p. marino rigon: 88, ma non li dimostra

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1 Lettera di p. Marino Rigon s.x. dal Bangladesh (5 febbraio 2013) L’amico Francesco Rigon, ha voluto gentilmente permetterci di pubblicare nella “Library” del Munda Education Centre questa bellissima lettera di suo fratello Missionaro, p. Marino, al quale inviamo da “mundaland” l’augurio di Buon Compleanno nella lingua da lui tanto amata come letterato e come UOMO al servizio dell’UOMO: (shùbo jonmodìn) Un ritratto recente di p. Marino: 88, ma non li dimostra! Inoltre, sempre per gentile concessione di Francesco, siamo lieti di poter far seguire alla Lettera quanto p. Marino scrisse da Shelabunia il 24 maggio 2010 riguardo alle Origini della Vocazione

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Lettere nelle quali p. Marino racconta la storia della sua vocazione e della sua vita spesa in Bangladesh al servizio dell'Uomo.

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Page 1: p. Marino Rigon: 88, ma non li dimostra

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Lettera di p. Marino Rigon s.x. dal Bangladesh (5 febbraio 2013) L’amico Francesco Rigon, ha voluto gentilmente permetterci di pubblicare nella “Library” del Munda Education Centre questa bellissima lettera di suo fratello Missionaro, p. Marino, al quale inviamo da “mundaland” l’augurio di Buon Compleanno nella lingua da lui tanto amata come letterato e come UOMO al servizio dell’UOMO:

(shùbo jonmodìn)

Un ritratto recente di p. Marino: 88, ma non li dimostra!

Inoltre, sempre per gentile concessione di Francesco, siamo lieti di poter far seguire alla Lettera quanto p. Marino

scrisse da Shelabunia il 24 maggio 2010 riguardo alle “Origini della Vocazione”

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OTTANTOTTO ANNI

(5 febbraio 2013)

Sulla china del monte della vita, arrivato agli 88 anni di età, con lo sguardo in avanti e in alto,

penso agli anni passati, sopratutto alla prima notte che ho passato fuori dalla patria al Cairo, quando nella stanza dell’albergo mi son sentito tutto solo, e mi sono domandato, come mai per un

istinto incosciente, un lieve soffio di ispirazione a cinque anni, quando ancora non capivo nulla, ho deciso di farmi missionario, davanti a due Croci di legno: una pesante ed un’altra leggera.

In un incontro a Bologna anni fa un Professore di quel Seminario mi domandò per quale motivo

mi fossi fatto Missionario. Gli risposi: “Non lo so!”. Il mio interlocutore s’infuriò, pensando che io volessi prenderlo in giro!

Lo pregai di calmarsi e gli spiegai che io avevo deciso di diventare missionario a cinque anni e

soggiunsi: “Mi dica quale motivo poteva avere un bambino di cinque anni, prima dell’uso di ragione,

di decidere di diventare Missionario?”

La ragione c’era! Una ispirazione interiore dello Spirito Santo. O, una ragazza – mamma Italia-

Monica che studiava a Vicenza, come raccontato in altra memoria - che nella Chiesa della Adorazione

Perpetua, davanti al Santissimo Sacramento, si ripromise di dare il nome, ad un eventuale figlio, di

Marino, donandolo al Signore. Oggi vedo chiaro che la ragione della mia vocazione è stata ed è l’Eucarestia!

La Mamma Italia-Monica (16.01.1901) e il Papà Riccardo (16.03.1895)

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E d’altra parte, se mamma fu qui in terra la radice del mio nome e vocazione; in cielo e in terra ci

fu una Madre. L’8 settembre 1938, mentre scendevo, pieno di gioia in bicicletta, dalla Madonna delle Grazie,

dove avevo fatto un Corso di Esercizi Spirituali con i ragazzi della Azione Cattolica, ho sentito suonare le campane di Monte Berico, che moltiplicarono la mia contentezza

Chi poteva immaginare che, esattamente, dopo cinque anni l’8 settembre 1943 avrei pronunciato la Professione Religiosa per diventare Missionario Saveriano?

In quella Congregazione, fondata dal Vescovo di Parma, Guido Maria Conforti, proclamato santo nell’autunno scorso, fondatore il quale insisteva con i suoi Missionari di dedicarsi alla Cultura e

alla Letteratura. E Cultura e Letteratura furono il mio Cavallo di battaglia, sin dai primi giorni della mia vita

missionaria in Bangladesh, a Bhoborpara. CULTURA che imparai andando di villaggio in villaggio, sedendomi sulla terra battuta delle

capanne a parlare con la gente del luogo. Nei primi anni nel Sundorbon, nei vari villaggi, c’erano solo due chiese di mattoni, dove si poteva

trovare rifugio alla notte. Ma in tutti gli altri villaggi ci si doveva adattare nelle capanne di terra battuta e di bamboo, con il tetto di foglie o di paglia.

LETTERATURA, alla quale mi avvicinai, prima di tutto, leggendo i trenta romanzi di Sorotciondro Bondhopadyay, chiamato l’Artista della Parola. Romanzi che parlano della vita comune del popolo

del Bengala. Vivevo così, ai primi tempi, in stretto contatto con le famiglie dei vari villaggi, soprattutto

nell’offrire assistenza, fra tutti, gli ammalati gravi di colera e di vaiolo nero! Colera e vaiolo nero dei primi anni di missione che mi trafiggevano il cuore.

Il principale impegno però fu la costruzione di scuole e l’avvio delle lezioni. Solo dopo un anno dal mio arrivo in Bangladesh, tutto solo, dopo aver appena compiuto 29 anni,

il mio primo Vescovo di Khulna, Mons. Battaglierin, originario di Venezia-Tre Porti, mi mandò a costruire e ad aprire una Scuola Superiore a Shelabunia, in un territorio, isolato, ai margini della

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foresta del Sundorbon, regno della tigre reale del Bengala; in un territorio dove non c’erano né

strade, né sentieri, ma solo barca ed acqua! Per arrivare, allora, nel villaggio principale di Malgazi, si doveva scendere in treno da Jessore a

Khulna; e da Khulna al Porto di Mongla, navigando per sei-sette ore in battello, e da lì, ancora più di un’ora di barca.

Pur tuttavia, spingendo e remando e guazzando con i piedi dentro l’acqua, in un certo modo mi sentivo un eroe!

Ero giovane, e in un certo senso mi divertivo pure, sopratutto nell’andare incontro ad una nuova vita; per immergermi in una cultura e in una nuova letteratura che dovevo meglio conoscere e

che, nel tempo, avrei apprezzato, ammirato! Che avrebbero fatto grande parte della mia stessa vita, che mi avrebbero fatto rinascere veramente ad una vita nuova!

Le principali tappe della mia vita bengalese sono passate da Khulna (sei anni), da Jessore (sei anni): a Baniarchor (altri sei anni). Ed infine, dal 1979 ad oggi a Shelabunia, in attesa della

chiamata per l’ultimo viaggio.

Padre Marino, s.x.

Società Xaveriana Missionari Saveriani

Casa Madre a Parma

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Shelabunia, 24 maggio 2010

La mia vocazione nasce a cinque anni nel segno della Passione di Cristo in Parrocchia a Villaverla, quando mio padre, Riccardo, nel dramma della Passione ricopriva il ruolo del Cristo (qui sopra

due immagini della Via Crucis, realizzate da una pittrice del Bangladesh – Soraya – con una precisazione speciale: trattasi di una musulmana!!!)

Il mio interesse per il bello, per l’arte è pure nato in famiglia, quando nel granaio di casa scoprìi in un piccolo fascicolo alcuni acquarelli di mamma, Italia-Monica, che mi attirarono per la loro

bellezza e davanti a quelle pitture desiderai di poter anch'io un giorno dipingere come mia madre!

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Dalla mamma, mia maestra alle elementari, ho pure acquisito il piacere della lettura e, come

avevo acquisito dal papà il senso della solidarietà, il piacere dell’amicizia, e, attraverso la stessa mamma ho imparato il valore della corrispondenza, del dare sempre e a tutti una risposta e

veloce. Sono circostanze che anche i fratelli e sorelle ricordano ancora oggi: Francesco ne ha fatto

memoria in una sua raccolta di: Ricordi di casa vecchia Rigon (*). Su queste due tracce, ricevute da papà e mamma, ha camminato la mia vita missionaria.

Nella vita apostolica il Missionario in terra di Missione deve rinascere. Nella lingua bengalese c'é un termine: "Dyija" (leggi "Digio"): "dyi" vuol dire due e "jo" vuol dire

nascita. Il termine indica in modo particolare gli uccelli che vengono al mondo dentro l'uovo e che, una volta, spezzato guscio prendono il volo nell’immenso cielo.

Così è la vita del Missionario che arriva nel suo Nuovo Mondo dentro il guscio della sua cultura e oltrepassando i confini della sua patria paterna entra in un nuovo mondo.

Entra in un nuovo spazio attraverso la cultura e la letteratura del suo paese di adozione, nel territorio della sua Missione.

C'è qualche Missionario che non invita a rompere il guscio e a spiccare il volo, perché dice che per predicare il Vangelo non è necessario imparare a perfezione la lingua locale. Qualcuno, vedendomi

allo studio, mi suggeriva di non affaticarmi a studiare e a leggere. Altri affermava che era sufficiente ascoltare la gente e servirsi di quel linguaggio.

Non so se per fortuna o per ascolto di una “Voce Interiore” che sentivo dentro di me e, così come era accaduto all'inizio della mia decisione di farmi missionario, ho ascoltato la voce del Cristo,

così ai primi passi in Missione, ho dato orecchio alla voce dello Spirito. Pensavo che, per imparare bene la lingua, dovevo entrare a fondo nella letteratura e cultura del

paese dove la Provvidenza mi aveva destinato.

Non so dire che cosa arriva prima: la conoscenza della lingua, della cultura o l'intelligenza della letteratura.

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Penso non ci sia stato un prima, o un dopo: lingua, cultura e letteratura camminano avanti,

insieme, passo dopo passo. Allora si mossero le mie mani e i miei piedi: le mani per prendere i libri di letteratura, di poesia

locale ed i piedi per camminare sui nuovi sentieri e sulle acque del Bangladesh. Di giorno ho mosso i piedi e di notte ho aperto i libri.

Andavo di villaggio, in villaggio sedendomi per terra, sulla veranda delle capanne fatte di fango, di foglie e di bambù, ed ascoltare le parole della mia nuova gente, cercando di capire anche i loro

problemi e le loro concezioni della vita. I Bengalesi dicono: "Mongolbare Pa – Budhbare Gia!". Cioè: Martedì al passo (piede); Mercoledì

vai... vai lontano quanto più puoi! Battei il passo nella letteratura, camminai avanti nella cultura.

Un giorno in un Bazar sentii un uomo che gridava per vendere la sua merce: "Per sedersi la terra – Per stare in piedi il bastone!" Subito vidi nella "terra" e nel "bastone" la cultura e la letteratura.

Infine qualcuno cominciò a dirmi che sono più bengalese che italiano. Una presa in giro!? No, per me è sta ed è una lode!

Con l'andare del tempo scopersi una cosa, che penso importante, e cioè che la Missione è un dare e un ricevere. Nel primo viaggio da Roma a Calcutta, volando sopra i deserti dell'Arabia mi dicevo

che avrei ridato i doni dei Magi che dall'Oriente erano arrivati in Occidente. Io andando dall'Occidente all’Oriente pensavo e credevo che andavo verso la Missione solo per dare. Ma nel

cammino missionario mi sono accorto, ben presto, che l"Oriente aveva ancora molti doni da dare. E così fu! Ho dato ed ho ricevuto. Più ricevuto che dato!

I primi passi cominciarono sulle vie della malattia e dell'analfabetismo della popolazione del Bangladesh, dei senza terra e dei senza casa.

Ed, in realtà, in questi campi ho pensato di dare aiuto sino in fondo: educazione, risanamento, acquisizione di terra e di una casa propria, meglio di una capanna propria.

Come in ogni arte c'è uno stile, così nel lavoro missionario c'è una strada, una mentalità, un ideale da tenere presente: l' UOMO!

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Da notare che in bengalese "UOMO" è di genere neutro; Uomo è tanto maschile che femminile.

Sulla base "UOMO", ho posto le fondamenta della mia Missione. San Giovanni della Croce ha scritto che la vocazione fondamentale di ogni essere umano, infatti, è

il farsi UOMO. Invitato da qualche Congregazione Religiosa di entrare nella propria comunità, diceva che il suo

problema non era di entrare in una o l’altra Congregazione Religiosa, ma la sua aspirazione era quella di entrare nella Congregazione in cui egli avrebbe potuto diventare UOMO!

E allora diventai amico di tutti e nemico di nessuno. Anzi non mi piace sentire che qualcuno mi domandi: "Di che religione sei?" Perché affermare

davanti ad un Musulmano o a un Indù che sono Cristiano e che tale dichiarazione diventi motivo di separazione o di chiusura? Mentre dobbiamo essere aperti e accoglienti verso tutti!

Proprio traendo ispirazione da una romanza del grande mistico, San Giovanni della Croce, ho scritto anche la mia Romanza n°2 – pag. 169 di CANTICA:

“O poeta, qual è la tua religione?

Domanda la gente del Bengala (e rispondo)

Appartengo al puro amore senza alcuna distinzione…

Mi sono fatto solo loro loro si son fatti miei.

Mi accolsero tra le loro braccia mi consegnarono al loro suolo…”

Fu ed è la mia Missione un successo? Nella voce degli uomini sembra di sì; ma davanti a Dio non ho il coraggio di proclamare vittoria!

P. Marino Rigon, s.x.

(*) n.d.r.: si invitano i Lettori a visitare il sito http://www.fathermarinorigon.com