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335 Orientarsi da giovani adulti. Educare al desiderio tra formazione e lavoro Self-Orientating as Emerging Adults. Educating to Desire Between Train- ing and Work Antonia Cunti Il passaggio all'età adulta o, per dirla in altri termini, la fase dell'esistenza che è caratterizzata dalla presenza di scelte e di attività di studio e dalle prime esperienze lavo- rative, in generale da un pensarsi come adulti e da uno sperimentarsi in quanto tali in alcuni importanti ambiti dell'esistere, negli ultimi decenni ha costituito uno specifi- co oggetto di attenzione dal punto di vista educativo, nel senso della opportunità di accompagnare e guidare i mo- menti decisionali dei giovani adulti in una temperie stori- ca che sempre di più evidenzia tratti di precarietà, prov- visorietà e, quindi, di disorientamento. Tra i compiti formativi delle università rientra certamen- te quello di un "avviamento al lavoro" degli studenti, non solo nel senso di sostenere l'apprendimento inerente alle conoscenze/competenze coerenti con determinati pro- fili culturali e professionali ma anche, e forse soprattutto, nel senso di contribuire all'elaborazione del Sé personale, e dunque, anche formativo e professionale, trovandoci in presenza di un imparare da adulti, ossia di un processo di strutturazione identitaria in cui il proprio sapere e saper fare assumono un'importanza prioritaria e in cui proprio la diversa qualità del contesto universitario ri- spetto a quello scolastico pone il giovane al cospetto di un rapporto adulto con i saperi, con la propria formazione, sul senso di questa per la propria vita, per la realizza- zione di sé come soggetto, uomo/donna e cittadi- no/cittadina. Prendersi cura delle "destinazioni" esistenziali dei pro- cessi di apprendimento significa, allora, educare al for- marsi a tutto tondo, avere a cuore non tanto la trasmis- sione dei saperi quanto la possibilità che questi possano avere un ruolo decisivo nel tratteggiare o ri-tratteggiare le proprie forme evolutive. The transition to adulthood, in other words, the human existence phase characterized by presence of choices, study activities and early work experiences, in recent decades has constituted a specific educational object of attention, thought like the opportunity to accompany and guide emerging adults decision-making moments, in an histori- cal environment characterized from insecurity, instability, then disorientation. Job-placement is certainly one of the educational goals of university, among which to contrib- ute to the elaboration of personal, educational and pro- fessional self too. Being in presence of learning as an adult, constructing identity, in which knowledge and competence take priority and where the different quality of the university context compared to the school puts the emerging adult with an adult relationship with knowledge, with one's education, about the meaning of this one for one's one live, for the realization of oneself as person, man/woman and citizen. Caring of existential "destinations" during learning processes in higher educa- tion means not only to transmit knowledge but above all the possibility that learning processes may have a decisive role in hatch or re-hatched the developmental human forms. Parole chiave: Orientamento formativo, identità personale e professionale, giovani adulti Keywords: Educational Guidance, Personal and Professional Identity, Emerging Adults Articolo ricevuto: 2 gennaio 2015 Versione finale: 2 marzo 2015

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Orientarsi da giovani adulti. Educare al desiderio tra formazione e lavoro Self-Orientating as Emerging Adults. Educating to Desire Between Train-

ing and Work

Antonia Cunti

Il passaggio all'età adulta o, per dirla in altri termini, la fase dell'esistenza che è caratterizzata dalla presenza di scelte e di attività di studio e dalle prime esperienze lavo-rative, in generale da un pensarsi come adulti e da uno sperimentarsi in quanto tali in alcuni importanti ambiti dell'esistere, negli ultimi decenni ha costituito uno specifi-co oggetto di attenzione dal punto di vista educativo, nel senso della opportunità di accompagnare e guidare i mo-menti decisionali dei giovani adulti in una temperie stori-ca che sempre di più evidenzia tratti di precarietà, prov-visorietà e, quindi, di disorientamento. Tra i compiti formativi delle università rientra certamen-te quello di un "avviamento al lavoro" degli studenti, non solo nel senso di sostenere l'apprendimento inerente alle conoscenze/competenze coerenti con determinati pro-fili culturali e professionali ma anche, e forse soprattutto, nel senso di contribuire all'elaborazione del Sé personale, e dunque, anche formativo e professionale, trovandoci in presenza di un imparare da adulti, ossia di un processo di strutturazione identitaria in cui il proprio sapere e saper fare assumono un'importanza prioritaria e in cui proprio la diversa qualità del contesto universitario ri-spetto a quello scolastico pone il giovane al cospetto di un rapporto adulto con i saperi, con la propria formazione, sul senso di questa per la propria vita, per la realizza-zione di sé come soggetto, uomo/donna e cittadi-no/cittadina. Prendersi cura delle "destinazioni" esistenziali dei pro-cessi di apprendimento significa, allora, educare al for-marsi a tutto tondo, avere a cuore non tanto la trasmis-sione dei saperi quanto la possibilità che questi possano avere un ruolo decisivo nel tratteggiare o ri-tratteggiare le proprie forme evolutive.

The transition to adulthood, in other words, the human existence phase characterized by presence of choices, study activities and early work experiences, in recent decades has constituted a specific educational object of attention, thought like the opportunity to accompany and guide emerging adults decision-making moments, in an histori-cal environment characterized from insecurity, instability, then disorientation. Job-placement is certainly one of the educational goals of university, among which to contrib-ute to the elaboration of personal, educational and pro-fessional self too. Being in presence of learning as an adult, constructing identity, in which knowledge and competence take priority and where the different quality of the university context compared to the school puts the emerging adult with an adult relationship with knowledge, with one's education, about the meaning of this one for one's one live, for the realization of oneself as person, man/woman and citizen. Caring of existential "destinations" during learning processes in higher educa-tion means not only to transmit knowledge but above all the possibility that learning processes may have a decisive role in hatch or re-hatched the developmental human forms.

Parole chiave: Orientamento formativo, identità personale e professionale, giovani adulti Keywords: Educational Guidance, Personal and Professional Identity, Emerging Adults Articolo ricevuto: 2 gennaio 2015 Versione finale: 2 marzo 2015

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1) LA TRANSIZIONE SCUOLA-UNIVERSITÀ: RIDEFINIRE L'IDENTITÀ

Il passaggio all'età adulta o, per dirla in altri termini, la fase dell'esistenza che è caratterizzata dalla presenza di scelte e di attività di studio e dalle prime esperien-ze lavorative, in generale da un pensarsi come adulti e da uno sperimentarsi in quanto tali in alcuni importanti ambiti dell'esistere, negli ultimi decenni ha costi-tuito uno specifico oggetto di attenzione dal punto di vista educativo, nel senso della opportunità di accompagnare e guidare i momenti decisionali dei giovani adulti in una temperie storica che sempre di più evidenzia tratti di precarietà, provvisorietà e, quindi, di disorientamento.

Circa dieci anni orsono prese il via uno strumento di verifica attitudinale ri-volto alle matricole dell'Università di Napoli "Parthenope" e agli studenti dell'ul-timo anno delle scuole superiori con cui l'Ateneo ha negli anni stabilito degli ac-cordi di convenzione per la realizzazione di progetti e attività formative. Tale strumento264 si distingueva per il suo voler essere un'occasione per gli studenti di pensare ad alcuni temi, legati ai vissuti ed alle esperienze personali, che sottendo-no le scelte di studio e di lavoro. I temi individuati sono stati: le motivazioni che sostengono lo studio (il desiderio di imparare; l'intenzione di esprimere buone prestazioni; la volontà di corrispondere ad aspettative altrui); alcuni fattori socio-culturali che in misura maggiore esercitano un'influenza nel guidare il soggetto lungo il percorso delle proprie scelte formative e professionali (l'influenza eserci-tata dall'ambiente familiare e sociale; il desiderio di seguire le proprie aspirazioni coincidenti con ciò che piace fare; il desiderio di intraprendere percorsi formativi e professionali coerenti con le capacità ed attitudini personali); i fattori causali a cui il soggetto attribuisce i propri successi/insuccessi formativi (l'essere orientato verso caratteristiche interne; l'essere orientato verso fattori esterni; l'essere orien-tato verso caratteristiche interne modificabili); l'interesse verso contenuti o spac-cati lavorativi che contrassegnano l'uno o l'altro di quattro possibili ambiti di formazione e professionali (delle scienze sociali, economiche e giuridiche; scienti-fico, tecnologico e medico, storico-artistico-letterario, delle scienze della forma-zione e delle scienze della comunicazione). Essi sono stati intesi come dimensio-ni che, a seconda del modo in cui si configurano in ciascun soggetto, possono sostenere o meno scelte volte all'autorealizzazione, scelte che possono contem-plare la necessità, ad esempio, di gestire l'imprevedibilità, di affrontare dei rischi, di accettare di procrastinare il raggiungimento di un risultato, di impegnarsi in percorsi formativi che richiedono sacrifici ed un impegno continuativo e sistema-tico. Lo strumento era stato congegnato nel senso di consentire agli studenti di confermare o attutire il convincimento circa le opzioni espresse, attraverso l'evi-

264 Si tratta dell'OrientaTest, descritto alcuni anni fa nel volume: A. CUNTI, Aiutami a scegliere.

Percorsi di orientamento per progettare e progettarsi, FrancoAngeli, Milano 2008, pp. 85-98.

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tare o il lasciarsi distogliere lungo il percorso di risposta da alcuni "distrattori"265 predisposti ad hoc; il perseverare in una determinata scelta (ad es. quella di riferi-re i motivi dello studiare al desiderio di conseguire per se stesso dei risultati posi-tivi) faceva sì che il soggetto presentasse un tipo di profilo "puro"; diversamente, laddove il soggetto si fosse fatto distrarre (ad es. supportando l'altra opzione se-condo cui studiare è subordinato ad ottenere il riconoscimento altrui), il suo pro-filo in uscita sarebbe stato di tipo "misto"266.

Nell'ambito delle iniziative volte all'orientamento di studenti e matricole, que-sto strumento interattivo intendeva accompagnare il soggetto attraverso un per-corso di verifica delle sue scelte, ponendosi come un supporto atto a chiarire e valutare in modo più consapevole attitudini e desideri. A differenza della natura di tantissimi altri test di orientamento disponibili, esso non era atto a rilevare co-noscenze, bensì ad esercitare una guida attraverso un percorso di riflessione su alcune pre-condizioni che sottendono le scelte formative e professionali. L'O-rientaTest costituiva, inoltre, un passaggio propedeutico ad un counseling indivi-duale di orientamento pedagogico de visu e, pertanto, è stato concepito più come supporto educativo che come strumento di ricerca sull'orientamento. Pur tutta-via, nel corso del tempo, la mole dei dati raccolti ci ha indotto a realizzare un'a-nalisi approfondita dei profili degli studenti e a progettare, previa una modifica dello strumento di indagine, un successivo impianto di ricerca.

In particolare, tutti i dati disponibili provengono dalla somministrazione onli-ne del test agli studenti dell'ultimo anno delle scuole secondarie di II grado della città di Napoli e della sua provincia. Gli studenti (N=590; 270 F - 320 M) erano 324 di formazione liceale e 266 di formazione tecnico/professionale267.

In questa sede, interessa evidenziare solo alcuni dei risultati, quelli più signifi-cativi ai fini dello sviluppo della riflessione sulle componenti che in misura mag-giore agiscono nell'orientare le scelte di studio e di lavoro, su come direzionare le future ricerche allo scopo di raggiungere ulteriori livelli conoscitivi circa i modi prevalenti in cui i giovani adulti pensano e vivono il loro futuro dal punto di vista della formazione e del lavoro, sulla qualità della formazione soprattutto formale in considerazione della sua grande importanza ai fini di quella strutturazione identitaria che interessa in particolare l' "io formativo"268, vale a dire il modo in cui i soggetti pensano se stessi relativamente al proprio rapporto con la forma-zione, al ruolo e al valore che essa può avere nella propria vita e rispetto alle scel-te e ai percorsi lavorativi.

265 In questo caso, l'uso della parola "distrattore" non è nel significato di risposta errata, come

negli strumenti multiple choice. 266 CUNTI, cit. 267 La raccolta dei dati inerenti la somministrazione online dello strumento OrientaTest è avve-

nuta dal 2011 al 2013; l'analisi dei dati è relativa all'anno 2014. 268 CUNTI, cit., p. 32.

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Per quanto riguarda i motivi per cui studiano, il profilo orientato alla cono-scenza è il più rappresentato (soprattutto tra coloro che hanno una formazione liceale), rispetto a quelli orientati verso risultati autonomi ed eteronomi; le scelte degli studenti sembrano essere fortemente influenzate dal desiderio di intrapren-dere percorsi formativi e professionali coerenti con le proprie capacità ed attitu-dini personali (ciò che so fare o penso di saper fare), meno orientate, invece, dall'ambiente familiare e sociale ed da ciò che piace fare; riguardo all'attribuzione delle cause dei loro successi/insuccessi i partecipanti fanno più spesso riferimen-to alle loro caratteristiche interne (capacità, intelligenza, dote), approcciate come variabili ascritte e, pertanto, difficilmente modificabili. Questi risultati, riferiti a coloro che ottengono un profilo puro, sono avvalorati da quelli ottenuti dagli studenti che ne ottengono uno misto rimanendo comunque sbilanciati sulle di-mensioni appena descritte, a conferma di uno scenario che non prende in grande considerazione la possibilità di modificabilità del proprio destino, inteso come saldamente legato a "ciò che si pensa di saper fare".

Il quadro che emerge, sostenuto anche dai colloqui di orientamento svolti successivamente, fa pensare ad una visione statica o quanto meno abbastanza tradizionale del percorso esistenziale dal punto di vista delle traiettorie inerenti soprattutto le scelte di formazione; risulta scarsamente condiviso il valore dell'impegno e della formazione come elementi che possano permettere la realiz-zazione di "ciò che piacerebbe fare". Di qui, la necessità di pensare ad un orien-tamento formativo che sostenga i soggetti nella scelta e dia loro gli strumenti ne-cessari per poter distinguere consapevolmente il livello del "saper fare" da quello del "mi piacerebbe fare" e non correre il rischio di annullare il secondo nel pri-mo, laddove i giovani non riconoscano le diverse alternative realizzabili a condi-zione di intervenire attivamente nella propria vita.

Questa esperienza di ricerca e di intervento formativo ha suggerito la necessi-tà di indagare meglio alcuni dei motivi di interesse pedagogico alla base della condizione di disorientamento che sperimentano i giovani adulti, per giungere a nuove ipotesi investigative in grado di indirizzare in modo più mirato le azioni di orientamento formativo.

L'essere giovani adulti oggi costituisce uno stato di particolare problematicità significativamente indagata da diverse prospettive di ricerca e disciplinari. Il pas-saggio ad una condizione che si definisce sulla base di caratteristiche nuove ri-spetto a quelle dell'adolescenza potrebbe essere individuato quando, alla fine de-gli studi superiori, i giovani cominciano non più semplicemente ad interrogarsi rispetto al loro futuro formativo e professionale e quest'ultimo, quindi, comincia a definirsi nel loro immaginario e presso le loro "comunità di parlanti" non più solo come un pensiero che li riguarda da vicino, come insieme di possibilità, pun-ti di vista, dimensioni informative e di criticità individuali e sociali, ma anche co-me la necessità di compiere delle scelte che vedono in primo piano il loro avveni-re, scelte di cui sono responsabili. Dopo la fine degli studi scolastici nulla sarà più

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come prima, ma la portata dei cambiamenti che verranno sarà apprezzata gra-dualmente; si scelga o meno di intraprendere l'università, il tempo scandito dalla scuola e da un'organizzazione che ruota attorno ad essa è un tempo che va ride-terminato e ancor prima ricreato, nel senso della sua risignificazione in una pro-spettiva che non può non guardare al cambiamento, pur contemplando la neces-sità di una "sosta riflessiva" che prepari e che fortifichi rispetto alla nuova condi-zione che ci si trova ad affrontare. La fase di transizione che si apre ha poco in comune con quella di inizio della scuola superiore, poiché quest'ultima, nella maggior parte dei casi, costituisce per lo più una scelta di continuità269 che chiede all'alunno di impegnarsi e di comportarsi bene, più che di essere responsabile di una decisione presa; del resto, i cambiamenti di indirizzo scolastico sono in misu-ra di gran lunga minore caricati di drammaticità ed essi sono quasi sempre a co-sto zero, ossia ragazzi e famiglie difficilmente finiscono per accusare delle "perdi-te" trattandosi sostanzialmente di deviazioni e aggiustamenti di percorso. Mentre un cambiamento di percorso scolastico non è interpretato e sentito come una sconfitta, diversamente, non è un caso che quando esso riguarda la fase universi-taria si manifesta presso colui che lo agisce e presso il suo contesto familiare una componente ansiogena più o meno intensa, fatta di preoccupazioni per il futuro, di tentennamenti della fiducia, di sensi di colpa che aumentano la percezione del-la messa alla prova per i giovani e le loro famiglie. La scelta universitaria riveste, infatti, nell'immaginario sociale tutt'altro valore rispetto al pregresso, non avendo essa semplicemente a che fare con una modalità prescelta di prosecuzione degli studi, bensì con quello che si intende essere e soprattutto diventare, con l'idea che si ha di se stessi proiettata nel futuro. L'idea portante è quella di intendere la formazione e la costruzione professionale come ambito strutturante in maniera prioritaria l'identità del giovane e dell'adulto e, pertanto, indagare il ruolo che as-sume la fase universitaria è fondamentale soprattutto laddove ci si proponga di operare durante il suo procedere in senso pedagogico, cioè nella direzione di ac-compagnare e sostenere formativamente i processi di cambiamento e di appren-dimento. Appare essenziale allora esplorare la specificità della fase universitaria rispetto a ciò che sta prima e a quello che verrà dopo proprio per facilitare ed ot-timizzare le transizioni in direzione della crescita della capacità di aver cura di sé e delle proprie scelte; il tempo universitario, soprattutto nei suoi primi anni, si configura come uno spazio proprio che richiama il soggetto a se stesso, alla ne-cessità, in qualche modo, di riprendersi una vita più congeniale, da adulto, nel senso di essere più progettualmente orientata verso quelle dimensioni che scandi-

269 Certamente alcuni indirizzi di studio, come quello artistico o alberghiero, per citarne

qualcuno, possono implicare, rispetto agli altri, una scelta prospettica abbastanza precisa; in linea di massima, la scelta di una scuola superiore piuttosto che di un'altra non comporta il peso della responsabilità come invece si verifica nel caso dell'opzione del corso di studi universitario.

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scono l'adultità, a cominciare dal lavoro, ma non solo. Pur tuttavia, succede in molti casi che quello che dovrebbe rappresentare un tempo "naturale" di rielabo-razione di sé, che accompagna i processi di crescita e di sviluppo delle scelte, di-venti un tempo sofferto, in cui si fa fatica a separarsi dal vissuto e dall'esperienza pregressi, a protendersi oltre, verso un sé desiderato, che chieda di essere realiz-zato più che sognato. Ed è così che l'università da opportunità di ampliamento delle proprie visuali, anche sul piano lavorativo, si trasformi in "ferma indefinita, o in occasione mancata rispetto all'espansione creativa della loro adultità", allor-quando quel tempo sembri "slargarsi in modo indefinito o, all'opposto, (…) esse-re precipitosamente rigettato"270.

In questa sede interessa meno richiamare gli studi, pur significativi al riguar-do, che hanno approfondito le radici educative e psicologiche della difficoltà per tantissimi adolescenti e giovani a guardare oltre, a provarsi, ad accettare il rischio e la sfida, radici secondo autori autorevoli da ricondurre a quella "mancanza del padre", o crisi dell'autorevolezza, che rappresenta anche l'indebolimento della funzione paterna di "spinta sociale", verso la sperimentazione della propria liber-tà e individualità, che possiamo costruire solo nel confronto con gli altri, in quel-le interazioni "non protette" che sollecitano a porsi domande su di sé, a definir-si271; più pertinente risulta, invece, soffermarsi sui cambiamenti sostanziali che il contesto universitario richiede soprattutto in relazione al diverso approccio ai sa-peri, su come il processo di formazione formale può preparare ed accompagnare queste transizione e come, in ultimo ma non da ultimo, l'orientamento si confi-guri nell'ambito di questa prospettiva, non potendo costituire un corpo separato ma caratterizzando in senso proprio, e in tutti i contesti, la qualità dell'azione educativa sottesa.

Quello universitario si presenta in modi radicalmente diversi rispetto al conte-sto scolastico a cominciare dalla qualità dei setting didattici272 che, essendo fon-damentalmente di tipo frontale, enfatizzano le modalità di tipo trasmissivo di in-segnamento dei saperi che, distinti in ambiti disciplinari, rappresentano per lo più corpi di conoscenze proposti in modo separato l'uno dall'altro; è evidente che questo genere di impianto scoraggia forme di partecipazione e di interazione nel processo didattico che vadano oltre l'ascolto-acquisizione-ripetizione (o tutt'al più applicazione) dei contenuti disciplinari. La distanza che si stabilisce tra do-cente e studente diviene così parte di quel senso di solitudine di quest'ultimo che,

270 A.M. PATI, Soggettive disponibilità e disposizioni a "muoversi verso", in G. RUVOLO (a cura di),

Domanda e offerta di consultazione psicologica nei contesti universitari. Esperienze e modelli applicativi, FrancoAngeli, Milano 2005, p. 71.

271 A. CUNTI, Disagio educativo e interventi di sostegno educativo, in L. PATI (a cura di), Pedagogia della famiglia, La Scuola, Brescia 2014, pp. 283 e sgg.

272 I setting scolastici, pur essendo prevalentemente basati sulla lezione frontale, tendenzialmente accolgono modalità interattive diversificate.

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ben presto spesso realizza come la cosa che conti davvero sia quella di andare preparati agli esami nella direzione richiesta dal docente in questione, allo scopo di superarli e bene, cosa che può consentire di laurearsi nel più breve tempo pos-sibile. È evidente che tale modalità costituisce anche una chiave di lettura che semplifica o meglio scarnifica la dimensione dello studiare all'università, impove-rendo ed indebolendo tutte quelle altre situazioni interattive e di apprendimento a meno che non assumano tratti di obbligatorietà. Ne consegue che sarebbe prio-ritario per le matricole un orientamento di contesto, proprio nel senso di signifi-care i diversi spazi che gli atenei mettono a disposizione allo scopo di poter sug-gerire e far immaginare diversi ipotizzabili traiettorie di confronto, di apprendi-mento, ma anche di guida e di supporto per poter al meglio giungere ad una fase di presa di decisione nei diversi momenti di difficoltà e di svolta. L'orientamento delle matricole, così, potrebbe proporsi di far chiarezza sia sui diversi "luoghi" universitari, dal ricevimento dei docenti ai laboratori, ai servizi di counseling, sia su quelle che potrebbero essere le tipologie di azione in tutti quei frangenti critici che lungi dal rappresentare l'eccezionalità, esprimono di fatto eventi molto fre-quenti, perché strettamente connessi alle specifiche logiche e funzioni organizza-tive del sistema: si pensi, ad esempio, al mancato, e magari anche ripetuto, supe-ramento di un esame, alla scelta della progressione degli esami da sostenere, a come operare per individuare la disciplina e l'argomento in cui laurearsi; si tratta, guardando a questi, come anche ad altri casi, di prefigurare un sotto sistema di aiuto che dimostri agli studenti di poter usufruire di forme di accompagnamento allo studio. Il "fare chiarezza" e il "sostenere" potrebbero rappresentare parte in-tegrante dell'offerta formativa, andando in questo modo ad arginare l'esistenza, quanto mai diffusa, di forme di disagio da ricondurre, per molti versi, proprio all'incapacità dei sistemi universitari di comunicare e di relazionarsi nel merito di quelli che si presentano come dei passaggi problematici per molti studenti. Esi-ste, allora, un sapere e un saper fare di contesto che viene dato erroneamente per scontato, o spesso ignorato, sottaciuto, che necessita di venire alla ribalta per co-stituire un sapere di orientamento formativo. Di sicuro non per tutti i giovani o tardo adolescenti il sapersi muovere nel contesto universitario rappresenta una difficoltà, ma è altrettanto evidente che in un'università di massa, quale noi ten-diamo ad essere, affinché l'espressione non si traduca in una separazione dei due termini, come ebbe a dire il compianto Raffaele Laporta a proposito della cosid-detta "scuola di massa", e l'istruzione universitaria possa rappresentare un'oppor-tunità di crescita della formazione umanistico-scientifica e alla cittadinanza del maggior numero possibile di persone, occorre predisporre tutte le condizioni utili a far sì che la qualità del percorso e i suoi esiti corrispondano alle intenzioni ed alle aspettative non solo dei singoli ma anche della società nel suo insieme. È au-spicabile, pertanto, che l'offerta formativa di ogni singolo ateneo si avvantaggi, in maniera strutturale, e quindi connaturale allo svolgersi dei percorsi di studio, non meramente integrativa, di servizi e percorsi ad hoc, che costituirebbero, peraltro,

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una soluzione valida al cospetto dell'ampliamento del fenomeno della dispersione in ambito universitario.

La possibilità di attivare processi di scelta autonomi, ossia che vedano in pri-mo piano lo studente come protagonista, e pertanto responsabili, proprio perché la qualità dell'investimento interessa direttamente la persona che tende natural-mente all'espansione e non al suo disconoscimento, richiede sia chiarificazione e supporto per potersi muovere con competenza nell'ambiente sia un esercizio nel-le pratiche decisionali sul piano dell'apprendimento dei saperi. La differenza dello studio universitario rispetto al precedente richiama un'autogestione diffusa, non riferita solo alle risorse che il sistema mette a disposizione degli studenti, ma an-che alla definizione e monitoraggio dei ritmi di studio, all'organizzazione dei suoi tempi, alla qualità dell'impegno e dei metodi che si ritengono più adeguati e/o più congeniali a se stessi e alla propria storia di studenti273; la nuova condizione, evidenziando come le risorse e strategie già messe in gioco possano essere per lo più non idonee, richiede un cambiamento di rotta significativo rispetto alla con-figurazione dello studio scolastico, che per andare a buon fine necessita di tratti di competenza abbastanza definiti. Innanzitutto, alla percezione della differenza sarebbe auspicabile che facesse posto una cognizione di essa, relativamente alle prerogative della formazione universitaria e quindi alle forme di apprendimento più consone; si vuol dire che è in questione un saper apprendere che si basi sul sapere quali siano le aspettative, la qualità delle conoscenze/competenze attese, le modalità presupposte di dimostrazione di un avvenuto apprendimento. Nell'u-no e nell'altro caso si tratta di competenze nuove non solo sul piano degli speci-fici contenuti, ma spesso anche per il loro essere competenze di orientamento il più delle volte purtroppo trascurate nei contesti della formazione scolastica che difficilmente attiva modalità riflessive sul pensare e sul sentire degli studenti ri-spetto ai loro ambienti di vita e di apprendimento, andando così ad incrementare forme di estraniamento/separazione rispetto allo studio ed ai suoi contesti, anzi-ché di coinvolgimento; succede allora che "le risorse di senso che gli studenti mettono in gioco nel dare significato ed orientarsi entro i percorsi di studio (…) sono determinanti per lo sviluppo di soluzioni adattive che consentano di rap-presentarsi ed investire sul presente formativo e sul futuro socio-professionale"274. Poiché la formazione fa parte della vita ed è vita essa stessa, realizzando l'anelito dell'essere umano ad andare avanti e a pro-gettarsi verso il

273 E. FRYDENBERG, Far fronte alle difficoltà. Strategie di coping negli adolescenti, Giunti Firenze 2000,

cit. in M.L. PEDDITZI, La transizione scuola-università: una ricerca sul career decision making degli studenti che si apprestano a scegliere un corso di studi universitario, in D. ZUCCA, Counseling e orientamento nei contesti universitari. Modelli operativi, esperienze e ricerche, Edizioni Junior, Parma 2011, p.76.

274 S. SALVATORE, M. PINTO, Il counselling universitario in prospettiva contestuale, in G. RUVOLO (a cura di), Domanda e offerta di consultazione psicologica nei contesti universitari. Esperienze e modelli applicativi, FrancoAngeli, Milano 2005, p. 75.

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futuro, la formazione formale, negando questo aspetto, finisce con il disinteres-sarsi di quello che è strutturante della stessa formazione, ossia il suo contribuire affinché il soggetto possa esserci, con sempre maggiore convinzione ed armonia, tendendo costantemente a ridefinirsi rispetto a se stesso e ai suoi mondi relazio-nali. Quest'ultima dimensione si rivela di particolare importanza allo scopo di evitare che la prefigurazione di spazi che valorizzino la soggettività degli studenti e che accolgano e mettano a disposizione risorse specifiche per gestire insieme ed andare al di là di criticità da questi sofferte non siano anche, e soprattutto, pro-dotto di autocura fallace del sistema stesso che, nel mentre pone in essere condi-zioni disorientanti, contestualmente ne offre anche la soluzione tecnico-organizzativa.

Se l'ingresso all'università segna per i giovani una tappa fondamentale lungo il percorso di identificazione/differenziazione, aprendo all'esistenza adulta attra-verso la dimensione del lavoro come ambito di realizzazione di sé e di colloca-zione sociale dell'individuo nel senso di individuare un posto, un ruolo, un modo di essere con gli altri e per gli altri, una delle trame fondamentali di questo pro-cesso è costituito dai saperi e dalla formazione; negli anni della loro vicenda uni-versitaria i giovani si pensano e ancor più vengono definiti come studenti e, per-tanto, lo studiare e il rapporto che intrattengono con i saperi assumono un valore identitario prioritario. In particolare, è stato rilevato come l'apprendimento dei contenuti disciplinari comporti sul piano cognitivo un esercizio di collegamento, messa in relazione, ma anche di chiarificazione, nel senso di distinguere e tenere separati principi, concetti, eventi, che nel suo insieme richiama quel lavorio in-terno, a forte coloritura emozionale, che i giovani sperimentano in questa fase dell'esistenza275 per, potremmo dire, tenere a bada l'inquietudine, in qualche mo-do "contenendosi", nel senso di tenersi collegato con tutto ciò che riguarda il proprio Sé, per un verso, non restandone invischiati e, per l'altro, in grado di guardare all'esterno senza perdersi, accogliendo e filtrando le sollecitazioni che inducono rielaborazioni e cambiamenti.

Al contesto universitario e alle condizioni che ne caratterizzano lo studio si arriva per lo più non preparati ed è come se esso, in un certo senso proprio per questo, rappresentasse un banco di prova del proprio avvicendarsi all'essere adul-to; si vuol dire che la percezione del giovane sembra essere quella secondo cui fallimenti e successi dipendano sostanzialmente da sé, laddove però ci si ritrovi sostanzialmente spaesati e scarsamente consapevoli ad affrontare le novità e a gestire gli eventi che la nuova condizione racchiude. Indubbiamente lo stato di disorientamento comincia a palesarsi in maniera significativa nel passaggio dalla secondaria agli studi successivi, in cui prevale l'indecisione nelle scelte, la carenza di informazioni affidabili e la tendenza ad attingere a fonti non sempre attendibi-

275 A.M. PATI, Sulle domande di counselling psicologico dei giovani universitari, in RUVOLO, cit., p. 67.

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li276; in generale ciò che manca è proprio il disporsi nella posizione di chi tende a confrontare le caratteristiche del mondo delle professioni e del mercato del lavo-ro con il sentire ed il pensare personali per quanto concerne il proprio futuro, le proprie aspettative e desideri di realizzazione e di riuscita sociale, in un processo in cui istanze diverse possano essere contemperate, se non altro nella consapevo-lezza di ciò che si intende far prevalere nelle decisioni. Se osservare esclusiva-mente un esame di fattori oggettivi, in particolare gli sbocchi professionali e le tendenze del mercato del lavoro, mettendo da parte quelli di tipo soggettivo, rappresenta un forte limite ad assecondare i propri desiderata, è purtroppo altret-tanto frequente la tendenza ad assumere come fattori oggettivi valutazioni di senso comune poco fondate; il quadro che ne emerge è alquanto confuso se vi aggiungiamo anche la carenza di riflessività sulle proprie aspirazioni e che, in al-cuni casi, "le motivazioni che li spingono alla scelta possono essere legate ad aspirazioni ideali e ad un generico desiderio di affermazione sociale che non tiene conto delle caratteristiche realistiche dei corsi di studio e dell'impegno richie-sto"277.

Una delle criticità più importanti si situa proprio nella sfasatura tra le motiva-zioni o più precisamente le rappresentazioni dei futuri sbocchi e lo studio univer-sitario; si tratta, per un verso, della frequenza con cui si intraprende questo gene-re di impegno senza le opportune informazioni sulle sue caratteristiche, magari perché si è prestato attenzione esclusivamente a quanto consentirebbe successi-vamente di poter fare e, per l'altro, dell'effettiva difficoltà a interconnettere i con-tenuti dello studio e a riferirli ai significati che rivestono sul piano socio-professionale e dei contesti di lavoro. In linea di massima, si chiede allo studente di fare uno sforzo di sospensione e di mantenimento/congelamento dei suoi de-siderata futuri, ma il problema che si presenta riguarda il come e il che cosa so-stenga lo studente, il giovane adulto, lungo questo percorso. Può succedere che l'immagine di sé proiettata nel futuro presenti dei tratti sul versante del lavoro abbastanza precisi e che, guardando a questo obiettivo, si riesca a procrastinare la soddisfazione personale, colmando il tempo fermo dello studio con gratificazioni che il più delle volte hanno a che fare con la riuscita agli esami e con il corollario del poter corrispondere alle aspettative familiari e sociali; è anche frequente, tut-tavia, soprattutto allorquando si tratti di lauree meno definite sul piano delle pos-sibili professioni future o in generale meno appetibili in senso sociale, che l'asse motivazionale e del desiderio si sposti verso l'interno, vale a dire si orienti verso lo studio stesso ricercando in esso delle corrispondenze più di tipo culturale. È

276 G. SARTORATTI, Una scelta per l'università, Edizioni Alborg, Padova 1995, cit. in PEDDITZI,

cit., p. 75. 277 T. DE MAURO, F. DE RENZO, Orientarsi nella nuova università, Il Mulino, Bologna 2001, cit. in

PEDDITZI, cit., p. 75.

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evidente che i modi di vivere da studenti universitari il rapporto con lo studio e il lavoro possono essere molteplici; non escludendo evidentemente altre forme di rappresentazioni magari più efficaci a rappresentare l'articolarsi plurale di questa dimensione esistenziale, si potrebbe immaginare che i giovani si collochino in maniera diversificata sia dal punto di vista della maggiore o minore capaci-tà/possibilità di prefigurazione del proprio futuro di lavoro sia da quello della maggiore o minore significazione culturale dello studio. Potrebbero, allora, essere ravvisate condizioni di soggetti che riescono, o meno, a reggere un percorso formativo che prelude ad una laurea "più forte" individuando nel primo presso-ché nulle o viceversa consistenti spinte motivazionali e, d'altra parte, altrettante condizioni di quanti, al cospetto di tipologie formative le cui possibilità future andranno in misura maggiore determinate e "create", riescano o meno a ravvisare motivi di interesse culturale e/o professionale in quello che studiano e, dunque, per tanti versi, a trovare così la propria strada. È possibile, attraverso l'utilizzo di questi parametri, individuare alcuni casi in qualche modo tipologici, perché pur-troppo sufficientemente diffusi, che esprimono disagio e conseguente difficoltà da parte dei giovani a vivere in maniera positiva il loro essere studenti, nel senso di provarsi rispetto al campo della conoscenza e dei saperi e ad un'idea di futuro e alla possibilità di partecipare attivamente al suo accadere. Ci sono, in particola-re, delle criticità esistenziali che attengono il rapporto con lo studio che potreb-bero chiamare in causa il ruolo che al riguardo competerebbe all'istituzione uni-versitaria. Una prima concerne il senso di estraneità e di distacco sia dall'espe-rienza personale sia dalle prefigurazioni inerenti le qualità professionali che tan-tissimi giovani avvertono nel rapporto con lo studio, laddove il senso e l'utilità di quello che si chiede loro di imparare sfugge rispetto a quanto immaginano del lavoro a cui tale studio prelude e, allora, succede spesso che tale idea di futuro perde di consistenza e il lavoro, lo studio e se stessi divengono entità sempre più sganciate e dissimili l'una dall'altra; tale circostanza è più frequente rispetto alle lauree che prefigurano precise professionalità, rispetto a cui è come se allo stu-dente si chiedesse un atto di fede nella possibilità di divenire poi, col tempo, in grado di cimentarsi con una in particolare. È nell'esperienza comune e di noi do-centi che molti non ce la fanno a procrastinare del tutto una soddisfazione per-sonale che, peraltro, comincia a vacillare perché sempre più astratta e scollegata dal presente ed è allorquando la realizzazione futura perda i suoi nessi con i pen-sieri e i bisogni/desideri del soggetto che questi può allontanare da sé la scelta universitaria, per esempio attraverso le modalità dell'evitamento/fuga, della pas-sività o magari di uno sterile ribellismo. I percorsi di studio meno forti sul piano delle professionalità a cui aprono e su quello dei possibili sbocchi lavorativi spes-so assumono una valenza più di tipo culturale, nel senso che potrebbero sostene-re la partecipazione emotiva e cognitiva dello studente ritrovando questi conte-nuti, situazioni, nodi concettuali che stimolano il recupero dei suoi vissuti ed esperienze o magari in qualche forma ne fanno parte; è evidente che questo ge-

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nere di opzioni universitarie prevedono una dinamica diversa da quella del pro-crastinamento della realizzazione di sé, nel senso che in misura maggiore assume una centralità la possibilità di prevedere, intuire, catturare forme di sintonie e di incontro felice con configurazioni del pensiero ed operative in cui ci si possa ri-trovare e seguendo la loro scia costruire un possibile futuro. In questi secondi casi, la motivazione prevalentemente culturale e di ricerca/costruzione di un Sé auspicato possono infrangersi a fronte di una qualità di studio che lascia troppo poco spazio all'espressione personale e alla possibilità di interpretare, immagina-re, ri-orientare, per addivenire a nuove direzioni di approfondimento che posso-no essere percorse lungo il progetto di messa a punto del Sé personale e profes-sionale; del resto, e sia detto per inciso, la riforma cosiddetta del 3+2 (D.M. 509 del 3 novembre 1999), con l'introduzione delle lauree triennali per un verso e con l'affermazione della priorità dell'apprendimento per l'altro, avrebbero richiesto una severa ri-forma della didattica universitaria, diversamente, la lentezza e la parzialità dei suoi cambiamenti sono tra le concause dei fenomeni di disaffezione e, agli estremi, di drop-out ivi richiamati.

2) L'ORIENTAMENTO UNIVERSITARIO: FORMARE ALLA COSTRUZIONE DEL SÉ DESIDERATO

Tra i compiti formativi delle università rientra certamente quello di un "av-viamento al lavoro" degli studenti, non solo nel senso di sostenere l'apprendi-mento inerente alle conoscenze/competenze coerenti con determinati profili cul-turali e professionali ma anche, e forse soprattutto, rappresentando essa un'e-mergenza sociale e formativa, in quello di contribuire all'elaborazione del Sé per-sonale, e dunque, anche formativo e professionale, trovandoci in presenza di un imparare da adulti, ossia di un processo di strutturazione identitaria in cui il pro-prio sapere e saper fare assumono un'importanza prioritaria e in cui proprio la diversa qualità del contesto universitario rispetto a quello scolastico pone il gio-vane al cospetto di un rapporto adulto con i saperi, con la propria formazione, sul senso di questa per la propria vita, per la realizzazione di sé come soggetto, uomo/donna e cittadino/cittadina.

L'orientamento in senso pedagogico si presenta come una dimensione conna-turale alla formazione stessa; quest'ultima per i soggetti ha il significato di una guida interna alla costante ricerca di sé, di una maturazione progressiva della ca-pacità di compiere scelte per sé e, a tale proposito, ci si chiede quale sia il ruolo della formazione formale. Se lo specifico delle agenzie scolastica ed universitaria è quello della formazione culturale e scientifica nell'ambito di un interesse più ampio volto ad un accompagnamento lungo il percorso di strutturazione identi-taria, inclusivo di scelte e posizionamenti relativi al Sé personale e professionale, i processi di apprendimento e di insegnamento sono in primis di orientamento ai saperi e alla cultura. La qualità di questi processi, le modalità attraverso cui si

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compiono, metodi, tempi, spazi, attività, ma più in profondità, le dinamiche me-diante le quali i mondi formativi, e quindi anche i setting didattici, interagiscono con i mondi interni degli studenti, tutto ciò alimenta, sostiene, o diversamente ostacola, impoverisce, in generale contribuisce a definire in senso socio-relazionale e culturale la propensione ad imparare, la concezione dei saperi e della conoscenza, il ruolo che essi avranno nella propria vita e, dunque, il perché e il come si continuerà a cercarli e a servirsene per la costruzione di sé.

Il considerare l'evoluzione del rapporto soggettivo con il conoscere come una, se non la prerogativa essenziale della formazione formale e l'attribuzione ad essa di una valenza spiccatamente orientativa ha rappresentato e rappresenta tut-tora uno degli ambiti principali di ricerca pedagogica che coincide con un versan-te prioritario dell'orientamento, quale emergenza sociale ed educativa.

L'integrazione tra azione formativa (educativa e didattica) e azione orientativa, o meglio il fatto che la formazione non è se non orienta al sapere rappresenta un punto fermo che colloca su differenti piani di ricerca e di intervento due modi di intendere e di praticare l'orientamento rispetto alla formazione, il primo, tradi-zionale, secondo cui esso si esercita nei momenti di passaggio per verificare ana-lisi e relative scelte, l'altro per il quale l'attività di orientamento coincide con la quotidianità dell'insegnare e con la necessità di far diventare il processo di ap-prendimento significativo e pertinente rispetto alla realtà concreta degli studenti e alle loro aspettative278.

I luoghi preposti alla formazione hanno come loro compito precipuo quello di consentire l'esercizio della capacità di scelta e di assunzione di decisioni attra-verso l'operare con le conoscenze e con i saperi/discipline. Ciò richiede che si ponga in primo piano il provarsi dello studente, che implica anche il conoscersi per affinare la propria capacità di interagire in forme sempre più esperte con l'ambiente, di messa in gioco di forme comportamentali, ma anche evidentemen-te di un relativo pensare e sentire, di tipo co-adattativo. La sottolineatura del sa-pere come ricerca, come costruzione finalizzata alla conoscenza e all'intervento, come insieme di trame di significato con proprie logiche, procedure e dimensioni filosofico-valoriali e di potere, ne sintetizza in buona misura la qualità orientativa, di contro ad un approccio che tenda ad atomizzare informazioni e conoscenze279, laddove "saperi fortemente finalizzati (…) a rincorrere talune esigenze immediate imposte spesso da mode passeggere (…) non garantiscono la costruzione di quei reticoli di conoscenze fortemente strutturate in grado di facilitare tanto sul piano

278 M.L. PEDDITZI, L'orientamento universitario: modelli e percorsi a confronto, in D. ZUCCA, Counseling

e orientamento nei contesti universitari. Modelli operativi, esperienze e ricerche, Edizioni Junior, Parma 2011, cfr. p. 49.

279G. DOMENICI, Manuale dell'orientamento e della didattica modulare, Laterza, Roma-Bari 1998, cfr. p. 8.

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cognitivo che motivazionale l'ammodernamento continuo dei propri repertori conoscitivi"280.

Il nocciolo della formazione e congiuntamente la sua valenza orientativa con-sistono nel far sì che le persone imparino a prendersi cura dei propri saperi e del-la propria capacità di ricercare e utilizzare conoscenze per poter pensare e sentire con maggiore profondità ed intensità il proprio vivere; ciò è possibile creando con gli studenti percorsi di conoscenza riflessiva che includano il porsi come soggetto decisionale, l'identificare ed il formulare questioni, il connettere le nuo-ve conoscenze con quelle già possedute, per trovare costantemente alimento per il proprio Sé desiderante, in particolare per quella dimensione identitaria che chiede di definirsi e di essere riconosciuta come soggettività culturale. Basilare è una condizione conoscitiva di scoperta interna ai saperi, laddove "tra i diversi modi praticabili di insegnare e di far apprendere andrebbe privilegiato quello ca-pace di promuovere (…) una vera e propria riflessione epistemologica e storico-critica sulle discipline oggetto di insegnamento, tale da configurarsi come una sorta di teoria della conoscenza (…). Una riflessione che faccia affiorare a livello di consapevolezza alcune relazioni che intercorrono tra apparato teorico, princi-pi, ipotesi, teorie e procedure di analisi e ricerca di ciascuna disciplina e/o gruppi apparentati di esse"281. Questa prospettiva pedagogica restituisce ai saperi un ca-rattere di essenzialità, per un verso, che non riguarda la priorità di un contenuto rispetto ad un altro, bensì il carattere fondativo di quel sapere meta che sostanzia le conoscenze e differenzia i saperi, e di strumentalità, per l'altro, a significare la dimensione sociale ed operativa dei prodotti della ricerca, ma anche che cono-scenze differenti possano supportare e consentire l'esercizio di quelle forme mentis su cui si basa la capacità di lettura ed interpretazione del reale. Imparare ad essere partecipi dei processi di creazione delle conoscenze per poter diventare artefici delle proprie, saper cogliere le dinamiche che sottostanno per essere vigili su quelle che stimolano la propria formazione culturale, imparare come fare per at-tingere di volta in volta alle conoscenze che servono, per non dipendere dal sape-re, per potersi esprimere come soggetto desiderante anche al cospetto della cul-tura e nei riguardi della propria formazione; la messa in primo piano di sé come soggetto conoscente e dei percorsi personali di crescita culturale volta alla cura identitaria potrebbero costituire, tra l'altro, anche potenziali antidoti a fronte del-la seduzione operata da quel sapere panacea di cui la signora tecnica viene assun-ta a valore, con le sue forme più o meno facili di risoluzione dei problemi che allontanano da sé soste riflessive e posture di contestualizzazione sistemica282.

280 Idem. 281 Ibidem, p. 15 282 Sul tema della necessità di "smarcarsi dall'illusione di una conoscenza tecnico-risolutiva",

considerando che "l'idealizzazione delle potenzialità taumaturgiche del sapere procede di pari passo con la sua implicita svalorizzazione" si cfr. E. SCHEIN, (1999), trad. it., La consulenza di processo,

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Il poter mettere alla prova il proprio Sé decisionale nei processi di apprendi-mento, oltre a consentire la crescita di un sapere personale consapevole e di un rapporto attivo con la cultura e la conoscenza, configura un luogo formativo di particolare rilevanza nella strutturazione identitaria, ossia quello relativo alla pre-parazione e alla gestione integrata dei propri processi di cambiamento; è su que-st'ultimo piano che si articola l'altra dimensione squisitamente educativa dell'o-rientamento.

I luoghi deputati alla formazione formale non possono essere soltanto degli erogatori di saperi senza occuparsi dei processi che le conoscenze attivano, di so-stenere le dinamiche che mettono capo a scelte, individuazione e promozione di risorse, modificazioni di percorsi, in particolare per quanto concerne quella di-mensione del sé personale che si basa sulla realizzazione sociale e professionale.

Prendersi cura delle "destinazioni" esistenziali dei processi di apprendimento significa educare al formarsi a tutto tondo, avere a cuore non tanto la trasmissio-ne dei saperi quanto la possibilità che questi possano avere un ruolo decisivo nel tratteggiare o ri-tratteggiare le proprie forme evolutive.

In coerenza con questo tipo di prospettiva, ci si chiede quale sia la prerogativa essenziale di un orientamento educativo che enfatizzi la dimensione intrinseca-mente orientativa dei saperi, per un verso, e il ruolo che questi possano svolgere nello spiegarsi di un'esistenza in cui si ricerchi costantemente la strada atta a con-sentire al proprio Sé di espandersi, per l'altro.

L'orientamento, nei contesti formativi e di lavoro, ha visto il prevalere di al-cuni modelli, innanzitutto di tipo diagnostico, informativo e previsionale, nell'ambito della formazione formale, e diagnostico-attitudinale e previsionale in quello lavorativo. L'orientamento a scuola e quello volto a supportare gli studenti nella scelta universitaria hanno privilegiato le conoscenze e le capacità possedute quali elementi predittivi di comportamenti futuri e, quindi, di scelte formative e professionali positive. I docenti continuano a ritenere il loro ruolo di orienta-mento come un supporto, una guida alle scelte future, incentrato sulla valorizza-zione/estrapolazione della dimensione cognitiva che si esprime attraverso ciò che il soggetto sa e sa fare meglio. Il rendimento dello studente è predittivo del suo reiterarsi e allo stesso modo lo sono le difficoltà incontrate dallo stesso, per cui diventa prevedibile che si continui a fare bene ciò che oggi si fa bene e al con-trario ad incontrare nel breve e nel medio termine gli stessi ostacoli del presente. Si tratta, ancor prima di una pratica educativamente discutibile, di una posizione interpretativa che isola la componente cognitiva da quella socio-affettiva e moti-vazionale e riconduce la riuscita nello studio esclusivamente a variabili che atten-gono al soggetto, prevalentemente ascritte, tagliando fuori i fattori di contesto,

Raffaello Cortina, Milano 2001, cit. in S. ULIVIERI STIOZZI, Il counseling formativo, FrancoAngeli, Milano 2013, p. 30.

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anche nel senso della possibilità da parte di ciascun individuo di agirlo per attiva-re e mettere a frutto le proprie risorse, possibilità che costituisce evidentemente un aspetto dinamico, mutevole nel tempo. L'elemento della dinamicità viene in generale escluso, non si tratta di aiutare a guardare dentro di sé per comprendere e condividere dove e come l'altro vuole e può migliorare, ma per evidenziare an-che allo studente ciò che al docente è già chiaro, sulla base di diagnosi parziali e semplicisticamente previsionali. Nei contesti di lavoro o nelle attività di orienta-mento che preludono alla scelta lavorativa, accanto alle conoscenze/capacità prendono un posto decisivo le attitudini, intese come la propensione del soggetto a svolgere un certo tipo di lavoro, inclusiva di motivazioni, aspetti della persona-lità, inclinazioni temperamentali; anche in questi casi continua a non essere con-siderata la componente progettuale, dell'andare verso, del desiderio di cambia-mento e di miglioramento, per una più gratificante espressione del Sé, per atte-starsi su quanto è già presente e dall'esterno può essere rilevato, magari misurato, e valutato. È evidente che, pur nella differenza dei modelli richiamati (psico-diagnostici, clinico-dinamici oppure diagnostico-predittivi incentrati su saperi e competenze), ciò che tende a scomparire è il protagonismo del soggetto che ha bisogno di orientarsi, a vantaggio di colui che si assume il compito di rendere chiaro a questi quanto così non è, di definire ciò che è indefinito, indicandogli la strada.

Potremmo dire che ad essere in particolare modo sacrificata è la trama educa-tiva dell'orientamento, la quale richiede la messa al centro del soggetto che si orienta, sollecitato nelle sue modalità esplorative ed immaginative a pensare e a sentire possibili Sé desiderati. È evidente che in un processo di orientamento formativo le componenti informative e quelle di tipo diagnostico, riferite ad esempio ai saperi e ai saper fare, come pure i tratti soggettivi della personalità, quali inclinazioni e aspirazioni, non sono assenti bensì ricondotti all'interno di un percorso di ricerca/creazione di sé, di individuazione/scoperta del proprio desi-derio e progetto, percorso educativo di esplorazione e definizione delle risorse, di riflessione sui propri beni-chiave283, di immaginazione di realizzabili Sé.

Se ciò che contraddistingue un orientamento pedagogicamente inteso è, dun-que, la valenza squisitamente educativa che lo connota nei termini appena espressi, altrettanto importante è la sua definizione contestuale; in tal senso, l'o-rientamento ha una qualità sistemico-relazionale con riferimento ai contesti entro cui esso si va ad allocare. L'orientamento educativo è strettamente connesso ai luoghi in cui si compie, non tanto perché si diversifichi a partire da questi ma perché si nutre dei significati e dei valori che determinati contesti assumono per coloro che necessitano di orientarsi, nell'ambito dei loro percorsi, disegni di vita;

283 D. PARKER, The Self in Moral Space. Life Narrative and the Good, Cornell University Press, Itha-

ca 2007.

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in tal senso, esso è foriero di processi co-adattativi nei contesti sia di formazione sia di lavoro, mirando a far sì che le persone nei luoghi di esercizio e di sviluppo delle proprie traiettorie esistenziali possano saper ritrovare e riguadagnare in una qualche forma la strada che lì le ha condotte, per poter (ri)dare senso, chiarire, (ri)significare. Così, con riferimento all'esperienza universitaria, può essere im-portante "promuovere le risorse contestuali di senso (modelli culturali e di rap-presentazione del processo universitario, culture professionali, criteri progettuali, investimenti sul futuro) utili allo studente nella elaborazione della propria espe-rienza di ruolo e di appartenenza al contesto"284.

Queste alcune delle principali caratteristiche di un orientamento educativo che guarda al soggetto come costruttore del proprio progetto di vita285, laddove il primo piano venga posto più che sulla strutturazione dell'identità di sé sull'attività riflessiva che presiede la progettazione del proprio esistere nei suoi diversi ambi-ti286.

Alla luce della prerogativa odierna del vivere giovanile nel presente, di quella frammentazione, o fluidificazione dell'identità287, che si presenta anche come "sovraccarico del Sé" quale risultante di un'"infusione di identità parziali"288, l'i-stanza educativa sembra essere quella di ricondurre a forme di coerenza che pos-sano consentire, di volta in volta, di affermare quel livello meta della propria struttura identitaria che sostenga e guidi i cambiamenti. Così anche nell'ambito del sistema dell'identità e delle pratiche educative di orientamento volte ad una sua crescita consapevolmente desiderante, si può pensare ad una struttura che connette289, in grado di integrare, quindi, gli elementi esperienziali, ma con un al-to grado di mobilità che consenta al soggetto anche di potersene distanziare e di ritornarvi per poterla modificare, una struttura in grado di comprendere parti di-verse di sé, di (con)tenerle insieme, tratteggiando connessioni tra presente, passa-

284 SALVATORE, PINTO, cit., p. 76. 285 Al riguardo si confronti l'approccio della psicologia vocazionale incentrato sul concetto di

"life designing"; tra gli altri: M. L. SAVICKAS, L. NOTA, J. ROSSIER, P. DAUWALDER, M. E. DUARTE, J. GUICHARD, S. SORESI, R. VAN ESBROECK, E A. E. M. VAN VIANEN, Life design: un paradigma per la costruzione della vita professionale nel XXI secolo, «GIPO – Giornale Italiano di Psicologia dell'Orientamento», Vol. 11/1 2010, Giunti O.S. Organizzazioni Speciali, Firenze 2010.

286 A. GIDDENS, Modernity and Self Identity. Self and Society in the Late Modern Age, 1991, cit. in J. GUICHARD, Prefazione: Orientarsi per costruirsi, in ISFOL, Dialoghi sull'orientamento. Dalle esperienze ai modelli, ISFOL Editore, Roma 2006, p. 23.

287 A. CASONI, Adolescenza liquida. Nuove identità e nuove forme di cura, EDUP, Roma 2008. 288 K. J. GERGEN, The Saturated Self: Dilemas of identity in contemporary life, Basic Books, New York

1991, p. 49, cit. in GUICHARD, cit., p. 23. 289 G. BATESON, Mind and nature. A Necessary Unity, Dutton, New York 1979 (trad. It.: Mente e

natura, Adelphi, Milano 1984).

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to e futuro, per quanto riguarda l'apprendere, il pensare ed il sentire, il vivere e il fare290.

Nell'ambito delle diverse identità parziali, legate alla molteplicità dimensionale del vivere odierno, possono essere rintracciate forme di identità che il soggetto riconosce come proprie, forme di identità auspicate291 e forme di identità realiz-zabili; laddove la ricerca e l'intervento educativo contemplino la sfida del riuscire a contemperare la compagine del sogno con le prerogative dei sistemi, a vantag-gio di processualità che alimentino il Sé desiderante attraverso percorsi riflessivi, che implichino esplorazione ed immaginazione, in sintesi il pro-gettarsi quale di-mensione costitutivamente umana e tipicamente adulta.

La qualità educativa dell'orientamento implica l'accompagnare i processi di cambiamento, integrando le componenti cognitive dei saperi e delle competenze con quelle delle storie personali, che raccontano vissuti ed esperienze di co-adattamento e di crescita, e con le spinte desideranti spesso velate da sensi di im-potenza, di incertezza e di precarietà esistenziale. L'educazione, allora, soprattut-to in questo ambito, lungi dall'attestarsi su quello che c'è, nemmeno si accontenta di recuperare e attivare risorse, mirando a rilanciare la possibilità dei soggetti di essere altrimenti per realizzare pienamente se stessi, ponendo in essere condizio-ni mediative che permettano alle persone di far dialogare quello che già sono con quello che potenzialmente vorrebbero/potrebbero divenire.

L'istanza della ri-scoperta di sé che va a sondare il campo delle possibilità si coniuga con quella della chiarificazione volta al campo delle effettività; la pro-spettiva educativa che suggerisce l'agire pratico considera, a tal proposito, inade-guato riportare le questioni nei loro opportuni termini, poiché non si tratta di de-finire ciò che è indefinito, bensì di partire da quest'ultimo per far emergere pos-sibili percorsi di definizione e poter tracciare un itinerario di crescita e di operati-vità sistemiche; la strada della chiarificazione porta più che a definire soprattutto a rintracciare ulteriori indefiniti che possono avere sviluppi anche inediti.

L'itinerario che dalla elaborazione di una maggiore consapevolezza giunge ad un ampliamento delle possibilità ed alla individuazione di strade percorribili per realizzarle chiama necessariamente in causa nel suo processo quel Sé educante che ha impresse memorie di condizionamenti educativi relative soprattutto ai modi di concepire se stesso e il proprio rapporto con l'ambiente, ma soprattutto le proprie chance, le capacità e risorse in grado di concepire possibilità e trasfor-marle in effettività. L'educazione familiare e scolastica, com'è risaputo, influenza-no fortemente la fiducia che le persone hanno nella possibilità di perseguire i

290 C. PALMIERI, Un'esperienza di cui aver cura…Appunti pedagogici sul fare educazione, FrancoAngeli, Milano 2011, p. 73.

291 La psicologia vocazionale utilizza le sigle FIS (forme di identità soggettive) e FISA (forme di identità ambite); si cfr.: J. GUICHARD, Life-Long Self-Construction, «International Journal for Edu-cational and Vocational Guidance», 2005, Vol. 5, Issue 2, pp. 111-124.

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propri desideri, talvolta di emanciparsi da quelli che sembrano essere dei destini ambientali292; succede che l'educazione possa orientare attraverso quel suo "lato violento"293 che manipola le inclinazioni e le volontà soggettive294, quell'educa-zione che si realizza nel suo stesso compiersi e non in quello evolutivo e mai de-finito dell'altro, che si pone essa stessa come fine e non come mezzo di progres-siva riscoperta, costruzione e realizzazione di sé.

Se nell'orientamento è in primis ravvisabile la valenza squisitamente educativa che si sostanzia in particolare del promuovere la graduale conquista di autono-mie, l'alimentazione e contestualizzazione di capacità, la progressiva consapevo-lezza e ridefinizione dei limiti e, anche attraverso questi, l'apertura al futuro e all'avventura, formativa e lavorativa, della propria esistenza, esso include anche la dimensione della cura (educativa); questa ha a tema, soprattutto, la possibilità che il soggetto possa continuare a prendersi cura di sé, la salvaguardia di una presen-za di cura anche nelle fasi di passaggio della propria vita, di cambiamenti e modi-ficazioni identitarie. L'orientamento educativo, allora, esprime un agire di cura allorquando sorvegli ed operi affinché il soggetto possa vivere la propria forma-zione come atto di cura perenne di sé295 soprattutto al cospetto di cure inautenti-che296 che ponendo la società ed il suo progresso in posizione privilegiata rispetto all'individuo finiscono per preferire la normalizzazione a processi di crescita so-ciale quale conseguenza di benessere personale e collettivo; in tal senso, l'orien-tamento educativo guarda innanzitutto agli individui, ed attraverso questi alla so-cietà, fugando il pericolo di un corpo a corpo educativo tra chi ha bisogno di aiu-to e chi è in grado di offrirlo297, non cedendo alla tentazione di costruire possibi-lità per l'altro, nell'illusione di volere e perciò di sapere, quale sia il suo bene, piut-tosto frapponendo lo spazio dell'aiuto, come costruzione creatrice del possibile per ciascuno, da percorrere con modalità ed itinerari non precostituiti.

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292 CUNTI, cit., p. 35 e sgg. 293 A. CANEVARO (a cura di), La formazione dell'operatore professionale. Percorsi teorici e pratici per

l'operatore pedagogico, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1991, cit. in PALMIERI, cit., p. 25. 294 PALMIERI, cit., p. 25. 295 Ibidem, p. 29. 296 M. HEIDEGGER, Essere e tempo, p. 157, Longanesi, Milano 1976. 297 Palmieri C, op. cit., p. 60.

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