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MECCANICISMO E VITALISMO

http://users.unimi.it/scienzebiologiche“Dispense”, Meccanicismo e Vitalismo

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Il pensiero rinascimentale

• La nascita della scienza moderna viene spesso fatta coincidere con il risultato di una lotta vittoriosa nei confronti di un pensiero antico, di stampo aristotelico, incapace di dare conto delle nuove esigenze di conoscenza che il Rinascimento aveva formulato. Si tratta di una visione parziale, eccessivamente condizionata del nostro presente e che non tiene conto della complessità e della varietà delle dinamiche storiche che sono state effettivamente implicate.

• Bisogna infatti tenere presente che nel Rinascimento, e anche oltre, l’antiaristotelismo assumerà vari aspetti, uno dei quali, ma non certo l’unico, sarà quello rappresentato dalla “rivoluzione galileiana”.

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Pensiero magico

• Un altro, per l’epoca certo non meno importante, sarà quello rappresentato dal pensiero alchemico-magico. Esso rimarrà attivo nei secoli successivi, perdendo progressivamente terreno rispetto al primo, per dare i suoi ultimi frutti, almeno come discorso scientifico coerente in campo biologico, nella prima metà del XIX secolo, con la cosiddetta “Naturphilosophie”. Ma riaffiorando saltuariamente anche nei decenni successivi fino ai giorni nostri dove rimane, per lo più, confinato in un pensiero popolare, spesso di carattere commerciale, talvolta presentato anche come alternativo.

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Pensiero magico

• Bisogna, per prima cosa, chiarire che il pensiero magico, anche se sotto certi aspetti da sempre presente nella storia, riceve nel Rinascimento una caratterizzazione diversa ed innovativa. Nell’Antichità, pur essendo di uso comune, era considerato un metodo per mettersi in contatto con potenze ultraterrene, dei o demoni che fossero. Anche quando faceva uso di elementi naturali, pietre o piante o animali, ed era indirizzato a fini pratici, come ad esempio quelli di carattere terapeutico, rimaneva per lo più relegato ad un ambito religioso ed iniziatico. Per questo motivo esso non trova posto nei grandi sistemi filosofici antichi, come quello di Platone o di Aristotele, se non in modo marginale o addirittura come oggetto di polemica.

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Pensiero magico rinascimentale

• Nel Rinascimento, invece, diventerà un pensiero articolato e complesso, che non dipenderà più dalla fede acritica in un corpus di usanze ed abitudini tramandate nel tempo ma si appoggerà ad una solida base teorica. Per realizzare tale obiettivo sarà però necessario modificare alcune parti importanti del pensiero tradizionale (aristotelico) che erano state importate dall’antichità per diventare, senza grandi mutazioni, il supporto dottrinale del pensiero religioso.

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Differenza tra il pensiero rinascimentale e quello aristotelico

• La differenza fondamentale sta nella diversa concezione della natura. Aristotele considerava il mondo, nel suo complesso, come animato. Ma le singole componenti di cui era costituito appartenevano, sotto questo riguardo, a diverse categorie: dall’uomo, dotato di una triplice facoltà (anima vegetativa, sensitiva ed intellettiva), passando attraverso gli animali (anima sensitiva e vegetativa) e le piante (anima vegetativa) si arrivava al mondo minerale, privo di ogni facoltà animata.

• Ad esso si contrapponevano, dall’altra parte della scala che si era andata delineando, i corpi celesti, dotati di facoltà superiori a quelle umane.

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Forma e materia

• Secondo Aristotele la genesi del mondo è regolata dall’interazione di due elementi metafisici tra loro concomitanti: forma e materia. Il primo, privo come è di ogni supporto materiale, non può sussistere senza il secondo che, a sua volta, privo di ogni determinazione, non può manifestarsi, almeno nel mondo fisico, senza il primo.

• La “materia” di Aristotele non ha niente di comune con quella che noi consideriamo tale, che deve comunque essere visibile o riconoscibile attraverso uno strumento o un calcolo. Questa ultima sarebbe comunque una materia “formata”, anche se in minima parte, in quanto dotata di un qualche genere di determinazione.

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La materia inorganica

• Per Aristotele gli oggetti del mondo minerale ed inorganico (si tratta ovviamente di materia comunque “formata”) non sono animati. Il motivo di tale decisione sta forse nel desiderio di mantenere separate, anche quando inquadrate in un schema filosofico, categorie di oggetti che sono tali per il senso comune. Chiunque, in ogni epoca ed in ogni luogo della terra, ha sempre fatto una chiara distinzione tra viventi (animali e piante) e non viventi (minerali). Ed è ben noto quanto Aristotele abbia sempre cercato, nella sua filosofia, di rispettare tali differenze, generalizzandole ed inquadrandole in un sistema di ampio respiro ma senza mai contraddirle (come invece farà la scienza moderna).

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• Il Rinascimento non si sentirà più vincolato a queste ripartizioni. Ai diversi tipi di facoltà (vegetativa, sensitiva, intellettiva) sostituirà un continuum animato distribuito con intensità variabile nel creato, dai sassi alle stelle, senza che nessuno ne rimanga completamente privo. Questa concezione forma la base del vitalismo rinascimentale.

• Ma questa idea di una vita diffusa in tutto il creato, senza cesure nette tra minerali, piante ed animali, contrasta con il senso comune che, come si è detto, tali divisioni le vuole.

• Analogamente a quanto avverrà alla nascente scienza galileiana che pure dovrà contrastare il senso comune per quanto riguarda i principi della fisica.

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Vitalismo Antico e Rinascimentale

• Il vitalismo rinascimentale è più intimo ed interno alla natura di quello antico. Differenza che passa anche attraverso una revisione del concetto aristotelico di forma e materia. Facendo scendere in terra le idee trascendenti platoniche, Aristotele le aveva trasformate in forze attive e formative operanti all’interno del singolo oggetto e le aveva rese in tal modo passibili di indagine da parte della filosofia naturale. Ma il radicale divario che il platonismo riconosceva tra spirito e materia rimaneva presente in parte anche all’interno del pensiero aristotelico: la forma, elemento di carattere spirituale, manteneva una fondamentale estraneità con la materia, rendendo piuttosto artificioso spiegare come esse potessero interagire.

• Lo sforzo dei pensatori rinascimentali fu quello di sostituire questo differenza qualitativa con quella qualitativa costituita da un’unica sostanza che possiede diversi gradi di spiritualità (o di materialità) e rinunciando a concepire una differenza radicale tra spirito e materia.

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La caduta dei gravi

• Per fare un esempio, confrontiamo le spiegazioni della caduta dei gravi, che possiamo definire entrambe di carattere vitalistico, date da Aristotele e da un filosofo rinascimentale come Giordano Bruno (1548-1600).

• Per Aristotele il movimento naturale dei corpi dipende dalla materia di cui sono costituiti. Quelli costituiti di “terra” sono pesanti e tendono verso il centro dell’universo, mentre quelli costituiti di “fuoco” sono leggeri e percorrono un cammino opposto, allontanandosi dal centro. E’ anche vero che il movimento dei corpi pesanti verso il centro ha come risultato quello di portarli verso il loro “luogo naturale”, cioè il luogo dove è ammassato il resto dell’elemento terra di cui essi sono costituiti, ma questo è la conseguenza del fatto che il centro dell’universo coincide con quello della Terra. Se la Terra non si trovasse al centro dell’universo, gli oggetti pesanti continuerebbero a cadere verso il centro dell’universo, allontanandosi dalla Terra e quindi anche dal loro luogo naturale. L’aspetto paradossale di questa possibilità è uno dei motivi per porre la Terra effettivamente al centro dell’universo.

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• La spiegazione di Giordano Bruno sarà, invece, quella di attribuire una sensibilità che spinge i corpi di tutti i generi, organici o no, a raggrupparsi tra loro. Questa è la ragione della caduta dei gravi che si muovono per ricongiungersi con la massa della Terra.

• Questa spiegazione, che si ricollega a quella sostenuta da molti filosofi presocratici che sostenevano che il principio del movimento naturale era quello per cui “il simile si muove verso il proprio simile”, ha anche il vantaggio di rimuovere la necessità di porre la Terra al centro dell’universo e di poter pensare alla possibilità di un numero infinito di mondi. Posizione anche questa sostenuta dai presocratici ma egualmente osteggiata da Aristotele e, con lui, dal pensiero teologico contemporaneo a Bruno.

• In epoca di poco anteriore la tesi della non centralità della Terra era stata nuovamente affermata, sulla base di una maggior consapevolezza scientifica, da Copernico, le cui tesi erano state accettate da Bruno e dagli altri filosofi del Rinascimento, oltre che costituire uno dei principali cardini della “rivoluzione galileiana”.

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• La concezione di una sensibilità diffusa in tutto il mondo naturale, sia esso organico od inorganico, rendeva le spiegazioni fornite dai filosofi rinascimentali come Giordano Bruno ed ancor più Tommaso Campanella, che ne fece un elemento essenziale del proprio pensiero, diametralmente opposte a quelle fornite dalla rivoluzione scientifica che andava nascendo con Galileo. Molto più vicino, in questo, alla concezione aristotelica che a quella bruniana.

• In fin dei conti, per spiegare la caduta dei corpi Aristotele aveva enunciata una regola, quella cioè del movimento verso il basso (a causa della citata coincidenza del centro della Terra con quello dell’universo), corredandola con una legge della caduta, per cui i corpi cadono tanto più veloci quanto più sono pesanti. Galileo manterrà ovviamente la stessa regola (anche se rinuncerà alla spiegazione più generale data da Aristotele), sostituendo la legge precedente con quella che ritiene la velocità di caduta indipendente dal peso.

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La filosofia del Rinascimento e la “nuova scienza” di Galileo

• Il nascente pensiero della “rivoluzione scientifica” è dunque, per quanto riguarda l’interpretazione fisica del mondo (l’unica per cui sia possibile un confronto), contemporaneamente più vicino e più lontano da quello dei filosofi del Rinascimento di quanto non lo sia rispetto a quello aristotelico tradizionale.

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Concezioni magico-alchimistiche e “nuova scienza”

• D’altra parte non di deve pensare che le concezioni astrologiche e magico-alchemiche fossero rifiutate in blocco da coloro che giustamente consideriamo i padri della scienza moderna. Perfino Galileo, che fu sempre assai alieno da ogni tipo di scienza occulta, compilava, anche se forse solo per compiacenza e divertimento, oroscopi per il Granduca di Toscana.

• Vediamo in realtà una continua commistione tra sapere sapienzale e scienza innovativa: Copernico invoca Ermete Trismegisto, ritenuto il fondatore della religione degli Egizi; Keplero si rifà al misticismo pitagorico; Brahe ritiene l’astrologia una legittima applicazione dell’astronomia; Harvey insiste sull’analogia tra il cardiocentrismo fisiologico del microcosmo umano e l’eliocentrismo dell’universo; Newton si dedica anche a ricerche di tipo alchimistico.

• La vecchia immagine, derivata dalla cultura illuministica e positivistica, di una scienza che si fa largo tra le nebbie dell’ignoranza e della superstizione deve essere definitivamente accantonata.

• D’altra parte anche molti “maghi” avevano dato, tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo non trascurabili contributi scientifici.

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William Gilbert (1540-1603)• A questo proposito è particolarmente interessante l’opera di William

Gilbert dedicata al magnetismo terrestre (il magnetismo, tra i soggetti preferiti dei testi di magia naturale, era uno dei casi in cui più tipicamente si mostravano gli effetti di “simpatia” e di “antipatia” tra i poli dei magneti), che può essere considerata sia un’opera di magia che scientifico sperimentale.

• Anche se i fini dichiarati sono quelli di indagare le cause nascoste ed i segreti delle cose, si tratta in realtà di un lavoro sperimentale, anche se di tipo qualitativo, che non fa uso né della matematica né della meccanica galileiana. Diffidando dei “professori”, Gilbert preferisce utilizzare un libro pubblicato da un marinaio inglese relativo alla declinazione magnetica, attingendo ad un sapere pratico che lo avvicina ad una concezione di scienza applicata. Arriva a concludere che la Terra si comporta come una grande calamita e distingue tra le azioni magnetiche e quelle elettriche e, pur accettando il movimento di rotazione diurna della terra, non accetta quello intorno al sole.

• Ma il background filosofico è ancora quello magico: l’attrazione magnetica, a differenza di quella elettrica che è provocata da un movimento di materia, è dovuta ad un’azione spirituale e la calamita possiede un’anima.

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• Il pensiero magico-alchemico sembra spesso un ponte gettato tra il pensiero filosofico tradizionale e quello moderno. Gli aspetti innovativi sono quelli di una conoscenza che non si limita ad essere teorica ed astratta ma che vuole operare sulla natura per modificarla ad uso pratico, accelerandone o rallentandone i processi. I testi di magia contengono molti argomenti, ad esempio di ottica o di magnetismo, che erano oggetto di indagine anche da parte degli esponenti del nuovo sapere scientifico. Questo è il motivo dell’indubbia attrazione che essi hanno esercitato su molti di loro.

• Quella che invece veniva contestata è l’oscurità in cui tali argomenti erano avvolti e l’insistenza sugli aspetti eccezionali ed iniziatici che doveva mantenere la conoscenza. Su questo l’accordo è unanime, anche da parte quelli che maggiormente apprezzano le opere magico-alchemiche, e spiega l’acrimonia con cui queste vengono per lo più giudicate. I cultori della scienza nuova dovranno, di fatto, combattere su due fronti: quello dei filosofi tradizionali che si rifanno ad Aristotele ed a Galeno, per la metodologia che risulta ormai assolutamente inadeguata; quello dei “maghi” (che pure sono fortemente polemici con la filosofia tradizionale) per la concezione esoterica della conoscenza.

• Questo sarà anche il motivo per cui la simpatia con cui i “maghi” guardavano le opere di Copernico e di Galileo non era di solito ricambiata. Galileo, ad esempio, non apprezzerà l’appassionata difesa di Tommaso Campanella.

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ASPETTI SOCIALI E CULTURALI

• Bisogna tenere presente che lo sviluppo della “nuova scienza” non può essere compreso se si considera limitata ad un cambiamento di paradigma scientifico in quanto molte delle soluzioni proposte non erano, all’epoca, più convincenti di quelle tradizionali su di un piano puramente razionale.

• Per una migliore comprensione dell’affermarsi della nuova mentalità bisogna considerare, di fianco ai motivi puramente scientifici, anche quelli relativi alla diversa immagine che veniva proposta dell’intellettuale e dei suoi rapporti con gli altri uomini. Immagine consona al nuovo clima politico e culturale europeo, in cui il sapere cominciava a non essere più sentito come appannaggio di pochi individui in un rapporto di esclusività con singoli insegnanti, ma veniva in certo modo istituzionalizzato, con la fondazione di istituzioni ed accademie scientifiche il cui accesso era libero, almeno in via di principio, a tutti.

• Il terrore del volgo che avrebbe potuto inquinare e rendere inutile, se non addirittura pericolosa, la conoscenza di cui non era degno, che era alla base della voluta oscurità dei testi magici-alchemici, non aveva più ragione di essere. La scienza tendeva a configurarsi come una pratica sociale cui tutti potevano contribuire, sia come fruitori che come attori.

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Il pensiero vitalistico del Seicento

• Uno dei più significativi interpreti del vitalismo seicentesco è William Harvey (1578-1657) e cioè proprio la persona a cui è generalmente attribuita la nascita della fisiologia moderna, non solo per la scoperta, che gli si deve, della circolazione del sangue ma anche, e forse ancor più, per il metodo sperimentale di chiara impronta galileiana che utilizzò nel corso delle sue ricerche.

• Nonostante questa impostazione innovativa Harvey non cessò mai, nel corso di tutta la sua vita, di mantenere una ferma convinzione nella validità del pensiero aristotelico, anche se non esente da una certa indipendenza critica.

• Il vitalismo di Harvey, infatti, pur facendo di lui un fermo seguace di Aristotele, mostra anche delle importanti differenze rispetto alla impostazione originale. Una delle più importanti è quella costituita dalla diversa funzione attribuita al sangue che, per Harvey, viene considerato come “lo strumento diretto dell’anima, giacché è presente e si muove dappertutto”, elemento intermedio tra l’anima ed il corpo.

• In base a tale concezione il sangue possiede sensibilità, desidera essere spinto da una parte o dall’altra del corpo, percepisce cosa lo può aiutare o danneggiare irritandolo.

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Il vitalismo di Harvey e quello di Aristotele

• All’interno dello schema aristotelico non era pensabile che il principio vitale e formativo potesse essere incorporato in una sostanza materiale come il sangue, a causa del divario incolmabile presente tra spirito e materia.

• Quest’ultima, assolutamente inerte, poteva solo essere informata da un ente a lei esterno, un’idea formativa proveniente dall’anima che, pur risedendo nel corpo, ne rimaneva completamente separata in quanto costituita di una sostanza completamente diversa. Ovviamente rimaneva il problema di spiegare la possibile interazione tra sostanze così diverse, problema che costituisce di fatto una delle principali obiezioni che si possono fare all’intera filosofia di Aristotele.

• Di fronte al dualismo aristotelico (spirito e materia) Harvey propone una soluzione monistica. In quest’ordine di idee, nulla si oppone ad ammettere la presenza di un principio vitale incorporato nel sangue, che si trova ad essere stesso tempo materia e forza formativa. La soluzione proposta da Harvey elimina perfino la necessità di presupporre la presenza dei quattro elementi come componenti elementari del sangue, materiali in attesa di essere plasmati da una forma esterna.

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• L’epigenesi di Harvey è quindi più radicale di quella aristotelica, più di qualsiasi altra che si possa immaginare. Il corpo non è il risultato della sintesi dei suoi componenti, è invece presente in un’idea ad esso anteriore e incorporata nel sangue o nel liquido seminale (che comunque proviene dal sangue).

• Il rifiuto di ogni determinazione materiale nella generazione delle strutture organiche è dovuto al fatto che il movimento degli atomi o le disposizioni degli elementi è legato ad un ordine di fenomeni assolutamente eterogenei rispetto a quelli del mondo biologico: da una parte la necessità di obbedire a delle regole fisse, dall’altra la finalità in azione nel mondo animato, analoga a quella che si vede in opera nell’intelligenza umana o nella creazione divina. Le spiegazione fatte in termini puramente materiali non permettono di distinguere le organizzazioni biologiche da una “congerie che si sarebbe andata formando solo attraverso l’aggregarsi e il connettersi di atomi”.

• E’ questo il nocciolo duro contro cui andrà a scontrarsi ogni interpretazioni meccanicistica della natura vivente.

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Van Helmont• Un percorso simile a quello di Harvey, che coniugava un pensiero

filosofico tradizionale con un metodo scientifico sperimentale, fu quello seguito da van Helmont (1579-1644), oggi fondamentalmente ricordato come lo scopritore del gas, intendendo con questo termine una sostanza chimica definita ed aeriforme che escluda, ad esempio, l’aria o il vapor acqueo.

• Il gas di van Helmont ha però una accezione assai più ampia del significato odierno, in quanto rappresenta la parte fondamentale di qualsiasi oggetto della natura che deve però essere prima liberato, per mezzo del calore e del fuoco, dall’involucro materiale da cui è ricoperto.

• Il carbone, riscaldato in un vaso chiuso, perde il suo aspetto abituale, diventando volatile. Ma senza perdere nulla di essenziale, se gli si impedisce di scappare. Ciò che è essenziale è il suo gas. “Di 62 libbre di carbone rimane solo una libbra di cenere: pertanto le restanti 61 libbre sono diventate spirito. Questo spirito, finora sconosciuto, lo chiamo con il nuovo nome di gas...I corpi contengono questo spirito”.

• Il gas non è solo spirito ma anche materia. In esso la materia assume qualità spirituali e lo spirito un aspetto materiale, senza ammettere alcuna separazione tra spirito e corpo.

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Harvey e van Helmont

• Van Helmont, in accordo al pensiero rinascimentale, attribuiva alla capacità sensistiva ed immaginativa delle cose (sensus rerum) i fenomeni di simpatia ed antipatia. Come si vede nell’ago magnetico che “sentiva” la direzione del nord.

• Harvey non era estraneo a queste considerazioni e riteneva che la generazione animale provenisse da un elemento spirituale, da un’idea presente nel genitore che si trasformava nel feto del nascituro e faceva egualmente ricorso all’azione del magnetismo per spiegare i fenomeni connessi alla fecondazione. Un’altra idea sostenuta da Harvey riguardava l’identità funzionale tra le funzioni del cervello e quelle dell’utero: “Quemadmodum oculis videmus et cerebro cogitamus, ita foemina utero suo concipiat”.

• Di questa concezione abbiamo testimonianza in una sedimentazione linguistica (che, come spesso avviene, testimonia un percorso storico della conoscenza), consistente nel fatto di utilizzare il medesimo termine – concepire – per descrivere i fenomeni della mente e quelli della gestazione.

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I semi del mondo minerale• Rimane aperto il problema di sapere se anche nel regno

minerale esistano semina, come in quello organico, cosa che di fatto equivaleva ad equiparare le due categorie di oggetti.

• Paracelso (1493-1541), probabilmente il più noto mago ed alchimista rinascimentale, pensava di trovare i germi dei metalli in una pianta “minerale” contenuta nella profondità della terra, originata da un suo proprio semen e capace di produrre i diversi minerali e metalli come una vera pianta produce i suoi diversi organi.

• Verso la metà del XVII secolo questo pensiero cominciava ad essere sottoposto a pesanti critiche. Marci (1595-1667), figura eminente di medico e professore boemo del periodo di Harvey, che conobbe personalmente e di cui contribuì a diffondere le idee condividendone l’impostazione vitalistica, negò tale possibilità basandosi sul fatto che:

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• 1. Nei minerali, a differenza dei corpi organici, non si vedono i fenomeni caratteristici della vita, come la nutrizione e l’accrescimento. In essi non si riscontra alcun fenomeno di totalità, quando vengono separati e ridotti in parti non mostrano di risentirne alcun effetto. Inoltre i metalli, a differenza degli altri minerali, di cui però condividono la natura, non presentano nessuna struttura simile alle vene od alle arterie.

• 2. La crescita dei cristalli, un fenomeno apparentemente simile a quello che si vede nella crescita dell’organismo, è in realtà profondamente diverso. Essa avviene dall’esterno e non dall’interno, come nei viventi, ed appare causata dalle semplice riunione e cristallizzazione, sotto l’azione di una “forza magnetica”, di sostanze fluide già presenti nella soluzione in cui si trovano. Le strutture si ripetono sempre eguali e non si genera mai nulla di nuovo e, a differenza degli organismi viventi, non esiste un limite alla dimensione.

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Crisi del pensiero vitalistico seicentesco

• L’errore, secondo Marci, è quello del parallelismo tra microcosmo e macrocosmo, che è solo il semplice prodotto di una somiglianza ingannevole e priva di ogni reale fondamento.

• Si vede, da queste parole che, pur rimanendo all’interno di un pensiero vitalistico quale è quello di Marci, almeno per quanto riguarda le strutture viventi, si andasse ormai sgretolando uno dei capisaldi della filosofia rinascimentale che, di questo pensiero, era stato un elemento fondamentale.

• Il pensiero vitalistico, se voleva sopravvivere, doveva ristrutturarsi su altre basi, come farà nel secolo successivo.

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Vitalismo e meccanicismo

• Non bisogna però pensare che le affermazioni di Harvey e degli altri vitalisti fossero luoghi comuni intorno alla metà del Seicento. Nonostante l’autorevolezza del personaggio, le posizioni vitalistiche e spiritualistiche non erano quelle più diffuse nella sua epoca e nel suo ambiente culturale in quanto progressivamente soppiantate dal dualismo meccanicistico, sia nella versione “geometrica” di Cartesio che in quella atomistica di Gassendi. Contro tali ipotesi meccanicistiche, che invocavano la presenza di qualcosa di materiale che emanasse dal seme maschile durante la fecondazione – atomi o spiriti sottili che fossero – Harvey aveva utilizzato le proprie osservazioni sperimentali, in cui non aveva mai potuto verificare nulla di simile.

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Penetrazione del pensiero meccanicista in biologia nel secolo

XVII• La penetrazione in biologia del pensiero meccanicista

nella prima metà del Seicento arriva da due fronti. Uno è quello che vedremo tra breve della iatromeccanica, più o meno direttamente collegata alla rivoluzione galileiana e meno incline alla speculazione filosofica.

• L’altro, di origine completamente diversa, proviene dalla discussione sulla generazione, uno degli argomenti biologici in cui, come si è visto, la discussione filosofica era stata più accanita e diversificata. La soluzione che ad essa avevano dato i vitalisti e che ricalcava, con le dovute differenze, quella aristotelica, non era l’unica possibile.

• Esisteva un’altra alternativa collegata ad un’Antichità ancora più remota, e cioè alle ipotesi di Democrito riguardante la costituzione atomica della materia.

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I vantaggi del meccanicismo atomista in biologia

• L’ipotesi del meccanicismo atomista aveva un duplice vantaggio rispetto a quella vitalistica.

• Da una parte interpretava un diffuso sentimento di sazietà verso gli spiriti, le anime e le forme che non si prestavano alla verifica sperimentale che il nuovo modo di fare scienza riteneva necessario.

• Dall’altra permetteva di dare una risposta ad alcuni problemi prettamente biologici per cui la soluzione vitalistica sembrava inadeguata come, principalmente, l’ereditarietà dei caratteri. Risposta che aveva la sua radice nella tradizione di Ippocrate, precedente quella aristotelica, con la sua teoria della doppia semenza, una di origine materna, l’altra paterna, ognuna delle quali costituita di elementi provenienti da tutte le parti dell’organismo.

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Difficoltà delle spiegazioni vitalistiche

• La spiegazione vitalistica presentava un’altra grande difficoltà, quella di non riuscire ad equilibrare l’effetto dei genitori nella trasmissione dei caratteri, rimanendo sbilanciata a favore del padre (Aristotele) o della madre (vitalisti seicenteschi come Harvey). Risultava infatti difficile, in caso contrario, spiegare come le “anime” dei due genitori potessero interagire al momento della fecondazione e quale delle due dovesse prevalere, determinando il sesso del nascituro. Meglio quindi lasciare ad uno solo dei due la funzione formativa, all’altro quella di fornire la materia, come in Aristotele. Oppure limitare la funzione del primo all’attivazione di un processo che sarebbe stato compiuto dall’altro, come in Harvey.

• La concezione della doppia semenza risolve entrambe le difficoltà, ma ha un prezzo di pagare. Se il seme è già animato, si rimane ovviamente al di fuori di un pensiero meccanicistico e permangono tutti i problemi di interazione tra anime di cui si è detto. Se, invece, è inanimato, non si capisce come possa portare in sé, senza l’azione di un elemento formatore, i caratteri delle varie parti del corpo (tra cui il sesso) del genitore da cui proviene.

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Dal vitalismo al meccanicismo

• Di fatto, le varie soluzioni che verranno proposte, a partire dai primi decenni del Seicento, indicano un progressivo passaggio dalle soluzioni vitalistiche a quelle meccanicistiche. Ancora prettamente vitalistica è quella che, ancora all’inizio del secolo, fa appello al “calore” dell’utero della madre, nel caso degli animali vivipari, od a quello fornito covando l’uovo, per gli ovipari. Ma si tratta di un calore particolare, diverso da quello fisico, e dotato di capacità formative, mentre la semenza maschile e femminile risultano prive di ogni facoltà attiva e ridotte a materia inerte che dovrà essere formata dal calore materno. Cosa questa che riporta allo schema aristotelico, piuttosto che a quello harveyano.

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• Verso la metà del secolo, Digby, sempre per verificare l’effetto del calore, utilizzerà un’incubatrice artificiale per studiare lo sviluppo embrionale del pollo. Si tratta, in questo caso, di un effetto puramente fisico e il suo pensiero deve essere collocato nell’ambito di una concezione prettamente meccanicista e sulla linea di quella che andava sviluppando Cartesio.

• Concezione che ben presto diventerà predominante fino ad arrivare ai casi estremi in cui tutto è fatto di atomi, anche l’anima, almeno quella degli animali. Siamo ormai alla metà del Seicento. Ma è chiaro che, in questa prospettiva, l’anima umana corre il serio rischio di essere, anche lei, composta di atomi.

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Pierre Gassendi• La concezione atomistica del Seicento ha come

interprete fondamentale Pierre Gassendi (1592-1655) che si era posto il compito specifico di riabilitare il pensiero di Epicuro, sostituendo la sua fisica a quella di Aristotele.

• Questo programma comportava il fatto di considerare gli atomi ed il loro movimento alla base di ogni spiegazione della realtà, adottando in tal modo un programma filosofico esplicitamente meccanicistico che ben si confaceva alla nuova politica culturale che si era andato diffondendo con la scienza galileiana ed antimetafisica.

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La teoria della generazione

• Il pensiero di Gassendi, nella spiegazione dei fenomeni relativi alla generazione, si mantiene però articolato e flessibile, assai più di quello d’altri contemporanei che adattavano la spiegazione atomistica alla biologia in modo eccessivamente brutale.

• Bisognava tenere conto della difficoltà che la teoria della doppia semenza (a cui aderisce anche Gassendi, come lo faranno tutti gli atomisti) incontrava nello spiegare, in ambito meccanicista, il modo di conservare i caratteri del corpo di provenienza, a cui si doveva aggiungere quella di capire come la varie parti si potessero combinare insieme per costituire un nuovo organismo. La difficoltà rimaneva la stessa se alle particelle seminali si sostituivano gli atomi.

• Le leggi meccaniche del movimento degli atomi, che spiegavano più o meno bene quanto avveniva nel mondo inanimato, nel caso della generazione sono, per Gassendi, inadeguate.

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• Bisogna concepire una scienza diversa che sorpassa quella che noi possiamo pensare. Ma una simile affermazione porta ovviamente al di là di un programma puramente meccanicista e sembra puntare di nuovo a quella meta-fisica che sembrava essere stata definitivamente bandita.

• Di fatto per Gassendi il seme è come un orologio, cioè una piccola macchina (machinula) che ne comprende altre ancora più piccole. La “rappresentazione” del corpo, nel seme, non avviene attraverso un’impronta o una deformazione degli atomi che lo compongono, come alcuni avevano pensato ma che risulta impossibile, dato che gli atomi sono immutabili, ma attraverso un concatenamento dei loro movimenti che dal genitore passa al seme e da questo all’embrione.

• Ma lo schema che Gassendi propone non può essere considerato puramente meccanico: le machinulae, nel loro insieme, sono coordinate, dirette e portate al loro completo sviluppo da una piccola anima (animula).

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Generazione e meccanicismo

• In via di principio il meccanicismo, applicato in forma integrale, avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi della generazione. Ma, a parte pochi altri di minore importanza, solo Cartesio ebbe il coraggio di perseguire coerentemente tale programma, illustrando il modo in cui il movimento delle particelle porta alla formazione degli organi.

• Negli altri casi l’atomismo seicentesco, per quanto riguarda i problemi della generazione, cercò esiti diversi incanalandosi verso il preformismo dei germi. Soluzione questa che permetteva di salvare l’impianto meccanicistico, una volta eliminata la maggiore difficoltà che esso avrebbe dovuto affrontare.

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Meccanicismo e spiritualismo• Un analogo collegamento lo possiamo vedere tra

meccanicismo e spiritualismo. L’interpretazione meccanicista poteva fare presa solo su di un mondo fatto di una materia completamente inerte, esclusa da ogni forma d’attività psichica.

• Si ritornava così ad una concezione assolutamente dualistica, all’idea della mente e del corpo come di due entità tra loro incommensurabili.

• E’ questa la visione che troverà la sua formulazione più chiara e definitiva nella concezione cartesiana della res cogitans e della res extensa.

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Il fallimento di Cartesio (1596-1650) nella spiegazione materialistica dei

fenomeni biologici

• “Se si conoscessero bene tutte le parti di cui è composto il seme di qualche specie particolare di animale, ad esempio dell’uomo, si potrebbe dedurre da quest’unica cosa, per mezzo di ragioni matematiche e certe, la figura e la conformazione di ognuna delle sue parti [dell’animale]”.

• “Conoscendo parecchi particolari della sua conformazione [dell’animale sviluppato], si può dedurre come sia fatto il seme”.

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Teoria cartesiana della generazione

• Cartesio sostiene l’idea della doppia semenza, rimanendo però rigorosamente epigenista, escludendo cioè ogni preformazione dell’animale nel liquido seminale.

• Le particelle di cui esso è composto provengono da tutte le parti del corpo dei genitori, a loro volta prodotte dalla componente più raffinata del nutrimento. Nella fecondazione è essenziale l’incontro tra i due liquidi seminali che si mescolano e, per effetto del calore della femmina, danno luogo ad una fermentazione.

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• I due liquidi funzionano come un lievito l’uno per l’altro, si riscaldano e provocano la dilatazione delle particelle che si comprimono le une contro le altre disponendosi, a poco a poco, nel modo adatto alla formazione delle diverse membra.

• La loro agitazione provoca la riunione di alcune di esse a formare il cuore, che è quindi l’organo che si forma per primo.

• Dopo la sua formazione, il sangue rarefatto che ne esce si sposta dove può muoversi più liberamente dando origine al cervello.

• Da qui, rifluendo verso il centro, produce il midollo spinale, per poi ritornare nuovamente al cuore. Si forma in tal modo un vortice vitale che forma gli organi essenziali ed i vasi che li collegano.

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Caratteristiche delle “particelle”

• Le “particelle” vengono sovraccaricate di una serie di caratteristiche ad hoc, che le rendono ben diverse dalla semplicità originaria degli “atomi”.

• Ad esempio, tra le particelle che compongono il sangue si devono distinguere quattro tipi: quelle “sottili e leggere”; quelle “sottili e ramificate”; quelle “spesse e leggere”; quelle “spesse e ramificate.

• La descrizione dei movimenti delle particelle è variegata e fantastica.

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• Si dirà, ad esempio, che le particelle ramificate, dopo essersi riunite insieme, a causa del fluire continuo del sangue perdono molte delle loro ramificazioni (e si separano) e, con quelle rimaste, si attaccano ai vasi sanguigni contribuendo alla loro crescita.

• Si tratta, come si vede, di un meccanismo degradato che fece indignare gli editori di Cartesio degli inizi del Settecento e che dimostra chiaramente il fallimento del meccanicismo cartesiano in biologia.

• Che però ebbe l’indubbio merito di stimolare altri ricercatori che, ispirandosi alla via da lui indicata, ottenere risultati di ben altra portata.

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Iatromeccanica• Il tentativo di Cartesio, inaccettabile nella sua

formulazione originale, aveva in ogni caso avuto un’importanza indiretta per la promozione che aveva dato al modello della macchina organica.

• Le implicazioni più significative di questo concetto si riscontrano in anatomia ed in fisiologia, per la nuova impostazione che esse diedero ad una attività di ricerca iniziata fin dai primi anni del Seicento.

• I lavori più significativi saranno però limitati a campi specialistici, cercando di evitare quei problemi troppo generali ed onnicomprensivi affrontati da Cartesio, e selezionando quegli argomenti che si prestavano meglio ad una soluzione di tipo “geometrico”.

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I successori di Galileo

• Tra gli autori più significativi di questo periodo ne troviamo un gruppo delle prime generazioni successive a quella di Galileo, che spesso avevano anche conosciuto di persona ed al cui lavoro s’ispirarono direttamente. Il nome sotto cui vengono spesso riuniti, quello di iatromeccanici, indica come il loro meccanicismo sia focalizzato all’uso della meccanica, la chiave di volta del pensiero galileiano.

• L’interprete più significativo di questo indirizzo e che meglio incarna il tentativo di trasferire la meccanica matematizzata di Galileo alle discipline biologiche-mediche della scienza italiana della seconda metà del Seicento, è Alfonso Borelli (1608-1679), in particolare con il suo libro De motu animalium, pubblicato postumo poco dopo la sua morte.

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De motu animalium• L’opera di Borelli affonda le sue radici in numerosi spunti contenuti

nei Dialoghi galileiani. Ad esempio, nei Discorsi e dimostrazioni matematiche, Galileo aveva mostrato come, all’aumentare della dimensione di un animale, le ossa non debbano limitarsi ad ingrandire proporzionalmente, ma anche modificare la loro forma, aumentando la sua sezione rispetto alla lunghezza, per sostenere l’aumento del peso e degli sforzi muscolari. Risultato, questo, che, oltre ad indicare che la robustezza di un animale non cresce proporzionalmente alle sue dimensioni, pone anche un limite a queste ultime e quindi anche a quella degli ipotetici giganti.

• Di fronte, poi, all’obiezione relativa al fatto che le balene hanno una mole gigantesca, ben maggiore di quella degli elefanti, che sono gli animali terrestri di maggiori dimensioni, fa notare come, per gli animali acquatici, si debba anche tenere conto della riduzione del peso dovuta alla presenza dell’acqua.

• Questi interessi, rimasti episodici in Galileo, saranno sviluppati, da Borelli, in forma metodica.

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Il programma scientifico di Borelli• Il programma scientifico di Borelli inizia secondo

gli schemi dell’atomismo meccanicistico. • Nella fisiologia, influenzato dalla scoperta di

Harvey sulla circolazione del sangue, ne generalizza la concezione allargandola all’intero organismo, al di là del sistema propriamente vascolare: “occorre che, per l’impulso conferito al sangue dal dibattimento della arterie, scappino via dai pori e dalle estremità di esse innumerabili particelle che nel sangue erano contenute....vengono con artificio meraviglioso a conservare quel flusso e riflusso di parti, o quel movimento, nel quale consiste la conservazione e la vita dell’animale”.

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De motu animalium• Nel primo volume del De motu animalium,

dedicato ai “Movimenti esterni degli animali ed alle loro forze”, le cose cambiano. Non sono più gli atomi di Gassendi o le particelle di Cartesio gli ingredienti alla base di questa diversa impostazione, quanto le leve, le funi, le ruote e così via. Dopo una breve premessa relativa ai principi meccanici implicati, vengono esaminati i diversi tipi di muscoli, le loro inserzioni sulle ossa ed il movimento degli arti considerati come leve con diverse posizioni del centro di rotazione e della forza motrice. Questi parametri non sono però puramente teorici, in quanto provengono dal risultato di precedenti indagini anatomiche.

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• I risultati ottenuti grazie all’analisi meccanica hanno in parte un carattere generale, come quelli che descrivono i diversi tipi di rotazione dei muscoli, l’alternanza d’allungamento ed accorciamento dei muscoli agonisti ed antagonisti, la posizione ottimale delle inserzioni dei tendini.

• Si tratta di semplici ragionamenti di statica e di geometria che vengono sempre messi in relazione ai movimenti effettivamente osservati ed ai risultati della dissezione anatomica.

• Si passa poi ad un esame dettagliato dei sistemi scheleto-muscolari degli arti e del modo in cui essi cooperano con quelli vertebrali nel trasporto dei pesi.

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• Gli argomenti applicativi si alternano a quelli più teorici ma sempre finalizzati allo scopo di illustrare la biomeccanica dei sistemi in esame, come lo studio della distribuzione delle forze nei muscoli costituiti da fibre disposte obliquamente che verrà utilizzato successivamente per l’analisi di altri sistemi scheleto-muscolari.

• Si parla poi della statica animale e delle forze implicate a mantenere la stabilità dei bipedi e dei quadrupedi, per passare infine ad esaminare diversi tipi di locomozione: quella bipede, quadrupede, il salto, il volo, il nuoto.

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• L’analisi dei vari casi è sempre precisa e circostanziata, ben diversa da quella generica e massimalista di Cartesio, e l’applicazione della teoria rimane sempre rigidamente vincolata al contesto, senza lasciare spazio a nessuna forma di fantasia speculativa.

• Per fare un solo esempio, consideriamo il caso intitolato “In che modo le mosche e le zanzare aderiscono, rimanendo appese, a superfici lisce di vetro poste orizzontalmente, e camminano su di esse senza cadere”, in cui Borelli afferma giustamente come tali insetti non si tengono aggrappati infilando le unghie nei pori del vetro (come aveva ritenuto, erroneamente, Galileo) ma a causa di certe strutture spugnose poste sui tarsi che utilizzano la spinta esterna dell’aria, come nel caso delle ventose o delle coppe di vetro che rimangono appese alla mano rovesciata.

• Nel fare simili affermazioni Borelli richiama una sua precedente opera di carattere prettamente fisico e mostra un interesse per il mondo minuto degli insetti, così remoto dai grandi sistemi della filosofia cartesiana, che prefigura gli interessi biologici che si svilupperanno nel giro di pochi anni in Italia, con Vallisneri e, successivamente, in Francia, con Réamur.

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• Il secondo volume del De motu animalium, dedicato ai “Movimenti interni degli animali ed alle loro cause immediate” è sicuramente meno felice del precedente in quanto dedicato ai problemi relativi alla fisiologia muscolare, che non possono trovare adeguate soluzioni in termini puramente meccanici.

• Infatti, a diversità delle impostazioni atomiche o particellari che potevano costituire la base d’ogni problema meccanicistico, quelle puramente meccaniche, anche se più precise e circostanziate, imponevano una notevole limitazione ai problemi d’affrontare, limitati fondamentalmente al movimento muscolare.

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La contrazione muscolare• Borelli inizia confutando che la contrazione muscolare,

indicata dal rigonfiamento dei muscoli, possa essere provocata dalla presenza di una sostanza incorporea o corporea, come l’aria, immessa dai nervi.

• La critica sembra essere indirizzata, senza menzionarla, all’interpretazione cartesiana della contrazione muscolare tramite l’introduzione degli “spiriti vitali”. La confutazione si basa sul semplice fatto che l'entrata di questi ultimi, come di una qualsiasi altra sostanza aerea, avrebbe provocato l'allungamento del muscolo, mentre l'osservazione mostra che la forza della contrazione si esercita durante l’accorciamento.

• Viene anche negata la possibilità di un’immissione di sangue in quanto, durante la contrazione, il sangue defluisce dal muscolo.

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• Alla fine il meccanismo della contrazione muscolare che Borelli ipotizza come verosimile sarà di tipo chimico, legato all’azione di una sostanza corporea, non meglio identificata, proveniente dal nervo che, a sua volta, agisce su di un’altra sostanza, già presente nel muscolo o aggiunta dall’esterno.

• Le due, combinandosi, danno luogo ad un fenomeno simile ad un’ebollizione immediata o ad una fermentazione, in modo analogo a quanto avviene quando si mescolino tra loro un acido ed un sale.

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Iatromeccanica e iatrochimica

• In quest’idea di un fenomeno chimico, peraltro piuttosto vago, vediamo l’esigenza di allargare gli orizzonti della fisiologia oltre i processi puramente meccanici. Esigenza che si consoliderà nell’analisi dei fenomeni digestivi. Ma sarà soprattutto la fisiologia della respirazione quella che salderà definitivamente la biologia con la nascente chimica sperimentale.

• Parallelamente alla concezione iatromeccanica si andava così elaborando un modello di macchina chimica che prese il nome di iatrochimica.

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Marcello Malpighi• A Borelli ed a Galileo si richiama Marcello Malpighi

(1628-1694), uno dei più significativi personaggi del mondo scientifico del Seicento, medico e biologo interprete di una concezione meccanicistica della natura.

• Di particolare importanza è anche l’introduzione, che a lui si deve, di una nuova metodologia di lavoro, non più legata a metodi di tipo fisico matematico come aveva fatto Borelli, ma specificamente adattata al campo di indagine delle scienze naturali, come l’uso dell’anatomia sottile, in cui nuove tecniche di dissezione e di preparazione dei reperti si combinano con l’analisi microscopica di recente introdotta.

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Borelli e Malpighi

• La collaborazione tra Borelli e Malpighi, che si considerava suo allievo, ebbe luogo durante i tre anni in cui entrambi si trovarono ad insegnare all’Università di Pisa.

• Entrambi accomunati da un comune pensiero meccanicista, si distinguevano in quanto Malpighi, a differenza dell’altro, era in possesso di una spiccatissima capacità manuale di carattere anatomico che gli permetteva di entrare meglio nello specifico biologico, inducendolo a limitare gli aspetti teorici e speculativi a favore dei risultati concreti delle proprie osservazioni.

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Il meccanicismo di Borelli e quello di Malpighi

• I risultati che Borelli aveva riportato nel primo volume del De motu animalium delineavano un progetto meccanicistico parallelo, ma indipendente, da quello cartesiano, ma non erano sufficienti a soddisfare gli interessi di Malpighi per il loro ridotto campo di applicazione.

• Malpighi preferì quindi ricorrere nuovamente all’ipotesi atomista-cartesiana con l’intento, però, di non limitarsi a supporre, ma di mostrare realmente, le componenti meccanicistiche di cui doveva essere costituito il corpo degli organismi.

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La generazione

• Era solo in tal modo, infatti, che la nuova teoria atomica o corpuscolare poteva distinguersi da quella, puramente speculativa, presente fin dall’Antichità.

• Il meccanicismo di Malpighi non fu però tanto radicale da non fermarsi di fronte ai problemi della generazione spontanea, che non convinceva Malpighi , e di quella normale, rispetto alla quale mantenne un atteggiamento preformista.

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Il microscopio

• L’uso del microscopio era bene accolto in una prospettiva corpuscolare, in quanto tale strumento dava la speranza di poter finalmente vedere l’atomo indivisibile. Esso dava all’anatomia sottile la possibilità di scomporre nelle loro componenti le macchine più piccole dell’organismo, “come se uno smontasse e riducesse ai suoi numerosi pezzi la complessa macchina di un orologio, mossa da ruote e costituita dall’insieme di numerosissimi mozzi, ruote, perni, ganci”. L’illusione di Cartesio di poter comprendere il funzionamento dell’animal machine sembrava ormai a portata di mano.

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Il microscopio della natura

• Un altro concetto che, in analogia al microscopio-strumento, prese il nome di “microscopio della natura”, consisteva nel cercare strutture organiche che mostrassero, ingranditi, gli stessi caratteri di altre, troppo minute per essere indagare direttamente.

• Il presupposto implicito dell’analogia delle due strutture poteva però risultare fuorviante. Come lo fu per Malpighi stesso quando attribuì una funzione ghiandolare alla corteccia cerebrale o ritenne medesima la funzione delle trachee delle piante e degli insetti (cosa questa ricordata dalla loro attuale omonimia).

• In altri casi, invece, il metodo diede risultati brillanti, come nel caso in cui, accoppiando insieme il microscopio-strumento con il microscopio-natura, Malpighi utilizzò una rana, dove il collegamento tra rete capillare arteriosa e venosa è più facilmente visibile al microscopio, per mostrare la continuità della circolazione sanguigna, già presupposta da Harvey, ma mai realmente osservata.

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Il pensiero biologico nell’età dei Lumi

Il pensiero meccanicista portava, come logica conseguenza, quella di una visione uniforme della natura che avrebbe dovuto mostrare ovunque, come il mondo fisico, gli stessi meccanismi e le stesse leggi, incoraggiando la ricerca di analogie tra le strutture degli organismi più diversi. Ma a partire dagli ultimi anni del Seicento una serie di osservazioni, che si andarono progressivamente accumulando, aveva incominciato ad incrinare questo quadro unitario.

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• La prospettiva preformista, la più accreditata fin quasi a tutta la metà del XVIII secolo, cominciava a perdere i colpi di fronte all’incalzare di nuove osservazioni. I fenomeni di rigenerazione già noti da sempre per le piante, ma ora scoperti anche negli animali da Trembley (1744), potevano essere spiegati solo in un modo farraginoso, ammettendo la presenza di germi latenti disseminati in ogni parte dell’organismo.

• Infine gli esperimenti di Needham (1713-1781) sulla generazione degli infusori riabilitavano la possibilità della generazione spontanea, almeno per questo tipo di esseri. Questi risultati, anche se efficacemente combattuti dagli esperimenti di Spallanzani ( 1729-1799), sono comunque l’indice di un nuovo clima scientifico che andava maturando nell’ambiente biologico della metà del Settecento. Needham, attribuendo la generazione degli infusori alla presenza di una forza espansiva presente nella materia piuttosto che a quella di uova o germi preesistenti, si inseriva precocemente in questo nuova corrente di pensiero, che diventerà dominante nella seconda parte del secolo.

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Il vitalismo settecentesco

• Il vitalismo materialistico settecentesco appare come una terza soluzione che, se da una parte rifiuta le ingenuità ormai diventate inaccettabili del pensiero meccanicista seicentesco, dall’altra si contrappone al preformismo, cui esso è storicamente contiguo.

• Quest’ultimo aveva tolto alla natura ogni capacità creativa, rimettendo nelle mani di Dio tutti i fenomeni della creazione, da quella iniziale a quella relativa ad ogni nuova generazione. E’ solo a questo prezzo che si poteva salvare il meccanicismo nella gestione ordinaria dei fenomeni biologici.

• Il vitalismo, invece, riporterà la natura in posizione centrale, fornendola delle forze e delle capacità adatte a generare ed a gestire i propri organismi. La posizione di Dio rimarrà marginale, delegata alla creazione iniziale ed ai problemi specifici dell’anima umana, almeno nelle posizioni più moderate. In quelle più radicali sarà del tutto superflua.

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La Mettrie• L’Homme machine – che fu considerato un vero manifesto del

materialismo meccanicistico settecentesco – è legato al nome di La Mettrie (1709-1751), che seppe collegare gli aspetti ideologici e militanti del proprio pensiero ai più recenti sviluppi della ricerca biologica, che aveva seguito con attenzione. Tra questi, in particolare, i fenomeni dell’irritabilità muscolare, di cui si dirà tra breve, e quelli descritti da Trembley nel 1744 relativi alla rigenerazione dei polipi quando divisi in un numero qualsiasi di parti. Cosa questa non compatibile con l’ipotesi dualistica di un’anima coesistente con il corpo, a meno di supporre un’improbabile divisibilità anche di questa.

• Meglio quindi una soluzione monistica che attribuisse alla materia un certo livello di sensibilità ed un’intrinseca capacità di regolazione. La presenza dell’anima, sia come centro motorio che sensitivo, non era quindi più necessaria. Conclusione che poteva essere estesa all’uomo, una volta riconosciuta l’analogia delle sue funzioni fisiologiche e sensitive, comprese le più elevate, con quelle degli animali. A questo punto, esclusa l’anima, l’unico elemento che li poteva veramente differenziare, nulla impediva di considerare il comportamento umano del tutto automatico ed analogo a quello degli altri animali.

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• La Mettrie, che a Leida era stato allievo di Boerhaave, uno dei maggiori rappresentanti dell’indirizzo iatromeccanico, si considerava un meccanicista radicale. Affermazione però non completamente accettabile. Il pensiero di La Mettrie, che si sviluppa sovente in modo contraddittorio e confuso, spesso fortemente polemico nel confronto dei suoi contemporanei, mantiene due costanti guideline: il materialismo e l’ateismo.

• E se è vero che le leggi “fisiche” possono spiegare i fenomeni biologici, è anche vero che “noi non conosciamo la natura” e non possiamo escludere che, accanto alle leggi già note riguardanti il movimento dei corpi inanimati, negli organismi viventi ne siano in opera altre valide solo per essi. In altre parole la natura opera esclusivamente attraverso le sue leggi, senza dover fare ricorso alla presenza di una intelligenza ordinatrice, ma tali leggi non sono esclusivamente meccaniche.

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• Non basta, come ha fatto Cartesio, di cui pure La Mettrie era un grande ammiratore, limitarsi ad attribuire una qualità puramente geometrica alla materia che, per potere essere attiva, deve possedere anche una intrinseca capacità sensitiva e motrice. Affermazioni, queste, che sembrano evocare il pensiero di Leibniz, che però veniva interpretato in chiave materialistica. La spiegazione “meccanica” dell’uomo e degli animali dovrà quindi ricorrere ad altre proprietà presenti nella materia vivente tra cui fondamentale, per La Mettrie, sarà quella dell’irritabilità muscolare recentemente messa in evidenza da Haller.

• Questi principi intrinseci, come quello relativo ad una propria capacità autonoma di movimento, non si rivelano solo quando la materia è organizzata in organi, come un cuore o un muscolo, ma anche quando tale organizzazione viene distrutta, come nel caso dei polipi di Trembley.

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• La peculiarità del pensiero di La Mettrie non sta tanto nelle sue spiegazioni relative alla natura, che non risultano alla fine particolarmente disallineate da quelle del materialismo vitalistico della seconda metà del Settecento, quanto nella sua insistenza sulla componente ateistica che da un lato amplifica la rilevanza delle sue opinioni al di là della ristretta cerchia degli scienziati, producendo polemiche e condanne, dall’altro gli aliena le simpatie di molti dei suoi modelli culturali, tra cui principalmente quelle di Haller.

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Importanza del pensiero di La Mettrie

• Il suo pensiero, anche se ricco di suggestioni, rimane essenzialmente legato all’atomismo di Epicuro e di Lucrezio, come quando, parlando delle leggi del caso, afferma che “la natura, avendo fatto, senza vedere, degli occhi che vedono, ha fatto, senza pensare, una macchina che pensa”.

• Esso è comunque importante, per la risonanza che ha avuto sui contemporanei e per il fatto di avere precocemente rilevato alcune linee di tendenza della nuova filosofia, in particolare quelle del rifiuto delle cause finali e di un Dio Creatore.

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George Ernst Stahl• Una risoluta posizione antimeccanicistica si era invece

avuta, fin dall’inizio dal secolo, con il fisiologo tedesco Stahl (1660-1734) che, pur ritenendo che la fisiologia degli organi avesse un carattere meccanico, riteneva il meccanicismo insufficiente a spiegare le caratteristiche della vita e delle forze ad essa collegate.

• Deve esistere una causa immateriale all’origine del movimento animale che, nel caso dell’uomo, è la stessa anima razionale. L’animismo di Stahl, che era basato su di una radicale separazione tra materia e spirito, riteneva che l’anima potesse agire direttamente sul corpo.

• Questa concezione, che ricordava quella del vitalismo aristotelico e seicentesco, incontrava l’opposizione anche di coloro che, come Leibniz, avevano rifiutato la concezione cartesiana di una materia passiva dotata esclusivamente di proprietà geometriche (l’estensione).

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Implicazioni delle idee di Stahl• Le idee di Stahl devono molto al passato, ma avranno in

ogni modo un impatto importante, soprattutto tramite la scuola di Montpellier, sul materialismo vitalistico che si svilupperà in Francia nella seconda metà del Settecento.

• Le loro implicazioni andranno ben oltre il campo in cui erano state elaborate. Infatti, introdurre nell’organismo un elemento non meccanico significa anche rinunciare ad ogni spiegazione intelligibile e quindi ad ogni sorta di scienza.

• Inoltre, sostenere che sia l’anima a produrre il movimento significa affermare che essa è anche materiale, perché il movimento può essere considerato solo come una serie di stati della materia. Si aprono in tal modo le porte al materialismo, qualunque sia stata l’opinione di Stahl a questo riguardo.

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Albrecht von Haller• Intorno alla metà del Settecento Haller (1708-

1777), attraverso una lunga serie di esperienze, portava nuovi elementi sperimentali a favore di una concezione di una materia organica dotata di una intrinseca capacità di movimento indipendente dalla presenza di qualsiasi agente spirituale, individuando la presenza di una specifica forza vitale, l’irritabilità, messa in evidenza quando le fibre muscolari, stimolate da un agente esterno, si contraggono.

• Tale fenomeno, distinto da quello provocato dalla stimolazione del nervo motore corrispondente, appariva come una proprietà insita alle fibre stesse e non legata alla presenza dell’anima.

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• In conformità al suo atteggiamento, che privilegia i dati delle osservazioni senza eccessive speculazioni teoriche, Haller non si interessa di determinare l’origine dell’irritabilità, ma solo di studiarla nei suoi effetti, conformemente al modello newtoniano dell’attrazione gravitazionale.

• L’anima, esclusa dall’irritabilità, torna comunque in gioco per spiegare un’altra proprietà dei tessuti organici, quella costituita dalla loro sensibilità, e rivelata dal fatto di dare una sensazione di fastidio o dolore quando stimolati. Essa è tipica delle fibre nervose e dipende direttamente dall’anima.

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Scienza dei philosophes e scienza dei savants

• Nel corso del Settecento la biologia diventa presto un argomento privilegiato dei filosofi, privi di una preparazione scientifica e professionale precisa, che affrontano i problemi da una prospettiva diversa da quella dei medici e ricercatori professionisti che li avevano preceduti. Per questo motivo il periodo è stato chiamato anche quello della scienza dei philosophes, distinguendolo da quella precedente dei savants.

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Meccanicismo e vitalismo nel Settecento

• In realtà i due sistemi, quello meccanico e creazionista e quello dinamico e vitalista, risultano in parte cronologicamente sovrapposti interagendo spesso tra loro.

• Il primo, garantendo una spiegazione fisica ai fenomeni biologici, nega la loro specificità.

• Il secondo, che invece riconosce tale peculiarità rendendo la biologia autonoma dalla scienza contemporanea, rischia di evocare i fantasmi delle forze occulte e magiche del passato.

• Un’altra, non meno importante, differenza ideologica è quella tra la scienza “devota” dell’inizio e quella atea o deista della seconda metà del secolo.

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Cartesio, Newton, Leibniz

• A loro volta, le leggi della gravitazione universale, scoperte da Newton, non potevano essere ridotte a quelle già note della meccanica né a combinazioni casuali tra particelle.

• Lo stesso si poteva dire per le forze magnetiche e per quelle elettriche, che avevano cominciato ad essere indagate sistematicamente e che mostravano la presenza di forze attrattive e repulsive all’interno della materia stessa.

• La complessità naturale che le ricerche biologiche avevano progressivamente messo in luce non poteva più essere dominata dalle concezioni atomiche o corpuscolari di Cartesio, ancor meno dalla meccanica elementare di Borelli.

• Anche la filosofia di Leibniz dava un importante contributo a questa nuova concezione di una materia non più inerte e mossa da forze esterne ma costituite da punti di forza attivi. Alla immagine geometrica cartesiana si andava progressivamente sostituendo quella di una natura vitale attraversata da autonomi processi energetici.

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Meccanicismo, materialismo, preformazione ed epigenesi

• Il meccanicismo, impossibilitato a spiegare ragionevolmente la formazione del vivente utilizzando le leggi della fisica conosciute (meccanica), doveva necessariamente ricorrere alla teoria della preformazione.

• Il materialismo settecentesco, al contrario, ricorrendo a leggi specifiche per la natura vivente (che rimanevano, in ogni caso, tutte da determinare) rimuoveva gli ostacoli alle concezioni epigenetiche, mostrando che l’origine e l’organizzazione del vivente non hanno bisogno di un diretto intervento divino.

• Teorico importante di questo spostamento fu Maupertuis (1698-1759), matematico, fisico e biologo, che rivendicò con decisione l’originalità dei fenomeni biologici rispetto a quelli fisici.

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Maupertuis • Per Maupertuis la vita non può essere spiegata

né dalla concezione geometrica cartesiana né dall’introduzione delle forze attrattive che Newton aveva di recente indagato.

• Materializzando il pensiero di Leibniz ed introducendolo nell’atomismo, Maupertuis era arrivato ad una concezione della materia che nulla più aveva da spartire con quella degli atomi dei meccanicisti.

• Alle particelle elementari erano attribuite caratteristiche simili a quelle dei viventi, eliminando ogni separazione tra mondo inorganico ed organico, tra materia e pensiero.

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Buffon (1707-1788)• La figura ufficiale più rappresentativa della nuova

impostazione che si andava delineando in biologia fu quella di Buffon, fautore di un progetto delle scienze naturali egualmente critico sia nei riguardi dell’impresa cartesiana di utilizzare solo spiegazioni meccaniche (di cui però riconosceva la suggestione teorica), che verso quegli interpreti devoti del meccanicismo che dovevano necessariamente ricorrere all’intervento diretto di Dio nella natura.

• Era in accordo con Maupertuis sulla critica al pensiero meccanicista e nell’attribuire alle molecole organiche, che costituiscono il nucleo centrale del suo pensiero biologico, un comportamento irriducibile a quello dei componenti del mondo inorganico.

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Buffon e Maupertuis

• Buffon non seguiva Maupertuis nell’attribuire alle molecole organiche qualità psichiche, perché vedeva un ritorno alle tentazioni animistiche del vecchio vitalismo. In un primo tempo Buffon si era limitato a rilevare la differenza tra la materia inorganica e quella bruta ma, successivamente, rivendicò anche per le molecole organiche un’origine materiale, avvenuta in un periodo in cui le condizioni climatiche della Terra erano molto diverse. Il fatto che tali condizioni non fossero più riproducibili manteneva costante il numero delle molecole organiche che la vita poteva attualmente utilizzare.

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Denis Diderot (1713-1784)

• Ma sarà soprattutto Diderot che riuscirà a canalizzare le tendenze più radicali del pensiero illuminista verso una posizione in cui alle discipline biologiche viene attribuita una posizione egemone nella scienza della natura, sostituendo il ruolo che la meccanica e la fisica avevano giocato nel secolo precedente.

• L’idea della profonda unità che lega tra loro il mondo fisico con quello organici è la chiave di volta del pensiero di Diderot, che rifiutava ogni metodo settoriale, compreso quello matematico, per l’interpretazione della natura.

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• Anche la distinzione tra materia inerte e materia organica, come delineata da Buffon, pare inficiare una soluzione realmente monistica, resa particolarmente necessaria, agli occhi di Diderot, dalla generazione spontanea dei microrganismi, come era stata mostrata da Needham in collaborazione con lo stesso Buffon. Queste considerazioni troveranno piena espressione, non solo scientifica ma anche letteraria, nel Sogno di d’Alembert (1769), che rimarrà inedito fino al 1830. Le particelle elementari di cui sono fatti tutti i corpi, siano essi organici o inorganici, non posseggono unicamente le caratteristiche cartesiane di estensione e movimento, ma anche livelli diversi di vitalità.

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Il sogno di d’Alembert

• Nessuna soluzione di continuità esiste né tra materia e vita né tra materia e coscienza.

• Le proprietà psichiche, d’altra parte, non sono proprie della materia organica ma appartengono anche al mondo inorganico che appare quindi pervaso da una latente sensibilità che pervade con continuità l’intera natura.

• Sensibilità che si risveglia a mano a mano che le particelle si vitalizzano, risalendo la scala degli esseri, fino ad arrivare al mondo dello spirito.