organizzazione e gestione degli eventi

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EDIZIONI GIURIDICHE E IMON S Gruppo Editoriale Simone ® , /,%5, ',*,7$/, '* Organizzazione e gestione degli eventi Culturali Turistici Sportivi

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EDIZIONI GIURIDICHEEIMONSGruppo Editoriale Simone

®

Organizzazione egestione degli eventi

Culturali Turistici Sportivi

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Vietata la riproduzione anche parziale

Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Simone S.p.A.(art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)

Coordinamento redazionale: Nunzio Silvestro

Il Libro II (Gli eventi culturali, turistici e sportivi) è di Susanna Savastano.Il Libro III (Gestione integrata dei servizi e degli spazi culturali) è di Fiorella Zoppoli.

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PREMESSA

Il volume si propone come utile strumento per lo studio degli argomenti concernenti l’orga-nizzazione e gestione degli eventi culturali, turistici e sportivi, con una trattazione articolatain tre sezioni, così denominate:

1. Cenni di legislazione in materia di beni culturali (quadro storico della legislazione disettore e aggiornamenti normativi recenti; patrimonio culturale; organizzazione amministra-tiva; patrimonio immobiliare pubblico e privato; protezione, conservazione, espropriazione,fruizione e valorizzazione dei beni culturali; circolazione in ambito nazionale e internaziona-le; ritrovamenti e scoperte; sponsorizzazioni culturali; sistema sanzionatorio);

2. Gli eventi culturali, turistici e sportivi (modalità di svolgimento e gestione degli eventi inoggetto; principali modelli di evento; come progettare un evento/convegno; l’evento culturalenel contesto dei beni culturali e paesaggistici);

3. Gestione integrata dei servizi e degli spazi culturali (realizzazione e organizzazione di unevento: arena competitiva e contesto; concessione degli spazi; allestimento dei luoghi e deiservizi; strategie comunicative; funzionamento della segreteria ed altri elementi tecnici; aspettigiuridici, amministrativi e commerciali).

L’intera materia è riassunta in una precisa e completa sintesi, esaustiva per ciò che riguardal’approfondimento dei contenuti e razionalmente organizzata nella propria articolazione strut-turale. Semplicità di linguaggio, qualità dei contenuti e piena sincronia fra le nozioni proposte ei punti nodali delle corrispettive problematiche completano le caratteristiche salienti dell’opera.

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Libro I

Cenni di legislazione in materia di beni culturali

� INTRODUZIONEQuadro storico della legislazione italiana

in materia di beni culturali Pag. 7

� CAPITOLO 1Il patrimonio culturale Pag. 10

� CAPITOLO 2I beni culturali Pag. 17

� CAPITOLO 3L’organizzazione amministrativa Pag. 21

� CAPITOLO 4Il patrimonio immobiliare pubblico Pag. 35

� CAPITOLO 5Il patrimonio immobiliare privato Pag. 40

� CAPITOLO 6La protezione e la conservazione dei beni culturali Pag. 44

� CAPITOLO 7La circolazione in ambito nazionale Pag. 57

� CAPITOLO 8La circolazione in ambito internazionale Pag. 65

� CAPITOLO 9I ritrovamenti e le scoperte Pag. 71

� CAPITOLO 10L’espropriazione dei beni culturali Pag. 74

� CAPITOLO 11La fruizione e la valorizzazione Pag. 76

� CAPITOLO 12Le sponsorizzazioni culturali Pag. 84

� CAPITOLO 13Il sistema sanzionatorio Pag. 86

� CAPITOLO 14Aggiornamenti normativi Pag. 90

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� Introduzione �Quadro storico della legislazione italiana

in materia di beni culturali���

1. LA SITUAZIONE NEGLI STATI PREUNITARI

I beni culturali hanno formato oggetto di tutela nel nostro Paese fin dall’epoca degli Statipreunitari. Le prime forme di intervento si concretizzarono in norme, più o meno organiche,sulla tutela delle antichità, delle opere d’arte e dei beni archeologici.

Con l’editto del Cardinale Pacca del 7 aprile 1820 si realizza il primo provvedimento legislati-vo organico in materia di tutela e protezione artistica e storica che ispirò delle iniziative analo-ghe negli altri Stati Italiani preunitari (ALIBRANDI-FERRI).

Si evidenzia che in tutta l’Italia, nella sua articolazione nei diversi Stati preunitari, vi è la presadi coscienza dell’esistenza di un patrimonio artistico e della necessità della sua conservazione,evitando così l’esportazione delle cose d’antichità fuori dai confini dello Stato (GIAMBARBA).

Realizzatasi l’unificazione dell’Italia, lo Stato non si avventurò immediatamente nell’emana-zione di provvedimenti pubblici, che potevano conseguire anche natura limitativa dei beni diproprietà privata, ma si limitò a prevedere, con la L. n. 2359 del 1865, la possibilità di espropria-zione dei monumenti in rovina, a causa della mancata conservazione attuata dai proprietari.

2. LA PRIMA LEGISLAZIONE UNITARIA ITALIANA

È conoscenza comune che tra i principali problemi di politica interna da affrontare per ilneonato Regno d’Italia vi fosse anche quello della tutela dei beni culturali, soprattutto dopo l’in-cameramento delle opere d’arte delle corporazioni religiose, soppresse con le leggi del 1866-67(leggi eversive).

Il primo apparato amministrativo statale che si occupò del settore delle antichità e delle bellearti, a livello centrale, fu la Direzione generale degli scavi e dei monumenti, inserita dal 1875nel Ministero dell’istruzione pubblica, ed in seguito mutata nella denominazione, che divenneDirezione generale delle antichità e delle belle arti.

A livello periferico, invece, la competenza era stata da tempo affidata al Prefetto, che presiedeva tra l’altro la RegiaCommissione conservatrice dei monumenti e delle opere d’arte, a cui spettava il compito di vigilanza sulla conservazio-ne dei monumenti, con l’indicazione delle misure necessarie per impedirne il deterioramento.

Nel corso della prima guerra mondiale venne istituita, nell’ambito del Ministero della istru-zione pubblica, la Direzione Generale delle accademie e biblioteche e per la diffusionedella cultura (1916), mentre sin dalla fine dell’Ottocento l’Amministrazione degli Archivi di Sta-to era incardinata nell’alveo del Ministero dell’Interno. Una delle prime iniziative legislative ven-ne adottata nel 1902 con il varo della L. n. 185.

Il 20 giugno 1909 fu adottata la L. n. 364 relative alle antichità e le belle arti, che presentava notevolimiglioramenti rispetto alle precedenti esperienze, soprattutto per l’ambito della tutela pubblica.

Alla L. n. 364 del 1909 fece seguito il regolamento di esecuzione (188 articoli) adottato con R.D. n. 363 del 30 gennaio1913, mantenuto ancora in vigore per le norme applicabili, dall’art. 130 del D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e delpaesaggio) sino alla emanazione dei regolamenti e dei decreti ivi previsti.

3. LE LEGGI DEL 1939

La L. n. 1089 del giugno 1939, recante la Tutela delle cose di interesse artistico e storico,individuava in primo luogo l’ambito della propria disciplina estendendola alle cose, mobili ed

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Libro I: Cenni di legislazione in materia di beni culturali8

immobili, che presentavano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico. Inoltre, l’artico-lo 1 della legge elencava una serie di cose, indicate a titolo esemplificativo, e che formavanoanch’esse oggetto di tutela (le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitiveciviltà; le cose di interesse numismatico; i manoscritti, gli autografi, i carteggi, i documenti note-voli, gli incunaboli, i libri, le stampe e le incisioni aventi carattere di rarità e pregio).

Venivano altresì comprese nell’applicazione della legge le ville, i parchi e i giardini di interes-se storico o artistico. Infine, si aggiunsero anche quelle cose immobili che, a causa del loro rife-rimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte e della cultura in genere fosseroriconosciute di interesse particolarmente importante (art. 2).

Un’elencazione così puntuale delle cose di interesse artistico e storico non comportò tuttavial’affermazione del carattere esaustivo della stessa, lasciando spazio agli interpreti per ampliare lecategorie ivi comprese, talvolta anche con risultati eccessivi.

Tra le altre caratteristiche della L. 1089/1939, composta di 73 articoli, si ricorda il potenziamen-to dei mezzi di azione amministrativa con l’estensione dell’ambito di applicazione delle norme,come nel caso dell’assoggettamento alle disposizioni relative ai divieti di demolizione, rimozio-ne, modificazione e restauro anche delle cose mobili di privata proprietà (ALIBRANDI-FERRI).

In tema di protezione delle bellezze naturali, l’altra norma di riferimento è la L. n. 1497 del29 giugno 1939 recante la Protezione delle bellezze naturali. È, caratterizzata dalla previsione diquattro tipologie di bellezze naturali, suddivise in bellezze di insieme e bellezze individue, che hadeterminato in dottrina e giurisprudenza il radicarsi di quella opinione che vede nella individua-zione delle tipologie richiamate una concezione estetica più che tecnico-giuridica.

Conclude il quadro normativo di riferimento nello stesso arco di tempo, la L. 22 dicembre1939, n. 2006, recante la disciplina del nuovo ordinamento degli Archivi del Regno d’Italia, cheprevedeva la creazione di Archivi di Stato in ogni capoluogo di Provincia.

4. LA SUCCESSIVA EVOLUZIONE: DALLA COSTITUZIONE AL TESTO UNICO DEL 1999

L’art. 9 della Costituzione recita testualmente: «La Repubblica promuove lo sviluppo dellacultura e della ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico dellaNazione».

L’inserimento di questa disposizione nel sistema costituzionale è messo in evidenza dalla suacollocazione tra quelli che sono i Principi fondamentali della Carta. In questo senso, la norma-tiva sui beni culturali acquista un nuovo impulso con una scelta intesa a caratterizzare lo StatoItaliano come uno Stato di cultura. Tra i suoi compiti essenziali vi è anche quello della «promo-zione dello sviluppo e della elevazione culturale della collettività, nel cui quadro si inserisce comecomponente primaria la tutela del patrimonio storico e artistico e del paesaggio» (SANDULLI).

Il rafforzamento dei principi delle leggi del 1939, attraverso l’affermazione del principio costituzionale del valore cultu-rale del bene, inteso come strumento di elevazione della persona, non portò tuttavia a realizzare le speranze che vi eranocollegate. Il legislatore ordinario trascurò per quasi un ventennio la situazione drammatica del Paese con riferimento alpatrimonio culturale, privilegiando gli aspetti legati alla ricostruzione postbellica ed al successivo periodo di impulso econo-mico (ALIBRANDI - FERRI).

Finalmente, negli anni ‘60 il Paese prese coscienza della importanza dei compiti di protezione del patrimonio culturaleed ambientale, e su questa spinta fu costituita con L. 26 aprile 1964, n. 310, una Commissione di indagine per la tutela e lavalorizzazione delle cose di interesse storico, archeologico, artistico e del paesaggio (c.d. Commissione Franceschini, dal nomedel suo Presidente).

I risultati dell’indagine della Commissione furono raccolti in tre volumi, pubblicati con il titolo «Per la salvezza dei beniculturali in Italia», fornendo un quadro allarmante delle condizioni in cui versavano i beni artistici del Paese. Dal complessodelle 84 dichiarazioni discesero delle proposte relative alla estensione della nozione di patrimonio artistico, con una nuovadefinizione di bene culturale, che abbandonava la concezione estetizzante delle leggi del 1939 per abbracciarne una distampo storicistico («ogni testimonianza materiale avente valore di civiltà»). Inoltre, venivano indicate direttive di riformalegislativa in vista di un generale progetto (sintetizzato in 9 raccomandazioni) che investisse in breve tempo tutto il settoreculturale.

Ad un’altra Commissione (Papaldo), istituita per la prima volta il 9 aprile 1968 e per la seconda il 31 marzo 1971, spettòil compito di formulare un vero e proprio progetto di legge per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali, raccogliendo leindicazioni fornite dalla Commissione Franceschini.

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Introduzione: Quadro storico della legislazione italiana in materia di beni culturali 9

Finalmente, con la L. 8 ottobre 1997, n. 352, venne delegato il governo ad emanare undecreto legislativo recante un testo unico in cui far confluire, razionalizzandole, tutte le disposi-zioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali.

Il 20 ottobre 1999 venne approvato dal Consiglio dei Ministri il testo di cui al D.Lgs. n. 490/1999, meglio noto come Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali eambientali, a norma dell’articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352.

5. LA NORMATIVA PIÙ RECENTE

La pubblicazione del Testo Unico non comportò come conseguenza «naturale» il rallenta-mento o la cessazione della produzione normativa in materia, segnando al contrario un incre-mento della stessa, culminato con l’adozione di molteplici provvedimenti legislativi nel 2004.

Tra i provvedimenti significativi adottati si ricorda:

— il D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, recante Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani), che ha realizzatoil riassetto della materia innovando il contenuto di molti istituti;

— il D.P.R. 8 giugno 2004, n. 173, con cui è stato adottato il regolamento di organizzazione del Ministero per i beni e leattività culturali;

— la L. 15 dicembre 2004, n. 308, che ha introdotto importanti modifiche agli artt. 167 e 181 del D.Lgs. n. 42/2004, conriferimento alla materia paesaggistico-ambientale ed, in particolare, una sorta di sanatoria ambientale a regime;

— il D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 156 (Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, inrelazione ai beni culturali );

— il D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 157 (Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, inrelazione al paesaggio).

— il Decreto Ministeriale 27 settembre 2006, che ha introdotto i criteri e le modalità per la verifica dell’interesseculturale dei beni mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonchè ad ogni altroente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentano interesse artistico, storico,archeologico ed etnoantropologico;

— D.M. 26 maggio 2009, n. 86 (Regolamento concernente la definizione dei profili di competenza dei restauratori e deglialtri operatori che svolgono attività complementari al restauro o altre attività di conservazione dei beni culturali mobilie delle superfici decorate di beni architettonici, ai sensi dell’articolo 29, comma 7, del decreto legislativo 22 gennaio2004, n. 42, recante il codice dei beni culturali e del paesaggio);

— D.M. 26 maggio 2009, n. 87 (Regolamento concernente la definizione dei criteri e livelli di qualità cui si adegual’insegnamento del restauro, nonché delle modalità di accreditamento, dei requisiti minimi organizzativi e di funziona-mento dei soggetti che impartiscono tale insegnamento, delle modalità della vigilanza sullo svolgimento delle attivitàdidattiche e dell’esame finale, del titolo accademico relasciato a seguito del superamento di detto esame, ai sensi dell’ar-ticolo 29, commi 8 e 9, del Codice dei beni culturali e del paesaggio);

— D.P.R. 2 luglio 2009, n. 91 (Regolamento recante modifiche ai decreti presidenziali di riorganizzazione del Ministeroe di organizzazione degli Uffici di diretta collaborazione del Ministro per i beni e le attività culturali).

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� Capitolo 1 �Il patrimonio culturale

���

1. LA DEFINIZIONE DI PATRIMONIO CULTURALE

Il Codice dei beni culturali e paesaggistici (d’ora in avanti Codice), entrato in vigore il 1°maggio 2004, rappresenta la conclusione di un iter legislativo iniziato nel 2002 e proseguito perquasi due anni, con incertezze e dubbi, in alcuni casi anche di rilievo. Una delle novità maggior-mente significative del nuovo corpus di norme è sicuramente rappresentata dalla previsione diuna parte generale, che comprende i primi nove articoli, e che rappresenta la «chiave di lettu-ra» di tutte le norme contenute in quelli successivi. Come si vedrà più avanti, l’intervento dellegislatore nel 2006, così come quello nel 2008, ha in parte precisato il contenuto di alcune dispo-sizioni contenute nella Parte Generale. In particolare, si è trattato di un intervento diretto adefinire meglio le linee di confine tra l’azione statale e quella regionale nell’ambito delle funzioniproprie. Inoltre, nel 2008 il Legislatore è intervenuto con alcuni correttivi sia in riferimento aglienti ecclesiastici civilmente riconosciuti sia in riferimento all’attuazione degli obblighi interna-zionali derivanti dalla ratifica delle Convenzioni UNESCO per la salvaguardia del patrimonioculturale immateriale e la promozione delle diversità culturali (art. 7bis Espressioni di identitàculturale collettiva).

A) La scelta dello strumento del codice

Preliminarmente all’analisi di dettaglio delle singole disposizioni, una notazione va fattasulla scelta effettuata dal legislatore delegato in merito allo strumento giuridico da utilizzareper la regolamentazione della materia. In altri termini, è opportuno domandarsi il motivo percui, pur risalendo a pochi anni prima l’emanazione di un Testo Unico in materia di beni cultu-rali e ambientali, si è preferito non riformare lo stesso, ma procedere invece alla redazione diun Codice.

La domanda non appare fuori luogo se solo si rifletta sul fatto che Testo Unico e Codicecostituiscono due figure ben distinte nell’ambito delle fonti normative. Infatti entrambi, pur co-stituendo dei complessi organici destinati a regolare un vasto settore del diritto, presentano caratte-ristiche diverse.

In particolare:

— il Testo Unico è essenzialmente un riordinamento di leggi già in vigore, fatto per facilitarnela conoscenza e l’applicazione (TRABUCCHI);

— il Codice è un testo organico che ha valore normativo per sé, senza riferimento a leggi prece-denti, diretto a regolare la totalità di un vasto campo dell’attività giuridica (TRABUCCHI).

L’adozione della forma del Codice in luogo di quella della riforma del Testo Unico risponde inprimo luogo ad esigenze di aggiornamento delle norme del settore non più adeguate a regolare ifenomeni propri della tutela del patrimonio culturale e paesaggistico.

Tuttavia, la vocazione totalizzante del Codice nonché il suo carattere autonomo avrebbero do-vuto produrre come risultato una sostituzione delle norme precedenti ed un effettivo riassettodelle disposizioni legislative in materia. In realtà il Codice, per molti aspetti, sembra risponderepiù ad una razionalizzazione del Testo Unico per i beni culturali ed ambientali, ricalcandonesostanzialmente l’ambito materiale e, in alcuni casi, persino riproducendo il contenuto di normegià vigenti nell’ordinamento. È il caso, solo per fare un esempio, dell’art. 12 (Verifica dell’interesseculturale) in riferimento all’art. 27 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269.

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Capitolo 1: Il patrimonio culturale 11

Struttura del Codice dei beni culturali e paesaggistici

Il Codice (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137)è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2004 (D.Lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004).

Il corpus normativo si compone di 184 articoli e di 1 allegato (A), strutturati in cinque parti:

• Parte prima: Disposizioni Generali (artt. 1-9). Definisce il patrimonio culturale e disegna il rapportotra Stato e Regioni sulle competenze in materia di tutela e valorizzazione;

• Parte seconda: Beni culturali (artt. 10-130). Individua i beni culturali disciplinandone la tutela (TitoloI), la fruizione e la valorizzazione (Titolo II); un ultimo Titolo (il III) è dedicato a norme transitorie efinali di riferimento;

• Parte terza: Beni paesaggistici (artt. 131-159). È dedicata ai beni paesaggistici con un unico Titoloriferito alla tutela e alla valorizzazione;

• Parte quarta: Sanzioni (artt. 160-181). Disciplina le sanzioni amministrative e penali con riferimentoalla parte seconda e alla parte terza del Codice;

• Parte quinta: Disposizioni transitorie, abrogazioni ed entrata in vigore (artt. 182-184);• L’allegato A si riferisce ad un elenco di categorie di beni ed ai valori applicabili con riferimento al

commercio (art. 63, comma 1), alla esportazione di beni culturali nel territorio della U.E. (art. 74,comma 3) e alla restituzione di beni culturali illecitamente usciti dal territorio di uno Stato membrodella U.E. (art. 75, comma 3, lett. a).

B) La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale

Tornando all’esame del Codice ed in particolare della Parte prima, si ricava che è questo il«luogo normativo» in cui vengono precisate e individuate le definizioni dei concetti di tutela e divalorizzazione per l’adeguamento ai dettami prescritti dalla riforma del titolo V della Costitu-zione, ma anche dove viene adottata la nozione di patrimonio culturale, che modifica in partela tradizionale definizione di patrimonio storico-artistico.

Il richiamo principale operato dal legislatore è all’articolo 9 della Costituzione, alla cuiattuazione è chiamata la Repubblica, che tutela e valorizza il patrimonio culturale in coerenzacon le attribuzioni di cui all’articolo 117 Cost.

La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale assumono dunque un ruolo propulsoreconcorrendo a preservare la memoria della comunità nazionale e a promuovere lo sviluppo dellacultura (art. 1, comma 2). Sempre all’interno dell’articolo 1 del Codice — norma cardine delsistema — sono contenuti riferimenti ai compiti cui sono chiamati lo Stato, le Regioni, le cittàmetropolitane, le province, i comuni, gli altri soggetti pubblici ed i privati, secondo una diversagradazione di attribuzioni. In particolare, il comma 3 prevede che lo Stato e gli altri enti pubbliciterritoriali assicurano e sostengono la conservazione del patrimonio culturale e ne favorisco-no la pubblica fruizione e la valorizzazione.

Il comma successivo, con una indicazione residuale, attribuisce agli altri soggetti pubblici,nello svolgimento della loro attività, il compito di assicurare la conservazione e la pubblicafruizione del loro patrimonio culturale.

Il comma 5, tenendo conto della funzione sociale del patrimonio culturale, prevede che iprivati — proprietari, possessori o detentori di beni ad esso appartenenti — siano tenuti a garan-tirne la conservazione. Quest’ultimo comma, inoltre, è stato modificato dal D.Lgs. n. 62/2008nella parte dedicata ai soggetti privati sottoposti all’obbligo di conservazione. L’inserimento dellaformula riferita agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti chiarisce ancora una volta che tutti isoggetti che non rientrino nella categoria degli enti pubblici sono obbligati esclusivamente agarantire la conservazione dei beni di cui essi abbiano la materiale disponibilità.

L’ultimo comma dell’articolo 1, infine, contiene un’affermazione di principio che aggancia leattività di conservazione, fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale alla necessaria con-formità alla normativa di tutela.

È interessante notare come già in questo primo articolo sia sancita in modo perentorio ladistinzione tra le nozioni di tutela e valorizzazione che trovano puntuale definizione nei succes-sivi articoli 3 (Tutela del patrimonio culturale) e 6 (Valorizzazione del patrimonio culturale).

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Libro I: Cenni di legislazione in materia di beni culturali12

All’art. 2 del Codice viene stabilito che il patrimonio culturale è costituito dai beni culturalie dai beni paesaggistici, di cui viene data la definizione nei successivi commi.

In particolare, i beni culturali sono le cose immobili individuate agli articoli 10 (Beni cultura-li) e 11 (Beni oggetto di specifiche disposizioni di tutela) che presentano interesse artistico, storico,archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico, ma anche altre cose individuatedalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà.

Il comma 3 dell’art. 2 individua i beni paesaggistici (scompare il termine ambientale) dispo-nendo che sono tali gli immobili e le aree indicati all’art. 134 (Beni paesaggistici) costituentiespressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, ma anche glialtri beni individuati dalla legge o in base alla legge.

Infine, l’ultimo comma dell’art. 2 pone il vincolo della destinazione del patrimonio culturaledi appartenenza pubblica alla fruizione della collettività.

2. LA TUTELA DEL PATRIMONIO CULTURALE

Per la prima volta il legislatore procede alla tipizzazione del concetto di tutela, delineandoneil contenuto in modo certo rispetto a quanto previsto dal precedente sistema normativo.

Al primo comma dell’art. 3 si legge che la tutela consiste nell’esercizio delle funzioni e nella discipli-na delle attività dirette, sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti ilpatrimonio culturale e a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione. Alsecondo comma, si precisa che l’esercizio delle funzioni di tutela si esplica anche attraverso provvedi-menti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti il patrimonio culturale.

Un aspetto significativo della tipizzazione della tutela, cioè della esclusiva previsione norma-tiva del suo contenuto, consiste nel poter escludere dal suo novero attività che in precedenza vipotevano essere ricondotte. Un esempio può essere quello della conservazione.

Un ulteriore elemento che è dato riscontrare nella definizione offerta dall’art. 3 è dato da quelrichiamo ai fini di pubblica fruizione, che costituisce l’elemento adatto a ricondurre ad unità ladivisione effettuata tra tutela e valorizzazione con la riforma del Titolo V della Costituzione.

L’art. 117, comma 2, lett. s) della Costituzione, nella riforma attuata con L.Cost. n. 3/2001, ha compreso la tutela dei beniculturali tra le materie di competenza esclusiva dello Stato, mentre lo stesso comma ha annoverato tra le materie di legislazio-ne concorrente la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e la promozione e organizzazione di attività culturali.

Sotto questo aspetto, parte della dottrina sostiene che la scelta costituzionale ha prodotto una frattura tra l’attività ditutela e quella di valorizzazione che, dal punto di vista scientifico, non appare giustificata e, dal punto di vista amministra-tivo, crea non pochi problemi; ma soprattutto essa ha, in una certa misura, amputato la stessa funzione di tutela, sottraen-dole quell’insieme di attività che della tutela stessa rappresentano lo sbocco necessario: si individua, si protegge e si conservail bene affinché possa essere offerto alla conoscenza e al godimento collettivi.

La fruizione collettiva del patrimonio culturale diventa allora elemento da rendere comune sia alla tutela che allavalorizzazione per attenuare la frammentazione provocata dall’attribuzione delle competenze di riferimento a soggettiistituzionali diversi. Il meccanismo adottato è quello che porta a distinguere concettualmente la fruizione (attività di serviziodestinata all’ordinaria fruizione del patrimonio culturale) dalla valorizzazione (tensione al miglioramento nell’attuazione delservizio di fruizione) per giungere ad affermare che la fruizione è da ritenersi ascrivibile in misure percentuali di volta involta variabili, tanto alla funzione di tutela, quanto alla funzione di valorizzazione (relazione illustrativa al Codice).

3. LE FUNZIONI DELLO STATO

Lo Stato ha la esclusiva titolarità della tutela del patrimonio culturale. Si tratta di analizzarecome si sia giunti all’affermazione di questo principio nel sistema di riferimento, sulla base dellariforma del titolo V della Costituzione e la ridistribuzione delle competenze tra Stato e Regione.

Il mutato assetto istituzionale tra i due soggetti, con il conseguente nuovo riparto di compe-tenze, risponde a logiche proprie del c.d. federalismo amministrativo, nozione introdotta nel no-stro ordinamento con la normativa Bassanini e che vede in uno Stato «leggero» il primo passoverso una maggiore efficienza della sua attività.

In questa ottica risulta di primaria importanza procedere alla dismissione di funzioni non es-senziali, ripensando i compiti istituzionali dello Stato. Questo è avvenuto anche per il settore dei

Page 14: Organizzazione e gestione degli eventi

Capitolo 1: Il patrimonio culturale 13

beni culturali con una nuova ripartizione di competenze tra Stato e Regioni, sulla base della distin-zione tra tutela e valorizzazione, introdotta nel nostro ordinamento con il D.Lgs. n. 112 del 1998.

Infatti, in base all’ultima normativa richiamata (artt. 148 e ss.), vengono proposte delle definizioni di tali nozioni unita-mente a quella di gestione, e precisamente intendendosi per:

• tutela, ogni attività diretta a riconoscere, conservare e proteggere i beni culturali e ambientali;• gestione, ogni attività diretta, mediante l’organizzazione di risorse umane e materiali, ad assicurare la fruizione dei

beni culturali e ambientali, concorrendo al perseguimento delle finalità di tutela e di valorizzazione;• valorizzazione, ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione dei beni culturali e ambien-

tali e ad incrementarne la fruizione.

La distinzione, così operata da una norma ordinaria quale il D.Lgs. n. 112 del 1998, è stata inseguito assunta a principio di carattere generale e costituzionalizzata con la riforma operata dallaL.Cost. n. 3 del 2001.

Pertanto, è corretto affermare a tale proposito che la riforma del Titolo V della parte secondadella Costituzione ha suddiviso la materia dei beni culturali in due submaterie — tutela e valorizza-zione — appartenenti l’una alla legislazione esclusiva dello Stato e l’altra alla legislazione concor-rente, risultando scissa anche la potestà regolamentare che spetta allo Stato nelle sole materie dilegislazione esclusiva, come nel campo della tutela, e non in quello della valorizzazione (AICARDI).

In effetti, la distinzione operata è apparsa quasi subito artificiosa, confusa nella sua indivi-duazione e di difficile applicazione.

Risulta evidente che una volta avviato il processo di decentramento delle funzioni statali inmateria di beni culturali, lo stesso non poteva che essere portato alle sue logiche conclusioni edin questa ottica la costituzionalizzazione della distinzione in esame, operata dagli artt. 117 e 118Cost., rappresenta una tappa necessaria di quel processo.

Tuttavia, nonostante il passo compiuto, le resistenze alla dismissione delle competenze delloStato nella materia non sono cessate, alimentando un contenzioso importante con le Regioni,che da parte loro hanno chiesto ripetutamente l’effettivo riconoscimento del decentramento difunzioni in materia di beni culturali.

In questo quadro appena delineato si collocano sia l’art. 4 che l’art. 5 del Codice, dedicati alriparto delle funzioni amministrative tra Stato e Regioni in materia di tutela del patrimonioculturale.

Seguendo le innovazioni previste dalla revisione dell’art. 118 della Costituzione, le funzioniamministrative dovevano essere conferite alla istituzione più prossima ai cittadini secondo il prin-cipio di sussidiarietà, e nel rispetto dei principi di adeguatezza e differenziazione. In realtà, l’art. 4del Codice sembra contraddire, almeno in parte, questa indicazione, riproducendo la distribuzionedelle funzioni amministrative tra Stato e Regioni sulla base di quella operata per quelle legislative.Inoltre, l’attribuzione delle funzioni amministrative in materia di tutela viene effettuata impropria-mente a favore del Ministero per i beni e le attività culturali e non allo Stato (PASTORI).

L’improprietà dell’attribuzione — probabile frutto di una svista del legislatore — delle funzioni amministrative di tutelaal Ministero per i beni e le attività culturali si ricava agevolmente dal fatto che, rimanendo inalterata la norma, si assistereb-be all’insolito fenomeno per cui un Ministero «dispone» delle funzioni statali e addirittura ne conferisce l’esercizio alleRegioni (comma 1, art. 4). Resterebbero salve soltanto le funzioni di tutela di cui all’articolo 5, commi 2 e 6, attribuitedirettamente alle Regioni dal Codice.

4. LE FUNZIONI DELLE REGIONI E DEGLI ALTRI ENTI PUBBLICI TERRITORIALI

L’art. 5 del Codice prevede la cooperazione delle Regioni e degli altri enti pubblici territorialiin materia di tutela del patrimonio culturale. Anche in questo caso si deve sottolineare che lacooperazione non risulta da attuarsi tra Regioni — e gli altri enti pubblici richiamati dalla norma— e Stato, ma con il Ministero per i beni e le attività culturali, in coerenza con quanto dispo-sto nell’articolo precedente.

La norma prevede altresì l’esercizio da parte delle Regioni delle funzioni di tutela previste neicommi 2 e 6.

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Libro I: Cenni di legislazione in materia di beni culturali14

La norma è stata in parte riscritta a seguito dell’intervento del legislatore nel 2006, che hainteso precisare e rendere più chiara la consistenza e i limiti del conferimento di funzioni ditutela alle regioni, soprattutto in tema di beni librari.

Le funzioni di tutela previste dal comma 2 sono quelle che hanno ad oggetto «manoscritti,autografi, carteggi, incunaboli, raccolte librarie, nonché libri, stampe e incisioni, non apparte-nenti allo Stato». Rispetto alla previsione del 2004, il legislatore è intervenuto eliminando dal-l’elenco delle cose che costituiscono oggetto del conferimento i documenti, considerando l’inte-resse prevalentemente archivistico di questo tipo di beni culturali.

In definitiva, le regioni sono diventate intestatarie ex lege delle funzioni di tutela inerenti allecose indicate nel comma 2, non appartenenti allo Stato. Inoltre, possono ottenere, in virtù dispecifici accordi o intese con lo Stato, l’esercizio delle funzioni di tutela su carte geografiche,spartiti musicali, fotografie, pellicole o altro materiale audiovisivo, con relativi negativi e matri-ci, non appartenenti allo Stato (PORTALURI).

Una ulteriore modifica è stata operata con riferimento al comma 6 dalla novella del 2008. Ladisposizione fa riferimento alle funzioni amministrative di tutela dei beni paesaggistici, esercita-te dallo Stato e dalle regioni, introducendo ed operando un rinvio diretto alle disposizioni conte-nute nella Parte Terza del Codice. Tuttavia, già in sede di disposizioni generali si è ritenuto didover introdurre nel 2008 un chiaro riferimento alla nuova visione del paesaggio e della suatutela che in ogni caso deve poter assicurare un livello di governo unitario ed adeguato allediverse finalità perseguite nel contesto (ultimo periodo comma 6).

Le altre forme di cooperazione individuate nell’articolo 5 fanno riferimento a specifici accor-di che devono essere conclusi previo parere della «Conferenza Stato-regioni» (Conferenza perma-nente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Treno e Bolzano) con partico-lare riferimento alle cose indicate nel comma 3.

Tuttavia, nel successivo comma 4 si prevedono, in modo ampio e generico, possibili ulterioriforme di coordinamento in materia di tutela su richiesta delle Regioni, sulla base della necessa-ria applicazione dei principi di differenziazione ed adeguatezza.

L’ultimo comma dell’articolo 5 è stato costruito dal legislatore delegato in modo da riservareallo Stato consistenti prerogative rispetto alle funzioni che siano state attribuite alle regioni. Inquesta prospettiva, rispetto alle funzioni esercitate dalle regioni ai sensi dei commi 2, 3, 4, 5 e 6,al Ministero è riconosciuta la titolarità di un potere di indirizzo, vigilanza ed intervento sostitu-tivo in caso di perdurante inerzia o inadempienza. Parte della dottrina riferisce quest’ultimaindicazione, sulla perdurante inerzia o inadempienza, come extrema ratio di intervento del Mini-stero, che potrà ricorrervi solo quando sia venuto meno da parte regionale il principio della lealecollaborazione (TAMIOZZO).

La Conferenza Stato-Regioni

La Conferenza permanente per i rapporti fra Stato-Regioni-Province autonome è stata istituita nel 1983con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e confermata e resa permanente con la L. n. 400/1988 che ne ha disciplinato nel dettaglio composizione e competenze, in seguito definite ed ampliate conulteriori provvedimenti.La Conferenza costituisce il momento di incontro e di partecipazione alle decisioni relative alla politicastatale e a quella regionale.È la sede dove il Governo acquisisce il parere delle Regioni su atti amministrativi e normativi di interesseregionale.È composta dal Presidente del Consiglio dei Ministri — che la presiede –, dai Presidenti delle Giunteregionali e dai Presidenti delle province autonome, nonché dai Ministri di volta in volta interessati alletematiche in discussione.La Conferenza Stato-Regioni si riunisce mediamente ogni 15 giorni a Roma.

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Capitolo 1: Il patrimonio culturale 15

5. LA VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE

La nozione di valorizzazione accolta dal Codice non si discosta di molto da quella del giàcitato D.Lgs. n. 112/1998 — art. 148, lett. e) — caratterizzandosi per essere finalizzata alla pro-mozione ed al sostegno della conoscenza, fruizione e conservazione del patrimonio culturale(BARBATI).

La novità è costituita dal quadro normativo in cui la nozione di valorizzazione va ad inserirsi,e cioè nell’ambito della riforma del Titolo V della Costituzione.

Infatti, la valorizzazione diventa luogo di incontro/scontro tra le esigenze e le istanze chevengono dal centro, contrapponendosi con quelle della periferia. Come si è visto il legislatorecostituzionale ha proposto una demarcazione di competenze normative fra lo Stato e le Regionisulla base delle funzioni che possono essere ascritte ai beni culturali lato sensu: la tutela (potestàlegislativa dello Stato) e la valorizzazione (potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni).

Se ne ricava la necessità di individuare il contenuto della valorizzazione, oltre che quellodella tutela, per comprendere in senso compiuto il ruolo ricoperto nello svolgimento di entrambele funzioni. Per determinarlo, nel sistema del Codice, appare scontato in primo luogo contrap-porre le due funzioni verificandone i limiti reciproci. Da questo punto di vista è indubbio il ruolodi primato da assegnare alla tutela, che rimane in ogni caso misura di attuazione delle altre fun-zioni, e quindi anche della valorizzazione.

Resta fermo il carattere proprio della valorizzazione nella promozione della conoscenza delbene culturale e nell’assicurazione della sua utilizzazione e fruizione pubblica. Inoltre, nel con-cetto di valorizzazione devono essere comprese anche la promozione ed il sostegno degli inter-venti di conservazione del patrimonio culturale (art. 6, comma 1).

Da questo ultimo punto di vista è bene precisare che l’inserimento nel concetto di valorizza-zione della funzione di promozione e di sostegno degli interventi di conservazione, sembra ac-quistare un senso solo se la si intende diretta a migliorare le condizioni di fruibilità o di utilizza-zione del bene; diversamente si rischierebbe di rientrare nell’ambito della tutela che, come giàdetto, viene tenuta rigorosamente distinta dalla valorizzazione all’interno delle disposizioni delCodice.

Le prime critiche rivolte al contenuto dell’articolo 6 del D.Lgs. n. 42/2004, a seguito della suaentrata in vigore, si sono dirette alla mancanza di evidenti novità del testo codicistico rispetto aquello di altri provvedimenti normativi,come ad esempio il D.Lgs. n. 112/1998.

Il legislatore è intervenuto nel 2006 sull’art. 6 del Codice apportando integrazioni, sia in forzadel D.Lgs. 156 sia del D.Lgs. 157. Il primo decreto, ha aggiunto un riferimento conclusivo allaparte prima del comma 1, individuando nella promozione dello sviluppo culturale uno deglielementi finalistici che caratterizzano l’attività e le funzioni della valorizzazione, in ciò evocandoil primo comma dell’ art. 9 della Costituzione. Il secondo, ha risolto, o quantomeno moderato,l’asimmetria esistente in riferimento ai beni oggetto di valorizzazione. Infatti, come è statoosservato, nel Codice la valorizzazione è riferita all’intero patrimonio culturale, mentre nell’arti-colo 6 i principi fondamentali sono rivolti solo ai beni culturali e non anche a quelli paesaggistici(SEVERINI).

L’intervento del D.Lgs. 157/2006 si è realizzato con l’introduzione di una parte finale del com-ma 1 dell’articolo 6, in base al quale «…In riferimento ai beni paesaggistici la valorizzazione com-prende altresì la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposte a tutela compromessi o degra-dati, ovvero la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati…».

Con la novella del legislatore nel 2008 (DD.Lgs. 62 e 63 del 2008 si è intervenuti nuovamentesul primo comma dell’articolo 6 con opportune integrazioni sia in riferimento al settore paesag-gistico sia ai potenziali fruitori del patrimonio culturale. Il secondo aspetto, ad esempio, è statoriferito anche alle persone diversamente abili le cui esigenze devono essere prese in considera-zione al fine di garantire ed assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e di fruizione pub-blica dei beni culturali. Quanto al primo aspetto, invece, con una semplice modifica terminologi-ca da beni paesaggistici a paesaggio si è voluto sottolineare l’aspetto dinamico del governo delterritorio e la sua influenza per una corretta valorizzazione.

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Libro I: Cenni di legislazione in materia di beni culturali16

Nell’art. 7, dedicato alle funzioni e compiti in materia di valorizzazione del patrimonio cultu-rale, il legislatore delegato si limita a ripetere il contenuto del comma 3 dell’art. 117 della Costi-tuzione che assoggetta alla potestà legislativa delle Regioni la valorizzazione dei beni culturali,salvo per la determinazione dei principi fondamentali riservati alla legislazione dello Sta-to. Tali principi vengono fissati dal Codice — e precisamente dall’art. 111 all’art. 121 sulla basedel richiamo operato dal primo comma dell’art. 7 — e in ogni caso non devono essere intesi comeingerenza statale nella potestà legislativa concorrente delle Regioni, ma come espressione deiprincipi fondamentali che lo Stato è legittimato a porre (BARBATI).

Una importante novità è stata introdotta tra le disposizioni generali con l’inserimento dell’ar-ticolo 7bis (ad opera del D.Lgs. 62/2008) in tema di espressioni di identità culturale collettiva. Alriguardo il legislatore ha rispettato gli obblighi di adeguamento della normativa interna a quellainternazionale con il richiamo alla Convenzione in materia di protezione e promozione delle diver-sità e delle espressioni culturali, sottoscritta a Parigi il 20 ottobre 2005 e resa esecutiva con legge19 febbraio 2007, n. 19, ed alla Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immate-riale, resa esecutiva in Italia con legge 27 settembre 2007, n. 167.

La norma segna il limite di competenza tra ciò che pertiene al Codice ed alle Convenzionirichiamate. Infatti, soltanto quelle espressioni di identità culturale collettiva, prese in considera-zione dalle Convenzioni , che siano rappresentate da testimonianze materiali potranno essereassoggettate alla disposizioni del Codice, purché sussistano i presupposti e le condizioni perla tutela prevista dall’articolo 10.

Non si può fare a meno di osservare che allo stato siano davvero in numero esiguo le espres-sioni di identità culturale collettiva che siano rappresentate da testimonianze materiali e, per dipiù, che presentino i requisiti richiesti dal Codice. Tanto che la previsione dell’art. 7bis sembrarispondere ad un riconoscimento del principio di tutela anche per i beni culturali immaterialipiù che ad una effettiva esigenza applicativa.

Resta in ogni caso di sicuro riflesso positivo il riconoscimento della situazione internazionalee delle Convenzioni in materia.

Il successivo art. 8 ribadisce, facendole salve, le potestà attribuite in materia alle Regioni astatuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano dai rispettivi statuti e dalle relativenorme di attuazione.

Infine, l’art. 9 individua i principi in materia di rapporti con gli enti ecclesiastici in quei casiin cui vi sia in uno stesso bene la sussistenza dei valori culturali oltre che quelli di culto. Per i beniappartenenti agli enti ecclesiastici la disposizione in esame rinvia ad un modello basato sulleintese fra Stato e confessioni religiose, ed in ogni caso alla necessità di tenere comunque inconto, nell’esercizio delle funzioni di tutela, le esigenze di culto rappresentate dalle Autoritàreligiose interessate.

L’Intesa tra il Ministero per i beni e le attività culturali e la Conferenza Episcopale Italiana èstata siglata il 26 gennaio 2005. Esecuzione alla Intesa è stata data nell’ordinamento giuridicoitaliano con D.P.R. n. 78 del 4 febbraio 2005.

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� Capitolo 2 �I beni culturali

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1. IL BENE CULTURALE: DALLA L. 1089/1939 AL D.LGS. 42/2004

La nozione di bene culturale è relativamente recente, risalendo la sua prima utilizzazione inoccasione della redazione del testo della Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso diconflitto armato (14 maggio 1954, L’Aja). Un secondo protocollo relativo alla Convenzione del-l’Aja del 1954, adottato il 26 marzo 1999, è stato recentemente ratificato dal nostro Paese con laL. 16 aprile 2009, n. 245. In questo testo si ribadisce la validità della definizione di bene culturale,offerta sin dal 1954. Essa sostituisce la vecchia categoria di quelle cose di interesse storico-artistico o archeologico che era disciplinata dalla legge n. 1089/1939, assorbendo inoltre il c.d.patrimonio archivistico e documentale (tutelato dal D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409) e ibeni librari, nella individuazione che ne fa il D.P.R. 3 dicembre 1975, n. 805.

Nel sistema della legge n. 1089/1939 uno degli aspetti rilevanti, se non essenziale, degli ogget-ti o cose d’arte era proprio quello della loro connotazione materiale (realità) e della loro norma-tività (previsione espressa di legge delle categorie di cose), accogliendosi una concezione chericonosce nella cultura e nell’arte i caratteri della originaria e irripetibile creazione intellet-tuale o artistica dello spirito umano (ALIBRANDI - FERRI).

La nozione di bene culturale si prospetta in modo diverso con il passare del tempo, riallaccian-dosi a considerazioni che prescindono dalla materialità della cosa per poterla assoggettare a tutela.

In particolare, il bene culturale non viene più considerato come res, creazione unica dellospirito umano (o quantomeno non solo), ma come rappresentazione di un valore immateriale,esterno alla cosa ed espressivo del contesto storico e sociale. Le varie attività umane proiettanoun contesto storico di civiltà con cui si identifica la cultura, di cui l’arte è una delle espressioni(ALIBRANDI-FERRI).

Da quanto detto si evince chiaramente che la nozione di bene culturale è necessariamenteuna nozione aperta poiché risente profondamente della evoluzione di ciò che è consideratocultura da parte della Società. Così in epoca fascista, la concezione estetizzante e romanticadell’arte ha rappresentato lo sfondo in cui si è inserita la relativa nozione di bene culturale nellaL. 1089 e nella L. 1497, mentre con il passare del tempo si è fatta strada una nozione del beneculturale che fa leva sul ruolo di testimonianza del tempo e dell’ambiente in cui è sorta o si èformata (CASSESE).

Il dibattito sul bene culturale divenne vivace in ambito internazionale con nuove indicazionie direttive, mentre in Italia ancora si stentava a prenderne coscienza almeno sino alla secondametà degli anni ’60, caratterizzati nel nostro ambito di interesse dall’attività della già citata Com-missione Franceschini (v. introduzione par. 4).

La Commissione Franceschini nel 1967 introdusse in Italia la definizione di bene culturaleinteso come bene che costituisce testimonianza materiale di civiltà. In questo modo venne aproporsi una configurazione unitaria del bene culturale, a prescindere dal regime di proprietàdel bene stesso (RAGO).

Il concetto formulato dalla Commissione Franceschini è stato adottato in seguito anche dallaCommissione Papaldo, entrando nell’uso comune, ed ufficializzato nella sua dizione dal D.L. 14dicembre 1974, n. 657, convertito nella L. 29 gennaio 1975, n. 5, istitutivo del Ministero per i beniculturali ed ambientali, risultando utilizzato costantemente in seguito.

Elementi di novità nella definizione di bene culturale si ebbero a seguito dei primi dibattiti insede comunitaria relativamente al problema della circolazione internazionale di tali beni. Inquesta sede venne avanzata la proposta di individuare le categorie di beni culturali — attraversouna tabella — da sottoporre a regime limitativo della circolazione.

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Libro I: Cenni di legislazione in materia di beni culturali18

Il Testo Unico del 1999, perseguendo un disegno di razionalizzazione delle norme nel settoredei beni culturali, ha riorganizzato la legislazione vigente, estendendo in alcuni casi la definizio-ne di bene culturale a nuove tipologie di beni, che da tempo erano considerati tali dal sentirecomune. Si tratta delle collezioni demoetnoantropologiche, delle fotografie e degli esemplari diopere cinematografiche la cui produzione risalga ad oltre venticinque anni e anche i graffiti, lelapidi, le iscrizioni, i tabernacoli e gli altri ornamenti di edifici, esposti o no alla pubblica visione.Inoltre, dopo aver indicato negli articoli 2 e 3 le diverse categorie di beni culturali, il T.U. accoglieil concetto di bene culturale proposto dalla Commissione Franceschini, anche se per mera affer-mazione di principio, all’art. 4, dove si legge «…beni non ricompresi nelle categorie elencate agliarticoli 2 e 3 sono individuati dalla legge come beni culturali in quanto testimonianza avente valoredi civiltà…».

Per quanto riuarda il codice l’articolo 2, come si legge anche nella Relazione illustrativa alCodice, affronta il profilo contenutistico del patrimonio culturale, soffermandosi anche sul beneculturale. Il mantenimento di locuzioni come cose immobili e mobili è significativo del fatto divoler mantenere ferma la base sostanziale-materiale del bene culturale, pur lasciando la stradaaperta ad ulteriori individuazioni come beni culturali di oggetti caratterizzati in ogni caso dallamaterialità (è importante il riferimento alle altre cose individuate dalla legge o in base alla legge,secondo una tecnica già predisposta nel vigore del T.U. del 1999 con la previsione di cui all’art. 4,già richiamata in precedenza).

Significativo infine il criterio discriminatorio tra «beni» e «cose» all’interno del Codice, indi-viduando per i primi soltanto quelle cose per le quali sia stata accertata positivamente lasussistenza dell’interesse, mentre per «cosa» si deve intendere l’oggetto nella sua materialitàin considerazione della possibile sussistenza dell’interesse culturale.

2. LA RES CULTURALE

La Res Culturale allora può essere intesa come quella cosa che ha la possibilità di vederericonosciuto il suo carattere di interesse culturale. Per individuarne le singole articolazioni ènecessario riferirsi a quegli articoli del Codice che ne trattano direttamente.

Ad una prima lettura degli articoli da 10 a 17 si ricava una bozza di classificazione di resculturali in aree ben distinte, ciascuna con propria autonoma caratterizzazione.

La prima area è individuata dal comma 1 dell’articolo 10 (Beni culturali): si tratta dellecose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, non-ché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro ivicompresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico,archeologico o etnoantropologico.

Per questi beni trova applicazione la disciplina dell’art. 12 (Verifica dell’interesse culturale)che, sin dalla sua origine, tante polemiche e perplessità ha suscitato per la pretesa introduzionenel sistema del patrimonio culturale del c.d. silenzio-assenso, visto con preoccupazione da quantihanno ipotizzato l’uso di questo meccanismo ai fini di una svendita dei beni culturali in Italia.

La seconda area è rappresentata da una serie di beni che appartengono a soggetti pubblici(Stato, Regioni, gli altri enti pubblici territoriali, ogni altro ente ed istituto pubblico) per i quali l’inte-resse culturale è ritenuto sussistere ex se, come nel caso di raccolte di musei, pinacoteche, galleriee di altri luoghi espositivi; archivi, documenti e raccolte librarie, indicati al comma 2 dell’art. 10.

La terza ed ultima area riguarda tutti quei beni di appartenenza privata per i quali è previstala procedura di cui agli artt. 13 e ss. per l’accertamento della sussistenza dell’interesse.

Come si può ricavare agevolmente da quanto sin qui prospettato, queste tre grandi aree pos-sono essere suddivise in altre due grandi partizioni in base al criterio dell’appartenenza deibeni. Infatti, a differenza di quanto previsto dal D.Lgs. n. 490/1999, dove all’art. 2 era previsto ununico elenco di beni culturali, con alcune indicazioni esemplificative, nell’art. 10 del Codice sirealizza una divisione dei beni culturali sulla base del regime di appartenenza, sia essopubblico o privato.

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Capitolo 2: I beni culturali 19

Un’ulteriore differenza tra il Codice ed il Testo Unico riguarda la tipologia (o si potrebbe direanche la misura) di interesse che deve sussistere per far rientrare un bene fra quelli culturali.Infatti, mentre nell’art. 2 del D.Lgs. n. 490/1999 viene affermato in via generale che «…sono beniculturali […]: a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico,o demo-etno-antropologico…», nel Codice viene stabilita una diversità di gradazione dell’interes-se presente nel bene in relazione all’appartenenza del bene stesso.

In particolare, per quanto riguarda i beni indicati al comma 1 dell’art. 10, di prevalente appar-tenenza pubblica, la disposizione richiama la semplice presenza di interesse.

Sono le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle Regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ogni altroente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiatici civilmentericonosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.

Il comma 2, come visto, elenca dei beni culturali aventi un interesse ex se, senza individuareuna particolare gradazione.

Si tratta delle raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle Regioni, degli altri enti pubbliciterritoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico; gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle Regioni, degli altri entipubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico; le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle Regioni,degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico ad eccezione delle raccolte che assolvono allefunzioni delle biblioteche indicate all’articolo 47, comma 2, del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e di quelle ad esse assimilabili.

Il comma 3, lett. a), per i soggetti diversi da quelli indicati nel comma 1, richiede che le cosedi loro appartenenza presentino interesse particolarmente importante per essere beni cultu-rali; anche la lett. b) richiede la presenza dell’interesse particolarmente importante per ar-chivi e singoli documenti. Al contrario, il Testo Unico richiedeva la sussistenza del notevole inte-resse storico. A questo proposito sarebbe interessante approfondire la differenza tra i due tipi diinteresse e conoscere i motivi che hanno indotto il legislatore a produrre un cambiamento chesembra non trovare particolari giustificazioni.

La lett. c) precisa che le raccolte librarie, appartenenti a privati devono avere eccezionaleinteresse culturale, trovando corrispondenza con quanto affermato all’art. 2, comma 3, delD.Lgs. n. 490/1999.

Problematica appare la scelta adottata dal legislatore con riferimento ai beni indicati all’art.10, comma 3, lett. d) ed e): il richiamo testuale all’appartenenza dei beni è in questi casi riferitoa chiunque, senza alcuna ulteriore precisazione. Da qui il dubbio se debbano essere ricompresinel termine anche i soggetti pubblici, con ovvi problemi legati alla necessità del procedimentodichiarativo di cui all’art. 13, in assenza del quale si lascerebbe senza tutela beni di proprietàpubblica. Migliore attuazione si ricaverebbe dalla proposta di inserire le categorie di beni di cuialle lettere d) ed e), se di proprietà pubblica, nell’elenco di cui al comma 2 dell’art. 10.

Tornando all’esame delle disposizioni di cui all’art. 10, v’è da rilevare l’elencazione di cui alcomma 4 che, riferendosi alle cose di cui al comma 1 e al comma 3, lett. a), ripropone a titoloesemplificativo una serie di beni già indicati nel corpo del T.U., pur inserendone alcuni nonprevisti in precedenza. È il caso, ad esempio, delle pubbliche piazze, vie, strade ed altri spazi apertiurbani di interesse artistico o storico, il cui inserimento nell’elenco solleva serie perplessità inquanto «…nella sua secchezza può tradursi nell’esproprio di interi centri storici dalle determinazio-ni, e dalla responsabilità, dei comuni interessati…» (CAMMELLI).

Altri esempi sono quelli che riguardano i siti minerari di interesse storico od etnoantropologico(lett. h), le navi e i galleggianti aventi interesse artistico, storico od etnoantropologico (lett. i) e learchitetture rurali aventi interesse storico od etnoantropologico quali testimonianze dell’economiarurale tradizionale (lett. l).

L’ultimo comma dell’art. 10, infine, conferma il limite degli oltre 50 anni dall’esecuzione e ilfatto di non essere opera di autore vivente come condizioni di assoggettabilità alla disciplina delTitolo I (Tutela) per le cose indicate al comma 1 e al comma 3, lett. a) ed e).

L’intervento del Legislatore nel 2006 sul contenuto dell’art. 10 del Codice ha avuto comeobiettivo il necessario adeguamento e l’adozione di correzioni rispetto ad un provvedimentoadottato in corso d’opera e che ha avuto riflessi polemici tra i tecnici del settore.

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Una pratica ed agevole sintesi per apprendere i concetti fondamentaliriguardo all’organizzazione e gestione degli eventi culturali, turisticie sportivi.

La trattazione inquadra gli argomenti nella maniera più semplice,così da facilitarne l’assimilazione anche in vista dell’approccio adesami, concorsi pubblici, selezioni aziendali etc., articolandosi in tresezioni:

Cenni di legislazione in materia di beni culturaliGli eventi culturali, turistici e sportiviGestione integrata dei servizi e degli spazi culturali

Organizzazione egestione degli eventi

Culturali Turistici Sportivi

Teresa
Timbro