nuclei libertari di fabbrica - unione sindacale italiana. 1912-1970

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Page 1: Nuclei Libertari Di Fabbrica - Unione Sindacale Italiana. 1912-1970
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UNIONESINDACALE

ITALIANA1912 a1970 »

0s1NDACALIS

MNuclei Libertari di Fabbrica o- viale Monza, 255 - 20126 Milano

Editrice "L'Impulso"- Borgo Cappuccini, 102 - Livorno

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PREFAZIONE

Da alcuni anni all'interno del movimento libertario continua a svilupparsi una serrata discussione sul sindacalismo che sta ad indicare una sempre più ri­trovata identità degli anarchici nel movimento degli sfruttati: in loro, tra loro, con loro le idee libertarie so­no nate ed al di fuori della loro realtà l ’anarchismo muore o si riduce (per dirla come gli anarcosindacalisti deU’USI) ad una mera filosofia, patrimonio di qualche élite intellettuale.

Questa ricerca sull’Unione Sindacale Italiana si inserisce proprio in questo dibattito, per dare elemen­ti di conoscenza a tutti quei compagni e soprattutto a quelli che si sono avvicinati in questi ultimi tempi alle idee libertarie, i quali debbono conoscere il patri­monio storico e teorico dell'anarcosindacalismo e del sindacalismo rivoluzionario. Solitamente si ricor­dano dell’USI solo pochi aspetti che saltuariamente appaiono nella stampa anarchica o in quella specializ­zata: che è stata un grosso movimento di massa con mezzo milione di aderenti, che ha avuto una pratica libertaria, che l’anarchico Armando Borghi ne è stato segretario, che al suo interno non vi erano burocrati stipendiati e che infine si è esaurita come movimento non avendo avuto (dopo un ventennio trascorso tra confino ed esilio) la forza di rinascere nel 1945.

In questo opuscolo non si parla dei grossi momenti che ormai sono passati alla storia (e in cui l ’USI ha agi­to o ne è stata promotrice) come l ’occupazione delle fabbriche e il biennio rosso (1919-1920), la "settimana rossa" e la conquista delle 6 ore nel corranno (tutti momenti che appartengono al movimento anarchico e anarcosindacalista); non se ne parla perchè sono no­tizie che spesso appaiono sulla stampa libertaria e bene o male ognuno conosce. Si parla invece della "storia” dell'USI a partire dal suo primo consolidar­si come minoranza organizzata all'interno della Con­federazione Generale del Lavoro (CGL), delle diffe­renti vedute sull’autonomia che la futura USI avrebbe

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avuto rispetto alla Confederazione, della rottura tra i sindacalisti rivoluzionari e l'organizzazione riformista nel 1919. Si toccano quindi tutti i momenti salienti della sua vita, le sue lotte, i suoi convegni visti come punti d'arrivo di quel che s'era fatto e come punti di partenza di nuova forza, di nuove idee, di nuove pratiche sperimentate quotidianamente nelle singole realtà. Si parla delle differenti vedute all'interno della stessa USI, delle posizioni deviazioniste di alcuni suoi leader, di De Vittorio (che finirà poi a fare il segreta­rio della CGIL dal 1943 in poi), dell'unità sindacale, dell'antimilitarismo, dell’unità alla base, dei progetti non portati a compimento a causa della repressione fascista (solo nel 1922 sono circa 300 i compagni assassinati dalle squadre nerocamiciate), dell’Associa­zione Internazionale dei Lavoratori (A1T) e del dibatti­to se aderire o meno all'internazionale sindacale rossa (legata a Mosca).

Con il 1922 si conclude la prima fase dell'esistenza dell'USI, di un movimento realmente di massa, liber­tario, autogestionario; poi verrà il periodo di buio dell'esilio, della clandestinità, del confino.

Due parole ancora: il materiale della prima parte di questa ricerca è stato tratto dalla chiarissima “Bre ve storia dell'USI" di Ugo Fedeli; la difficoltà a repe­rire questo scritto (nel 1957 è stato pubblicato a pun­tate sulla rivista '"Volontà"; nel 1973 è stato ciclosti­lato a Milano da Lotta Anarchica; nel 1976 ancora ci­clostilato a Torino dal compagno Assandri) ha fatto ritenere giustificato il suo inserimento in questo opu­scolo, insieme ad altro materiale di epoca posteriore; in questo modo si ha sotto mano quasi tutta l'espe­rienza USI dal 1912 al 1970. Se la prima parte non ha comportato notevoli difficoltà di ricerca, la stes­sa cosa non si può dire per la seconda parte (1945- 1970) per il semplice motivo che tutta la storiogra­fia anarchica ed anarcosindacalista si ferma imman­cabilmente al 1922 e non esiste un solo documen­to (eccezion fatta per il libro di Borghi "Un bien­nio di attività anarchica" che descrive minuziosamente

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la realtà anarchica italiana nel 1945-1947 e per alcuni articoli del compagni Umberto Marzocchi, già appar­tenente al Comitato Direttivo della CGIL nel dopo­guerra, particolarmente significativi per comprendere i motivi della scelta unitaria degli anarchici nel 1945) che abbozzi un’analisi o semplicemente riporti un di-

'battito avvenuto dal 1945 in poi (ma anche nel perio­do della clandestinità). A nostro avviso è una lacuna se non altro per dare materiale di dibattito (e quindi di chiarezza) a tutti i compagni che sono quotidiana­mente impegnati nella prospettiva della rivoluzione so­ciale. Certamente l'esprienza USI dal dopoguerra in poi non è la stessa che si è avuta fino al '22. Nessuno può negarlo. Cosi come non si può negare il carattere del dibattito che si è avuto negli anni '50 '60 e che è lo stesso dibattito che i nostri compagni avevano af­frontato all’inizio del secolo nell’ambito della costru­zione dell'organizzazione sindacale: anarchismo, sinda­calismo o anarcosindacalismo? Deviazionismo a causa della presenza di militanti operai non anarchici? Mo­vimento prettamente anarcosindacalista o comprenden­te settori marxisti rivoluzionari? Anarcosindacalismo o sindacato degli anarchici?

Una volta di più il movimento si deve compieta- mente chiarire in merito a queste problematiche, abbandonando prevenzioni, qualche settarismo, "pu­rismi” fini a sè stessi, per andare avanti con una sempre maggiore incidenza. Occorre capire che oggi realmente si presentano delle possibilità concrete per una prati­ca anarcosindacalista nelle masse sfruttate; tutta una serie di sintomi lo dimostrano: le lotte degli ospeda­lieri, dei ferrovieri, i comitati che si organizzano al­la base, i collettivi che abbandonano la strada battuta dal sindacalismo di stato, i giovani, i disoccupati, i “non garantiti", il movimento delle donne... Tutti sintomi che vanno verso la costruzione di un vasto fronte di opposizione politica, economica e sociale alle forze dello stato e della conservazione che devono as­solutamente scrollarsi di dosso tutte le illusioni parla­mentari, centraliste, avanguardiste se si vuole realmente

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uscire vincenti da questa fase di scontro di classe. In questo il metodo e la teoria anarcosindacalista possono offrire un fondamentale contributo per l'a­vanzamento del fronte di lotta. Ai militanti anarcosin- dacalisti un motivo di più per impegnarsi maggiormen­te nella costruzione di un movimento libertario di mas­sa che abbia nelle fabbriche, nelle aziende, negli uffi­ci, nei quartieri e nelle scuole i suoi punti di aggrega­zione e di organizzazione.NUCLEI LIBERTARI DI FABBRICA E DI AZIENDA

MILANO

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Quando Ugo Fedeli aveva tracciato la “Breve Storia dell ’Unione Sindacale Italiana” l’aveva fatto partendo da alcune considerazioni e da dati di fatto presenti all’ interno del movimento sindacale post-bellico che ave­vano alcune attinenze fondamentali (e in un certo sen­so la storia si ripeteva con gli stessi nodi da sciogliere) con la realtà che aveva portato alla nascita della CGL prima (1906) e della USI dopo (1912): superare le con­dizioni che erano (e sono) state create nel mondo ope­raio ridiscutendo formule, metodi, direttive portate avanti all’interno dei sindacati e che hanno portato al disastro (U. Fedeli, Breve storia dell’USI); sempre all’e­poca, come oggi, il problema dell’unità sindacale era all’ordine del giorno nella stessa misura in cui era all’or- done del giorno nel 1906 (nascita della CGL) e nel 1912 (nascita dell’USI).

Nel 1906, a Milano, si tiene il congresso della Resi­stenza in cui viene creata la CGL: un punto di contro­versia emerso al congresso è quello di come stabilire i rapporti tra Camere del Lavoro, le Federazioni di Me­stiere e il nuovo organismo. Poiché la CGL è nella sostanza accentratrice ponendosi come organo centra­le, si viene a creare una frazione di minoranza all’in-

NASCITA DELL 'USI: 1912-1922

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temo del nuovo organismo: tale minoranza redige un numero unico in cui vengono ribadite le proprie posi­zioni rispetto alla maggioranza, i punti di vista, le “direttive” e le ragioni della posizione assunta. Questo gruppo di minoranza in un congresso a Parma (1907) prenderà il nome di “Comitato di Azione Diretta” con la intenzione di “salvare e correggere l’autonomia del Sindacato” (convegno sindacale di Parma, 3/11/1907). Dalla Camera del Lavoro di Parma parte l’iniziativa di chiarire a congresso tutte le forze dissenzienti della CGL e a tal proposito viene redatta la seguente circola­re:

"Il Congresso Provinciale delle Organizzazioni Ope­raie del parmense — presenti le rappresentanze di 458 leghe con più di 31 mila iscritti e le rappresentanze delle Camere del Lavoro di Ferrara (40 mila iscritti) e di Piacenza (12 mila iscritti) — deliberava in sua seduta del 20 corrente di sospendere ogni adesione alla Confe­derazione Generale del Lavoro in seguito all'atteggia­mento da questa assunto, incaricando in pari tempo la sottoscritta Commissione di convocare subito un Con­vegno delle Organizzazioni che non consentono coll'at­tuale indirizzo della Confederazione per deliberare d'ac­cordo il da farsi. Ben sapendo che voi dividete in pro­posito le nostre idee, vi comunichiamo che la C.E. di questa Camera del Lavoro ha deciso d'indire il Conve­gno sopraccennato per il giorno 3 novembre P.V. in­vitandovi a partecipare con almeno un vostro rappre­sentante. Non abbiamo bisogno di dirvi quale e quanta necessità vi sia d'intenderci sulla vitalissima questione che forma oggetto del Convegno. Essa interessa tutto il proletariato italiano ed è divenuta oramai di attualità urgente, dopo la riunione di Firenze — nella quale si negava ogni autonomia alle organizzazioni — e dopo il tradimento compiuto dalla Confederazione a danno dei ferrovieri.

Crediamo superfluo ogni incitamento: se non vole­te perpetuare uno stato di cose indecoroso e dannoso per tutti dovete aderire al convegno da noi indetto e fare qualunque sacrificio per parteciparvi. Attendiamo ad ogni modo una immediata risposta. Saluti fraterni. ”

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Il convegno ha luogo nella Camera del Lavoro di Parma dove sono convenuti i rappresentanti di 201.168 soci (16 Camere del Lavoro, 2 Sindacati e Federazioni — ferrovieri e lavoratori pelli —, 19 leghe e sezioni di mestiere, 16 altre organizzazioni). I “Rapporti colla Confederazione del Lavoro” è il problema centrale: partendo dal tradimento della CGL contro i ferrovieri (che avevano aderito allo sciopero generale proclamato dopo l’eccidio di Milano) che li aveva abbandonati alle rappresaglie governative si arriva al problema più pro­fondo di divergenza e opposizione tra CGL e Camere del Lavoro dissenzienti: un convegno tenuto a Firenze tra CGL e rappresentanti del Partito Socialista. In que­sta occasione saltando le Organizzazioni locali, non ri­conoscendo loro alcuna autonomia nei propri movi­menti ed avocandone l’iniziativa e la direzione, la CGL le subordinava agli interessi elettorali del Partito Socialista. Cosi si esprimeva Alceste de Ambris nella sua relazione al congresso di Parma:

“Cosa sarebbe avvenuto se la Confederazione avesse dovuto prendere l'iniziativa o dare il nulla o- sta a tali agitazioni? (nota: si riferisce alle agitazioni — 34 scioperi nel 1907 — promosse della C.d.L. di Parma, agitazioni attuate autonomamente e “tutte vittoriose meno una".) Si sarebbe sicuramente veri­ficato l'identico caso dei ferrovieri. Si deve comin­ciare con l'affermare la completa autonomia delle or­ganizzazioni sindacali da qualsiasi partito politico, e che alle organizzazioni locali sia riservata la più am­pia libertà d'azione e non si deve mai permettere che pochi uomini le facciano da padroni legiferando e disponendo a loro talento della volontà del proleta­riato. Perciò, data l'attuale situazione della Confedera­zione del Lavoro, si deve vedere se SIA PIU' UTILE L'ENTRATA IN MASSA NELLA CONFEDERAZIO­NE PER TRASFORMARLA, OPPURE SE SI DEBBA CREARE UN NUOVO ORGANISMO INDIPENDEN­TE DALLA CONFEDERAZIONE ATTUALE. "

Le relazioni fanno emergere due punti di vista:

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1) entrismo in massa nella CGIL per conquistarla2) creazione di un organismo nuovo.

Non esistendo accordo generale nè sul primo nè sul secondo punto si arriva ad un compromesso (accetta­to): la creazione, cioè, di un “Comitato di Resisten­za” per coordinare l’azione dei sindacalisti. Questo l’ordine del giorno presentato da Badiali — De Ambris ed accettato dai congressisti:

“/ rappresentanti di oltre 200.000 lavoratori orga­nizzati d ’ogni regione d'Italia, convenuti a Parma constatano che l'indirizzo assunto dalla Confedera­zione Generale del Lavoro non corrisponde in alcun modo all'interesse ed al sentimento del proletariato italiano, poiché i dirigenti di essa con aperta violazio­ne statutaria, ne hanno legate le sorti a quello di un partito politico e pretendono di farne un organismo accentratore con intenti di conservazione coartando la liberainiziativa delle organizzazioni aderenti ed im­pedendo costantemente ogni affermazione di virile volontà collettiva, nella presunzione di dover essi im­porre la loro legge alla massa in luogo di essere gli esponenti ed i coordinatori del pensiero e dell’azione di questa — e perciò — mentre negano risolutamente alla CGIL, così come è composta, il diritto di dirsi legittima interprete e rappresentante del proletaria­to che più volte ha dimostrato di seguire concetti ben diversi cui si ispira le Confederazione Riaffermano

1) Che l'organizzazione operaia deve accogliere nel suo seno quanti intendono combattere la lotta per la sparizione del salariato e del padronato, all'infuo­ri di ogni scuola o partito politico;

2) che la maggiore autonomia e la più completa libertà d'iniziativa deve essere lasciata alle organizza­zioni locali o di categoria per movimenti di resisten­za che le riguardano;

3) che i dirigenti dell'organizzazione sindacale possono considerarsi soltanto come Comitato esecu­tivo della collettività operaia e non come i legislatori ed i padroni di questa;

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4) che deve essere speciale incarico dei dirigenti coordinare le forze e gli intenti per sanzionare me­diante l'azione diretta — culminante in supremi mo­menti nello sciopero generale — la volontà proletaria sia nella difesa che nella protesta o nella conquista;

Deliberanodi costituire un Comitato Nazionale della Resistenza con incarico preciso di raggruppare tutte le organizza­zioni nazionali che — seguendo la direttiva traccia­ta nel presente ordine del giorno — intendono svol­gere d ’accordo un'azione comune di lotta incessante all’odierno ordinamento capitalistico con tutti quei mezzi — nessuno escluso — che la pratica sindacale ha indicati come efficaci per indebolire, eliminare la classe e lo stato borghese.

Il Comitato Nazionale della Resistenza — la cui composizione verrà determinata dal presente conve­gno — ha pure l ’incarico di attuare praticamente le deliberazioni prese dal convegno stesso, funzionando come organo esecutivo e consultivo per tutte le orga­nizzazioni che ad esso fanno capo. ”

Concezione e tattica sindacale risultano ormai di­verse tra CGIL e USI, anzi è diversa la stessa conce­zione del sindacato. Per i sindacalisti (USI) il sinda­cato è un nuovo principio di civiltà che si pone al di fuori e contro la civiltà borghese lottando per la sua eliminazione; il sindacalismo si arricchisce nella prati­ca che esso stesso sceglie attraverso l’autogoverno (in­sofferente d ’ogni autorità tutelatrice e superiore) che esso stesso sceglie attraverso la propria pratica politica. Per scorgere dei punti di differenza tra i compiti e le funzioni del “Comitato Nazionale di Resistenza” e i compiti e funzioni del C.C. della CGIL occorre ri­farsi allo statuto del “Comitato di Resistenza” :

1) “Il Comitato Nazionale della Resistenza si com­pone di una Giunta esecutiva di 3 membri scelti fra gli organizzatori nella Camera di Lavoro di Bolo­gna e di un Consiglio con un rappresentante per o-

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gnuna delle camere di Piacenza, Parma, Ferrara ed A n­cona, più un rappresentante del Sindacato dei ferro­vieri quando e dove questo aderisca ufficialmente.

2) è suo mandato di dar corso a quanto venne de­ciso dal convegno di Parma (3 novembre 1907) pre­parando per l'epoca che le organizzazioni aderenti interpellate per referendum riterranno più opportu­no un congresso Nazionale della Resistenza fra tutte le organizzazioni d ’Italia.

Il congresso — ove se ne presenti la necessità — potrà essere convocato d ’urgenza di iniziativa del Co­mitato.

3) per il suo funzionamento le organizzazioni ade­renti contribuiscono con una quota fissa di cente­simi uno per ogni iscritto e per semestre. La prima quota dovrà essere versata entro il corrente mese di novembre e sarà ritenuta saldo dell'anno 1907.

4) la sede del Comitato Nazionale della Resistenza è in Bologna".

Dicembre 1910: secondo congresso sindacale a Bologna. In realtà a Bologna avvengono due congressi, uno teorico e l’altro pratico. Nel primo intervengono i vari E. Leone e A. Labriola che discutono di teoria e di polemica ideologica. Subito dopo si riuniscono gli attivisti, i militanti del movimento dei lavoratori che discuteranno di problemi tattici e pratici della lotta sindacale; in questa sede trasformando il “Co­mitato Nazionale dell’Azione Diretta” in “Comitato della Resistenza” pongono le basi per la costituzione di un vero e proprio organismo sindacale a carattere nazionale che come scopo avrà quello di coordinare le forze sindacaliste rivoluzionarie aderenti alla CGIL collegandole con quelle ormai autonome. Passeranno ancora due anni di lotte intense prima che sorga un organismo sindacalista a carattere nazionale. Tra le lotte, oltre a quelle prettamente sindacali, il Comita­to della Resistenza organizza le manifestazioni contro le imprese coloniali e la guerra libica; è in occasione della guerra libica che avviene una prima frattura del

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movimento sindacalista tra i “teorici” del movimento e le masse. I teorici (Labriola, Orano,..) rinnegando le premesse antimilitariste si trovano a sostenere l’im­presa libica.

Si arriva quindi al 1912 quando a Modena si ritro­vano a congresso tutte le organizzazioni aderenti al “Comitato della Resistenza”. Anche a Modena (23, 24, 25 novembre 1912) i 154 congressisti discute­ranno il problema se entrare in massa nella confedera­zione per conquistarla dall’interno o se provocare una scissione e creare un secondo sindacato che raccol­ga tutte le organizzazioni di tendenza sindacalista ri­voluzionaria. Le ragioni di chi è contrario alla forma­zione di due sindacati consistono nel fatto che oltre a provocare dissidi interni al proletariato (lotte e con­trasti) la costituzione di un secondo sindacato sarebbe stato il presupposto di creazione di altri sindacati specifici (repubblicani, anarchici...) a danno di tutti i lavoratori, a danno della massa. Per non creare tale situazione si ribadisce che il “Comitato della Resi­stenza” debba lavorare nella Confederazione coor­dinando la minoranza rivoluzionaria, promuovendo l’entrismo della CGIL di chi ne era ormai fuori e di­mostrare, con la pratica e l’impegno dei rivoluziona­ri, la supremazia del sindacato (strumento della lotta di classe) rispetto al sindacato riformista.

Da parte di chi è favorevole alla creazione di un se­condo organismo fuori della GGIL si sostiene che è impossibile fare un lavoro efficace sul terreno rivolu­zionario, restando e entrando nella Confederazione; inoltre la Confederazione era nata da un inganno e i rivoluzionari si sono lasciati giocare: riparare all’er­rore significa scegliere la scissione. La conclusione avviene col seguente ordine del giorno :

"Il Congresso Nazionale dell’Azione Diretta, riaf- fema innanzitutto il principio dell’Unità operaia necessaria ai proletariato per completare le sue con­quiste e conseguire i suoi destini;Rileva che la Confederazione Generale del Lavoro,

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come non ha saputo fin qui realizzare l'Unità, si di­mostra evidentemente incapace di realizzarla in fu tu­ro per la sua tendenza sempre più spiccata a diventa­re un vero e proprio partito parlamentare, chiuso ed esclusivista, tanto da negare alle organizzazioni che non vogliono accettare senza discussione i dogmi politi­ci e sindacali imposti da quella minoranza che per fortuito caso e non senza traccia di frode si è impos­sessata di essa;Ritiene superfluo e improduttivamente dilatorio in base alla esperienza degli ultimi anni insistere ancora nella risoluzione adottata al convegno sinda­cale tenuto a Bologna il 12/12/1920 (nel quale venne deliberato un tentativo unitario con l'entrata nella Confederazione delle forze sindacaliste; tentativo che i riformisti impedirono, rifiutando l'ammissione alla Confederazione del Lavoro della Camera del Lavoro di Parma e di altre) risoluzione resa inutile dal conte­gno della Confederazione Generale del Lavoro che ha rifiutato, con settario abuso mal mascherato da ca­villi procedurali, l ’adesione delle più notevoli e meglio organizzate forze sindacaliste; riconosce che un vero organismo di unità operaia non può esistere in Italia se non si ispira ai principi dell'indifferenza di fronte a tutte le confessioni religiose, della neutralità di fronte a tutti i partiti politici, e dell’autonomia sin­dacale;

Delibera quindi:in omaggio a questi criteri di dar vita ad un nuovo

organismo nel quale d ’accordo con tutte le forze operaie organizzate — estranee alla Confederazione Generale del Lavoro —sia possibile attuare seriamen­te la realizzazione dell’Unità Proletaria Italiana, sulle indicate basi dell’aconfessionalismo, dell’apolitici- smo di partito e dell’autonomismo sindacale.

Il congresso fa però invito alle organizzazioni che accettano questo ordine di idee di aderire senz’al­tro al nuovo Istituto Unitario lasciandole libere di tenere verso gli organismi nazionali esistenti quell'at­teggiamento che crederanno più conveniente ai fini

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della conservazione dell'unità locale. ”

Si mettono ai voti due mozioni: quella di Bitelli (favorevole all’entrismo) e quella di De Ambris (fa­vorevole alla scissione e per la creazione di un se­condo sindacato).

Il risultato:De Ambris voti 42.114

Bitelli voti 28.856 astenuti voti 6.253

NASCE COSI’ L’UNIONE SINDACALE ITALIA­NA AVENDO COME SEDE PARMA E COME OR­GANO UFFICIALE IL PERIODICO “L ’INTERNA­ZIONALE” (già pubblicazione del “Comitato della Resistenza”) .

Il comitato centrale dell’U.S.I. viene formato da sindacalisti di ogni Camera del Lavoro aderente su tutto il territorio nazionale. Viene accettato dal con­vegno un altro ordine del giorno (di Corridoni) con­tro i pericoli di una guerra:

"Il convegno delle organizzazioni operaie rivolu­zionarie italiane, in vista della oscura situazione in­ternazionale che presenta la minacciosa possibilità d ’una conflagrazione Europea;

Richiama il proletariato al dovere di opporsi ad ogni costo e con tutti i mezzi al fratricida macello cui lo si vorrebbe mandare in omaggio ad interessi che riguardano soltanto la classe nemica;

invita i sindacati aderenti a promuovere manife­stazioni pubbliche e a prestare il loro soccorso a tutti quei movimenti nazionali e internazionali che fossero per sorgere accentuandone il carattere in senso risolutamente rivoluzionario.

Dà mandato al Comitato Centrale di prendere le iniziative e i provvedimenti che le circostanze consiglieranno qualora la minaccia di una confla­grazione Europea dovesse diventare più concre­ta e imminente”.

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La relazione De Ambris enuncia alcuni punti pro­grammatici del nuovo organismo. Tra l’altro si affer­ma:

Non è soltanto una questione di metodo che ci divide dai riformisti. Il diverso metodo è determina­to dal fatto che essi mirano ad uno scopo diverso. Noi vogliamo lo sviluppo integrale, completo, auto­nomo del sindacato operaio fino a farne l'elemento costitutivo principale e l'organo direttivo della nuo­va società dei produttori liberi ed eguali per la quale combattiamo. Essi intendono che il sindacato non abbia da essere che uno strumento per i migliora­menti parziali ed illusori, che la classe operaia può ottenere dalla benevolenza della classe padronale e dell'intervento statale, che dalla propria forza, rivol­ta ad una audace conquista.

La vera trasformazione sociale essi intendono che debba essere compiuta nello Stato e dallo Stato, con una serie di misure legislative e con una estensione sempre crescente dei poteri dello Stato che dovrebbe arrivare a sostituirsi al capitalismo privato, avocando a sè la dirigenza di tutta la produzione e di tutto lo scambio, nonché la distribuzione della ricchezza.

Quale punto di contatto vi è fra questa concezio­ne statolatra ed autoritaria del divenire sociale, e la concezione sindacalista antistatale e libertaria? Nes­suna.

Noi andiamo dunque, per opposta via, ad un mèta opposta a quella dei riformisti. Noi vogliamo annul­lare il potere oppressivo dello Stato; essi vogliono moltiplicarlo fino a farne il regolatore supremo di tutta la vita sociale.

,Noi miriamo alla conquista dell'autonomia e della libertà integrale dei gruppi produttori e dell'indivi­duo in seno a questi gruppi; essi mirano ad instaura­re la più terribile tirannia che abbia mai visto il mon­do".

Principi ribaditi nel programma dello statuto ac-

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“Non è superfluo ricordare che — da quando l ’or­ganizzazione operaia ha preso un ’importanza pre­ponderante nel movimento sociale — si sono tosto manifestati due modi essenzialmente diversi d'inten­dere l ’azione sindacale. Ciò ha prodotto per logica conseguenza il crearsi di due forme diverse d'orga­nizzazione ed iL sorgere, in pratica, di due sindacali­smi: il sindacalismo riformista ed il sindacalismo rivoluzionario’’...

Le caratteristiche dell’uno e dell’altro eccole a grandi linee:

“Il sindacalismo riformista-politicante, accentra- tore, burocratico, pacifista, adoratore delle grosse casse produce naturalmente una organizzazione sen­za iniziativa, snervata, egoista, corporativista, divisa e sfiduciata delle sue forze, illusa di ottenere dal gio­co dei partiti quel che non sa strappare con la pro­pria energia.

Questo nella pratica del presente. Ma è lecito pre­vedere un altro danno per il futuro, poiché se con una simile-organizzazione si arrivasse a trasformare la società, noi non avremo quella società di liberi e di uguali che è il nostro sogno radioso; ma una socie­tà ancor composta di servi. Con la sola differenza che in luogo degli attuali padroni, il proletariato avrebbe sul collo una oligarchia di funzionari sinda­cali e di politicanti con l'etichetta sindacalista".

Il sindacalismo rivoluzionario,

“che vuole abilitare il proletariato ad avere fede solo nelle proprie forze, e non attendere alcun bene­ficio all'infuori della sua azione direttamente esplica­ta. Cosi si toglie implicitamente al lavoratore il feti­cismo legislativo e si mette il sindacato in condizio­ni di neutralità tra i partiti politici, che gli sono e-

cettato, che fra l ’altro dice:

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stranei tutti, non esclusi quelli che si dicono sociali­sti. Il proletariato deve sapere che tanto avrà quanto saprà conquistare e che non può e non deve chiedere nulla a chicchessia se non alla sua volontà ed alla sua unione” ... “Il sindacalismo rivoluzionario anti­politicante, decentratore, autonomista, libertario, non burocratico, combattivo, non idolatra dei mezzi finanziari, forma nel presente un'organizzazione ric­ca di iniziativa, vigile, audace, con un forte senti­mento di classe, fiduciosa delle proprie forze, senza illusioni parlamentaristiche; e per il futuro prepara l' avvento di una società in cui vi siano nuovi padroni in sostituzione degli attuali; ma una uguaglianza, una libertà che non siano soltanto parole vuote di signi­ficato; ma realtà concrete ”

Per capire ancora più a fondo quali sono i principi della nuova organizzazione è interessante conoscere il contenuto di un manifesto nazionale dell’USI del 1913:

“E ’ una vecchia gloriosa bandiera quella che risol­leviamo. Essa copre l'opera paziente della prepara­zione e si spiega nelle audacie sante della rivolta, il suo drappo si tinge col sanguedei martiri e non si sbiadirà nei languidi colori della pace sociale.

Vessillo di speranza e di battaglia. A ll’ombra sua si raccolgono solo i forti cui non impaurisce il sacri­ficio, i combattenti che sanno affrontare la lotta con gioia.

E ' l'insegna della I Internazionale, quella che risol­leviamo, compagni!

Quanti sentono la vergogna dell'avvenimento pre­sente, quanti nutrono ancora fede nei destini del proletariato, vengano con noi, in questo esercito di liberi che vqol muovere verso le rosse aurore della Rivoluzione Sociale.

Viva l'organizzazione operaia! Viva l'Unione Sin­dacale Italiana!

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L’importanza che assume immediatamente l’Unipne Sindacale Italiana lo dimostrano le colossali lotte sopratutto in alcuni centri agricoli e gli scioperi genera­li in tutta Italia. Nel 1913 vengono sostenuti scioperi agricoli nel ferrarese e nelle puglie, scioperi generali dei mettallurgici e dei gasisti a Milano, a Carrara tra lavoratori del marmo. Intanto si creano nuove sezio­ni: Sestri Ponente, Bari, Cerignola, Rovigo, Mantova, Cremona...

Il secondo congresso dell’USI che ha luogo a Milano (4-5-6-7 dicembre 1913) alla presenza di 191 congres­sisti in rappresentanza di 1003 leghe e 98.037 organiz­zati, accoglie militanti come Giuseppe di Vittorio, A. Meschi, De Ambris, Filippo Corridoni. Si discute dell’arnia dello sciopero generale: Armando Borghi, relatore del punto, ennuncia l’efficacia dello sciopero generale come metodo di difesa e di conquista per i lavoratori “miranti alla vittoria definitiva della classe lavoratrice con l’espropriazione della classe capitali­sta” . Altro problema importante in ogni congresso dell’USI è l’antimilitarismo: l’impegno di ogni organiz­zazione su questo tema viene ancora ribadito, non solo lotta sindacale ma anche lotta antimilitarista, antipa­triottica: un campo necessario di agitazione antistata­le del proletariato.

Si decide di trasferire l’USI a Milano dove è sorta una combattiva Unione che avrà nel 1914, durante la storica “Settimana Rossa”, un primissimo piano nell’ organizzazione delle lotte arrivando a far smuovere an­che la CGL. Nel 1914, l ’anno della conflagrazione europea, all’interno dell’USI c’è chi si schiera a favore dell’interventismo dell’Italia a fianco della Francia e dell’Inghilterra, tradendo in questo modo i principii antimilitaristi che l’Organizzazione ha sempre fatto propri. La posizione interventista, dei fratelli De Am­bris, Bianchi, Masotti, Corridoni ecc., non è proprio condivisa dalla massa: e per chiarire la posizione dell’ organizzazione proletaria viene convocata una assem­blea del consiglio generale in cui, sopratutto da parte

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dell’anarchico A. Borghi, viene rilevato che “dalla guerra avrebbero tratto tutti i vantaggi non i lavora­tori, ma i padroni, la monarchia”. E’ singolare che da parte di coloro i quali hanno sempre denunciato le frodi della diplomazia, in questo momento venga fat­to affidamento sulle promesse delle stesse diplomazie e degli stessi stati; la riunione ha toni molto anima­ti e alla fine viene accettato un ordine del giorno di A.Meschi che ribadisce e riafferma i principi antimili­tarismi e antistatali:

“Il Consiglio Generale dell'USI esprime la fiducia che il proletariato di tutti i paesi belligeranti e neutrali sappia ritrovare in se stesso lo spirito di solidarietà di classe e le energie rivoluzionarie per profittare dell'ine­vitabile indebolimento delle forze statali e della crisi generale derivante dalla guerra stessa per una azione co­mune intesa a travolgere gli stati borghesi e monarchi­ci che in questa guerra furono per un cinquantennio i coscienti e i cinici preparatori Delibera che gli organi direttivi e il giornale si uniformano a tali concetti

Messi in minoranza, Alceste De Ambris e Tullio Masotti (ex segretario) si dimettono e come segretario dell’USI viene nominato l ’anarchico Armando Borghi; la sede passa a Bologna e il giornale “L’Intemazionale” non è più organo ufficiale; al suo posto (il 17 aprile 1915) si pubblica il nuovo organo “Guerra di Classe”. Subito dopo la guerra del 15-18 l’USI riprende inten­samente l ’attività con la fondazione di sezioni in ogni località e i militanti partecipano, oltre ad essere anche gli animatori, a tutte le agitazioni dell’epoca. Solo nel dicembre del 1919, a Parma, l ’USI si ritrova a congres­so, il terzo dalla sua fondazione e il primo del dopo guerra.

Il 20-21-22-23 dicembre 1919 Parma accoglie i de­legati di 300.000 organizzati. Problema più importante è quello che tratta dei “Consigli di Fabbrica” in segui­to alle notizie che giungono dalla Russia (f Soviet), Germania e Ungheria, notizie che hanno vasta risonan­za tra le masse proletarie italiane (specie di Torino). Re­latore sui “Consigli di Fabbrica” è un operaio torinese che ruota attorno all’“Ordine Nuovo” (di Gramsci) e la

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risoluzione dell USI su questo tema é la seguente:"Il congresso dichiara tutta la sua simpatia e in­

coraggiamento a quelle iniziative proletarie, come i Consigli di Fabbrica, che tendono a trasferire nella massa operaia tutta la facoltà di iniziativa rivoluziona­ria e ricostruttiva della vita sociale, mettendo però in guardia i lavoratori da ogni possibile deviazione per lo escamotage riformista contro la natura rivoluzionaria di tali iniziative, contrariamente anche alle intenzioni avanguardiste della parte migliore del proletariato.

Invita questa parte del proletariato specialmente a considerare la necessità di preparazione delle forze di attacco classista-rivoluzionario, senza di che non sareb­be mai possibile l'assunzione della gestione sociale da parte del proletariato".

E in merito agli avvenimenti della rivoluzione Russa e la creazione dei Soviet come autoorganizzazione del proletariato russo viene emanata una dichiarazione riassuntiva:

"Il congresso dell'USI saluta ogni passo in avanti del proletariato e delle forze politiche verso la con­cezione del socialismo negante ogni capacità positiva e ricostruttiva alla istituzione storica tipica della demo­crazia borghese che è il parlamento, cuore dello stato. Considera la concezione Sovietica della ricostruzione sociale come antitetica dello stato e dichiara che ogni sovrapposizione alla autonomia e libera funzione dei Soviet e di tutta la classe produtrice, va considerata dal proletariato come un attentato allo sviluppo della ri­voluzione e alla attuazione dell'ugualianza nella liber­tà".

Come si è detto, la rivoluzione Russa ha una vasta eco nel proletariato italiano: essa è la prima grande ri­voluzione a carattere socialista e di massa che entu­siasma il proletariato mondiale. A livello sindacale si costituiscono i “Consigli” sul parametro dei “Soviet” russi: il “Soviet” è visto come organo di autoorganiz­zazione proletaria in cui i lavoratori delle fabbriche e dei campi si riconoscono perchè fondato non su basi autoritarie o legato a qualsiasi voglia di partito, bensì come organo autonomo è collegato con gli altri, in cui

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le decisioni vengono prese assemblearmente e diretta- mente dai lavoratori stessi. Solo in un secondo tempo i Soviet saranno svuotati del loro significato libertario : quando cioè i bolscevichi (preso il potere) se ne impa­droniranno e li legheranno al partito annullando ogni diritto autodecisionale alle masse organizzate autono­mamente.

E ’ comprensibile l ’entusiasmo che provocano i So­viet nelle masse rivoluzionarie italiane e nell’USI in particolare. Un entusiasmo che a poco a poco nel futuro svanirà quando dalla russia cominiceranno ad arrivare le notizie della repressione contro i rivolu­zionari, gli anarchici e i Soviet che non si piegano al nuovo potere (Kronstadt, Ucraina...).

Intanto il congresso di Parma riconferma A. Borghi come segretario e la sede viente trasferita a Milano dove rimarrà fino a quando i fascisti la distruggeran­no.

Il biennio 1919-1920 (conosciuto anche sotto il nome di “biennio rosso” per la carica rivoluzionaria che le masse esprimono contro lo stato tanto da far pensare che la rivoluzione fosse “dietro l’angolo”) esprime tutta una serie di iniziative sindacali con scio­peri tendenti ad aumenti salariali e ad una migliore condizione di vita. Le forme di lotta intese nel sen­so tradizionale non sono più efficaci e si trova ora un nuovo modo di combattere contro i padroni, un mo­do di verso, più efficace che viene adottato a livello di massa: ostruzionismo e occupazione delle fabbriche. Le prime occupazioni delle fabbriche avvengono in Liguria (Sestri Ponente e Cornigliano ad opera dei metallurgici). L’occupazione — che dura pochi gior­ni — dei metallurgici aderenti all’USI provoca un enor­me effetto morale tra il proletariato. L’esempio è sta­to dato e dalla Liguria le occupazioni delle fabbriche si allargano a Torino fino a Napoli; e nel momento in cui i metallurgici di tutta Italia evitano una sconfit­ta delle loro agitazioni del contratto, ricorreranno alla occupazione di tutte le fabbriche (agosto 1920).

L’esempio delle occupazioni è un fatto molto im-

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portante nella storia della emancipazione proletaria, un fatto ormai leggendario su cui occorre soffermar­si. L’agitazione dei metallurgici italiani si trascina da tempo quando il 21 agosto 1920 la FIOM e il sinda­cato nazionale metallurgici aderenti all’USI dichiara no l ’inizio della lotta ostruzionistica. Dopo alcune settimane passate con pochi risultati, l ’USI lancia un appello ai lavoratori:

“A noi è sembrato non adeguato alla gravità del momento ed alla formidabile resistenza padronale questa forma di lotta che può prolungarsi all’infini­to, stancare le masse, affievolire il loro spirito di com­battività, esautorare le loro energie senza perciò col­pire la classe industriale in modo decisivo. L'ostruzio­nismo può anche indurre gli industriali alla pronta repressione con la serrata generale o parziale che ren­de più difficile la presa di possesso delle officine da parte dei lavoratori quando ad essi verrà impedito l ’ac­cesso con la forza pubblica concentrata nei punti vo­luti dal padronato"...

"... Potremmo attendere ancora qualche giorno l ’esito deU’esperimentato ostruzionismo; non oltre. La lotta deve essere, secondo noi, di breve durata e che seriamente e gravemente colpisca nei suoi interes­si la classe padronale... "

"La presa di possesso delle fabbriche da parte dei lavoratori deve compiersi simultaneamente e con pron­tezza, prima ancora di essere cacciati con la serrata, e difenderla poi con tutti i mezzi e con tutte le forze di cui dispone il proletariato organizzato. ’’

"... Noi siamo decìsi a far entrare nella lizza anche i lavoratori delle altre industrie e dell'agricoltura. Alle altre organizzazioni, quindi, il dovere di prendere posizione, di tenersi pronte all’attacco coll'arma al piede".

Il 29 luglio a Sestri viene approvato il seguente ordine del giorno:

"Considerato che lo sciopero non è attuabile nelle contingenze attuali di fronte all’atteggiamento degli industriali che hanno interesse di esautorare le ener­

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gie proletarie; che l'ostruzionismo incontra notevoli difficoltà pratiche;

Considerato che per fronteggiare energicamente e con prontezza la resistenza padronale si debba ri­correre ad ogni mezzo e SOPRATTUTTO ALLA SI­MULTANEA E GENERALE INVASIONE DELLE FABBRICHE DA PARTE DEGLI OPERAI".

Il 31 agosto 1920 l ’Alfa Romeo fa la serrata e le

Il 31 agosto 1920 l’Alfa Romeo fa la serrata e le officine vengono occupate dalla forza pubblica: è l’episodio che fa scoccare la scintilla della famosa occupazione delle fabbriche del settembre. Due anni dopo, nel congresso nazionale che si terrà a Roma, l ’USI preciserà il suo punto di vista in merito alla oc­cupazione delle fabbriche :

"La partecipazione attiva, febbrile dell’USI nella epica battaglia metallurgica, come corpo di avanguar­dia rivoluzionaria, è nota al proletariato d ’italia ed anche all'estero. Sonò conosciuti pure i primi atteg­giamenti irriducibilmente classisti ed intransigenti sia durante le discussioni preliminari come nel cor­so della prima fase di lotta.

In merito alla famosa pregiudiziale sulle condizio­ni dell'industria, l ’USI fu chiara ed esplicita. Conside­rato che il “sistema economico vigente, basato non sugli interessi della collettività umana e produttrice, ma su quelli individuali con esclusione quasi assolu­ta dei veri produttori — gli operai — è la causa pri­ma dei continui perturbamenti della vita industriale, economica e politica della società, i lavoratori non han­no quindi nessuna responsabilità delle conseguenze or liete, or funeste di questo ordinamento sociale; non possono tener conto in nessun modo delle con­dizioni dell’industria monopolizzata e gestita da colo­ro che considerano gli operai come merce, anziché come uomini che hanno diritto di vivere e di godere il frutto del proprio lavoro.

E conseguente a queste premesse FUSI si rifiuta di intervenire alla oziosa e dilatoria discussione sul-

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le condizioni dell'industria, reale o artificiosamente create con dati falsi e le elucubrazioni degli esponen­ti le industrie più speculative e bacate d ’Italia, come venne poi constatato attraverso gli scandali dell’Il- va, dell'Ansaldo, e della Banca di Sconto.

Ma il compito più importante e grave che l ’USI s ’impose in quel grandioso movimento fu quello di precederlo e di incanalarlo imprimendogli un caratte­re quale la situazione eccezionale esigeva di fronte alla aperta e dichiarata posizione di attacco del capi­talismo; carattere cioè di vera guerra guerreggiata sen­za esclusione di colpi e fino alle ultime conseguenze”.

Il quarto congresso di Roma (1U-11-12 marzo 1922) è l’ultimo prima della distruzione che il fascismo attue­rà contro le organizzazioni operaie. Non si discute soltanto di quel che si è fatto bensì si cerca di preci­sare alcune posizioni ideologiche e tattiche; si guar­dano i rapporti internazionali, ci si domanda se aderire alla Internazionale Sindacale Rossa (creata a Mosca) o se creare una nuova Intemazionale; infine si prospet­ta una riorganizzazione del movimento basata sulla creazione di Sindacati di Fabbrica. Sul primo punto (aderire o no all’Internazionale di Mosca) vengono presentate due mozioni che sono poi due tendenze all’interno dell’Unione Sindacale Italiana: la prima mo­zione, favorevole all’adesione a Mosca, è rappresenta­ta da Di Vittorio; la seconda mozione, presentata da Armando Borghi, è contraria all’adesione mentre è favorevole a una nuova Intemazionale Sindacale, l’AIT (Associazione Intemazionale dei Lavoratori), da poco creata a Berlino. Due sono le risoluzioni pre­sentate. La prima (Vecchi — Di Vittorio):

“Il quarto Congresso dell’USI chiamato a discutere ed a deliberare sulla questione dei rapporti fra l ’USI e le organizzazioni internazionali: considerato che i deliberati del Congresso Costituente dell’Internaziona­le Sindacale Rossa tenutosi a Mosca nel luglio dello scorso anno, con cui si stabiliscono i rapporti di col­laborazione che devono intercorrere fra l'Internazio­nale sindacale e l ’Internazionale Politica, non vedo-

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no in alcun modo l ’autonomia ed indipendenza dei Sin­dacati;

che nessuna deliberazione del citato Congresso im­pedisce che accordi, volta in volta, possano essere pre­si con altri partiti politici; delibera di dare la propria a- desione all’Internazionale dei Sindacati Rossi’’.

La seconda (Giovannetti — Borghi), che raccoglie­rà la maggioranza, è contraria a tale adesione:

“Il quarto Congresso dell'USI premesso che l ’USI ha da molti anni con fede ed entusiasmo spiegato un ’ attività febbrile per la riorganizzazione delle forze proletarie internazionali sul terreno dell’azione diret­ta rivoluzionaria ispirandosi alla I Internazionale dei Lavoratori; Ritenuto che il blocco internazionale di queste forze non si è potuto conseguire per il carat­tere esclusivamente di partito dato prima alla III In­temazionale dei Sindacati Rossi strettamente legata al Partito Comunista ed a questo resa subordinata in tutta la sua attività sindacale e politica; richiaman­dosi ai principi ed ai metodi del sindacalismo rivolu­zionario antipoliticante, antiautoritario, anti accentra- tore e per l ’assoluta autonomia dei sindacati dagli ag­gruppamenti politici; delibera di subordinare l ’adesio­ne dell'Internazionale Sindacale alle seguenti condi­zioni:

1 — Azione diretta e rivoluzionaria di classe per l ’abolizione del padronato e del salariato;

2 — Esclusione assoluta di qualsiasi legame con l ’Intemazionale comunista e con qualsiasi altro parti­to o raggmppamento politico, completa autonomia e indipendenza sindacale da questi organismi di parte;

3 — Esclusione dell’Internazionale Sindacale di quei sindacati o raggruppamenti sindacali maggioritati che aderiscono all’organizzazione gialla di Amsterdam anche se per tramite delle Federazioni professionali;

4 — Limitazione dell’attività e della direzione dell'Internazionale sindacale ai problemi e nell'azione di carattere intemazionale;

5 — Intese eventuali tempomnee con altre organiz­zazioni sindacali e politiche proletarie potranno esse-

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re stabilite volta per volta per determinate azioni internazionali d ’interesse della classe lavoratrice;

dà mandato al Comitato Esecutivo di prendere ac­cordi con le organizzazioni sindacaliste di tutto il mon­do per organizzare saldamente una internazionale sindacalista nel caso previsto che l ’ISR si rifiuti di ac­cettare le suesposte ed irrevocabili condizioni”.

Altro problema di discussione riguarda la Unità proletaria, C’è chi ripropone lo scioglimento dell’Unio­ne Sindacale Italiana per aderire alla CGL e tale tesi è sostenuta da due neo-deputati protesta (Di Vittorio e Faggi); viene presentata una risoluzione da Gaeta­no Gervasio il quale ammette la possibilità solo di ac­cordi di unità temporanea e su basi classiste e rivolu­zionarie:

“Il Congresso dell’USI ritenuto che l ’Unità delle for­ze sindacali proletarie d'Italia non può essere che il risultato di un accordo sincero e spontaneo delle mas­se lavoratrici organizzate sul terreno della lotta di clas­se e detrazione diretta con obiettivi rivoluzionari escludendo ogni intromissione di partiti e gruppi po­litici ed ogni forma di collaborazione con la classe borghese;considerato che tutti i passati tentativi di unità prole­taria fallirono per l ’opposizione sistematica della fra­zione social-riformista la quale tende alla sua egemonia sul proletariato per una politica di collaborazione sin­dacale, parlamentare e governativa, con la classe do­minante;considerato inoltre che nelle condizioni odierne del movimento operaio l'Unione Sindacale Italiana è l’unica organizzazione massima che ha mantenuto inalterate le proprie direttive classiste e rivoluzionarie;

delibera:1) Che gli eventuali rapporti con la Confederazione

Generale del Lavoro e con gli altri organismi sindaca­li siano a base di intese per questioni contingenti e per la difesa della libertà e delle conquiste proleta: rie; *

2) che ogni iniziativa di fusione dei vari organismi

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sindacali generali potrà essere assecondata informan­dosi ai criteri su esposti;

3) Che le organizzazioni locali e nazionali (Camere del Lavoro, sindacati professionali o d ’industria, ecc.) attualmente autonomi o già facenti parte dell'USI possono aderire a questa senza altra condizione che l ’osservanza del suo statuto e delle decisioni dei suoi congressi”.

Ultimo importante punto di decisione riguarda l ’adesione di una nuova struttura organizzativa basata sui sindacati di fabbrica, un punto sul quale l ’USI già da tempo si batte. Questa la mozione presentata da Giovannetti:

“premesso che i lavoratori delle industrie sono co­stretti nella grande maggioranza ad essere riuniti per necesstà di lavoro nella fabbrica o nell'azienda, qualun­que sia il loro mestiere o professione, la loro categoria o condizione, tutti cooperando ad ottenere un unico genere di produzione:ritenuto che la struttura dell’organizzazione sindacale del proletariato debba essere basata sulla fabbrica o azienda e sull’industria affinchè possa rispondere agli scopi immediati di difesa e di conquista proletaria ed ai fini di emancipazione completa della classe lavoratrice dal dominio economico e politico del ca­pitale;considerato che tale forma di organizzazione operaia basata sulla fabbrica e sull'industria risponde alle esi­genze della vita moderna del lavoro e crea di fatto il nucleo operaio produttore e gestore della fabbrica che dovrà compiere il processo storico del passaggio della forma capitalistica di produzione a quella sociale dei sindacati di lavoratori attraverso l ’espropriazione e la presa di possesso delle fabbriche da parte dei sin­dacalisti;constatato che nelle organizzazioni aderenti all’USI si è già iniziata da tempo un'opera tendente alla tra­sformazione delle Leghe professionali in sindacati lo­cali e nazionali d ’industria:rilevato però che tale compito, per varie e complesse

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ragioni non è stato ancora completamente assolto, DELIBERA di impegnare formalmente le Camere del Lavoro e le Unioni locali a riorganizzare le Leghe e i sindacati dove non l'hanno ancora fatto, sulle seguen­ti basi:

A) costituzione del sindacato fra gli operai di cia­scuna fabbrica o azienda.

B) aggruppamento locale dei vari sindacati operai di fabbrica per ciascuna industria.

C) Costituzione di un unico sindacato d'industria per quei centri nei quali il numero degli operai di ogni officina o azienda è esiguo

D) adesione di fatto e di diritto nei sindacati loca­li all'organizzazione nazionale d ’industria conservan­do l ’autonomia dei sindacati medesimi per ogni e qual­siasi attività e per il movimento che non interessano più industrie diverse o più centri industriali, o che ri­vestono un carattere generale di classe;

DEMANDA agli organi esecutivi dell'USI l'incari­co di far funzionare quei Sindacati Nazionali d ’indu­stria che per ragioni diverse hanno dovuto sospendere la loro attività e di creare gli altri sindacati che raggrup­pano le forze proletarie d ’ogni industria non ancora organizzate nazionalmente;

APPROVA lo schema di organizzazione dei sinda­cati allegato alla relazione lasciando la piena facoltà delle organizzazioni locali di adottarlo con quei tempe­ramenti che da esse possono essere reputati necessari”.

La reai tè vede ormai la presa di potere da parte dei fascisti (ottobre 1922) e l ’attività sindacale risulta sempre più difficile, impossibile il semplice riunirsi. Le Camere del Lavoro, le sedi dell’Unione Sindacale Italiana vengono distrutte, i militanti imprigionati o costretti all’esilio.

Ogni attività cessa. La segreteria si riforma in Fran­cia tra gli esuli dove manterrà viva tra i lavoratori fuo­riusciti il senso della libertà.

Il sindacalismo libertario e rivoluzionario (anarco- sindacalismo) erede dello spirito della I Internaziona­le si concretizza dunque (in Italia) nella UNIONE SIN­DACALE ITALIANA GIUNGENDO A COAGULARE (all’inizio degli anni ’20) 500.000 ADERENTI.

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CONSIDERAZIONI SULLA ESPERIENZA DEL- L'USI

Le imponenti lotte agrarie del periodo tra il 1906 e il 1908 rappresentano il momento che determina il passaggio dal sindacalismo rivoluzionario interno alla organizzazione CGL come minoranza rivoluziona­ria (comprendente sindacalisti e militanti politica- mente inseriti in un movimento che va dalla sinistra del Partito Socialista fino agli Anarchici) all’organiz­zazione alternativa (Comitato di Azione Diretta prima e quindi USI).

Dopo la rottura e l’uscita dei sindacalisti dal PSI, i nuclei rivoluzionari basano la loro strategia sulle Ca­mere del Lavoro come momenti di organizzazione e di lotta; il problema centrale diviene ben presto l ’uni­tà e la fusione tra il proletariato industriale e agrico­lo; il problema che trae origine da un dato di fatto: i primi anni il sindacalismo rivoluzionario fa presa mag­giormente tra il proletariato agricolo che diviene la spina dorsale del movimento e la classe contadina ha un peso nella popolazione attiva dell ’epoca ( contra­riamente a quel che avviene in altri paesi). Le lotte del 1913 non diventano un momento di crescita e di conquista di nuovi obiettivi ma rimangono una di­fesa di conquiste fatte: in sostanza se non come una

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stasi esse vengono interpretate come un arretramento del movimento. La causa è da ricercarsi, secondo un’ analisi degli stessi sindacalisti, probabilmente nel mancato passaggio ad una agricoltura capitalistica; di conseguenza la mancata crescita del movimento in­dirizza l’opera dei sindacalisti rivoluzionari sul terre­no industriale. Tale cambiamento di rotta si delinea nel secondo congresso dell’USI (1913) pur se il prole­tariato agricolo rappresenta il 38,5 per cento della forza del movimento, mentre i metallurgici rappresen­tano il 14,2 per cento, gli edili il 26,9 per cento, gli addetti ai trasporti 1 ’8,8 per cento.

Il legame tra proletariato agricolo e proletariato industriale è rappresentato da quella fascia di lavora­tori con mansioni meno qualificate all’interno del set­tore delle costruzioni e il rapporto iniziale dell’USI col proletariato industriale viene provato a Milano e Torino, due grossi centri industriali.

Il tipo di organizzazione, le Camere di Lavoro, è in effetti un modello organizzativo di potere decentra­to che propende a rompere le divisioni di categoria e di settore operate dalle federazioni di mestiere sul­le quali punta la linea riformista della CGL in modo da ricomporre una unità di base rivoluzionaria e di classe. Il modello organizzativo della Confederazione in effetti, ricalca a grandi linee la struttura fatta dal Capitale, le sue articolazioni in canali produttivi e le stesse forme e metodi di lotta accettano gli schemi di inquadramento proposti dai settori d ’avanguardia del Capitale stesso. Al contrario le Camere del Lavoro rivoluzionarie coagulavano vasti settori dequalificati tendendo a coagulare anche l’altro settore sottopro­letario e dei “non garantiti” o “disorganizzati”, i qua­li* sono un elemento di tensione che non si riconosco­no nel sindacalismo della CGL ma anzi lo scavalca: contando su questi settori, i sindacalisti rivoluzionari riescono a produrre continui processi di insubordi­nazione spontanea. Rappresenta quindi, la Camera del Lavoro, un centro organizzativo di lotte tendenti a organizzare lo sciopero politico generale da cui sor-

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tisce la diretta contrapposizione tra Stato e proletari.Con l’entrata in guerra dell’Italia si determina una

nuova situazione di tipo industriale tanto che si può parlare di controllo dell’economia da parte dello Sta­to; iniziano una serie di provvedimenti e di ristruttu­razioni che innescano un processo di crescita enor­me delle strutture portanti dell’industria. Ed è proprio nel settore siderurgico, durante la guerra, che si forma lo strato trainante di classe dell’UNIONE SINDACALE ITALIANA ( ad esempio in Liguria su 60.000 operai ben 20.000 sono organizzati nel sindacalismo rivolu­zionario) che in quel momento subisce un calo di ade­renti per via della guerra, dello spopolamento e delle campagne e delle industrie non militarizzate; inoltre la crescita significativa dell’USI nel settore diretta- mente impiegato nello sforzo bellico sta a dimostrare un rifiuto diffuso della guerra nella classe operaia che va a praticare il sabotaggio e il boicottaggio della pro­duzione nella convinzione che la guerra è guerra anti­proletaria.

E’ nota la posizione dell’USI nei confronti della guerra e del militarismo in generale. La stessa entrata in guerra dell’Italia vede all’interno del movimento sindacalista un settore favorevole all’intervento nella stessa misura in cui, nel 1914, (guerra Tripolina), alcu­ni teorici si erano fatti interventisti; la posizione mag­gioritaria, contro la guerra, provoca la scissione degli elementi nazionalistici (o meglio: di una risoluzione nazionalistica della crisi) i quali si troveranno con il Comitato di Mobilitazione Industriale (di cui fanno parte: industriali, esercito, CGL) propenso ad collabo­razionismo di classe.

Infine l̂’USI rappresenta l ’unico tentativo in Italia di fondere i due momenti (l’economico ed il politico) in un tu tt’uno che tramite l’omogeneità economica di classe, lo sciopero generale e l’insurrezione va diret­tamente a porsi come scontro con lo Stato.

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Alberto Meschi

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L ’USI NEL SECONDO DOPOGUERRA 1949-1970

Gli antifascisti in esilio, e soprattutto coloro i qua­li sono costretti al confino, già dal 1943 si accordano di ricostruire (alla caduta del fascismo) un solo sinda­cato unitario; tale accordo viene preso tra gli esponen­ti dei partiti, dei movimenti antifascisti e di conse­guenza anche dagli anarchici, i quelli rinunciano alla ri- costruzione dell’USI che prima del fascismo ha orga­nizzato mezzo milione di lavoratori. Infatti l’USI (in un ingenuo omaggio all’unità sindacale, unità ta t­tica dei vertici, non degli sfruttati) dopo la liberazio­ne si fonde nella CGL unitaria e sarà forse proprio questa fusione che determinerà la fine, la morte dell’ anarcosindacalismo, come movimento organizzato, nel periodo post-bellico fino ai nostri giorni poiché la tanto decantata unità sindacale nel 1947 si frantu­ma provocando successivamente la nascita CGIL CISL UIL.

Gli anarcosindacalisti dell’USI restano (nel tenta­tivo di un’impossibile unità reale) all’interno della CGIL, socialcomunista, organizzati nella “corrente anarchica di difesa sindacale’’.

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Nel 1950 un pugno di anarco-sindacalisti ricostrui­sce l’USI, una ricostruzione che fallisce dal momento che solo una esigua minoranza rientra nella rinnovata organizzazione mentre il grosso dei sindacalisti liber­tari rimane alPinterno della CGL (nella corrente dei “Comitati di Difesa Sindacale); un fallimento che si consuma nel giro di pochi anni e che provoca una sfi­ducia (tra i più) della militanza del movimento opera­io, anche se l’esperimento raccoglie qualche nucleo consistente nelle toriche zone di influenza sindaca­lista libertaria (Carrara tra i lavoratori del marmo, Genova Sestri tra i metallurgici ecc.) vivendo all’om­bra dell’antica forza. La tenacia dunque di qualche vec­chio militante riesce solo a mantenere in vita il simu­lacro dell’Unione Sindacale Italiana che, anziché cre­scere, negli anni ’50-’60 va ancor più estinguendosi.

Alla fine degli anni ’60 c’è una riscoperta del sinda­calismo rivoluzionario da parte di consistenti minoran­ze proletarie che cominciano a contestare il burocra- ticismo delle centrali “riformiste” criticandone l ’ar­rendevolezza ed il loro verticismo. Questo avviene sull’onda della “contestazione globale” che nasce tra gli studenti e i giovani per allargarsi poi ai lavoratori che riscoprono le armi della democrazia diretta, l ’or­ganizzazione autonoma di base e l’azione diretta come metodi di lotta per la conquista degli obiettivi proletari. Ma il rilancio dell’azione sindacalista rivo­luzionaria non avviene ad opera del barlume di Unione Sindacale Italiana che ancora esiste, bensì avviene per opera dei gruppi e dei movimenti che pur richiamando­si idealmente al Marxismo-Leninismo nella pratica adottano metodi di lotta che appartengono alla tra­dizione libertaria muovendosi su un piano di rifiuto della delega (“siamo tutti delegati”), di rifiuto del burocraticismo e verticalismo a favore dell’assemble­arismo affinchè le decisioni e le lotte vengano prese e portate avanti dagli sfruttati stessi. E’ indubbia la matrice libertaria di tale modo di porsi come è pure nota la partecipazione e l ’adesione di larghi strati li­bertari della nuova generazione (alla fine degli anni

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’60) a tali movimenti, i quali sulla matrice libertaria cresceranno, si svilupperanno e andranno a parare in tu tt’altre direzioni (politicamente).

Proprio sull’onda della spinta di base operaia ri­belle ed antiburocratica avviene qualche tentativo, da parte di gruppi anarchici, di far rivivere l’USI co­me ad esempio a Milano dove (primavera 1969) vie­ne costituita una “Sezione USI” — Bovisa che col­lega tra loro alcuni Comitati Unitari di Base (CUB) tra i quali quello attivissimo dell’ATM (tranvieri). Il felice tentativo di Milano e altre zone di incrementa­re la nascita di un’organizzazione proletaria di base fuori della influenza sindacale, viene interrotto bru­scamente dalle bombe del 25 aprile 1969 di cui vengo­no incolpati ingiustamente gli Anarchici. Da questo momento e durante gli anni successivi ogni sforzo dei lavoratori libertari sarà dedicato alla controinformazio­ne nei luoghi di lavoro per dimostrare e far capire all’ opinione pubblica narcotizzata dalla stampa di regime il perchè delle bombe e dell’accusa agli Anarchici. Uno sforzo enorme che porta al Movimento nuove simpatie; e nel momento in cui l ’opera di controinfor­mazione arriva a dei risultati positivi riaffiora nel mo­vimento la necessità impellente di un’inserimento li­bertario nelle lotte, di una organizzazione nazionale strettamente anarco-sindacalista.

Rispetto al periodo che va dal dopoguerra ai giorni nostri, oggi non si tratta più di calare dall’alto (o dal di fuori) un’ennesima “rifondazione” dell’USI che servirebbe ben poco se non fosse sorretta da una for­za reale; a questo scopo esiste un fiorire d ’iniziati­ve spontanee o organizzate (come i Nuclei Liberta­ri di Fabbrica, il Collegamento Lavoratori Anarchici, chi propugna la rifondazione delle strutture di base come i Consigli di Fabbrica e i CUZ, chi si organizza già in nuclei dell’Unione Sindacale Italiana) sparse lungo tutto il territorio nazionale proiettate alla cre­scita dell’anarcosindacalismo per sfociare poi, nel fu­turo, in un movimento di massa, organizzato come lo è stato in passato FUSI. L’azione anarco-sindacali-

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sta non è dunque morta tra i lavoratori italiani tanto che le “deviazioni Anarco-sindacaliste” sono costan­temente temute periodicamente denunciate, condanna­te dai vertici sindacali.

Come USI alla fine degli anni ’60, vengono prese diverse iniziative come ad esempio quella fra i lavora­tori del marmo di Carrara dove gli operai libertari in un’assemblea stendono un documento in cui, do­po aver ricordato le lotte di un secolo per la conqui­sta delle otto ore lavorative e poi quelle per la conqui­sta delle sei ore (a Carrara) propongono una discus­sione fra tutti i lavoratori del marmo per arrivare all’ obiettivo della conquista di cinque ore come giorna­ta lavorativa. Il documento dopo aver analizzato la si­tuazione specifica del carrarese e la fuga di manodope­ra si sofferma sul sindacato o meglio sul “movimento sindacale”: "... Il movimento sindacale ha finalmente compreso che i suoi compiti e i suoi obiettivi sono più politici (riduzione dell'orario di lavoro, trasporti pubblici, casa, sanità, scuola, partecipazione alla vita aziendale) che, invece, prettamente rivendicativi, ine­vitabilmente riassorbibili dal sistema...” e, secondo i sindacalisti libertari dell’USI di Carrara, il movimento sindacale ha compiuto il salto qualitativo (“puntando più sulle riforme di carattere strutturale”) che porterà a rivendicare la socializzazione integrale dei beni di produzione: all’autogestione operaia. Naturalmente vie­ne fatta una netta scissione tra Movimento Sindacale e demagogia dei vertici sindacali: questi ultimi alla spinta unitaria delle masse non hanno fatto seguito con una politica sindacale corrispondente ma anzi hanno rispo­sto con una azione “insufficientemente cosciente” nel­la conduzione delle lotte per i contratti.

Si denota che l’atteggiamento dell’USI carrarese non è di aperta ostilità verso le confederazioni sindacali, non porta avanti il discorso del lottare al di fuori delle mediazioni confederali; ed è comprensibile visto il mo­mento (autunno caldo e scavalcamento proletario delle centrali sindacali CGIL-CISL-UIL) di dure lotte sul ter­ritorio nazionale che vedono il proletariato riversarsi

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sulle piazze e agire in prima persona nella conquista dei propri obiettivi. L’analisi continua andando a chiarire il genere delle rivendicazioni proletarie: l ’aumento del premio di produzione, la quattordicesima mensilità, i comitati antiinfortunistici, gli impianti igienici. Pur non essendo richieste sbagliate sono però richieste “zoppe”, facilmente e puntualmente riassorbibili dal sistema: sono “zoppe” perchè si deve avere il meno possibile bisogno dell’ospedaletto sul posto del lavoro o del comitato antiinfortunistico. Occorre quindi indi­viduare l ’obiettivo giusto, obiettivo che rappresenti una conquista inalienabile, cioè non recuperabile dal sistema; tale obiettivo consiste nella riduzione dell’ora­rio di lavoro a parità di salario (nel caso specifico di Carrara si punta alla giornata lavorativa di 5 ore : infatti già dal 1911 con le lotte anarco-sindacaliste i cavatori avevano conquistato le 6 ore lavorative al giorno). La riduzione della giornata lavorativa si impone non solo per dimezzare gli infortuni sul lavoro ma anche “ ... per tenere il passo con le generali istanze di migliori condi- zini di vita che da tutte le parti del mondo si manifesta­no, sia nell’ambiente di lavoro, sia fuori di esso, in mo­do che ognuno possa godere di un maggior tempo libe­ro per dedicarsi con maggiore partecipazione agli avve­nimenti culturali, politici e sociali.”

Un altro esempio, oltre a Carrara, è quello di Geno­va (altra zona di tradizione storica dell’USI) dove “gli Anarco-Sindacalisti dell’USI” (cosi si firmano in una serie di volantini e documenti) sentono la necessità di scuotersi e scuotere il movimento dal torpore in cui vi­ve oramai da molti anni in modo da reinserirsi nella quotidianità delle lotte proletarie : veniamo definitiingenui sognatori. Lo sono piuttosto coloro i quali spe­rano di poter scardinare il meccanismo capitalista, che va sempre più perfezionandosi, concentrandosi a livello intemazionale, con qualche riforma che non intacca minimamente i rapporti di potere, che non cambia la nostra condizione di sfruttati, ma che è uno strumento nelle mani del capitalismo avanzato, un tentativo di integrarci sempre più nel processo produttivo, il cui

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costo ricade sulle spalle del proletariato stesso...” . E ’ sentito, dunque, l ’impegno della “propaganda contro le illusioni riformiste ed autoritarie, nella organizza­zione dei consigli, delle realtà diverse in cui agisce lo sfruttamento (fabbrica, quartiere, scuola, esercito), nella lotta contro il sistema borghese su obiettivi che garantiscono l ’Autonomia Operaia dai tranelli del capi­tale” .

A differenza dei sindacalisti di Carrara, quelli di Ge­nova puntano alla alternativa libertaria. Ed è una con­seguenza logica, rispetto alle posizioni carraresi, poiché ormai i sindacati hanno recuperato quasi tutta la po­tenzialità rivoluzionaria espressa dalle masse giovanili e proletarie del periodo pre e post autunno caldo.

La propaganda e le lotte degli “Anarco Sindacalisti dell’USI” sono protese a far penetrare nella massa degli sfuttati le lotte contro la differenziazione delle catego­rie (arma in mano al padronato per dividere ancor più la classe), la coscienza del rifiuto dello straordinario e per l’otteniemnto immediato (invece che a scadenze) della riduzione dell’orario di lavoro (40 ore settimana­li). Immersi nelle realtà si muovono all’interno delle medesime propagandando e spingendo su determinati problemi quali la nocività, il cottimo, sulla funzione dei delegati di reparto, sui C.d.F. e sui consigli di quar­tiere: strumenti originariamente nati dal basso ma re­cuperati in un secondo tempo sia dai sindacati che dal­le autorità civili che li hanno trasformati in cinghie di trasmissione tra i vertici e la base.

Negli anni che vanno dalla rifondazione dell’USI (1950) al 1969 la produzione di lotte in pratica non c’è stata, nel senso che i singoli militanti hanno agito nelle proprie realtà senza aggregare situazioni reali consisten­ti. E questo fatto è dimostrabile anche scorrendo i bol­lettini dell’USI (USI: Bollettino d ’informazione, Geno- va-Pegli), ciclostilati che vengono prodotti 3-4 volte al­l ’anno. La buona volontà dei pochi compagni è tesa, in mancanza d ’altro, a fare della controinformazione sin­dacale riproponendo scritti di figure storiche come A. Meschi, a informare dei fatti che accadono nel mondo

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(massacri del Congo), a scuotere dal torpore le masse per indirizzarle ad esprimere solidarietà verso gli Anar­chici della Spagna franchista come nel caso dell’arresto in Spagna e della condanna di S. Christie. Ed è proprio sui fatti di Spagna che PUSI (soprattutto la sezione di Genova-Pegli) organizza alcuni “convegni antifranchi­sti” tramite un “Comitato di Liberazione per la Spagna Libera” : chiara dimostrazione di come, da sempre, i lavoratori libertari guardano alla Spagna e all’insegna­mento che essa ha dato nella breve “estate dell’Anar­chia” del 1936-’39.

In pratica le pubblicazioni dell’USI contengono, ol­tre agli avvenimenti quotidiani, tutta una serie di arti­coli storici (dalle “Soluzioni” del congresso di S. Imier alla pubblicazione integrale a puntate di opuscoli tipo “La rivoluzione sociale in Italia”), imperniati sempre in un ambito di discorso libertario in modo da offrire de­gli strumenti alle masse, strumenti tratti dalla esperien­za proletaria.

Nell’azione pratica, oltre alla presenza libertaria in alcune fabbriche (come nell’Ansaldo a Genova), è mol­to attiva la sezione dell’USI di genova-Sestri la quale organizza e avvicina varie iniziative come la vertenza degli impiegati tecnici licenziati per limiti di età met­tendo a disposizione oltre ai locali anche gli strumenti per la lotta (avvocato, stampa, circolazione nel territo­rio delle notizie). Altro campo di intervento è “la de­nuncia del malcostume negli “Enti associativi” e la corruzione determinata dalla burocrazia e partitocra­zia; in questo ambito vengono denunciate le municipa­lizzazioni romane e bolognesi dove viene fatta una poli­tica di assunzioni clientelari da parte dei partiti che si dividono la torta.

Nel 1966 in vista del 4° congresso dell’USI i militan­ti sindacalisti sono impegnati in un dibattito pre-con- gressuale a cui partecipano, oltre ai singoli lavoratori sparsi in tutta Italia, tutte le sezioni presenti nel terri­torio: USI di Forlì, USI di Carrara, USI di Genova-Pe­gli, USI di Piombino, USI di Sestri. Argomento base è lo statuto o, preferibilmente, i Principi dell’Unione

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Sindacale Italiana che sono i seguenti fin dalla rifonda­zione avvenuta nel 1950:

PRINCIPI DELLA UNIONE SINDACALE ITALIANAl a parte

1 - L'Unione Sindacale Italiana, aderente alla A.I.T. (Associazione Internazionale dei Lavoratori) è costitui­ta;2 - L'Unione Sindacale Italiana è l'organizzazione na­zionale di tutti i lavoratori del braccio e del pensiero, di ogni sesso e nazionalità residenti in Italia che si pro­pongono di raggiungere con le proprie forze l'emanci­pazione dell’uomo liberandosi da qualsiasi dominio economico, politico, morale;3 - Essa ha per scopo di sostituire alla presente società autoritaria e capitalista, l'organizzazione federalista e razionale della produzione e della ripartizione, alla lot­ta fra gli uomini, la solidarietà umana;4 - Mentre tende alla socializzazione dei mezzi di pro­duzione e di scambio, l ’abolizione dello Stato e dei dogma, la Unione Sindacale Italiana si adopera a realiz­zare per i lavoratori tutti quei miglioramenti materiali e morali immediati: DIMINUIZIONE DELLA GIORNA­TA LA VORATIVA, A UMENTO DEL POTERE D'AC­QUISTO, RISPETTO ED IGIENE SUL POSTO DI LA ­VORO, ecc. che il proprio rapporto di forza consente per tempo e per luogo;5 - L ’Unione Sindacale Italiana è autonoma. Non è tri­butaria di nessun partito politico, movimento specifi­co, filosofico, religioso ecc., e si rifiuta di seguire chic­chessia in azioni non concordate, rifiuta ogni alleanza permanente. Si impegna solo per fatti ed azioni limita­ti e ben definiti; pertanto qualunque aderente che si la­sciasse portare candidato politico o di pubblici poteri cessa automaticamente di far parte della Unione Sinda­cale Italiana;6 - L ’Unione Sindacale Italiana combatte la gerarchia dei salari e stipendi, fattore — tale gerarchia — di disu­nione tra i lavoratori; non riconosce la scala dei valori, perchè, oltre ad essere una creazione artificiale, essa non può esistere che in una società fondata sull'antago-

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msmo degli interessi;7 - La struttura organica e il funzionamento dell'USI sono di tipo federalista, contrari ad ogni accentramen­to burocratico e corporativista;8 - Nel caso in cui l'afflusso di elementi eterogenei des­se luogo ad una votazione maggioritaria a scopo devia­zionista dal carattere originario dell'USI, questa è au­tomaticamente sciolta e la si intende ricostituita se­duta stante secondo le norme e lo spirito del presente statuto con diritto esclusivo a tutto il capitale sociale;9 - Qualora una sezione di località o categoria dovesse scioglersi il suo capitale sociale sarà devoluto all'USI e, se l'USI dovesse sciogliersi, il suo capitale sociale sarà devoluto all'AIT;10 - Il presente statuto può essere modificato dal solo congresso nazionale sempre che questo non significhi una deroga dello spirito informatore dei principi del- l'USI.

//“ parte11 - Gli incaricati alle mansioni organizzative per il fun­zionamento dell'USI, liberamente eletti dagli organiz­zati, svolgono il loro mandato eseguendo volta a volta i deliberati delle assemblee;12 - Gli organi dell'USI (commissioni di categoria, se­zionali, provinciali, regionali, nazionali) sono esecutivi mentre sono deliberativi: le assemblee di categoria e se­zionali, i convegni provinciali, regionali e nazionali;13 - Ogni commissione o delegato è organo esecutivo dell’assemblea che lo ha nominato ed esplica solo quel­le mansioni di cui è mandatario;14-1 membri della commissione nazionale vengono eletti direttamente dagli organizzati i quali possono so­stituirli ogni qualvolta lo ritengono opportuno;15 • La commissione nazionale funge anche da commis­sione di controllo dell’organo ufficiale dell’USI (giorna­le);16-11 congresso dell'USI, che avrà luogo ogni anno, viene organizzato dalla commissione nazionale in fun­zione esecutiva dei deliberati delle assemblee sezionane

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e di categoria;17-11 congresso nazionale può essere inoltre, convoca­to straordinariamente ogni qualvolta richiesto dalla maggioranza degli aderenti, ferme restando le disposi­zioni del punto 16:18 - L ’USI trae i mezzi finanzari dal tesseramento;19 -11 capitale sociale dell’USI serve esclusivamente per l'attività sindacale.

Nel dibattito precongressuale da parte della sezione USI di Sestri Ponente viene avanzata la proposta di in­centrare l ’incontro su alcuni temi centrali quali:- problemi dei lavoratori, contratti, metodi di lotta, ri­vendicazioni;- stampa: necessità di pubblicare un giornale “organo dell’USI”;- posizione dell’USI di fronte al flagello della guerra.

La praticità operante che può avere una organizza­zione dei lavoratori nel far capire le impostazioni che dovrebbero avere le sezioni di lotta è vista, dai militan­ti di Sestri-Ponente, come necessità impellente (nel mo­mento in cui tutta la classe è in lotta per i rinnovi con­trattuali) che vada al di là della conquista di pochi soldi (subito recuperabili dal sistema stesso); è necessario far capire quali siano le azioni consistenti: togliere le spe­requazioni, livellare i salari più bassi alla pari dei più al­ti determinando in questo modo la “solidarietà fattiva” fra gli sfruttati. Obiettivi da raggiungere impostando la azione diretta e decisa ” ... ed incamminarci verso altri traguardi che ci stanno davanti...”

In questi ultimi anni il movimento libertario ha sem­pre avuto paura di “sporcarsi le mani” andando a fare dell’interventismo sindacalista assieme alle confedera­zioni (o come le confederazioni), ha sempre avuto pau­ra di non essere più “purista” accettando un certo ter­reno d ’intervento. Questo dato di fatto viene affronta­to dai lavoratori libertari di Sestri-Ponente i quali fan­no notare la loro esperienza d ’intervento nella zona e soprattutto nel caso specifico tra i lavoratori della Bruzzo licenziati: tra questi lavoratori la solidarietà che

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l’USI ha portato, oltre alla presenza nella lotta contro i licenziamenti, ha permesso che un gran numero di persone si avvicinasse e venisse a conoscienza di un mo­do diverso di fare sindacalismo. Basta, dunque, con lo “stare alla finestra” a guardare giudicando quel che succede attorno (caratteristica di una fase del movi­mento libertario), occorre essere presenti senza paura di perdere il “purismo” ideologico, occorre che tutte le sezioni si mettano d ’accordo per un intervento unitario non solo di solidarietà ma di pratica, di lotta: “ ... sorge la necessità dell’intervento collettivo — Genova Sestri. Piombino, Livorno, Carrara, Forlì, Roma, Ventimiglia, Bologna, ovunque vi è anche un singolo compagno del- l ’USI. Provvedere simultaneamente e collegialmente di identico materiale a seconda della circostanza...” In pratica i compagni di Sestri-Ponente spingono affinchè da posizioni codiste, L’USI si trasformi in agitatore e trascinatore di situazioni di lotta.

Ma non tutte le sezioni ritengono utile un congresso a breve scadenza (Roma, Ventimiglia) soprattutto a causa della poca chiarezza che vi è tra gli Anarchici in merito all’anarco-sindacalismo. Infatti nell’organizza­zione specifica nazionale (Federazione Anarchica Ita­liana) è prevalente il dubbio che il sindacalismo rivolu­zionario possa apportare alle masse l’ideale anarchico (questo campo è ritenuto fattibile solo dalla organizza­zione specifica); ne consegue perciò una differente ve­duta tra i settori libertari circa l ’intervento nel sociale. Da parte degli anarco-sindacalisti si ritiene necessaria l’azione sindacalista poiché se questa mancasse (non apportando tra il proletariato le idee di azione diretta, di rifiuto della delega...) lo stesso ideale anarchico si ri­durrebbe solo ad una idea accessibile ad una élite ma al di fuori delle masse: e come è noto solo le masse posso­no cambiare le proprie sorti (l’emancipazione del prole­tariato sarà opera del proletariato stesso). Fatta questa chiarezza nel movimento specifico si potrà andare avanti più uniti ed incisivamente.

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SEI DOMANDE AGLI ANARCHICI

1) — E ' il problema operaio fondamentale per la vita del Movimento? Perchè?

2) — Ritieni da un punto di vista pratico ancora valida la lotta sindacale?Perchè?

3) — Ritieni che un sindacato ad ispirazione anar­chica, come ad esempio la CNT spagnola, possa dare al Movimento anarchico italiano una maggiore possi­bilità di penetrazione tra le masse senza venir meno ai principi fondamentali dell’Anarchismo?

4) Ritieni coerente che ogni compagno si occupi del problema operaio aderendo a questo o a quel sin­dacato?

5) — Ritieni che, nelle condizioni in cui si muo­vono attualmente le organizzazioni sindacali siano ancora validi — per le masse operaie italiane — i concet­ti della guerra di classe rivoluzionaria e possibile la fondazione di un'organizzazione sindacale a tendenza soreliana, che ebbe i suoi teorici italiani in Enrico Leone e Arturo Labriola prima maniera in quanto fini ministro del lavoro).

6) — Esaminando le attività che da anni svolgono gli anarco-sindacalisti italiani e le loro pubblicazioni, ritieni siano più vicini a quello che praticano gli anar­co-sindacalisti della CNT o a quelle di ispirazione soreliana ?.

Con questa iniziativa dei lavoratori libertari lazia­li (“ appunti sul Movimento Operaio”) e allargata a tutte le sezioni dell’USI incomincia un altro dibattito per fare, una volta di più, chiarezza di ciò che pensa­no gli anarchici italiani sulla questione del movimento operaio e il sindacalismo rivoluzionario in un momen­to, come è apparso nel dibattito precongressuale più sopra riportato in cui all’interno della organizzazio­ne specifica, la FAI, è prevalente la sfiducia nei con­fronti del sindacalismo: anche in quello libertario.

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In ogni sezione si sviluppa il dibattito e le posizioni risultano pressoché identiche soprattutto per quanto riguarda il primo punto: è fondamentale il problema operaio per la vita del movimento? Certo, è fondamen­tale. Esso fa parte integrante della vitalità del movi­mento, su questo sono concordi i sindacalisti liberta­ri i quali si richiamano, per dare più corpo alle loro posizioni, alle deliberazioni del Congresso di S. Imier (1872) e soprattutto al IV punto dei principii. A S. Imier (nello Jura svizzero, zona di tradizioni anarchi­che, le cui idee erano diffuse tra i lavoratori degli o- rologi) nel 1872 si riunirono i delegati antiautori­tari della Prima Intemazionale per prendere le deci­sioni in merito al colpo di mano attuato dagli “auto­ritari” (e specialmente da Marx) i quali, in un con­gresso all’Aja convocato in gran segretezza e in assen­za degli antiautoritari, capovolsero uno dei principi fondamentali dell’Internazionale, quello riguardante 1’“abbattimento” dello Stato: per loro non valeva più 1’“abbattimento” dello Stato ma la “conquista” dello Stato dando cosi origine alla teoria della “dittatura del proletariato”. E’ questa la causa che ha provoca­to la scissione tra gli autoritari e gli antiautoritari; questi ultimi si riunirono a S. Imier riconfermando i principi antiautoritari che saranno fatti propri dal movimeto anarchico internazionale.

Qui di seguito è riportato il IV punto delle delibera­zioni di S. Imier che riguardano il movimento dei la­voratori e a cui si richiamano i sindacalisti deU’USI per spingere tutti gli anarchici ad entrare nel vivo delle lotte e uscire dall’isolamento in cui si sono rin­chiusi:

"... la libertà e il lavoro sono la base della morale, della forza, della vita e della ricchezza dell'avvenire. Ma il lavoro, se non è liberamente organizzato, diven­ta oppressivo e improduttivo per i lavoratori ed è per questo che l'organizzazione del lavoro è la condi­zione indispensabile della reale e completa emanci­pazione dell'operaio...'' "... nonostante il lavoro non

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può esercitarsi liberamente senza il possesso delle ma­terie prime e di tutto il capitale sociale, e non può organizzarsi se l'operaio emancipandosi dalla tirannia politica ed economica non conquista il diritto di svi­lupparsi completamente con tutte le sue facoltà. Ogni Stato, e precisamente ogni governo ed ogni am­ministrazione delle masse popolari, esercitanti il lo­ro potere dall’alto al basso, essendo necessariamente basati sulla burocrazia, sull’esercito, sullo spionaggio, sui preti, non potranno mai stabilire la società orga­nizzata sul lavoro e sulla giustizia, poiché, per la sua natura stessa, l ’organismo statale è fatalmente spin­to ad opprimere questo ed a negare questa. L ’opera­io non potrà mai emanciparsi dall’oppressione secola­re se allo Stato assorbente, demoralizzante, non sosti tuirà la libera federazione di tutti i gruppi produtto­ri basati sulla solidarietà e sull’uguaglianza...”.

"... Infatti in diversi luoghi si è già tentato di orga­nizzare il lavoro per migliorare la condizione del proletariato, ma anche la minima miglioria è immedia­tamente assorbita dalla classe privilegiata che conti­nuamente tenta, senza freni nè limiti, di sfruttare la classe operaia. Ma il vantaggio di questa organizzazio­ne è tale che, anche nello stato attuale delle cose non si saprebbe rinunciarvi. Essa fa fraternizzare sem­pre più il proletariato nella comunità degli interessi, l ’esercita alla vita collettiva, lo prepara alla lotta supre­ma.

Più ancora, l ’organizzazione libera e spontanea essendo quella che deve sostituire l'organismo privi­legiato e autoritario dello stato politico, essa sarà, una volta instaurata, la garanzia permanente del man­tenimento dell’organismo economico contro l ’organi­smo politico. Per conseguenza, lasciando alla pratica della rivoluzione sociale i dettagli dell'organizzazione positiva, noi intendiamo organizzare e rendere soli­dale la resistenza su larga scala... ”

Nonostante il periodo (inizio anni ’60) di riflusso della classe lavoratrice, un riflusso causato dalla sven­

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dita della lotta da parte dei sindacati tramite gli accor­di antiproletari col patronato (come nel caso della “giusta causa” nei licenziamenti) che porta un gran numero di lavoratori a stracciare la tessera e disinte­ressarsi di tutte le questioni sindacali, i sindacalisti libertari vedono nello strato proletario d ’avanguardia (che non si riconosce più nel sindacalismo ufficiale) il soggetto principale con cui aggregarsi sindacalmente in sesnso rivoluzionario.

La conclusione, dunque, è che la “lotta sindaca­le è ancora valida, anzi maggiormente validissima te­nendo conto che i problemi debbono essere affronta­ti dai lavoratori...”; la lotta operaia, nel suo concetto praticato dagli anarchici, ha una positiva esperienza, che, “molto può influire su quelle forze rimaste sul­la breccia. E’ lì che dobbiamo guardare, intervenire con tutte le nostre energie per riscattare i veri dirit­ti della classe lavoratrice”. Per questo la struttura sin­dacale dell’USI ricalca quella adottata dalla CNT spa­gnola; essa è l ’organizzazione rivoluzionaria che si po­ne come coagulo di tutte quelle iniziative come i “Comitati di Agitazione” e i “Comitati di Azione Di­retta” che sono sorti per iniziativa di compagni liber­tari in diverse località del territorio sull’onda di azio­ni e momenti specifici come la salvaguardia del posto di lavoro. Non avendo tali “Comitati di Agitazione” e “Comitati di Azione Diretta” la possibilità di porsi come momento globale rivoluzionario contro il patro­nato ma agendo solo in determinate circostanze ed isolati, rimangono sterili perchè non compresi e si esauriscono da sè: da qui la necessità dell’USI come or­ganizzazione che allarghi il fronte delle lotte proleta­rie e raccolga tutto il potenziale rivoluzionario delle masse senza mettersi in contraddizione coi principi libertari dal momento che non è e non può divenire autoritaria, perchè sono i lavoratori stessi organizzati che prendono le decisioni gestendo in prima persona le lotte e gli strumenti attraverso l’azione diretta.

Dunque un sindacato di ispirazione anarchica non è solo un mezzo valido di penetrazione nella massa

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lavoratrice ma anche di preparazione e formazione cosciente del lavoratore ignaro delle concezioni anar­chiche, che gradualmente può acquisirne coscienza fino a divenire parte integrante dell’anarchismo man mano che diventa parte operante del sindacalismo rivoluzionario come lo persegue la Unione Sindacale Italiana: “l ’Unione Sindacale che è risorta dalle mace­rie fumanti di una immane distruzione, col peso dell’ esilio, carcere, persecuzioni di quanti si sono dedicati alla lotta per la libertà, giustizia sociale del paese e del mondo intero. A farla risorgere sono stati gli stes­si militanti della gloriosa USI del passato che ne han­no deciso la ripresa nel 1950 poiché le esigenze della situazione operaia erano prementi come lo sono tu tto ­ra prementi per una USI maggiormente sviluppata e potenziata, ed è questo uno fra i tanti motivi che de­terminano la legittimità della esistenza di un’anarcosin- dalismo in un paese capitalistico come l’Italia ove il lavoratore è sfruttato, vilipeso, mortificato ed affron­ta continuamente la lotta per una totale liberazione dalla schiavitù”.

Da tutto il dibattito fatto nelle sezioni della USI emerge non solo la volontà ma anche l’invito rivolto a tutti gli anarchici italiani affinchè si impegnino nel­le lotte quotidiane come nel passato poiché dalle lotte, dal quotidiano, dalla realtà e non fuori di essa l ’idea libertaria trae forza per rimanere ancorata nella massa. In caso contrario diventa un modo filosofico di inten­dere la vita. Di conseguenza, la sezione Usi di Genova Sestri presenta una mozione, conseguenza del dibatti­to tra tutte le sezioni e sulla quale i lavoratori dell'USI sono concordi,rivolta al Movimento Anarchico:

TENUTO CONTO che l'interessamento degli anar­chici sul movimento operaio è parte integrante, come le altre attività, alla vitalità del Movimento Anarchico;

CONSIDERATO che il sindacalismo da tempo ed attualmente praticato dalle centrali sindacali partiti­che, direttamente o indirettamente risulta sulla linea di sfacciato collaborazionismo col capitalismo di Sta-

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to e privato, i quali riflessi portano al completo e gra­duale svuotamento del Movimento Operaio;

CONSIDERATO per il motivo di cui sopra, l ’impo­tenza di dette centrali sindacali, l'impotenza appunto che permette l ’intransigenza padronale a raggiungere i propri obiettivi e scopi, imponendo massicci licenzia- meti, sospensioni dal lavoro di forti aliquote di lavo­ratori ed altre non meno gravi ingiustizie che pregiudi­cano il diritto umano di vivere a quanti tutto produ­cono;

TENUTO CONTO che il rapporto agli innumere­voli Enti strutturati e surrogati di Stato oggi esistenti è in atto la strumentalizzazione delle centrali sindacali, cosiddette ufficiali, che sono per la loro caratteristica più volte evidenziata sulla stessa linea del triste cor­porativismo fascista convergente alla concezione di stato o coesistenza dir si voglia così dicasi per i sinda­cati “autonomi”, determinando una nuova classe di élite sindacai partitica con gravi conseguenze per i la­voratori;

TENUTO CONTO del reale malcontento esistente fra i lavoratori contentativi di insubordinazione e ri- bellione al dirigismo padronale e sindacai partitico;

VALUTATO alla vera luce dei fatti il proficuo ope­rato degli anarcosindacalisti della UNIONE SINDA­CALE ITALIANA che dal 1950 operano nella vita­lità del movimento operaio; volti alla trasformazione integrale dell’attuale società in una dei liberi e degli eguali per opera dei lavoratori stessi, quindi per pro­pria natura fa parte al patrimonio di affinità conver­gente al potenziamento della F.A.I.;

CONSTATATO che vi sono sintomi di viva espres­sione e volontà volti a dar vita a sezioni sindacali aderen­ti alla USI, nelle varie località ove compagni anarchici di già si pronunciano alfa concretizzazione delle loro aspirazioni di anarcosindacalismo, per l ’azione diret­ta di tutti gli sfruttati;

SI RITIENE che queste delucidazioni ed istanze siano oggetto di dibattito congressuale, non solo ma anche in seguito al quale vi partecipano i compagni

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di tutte le località che si interessano di tale materia; quindi risulta indispensabile che dette iniziative e vi­ve forze acquistino corpo evitando spreco di energie e, a tal uopo si può raggiungere se la FAI predispone gli elementi preparati al coordinamento collegante ed informativo, incoraggiando, suggerendo nel senso po­sitivo, quanti intendono approfondire la partecipazio­ne diretta al Movimento Operaio;

E ' SUPERFLUO sostenere che la stampa anarchica, massimamente l'organo della FAI, dedichi spazio per il movimento operaio, nello spirito di una attività co­ordinata, penetrante, educatrice alle lotte operaie, anche se provenienti dai compagni dell'Unione Sin­dacale Italiana — inteso che tutto ciò che non è pub­blicabile sia inviato al Bollettino Interno per maggior chiarificazione ed apertura di dibattito sull’argomento al quale possono partecipare tutti i compagni, dive­nendo in tal modo una palestra educativa di prepa­razione del militante anarchico.

Su detti punti gli anarchici del Genovesato aderen­ti all’Unione Sindacale Italiana, sezione di Sestri P., si impegnano col proprio contributo materiale e mo­rale a far sì che l ’operato degli anarchici diventi mag­giormente consistente in avvenire: la situazione lo esi­ge, rivendichiamo l'essenza e la vera figura del movi­mento operaio;

UNITI SAREMO UNA FORZA.

La volontà di un pugno di vecchi militanti della sto­rica USI, continuatori e propugnatori nella difficile situazione post-bellica di un movimento sindacalista libertario (lungi dall’essere quel movimento di massa che si è espresso fino al 1922), vedrà rifiorire alla fine degli anni ’60 quell’azione diretta tra il proletariato dei grossi centri industriali a livello nazionale; nel 1968, alla vigilia dell’autunno caldo ma nel pieno della rivolta giovanile, i vecchi bollettini deinJSI lasciano il posto ad un vero e proprio giornale :**LOTT A DI CLASSE” organo della Unione Sindacale Italiana: in essa già si comincia ad intravedere un salto qualita­tivo del movimento e questo per la realtà delle situa­

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zioni in cui si muove (come nei C.U.B. dell'ATM a Mi­lano, alla Ferrari di Maranello, nelle fabbriche di Se­stri...). Un salto qualitativo che verrà (momentanea­mente) stroncato dalla caccia all’anarchico che il po­tere sta preparandosi ad effettuare con le bombe di Milano.

Questa a larghissime linee l’esperienza dell’USI prima e dopo il fascismo fino alla fine degli anni '60. Da questo momento fino ai nostri giorni l’USI è sta­ta superata (nel senso della incisività delle lotte nelle situazioni) da tutta una serie di iniziative autonome (comitati di lotta, CUB, assemblee autonome, Nuclei Libertari di Fabbrica...) radicate nello scontro di classe e tendenti alla creazione di un’area rivoluziona­ria, autonoma tra lo strato proletario.

E’ giunto il momento della scelta per i lavoratori libertari: continuare ad essere reggicoda dei vari parti- ni, movimenti, centrali sindacali oppure essere nuovo soggetto aggregante proiettato alla costruzione auto­noma libertaria di classe. Sulla scelta di quest’ultimo punto non ci sono dubbi e già da tempo è in atto una serrata discussione per i tempi e i metodi con cui arri­varci.

E questa volta non si comincia col vuoto ma con un bagaglio di esperienze reali.

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Iericomeoggii carabinieri fermano i sovversivi

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RIVISTE E GIORNALI

Per l’Azione Diretta, mensile, Firenze; giornale anarcosindacalista.

Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe; quadrimestrale, Milano.

COMITATI di difesa sindacale; ciclostilati periodi­ci dell’OCL, Milano.

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INDICE

UNIONE SINDACALE ITALIANA: dalla creazionedell’USI all’avvento del fascismo.1912-1922...............................................................p. 7

CONSIDERAZIONI sulla esperienza della UNIONE SINDACALE ITALIANA.......................... p. 31

L’UNIONE SINDACALE ITALIANAnel secondo dopoguerra. 1945-1970 ..................... p. 35

Fonti....................................................................... p. 55

Bibliografia dell’anarco-sindacalismo.......................... p. 61

Indice.......................................................................... p. 63

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F in i to d i s ta m p a r e n e l m e s e d i a p r i le

p r e s s oL a C o o p e r a t iv a T ip o l i to g r a f ic a

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