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SOTTOMESSO MAGGIO 2013, ACCETTATO DICEMBRE 2013 Psichiatria e Psicoterapia (2013) 32, 4, 275-291 TRASFORMAZIONE DEL SENSO Alfio Maggiolini Narrazione e psicoterapia “Sento ancora io stesso un’impressione curiosa per il fatto che le storie cliniche che scrivo si leggono come novelle e che esse sono, per così dire, prive dell’impronta rigorosa della scientificità. Devo consolarmi pensando che di questo risultato si deve evidentemente rendere responsabile più la natura dell’oggetto che le mie preferenze” (Freud OSF 1, p. 313). Quest’affermazione di Freud indica bene come l’oggetto della psicoanalisi siano le storie, quelle raccontate dal paziente e quelle costruite dallo psicoterapeuta. I racconti dal paziente sono interpretati dallo psicoterapeuta e spesso teorizzati nei resoconti di casi clinici. A un livello di astrazione più elevato, le storie sono utili per illustrare specifiche configurazioni psicopatologiche. Edipo è una tragedia che da Freud è stata utilizzata per descrivere una complessa configurazione mitica, che è anche uno snodo evolutivo universale e un possibile nucleo psicopatologico. A un livello ancora più astratto è possibile considerare le stesse teorie psicopatologiche come narrazioni. In una prospettiva multiculturale la spiegazione del malessere di una persona attraverso il riferimento alla depressione o a un’altra entità clinica, può essere considerata totalmente equivalente a quella che in altre culture è offerta attraverso il racconto di una maledizione o della possessione da parte di uno spirito (Nathan e Stengers 1995, Nathan e Zajde 2012). Storie sostanzialmente prive, come diceva Freud, di una vera impronta di scientificità. La narrazione, quindi, in psicoterapia è: a) una modalità attraverso la quale un paziente descrive i suoi problemi, b) uno strumento attraverso il quale lo psicoterapeuta cerca di produrre un cambiamento, c) un modello di descrizione e comprensione di particolari dinamiche psicologiche e infine, d)un paradigma generale attraverso il quale si possono descrivere specifiche psicopatologie o teorie psicoterapeutiche. In questo lavoro ci occuperemo in particolare del modo in cui lo psicoterapeuta può produrre un cambiamento nella narrazione spontanea del paziente, trasformandone il senso. Per affrontare quest’argomento faremo riferimento in particolare ad alcuni concetti della semiotica narrativa, una particolare teoria delle narrazioni, che descrive il senso e le sue trasformazioni (Greimas 1970, 1983; Bertrand 2000). Buone e cattive narrazioni Modificare una storia, in psicoterapia, significa cercare di trasformare una cattiva narrazione © Giovanni Fioriti Editore s.r.l. 275

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SOTTOMESSO MAGGIO 2013, ACCETTATO DICEMBRE 2013

Psichiatria e Psicoterapia (2013) 32, 4, 275-291

TRASFORMAZIONE DEL SENSO

Alfi o Maggiolini

Narrazione e psicoterapia

“Sento ancora io stesso un’impressione curiosa per il fatto che le storie cliniche che scrivo si leggono come novelle e che esse sono, per così dire, prive dell’impronta rigorosa della scientifi cità. Devo consolarmi pensando che di questo risultato si deve evidentemente rendere responsabile più la natura dell’oggetto che le mie preferenze” (Freud OSF 1, p. 313). Quest’affermazione di Freud indica bene come l’oggetto della psicoanalisi siano le storie, quelle raccontate dal paziente e quelle costruite dallo psicoterapeuta. I racconti dal paziente sono interpretati dallo psicoterapeuta e spesso teorizzati nei resoconti di casi clinici. A un livello di astrazione più elevato, le storie sono utili per illustrare specifi che confi gurazioni psicopatologiche. Edipo è una tragedia che da Freud è stata utilizzata per descrivere una complessa confi gurazione mitica, che è anche uno snodo evolutivo universale e un possibile nucleo psicopatologico. A un livello ancora più astratto è possibile considerare le stesse teorie psicopatologiche come narrazioni. In una prospettiva multiculturale la spiegazione del malessere di una persona attraverso il riferimento alla depressione o a un’altra entità clinica, può essere considerata totalmente equivalente a quella che in altre culture è offerta attraverso il racconto di una maledizione o della possessione da parte di uno spirito (Nathan e Stengers 1995, Nathan e Zajde 2012). Storie sostanzialmente prive, come diceva Freud, di una vera impronta di scientifi cità.

La narrazione, quindi, in psicoterapia è: a) una modalità attraverso la quale un paziente descrive i suoi problemi, b) uno strumento attraverso il quale lo psicoterapeuta cerca di produrre un cambiamento, c) un modello di descrizione e comprensione di particolari dinamiche psicologiche e infi ne, d)un paradigma generale attraverso il quale si possono descrivere specifi che psicopatologie o teorie psicoterapeutiche.

In questo lavoro ci occuperemo in particolare del modo in cui lo psicoterapeuta può produrre un cambiamento nella narrazione spontanea del paziente, trasformandone il senso. Per affrontare quest’argomento faremo riferimento in particolare ad alcuni concetti della semiotica narrativa, una particolare teoria delle narrazioni, che descrive il senso e le sue trasformazioni (Greimas 1970, 1983; Bertrand 2000).

Buone e cattive narrazioni

Modifi care una storia, in psicoterapia, signifi ca cercare di trasformare una cattiva narrazione

© Giovanni Fioriti Editore s.r.l. 275

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in una buona narrazione. Non è facile capire su quali criteri di validità si basi la distinzione tra narrazioni psicopatologiche e non psicopatologiche, se siano criteri interni, che descrivono la narrazione stessa, ad esempio la sua incoerenza, o esterni, quali la ripetitività di un racconto o la sua appropriatezza ad una certa situazione che il paziente sta vivendo.

La relazione tra narrazione e psicoterapia è stata studiata empiricamente in anni recenti con importanti risultati, nel quadro di un sempre più diffuso paradigma di psicologia e psicoterapia narrativa (Angus e Greenberg 2011, Bruner 2002, Gonçalves e Stiles 2011, Smorti 1994, White 1992).

Anche se queste ricerche sono condotte partendo da diverse prospettive teoriche, in generale sono orientate ad analizzare la componente discorsiva della narrazione più che il suo contenuto. Mentre la storia fa riferimento al contenuto, il discorso si riferisce piuttosto al modo in cui la storia è raccontata (Benveniste 1966).

Il discorso può essere valutato attraverso diversi indicatori quali il livello di coerenza e profondità, la capacità di articolare le narrazioni in modo dettagliato, di riconoscere le intenzioni dei protagonisti, di risolvere apparenti contraddizioni logiche o emotive (Fonagy e Target 2001; Habermas 2001; Di Maggio 2006, 2011). In questa prospettiva, l’accuratezza, la veridicità, la coerenza e la profondità delle narrazioni sono indici intrinseci di assenza di psicopatologia. In una prospettiva parallela e complementare, indicatori estrinseci di cambiamento discorsivo possono essere dati dal livello di ripetitività o di innovatività nelle narrazioni del paziente (Gonçalves et al. 2011).

Diversi modelli di ricerca hanno focalizzato la loro attenzione sul cambiamento del discorso in psicoterapia. Uno di questi è il Modello del Ciclo Terapeutico (TCM) di Bucci e Merghenthaler (Mergenthaler 1996, Mergenthaler e Casonato 2009), che identifica, attraverso un sistema di analisi computerizzato, i momenti di svolta di una seduta o dell’intero trattamento. L’ipotesi è che i momenti chiave di una psicoterapia siano caratterizzati dalla presenza simultanea di emozioni e astrazioni, come avviene quando in una seduta il paziente racconta un vissuto emotivo e nello stesso tempo ci riflette, istituendo una connessione, contraddistinta dalla copresenza di un alto tono emotivo e di un alto livello di astrazione (Mergenthaler 2000). Nel TCM l’analisi è condotta direttamente sulle parole e non su unità narrative. Angus e Greenberg (2011) hanno proposto un modello di analisi narrativa basato sul modo di raccontare le storie. Per questi autori il cambiamento è dato dall’emergere in terapia di nuove storie o di esiti inattesi accompagnati da un senso di scoperta, che si sostituiscono a storie ripetitive, emotivamente piatte e incoerenti. Anche nel modello dei momenti innovativi di cambiamento (IMC, Gonçalves et al. 2011) la trasformazione è legata alla capacità del paziente di riconoscere la novità, per esempio quando un paziente rileva di comportarsi in un modo per lui inedito, fino ad attivare un processo di riconcettualizzazione, una rielaborazione cognitiva di questi momenti innovativi (Matos et al. 2009).

Queste concezioni di una “buona” o di una “cattiva” narrazione sono in linea con l’idea che la psicoterapia proceda soprattutto attraverso lo sviluppo di capacità di insight, di riflessione, di mentalizzazione o di meta cognizione del proprio mondo interno e delle proprie relazioni significative. In questa prospettiva, può essere considerato un obiettivo psicoterapeutico specifico l’aumento nel paziente della capacità di narrare la propria storia in modo sempre più dettagliato,

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autentico e veritiero, coerente ed emotivamente ricco. Questa prospettiva rimanda sostanzialmente a un’idea “cognitiva” sia del linguaggio sia della

coscienza. Se nella descrizione del linguaggio si privilegiano la sua funzione di rappresentazione e di comunicazione, ne deriva che i principali indici di un buon funzionamento mentale consistano in una descrizione adeguata alla realtà e in una comunicazione il più possibile chiara e efficace. Parallelamente, anche la coscienza può essere intesa soprattutto nella sua funzione di comprensione e di riflessione, di rappresentazione della realtà, esterna o interna. In questa prospettiva, sono fondamentali funzioni dell’Io come insight, capacità riflessiva e meta cognitiva, come abilità di rappresentarsi e di descrivere stati mentali e relazioni.

L’analisi degli episodi narrativi

Una diversa prospettiva, più attenta alla storia che al discorso, concepisce il cambiamento come trasformazione dei contenuti dei racconti e non solo come miglioramento della loro narrazione. In questa prospettiva si privilegia la dimensione pragmatica del linguaggio, la sua funzione di parola, come espressione dell’intenzione soggettiva. L’unità narrativa di base, per l’analisi delle storie, è l’episodio, il cui nucleo essenziale può essere descritto in diversi modi. A un livello elementare un episodio è costituito da un evento (che può essere un accadimento o un’azione) e da una reazione, uno stimolo e una risposta. In un modo più complesso può essere scomposto in uno scopo, un tentativo e un risultato. Le unità narrative possono essere quindi descritte sia in termini di eventi-reazioni (“Mio figlio ha avuto un incidente e io mi sono spaventato”, “Il capufficio mi ha aggredito e io me ne sono andato sbattendo la porta”) o di episodi intenzionali (“Mi sentivo solo, ho chiamato la mia ragazza per dirle se ci si vedeva, ma mi ha detto che non era libera”), anche come schemi ripetitivi (“Io so che sono fatto così: ci tengo tanto ad essere apprezzato, che se nessuno si accorge di me finisce che mi rattristo e mi ritiro”). Nel lavoro psicoterapeutico sono particolarmente importanti gli episodi autobiografici, ma possono anche essere oggetto di analisi episodi che hanno come protagonisti altri personaggi (“Ho sognato che mio padre era inseguito da animali feroci, che volevano divorarlo, ma lui alla fine riusciva a scappare”).

Diversi modelli teorici hanno messo al centro della loro attenzione l’analisi di episodi. Uno dei più noti è il CCRT, Core Conflictual Realationship Theme, un metodo che individua nella trascrizione delle sedute gli episodi relazionali, identificando il Tema Relazionale Conflittuale Centrale, un concetto che secondo Luborski equivale sostanzialmente a quello di transfert, indagato in modo empirico (Luborsky 1984, Luborsky e Crits-Christoph 1990). Gli episodi relazionali del CCRT sono descritti attraverso tre componenti: desideri, bisogni o intenzioni (W); risposte dagli altri (RO); risposte dal Sé (RS). Il cambiamento può riguardare diverse componenti di queste triadi. Per esempio l’applicazione del CCRT al caso di Amalia X (Albani et al. 2003) ha individuato la presenza nella fase iniziale della terapia (sedute 1-30) del desiderio di ricevere attenzione da parte degli altri (WO), mentre la paziente si sente trattata come una pattumiera (RO), con il risultato che invidia gli altri, in particolare le colleghe (RS). Nelle ultime sedute, invece, il cambiamento è espresso in particolare dalla comparsa del desiderio di far valere la sua volontà (WS) e da sentimenti di orgoglio (RS).

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Questo modello è di grande utilità nell’individuare i conflitti relazionali centrali del paziente e la loro dinamica. La loro elaborazione, comunque, rimanda a fattori terapeutici tipici della psicoterapia psicoanalitica, in cui la trasformazione degli schemi relazionali ricorrenti individuati resta soprattutto a carico della relazione terapeutica. La dinamica descritta nell’episodio relazionale del CCRT è un conflitto, non la sua soluzione. Il cambiamento dipende dall’intervento dello psicoterapeuta, che per modificarla in qualche modo entra, attraverso il transfert, nella struttura stessa e la “interpreta”, sia come traduttore, individuandone il significato, sia come attore, rivivendola in modo nuovo con il paziente.

La struttura narrativa

Un episodio non fa una storia. La storia, infatti, non solo ha una struttura più complessa, ma è in sé trasformativa, perché una buona storia racconta di un cambiamento, da una situazione iniziale a una finale, attraverso una serie di vicissitudini dei protagonisti. In questa prospettiva una storia patologica è una “cattiva storia” non perché è mal raccontata, ma perché non ha soluzione, mentre una buona storia la trova.

Di che cosa è fatta una storia? Lo studio semiotico delle storie ne individua gli elementi essenziali, i ruoli narrativi, quelli tematici, il programma narrativo e alla base di tutto una più astratta dinamica del senso. Il nucleo di una storia è costituito da una situazione iniziale perturbata, una crisi, che può essere una mancanza, un pericolo o un danneggiamento, un problema comunque che chiede di essere risolto. Il problema si trasforma così per il protagonista in un compito, un progetto che viene svolto attraverso un programma narrativo, una serie di azioni. Nel corso di una o più prove, per lo più dopo più di un tentativo, il soggetto realizza il suo programma, superando ostacoli e avvalendosi di aiuti, raggiungendo alla fine i suoi obiettivi e trasformando così la situazione iniziale. In qualche modo è possibile dire che una storia equivale a una psicoterapia, in quanto tentativo riuscito di risolvere un problema. Una crisi, secondo Ricoeur (1986), non è altro che una storia non raccontata, una sequenza di episodi il cui intreccio non è ancora stato svolto.

La semiotica descrive la struttura della narrazione, senza fare riferimento a nessuna specifica teoria psicologica o psicoterapeutica. Nelle diverse fasi del racconto possiamo comunque riconoscere specifici obiettivi psicoterapeutici. Ci sono psicoterapie, per esempio, che si concentrano in particolare sull’evento perturbante all’origine della storia, come accade nelle teorie del trauma o del deficit. Altre, invece, sono più attente all’analisi dei processi motivazionali alla base del desiderio soggettivo e sui conflitti interpersonali con chi vi si oppone. Altre ancora, si concentrano sull’analisi dei fattori di rischio e di protezione, e altre, infine, sull’acquisizione di abilità che servono a superare gli ostacoli alla realizzazione del Sé.

La struttura narrativa è in fondo la descrizione delle vicissitudini del desiderio. Il protagonista delle narrazioni ha un obiettivo, a partire da una motivazione e da una mancanza, cerca il modo di realizzarlo, superando gli ostacoli e con qualche tipo di aiuto, acquisendo nuove competenze, fino ad ottenere una forma di riconoscimento. La dinamica dei personaggi non si limita al rapporto tra il Soggetto e l’Altro, perché i ruoli narrativi sono più complessi. Greimas li definisce attanti (ogni attante può essere rappresentato da uno o più attori o personaggi; per esempio in una storia ci possono essere più aiutanti o oppositori del protagonista):

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- Il protagonista della storia, definito dal fatto di avere un obiettivo, un desiderio o compito (Soggetto).

□ La persona o l’obiettivo desiderato (Oggetto di desiderio). □ Il personaggio che dà un mandato al protagonista, e che in modo più astratto rappresenta la motivazione per la quale il protagonista si mette in moto (Destinatore).

□ Il personaggio o ciò che aiuta il protagonista a raggiungere il suo obiettivo (Aiutante). □ Il personaggio o le circostanze che ostacolano il raggiungimento dell’obiettivo (Oppositore). □ Chi trae beneficio dal raggiungimento degli obiettivi, che può essere anche lo stesso protagonista, e che cosa il soggetto pensa di guadagnare una volta raggiunto il suo scopo (Destinatario).

Questi ruoli narrativi possono essere interpretati in termini sia interpersonali sia intrapsichici, come oggetti interni, elementi costitutivi della struttura soggettiva. Questo doppio binario, intrapsichico e interpersonale, d’altra parte, era già presente nella teoria di Freud che vedeva nel Super-io il frutto dell’interiorizzazione di oggetti esterni e in seguito nella psicoanalisi relazionale, che descrive la dinamica intrapsichica come un’interazione fra oggetti interni, frutto di processi di interiorizzazioni di relazioni.

Da questa struttura di ruoli narrativi è possibile estrarre una serie di quesiti che sono altrettanti punti sui quali si può focalizzare l’intervento psicoterapeutico:

- Che cosa vuole veramente il paziente? - Perché per lui questo è così importante? È davvero un suo desiderio? Che cosa lo spinge a

desiderarlo?- Che cosa gli impedisce di ottenere quello che vuole?- Che cosa può aiutarlo a ottenere quello che vuole?- In che modo pensa che lui o altre persone per lui importanti saranno cambiate, quando avrà

realizzato il suo desiderio?

Questi interrogativi sono più articolati, per esempio, di quelli che derivano dal CCRT: “Che cosa vuole?”, “Come vive la risposta degli altri?” e “Come reagisce a questa risposta?”. Mentre nel modello del CCRT la dimensione interpersonale è centrale, con l’individuazione del prototipo relazionale, in questa prospettiva al centro c’è il compito, lo scopo, i mezzi funzionali o disfunzionali di cercare di realizzarlo, con la dinamica relazionale che lo accompagna.

Mentre nel CCRT il cambiamento può riguardare il desiderio, la risposta dell’altro o la risposta del Sé, senza che sia descritta la dinamica trasformativa, dalla semiotica narrativa si possono ricavare due tipi importanti di trasformazioni. In primo luogo troviamo una trasformazione dei valori, per cui qualcosa che aveva un valore negativo ne assume uno positivo (“Pensavo di odiare mio padre, ma quando l’ho rivisto mi è sembrato fragile e ho provato compassione per lui”), e in secondo luogo un cambiamento modale, che riguarda la relazione del soggetto con l’oggetto, in ragione del quale qualcosa di impossibile diventa possibile (“Ero convinto che non ce l’avrei mai fatta a dirle quello che provavo per lei, ma alla fine ho trovato il coraggio e le ho detto quello che provavo”) o viceversa quello che sembrava necessario diventa impossibile e così via. In pratica, questo modello indica almeno due possibili modalità di trasformazione narrativa, mentre il CCRT ne segnala solo il risultato (un certo desiderio è sostituito da un altro).

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I ruoli affettivi

La semiotica strutturale individua un altro livello di analisi delle storie, quello dei ruoli tematici. Ruoli tematici tipici nei racconti noir sono per esempio quelli di colpevole, vittima e investigatore. In psicoterapia, un livello tematico di base è costituito dai ruoli affettivi. Diversi personaggi che animano il racconto di un paziente, infatti, sono normalmente ricondotti ai ruoli famigliari. Nella teoria dei ruoli affettivi (Maggiolini 2009) i ruoli di figlio, madre, padre, maschio, femmina e fratello sono gli organizzatori dei sistemi motivazionali relazionali: attaccamento, accudimento, sessualità e competizione-gerarchia o cooperazione (Liotti 1995, Liotti e Monticelli 2009). Il concetto di ruolo implica che alla base delle relazioni interpersonali vi sia una sorta di guida, di canovaccio, che di volta in volta è interpretato dai protagonisti dell’interazione. Come c’è uno schema universale di ruolo dietro alla specifica interazione tra cameriere e cliente o tra colpevole e investigatore, che troverà tante possibili declinazioni, così ogni interazione affettiva è guidata da un riferimento ai ruoli affettivi di base.

Un’altra caratteristica costitutiva del concetto di ruolo è che richiede come complemento necessario il riferimento a un compito. Una relazione, in questa prospettiva, non è descritta solo nelle sue qualità, positive o negative (“Io lo amo”, “Io lo odio”), nella direzione attiva o passiva in cui si svolge (“Io lo amo”, “Io sono amato da lui”), o in base a altre caratteristiche formali come simmetria (“Io lo sfido”, “Lui mi sfida”), complementarità (“Io lo proteggo”, “Lui è protetto”), reciprocità (“Io la corteggio”, “Lei mi seduce”) (Hinde 1997). Nella dinamica relazionale è fondamentale lo scopo, che non si esaurisce nella relazione stessa: l’accudimento tra madre e figlio ha come scopo la protezione e la crescita del figlio. Una relazione, quindi, deve essere valutata sulla base dello scopo che si prefigge e non solo in base alle sue caratteristiche formali. Questa prospettiva relativizza i valori relazionali: le qualità di un dottore nella relazione con un paziente sono diverse da quelle di un soldato con un nemico e solo il riferimento allo scopo consente di valutarle.

I ruoli affettivi non sono solo la guida per le relazioni naturali, ma sono la base per ogni simbolizzazione affettiva delle relazioni. Anche la relazione tra terapeuta e paziente può essere letta nel quadro dei ruoli affettivi, in base ai quali, per esempio, il terapeuta può essere vissuto come un padre o una madre o un seduttore e così via. Una lettura psicoanalitica delle storie, a differenza da un’analisi letteraria, culturale, sociologica o antropologica, tende soprattutto a ricondurre i personaggi di un racconto ai ruoli affettivi di figlio, padre, madre, fratello o competitore, maschio o femmina. Per esempio uno psicoterapeuta può riconoscere che la relazione che un paziente ha con lui può essere interpretata come una relazione di attaccamento tra un “figlio” e una “madre”, che ripete la relazione primaria infantile.

Dimensioni del significato

La semiotica narrativa individua un livello di analisi del testo ancora più profondo: il senso. Una narrazione, infatti, oltre a descrivere le vicende dei suoi protagonisti, può essere interpretata come un conflitto tra valori astratti, come la giustizia contro l’ingiustizia, la solidarietà contro l’egoismo e così via. Molte fiabe, per esempio, dimostrano l’importanza della temperanza,

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della pazienza, del lavoro, contrapposti ad avidità, impulsività e ozio. Una storia, in questa prospettiva, non è solo la descrizione della vicenda del protagonista e delle sue relazioni, ma anche una rappresentazione della lotta tra il “bene” e il “male”, due dimensioni che possono essere rappresentate, per esempio, da valori come individualismo contrapposto a collettivismo, a loro volta impersonati da diversi personaggi della storia.

Per introdurre questa prospettiva del senso nel processo psicoterapeutico è necessario distinguerla da altre dimensioni del significato. A questo scopo possiamo utilizzare una classificazione proposta da Deleuze (1969) tra diversi aspetti del significato: designazione, manifestazione, significazione e senso.

La designazione, o indicazione, indica il rapporto tra la proposizione e un dato esterno o uno stato di fatto. L’attenzione a questa dimensione dei processi di significazione comporta la discriminazione tra vero e falso. Un terapeuta, in questa prospettiva, può ascoltare il racconto di un paziente cercando di accertarne il livello di realismo. Se un paziente racconta, ad esempio, di una relazione in cui si sente abbandonato, il terapeuta si chiederà se questa narrazione possa essere vera, anche facendo riferimento anche alla relazione terapeutica come parametro di verità. Il terapeuta potrebbe dire: “Nella seduta precedente mi ha raccontato che la sua ragazza l’ha cercata al telefono e lei non ha risposto perché era irritato”, cercando di smentire il paziente. Potrebbe anche mostrare che il paziente vive come abbandoni interruzioni prevedibili e temporanee: “Anche nel rapporto con me lei tende a sentirsi abbandonato. Si ricorda di quando abbiamo commentato la sua reazione alla mia assenza per le vacanze pasquali?”.

La manifestazione esprime, invece, il rapporto tra la proposizione e il soggetto che parla: non implica un rapporto tra vero e falso, ma tra sincerità e inganno. In questo caso un terapeuta, per esempio, non è interessato alla verità o alla falsità delle comunicazioni del paziente, ma alla sua autenticità. Si chiederà, quindi, che cosa il paziente intenda veramente dire, indipendentemente da verifiche di realtà, se non stia ad esempio lamentandosi, accusando o manipolando: “Mi sembra che lei voglia farmi capire quanto sia doloroso per lei la percezione di essere abbandonato”; “Lei mi dice che odia suo marito, ma mi sembra che lo cerchi in continuazione”:

La significazione è il rapporto tra la parola, i concetti universali e generali e fra i legami sintattici e le implicazioni del concetto. In questo caso, la verità è data dalle condizioni di verità, e un terapeuta attento a questa dimensione sarà portato a valutare la logica della comunicazione, la sua coerenza o incoerenza, e il fatto che possa violare qualche regola, logica, linguistica o conversazionale. Cercherà allora di argomentare in modo logico, facendo per esempio notare al paziente che il fatto di essere stato abbandonato una volta non implica che l’esperienza debba sempre ripetersi. La generalizzazione è nota agli psicoterapeuti cognitivisti, ma è frequentemente un obiettivo anche degli interventi di psicoterapeuti psicoanalitici: “Aver vissuto l’esperienza di abbandono da parte di sua madre quando era piccolo e i suoi si sono separati, tende a farle percepire ogni allontanamento come un abbandono”. “Lei dice di aver diritto alla felicità, ma su quale legge si basa la sua convinzione a un diritto?”

In aggiunta a queste tre dimensioni del significato c’è quella del senso. Il senso è una dimensione molto particolare del significato, perché è indifferente a importanti aspetti. Per esempio sembra non tener conto della qualità, cioè dell’affermazione e della negazione: espressioni come “Io lo amo” e “Io non lo amo” possono essere considerate come equivalenti, in questa prospettiva,

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perché ciò che importa è che si parli d’amore, al di là delle possibili specificazioni. Il senso è indifferente anche alla direzione della relazione, alla posizione attiva o passiva, per cui può invertire le relazioni come in “Io lo odio” e “Lui mi odia”; è indifferente alla modalità, per cui è possibile passare da frasi come “È possibile che lui mi abbandoni” a “È inevitabile, necessario, che lui mi abbandoni”.

La ricerca del senso può essere la base per numerosi interventi terapeutici. Un terapeuta, infatti, può sottolineare la dimensione passionale di un rapporto sentimentale, prima di entrare nel dettaglio della sua dinamica: “Certo che il senso di quello che mi sta raccontando è soprattutto di una relazione molto coinvolgente, in cui mi sembra che le risulti difficile non estremizzare e drammatizzare”. Anche l’inversione attivo-passivo è spesso la base di diversi interventi terapeutici: “Lei si lamenta perché abbiamo saltato due sedute nelle vacanze di Pasqua, mentre arriva regolarmente in ritardo, lasciandomi qui ad aspettarla”. Nell’attenzione al senso, tuttavia, questo livello d’interpretazione, che è centrale in molti modelli psicoanalitici di analisi del transfert, non è così importante. Il senso, infatti, riguarda soprattutto i presupposti, cioè il modo in cui si percepisce un’interazione, prima di declinarla nella sua dinamica di attivo o passivo o di affermativo o negativo. Il punto, infatti, è in quale universo di senso si colloca un’interazione, e se una narrazione parla di amore o di odio, di competizione o di affetto, di familiarità o di estraneità, cioè di quale sistema motivazionale si stia parlando: “Mi parla d’amore, ma la relazione che descrive mi sembra piuttosto competitiva”.

L’attenzione al senso porta in secondo piano sia la dimensione comunicativa della narrazione, ossia il rapporto tra chi racconta e chi ascolta, sia quella descrittiva, ossia il rapporto tra ciò che è raccontato e la realtà. Il senso può essere individuato in ogni narrazione. L’analisi di un romanzo, I promessi sposi del Manzoni per esempio, può essere svolta senza necessariamente chiedersi a quale realtà storica si riferiscano gli episodi narrati, e senza far neppure riferimento al momento in cui il Manzoni ha scritto il romanzo e all’interlocutore al quale aveva in mente di rivolgersi. Questi livelli di analisi sono importanti, ma è possibile cercare il senso del romanzo nel testo stesso e nella sua dinamica narrativa. La psicoanalisi, d’altra parte, è nata con l’interpretazione dei sogni, un’analisi di testi narrativi, e il sogno è un tipico testo di cui l’interpretazione cerca il senso, ma in cui resta impossibile trovare altre dimensioni di significato. Anche se riteniamo che un sogno abbia senso, infatti, sarebbe inutile andare alla ricerca della sua verità, sincerità o coerenza logica.

Due tipi di interpretazione

L’interpretazione, in psicoanalisi, è soprattutto una ricerca di senso. Non a caso l’analisi narrativa che propone la psicoanalisi in qualche modo tratta le narrazioni del paziente come se fossero oniriche, interpretandole (Ferro 1999). Ogni interpretazione è un tentativo di trasformare il senso della narrazione del paziente, ma è importante distinguere diversi tipi di interpretazione. Bernfeld ha descritto vari tipi di interpretazione: finalistica (lo scopo inconscio), funzionale (l’effetto prodotto in modo apparentemente non intenzionale, il vantaggio secondario) e ricostruttiva o genetica.

Strachey (1934) ha distinto l’interpretazione descrittiva da quella mutativa, che è la sola a

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produrre un vero cambiamento nel paziente. L’interpretazione descrittiva, equivale a dare un nome, come quando si scoprono i significati in un dizionario di una lingua straniera. È un modo di far diventare conscio l’inconscio, ma non è di per sé sufficiente a produrre un cambiamento come trasformazione del senso.

L’interpretazione mutativa, invece, individua il circolo vizioso tra rappresentazione dei propri bisogni e rappresentazione della risposta dell’altro. Agisce quindi sui presupposti in base ai quali un paziente a partire dai propri impulsi, tende a interpretare l’interazione con l’altro nel quadro di un certo schema. Per esempio, il timore della dipendenza porta automaticamente un paziente a inquadrare gli atteggiamenti dell’altro, tra cui il terapeuta, in quest’ambito di significato, in qualche modo inducendoli. Egli considererà il terapeuta come qualcuno che cerca di renderlo dipendente, o a sua volta cercherà di mettere il terapeuta in una posizione di dipendenza. In base alla dinamica del senso, è evidente che non è in via preliminare importante se la dipendenza sia declinata in termini attivi o passivi, in senso positivo o negativo, se è possibile o inevitabile. Il punto è che si parli di dipendenza e non, per esempio, di attaccamento, di sottomissione, di controllo o di seduzione.

L’interpretazione mutativa è efficace perché non si limita a individuare il significato affettivo di un racconto, ma cerca di cambiarne i presupposti, mostrandone modelli alternativi. Questo tipo d’intervento ha il potere di spezzare il circolo vizioso disfunzionale che caratterizza i racconti del paziente. Mostrando a un paziente che tende a interpretare le sue relazioni in un quadro di dipendenza, questa interpretazione è efficace se propone contemporaneamente una possibile simbolizzazione affettiva alternativa. Per esempio, potrà mostrare che le comunicazioni del paziente possono avere un senso diverso, in quanto manifestazioni di una motivazione competitiva e non di attaccamento.

L’idea della rottura del circolo vizioso nel rapporto tra desiderio e rappresentazioni di Sé e dell’altro è diffusa nella psicoterapia contemporanea, sia sistemica, sia cognitiva, sia psicoanalitica, e implica il cambiamento del punto di vista sui problemi, del modo di rappresentarseli, non solo di affrontarli, che costituisce un cambiamento di secondo ordine (Watchel 1993, Guidano 2008).

All’interpretazione come fattore terapeutico spesso è stata contrapposta l’esperienza emozionale correttiva (Alexander 1946), ossia l’importanza di rivivere, nella relazione tra paziente e analista, modelli e dinamiche relazionali specifici. Nell’esperienza emozionale correttiva, il cambiamento è garantito dal fatto che il terapeuta interrompa la tendenza ripetitiva del paziente, evitando di reagire nel modo in cui il modello relazionale interno del paziente prevede. L’esperienza relazionale vissuta nel qui e ora con il terapeuta è un’importante fonte di cambiamento, soprattutto perché smentisce i modelli relazionali interni disfunzionali.

In realtà, anche la seconda fase dell’interpretazione mutativa prevede che il paziente si renda conto del carattere irrealistico delle proprie convinzioni attraverso l’analisi del transfert, e viva quindi un’esperienza correttiva. La differenza è che, secondo Alexander, questo tipo di esperienza può accadere anche nella vita quotidiana con lo stesso valore di cambiamento, non solo nella relazione analitica. Alexander cita l’esempio del cambiamento di Jean Valjean, il personaggio de I miserabili di Victor Hugo (1862), in cui l’ex carcerato che subisce un drammatico e repentino cambiamento di personalità, a seguito dell’inaspettata gentilezza del vescovo che lui aveva tentato di derubare.

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La trasformazione del senso

In molti modelli di trattamento psicoanalitico la trasformazione narrativa è soprattutto frutto della combinazione fra l’interpretazione, l’individuazione del senso del racconto del paziente, e l’esperienza fornita dalla relazione terapeutica, che produce una nuova prospettiva sulle relazioni e sull’idea di sé del paziente. Dall’epoca di Strachey e di Alexander la psicoanalisi ha modificato molti aspetti della propria teoria di base, ma alcuni fondamenti delle tecniche psicoterapeutiche non sono cambiati: l’interpretazione individua il prototipo relazionale del paziente correlato ad una certa idea di sé e la relazione terapeutica la trasforma (Levy et al. 2012). In questa prospettiva, tuttavia, la funzione trasformativa tende a essere sostanzialmente legata all’aumento della consapevolezza di modi distorti di entrare in relazione con l’altro, frutto dell’interiorizzazione di relazioni significative precoci, che costituiscono un modello inconscio che tende a ripetersi in modo disfunzionale. L’incontro con lo psicoterapeuta interrompe questa ripetizione attraverso due passaggi: a) individuando lo schema relazionale ripetitivo e b) mostrandone la disfunzionalità. Ci possiamo chiedere, tuttavia, se sia possibile una trasformazione del senso che non passi necessariamente attraverso il confronto con la realtà della relazione psicoterapeutica.

Nella nostra prospettiva la trasformazione è determinata da un cambiamento di senso e non dall’elaborazione del significato come designazione, manifestazione e significazione. La trasformazione resta all’interno dell’analisi delle rappresentazioni, senza necessariamente mettere in relazione il passato (per esempio la relazione originaria con il padre), con la realtà-verità del presente (la relazione con l’analista), per smentirne l’attualità e nemmeno cercano di sollecitare la sincerità del paziente. L’interpretazione riguarda la funzionalità o disfunzionalità di sistemi di rappresentazioni in rapporto al compito o progetto e non in rapporto alla relazione.

Per capire come si può trasformare il senso, in questa prospettiva, occorre descriverne la struttura che, secondo Greimas, può essere rappresentata da un quadrato semiotico, che riprende il quadrato aristotelico, composto da un asse di contrari e uno di contradditori.

Per esempio, ci può essere una struttura di questo tipo, che contrappone due contrari (essere e sembrare e i loro contradditori), generando così diverse possibili combinazioni, vero/falso, e segreto (ciò che è ma non appare) vs menzogna (ciò che sembra ma non è):

essere verità sembrare

non sembrare falsità non essere

La dinamica del senso è data dall’incrocio di queste opposizioni e dal possibile rovesciamento dei valori e delle posizioni. Per esempio, in una storia si possono contrapporre personaggi che alla fine dimostrano la profondità dell’essere, contrapposta alla superficialità dell’apparire.

segreto menzogna

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Trasformazione del senso

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D’altra parte ci può essere un’altra storia in cui il coraggio di mostrarsi può essere contrapposto all’essere nascosto, in un caso si può valorizzare la modestia e il pudore e in un altro la capacità di esporre quello che si è senza nascondersi. Anche il racconto di un paziente può ruotare su una simile dinamica, tra vero sé e falso sé, tra impulsi a esibirsi e vergogna che porta a nascondersi, e così via. Il gioco tra questi angoli del senso è alla base di una dinamica, che può essere anche relazionale, ma che a un livello più profondo è di logica affettiva e che può manifestarsi sia come conflitto interno, sia come conflitto relazionale.

La trasformazione del senso può essere il frutto dell’intervento dello psicoterapeuta su questa dinamica di opposti e sui valori che li qualificano. Un cambiamento di secondo ordine è dato, inoltre, dalla possibilità di trovare un livello superiore di contrapposizione, per esempio mostrando che il conflitto tra essere e apparire resta all’interno di una dinamica d’identità, più o meno narcisistica, e contrapponendo alla dialettica essere/apparire il fare o la capacità di legame.

Un caso

Per illustrare la trasformazione del senso prendiamo un caso citato da Lichtenberg, Lachmann, Fosshage (2012). L’esempio ci servirà a mostrare che, anche in una psicoanalisi contemporanea che la propria tecnica sulla teoria dei sistemi motivazionali, l’interpretazione serve a individuare il senso, ma la trasformazione è tendenzialmente frutto di un’elaborazione della relazione terapeutica.

Daniel, 41 anni, sposato da 17, con un matrimonio praticamente senza sesso ed emotivamente non coinvolgente, si separa, e dopo un anno e mezzo inizia un’analisi. È figlio di una madre ansiosa e di un padre medico con tratti di personalità schizoidi, che era solito rispondere a monosillabi al figlio, che sconsolato si ritirava nella sua stanza. Daniel è depresso, ritirato e isolato, abituato a non aspettarsi molto dagli altri.

Il paziente un giorno inizia una seduta affermando “Non vorrei essere qui”, un atteggiamento che giustifica dicendo: “Penso che lei non possa capirmi davvero, perché lei è il dottore”. Il lavoro interpretativo dell’analista sottolinea la ripetizione nella seduta della relazione con un padre che non lo ascoltava e capiva. A questa interpretazione Daniel risponde, ribadendo che: “Il punto è che lei è il dottore, e noi siamo su due diversi livelli, lei è su e io giù”. L’analista interpreta: “Quando lei mi vede come il dottore pensa di non poter essere capito, come capitava con suo padre”. Poi aggiunge: “Dobbiamo trovare un modo per cui io scenda dal piedestallo di dottore, per mettermi al suo livello, per giocare insieme sul pavimento. Non può funzionare se io sono il dottore”.

In questo scambio l’analista pensa di sottolineare il bisogno di comunicare di Daniel, al di là della sua apparente e esibita avversività, e dichiara la propria disponibilità a una relazione paritaria, che smentisca il modello relazionale interno di Daniel. In questo intervento vediamo all’opera i due principali fattori: l’insight, raggiunto attraverso un’interpretazione di tipo genetico, e l’offerta di una nuova modalità relazionale. È la realtà della nuova relazione con l’analista, che ha il compito di smentire la modalità della relazione originaria con il padre, trasformando il presupposto del paziente.

Come è possibile una trasformazione interna al senso senza il ricorso alla contrapposizione

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tra passato e presente, tra fantasia e realtà della relazione terapeutica? Il lavoro sul senso è dato dall’elaborazione delle opposizioni del quadrato semiotico come assi valoriali, più che dalla descrizione vera o falsa di una realtà relazionale. Il valore che è alla base dell’opposizione è che sia giusto essere sullo stesso piano per comunicare. L’idea che si debba essere sullo stesso piano è giustificabile in un sistema motivazionale competitivo-collaborativo. In questo caso la distanza è vista come gerarchica, e implica un giudizio negativo, in quanto la posizione dipendente è assimilata a una sottomissione. Se si cambia invece il presupposto, cioè il sistema motivazionale di riferimento, questa valutazione può essere modificata. In un sistema motivazionale di accudimento, per esempio, è giusto che caregiver e bambino non siano sullo stesso piano, e questa distanza è la base per la necessaria capacità empatica del genitore, che è in grado di comunicare con il figlio anche all’interno di una grande disparità di ruolo, di altezza, esperienza e competenza comunicativa.

Questa revisione equivale a un processo di risimbolizzazione affettiva, un cambiamento di codice affettivo di riferimento (Maggiolini 2009). L’interpretazione non confronta presente e passato, fantasia e realtà, ma è messa in relazione al compito o obiettivo del paziente: “Se per lei la parità è una premessa essenziale per poter comunicare, cosa che in realtà desidera, rischia di non trovarsi bene nelle situazioni, come questa, in cui percepisce una differenza”. La risimbolizzazione mette in questione il presupposto, cerca di renderlo flessibile, meno “superegoico”: vi sono situazioni in cui essere su livelli diversi può ridurre la possibilità di comunicare, ma in altri casi essere su livelli diversi può essere una buona premessa per la comunicazione. In alcuni casi si può capire e comunicare meglio proprio perché si vedono le cose a distanza, dall’alto, come in una mappa, mentre se ci si abbassa sul pavimento si perde la vista dell’orizzonte. La distanza dall’altro può dire la verità sul soggetto se non vi è assimilato specularmente.

L’interpretazione è più completa se coinvolge anche la relazione originaria, in una prospettiva ricostruttiva, ad esempio facendo notare che non la differenza dei ruoli, ma l’isolamento affettivo del padre schizoide, è all’origine della non comunicazione fra loro. L’importante, tuttavia, nella nostra prospettiva, è la dinamica del senso, che può essere trasformato anche senza questo rimando alle relazioni primarie, e senza incaricare la relazione con lo psicoterapeuta di effettuare la smentita.

Un caso

Federico è un ragazzo di 19 anni, dall’aspetto atletico, vestito in modo semplice, ma curato, che chiede una consultazione per problemi d’ansia. Esordisce raccontando che Sofia, la ragazza con la quale ha avuto un rapporto sentimentale per più di due anni, lo ha lasciato improvvisamente. È disperato. Dopo questa rottura è stato preso da una forte angoscia, che si manifesta anche con sintomi somatici, palpitazioni e difficoltà di respirazione. Sente di non farcela a sopportare la situazione, si sente sopraffatto e disorientato.

Lo psicoterapeuta gli chiede per prima cosa se riesce a capire che cosa lo faccia stare così male. Federico risponde che il rapporto con Sofia era davvero speciale e per questo si era impegnato in tutti i modi perché non finisse. In particolare resta tuttora convinto che questa

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relazione lo migliorasse. Racconta anche che era stato accolto come un figlio nella famiglia di lei, socialmente più elevata della sua, e che questo divario lo aveva stimolato ad essere all’altezza. Anche tra i coetanei, Sofia frequenta persone di un certo livello sociale, è molto attenta alle sue frequentazioni e in particolare agli aspetti formali del comportamento, dal modo in cui ci si rivolge al cameriere a come ci si veste nelle diverse occasioni. Quando erano insieme, non mancava, quindi, di dargli suggerimenti sul modo di comportarsi, una scuola di vita che Federico apprezzava particolarmente.

Lo psicoterapeuta gli chiede quanto pensa che conti nel suo disagio attuale la perdita della possibilità di realizzare questo desiderio di “migliorarsi”, accanto a quella del legame sentimentale e sessuale con Sofia. La relazione con la ragazza, commenta, sembra piuttosto un mezzo per realizzare questo desiderio, come se Federico avesse bisogno di lei per essere migliore, un obiettivo che riguarda la sua identità, e non cercasse di essere migliore per avere la ragazza, una motivazione relazionale.

Dopo aver evidenziato quest’aspetto del desiderio di Federico, che sostanzialmente concorda, lo psicoterapeuta gli chiede: “Lei pensa che ci possa essere qualche motivo che la porta a dare tanta importanza a quello che lei chiama miglioramento?”. Federico risponde che, in realtà, è un suo modo in generale di affrontare la vita, un aspetto della sua personalità. Aggiunge che, per esempio, aveva voluto ad ogni costo frequentare un liceo di Milano notoriamente esigente, ma alla fine è soddisfatto di avercela fatta, grazie a tutto l’impegno e sacrificio che ci ha messo, così come più recentemente è riuscito a superare il test di ammissione a medicina, di cui frequenta il primo anno. Spontaneamente, ipotizza un’origine infantile alla base di questo desiderio:

“Forse perché sono nato prematuro e non si sapeva se ce l’avrei fatta a sopravvivere”. “Questa esperienza può in parte giustificare la sua tenacia, ma non è chiaro perché questa

tendenza si debba applicare alla sua identità sociale, e non per esempio alla sua forza fisica. D’altra parte, lei conosce queste circostanze attraverso il racconto dei suoi genitori, una specie di mito della sua nascita. Ha un’idea di che cosa possa averla portata a considerare così importante il miglioramento sociale?”.

“Mah, forse questo dipende da mio padre. Mia nonna è una donna di classe e ha sempre rimproverato mio padre di essere trascurato, sia nel lavoro sia come persona, ma a lui non importa e per la verità nemmeno a mia madre”.

“Sembra che l’insistenza della nonna affinché suo padre migliorasse, sia simile a quella che lei trova in Sofia. Sembra che per certi aspetti le faccia piacere che qualcuno pretenda da lei qualcosa, come d’altra parte lei pretende da se stesso”.

“Certo, Sofia è una ragazza esigente, non solo con me, ma prima di tutto con se stessa. Mi ha confessato che le è capitato di procurarsi di proposito dei tagli, quando stava male. Sua sorella ha avuto problemi alimentari, non mangiava, era anoressica e Sofia è molto legata a lei”.

“Avere un ideale esigente, che chiede troppo, può finire per essere molto distruttivo”. “In realtà Sofia è molto sensibile e soffre. Si è preoccupata molto per i problemi della sorella.

Lei si taglia per non sentire un dolore mentale” (una spiegazione che suona da manuale). “In ogni caso, il suo modo di essere e quello di Sofia per molto tempo sono stati compatibili

e, immagino di reciproca soddisfazione. Che cosa pensa abbia portato Sofia a decidere di interrompere la vostra relazione?”.

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“I problemi sono incominciati dopo il liceo, quando siamo passati all’università. Io ho superato i test di medicina, ma sono stato accettato a Torino. Lei frequenta scienze politiche a Milano”.

Federico racconta che lo studio per i test di ammissione a medicina (un altro modo per “migliorarsi”), ha ridotto la sua disponibilità durante l’estate e anche ora torna a Milano solo nei weekend. Sofia, pur sostenendo il suo progetto, si è sentita trascurata. “Si lamenta anche perché io non ho la macchina, mentre quelli che frequenta, anche i nuovi compagni di università, ce l’hanno”.

Federico sembra rendersi conto da una parte che le pretese di Sofia siano fuori luogo, ma dall’altra non riesce a non vederle come proprie mancanze.

“Mi sembra, quindi, che fino ad un certo punto lei abbia sentito che le esigenze di Sofia, anche nei suoi confronti, erano giuste, ma che ora le sembrino eccessive. Prima la sentiva come un’alleata, per la realizzazione del suo desiderio di miglioramento, ora la vive come qualcuno che la fa sentire, all’opposto, particolarmente inadeguato”.

Federico racconta che in realtà saltuariamente continua a vedere Sofia, ma solo quando lei è disponibile e che nell’ultimo mese hanno avuto anche un rapporto sessuale, su iniziativa di lei, che non accetta tuttavia che sia lui a prendere l’iniziativa. Questa situazione lo disorienta e lo fa soffrire.

“Lei mi parla di un rapporto sentimentale con Sofia, ma mi descrive una relazione in cui non c’è reciprocità. Aver delegato a Sofia la sua ansia di miglioramento, il suo ideale, finisce per renderla padrona, come se quello che lei vuole non contasse nulla. Ci possiamo chiedere a questo punto quanto la sua angoscia sia di perdere qualcuno che le chiede qualcosa o di perdere la sua libertà. Quando è a Torino come si sente?”.

“A Torino in realtà sto meglio, frequento le lezioni, studio, ho incominciato a conoscere nuovi compagni. È quando torno a Milano che sto male, anche perché non so che cosa fare con lei”.

Alla fine della seduta Federico chiede quanto deve pagare. Sarà lui stesso a farsi carico dell’onorario, perché i genitori non sono d’accordo che chieda aiuto.

“Pensano che dovrei cavarmela da solo, come ho sempre fatto, dicono che devo avere fiducia in me e nella mia capacità di reagire”.

“L’idea che lei debba avere la volontà e la forza di riuscire non è rimasta quindi limitata al racconto della sua nascita, ma è tuttora un modo in cui i suoi genitori pensano che lei debba affrontare la vita. Forse avere qualcuno, come Sofia, che pretende da lei, da una parte è in continuità con questo stile, dall’altra potrebbe anche essere un modo per non dover gestire tutto da solo il peso di un ideale così esigente. Ne riparleremo nel prossimo incontro”.

Lo psicoterapeuta nei suoi interventi ha lavorato su diversi piani narrativi. Nella dinamica dei ruoli attanziali, ha lasciato intravedere che non sia Sofia l’oggetto del desiderio, ma che Federico abbia un obiettivo più narcisistico, legato alla costruzione dell’identità, tutta un’altra storia, si potrebbe dire. Questo bisogno di miglioramento sembra avere una motivazione lontana, sia nella nascita prematura, sia nella relazione tra il padre di Federico e la propria madre, ma sembra essere alimentato dallo stile educativo attuale dei genitori e mantenuto dal comportamento di Federico. Il dialogo porta a ipotizzare che un passaggio evolutivo, l’ingresso in università, abbia prodotto una crisi nella storia, trasformandone la dinamica, tanto che Sofia da aiutante sembra essersi

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trasformata in un oppositore. L’analisi della storia mostra anche il circolo vizioso disfunzionale, in base al quale la ricerca di essere migliore porta, all’opposto, a far sentire Federico inadeguato. Dal punto di vista dei ruoli affettivi, Sofia invece di essere un partner sentimentale sembra piuttosto avere una posizione di superiorità gerarchica nei confronti di Federico.

In che modo lo psicoterapeuta cerca di produrre una trasformazione del senso? In primo luogo l’interpretazione della crisi in senso narcisistico, essere migliore, che si trasforma in una direzione gerarchico-competitiva, essere sottomesso, più che in senso sentimentale è già un’operazione trasformativa. Correlato, c’è il tentativo dello psicoterapeuta di produrre un rovesciamento di valori, sottolineando l’aspetto autodistruttivo di un ideale esigente e viceversa l’importanza di un miglioramento che abbia uno scopo relazionale. La dinamica del senso che sarà da esplorare è tra bisogni narcisistici e di legame, tra dinamica di attaccamento e di competizione. Lo psicoterapeuta ha mostrato che uno schema alla base della relazione tra Federico e Sofia è quello tra la nonna e il padre, una relazione tra genitore e figlio, non caratterizzata dalla reciprocità e dalla ricerca di un piacere condiviso, come in un legame sentimentale.

L’analisi può analizzare la dinamica del senso interna alle opposizioni, mostrando che una relazione con Sofia sembra portarlo a sentirsi inadeguato, così come studiare medicina lontano da Sofia può migliorarlo. Ma può trasformare il senso introducendo un diverso punto di vista, indicando che una soluzione del conflitto può essere l’apertura a un punto di vista - un codice o sistema di valori (Fornari 1977, 1981) - mancante che è quello del piacere condiviso e della reciprocità, forse più ancora della mancanza di un atteggiamento materno di accettazione del figlio nel suo modo di essere e non solo per i successi delle sue prestazioni.

Riassunto

Parole chiave: semiotica, senso

L’interpretazione, in psicoanalisi, non è solo ricerca di senso, nelle storie raccontate dal paziente, ma è anche un tentativo di trasformarlo. La semiotica narrativa (Greimas 1970, 1983) analizza la struttura delle storie, indicandone i personaggi di base, la dinamica degli eventi e, a un livello più profondo, la trasformazione del senso. Tutte le storie, in effetti, raccontano un cambiamento del soggetto, normalmente dopo una serie di vicissitudini e grazie a superamento di ostacoli. Una prospettiva semiotica può essere, quindi, utile per descrivere la trasformazione narrativa. Lo psicoterapeuta può cambiare il senso di un racconto introducendo un diverso punto di vista, un nuovo sistema di valori, nella descrizione degli eventi.

MEANING TRANSFORMATION

Abstract

Key word: semiotic, meaning

In psychoanalysis interpretation is not only the search for meaning in narratives told by the patient, but it’s also an attempt to transform it. Narrative semiotic (Greimas 1970, 1983) analyzes the stories structure, the main characters and the dynamic of the events and, at a deeper level, the meaning transformation. All

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stories, in fact, describe a change of the subject, usually after a series of events and by overcoming some obstacles. A semiotic perspective, therefore, can help to describe the dynamics of a narrative. A therapist can change the meaning of a story by introducing a different point of view, a new system of values in the description of the events.

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