena Gabanelli, il

pensiero è libero, ma quando si

denuncia occorre prudenza,

soprattutto quando un’inchiesta

tocca argomenti scomodi o pote-

ri forti. A volte nemmeno la pru-

denza basta. Temi da equilibristi,

quelli affrontati da R e p o r t, una

trasmissione costretta a muover-

si su un terreno insidioso e a con-

temperare il diritto di cronaca

con la tutela della personalità

umana e dell’onore. Se è corretto

che chi si sente diffamato possa

querelare, è pur vero che un

sistema giudiziario come quello

italiano, in cui le cause hanno

tempi lunghissimi e costi esorbi-

tanti, permette abusi e strumen-

talizzazioni.

«Oggi la difficoltà principale

del giornalismo investigativo

non è tanto andare in onda, ma

procurarsi tutti gli elementi che

occorrono per costruire l’inchie-

sta - sostiene Milena Gabanelli - .

In primo luogo perché quasi tutti

si sottraggono alle nostre

domande: la cultura di questo

Paese è quella di rispondere solo

ai “giornalisti amici”. In genere,

per intimorirci ed evitare che la

trasmissione torni sull’argomen-

to ci trascinano in tribunale con

cause civili miliardarie».

Se la civiltà moderna si è for-

mata sul riconoscimento di alcu-

ne garanzie, il gioco dei potenti è

sempre più spesso quello di stru-

mentalizzare queste garanzie a

fini personali. Ecco quindi che il

diritto può essere utilizzato per

seppellire chi di mestiere fa il con-

trollore del potere. Milena Gaba-

nelli ha sollevato il problema di

recente, quando si è prospettata

la possibilità che la Rai sospen-

desse la copertura legale al pro-

gramma, lasciando gli autori dei

servizi - quasi tutti freelance -

esposti al rischio delle querele e

delle cause civili.

Si potrebbe pensare che

non ci sia niente di patologi-

co nella possibilità di essere

citati in giudizio da chi

si sente diffamato: se il

giornalista ha lavorato con

coscienza, questo gli sarà ricono-

sciuto dalla sentenza e vincerà la

causa. Il fatto è, però, che nel

sistema italiano essere trascinati

in tribunale, specialmente in una

causa civile, significa perdere

ancora prima dell’esi-

to del giudizio. «Il pro-

blema non è solo la

durata dei processi

civili, costi inclusi, ma

anche il fatto che

chiunque può trasci-

narti in un tribunale

civile anche senza una

vera ragione - spiega

Milena Ga-banelli - .

In un caso siamo stati

citati in sede civile da

un collega giornalista.

L’intera causa si fonda

sull’esistenza di una

liberatoria, che però

noi abbiamo, contra-

riamente a quanto so-stiene l’ac-

cusa. Nonostante sia una “causa

vinta”, prosegue da sette anni,

perché questi sono i tempi dei

processi civili».

Meglio quindi una querela

per diffamazione che una causa

civile. «Nelle cause penali c’è un

magistrato che valuta prelimi-

narmente se procedere con

il processo o meno. In un

processo civile, invece, c’è

la possibilità di trascinare

in giudizio chiunque, anche

senza motivazione, perché chi ti

porta in tribunale non pagherà

altro se non le spese legali. Quin-

di, se chi cita in giudizio è un

uomo potente che vuole intimi-

dire, questo ha enormi conse-

guenze per il giornalista, che vie-

ne trascinato in tribunale».

Ma come si distingue una

“causa pretestuosa” da una “legit-

tima”? «La causa pretestuosa -

spiega Milena Gabanelli - è quel-

la in cui ciò che è presente in cita-

zione non corrisponde a verità in

maniera immediatamente evi-

dente. Il problema è che, non

essendoci una fase di filtro preli-

minare nel processo civile, una

causa va avanti anche anni prima

che si possa accertare se è prete-

stuosa».

Una soluzione è stata rag-

giunta con la riforma del 2009 e

con l’articolo 96 del Codice di

procedura civile. La riforma ha

introdotto la possibilità di punire

la lite temeraria, cioè l’azione pro-

mossa senza fondamento, con-

Q

La ve r i t àè scomoda

Secondo Milena Gabanelli,oggi in Italia il ra c c o n t odei fatti presuppone un fastidioso ero i s m o.La nu ovac e n s u ra sono le cause pre t e s t u o s e :hanno sempretempi e costi insostenibili per gli editori e i re p o rt e r

Page 9: magzine 06

dannando al risarcimento dei

danni o a una somma determi-

nata. Ma l’articolo 96 è poco

applicato. Senza contare il resto.

«La condanna - continua la

giornalista di R e p o r t- è una san-

zione ridicola rispetto alle cifre

che vengono richieste in citazio-

ne di danni per milioni di euro. La

sanzione è inflitta per punire

l’inutile coinvolgimento del giu-

dice. All’estero la legislazione è

differente. Negli Stati Uniti e nel

Regno Unito chi trascina in tribu-

nale un giornalista senza motivo

rischia grosso. Questo perché è

riconosciuto che una lite temera-

ria ha scopo intimidatorio. La

sanzione andrebbe quindi para-

metrata sul valore della libertà di

stampa, non sul mero danno ».

La necessità di un effettivo

deterrente per le cause strumen-

tali è forte, perché le conseguen-

ze pecuniarie di una causa legale

si avvertono immediatamente.

Gli editori ne hanno un danno

economico consistente: la legge e

la necessità di mettersi al riparo,

li obbligano ad accantonare un

fondo rischi, cioè una percentua-

le del risarcimento richiesto in

ogni causa. Milena Gabanelli ne

sa qualcosa: «Le spese legali sono

un limite per chiunque: il giorna-

lista non può affrontarle da solo.

Ma anche per l’editore non va

meglio: se è piccolo, va gambe

all’aria o chiude».

Giornalisti ed editori

non rischiano solo per le

spese legali. Per alcune

cause vengono chiesti

risarcimenti molto alti, non rap-

portabili al presunto danno,

anche in cause assolutamente

pretestuose. Questo fa sì che

l’editore sia costretto ad accanto-

nare nel fondo rischi una percen-

tuale per far fronte a richieste di

risarcimento danni pari a 10 o

anche 30 milioni di euro a causa.

«Sono cifre rilevantissime

che restano bloccate per cause

che durano anni e anni - osserva

Milena Gabanelli -. Nonostante

questo, io credo di essere una

risorsa per il mio editore: deve

accantonare molto nel fondo

rischi, ma poi le cause sono tutte

vinte».

Ma chi strumentalizza le cau-

se? «Due categorie in particolare:

i potenti, che non vogliono che si

parli di loro, e i furbi, che cercano

di ricavare denaro. Soprattutto

questi ultimi approfittano di un

passaggio in televisione, che

magari li ha disturbati, e cercano

di fare in modo di raggranellare

qualche soldo. I furbi, rispetto ai

potenti, chiedono spiccioli, ma

fanno comunque numero».

Un esempio? La puntata di

R e p o r t sulla scuola dell’obbligo:

qui si mettevano in luce le

disfunzioni del sistema delle

supplenze. Per indicare che il

costo di una bidella a mezzo ser-

vizio (cioè per sole quattro ore

anziché otto) era esorbitante, il

giornalista aveva riassunto i fatti,

parlando del “costo di una mezza

bidella”. L’intervistata si è offesa

e ha sporto querela.

Secondo Milena Gabanelli,

però, non sono questi i soggetti

da temere. I grandi poteri econo-

mici sono l’avversario più

temibile: per questo può

sembrare più saggio non

sollevare il velo su di loro.

I grandi gruppi, per impe-

dire che si porti avanti un’in-

chiesta, sono pronti a mobilitare

interi studi di avvocati. «Agisco-

no così gli imprenditori, le azien-

de e le holding che non tollerano

che si possa mettere in discussio-

ne l’immagine su cui si costrui-

scono imperi e si vendono azio-

ni».

Di fronte al giornalista d’in-

chiesta, quindi, non si spara più.

Le nuove intimidazioni si fanno

con le querele. Vita dura per la

libertà di stampa? Milena Gaba-

nelli: «Libertà di stampa non

equivale a dire ciò che si vuole. È

la libertà di raccontare i fatti

quando si hanno le evidenze.

Peccato che oggi, in Italia, il rac-

conto dei fatti presupponga un

fastidioso eroismo».

MAGZINE 6 | 3 marzo - 31 marzo 2010 9

Chi fa davvero paura sono i poterieconomici forti. Oggi la mafia nonspara al giornalista, le nuove inti-midazioni si fanno con le querele

Per sap e rne di più

w w w. rep o rt . rai.it

Milena Gabanelli, Le inchieste

di Rep o rt ( B u r ) ; C a ra politica.

Come abbiamo toccato il fondo.

Le inchieste di Rep o rt ( B u r ) ;

E c o f o l l i e .Per uno sviluppo

( i n ) s o s t e n i b i l e, ( B u r, 2 0 0 9 )

Page 10: magzine 06

La dura vitadei rep o rter curd i

libertà di stampa

ino a quindici anni fa se

qualcuno per le strade

turche avesse parlato in

curdo, i soldati avrebbe-

ro aperto il fuoco. Negli ultimi

tempi numerosi quotidiani e

settimanali in lingua curda sono

stati chiusi con l’accusa di aver

fatto propaganda per il Partito

dei Lavoratori del Kurdistan

(Pkk). L’organizzazione accusa-

ta di terrorismo dal governo tur-

co e dai governi occidentali,

rivendica la creazione di uno

Stato indipendente curdo nel

Sud-Est del Paese. Nel dicem-

bre scorso gli 11 giudici della

Corte costituzionale hanno fatto

chiudere il Partito per una socie-

tà democratica (Dtp), la princi-

pale formazione filo-curda del

Paese, perché avrebbe chiare

collusioni con il Pkk. Il Dtp è, in

ordine di tempo, il quarto parti-

to filo-curdo chiuso dalla magi-

stratura a partire dal 1990. I

curdi in Turchia sono 17 milioni

di persone e, formando la più

grande minoranza etnica del

Paese, sono il più serio avversa-

rio dell'immagine ufficiale di

una società omogenea.

Sinan Ozturk è un gior-

nalista curdo di 42 anni. Ha

lavorato per i quotidiani Y e n i

Ulke, Ozgur Gundeme O z g u r

P o l i t i k a e per le tv curde M e d y a

T ve Roj Tv. Ora non vive più nel

suo Paese, perché ha deciso di

ricostruire la sua carriera pro-

fessionale e la sua vita in Fran-

c i a .

Quando ha lasciato la

Turchia e perché?

Nel 1991 ho iniziato il mestiere

di giornalista nel settimanale

filo-curdo Yeni Ulke. Con alcuni

amici ho creato il primo quoti-

diano filo-curdo, Ozgur Gun -

d e m. Quando lavoravo per

E v r e n s e l, ho pubblicato un arti-

colo nel quale riportavo una let-

tera di minacce scritta dallo Sta-

to maggiore turco e indirizzata

al primo ministro. Sono stato

accusato di alto tradimento e

hanno intentato un procedi-

mento giudiziario contro di me.

Rifiutando di essere giudicato,

sono dovuto fuggire in Europa

nel 1997.

Ha mai ricevuto inti -

midazioni da parte del

Governo durante la

sua attività professio -

n a l e ?

In Turchia una forte pressione

pesa su tutti i giornalisti dell’op-

posizione. Nel 1992 alcuni miei

colleghi e amici sono stati tortu-

rati, mutilati o uccisi. Quando

lavoravo a Ozgur Gundem s o n o

stato minacciato di morte per

telefono. Oggi le persone che

compiono questi crimini sono

giudicate nell’ambito del pro-

cesso E r g e n e k o n, dal nome del-

l’organizzazione segreta ultra-

nazionalista. Questo gruppo è

composto da intellettuali, gior-

nalisti, politici e alcuni rappre-

sentanti della mafia. L’organiz-

zazione ha commesso in Kurdi-

stan molti omicidi di nemici,

veri o presunti, della Turchia.

Io, che ero stato condannato a

causa di uno dei miei articoli,

ero sotto costante monitorag-

gio. Tutte queste persecuzioni

mi hanno costretto a lasciare il

P a e s e .

Il Governo turco sta

facendo pressioni sui

m e d i a ?

La pressione del potere politico

sulla stampa in Turchia si fa

sentire molto di più rispetto a

prima. Inizialmente pesava solo

sulla stampa curda e su quella

dei movimenti di destra, oggi

pesa anche su quella islamica.

Ma è la stampa curda a subire le

pressioni più forti. In questo

ultimo anno le pubblicazioni di

molti giornali filo-curdi sono

state sospese. Dopo la censura

di 19 giornalisti e il divieto

imposto sui loro rispettivi gior-

nali, la questione è stata portata

davanti alla Corte europea dei

diritti dell’uomo. Questa ha con-

dannato la Turchia per aver

infranto la libertà di espressione

e ha condannato il Paese a paga-

re un’ammenda.

C’è tensione tra curdi e

turchi? La situazione

non è migliorata negli

ultimi tempi?

Il popolo curdo è vittima del-

l’ideologia ufficiale del Paese. Le

case delle famiglie curde che

vivono nelle città sono obiettivi

per il lancio dei missili. Il partito

Dtp considerava la soluzione del

problema delle minoranze nel

suo programma. Ma dopo la sua

dissoluzione, mille dei suoi diri-

genti sono stati banditi dalla vita

politica e incarcerati. Con que-

sto metodo lo Stato ha chiuso

tutti i canali che portano al dia-

logo e ha aumentato la repres-

s i o n e .

Gli incontri ufficiali tra

giornalisti turchi e cur -

di, come quello del 16

gennaio scorso a Istan -

bul, possono essere uti -

li per trovare una solu -

zione, o sono solo for -

m a l i t à ?

Non penso che ci sia un proble-

ma tra curdi e turchi. Il proble-

ma viene essenzialmente dal-

l’ideologia dello Stato della Tur-

chia. La soluzione sarebbe avere

una Costituzione che riconosca

l’esistenza di tutte le minoranze.

L’Europa dovrebbe giocare un

ruolo più attivo nella risoluzione

di questo problema e, attraverso

le relazioni che intrattiene con il

governo turco, deve utilizzare la

sua democrazia più avanzata

come uno strumento per mette-

re in evidenza gli interessi di tut-

ti i popoli.

In Turchia vivono17 milioni di curdi.Ma la principaleminoranza etnicadel Paese non haaccesso ai media.Spesso i giornalistiche criticano ilgoverno vengonoi m p r i g i o n a t i ,torturati e uccisi

MAGZINE 6 | 3 marzo - 31 marzo 201010

di Simona Peverelli

s

Per sap e rne di più

I curd i . D ramma di un

popolo dimenticat o, Froio Felice

( M u rsia Editore ) ; Le terre del silen -

z i o, M e h m e t Barut ( I n finito Edi-

z i o n i ) .

Page 11: magzine 06

A L L’I N T R E C C I O

di “thoughts” e

“sounds” nasce

T h o u n d s, un

social network

che “cattura pensieri musica-

li”, dove la musica, o meglio

l’ispirazione musicale, è tutto

ciò che si condivide.

Un t h o u n d e r, cioé

l’utente della piattaforma,

registra una melodia di sua

composizione direttamente

dal pc e la condivide con i

suoi contatti. Un altro t h o u n -

d e r, da un’altra parte del

mondo, ascolta la melodia e

contribuisce ad arricchirla, a

completarla. Lo scopo è di

definire un nuovo modo di

comporre musica in manie-

ra estemporanea, senza l'uti-

lizzo di strumenti sofisticati

per la registrazione e l'edi-

ting del suono, sfruttando

una community di utenti

dalla provenienza geografica

più svariata.

Il fondatore di T h o u n d s

è Francesco Fraioli, lau-

reato in Design e Arti all’uni-

versità Iuav di Venezia.

«Thounds era il progetto che

ho portato come tesi di lau-

rea nella primavera del 2008

- racconta Francesco -. H -

F a r m nel 2009 mi ha dato

l'opportunità di realizzare

quello che era solo un proto-

tipo su carta». H - F a r m, in

provincia di Treviso, è un

centro di sviluppo che aiuta i

giovani a realizzare progetti

di business nella rete e che ha

deciso di investire in

T h o u n d s nella convinzione

che la musica, anima del pro-

getto, sia un aggregante forte

e trasversale.

Fino ad oggi gli utenti di

T h o u n d ssono circa 6mila. La

maggior parte dei contributi

giungono dai paesi sudameri-

cani: Argentina, Brasile e Cile.

In Europa emergono Italia e

Spagna, mentre ci sono anche

alcuni utenti provenienti da

Russia e Giappone. Per utiliz-

zare il social network musica-

le occorre iscriversi, dopo di

che si può subito registrare la

linea melodica e pubblicarla.

Come una sorta di T w i t t e r

musicale.

I t h o u n d e rnon sono solo

musicisti. La traccia melodica

che si può postare non deve

essere necessariamente suo-

nata con uno strumento, ma

può anche essere, come ha

detto Francesco, «un battito

di mani, un fischiettio». Inol-

tre, spiega ancora, «la qualità

del suono non è la nostra prio-

rità. Quello che importa è suo-

nare insieme, come in una sala

prove, come fosse b r a i n s t o r -

m i n g musicale o uno s k e t -

c h b o o kc o n d i v i s o » .

I t h o u n d s, le registrazioni,

possono anche essere condivi-

se su altri social network. Per

questo la piattaforma ha

anche una pagina in F a c e b o -

ok, dove i fan, ormai sul

migliaio, chiedono aiuto per

sviluppare la traccia o postano

commenti entusiasti: «Grazie

a T h o u n d sho elaborato tipi di

musica che non avrei mai

potuto sperimentare».

Ma T h o u n d s non vuole

sostituire la fisicità del suona-

re insieme: gli utenti che fan-

no musica in gruppo sul web

possono anche incontrarsi

nel mondo reale e collabora-

re coi loro artisti preferiti.

«Stiamo cercando di avviare

collaborazioni con artisti e

case discografiche. Al mo-

mento abbiamo il caso di

Ebony Bones, un’artista

inglese che ha capito subito lo

spirito di T h o u n d s. Le abbia-

mo dedicato una pagina dove

l'utente può trovare un suo

piccolo snippet audio su cui

può iniziare a suonare».

Il contenuto creato dai

t h o u n d e r s è sempre tutelato

da licenze c r e a t i v ec o m m o n s

e certificato da un time stam -

p i n g. «Sicuramente questo

rimane il punto fondamenta-

le di tutti gli eventuali svilup-

pi, soprattutto se in futuro

l'utente vorrà realizzare qual-

cosa con le tracce create sul

sito». Per ora T h o u n d s è una

piattaforma gratuita così

come l’applicazione disponi-

bile per l’I - P h o n e: «Non met-

teremo banner pubblicitari,

forse qualche account in

futuro potrà essere a paga-

mento, ma in generale

vogliamo tenere il social net-

work totalmente gratuito».

artecipare al governo della

città senza affollare strade e

piazze? Nello stato del

Brandeburgo, in Germania

orientale, è possibile postando com-

menti e foto su un sito internet. Il

Brandeburgo sperimenta così la ver-

sione 2.0 dell’amministrazione pubbli-

ca attraverso la piattaforma M a e r k e r.

Un luogo virtuale dove far comunicare

cittadini e amministratori di circa 490

tra comuni e distretti rurali, tra i quali

il comune di Rüdendorf. «Quello che

ci ha spinto ad aderire al progetto -

dice Silke Klingelstein, da sei mesi

incaricata di ricevere le segnalazioni e

di inoltrarle all’ufficio competente - è

la possibilità di interagire con i cittadi-

ni. Le richieste sono varie: dalla

costruzione di nuovi parcheggi, alle

proposte di divieti per snellire il traffi-

co o, d’inverno, un impegno maggiore

nel ripulire le strade dal ghiaccio».

L’amministrazione risponde a colori,

con un semaforo per scandire i tempi:

il rosso indica la ricezione, il giallo che

l’amministrazione ne è a conoscenza, il

verde la fine dei lavori. C’è anche il

giallo-verde, che il Comune usa quan-

do ritiene di non avere le competenze

per intervenire. L’ultima parola spetta

sempre al Bürgermeister, il primo cit-

tadino, che caso per caso deciderà

dove e quando intervenire.

Idee in musica,nasce Thounds

Sul social netwo rk gli utenti postano “ p e n s i e rimu s i c a l i ” : è una nu ova forma di composizionemu s i c a l e, molto più estemporanea e ubiqua

multimedia

In Bra n d ebu rgoil Comune è 2.0

MAGZINE 6 | 3 marzo - 31 marzo 2010 11

di carlotta garancini

di Luigi Sere n e l l i

Per sap e rne di più

w w w. t h o u n d s . c o m

w w w. h - f a rm v e n t u re s . c o m

Per sap e rne di più

Una guida ai servizi del Comu n e :

w w w. s e rv i c e . b ra n d e bu rg. d e

D

p

Page 12: magzine 06

L I V I E R N y i r u b u -

gara, trentatreen-

ne ruandese, è un

c a m j o, cioè un

camera journa -

l i s t. Il kit è essenziale: un telefo-

nino con connessione Gps e una

tastiera pieghevole. Come lui,

altri trenta aspiranti giornalisti

che coprono Kenya, Tanzania,

Mozambico, Sudafrica, Ghana e

Camerun, sono protagonisti di

Voices of Africa, progetto creato

nel 2007 dall’organizzazione

olandese Voices of Africa Media

F o u n d a t i o n con lo scopo di por-

tare l’informazione anche negli

angoli più remoti del continente.

Gli apprendisti sono giovani afri-

cani di età compresa tra i 20 e i

30 anni a cui vengono fornite,

attraverso un percorso di trai-

ning, le conoscenze di base del

mestiere.

Così formati, sono inviati nei

villaggi di origine per raccontare

la vita delle comunità rurali, riu-

scendo talvolta a entrare in zone

altrimenti interdette ai media

internazionali. «I grandi network

- spiega Olivier Nyirubugara -

non hanno alcun guadagno a

dare spazio e voce ai nostri pro-

blemi. Quante volte si sente par-

lare di Africa in televisione?

Poche. E solo per raccontare di

guerre, carestie e morte. In-

somma, non fanno altro che per-

petuare vecchi cliché».

Olivier, tra i fondatori di

Voices of Africa, vuole rovesciare

la prospettiva: «Riportare la vita

reale può prevenire i conflitti.

Uno dei nostri inviati di Nairobi

ha postato un video sul L e b o u r

Project Cafè, società che produce

caffè impegnata nel sociale. I 25

ragazzi di etnie diverse coinvolti

in questo progetto di sviluppo

hanno così testimoniato che la

convivenza pacifica è possibile».

«Dopo le elezioni del 2008 - con-

tinua Olivier -, la situazione in

Kenya è precipitata: genocidio e

pulizia etnica non sono ancora

scongiurati. Ben vengano, allora,

idee come quella del L e b o u r, che

aiutano ad arginare gli scontri

inter-tribali. Ma chi ne parla?».

Voices of Africa nasce per

creare business attraverso la

conoscenza dei nuovi media.

Dopo sei mesi di formazione,

ong e società affidano ai giovani

reporter un lavoro retribuito su

un preciso argomento: dai diritti

umani all’economia, dalla que-

stione femminile alla salute.

Voices of Africa ha avuto impor-

tanti riconoscimenti internazio-

nali: nel 2008 ha vinto il Best of

Blog della Deutsche Welle c o m e

miglior videoblog, il più autore-

vole premio per weblog, podcast

e videoblog. Nel 2009, poi, ha

ricevuto il World Summit

A w a r d delle Nazioni Unite.

Un’esperienza del genere

contribuisce alla riduzione del

digital divide? «Non proprio:

chiunque, oggi, ha un telefono

cellulare, ma pochi hanno acces-

so a internet». Secondo Olivier,

nemmeno i Mondiali contribui-

ranno a volgere in positivo la

situazione: «Nuove infrastruttu-

re, lo sviluppo della rete elettrica,

nuovi posti di lavoro negli

impianti sono occasioni da

cogliere. Ma nel nostro continen-

te i governi non gestiscono ade-

guatamente queste opportunità.

Perciò, anche una bella chance

come quella dei Mondiali rischia

di rivelarsi, per l’Africa, un’arma

a doppio taglio».

Trenta ra g a z z i , un telefonino con connessione Gps,una tastiera pieghevo l e. Sono gli strumenti dei c a m j o,i c a m e ra journ a l i s t. Un progetto di mobile rep o rt i n gper port a re l’informazione nel cuore del continente

Rivista quindicinale realizzatadal Master in Giornalismodell’Università Cattolica - Almed© 2009 - Università Cattolicadel Sacro Cuore

d i r e t t o r eMatteo Scanni

c o o r d i n a t o r iLaura Silvia Battaglia, Ornella Sinigaglia

r e d a z i o n eFabrizio Aurilia, GiudittaAvellina, Chiara Avesani,Lorenzo Bagnoli, ValerioBassan, Marco Billeci, RaffaeleBuscemi, Salvo Catalano,Francesco Cremonesi, GiuliaDedionigi, Tiziana De Giorgio,Viviana D’Introno, Fabio DiTodaro, Tatiana Donno, RobertoDupplicato, Fabio Forlano,Carlotta Garancini, IvicaGraziani, Andrea Legni, FlorianaLiuni, Cristina Lonigro,Pierfrancesco Loreto, AlessiaLucchese, Daniela Maggi, PaoloMassa, Daniele Monaco,Michela Nana, Ambra Notari,Tancredi Palmeri, Cinzia Petito,Simona Peverelli, GregorioRomeo, Alessia Scurati, LuigiSerenelli, Alessandro Socini,Andrea Torrente, EnricoTurcato, Roberto Usai, CesareZanotto, Vesna Zujovic

a m m i n i s t r a z i o n eUniversità Cattolica del Sacro Cuorelargo Gemelli, 120123 - Milanotel. 0272342802fax 0272342881m a g z i n e m a g a z i n e @ g m a i l . c o m

progetto graficoMatteo Scanni

service providerw w w . u n i c a t t . i t

Autorizzazione del Tribunale

di Milano n. 81 del 20 febbraio

2 0 0 9

in rete

di Ambra Notari

MAGZINE 6 | 3 marzo - 31 marzo 201012

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Voices of A f r i c a