periodico italiano magazine marzo 2016

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Mensile di informazione e approfondimento. In copertina: Donna, perché? Il concetto di uguaglianza e di parità nel nostro Paese è ancora un’utopia e questo, in fondo, ci dice che anche il femminismo ‘a modo suo’ ha perso. Non perdetevi gli aggiornamenti settimanali sul nostro sito www.periodicoitalianomagazine.it

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Il nuovo ‘valore’dell’8 marzo

Come ogni anno, in occasione dell’8 marzo c’è sempre qualcuno che si chie-de se sia giusto celebrare un giorno di ‘omaggio’ in favore delle donne, poi-ché dovrebbero – e in ciò concordo – essere rispettate e valorizzate quoti-dianamente. Ma tale paradosso rischia di mostrare il ‘fianco’ a favore di chivuole, invece, mettere la ‘sordina’ a questa giornata ‘laica’, al fine di conte-nere l’avanzamento sociale femminile. La ricorrenza, al momento, esiste:dunque, per lo meno ‘approfittiamone’ per riflettere intorno alle loro attua-li condizioni nelle diverserealtà sociali e nel mondo.Dal discutibile fronte delle‘destre’ (quelle italiane, ovvia-mente, ché da altre parti laparola ‘destra’ presuppone unconcetto ben più serio…)giunge la consueta analisi diuna donna che non sarebbepiù se stessa, poiché tesa adassomigliare sempre piùall’uomo. Riflettendo sulle ‘piatte’ tipologie di uomini che ci sono in circola-zione, la cosa fa un po’ ridere, ma fa niente. La questione, infatti, non èquella di portare la donna a ‘mascolinizzarsi’ per cercare una parità total-mente ‘idealistica’ con l’uomo, bensì di osservare gli effetti che il loro par-ticolare modo di affrontare e gestire determinati compiti e professioniapporta nella nostra vita quotidiana. In meglio, tra l’altro. E in quasi tuttii ‘campi’. Di recente, ho avuto modo d’incontrare alcuni ufficialidell’Esercito italiano e di visitare insieme a loro un battaglione di solda-ti estremamente efficiente, tra le cui fila, oggi, risultano arruolate, concompiti operativi ed effettivi, anche molte donne. Ai tempi in cui il sot-toscritto dovette svolgere il proprio servizio di leva, le ragazze non eranoammesse nelle Forza armate: si era ancora alle prime sperimentazionitra i diversi corpi cittadini di Polizia municipale. Ebbene, a distanza dipochi decenni dal loro inserimento nell’Esercito italiano, oggi il proble-ma del ‘nonnismo’ e di un certo ‘sbrago’ che si diffondeva nelle nostrecaserme può dirsi praticamente debellato, o quantomeno marginalizza-to in ‘casistiche’ molto particolari. Nelle nostre Forze armate, propriol’avvento delle donne ha obbligato tutti quanti ad attenersi a un più altogrado di ‘autodisciplina’ e serietà, insieme a numerose altre ‘uniformità’comportamentali assai più corrette e ‘positive’. Probabilmente, ciò èavvenuto per non fare, noi uomini, la solita ‘figura’ da ‘caproni’ - qualispesso siamo - innanzi a loro. Ma ciò significa che tale ‘novità’ ha miglio-rato anche i militari ‘maschi’ di ogni ordine e grado, i quali non possonopiù permettersi, come invece avveniva in passato (sono pronto a testi-moniare quanto vado scrivendo ovunque e di fronte a chiunque…), bat-tute vergognose e ‘razziste’ del tipo: “Rompete le fiche”! Insomma, nei

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editoriale [email protected]>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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nostri corpi armati, compresi quelli di Polizia e di sicurezza pubblica, gra-zie alle donne le cose vanno decisamente meglio. E l’efficienza di tutti inostri ‘reparti’ di difesa è decisamente migliorata. La banalità reazionariadella donna che vorrebbe assomigliare all’uomo è solamente una ‘boutade’di derivazione clerico-fascista, che vorrebbe mantenere l’universo femmi-nile all’interno dei consueti ‘recinti’ delle ‘donnette’ da ‘focolare domestico’.È una forma di demagogia ‘destrorsa’, tutta interna a un mondo in cui èdecisamente difficile trovare qualcuno capace di andare oltre la ‘fallocra-zìa’. Ma anche la visione cattolica, cioè quella di una donna che può lavo-rare, ma che deve comunque mantenere, come obiettivo prioritario, quellodi sposarsi e fare figli per conservare la struttura familiare della società,mostra ben visibili ‘crepe’ col passare delle generazioni. Nelle visioni tipi-camente ‘confessionali’, infatti, una ragazza o una giovane donna chevoglia impegnare la propria vita in una carriera professionale o in un lavo-ro ben preciso, ancora oggi viene vista con malcelato disappunto, compli-cando di molto situazioni, condizioni e problemi oggettivi di ordinariagestione della vita quotidiana. Si tratta di concezioni che ormai sanno tuttedi ‘muffa’, poiché tendono a creare ulteriori problemi alle donne, anzichéaiutarle a risolverli. Problemi che sono poi quelli di un’effettiva emancipa-zione in grado di affrancarle, definitivamente, da quelle ‘gabbie’ imposteda una concezione culturale di dominio e di potere che, ancora oggi,risulta di derivazione maschile. L’homo italicus non è tenuto a cambia-re la propria idea della donna. Anche perché, nella maggior parte deicasi non ci riesce: non ci ‘arriva’ proprio al concetto di ‘rapporto parita-rio’ e di ‘democrazia affettiva’. Dunque, è meglio “lasciare che i ‘morti’seppelliscano i loro morti”. E la festa dell’8 marzo, anno dopo anno eogni volta di più, deve diventare una giornata di riflessione ‘felice’ sucome le donne stiano mettendo ‘sotto’ gli uomini, con piena ragione.Insomma, non stiamo più neanche parlando di parità tra uomo e donna,ma di un vero e proprio ‘dominio matrilineare’ in tutto il mondo. Diquale ‘parità’ si va ancora ‘cianciando’? Ma chi la vuole? Essa equivar-rebbe a cercare di ottenere un ‘pareggio’ nella finale dei Campionatimondiali di calcio: perché ‘diamine’ giocarla, se l’obiettivo è un risultatoche non ‘premia’ nessuno? Al contrario, l’avvicendamento delle donnerispetto agli uomini alla guida delle nostre società, di tutte le società, èormai necessario e addirittura urgente, poiché nel corso della Storia il‘maschilismo’ ha ormai detto e fatto tutto quel che aveva da dire e dafare. E, nella maggior parte dei casi, lo ha detto e lo ha fatto anche male.Oggi, la guida della società spetta alle donne, poiché sono stati propriogli uomini a volere un simile ‘rivolgimento’, con le loro atrocità e il pro-prio razzismo. Altro che parità: gli uomini se ne devono andare letteral-mente a ‘quel paese’. E le donne devono essere libere di fare quello chevogliono, come vogliono e quando vogliono. Se capiterà loro di essere feli-ci e innamorate di un compagno valido, che saprà dimostrarsi alla loro‘altezza’, tanto meglio. Ma è bene sapere, che la ‘partita a scacchi’ a cuile donne ci stanno chiamando a rispondere risulta ormai in pieno svol-gimento. E noi ‘maschi’ siamo tenuti a mettere in conto che, in molticasi, possiamo perderla.

VITTORIO LUSSANA

editoriale Il concetto di ‘rapporto paritario’ non è accettato>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Ma la parità cos’è?Di femminismo si continua a parlare ma, ammettiamolo, le battagliedi un tempo con i reggiseni agitati al vento sono proprio lontane.Sarà che per le nostre figlie molti dei diritti che un tempo ci veniva-no negati sono ormai acquisiti e dovuti, ma quella ‘foga’ – talvoltapersino un tantino estremista – nei confronti del maschilismo èormai un pallido ricordo.È indubbio che le cose nell’ultimo trentennio siano cambiate. Etante volte mi chiedo cosa sarebbe oggi la battaglia Lgbt nel nostroPaese, se non ci fosse stata la caparbietà di un movimento femmini-le capace di scardinare, seppur in modo ancora incompleto, la men-talità e la concezione societaria del maschio latino. La condizionedella donna è migliorata, ma più di tutto ècambiata la struttura familiare, il modo diconcepire la coppia, le scelte sulla carrieralavorativa, sull’avere o no dei figli, sulpoterli crescere anche senza un marito alproprio fianco (si parla sempre troppo pocodi quante donne, dopo il divorzio, si sonotrovate a dover rincorrere inutilmente glialimenti per il mantenimento dei figli).Ma è sbagliato credere che le battagliedelle donne siano servite solo alle donne.Tante vittorie hanno estesto il concetto diparità a tutta la società. Ad esempio, perquanto pochi, ci sono dei papà che ‘godono’del periodo di maternità al posto dellemogli. In molte coppie la cura della casa edei figli è veramente condivisa in modoparitario. Anzi, a dire il vero, il maschio‘casalingo’ comincia ad avere una suaidentità e una comprensione diversa dicosa comporti il non pensare esclusivamente alle proprie esigenze.Una campagna pubblicità progresso di questi mesi mette in eviden-za che le donne guadagnano meno degli uomini. È sicuramente vero,ma ormai non c’è professione che sia negata al genere femminile (lanostra Samantha Cristoforetti ce ne ha dato la misura salutandocidallo spazio). Di femminismo si continua a parlare, ma ha ancorasenso parlarne in questo momento storico? È utopistico pensare chesia arrivato il momento di fare uno scatto in avanti e pensare al verosignificato di parità? Che uomini e donne possano essere innanzitut-to persone, con la loro specificità soggettiva, ma con il diritto allemedesime opportunità? Se nel confronto uomo/donna si è combattu-ta l’idea di cittadino di serie A e di serie B, perché non può esserealtrettanto nel rapporto fra persona abile e disabile? Rapporti dicoppia eterosessuali e omosessuali? Il concetto di uguaglianza e diparità nel nostro Paese è ancora un’utopia e questo, in fondo, ci diceche anche il femminismo ‘a modo suo’ ha perso.

FRANCESCA BUFFO

storiadicopertina Il femminismo, a modo suo, ha perso>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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La minaccia dell’Is è ormai una

realtà che sta preoccupando le

potenze militari e di ‘intelligen-

ce’ di tutto il mondo

sommario Anno 5 I numero 17 I Marzo 2016

3 Editoriale

5 Storia di copertina

8 I perché delle donneNello scontro uomo/donna il femminismo non ha vinto, ma a guadagnarci sono stati un po’ tutti

10 Stalking:quando la denuncia è falsaIl cortometraggio ‘La corsa’racconta una pratica sempre più diffusa

12 Vanna Vincie la bambina filosoficaUna protagonista ribelle e schietta che è capace di strappare sorrisi ma suggerisce sempre spunti di riflessione

16 Yayoi Kusamauna vita a poisUna geniale ultraottantenne che ha precorso la pop art e il minimalismo

24 Quella creatività ‘petalosa’Da un simpatico errore tra i banchi di scuola nasce un nuovo aggettivo

26 Il ritorno della RussiaPer risolvere la questione Mediorientale, Putin ha puntato la sua intera reputazione militare sul sostegno al governo siriano

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Una difesaeuropea

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23 Bobo Craxi“L’intervento in Libiaè una ‘trappola’ per l’Italia”

34 Anatomia di un uomo veroRaf Vallone, indimenticabile volto del cinema italiano

38 Lo ska punk dei TalcoUn gruppo italiano che ha una propria roccaforte all’estero, anche se i concerti più emozionanti sono quelli italiani

41 Materianera un sound originaleIl gruppo salentino torna con un concept album che è un urlo diretto e pungente contro una realtà fatta di autoillusioni

44 Tarantino’s styleEsistono poche personalità, nel mondo del cinema in grado di dividere il pubblico in maniera così netta

48 Libri&LibriNovità in libreria

50 Una ragazza attraverso il nazismoUna storia di Resistenza nell’Amsterdam del 1943

Nell’immaginario del mondo occidenta-le la donna esotica per eccellenza èindentificata con la geisha, ma la storiafemminile della terra del Sol Levantenon è solo limitata a tale stereotipo,come dimostrano i dieci volti fotografatidall'artista giapponese in mostra allagalleria ristorante Doozo di Roma

Naoya Yamaguchiritratti d’autore

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Anno 5 - n. 17 - Marzo 2016

Direttore responsabile: Vittorio LussanaVicedirettore: Francesca Buffo

In redazione: Gaetano Massimo Macrì, Carla De Leo, Giuseppe Lorin, Michela Zanarella, Annalisa Civitelli,Serena Di Giovanni , Ilaria Cordì , Silvia Mattina,Giorgio Morino, Michele Di Muro, Clelia Moscariello

REDAZIONE CENTRALE: Via A. Pertile, 5 - 00168 Roma - Tel.06.92592703

Progetto grafico: Komunicare.org - Roma

Editore Compact edizioni divisione di Phoenix associa-zione culturale - Periodico italiano magazine è unatestata giornalistica registrata presso il RegistroStampa del Tribunale di Milano, n. 345, il 9.06.2010

PROMOZIONE E SVILUPPO

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Page 8: Periodico italiano magazine marzo 2016

L’Italia è un Paese caratterizzato da un’asimmetria di generenella divisione dei ruoli nelle coppie evidente in tutte le

zone del Paese e trasversale ai vari strati della società. Per unadonna avere un lavoro e dei figli si traduce in un elevato sovrac-carico di lavoro di cura, che permane per tutto il corso della vita;per gli uomini, invece, l’ingresso nel variegato mondo del lavorofamiliare continua ad essere lento. Tuttavia, dalla fine deglianni ’80 si sono registrati dei progressivi segnali di cambiamen-to nell’asimmetria dei ruoli di genere, dovuti in larga parte allariduzione operata dalle donne nei tempi di lavoro domestico, maanche al contributo positivo dato da alcuni segmenti della popo-lazione maschile. Questa breve analisi è tratta da uno studioIstat che prende in esame la condizione della donna italiana neldecennio 2004-2014. Naturalmente i risultati pubblicati fannoriferimento a un enorme quantità di dati che fotografano l’evo-luzione sociale del nostro Paese. E come sempre accade nelleanalisi statistiche certi risultati fanno sorridere (il numeromedio di figli per ogni donna è 1,6, per fare un esempio). Nelcomplesso lo studio è un compendio di buone notizie: le donneottengono risultati migliori di quelli degli uomini sia a scuolache all’università. La diffusione delle nuove tecnologie riguardatutta la popolazione con una diminuzionedel divario di genere e, per le giovani, con un suo annullamento; lapresenza nei ruoli decisionali è in crescita sia nei luoghi politiciche in quelli economici. Cambiamenti si sono evidenziati anchenella coscienza femminile, ad esempio riguardo la capacità di rico-noscere la violenza di genere e di interrompere tempestivamentele reazioni violente, prevenendo così le situazioni di rischio. Quinditutto sembra volgere al meglio (se non nel mondo, almeno nelnostro Paese). Ma allora perché continuiamo a lamentarci? Laverità è che il cambiamento della società è già in atto ma alcuneforme di pensiero stereotipate faticano a scomparire. Le donnepossono scegliere di intraprendere la professione che desiderano.E l’obbligo del tacco 12 sembra aver perso larghi consensi. Nelleserie televisive cominciano ad apparire protagoniste femminiliburrose e persino la Barbie, da quest’anno, indossa la taglia 48.Eppoi, basta guardarsi intorno per vedere che il modello di fami-glia vecchio stampo (quella che impone scelte e ruoli, per inten-derci) si sta stemperando in un modello diverso: la scelta fidan-zamento= matrimonio non è più un percorso obbligato; l’utopia

primopiano

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I perchédelle donne

Dismessa l’era del ‘volevo i

pantaloni’, il genere femmini-

le ha finalmente imparato a

portare la gonna con soddi-

sfazione e senza alcun tipo di

invidia di genere. Non tutte

sono ‘vere’ vittorie però: le

pari opportunità, a causa

della crisi, sono un problema

che riguarda tutti. E nel

doversela cavare, la coppia

ha dovuto riformulare le

regole del ‘chi fa cosa’. Anche i

maschietti fanno il bucato, la

spesa e seguono i figli nelle

attività extrascolastiche.

Nello scontro uomo/donna il

femminismo non ha vinto,

ma a guadagnarci sono stati

un po’ tutti

primopiano Le battaglie di ieri hanno generato un presente migliore

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del matrimonio ‘per sempre’ ha perso proseliti; la necessità deldoppio stipendio in famiglia non ammette repliche. La parità,nel bene e nel male, è un dato di fatto. E non è uno scherzo, per-ché con la crisi economica tutto si è complicato o, meglio, riorga-nizzato. Fautori di questa ‘rivoluzione’ sono proprio i giovani chedanno per scontata una divisione dei compiti all’interno dellacoppia, persino nel chi porta a casa lo stipendio perché a volteriesce a lavorare solo uno dei due oppure ci si divide fra millelavoretti. Certo, tanta democraticità è un po’ meno diffusa fra gliover 50 (altra educazione, altre abitudini). Ma per i nostri figlile cose sono diverse. Persino la liberazione sessuale assumenuove insospettabili connotazioni di fronte alle quali le polemi-che sulle unioni civili e le adozioni sembrano polverose. In fondoè giusto così: tante battaglie le abbiamo intraprese per dare loroun futuro migliore. Solo che nel frattempo ci siamo dimenticatidi scrivere il libretto di istruzioni per noi. E nella dicotomia fraciò che volevamo cambiare e ciò che desideravamo ottenere, cisiamo persi un po’ tutti quanti. Uomini e donne. Perché la con-fusione, almeno lei, non conosce differenze di genere.

FRANCESCA BUFFO

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Nikos ed Eleni sono dueimmigrati greci integrati

nella loro nuova patria, l'Italia.Nikos ed Eleni si amano. Il pro-blema è che mentre lui sa benis-simo cosa vuole, lei decisamenteno. Lui, per lei, vuole rinunciarealla sua vita e alla famiglia chesi è costruito negli anni. Lei avolte si e a volte no, più no che sia dire il vero. Sullo sfondo not-turno di una Padova di periferia,tra feste greche, locali poco fre-quentati e camere d'albergo, siavvita la loro storia d'amoreclandestina. Quello raccontatonel cortometraggio ‘La corsa’dal regista Renzo Carbonera èun rapporto in crisi che si chiudecon un colpo di scena.Il soggetto, scritto a quattromani da regista e produttrice diFilm Art Studio, BarbaraManni, analizza un fenomenosu cui alcuni magistratihanno posto l'accento, quel-lo delle false denunce perstalking che, dati delMinistero dell'Interno, sonoin significativo aumento dal2009. Se in generale la legge èstata un passaggio fondamenta-

le per far emergere le violenze,con il corto si vuole porre l'atten-zione sull'importanza di trattarei sentimenti di ambo le parti congrande delicatezza e profondità.Un cast artistico internazionaleche ha per protagonisti Eleni eNikos, ovvero Anita Kravos,già vista ne ‘La Grande Bellezza’di Sorrentino e FabrizioRomagnoli, protagonista insie-me a Romina Power de ‘IlSegreto d'Italia’ di Bellucco.“Lo scopo di questo film breve –spiega Renzo Carbonera – èquello di mostrare sotto unaluce inedita alcune delle mille

sfaccettature che caratterizzanoil rapporto uomo-donna. Unrapporto conflittuale, in cui siintravedono rinunce, compro-messi, paure, passioni, ponticostruiti e distrutti, sia tra dueindividui che tra due comunità:quella da cui i due provengonoe quella in cui si ritrovano inse-riti. Il film pone al suo centro lacomplessità del conflitto uomo-donna. Nello specifico, è unariflessione sulla tendenza con-temporanea a sviluppare rela-zioni sempre più complesse efragili, e a volerle al tempo stes-so regolare sempre di più. Ciòpurtroppo fa generalizzare sem-pre di più anche dinamiche easpetti della vita che sono inve-ce singolari e unici, come è nor-male che siano i rapporti intimie personali. Con il fine di instil-lare delle domande nello spet-tatore, abbiamo voluto mostra-re i limiti e i pericoli che si cor-rono nel trattare l’emozione inmaniera astratta, quasi giuri-dica”.

FRANCESCA BUFFO

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Stalkingquando la denuncia è falsa

Il punto / Il ‘tradimento’della legge 612bis CP - atti persecutori - è una pratica sempre più diffusa

LA CORSA cortometraggio 12-15’Soggetto e sceneggiatura: Renzo Carbonera e Barbara Manni - Regia: Renzo CarboneraInterpreti: Anita Kravos e Fabrizio RomagnoliFotografia: Giovanni Andreotta - Una produzione FilmArt Studio, in collaborazione con Officina Immaginivisualizzabile su youtube all’indirizzo https://youtube.com/wath?v=j4EkQGx1MHc

Da sinistra: Fabrizio Romagnoli, Anita Kravos e Renzo Carbonera

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Quest’anno in occasione del Bologna JazzFestival Vanna Vinci ha realizzato i ritrat-

ti dei protagonisti della manifestazione. Leimmagini sono andate ad abbellire la città informa di manifesti e sono state istallate all’in-terno di due autobus sonori al posto dei solitipannelli pubblicitari. Lungo è l’elenco di libri dalei illustrati per le principali case editrici (Mondadori, Giunti, Battello A Vapore, FabbriEditore, Enaudi e Beisler Editore) quali, percitarne due, Il Meraviglioso mago di Oz e IlLibro della Giungla. Una casa a Venezia, realiz-zato in collaborazione con Giovanni Mattioli, èstato pubblicato dalla giapponese Kodansha.

Con L’età selvaggia ha vinto nel 2001 il premioRomics come miglior opera di scuola europea.Spaziando tra il ricorso a una tecnica “tradizio-nale” e un approccio più libero Vanna Vinci èautrice di numerosi libri a fumetti con una pre-dilezione per i personaggi femminili comeSophia, Aida e Lilian. Certamente la bambinafilosofica è il suo personaggio più celebre.Pubblicata per un anno su Linus e poi perMondo Naif, la bambina punk-dadaista è prota-gonista di sette libri usciti prima per KappaEdizioni, poi per Rizzoli e ora per BaoPuplishing.Intelligente, ribelle, schietta e dotata di un forte

cultura L’ultimo libro sul divertente personaggio creato dalla fumettista sarda >>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Vanna Vincie la bambina filosofica

Una protagonista

ribelle e schietta

che è capace di

strappare sorrisi

ma suggerisce

sempre spunti

di riflessione

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senso dell’umorismo la bambina filosofica ècapace di strappare sorrisi ma suggerisce sem-pre spunti di riflessione: “ E’ una maestra delbrontolio, una regina dei rimuginanti, una cam-pionessa dello sporto di sputare sentenze e rom-pere le scatole. La bambina filosofica è la versio-ne baby del lato più ribelle e sulfureo del pensie-ro occidentale”.Il successo di questo personaggio è testimoniatodal fatto che se ne trova una rappresentazionealta 15 metri per le strade di Bruxelles recente-mente realizzata dalla società Art Mural.Per questo fumetto Vanna Vinci si pone sullascia dei grandi maestri del passato quali Shulz(Peanuts) e Quino (Mafalda).L’ultimo libro della serie La Bambina filosofi-ca - No Future è, come dichiarato nella prefa-zione, un manuale di sopravvivenza contempo-raneo, un almanacco dadaista a fumetti e unapiccola enciclopedia illustrata del niente. Nonha una trama lineare, non è una graphic novel,non ha un messaggio di fondo. Il libro è suddivi-so nei seguenti capitoli: Bombette, Ricette imba-razzanti, Pillole di saggezza( altrui), Oroscopo,forme virali, Quadreria, Travestimenti,Cineforum, Dischi, Maschere e occhiali eAddobbi natalizi crudeli.Nelle pagine del manuale la bambina si ponecome elemento di rottura delle convenzioniattraverso il rifiuto netto dei comportamenti,del bon ton, delle ossessioni e fissazione dell’uo-mo contemporaneo.Un personaggio irriverente epoco convenzionale che, comeci racconta la sua autrice,

con il suo pensiero caustico può sortire nel letto-re un effetto terapeutico.

Vanna Vinci, come nasce il personaggiodella bambina filosofica e quanto c’è di tuoin lei?“La bambina nasce da sola, autocreandosi su untovagliolino di carta unto di olio di patatine frit-te, in un pub della periferia di Bologna, quello

con l'autobus inglese sul tetto.Nasce senza ombra di dubbioda fatti autobiografici, da let-ture deleterie legate al miglio-re e più mefitico pensieronichilista e pessimista e cau-stico occidentale. Ma anchedalle influenze nefaste chehanno avuto su di me le StTrinian's, le bambine assassi-ne di Ronald Searle, Mafaldadi Quino, La cattiva Lulù diYves Saint Laurent, Mar-cellina il mostro di Lystad eChess, Pino Zac e ovviamente iPeanuts”.

Quanto c’è bisogno oggi diqualcuno che sovverta leconvenzioni, come la bam-bina filosofica?

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è un manuale di sopravvivenza contro il bon ton e le convenzioni sociali>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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“Non so dare una risposta a questa domanda, senon che dove esistono delle convenzioni, prima opoi arriva qualche teppista mentale e verbaleche si dà da fare per sovvertirle. Si tratta di unfatto naturale. Come il ciclo della vita”.

Il libro fonde diversi generi del fumetto eal tempo stesso non appartiene pienamen-te a nessuno di questi. Si articola secondouna formula anti narrativa ed è, come dici,un manuale di sopravvivenza. Come valetto quindi?“Disordinatamente, come è stato concepito.Alla spicciolata, a spizzichi e bocconi o a morsi.Poi va digerito e risputato all'occorrenza.Perché No future è un manuale di sopravvi-venza e può essere terapeutico, proprio percurarsi dal bon ton e dalle convenzioni socialiappunto. Ma è anche un'arma di difesa o dioffesa quando ci si sente a mal partito in situa-zioni che comportino proprio queste tantoaborrite convenzioni sociali”.

La struttura del libro così non convenzio-nale è un’esempio di come forse quello del-l’illustrazione, sia uno dei pochi campi incui viene dato ampio spazio alla sperimen-tazione artistica (rispetto magari a quantoavviene per esempio nella letteratura o

nella musica). Ti senti di condividere que-sto pensiero?“Non so rispondere. La sperimentazione artisti-ca credo si annidi dovunque. Certo in questoperiodo le campagne di disinfestazione sonomolto frequenti. Però, più che di sperimentazio-ne, io, nel caso di No future, parlerei di dadai-smo punk applicato al fumetto e anche di disor-dine mentale”.

Come è avvenuta la selezione dei quadri edelle copertine dei dischi che hai rivisitatonel libro?“I quadri li ho scelti tra quelli che mi piacevanodi più, e tra quelli che era più facile storpiare informa di bambina filosofica. Il mio preferito è ilCristo morto di Mantegna.La musica l'ho sceltasoprattutto cercando quella più aderente alcarattere ribelle, sgangherato e irriverente dellabambina filosofica, ma anche in base a quelloche io ho ascoltato durante la stesura del libro,anche come propellente (e diciamo la verità: nonsolo ho ascoltato, ma pure ballato).La mia prefe-rita è quella dei New York Dolls”.

In “Io disegno” descrivi il tuo avvicina-mento al disegno da bambina. Com’è pro-seguita la tua formazione?“Io ho sempre disegnato, perché il disegno è un

cultura No future è un manuale di sopravvivenza: un'arma di difesa o di offesa qu>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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modo di esprimersi. Ero una bambina calma esolitaria che amava i dinosauri, abbonata aTopolino e Miao. A un certo punto, verso i sedicianni, ho letto le storie brevi di Corto Maltese diPratt, e lì è scattata la malattia mentale. Perchéil fumetto è una malattia mentale. Ecco, da allo-ra non sono più riuscita, se non per brevi perio-di di disintossicazione, a uscire dal tunnel”.

Oltre che autrice di libri a fumetti, sei illu-stratrice. In cosa differiscono i due lavori?“La sequenza. Il fumetto è la sequenza. I fumet-tisti sono ossessionati dalla sequenza. Gli illu-stratori non sanno nemmeno cosa sia. E poi leonomatopee. I fumettisti spesso pronunciano esi esprimono con dei suoni tipo mumble mum-ble, sbamm, crack, pow… Gli illustratori non lofanno”.

Quali sono stati gli autori, non solo difumetti, che più di tutti ti hanno influenza-to?“Tantissimi: Ronald Searle, J. D. Salinger, HugoPratt, James Joyce, Dino Battaglia, GuidoCrepax, Grazia Nidasio, Pino Zac, Colette,Thomas Bernhard, A. M. Ripellino, GiuseppeScaraffia, Karl Kraus, E.M. Cioran, BernardKops, Henry Miller, Francis Scott Fitzgerald,Charles Schulz, Anacleto Verrecchia, G. C.

Lichtenberg, Antonio Lopez, Franz Kafka,Hiromu Ono, Riyoko Ikeda, Ben Shahn, Karekcapek, Simone de Beauvoir, Elena GianiniBelotti, Carla Lonzi. L’ordine è totalmentecasuale, chi se li ricorda tutti? Un sacco digente”

Hai lavorato con editori esteri. Quali le dif-ferenze con il contesto italiano?“Direi che ogni editore è diverso. Senz’altro ledifferenze culturali esistono anche con paesimolto vicini come la Francia, il Belgio o laSpagna. Per non parlare ovviamente delGiappone. Ma non ne farei una questione geo-grafica, di cultura o di educazione. Per me èsempre una questione di persone, di comunica-zione e collaborazione tra persone”.

Progetti futuri?Una biografia di Frida Kahlo, una biografiadella marchesa Casati (non è uno scherzo), delleincursioni editoriali anarchiche della bambinafilosofica, una biografia del regista più scandalo-so e maledetto di Hollywood: Erich VonStroheim. E altra roba sui dinosauri e suBologna”.

MICHELE DI MURO

VANNA VINCI Nata nel 1964 a Cagliari, dopogli studi compiuti per l’IstitutoEuropeo di Design inizia lavo-rando nel settore della graficapubblicitaria. Il suo debutto nelmondo del fumetto risale al 1990sulla rivista milanese Fumo diChina con due storie aventi comeprotagonista la mummia Naarik.Da allora ha lavorato comefumettista, illustratrice e inse-gnante di fumetto pressoL’Accademia delle Belle Arti diBologna.

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uando ci si sente a mal partito in situazioni che comportino le tanto aborrite convenzioni sociali>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Da giovane era una ragazzina sfacciata, che halasciato presto la sua terra d’origine, il

Giappone, per perseguire il suo sogno, quello didiventare un’artista affermata, nei lontani StatiUniti d’America. Ha creduto in se stessa e ha avutoragione: ha partecipato a due Biennali di Venezia(1966 e 1993), organizzato happening dall'alto tassoerotico coinvolgendo i più noti hippies dell’epoca,tra i quali molti artisti, giornalisti e galleristinewyorchesi. Poi è scappata via dall’America, inperenne compagnia delle sue nevrosi: dal 1977 si è

rinchiusa in un ospedale psichiatrico giapponese,dove continua a produrre la sua arte psicosomaticae dove, nel 2012, con la complicità di Marc Jacobs,direttore artistico per Louis Vuitton, ha concepitoper la maison francese le vetrine dei più importan-ti punti vendita e una linea di abbigliamento eaccessori. Rigorosamente a pois.Yayoi Kusama nasce nel 1929 a Matsumoto, cittàgiapponese della prefettura di Nagano, da unafamiglia molto repressiva, appartenente all’altasocietà locale. Sua madre è una tradizionalista con-

arte Una geniale ultraottantenne che ha precorso la pop art e il minimalismo è una femm>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Yayoi Kusamauna vita a pois

Conosciuta anche

come la sacerdotessa

delle Infinity Nets,

l’artista giapponese ha

penetranti occhi

a mandorla,

un viso di porcellana

inverosimilmente

giovane e indossa una

parrucca pel di carota.

Con la sua arte

psicosomatica

continua a stupire

anche il mondo

della moda

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minista convinta. Vive da decenni, per sua scelta, in una clinica psichiatrica>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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vinta, il padre un libertino. Fin da piccola soffre diallucinazioni visive e auditive. Nella sua città nata-le, scopre in un negozio un testo con i dipinti diGeorgia O’Keeffe, la moglie del fotografo americanoAlfred Stieglitz, che in quegli anni conduceva unavita da eremita in una tenuta circondata dalle mon-tagne del New Mexico. È questo libro che la spingeuna volta per tutte a trasformare in realtà il suopiù grande desiderio: recarsi a New York e divenireun’artista. Sostenuta dal rapporto epistolare conGeorgia O’Keeffe, che agevola e promuove l’avviodella sua carriera artistica, Kusama nel 1957 si tra-sferisce nella Grande Mela. Squattrinata e sola,come vicino di casa trova un Sam Francis, noto pit-tore statunitense, all’epoca ancora sconosciuto. Iprimi anni newyorkesi sono un inferno: la scarsadisponibilità economica, i continui collassi nervosi ela solitudine sono i suoi primi compagni di vita. Maè l’arte a salvarla, per la seconda volta. GeorgiaO’Keeffe presenta Yayoi alla mercante EdithHalpert (che alla Downtown Gallery aveva lanciatoartisti di altissimo livello, tra cui la stessa O’Keeffe)la quale decide di scommettere sulla giovane giap-ponese acquistando una delle sue opere. È un passofondamentale verso l’affermazione. Nell’ottobre del1959 presso la Brata Gallery viene inaugurata lasua prima personale newyorkese, intitolataObsessional Monochrome. In mostra ci sono le sueInfinity Nets, tele nere completamente ricoperte dipois, che la stessa Kusama definisce «così grandi dadoverci arrivare con una scaletta»; tele sulla cuisuperficie l’artista dipinge una rete bianca compo-sta da una miriade di particelle quasi impercettibi-li. «Mettendo insieme le singole particelle quantiche,negativi di gocce che costituivano le maglie dellarete, aspiravo a predire l’infinità dello spazio, amisurarla dal punto di vista in cui mi trovavo», pre-ciserà, più tardi, l’artista nella sua autobiografia‘Infinity Net’ (Johan&Levi Editore, 2002).Il successo è travolgente. «Perché dipingi sempre lestesse cose?», le chiedono gli amici. E lei risponde diconcepire l'arte solo come espressione del suomondo; che quello che ritrae su tele, stoffe, oggetti ecorpi nudi è «il candido nulla di una rete tenutainsieme da un corpo celeste di gocce». A New Yorksono gli anni dell' Action painting di JacksonPollock e Willem de Kooning, e Kusama va eviden-temente da un’altra parte. Ossessiva e maniacale,percepisce la grande città, nevrotica e convulsa,come un vero e proprio inferno. E l'inferno, parados-salmente, l’abbraccia e l’accoglie: è nella GrandeMela che Kusama affronta le sue paure più profon-de riuscendo, in parte, a sconfiggerle. E, in quegli

stessi anni, comincia a delineare la sua cifra stilisti-ca: la ripetizione di un gesto catartico attraversoinfiniti puntini, che partendo dalla tela pian pianofiniscono per invadere tutto, compreso il suo corpo.Replicando sempre i medesimi movimenti, la suacifra, come una rete, si allarga all’infinito. Fino allaself-obliteration, dove davanti a uno sfondo a pois ilsuo corpo ricoperto di puntini risulta assorbito «daun’entità infinita». Da questo momento le InfinityNets proliferano: coprono pavimenti, sedie e tavoli,si espandono al di là della tela, infrangono il limitedella bidimensionalità. Diventano materia da toc-care. Kusama le chiama Soft Sculptures, sculturemorbide, che riproducono organi sessuali maschili,la sua grande ossessione. E che hanno, per questo,un valore salvifico e apotropaico. È il dicembre del1963 quando alla Gertrude Stein Gallery di NewYork, lo sguardo esterrefatto di Andy Warhol vienecatturato da un’installazione. Si intitolaAggregation: One Thousand Boats Show di YayoiKusama e non è altro che una barca di dieci metri

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interamente ricoperta di falli bianchi imbottiti.Dal soffitto e le pareti calano ben 999 fotografiein bianco e nero della stessa imbarcazione aforma di fallo. Un’opera ambivalente, in cui ilnegativo convive con il positivo; la sconfitta diun’ossessione – l’orrore verso il sesso, dovutoall’educazione repressiva e all’ambiente fami-liare in cui era cresciuta – e la guarigione daquesta fobia, attuata mediante la riproduzionemaniacale dello stesso motivo: l’organo genitalemaschile. Bianco, morbido e reiterato all’infini-to. L’installazione è un esperimento riuscito dicontrasti che l’artista moltiplica a sua volta innumerose personali: da Driving Image Show del1964 a Infinity Mirror Room-Phalli’s Field del1965 (dove l’uso degli specchi applicati allepareti moltiplicava all’infinito i falli ricoperti dapois e le persone che visitavano la mostra speri-mentavano la propria fusione con l’opera) oLove Forever del 1996. Una singolare «forma diautomedicazione», in quella che la stessa artistadefinisce ‘arte psicosomatica’. «Lavoro, lavoro eancora lavoro finché non resto seppellita nel pro-cesso. È ciò che chiamo obliterazione», sostieneKusama. E poi prosegue: «applicando pois sututto il mio corpo e poi ricoprendo di pois anchelo sfondo, mi annullo». Da qui alle folli perfor-mances con orge, il passo è talmente breve chesul finire degli anni Sessanta Kusama diventacon i ‘Kusama Happenings’ la regina indiscussadella rivoluzione pacifista, cavalcando lo tsuna-mi hippie. Le performances artistiche che, dal1967 sino al 1971, Yayoi organizza con uomini edonne nudi e in atteggiamenti inequivocabilianche nei luoghi simbolo della cultura america-na (a Wall Street, davanti alla Statua della

Libertà, di fronte alla statua di ‘Alice nel paesedelle meraviglie’ a Central Park e nel giardinodel MoMa) attirano le attenzioni dei fotografi edei giornalisti. Tutti vogliono i suoi vestiti pun-tinati, tutti reclamano i pois sulla propria pelle.Kusama non partecipa alle performances.Considera i corpi dei partecipanti e i loro desi-deri alla stregua delle soft sculptures ricopertedi falli. Attraverso i piccoli cerchi dipinti suicorpi nudi dei partecipanti, racconta l’artista,«quegli esseri umani si annullavano, tornavanoalla natura universale». La sacerdotessa deipois riesce, quindi, nel proprio intento e avvolgeNew York in una macroscopica Infinity Net.Dagli anni Sessanta arrivano i primi, veri, ricono-scimenti. L’artista è particolarmente apprezzatadal gallerista statunitense di origine triestina, LeoCastelli, tra i più importanti collezionisti e mercan-ti d’arte dell’epoca, che nella sua galleria ha espostoopere di Wassily Kandinsky, Jackson Pollock,Willem de Kooning, Robert Rauschenberg, RoyLichtenstein e Andy Warhol. Quest’ultimo, in parti-colare, la stima e forse la invidia anche, perchécostantemente amata e contornata da giovani omo-sessuali che la chiamano ‘sister’. Lucio Fontana,

arte I pois sono l’ossessione infinita di Yayoi Kusama: e considerata fra i più importanti artis>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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noto artista italo-argentino, la conduce a Venezia,dove nel 1966 partecipa alla Biennale come rappre-sentante degli Stati Uniti d’America. Dino Buzzati,scrittore italiano, la ammira, a Milano, alla Galleriadel Naviglio.Fin dai primi anni newyorkesi, del resto, Kusamaera entrata in relazione con diversi artisti.Abbiamogià accennato alla pittrice statunitense GeorgiaO’Keeffe, sua prima ammiratrice e benefattrice,definita «una persona fuori dal comune, solitaria alpunto da diventare eccentrica”. E poi, Donald Judd,Salvador Dalì, il già citato ‘buon rivale’ AndyWarhol, David Smith e Joseph Cornell, suo amico eamante per diversi anni.

Il ritorno in Giappone e il ricovero nella clinica psichiatricaNel 1975, per motivi di salute, l’artista ritornadefinitivamente in Giappone. Da quel momentoimportanti personali e retrospettive sulla suaproduzione vengono allestite a Los Angeles,New York, Minneapolis, Tokyo, Londra, Parigi,Vienna, con un considerevole afflusso di pubbli-co. I sedici anni americani sono cancellati in unlampo: Kusama continua a lavorare, in manieradel tutto compulsiva, alle sue nets. Ma dal 1977

sceglie di farlo in uno studio a due passi dallaconfortante calma dell'ospedale psichiatrico diSeiwa dove ha scelto di soggiornare e tutt’ora sitrova. In questi anni, Kusama inizia anche ascrivere: nel 1983 il romanzo The HustlersGrotto of Christopher Street le vale un premioletterario per nuovi scrittori della rivista men-sile Yasei Jidai. Nel 1993 è nuovamente allaBiennale di Venezia come rappresentante delGiappone. Nel frattempo le sue opere approda-no nelle collezioni permanenti dei più importan-ti musei d’arte contemporanea del mondo: dalMOMA di New York alla Tate Modern diLondra, fino al National Museum of Modern Artdi Tokyo e al Centre Pompidou di Parigi.

L’arte è punto di vista sulla vitaDal 1994, l’artista inizia a creare sculture a cieloaperto per alcune istituzioni giapponesi: ilFukuoka Kenko Center, il Fukuoka MunicipalMuseum of Art, il Bunka-mura, il KirishimaOpen-Air Museum e il Matsumoto City Museumof Art, di fronte alla Matsudai Station, tanto percitarne alcuni. Nel 2000 il governo giapponese leconferisce il cinquantesimo premio del ministerodell’Istruzione e il premio del ministero degliAffari Esteri. Nel 2001 partecipa alla prima edi-zione della triennale di Yokohama. Nel 2012 gra-zie alla collaborazione con Marc Jacobs, direttoreartistico della maison francese Louis Vuitton, laKusama realizza le vetrine di tutti i punti vendi-ta e una linea di abbigliamento e accessori, opera-zione che la riporta al mondo dell’alta moda dopola particolare esperienza della Kusama FashionLtd. Dal 2015 e fino al giugno 2016, infine,Matsumoto, città natale dell’artista, le sta dedi-cando una personale dal titolo Yayoi Kusama -The Place for My Soul, visibile al Matsumoto CityMuseum of Art.Oggi, alla veneranda età di 87 anni e dall’altodella sua lunga esperienza artistica, la Kusamadispensa preziosi consigli agli artisti che verran-no: parole che, considerata anche la sua età avan-zata, suonano un po’ come un testamento. E alladomanda su quale sia il ‘segreto del successo’ for-mulata dal Louisiana Channel nel settembre2015, lei prontamente risponde: «Per quelli cheverranno dopo di me, sappiate che non posso inse-gnarvi niente sull’arte. Vi auguro che esploriatevoi stessi e troviate un punto di vista meravigliososulla vita, durante la vostra vita. Questo devearrivare dalla vostra personale creatività».

SERENA DI GIOVANNI

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sti giapponesi contemporanei>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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mostre In dieci fotografie la trasformazione culturale e sociale delle donne gia>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Nell’immaginario del mondo occidentale la

donna esotica per eccellenza è indentificata

con la geisha, ma la storia femminile della

terra del Sol Levante non è solo limitata a

tale stereotipo, come dimostrano i dieci volti

fotografati dall'artista giapponese in mostra

alla galleria ristorante Doozo di Roma

Naoya Yamaguchiritratti d’autore

“Profusione” di Naoya Yamaguchi - © riproduzione riservata

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apponesi, dalla sacralità delle epoche primitive alla parità dei sessi nella contemporaneità>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Il 2016 si celebra il 150° anniversario della firma del Trattato diAmicizia e di Commercio tra Italia e Giappone, siglato nel 1866, che

sanciva l’avvio delle relazioni diplomatiche tra i due paesi. A questo anni-versario la galleria Doozo di Roma dedica, fino al 22 maggio, la mostradal titolo 'Un milione di lune. Fotografie di Naoya Yamaguchi', curata daMaiko Ishiguro, con il patrocinio dell'Ambasciata del Giappone. Il milio-ne di lune sono i tanti volti di donne appartanenti al portfolio “TheJaponism” di Yamaguchi, le diverse tipologie femminili sono presentatein chiave completamente personale, rivisitandone le specificità in unatmosfera in bilico tra storia e mitologia. Le fotografie sono divise in duegruppi anche se fisicamente sono disposte tutte nell'unico piccoloambiente rettangolare adiacente alla zona ristorante. Tale articolazionesembra protendere anche alla linea della produzione dell'artista, que-st'ultimo infatti persegue la contrapposizione tra due diverse epoche sto-riche: tra la donna simbolo di fertilità del 'periodo del sole' alla giovanediscriminata e in cerca di affermazioni del 'periodo della luna'.La prima di una serie di donne affascinanti e misteriose è la donna scia-mano, un colpo d'occhio bellissimo sul variopinto kimono, in contrasto conl'alto copricapo nero indossato dalla prostituta shirabyoshi. Le shirabyo-shi erano artiste nomadi e godevano di grandi libertà, esse potevanoanche indossare abiti maschili e grazie a loro le donne nel Seicento nonerano più considerati creature sacre (periodo Edo).Da qui le tre opere in mostra che ritraggono le oiran nel ruolo di icone distile e di tendenze e reintrepretate dal fotografo nipponico in modo deltutto rivoluzionario e contemporaneo. Grazie alla sua esperienza nelmondo della moda e della pubblicità, Yamaguchi riesce a elevare l'armo-nia del quotidiano in un momento di bellezza sublime evitando gli anti-chi cliché senza rinunciare alla nostalgia del rito e della festa della tradi-zione asiatiche. L’espressività di tali soggetti inducono l'osservatore nonsolo ad essere incuriosito dalle tante personalità femminile ritratte mapone spunti di riflessioni interessanti su tematiche universali come adesempio la fragilità del tempo in ‘Bozzolo’. Questa fotografia ritrae unadonna quasi completamente coperta da una veste bianca, circondata daun grosso albero di fiore ciliegio di 600 anni. Nell’immaginario giappone-se, il fiore di ciliego è associato a una nube per la sua peculiare fioritura

Il fotografo indipendente Naoya

Yamaguchi vive e lavora a Tokyo, in

Giappone. Dal 2011 ha esposto in Italia, e

in seguito in Gran Bretagna, Stati Uniti,

Grecia, Romania, Polonia e Svizzera. Il

maestro Yamaguchi ha uno studio fotogra-

fico a Tokyo, dove lavora con truccatrici e

stilisti professionali, suoi dipendenti.

Lavora prevalentemente per riviste, libri,

pubblicità. Realizza anche servizi fotogra-

fici per attori e professionisti dello spetta-

colo. È il fotografo ufficiale del concorso di

bellezza “Miss JAPAN". Grazie a questi con-

tatti professionali, modelle, attori e balle-

rine provenienti dal mondo della pubblici-

tà e del sono protagonisti di molte sue

opere fotografiche.

DOOZO – Art Books & Sushi

Direzione: Stella Gallas

via Palermo 51/53, Roma

Un milione di lune.

Fotografie di Naoya Yamaguchi

dal 11 febbraio al 21 maggio 2016

orari galleria: dal martedì al sabato 11-22

[email protected] - www.doozo.it

La donna in Giappone “Certamente nella società attuale non esiste la discriminazione che c’era una volta. Chi è già

stato in Giappone forse capisce che al giorno d’oggi le donne sembrano più forti e brillanti degli uomini"

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in massa, e proprio una nuvola sembra avvolgere in un torpore la donnaritratta a rappresentare metaforicamente la natura effimera dell'esisten-za. L’implicito dialogo tra la figura femminile e la natura tocca il suoapice con la fotografia ‘Danza della neve’, dove la protagonista è lo spiri-to delle nevi Yuki Onna che in origine era identificata quale divinità dellamontagna. Yamaguchi sceglie una delle rappresentazione della dea, ossiauna donna alta con i capelli lunghi scuri e dalla pelle di un pallore inna-turale che indossa un kimono di colore bianco quasi a confondersi con ilpaesaggio. Si tratta di una bellezza spettrale, un’effimera visione di unacreatura appena visibile nella tempesta di neve da dove proviene e dovediabolicamente condurrà i poveri viandanti che la incontreranno.Nell’immortalare la bellezza di tali donne, Yamaguchi sembra guardarealle immagini suggestive di Felice Beato (1833 ca – 1907 ca) e della scuo-la di Yokohama sul Giappone, che da lui sembra prendere la raffinatezzae il mistero che caratterizzano anche il suo studio approfondito sui costu-mi e sulle tradizioni giapponesi in relazione al mondo occidentale.Se in Beato, i soggetti ricreavano delle pose statiche, come i paesaggi, inYamaguchi le modelle sembrano calarsi e dialogare armoniosamente conil contesto, sia per gli interni che per gli esterni. Naoya vuole catturarel'emozione che comunica la tradizione giapponese nella sua essenza.Antico e moderno, immaginario e reale sono queste le atmosfere cheemergono dalle pose e dal trucco delle modelle. Il file rouge che lega lefotografie è l'affermazione dello spirito tradizionale giapponese nella suaessenza più autentica e una forte presenza scenica proveniente dalmondo della moda contemporaneo.

SILVIA MATTINA

mostre Naoya comunica la tradizione giapponese nella sua essenza>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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“Miraggio dell’antichità” di Naoya Yamaguchi - © riproduzione riservata

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Emergency è nata 20 anni fa per offrire cure gratuite e di elevata qualità alle vittime della guerra e della povertà.Da allora abbiamo assistito oltre 6 milioni di persone grazie al contributo di decine di migliaia di sostenitori che hanno deciso di fare la propria parte per garantire un diritto fondamentale - il diritto alla cura - in alcuni dei Paesi più disastrati al mondo.Aiutaci con l’attivazione di una donazione periodica (RID): tu scegli che cifra destinare a Emergency e con quale frequenza e noi potremo pianificare al meglio il nostro lavoro e mantenere la nostra indipendenza.

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Page 24: Periodico italiano magazine marzo 2016

Petaloso. Il piccolo Matteo, studente di terzaelementare, alla domanda della maestra:

“Come definiresti un fiore”? ha risposto “petalo-so”. Ovviamente, l’insegnante gli ha fatto notarel’errore, che però definisce “bello”, reputandofosse il caso di inviarlo alla celeberrimaAccademia della Crusca per una valutazione eper premiare il bambino fantasioso. La redazio-ne della Consulenza linguistica della Crusca hariposto al piccolo: “La parola che hai inventato èben formata e potrebbe essere usata in italiano,come sono usate le parole formate nello stessomodo. Bisogna che la parola nuova”, hanno spie-gato gli esperti del dipartimento, “non sia cono-sciuta e usata solo da chi l’ha inventata, ma chela usino tante persone e che tante persone la

attualità Da un simpatico errore tra i banchi di scuola nasce un nuovo aggett

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Quella creatività‘petalosa’

L’italiano si dimostra, ancora oggi, una lingua ben ‘viva’ che portachi lo scrive o lo parla a produrre nuove creazioni in un ambito lin-guistico tipicamente letterario

capiscano”. Un bella vittoria per il bambino ilquale, da un simpatico errore tra i banchi discuola, ha ricevuto una risposta positiva daimaggiori esponenti della lingua italiana. In pra-tica, Matteo ha lanciato una moda ‘aggettivale’,che ha subito spopolato sui i social network, masoprattutto ha portato il nostro premier, MatteoRenzi, a utilizzarlo nel corso di un interventoper ‘Human Technopole’, il progetto ‘post Expo’.Tralasciando l’uso istantaneo del premier, ciòche colpisce è che, pur essendo complesso, l’ita-liano si dimostra una lingua ben ‘viva’, che portachi lo scrive o lo parla a produrre nuove creazio-ni in un ambito linguistico tipicamente lettera-rio. In ogni caso, senza addentrarci troppo inteorie e regole, il piccolo Matteo ha aperto una

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tivo

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vera e propria ‘questione della lingua’, nono-stante molte testate italiane e internazionaliabbiano tentato di ‘affossare’ il nuovo termine,puntellando l’obiezione che esso sia già statousato in altre occasioni e, soprattutto, che risul-ti pubblicato in altri vocabolari linguistici.Abbiamo perciò chiesto un parere al riguardo auna delle migliori linguiste italiane, la professo-ressa Maria Catricalà, docente ordinario diGlottologia e linguistica presso l’Università diRoma Tre, ateneo presso il quale insegna‘Linguistica e comunicazione’ per il corso trien-nale di Scienze della comunicazione e ‘Lingua,media e pubblicità’ nel corso magistrale diTeoria della comunicazione.

Professoressa Catricalà, in qualità di docen-te di linguistica, può formirci, innanzitutto,il suo parere sul nuovo termine ‘petaloso’? “In genere il suffisso ‘-oso’ si collega a concettiastratti, come per esempio le parole ‘iroso’ e ‘rab-bioso’, le quali fanno capire che esiste una dimen-sione ‘quantitativa’: un aggettivo ‘denominale’, unsuffisso che trasforma un nome in un aggettivo,che fornisce una sensazione di quantità partico-larmente significativa. Nel caso di ‘petaloso’, ilsuffisso viene legato, secondo il modello tipicodella pubblicità, a qualcosa di concreto: un petalo.Esso, dunque, non è un concetto astratto, ma indi-ca un qualcosa di concreto”.

Ma che cos’ha di particolare questo ter-mine?“Ha la particolarità che il petalo è un ‘meronimo’,ovvero un elemento che fa parte di un tutto. Eccoallora che io posso intendere che non è la quanti-tà ad aumentare, ma la molteplicità di petali. Dalpunto di vista semantico questa cosa ‘stride’ unpo’, secondo me, perché ‘petaloso’ dovrebbe essereinteso come una molteplicità di petali e non come

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una molteplicità di un oggetto, in questo caso unfiore, ma solo di una parte di esso”.

Perché questo nuovo aggettivo non ha con-vinto tutti?“Perché si tratta di un ‘salto’ semantico che puòdare, in qualche modo, una sensazione alteratadella valenza di questo suffisso e del suo signifi-cato. In sostanza, ‘petaloso’ vuol dire che un fioreha tanti petali, non che abbia un petalo partico-larmente ‘morbido’ o ‘vellutato’, come viene inte-so in ambito pubblicitario. Dunque, è correttoconsiderarlo un aggettivo innovativo, poiché haeseguito questo ‘salto’ linguistico. La Crusca haritenuto che la creatività del bambino andassericonosciuta, perché si tratta di un’idea innova-tiva, creativa e intelligente, riconoscendo l’im-portanza della sua riflessione. Come linguista,penso possa essere considerato un ‘modello’ dellinguaggio pubblicitario in grado di occuparespazi nuovi e, quindi, che possa estendersi nellesue combinazioni semantiche. E ciò non è cosìscontato”.

ILARIA CORDÌ

Chomsky, Wittgenstein e PasoliniNoam Chomsky e Ludwig Wittgenstein, linguista statunitense il primo,

filosofo austriaco il secondo, nel secolo scorso hanno formulato ed

esposto alcune teorie ben precise intorno alla creatività linguistica.

Secondo il linguista americano, infatti, l’avvento tecnologico nei lin-

guaggi ‘letterari’ doveva “costruire una teoria specifica, in grado di dar

ragione all’uso libero della lingua del parlante nell’utilizzo di espres-

sioni linguistiche quotidiane mediante alcuni meccanismi ‘computa-

zionali’, che si basino su processi ricorsivi”. Il filosofo austriaco, invece,

sosteneva che “il ‘luogo’ in cui la creatività nasce è quello del ‘gioco lin-

guistico’, un ambito nel quale viene prodotta un’innovazione tale da

costruire nuovi usi linguistici”. Infine, secondo Pier Paolo Pasolini, esi-

steva una precisa questione di carattere socioeconomica: a seguito del

tumultuoso sviluppo industriale e dopo il ‘boom’ degli anni ’60, la lin-

gua italiana “ha perduto non soltanto l’antico prestigio letterario del fio-

rentino, ma anche le sue particolarità linguistiche idiomatiche e dialetta-

li, anch’esse portatrici di lessemi, lemmi e terminologie innovative. Ciò è

avvenuto per l’avvento, nella nostra lingua, delle parole ‘tecnologiche’,

tese cioé a indicare oggetti ed elettrodomestici caratterizzati da una tec-

nologia avanzata. Per esempio, la parola ‘frigorifero’ viene usata sia

dalla massaia di Milano, sia da quella di Palermo. Dunque, le parole ‘tec-

niche’ o ‘tecnologiche’, come una sorta di ‘cemento’ stanno livellando e

uniformando il nostro linguaggio quotidiano. Paradossalmente, stiamo

parlando sempre più in italiano, ma sempre peggio…”.

NEXTLA QUESTIONE DELLA LINGUA

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La crisi siriana e la sua risoluzione è la ‘chia-ve di volta’ della questione Mediorientale.

Ed è per questo motivo che la Russia ha punta-to la sua intera reputazione militare sul soste-gno al governo siriano. Vladimir Putin ha presoquesta decisione per puro amore di scommessa.Oppure, perché è consapevole che, nel mondoarabo, mantenere in piedi un regime dittatoria-le è tecnicamente più semplice che affidarsi allademocrazia. Se Assad riuscisse a vincere controi ribelli del suo Paese, ordine e stabilità verran-no ripristinati in Siria e Medio Oriente. Ciòmigliorerebbe la situazione umanitaria nel

esteri Per risolvere la questione Mediorientale, Putin ha puntato la sua intera reputazi

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Il ritornodella Russia

In Siria, l’Unione europea sta andando incontro alla sua primasconfitta politico-militare e adesso in molti vorrebbero ‘rifarsi’ conla Libia, al fine di spartirsi le sue immense risorse petrolifere: eccoperché l’Is potrebbe rappresentare, in realtà, un semplice ‘pretesto’per riequilibrare uno ‘scacchiere’ ormai destinato ad assistere allarivincita russa come principale potenza regionale

Paese e permetterebbe alla Siria di passare allafasi di normalizzazione e di ricostruzione inter-na con l’aiuto degli alleati e, soprattutto, dellaRussia. Ma la vittoria del Governo di Damascosarebbe anche una sconfitta per Stati Uniti,Turchia, Israele e Stati membri dell’Ue. Perl’Unione europea, la cosa potrebbe avere risvoltipersino positivi, poiché si porrebbe con urgenzail tema della difesa comune e di una politicaestera e di sicurezza unitaria. Segnatamente, lagran Bretagna sarebbe il Paese più sconfitto,poiché ancora oggi restìa al processo di unifica-zione europea, per mere questioni di prestigio

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one militare sul sostegno al governo siriano

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storico. Al Regno Unito, inoltre, andava bene ilvecchio sistema della Cee, che unificava la circo-lazione delle merci, soprattutto l’esportazionedelle sue, senza dover subire un eccesso di con-correnza interna causata dai prodotti alimenta-ri tedeschi e dai manufatti italiani. In ogni caso,la vittoria della Siria di Assad rappresenterebbesoprattutto una vittoria della Russia, che siriposizionerebbe come potenza militare regiona-le. E, ribadiamo, non è detto che la cosa sia daconsiderare così negativa. In fondo, quando c’eral’Urss una serie di equilibri regionali ‘tenevano’e non preoccupavano più di tanto il mondo. LaRussia di Putin potrebbe dunque riprendere atirare le ‘fila’ di quegli equilibri, togliendo le‘castagne dal fuoco’ anche a noi occidentali tor-nando in Medio Oriente come attore importan-te, se non più forte, di quanto non lo fossedurante il periodo sovietico. Siria, Iran e Iraqsaranno uniti nell’asse strategico influenzatodalla Teheran. E poiché Russia e Iran sono par-tner, questo ‘blocco’ di Paesi sarà ‘filo-russo’.Questi tre Stati potranno perseguire i loropiani per la costruzione di un lunghissimogasdotto tra Iran, Iraq e Siria, che era il veromotivo per cui ‘qualcuno’ volle, nel 2011, tenta-re di destabilizzare Damasco. Si tratta, infatti,di un piano di approvvigionamento energeticoche può cambiare radicalmente il mercatomondiale del gas e far uscire l’Iran e i suoi par-tner dall’isolamento internazionale. Inoltre,offre anche la prospettiva di un futuro ‘Opecdel gas’ tra Russia e Iran, che sono i due mag-giori fornitori di tale risorsa. Ed era questa lavera ‘scommessa’ di Putin: egli ha fortementeinvestito sulla crisi siriana. E sostenendo leal-mente Damasco, Mosca si è imposta comepotenza militare ed economica regionale. Oggi,tutti quanto sono tenuti a ‘fare i conti’ conVladimir Putin e il suo ‘soft power’ in MedioOriente. L’antica Unione sovietica aveva sem-pre avuto i suoi contatti nella regione, ma nonaveva problemi di approvvigionamento o inte-ressi economici neo-capitalistici: ragionava dapotenza militare, basandosi sulle proprie risorseinterne per vivere. Oggi, l’architettura dellaregione sta cambiando. E ciò potrebbe comporta-re una ritirata degli Stati Uniti da uno ‘scacchie-re’ geopolitica che, forse, Washington non è mairiuscito a ‘comprendere’ del tutto.

ILARIA CORDÌ

La reazione degli Usa(a scapito nostro)

Washington ha dovuto prendere atto del peso politico di Mosca nella questione ‘siriana’ e adesso sta cercando un ‘riposiziona-

mento’ geo-strategico proprio in Nord’Africa, con l’aiuto dell’Italia

Gli Stati Uniti sono stati presi in contropiede dall’attivismo di Mosca inMedio Oriente. Per reazione alla nuova situazione di ‘guerra fredda’,innescatasi in realtà sin dai tempi della crisi ucraina e l’annessionerussa della Crimea, hanno cercato un’intesa con Mosca attraverso ilSegretario di Stato americano John Kerry, che si è conclusa con ilrecente accordo del 27 febbraio il quale ha portato a un cessate ilfuoco tra le varie milizie di ribelli siriani e le truppe governative diAssad. Gli Stati Uniti, nelle more di tale accordo, hanno ottenuto ras-sicurazioni per avere mano ‘libera’ contro il Daesh in Libia. Ciò ha por-tato Washington a chiedere proprio all’Italia di guidare una coalizionemilitare internazionale in Nord’Africa, finalizzata a ‘mimetizzare’ l’ac-cordo con Mosca e la prossima fine delle sanzioni contro la Russia. Ciòservirebbe a Washingotn a ‘spostare’ l’attenzione dell’opinione pubbli-ca e della comunità internazionale sul nuovo scenario bellico in prepa-razione; quello della Tripolitania e Cirenaica. Sin dal 10 febbraio, inrealtà, il Governo italiano sta predisponendo i nostri servizi di intelli-gence in preparazione del conflitto. Ma la recente morte dei due tec-nici italiani, Fausto Piano e Salvatore Failla, anche se accompagnatadalla liberazione di Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, ha ingeneratopiù di qualche dubbio al Governo di Roma, che giustamente teme unapacificazione impossibile in Libia, soprattutto se imposta ‘manu mili-tari’. Gli americani, tuttavia, stanno insistendo in tutti i modi affinchél’Italia si ponga alla guida dell’intervento, facendo trapelare notizie etrattative diplomatiche ai principali giornali americani, al fine di spin-gere e condizionare il premier, Matteo Renzi, che ha mostrato più diqualche (fondata) indecisione. Nonostante i notevoli interessi energe-tici e petroliferi del nostro Paese in Libia, proprio la guida di Roma nel-l’operazione militare nasconde una ‘strana’ guerra ‘asimmetrica’, che sista ‘giuocando’ sin dal 2011, finalizzata a limitare proprio l’influenzaitaliana nel Maghreb e mettere le mani sulle risorse petrolifere del-l’area. La coalizione predisposta da Washington, infatti, prevede raf-forzamenti strategici per l’Egitto a ovest e una forte penetrazionefrancese e americana in una regione che Gaetano Salvemini a suotempo aveva definito: “Uno scatolone di sabbia”. La verità è che molteresponsabilità politiche dell’avanzata del Daesh in Libia e del ritornoalle vecchie instabilità tribali ‘pre-senussite’ sono della Francia diNicolas Sarkozy, che ha cercato di mettere le mani sulle risorse ener-getiche libiche a danno proprio dell’Italia. L’intervento armato in uncontesto che vede la Libia divisa, già di per sé rappresenta un attaccoall’influenza italiana, che risale sin dai tempi di Gheddafi – nonostan-te la crisi del 1969 - e che si era di molto rafforzata negli anni diBettino Craxi, che grazie ai suoi rapporti con Yasser Arafat e la Legaaraba era riuscito a imporr l’Italia come principale interlocutore eco-nomico - e politico - occidentale. Le recenti iniziative diplomatiche diRoma per riuscire a creare un Governo libico di unità nazionale, peral-tro, non sembrano aver dato i frutti sperati: al momento, in Libia l’in-terlocutore ‘unico’ non c’è, nonostante la Farnesina abbia cercato di‘inventarselo’. Quel che più conta, in questa sede, è chiarire come lapolitica estera americana di questi ultimi mesi abbia cercato un accor-do a tutti i costi con la Russia sulla questione ‘siriana’per giocarsi tuttele proprie ‘carte’ in Libia, coinvolgendo l’Italia in un conflitto chepotrebbe rivelarsi insidioso, se non un vero e proprio ‘suicidio’.

GAETANO MASSIMO MACRÌ

Il punto>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Diciamoci la verità: la stabili-tà politica che certi dittatori

come Gheddafi, Ben Ali eMubarak riuscivano ad assicu-rare nel nord’Africa facevamolto comodo e ci dava modo didisinteressarci di come, all’inter-no di molti Paesi del MedioOriente o del Maghreb, fossegestito il potere. Ora, invece,regna il caos. Soprattutto inLibia, quella che un tempo con-

sideravamo la nostra “quartasponda”: un ‘tutti contro tutti’che prefigura il pericolo di una‘somalizzazione’ sul ‘pianerotto-lo’ di casa nostra. Bisogna anchedire che il ruolo che il Psi diBettino Craxi riusciva a svolge-re a garanzia dell’Italia fu moltoprezioso e che, oggi, viene parec-chio rimpianto. E quel che èrimasto del glorioso Partito diTreves, Turati, Nenni, Pertini,

Lombardi e Bettino Craxi si staavviando verso il suo Congressonazionale, che si terrà a Salernoa metà aprile. C’è da comprende-re, infatti, l’assurdo paradosso diun movimento storico, quello delsocialismo italiano, il quale havinto una ‘partita’ ideologicaessenziale nella sinistra italia-na, ma che risulta al contemposconfitto da una deriva postideologica che ha reso il nostro

esteri È ormai evidente che oggi il nostro Paese è in stato di guerra e questa fase non >>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Bobo Craxi“L’intervento in Libia

è una ‘trappola’ per l’Italia”

Secondo l’ex sottosegretario di Stato agli Affari Esteri, saremo presto coinvoltiin un’operazione militare nel nord’Africa su vasta scala: un atto giuridicamen-te illegittimo di aggressione internazionale, che rischia il solito ‘impaluda-mento’ finanziariamente costoso e politicamente dannoso

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panorama politico complessivoun ‘minestrone’ di forze e movi-menti incoerenti e privi d’identi-tà, come se il non avere unaStoria alle spalle fosse meglioche averla.

On. Craxi, in questi giorni,l’Italia si è proposta come‘capofila’ di un’alleanza mili-tare internazionale finaliz-zata a intervenire in Libiaper contenere il Daesh eriordinare dall’interno quelPaese: non c’è il rischio dellasolita operazione, finanzia-riamente costosa, che sirisolverà nell’ennesimo‘impaludamento’ militare?“Da tempo, l’Italia rivendicaguide diplomatiche e militariper la crisi libica. Allo stato, laprima è stata sottratta dai tede-schi e la seconda viene ‘assegna-ta’ dalle fonti americane, macontinuamente smentita dallenostre autorità. Potrebbe trat-tarsi di una ‘trappola’, che inde-bolirebbe l’Italia, anziché raffor-zarla come Paese ‘arbitro’ deinuovi equilibri che potrebbero,invece, formarsi in Africa setten-trionale. Ritengo, infatti, chesiamo dentro a un'offensivamilitare dei nostri alleati, perdirimere il conflitto libico el'avanzata del cosiddetto Statoislamico in quella regione. Miauguro che il parlamento vengainformato di questo e, parimen-ti, penso che la Corte costituzio-nale dovrà anch’essa esprimersisul fatto che l'articolo 11 dellaCostituzione, a differenza delleprecedenti missioni in cui siamostati coinvolti, verrebbe violato.Ripeto: non ho un'opinione sicu-ra circa l'esito di questo venturoconflitto. Tuttavia, non sonoaffatto convinto che l'Italiadebba lasciarsi coinvolgere perforza. Dalla concessione dellebasi in avanti è ormai evidente

che, oggi, il nostro Paese è instato di guerra e non credo chequesta fase sarà brevissima”.

Lei recentemente ha fonda-to, insieme ad altri esponen-ti e personalità importantidel Partito socialista italia-no, la componente internadenominata ‘Area socialista’:c’è aria di scissione nel Psi?“Un'area politica interna a unPartito nasce per ravvivareun'organizzazione politica, nonper ‘affossarla’. Abbiamo espres-so una posizione diversa sul-l'azione di Governo in meritoalle riforme costituzionali e aquella elettorale. E abbiamoespresso alcune riserve sullariforma del lavoro. Inoltre, per-sonalmente nutro perplessitàsull'annunciato intervento mili-tare in Libia e in Irak e valutia-mo complessivamente svantag-giosa la nostra condizione dialleato ormai superato dall'asseche il premier ha stabilito conl'area dei fuoriusciti da ForzaItalia. Resta il problema del “chefare”? Temo un lento e inevitabi-le fagocitamento nel Partitodemocratico e vorremmo impe-dirlo. Per tutti questi motivisono convinto di tentare la stra-da di una lista socialista alle ele-

zioni, per cercare di sbarrare lastrada a questo esito nefasto”.

Ma ‘Area socialista’ sarà pre-sente al Congresso nazionaleprevisto a Salerno a metàaprile?“Le regole non sono state rispet-tate. Allo stato, non credo cheparteciperemo al Congresso.D'altronde, Nencini ha ridotto ilPartito a una frazione personalee penso che i socialisti avrannomodo di organizzarsi diversa-mente”.

Certe volte, abbiamo l’im-pressione che nel suo Partitonon si sia completata l’unifi-cazione del 2007 tra il ‘vec-chio’ Sdi e quel ‘pezzo’ di‘Nuovo Psi’ che faceva a leiriferimento: è sicuro non visia stato un errore ‘a monte’in quell’operazione?“No: le cose sono un po’ diverse.Il quadro politico è andato viavia mutando e ha subito un’im-provvisa accelerazione con l'av-vento di Renzi. Prima c'era unceto politico, nel centro-sinistra,che tentava di contenere tutti glielementi di pluralità e di espres-sione storica e culturale dellasinistra. Oggi, invece, vienerichiesta obbedienza e fedeltà e

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sarà brevissima>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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non tutti possono riconoscersiin questo assioma. C'è chi, tradi noi, si è adeguato e chi no,anche pagando dei prezzi perquesto. Ma la dignità politicache deriva dalle nostre storiepersonali no può essere messain discussione”.

Lei, oggi, a quale socialista siispira? Bettino Craxi, PietroNenni o Riccardo Lombardi?“La risposta, nel mio caso, ésemplice: nel socialismo italiano,penso che le figure più ricono-sciute nell'immaginario colletti-vo siano quelle di Sandro Pertinie di mio padre Bettino. Senzanulla togliere a un ‘padre’ dellaRepubblica come Pietro Nenni ea una figura di indiscutibile‘fascino’ intellettuale come quel-la di Riccardo Lombardi. Io misento un socialista ‘patriottico’,che vive nel proprio tempo, affe-zionato alla propria autonomia edifensore delle libertà, ovunquesiano minacciate. Accetto volen-tieri una società della concorren-za e del libero mercato, purchéquesta sia determinata da rego-le e non produca squilibri. Oggi,dobbiamo constatare che non ècosì e che tutto ciò per il qualehanno lottato queste eminenti

figure socialiste, giustizia socia-le, sovranità e orgoglio naziona-le, pace e sviluppo per i popoli,sta arretrando paurosamente.Questa è la ragione per cui midefinisco ancora un socialista”.

I socialisti potrebbero pre-sentarsi divisi alle prossimeelezioni amministrative,previste nelle più importanticittà del Paese?“Escludo ‘scarti’ scissionisticialle prossime elezioni ammini-strative. Sarà ovvio sosteneretutti i compagni candidati aiconsigli comunali. Natural-mente, non mancheranno ‘frat-ture’ locali: sarà necessario con-tenerle e adoperarsi per aumen-tare il nostro peso nelle istituzio-ni amministrative”.

Cosa pensa del GovernoRenzi dopo quanto accadutoal Senato sulle Unioni civili?E’ Verdini la nuova ‘stampel-la’ dell’esecutivo?“Verdini e la sua compagniasono, a tutti gli effetti, parteintegrante di questa maggioran-za politica. E penso che questofatto, che in altri tempi avrebbedovuto richiedere una formaliz-zazione e una verifica tra le

forze politiche, verrà accettatocome ‘cosa fatta’. Sui diritti civi-li si è fatto un passo in avanti,pur rimanendo uno dei Paesi piùarretrati in materia di riconosci-mento dei diritti, delle unionicivili e delle adozioni”.

Le ‘maggioranze variabili’cercate o accettate in parla-mento dal Pd sono tutte scel-te obbligate, per MatteoRenzi?“Sono scelte obbligate nellamisura in cui il Pd non può checontare sulle divisioni altrui. Inquesto campo, la condotta tatti-ca di Renzi è stata ineccepibile:ha diviso la destra, isolato lasinistra radicale e la sua mino-ranza interna, blandito i ‘cinque-stelle’, che sulla questione deidiritti civili si sono ‘sfracellati’.Naturalmente, questo ardimen-to ‘tattico’ trasforma il Partitodemocratico come il pilastro diun nuovo ‘centrismo’ politico.Nei prossimi anni, il rischio saràquello del riemergere di posizio-ni sempre più estreme e radica-li, a destra come a sinistra: neabbiamo già vistosi esempi inEuropa e, ora, persino negliStati Uniti”.

CARLA DE LEO

esteri Sui diritti civili si è fatto un passo in avanti, ma non abbastanza>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Paura è il loro motto, il senti-mento che si vuole inoculare

negli esseri umani. Paura è ilcrogiolarsi nella violenza di que-gli uomini che, ormai, tutti cono-sciamo con l’acronimo Is. Dopo ifatti accaduti a Parigi nelnovembre scorso e il platealeattacco alla redazione giornali-stica parigina di ‘CharlieHebdo’, lo Stato islamico spa-venta i Paesi europei e occiden-tali, minando le politiche inter-nazionali. L’ultimo attentatoregistrato, poco 'pubblicizzato’dai media, è accaduto il 14 gen-naio scorso a Giacarta, la capita-le indonesiana, nella quale uncommando di cinque terroristi,asserragliati nel palazzo sededell’Onu, ha tenuto sotto assediola città per ore con esplosioni,bombe e sparatorie. Ma è del 25gennaio scorso, la notizia - lan-ciata dall’Europol - che il gruppoislamista si sta preparando acompiere nuovi attacchi “sularga scala” in tutto il vecchiocontinente: minacce principal-mente rivolte a Francia e allaGran Bretagna mediante gliormai conosciuti video cheritraggono i ‘foreign fighters’ intenuta d’assedio, i punti strate-gici e le persone in prima lineada colpire. Che sia una ‘guerra’religiosa, economica, geo-politica

o in qualsiasi modo la si vogliadefinire, la lotta al terrore stadiventando, con il passare deigiorni, una realtà che sta logo-rando i delicati rapporti interna-zionali, specialmente europei,poiché insieme all’ondata migra-toria che si sta verificando versol’Europa, sulle nostre coste, suquelle greche e su quelle turche,i nostri politici tendono a stru-mentalizzare gli avvenimenti,mutandoli in slogan pre-eletto-rali o, più semplicemente, silimitano a non fare nulla. Lefondamenta traballanti diSchengen, riassestate con acquae sabbia negli incontri diAmsterdam del 26 gennaio scor-so, ricevono continue scosseanche da questo inamovibile‘spettro’ islamico Dopo i tragiciattentati nella capitale francese,la misteriosa morte di GiulioRegeni in Egitto e la recentissi-ma uccisione dei due ostaggi ita-liani, Fausto Piano e SalvatoreFailla abbiamo incontrato il pro-fessore di Diritto internazionalepresso la Facoltà di Giu-risprudenza dell’Università‘Federico II’ di Napoli, Fulvio

Maria Palombino, il quale hacercato di aiutarci a comprende-re uno scenario internazionaledevastante.

Professor Palombino, secon-do lei, la minaccia terroristi-ca dell’Is fino a che punto staminando i già complicatirapporti internazionali eu-ropei e mondiali?“A dire il vero, gli eventi scaturi-ti dalla nascita del Daesh soloper un verso hanno inciso diret-tamente sui rapporti internazio-nali tra alcuni Stati, o incrinan-doli, come nel caso di Russia eTurchia a seguito dell’abbatti-mento del jet russo, o ricucendo-li, come avvenuto tra Francia,Russia e Siria successivamenteagli attentati del 13 novembre.Per un altro verso, però, questistessi eventi, più che minare gliequilibri internazionali, si limi-tano a ‘fotografarne’ lo statoattuale, specie in Europa. Sottoquesto profilo, l’espressione uti-lizzata da diverse testate gior-nalistiche di “Stati disunitid’Europa” è quanto mai appro-priata: la ‘chiamata alle armi’ di

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La minaccia dell’Is è ormaiuna realtà che sta preoccupan-do le potenze militari e di‘intelligence’ di tutto il mondo:uno ‘spettro’ che aleggia sullacomunità internazionale di-mostrando la debolezza dellepolitiche di sicurezza dell’Ue

“Manca una vera ‘difesa unica’ europea”

Scenari / A tu per tu con Fulvio Maria Palombino

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Hollande è stata tutt’altro cheaccolta dai suoi partner europei.E la prudente posizione assuntadall’Italia e da altri Paesi, vale adire la disponibilità a collabora-re nella lotta al terrorismo, manon a bombardare Raqqa, ne èla prova evidente. Non è un caso,del resto, che Hollande abbiafinito con l’accettare sia Putin,sia Assad, quali interlocutori. Sitratta di una circostanza parti-colarmente significativa, chegetta dei seri dubbi sull’efficaciadi una politica europea di sicu-rezza e di difesa comune”.

Gli attacchi e i raid aerei sulsuolo siriano, benché effet-tuati senza autorizzazioni ecoordinamento, possonoesser considerati veri e pro-pri attacchi alla rete terrori-stica, oppure dobbiamosospettare che vi sianoragioni politiche ed econo-miche ‘altre’?“Nel diritto internazionaledistinguere gli aspetti politico-economici da quelli strettamen-te giuridici è sempre un’opera-zione che si presta ad arbitri. Dagiurista, preferisco limitarmi avalutare la legittimità degliinterventi realizzati sul suolosiriano, valutazione che non puòprescindere dalla recente risolu-

zione adottata dal Consiglio diSicurezza dell’Onu in materia”.

Il 20 novembre 2015 è stataapprovata dall’Onu la risolu-zione n. 2249 che autorizzalegalmente l’uso della forzanei confronti di questaminaccia globale per la pacee sicurezza internazionale.In che modo questa risolu-zione potrà modificare lesorti di questa guerra controil terrorismo? “La risoluzione n. 2249 si prestaa interpretazioni diverse, perchése è vero, come lei ha giustamen-te ricordato, che nella sua parteoperativa (paragrafo 5) essainvita i membri delle NazioniUnite che ne siano capaci adadottare tutte le misure neces-sarie a prevenire e reprimere gliatti terroristici perpetratati daDaesh e a sradicare quest’ulti-mo dai territori in cui si è inse-diato, è altrettanto vero che lemisure in oggetto formalmentenon vengono né adottate ai sensidel capitolo VII della Carta delleNazioni Unite (per intenderci,quello che si occupa delle azioniche il Consiglio di Sicurezza puòintraprendere a tutela dellapace e della sicurezza interna-zionali), né tantomeno ‘autoriz-zate’ dal Consiglio di Sicurezza.

In altre parole, si tratta di unarisoluzione strutturalmente ‘ati-pica’, che secondo alcuni impli-cherebbe un’autorizzazione taci-ta all’uso della forza, legittiman-do ‘ex post facto’ anche gli inter-venti già realizzati in territoriosiriano, o addirittura conferireb-be un crisma di legalità ad azio-ni già legittime ai sensi del dirit-to internazionale, ma che peraltri si limiterebbe a incoraggia-re gli Stati a cooperare nellalotta al terrorismo. Trattandosiin ogni caso di un mero ‘invito’, èevidente che l’efficacia di questarisoluzione dipenderà dal modoin cui gli Stati che ne sono desti-natari vi daranno seguito. Perora, l’unico prisma attraversocui valutarla è la decisione delparlamento tedesco dello scorso4 dicembre che autorizza ildispiegamento di 1.200 soldatiin territorio siriano, i qualiperaltro non saranno coinvoltiin azioni belliche”.

Gli italiani quale ruolopotranno svolgere sul‘campo’ o nei rapporti inter-nazionali?“Le prossime mosse sono già sultavolo dei negoziati, poiché, ana-logamente a quanto accaduto inpassato rispetto ad altre orga-nizzazioni terroristiche (in par-ticolare, Al Qaeda), l’intenzionedelle grandi potenze, in primoluogo Stati Uniti e Russia, èquella di adottare in seno alConsiglio di sicurezza una riso-luzione che sia in grado di colpi-re l’apparato economico-finan-ziario del Daesh. Quantoall’Italia, la sua è una posizionedi tendenziale cautela, non per-fettamente allineata con quellafrancese. Ma ciò è un sintomodella difficoltà europea di realiz-zare una politica di sicurezza edi difesa comune”.

ILARIA CORDÌ

esteri L’Italia continua a mantenere una posizione di tendenziale cautela>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Si è tenuta di recente a Roma, presso la 'Casa delcinema', una 'serata-evento' dedicata al grande

attore italiano Raf Vallone. Una serata organizzata,in occasione del centenario della nascita, in collabo-razione con le figlie Eleonora e Arabella dedicata aquesto autentico 'uomo al quadrato', capace diemergere come protagonista in qualsiasi attività sicimentasse. Al centro della manifestazione, la pro-iezione del film 'Uno sguardo dal ponte', diretto nel1962 da Sidney Lumet, che valse a Raf Vallone il‘David di Donatello’ quale miglior attore protagoni-sta. In occasione dei 100 anni dalla nascita di que-sto artista magnifico, ci è sembrato giusto inserirenel nostro numero dedicato alle donne un serviziopiù ampio su un uomo d’altri tempi, sia per il tipodi educazione e di prestanza ‘atletica’, sia per il suo

personaggi L'indimenticabile volto del cinema italiano, sapeva dom>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Anatomiadi un uomo vero

In occasione del centenario dalla nascita abbiamo voluto ricordare la

carriera di Raf Vallone, una delle principali ‘icone’ del ‘maschio’

italiano bello e versatile, ricco di qualità umane, artistiche e pro-

fessionali: ci fu un tempo in cui l’Italia i suoi uomini li ‘faceva’ così

grande talento naturale, caratteristiche che lohanno reso una delle principali ‘icone’ del ‘maschio’italiano bello e versatile, ricco di qualità umane,artistiche e professionali.

GLI ANNI GIOVANILIRaffaele Vallone nacque a Tropea, in Calabria, maben presto si trasferì con la famiglia a Torino, dovefrequentò il Liceo classico ‘Cavour’ e, in seguito, silaureò in Lettere e Giurisprudenza con docenticome Luigi Einaudi e Leone Ginzburg. Nel tempolibero, giocava a calcio con gli amici dei campettitorinesi, dimostrando sin da subito ottime qualitàda ‘mezzala’, un ruolo da centrocampista che, tra lafine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30, risultavatatticamente ‘prezioso’ per i suoi compiti di ‘ricuci-

A sinistra: Raf Vallone e Elena Varzi.A destra: con Vittorio De Sica eSophia Loren sul set de ‘La ciociara’

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minare totalmente la scena: accettò la sfida di recitare in francese e inglese. E la vinse>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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tura’ della squadra nelle sue fasi di ‘ripiegamento’,immediatamente dopo una manovra offensiva. Ilgrande ‘fiato’ e le splendide capacità ‘polmonari’ diRaffaele vennero notate da alcuni osservatori del‘Torino calcio’, che lo convocarono per inserirlo trale sue formazioni giovanili. Non erano ancora glianni del ‘grande Torino’, ma la società ‘granata’strava già dimostrando solide basi organizzative estazionava stabilmente nella zona ‘alta’ della classi-fica dei campionati italiani di calcio, cominciando a‘disturbare’ sia la rivale cittadina, la Juventus, siaa ‘impensierire’ la grande Ambrosiana-Inter diGiuseppe Meazza. La splendida prestanza atleticadi Raffaele lo portò a esordire in serie A nel campio-nato 1934-‘35, risultando stabilmente inserito nella‘rosa’ della prima squadra che al termine di quellastagione vinse la coppa Italia. In totale, giocò 25partite nella nostra ‘massima serie’, sempre con lamaglia del Torino. Nella finale di coppa Italia del1938 scese in campo come titolare della formazioneche venne sconfitta dalla Juventus. Nel 1941, anchea causa dei primi duri anni di guerra che ormai ren-devano difficile lo svolgimento dei tornei calcisticiufficiali – tutte le attività sportive vennero sospeseper due anni dopo la caduta del fascismo – Raffaeleiniziò a dedicarsi al suo secondo interesse persona-le, che i suoi ottimi studi - ennesima caratteristicache lo distingueva dagli altri calciatori italiani -favorirono fin da subito: il giornalismo. Come gior-nalista fu redattore capo delle pagine culturali de‘l'Unità’, ma non s'iscrisse mai al Partito comunistaitaliano, pur avendo un passato da partigiano neglianni della Resistenza, a causa della politica ‘togliat-tiana’ del ‘doppio binario’: da una parte, PalmiroTogliatti cercava di accogliere e assecondare gli‘sperimentalismi’ di molti intellettuali di formazio-ne liberale e socialdemocratica, al fine di accredita-re verso l’esterno un falso alone di ‘simpatia’ che ilPartito fondato da Antonio Gramsci voleva assicu-rarsi tra i ceti intellettuali; dall’altra, il rapporto

con lo ‘stalinismo’ e la forte presenza dell’ala ‘filoso-vietica’ in redazione stava cominciando a ingenera-re dubbi non di poco conto, come dimostrò la succes-siva polemica tra lo stesso Togliatti e lo scrittoreElio Vittorini. Stando così le cose, Raffaele decise di‘passare’ a ‘La Stampa’, il principale quotidianotorinese, che ne intuì le particolari doti di ‘fascino’per gli ambienti cinematografici di quegli anni, tra-sformandolo in un critico di ottimo livello.

LE PORTE DEL SUCCESSOIl ragionamento della direzione del principale quo-tidiano di Torino di utilizzare Raffaele Vallone comecritico cinematografico, in realtà fu piuttosto sem-plice: qualcuno aveva letto, tra le sue esperienzeprofessionali precedenti alla sua collaborazione con‘La Stampa’, che aveva partecipato, nel 1942, a unfilm intitolato ‘Noi vivi’, nelle vesti di un marinaio.Inoltre, Vallone aveva già debuttato anche a teatronell’opera ‘Woyzeck’ di Georg Büchner, per la regiadi Vincenzo Ciuffi, andato in scena alla sala Gobettidi Torino. Ma fu il regista Giuseppe De Santis aintuirne il talento attoriale, proponendogli di reci-tare nel suo film ‘Riso amaro’, del 1949, che avevacome ambientazione di sfondo la durissima vitadelle ‘mondine’ tra le risaie del vercellese. Le dotiartistiche di Raffaele Vallone cominciarono adaprirgli una nuova carriera e la bellezza del suovolto maschile, dai forti tratti mediterranei, ‘buca-va’ letteralmente lo schermo. I nostri ottimi registidell’epoca ne presero atto senza discussioni e, neiprimi anni ’50, Raffaele, ormai divenuto RafVallone, interpretò altri due film importanti: ‘Nonc'è pace tra gli ulivi’, ancora di Giuseppe De Santise ‘Il cammino della speranza’ di Pietro Germi, che loimpose come uno fra gli attori più importanti del‘neorealismo’ italiano. Le ‘porte del successo’ sierano inaspettatamente, ma meritatamente, aperteinnanzi a lui. E, nel corso del decennio successivointerpretò numerosi film, tra cui ‘Il Cristo proibito’di Curzio Malaparte, che lo definì «l’unico voltomarxista del cinema italiano»; ‘Anna’ e ‘La spiag-gia’, entrambi di Alberto Lattuada; ‘Roma ore 11’ diGiuseppe De Santis. Raf Vallone era ormai prontoper interpretare parti da protagonista. Già nel1952, l’Italia intera potè apprezzarlo nei panni diGiuseppe Garibaldi nel film ‘Camicie rosse’, il filmdel 1952 di Goffredo Alessandrini sull’epopea dei‘mille’, ma la sua popolarità cominciò a diffondersianche in Francia, grazie alla pellicola del 1953‘Teresa Raquin’, con Simone Signoret, diretto daMarcel Carné. Nello stesso anno tornò persino suicampi di calcio, prestandosi nelle sue antiche vesti

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di calciatore nel documentario intitolato ‘Gli eroidella domenica’ di Mario Camerini.

IL GRANDE TEATROLa sua fortuna teatrale resta legata al dramma diArthur Miller dal titolo ‘Uno sguardo dal ponte’,portato in scena a Parigi nel 1958 e in Italia nel1967, nonché sul grande schermo nel 1962 con laperfetta direzione del grandissimo Sidney Lumet, ilfuturo regista di ‘Serpico’ e de ‘Il verdetto’. Anche ilregista televisivo Claudio Fino, nei primi anni ’70,decise di proporre una propria versione televisivadel dramma ‘milleriano’ sul ‘neonato’ secondo cana-le della Rai. Ma la televisione aveva già decretato ildefinitivo successo della carriera artistica di RafVallone, che aveva già prestato le sue ottime doti diattore drammatico nei seguitissimi sceneggiati tra-smessi il giovedì sera dal primo canale della Rai.Memorabile fu la sua interpretazione nel drammadi Riccardo Bacchelli ‘Il mulino del Po’, diretto daSandro Bolchi nel 1963. Ma è il teatro il vero‘amore’ che Raf Vallone stava ormai ‘covando’ den-tro di sé: il rapporto diretto con il pubblico cominciòa dargli ‘contezza’ delle sue qualità, umane e diattore. Almeno mezza Italia, ovviamente la parte

femminile del Paese, era già perdutamente inna-morata di lui. Iniziò dunque la ‘terza fase’ del suosuccesso, quella che solo i più grandi riescono adattraversare: tra gli anni ’70 e i primi anni ‘80 inter-pretò a teatro ‘Il costruttore Solness’, di HenrikIbsen; ‘Nostalgia’, di Franz Jung nel 1984; ‘Luci diBohème’, di Ramón del Valle-Inclán nel 1985; ‘Ilprezzo’ di Arthur Miller nel 1987; ‘La medesimastrada’, sempre nel 1987; ‘Tito Andronico’ nel 1989;‘Stalin’ di Gaston Salvatore, nel 1989. Anche la fasecinematrografica non era del tutto esaurita, graziea quel suo splendido volto che possedeva «tutte leproprietà estetiche dell’uomo italiano mediterraneo,di cui si sta perdendo lo ‘stampino’…», disse unavolta di lui Pier Paolo Pasolini nelle sue primeriflessioni intorno alle mutazioni ‘omologative’ dellefacce e dei volti che gli italiani stavano subendo. Edeccolo comparire all’inizio de ‘La ciociara’ di VittorioDe Sica (1960) nel ruolo di Giovanni; in ‘Una vogliada morire’, del 1965; ne ‘L'altra faccia di mezzanot-te’, del 1977; ne ‘Il magnate greco’, del 1978; nellosplendido ‘Retour à Marseille’, del 1980; in ‘Lion ofthe desert’, del 1981; in ‘A time to die’ nel 1982; infi-ne, ne ‘Il padrino - Parte III’ (1990) per la direzionedel grande Francis Ford Coppola, a coronamento diuna carriera artistica completa e indimenticabile.

IL CENTENARIO DALLA NASCITACelebrare i cento anni dalla nascita di Raf Valloneè risultata un’operazione mediatica assolutamentecorretta, per ricordare alle giovani generazioni unattore italiano di primissimo livello e un uomo dallequalità personali a dir poco eccezionali, per memo-ria, preparazione, introiezione perfetta dei perso-naggi da interpretare. Raf Vallone ha attraversatogli anni più difficili e decisivi della nostra Storia. Ein una fase come quella attuale, in cui si cerca dirintracciare l’identità più autentica dell’uomo‘nuovo’ italiano, è estremamente importante sapereche abbiamo esempi splendidi del nostro passato acui far riferimento. La proiezione de ‘Uno sguardodal ponte’ di Sidney Lumet presso la ‘Casa del cine-

personaggi Raf Vallone ha interpretato da protagonista più di un ce>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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In alto: Raf Vallone e Marlene Dietrich. Sotto: conSilvana Mangano. In basso l’attore con CarolLawrence e Arthur Miller.

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ma’ di Roma è stata precedutadalla presentazione, in antepri-ma assoluta, di un frammentoinedito di un’intervista che RafVallone aveva rilasciato in com-pagnia di Peter Brook, il registache lo aveva diretto nella storicaversione teatrale di ‘Uno sguar-do dal ponte’, 580 repliche alThéâtre Antoine di Parigi tra il1958 e il 1960: un successo stre-pitoso. Il film annovera tra gliinterpreti anche Jean Sorel,Maureen Stapleton, CarolLawrence e Raymond Pellegrin e narra le vicendedi Eddie Carbone, emigrato italiano e portuale‘newyorkese’ intrerpretato da Raf Vallone, che vivea Brooklyn con la moglie Beatrice e la nipote diciot-tenne Catherine, di cui è morbosamente geloso.Quando ospita a casa sua Marco e Rodolfo, immi-grati clandestinamente negli Stati Uniti, Eddie nonriesce a sopportare che tra la nipote e Rodolfo nascaun reciproco interesse e si convince che il giovanestia cercando di farsi sposare per poter ottenere lacittadinanza americana. Dopo averlo più volte pro-vocato, arriva addirittura a denunciarlo all'ufficioimmigrazione e a farlo arrestare. La rivalità avràun esito tragico e sarà lo stesso Eddie a rimanerevittima del suo amore impossibile. Intellettualerigoroso e attore internazionale, Vallone è stato ingrado di recitare anche in inglese e in francese sindal 1949, anno del suo esordio cinematografico con‘Riso amaro’ di Giuseppe de Santis. Per completarequesto nostro ‘focus’ sul suo percorso artistico, pos-siamo solo aggiungere che ha interpretato comeprotagonista più di un centinaio di film. In Italia, èstato diretto da registi quali Pietro Germi; VittorioDe Sica; Alberto Lattuada; Dino Risi e MarioSoldati. All'estero, da Marcel Carné; Jules Dassin;Henry Hathaway; Otto Preminger e Francis FordCoppola. È stato partner maschile di SilvanaMangano; Sofia Loren; Gina Lollobrigida; Anna

Magnani; Lucia Bosè; Simone Signoret; LeaMassari; Sara Montiel ed Elena Varzi, quest'ultimapoi divenuta sua moglie. E' stato protagonista de 'IlCristo proibito', unica esperienza dietro la macchi-na da presa dello scrittore Curzio Malaparte, men-tre in teatro ha interpretato Ibsen; Pirandello;Brecht; O'Neill; Shakespeare; Miller e molti altrigrandi autori di primissimo piano. Molto spesso èstato anche regista di se stesso, come nella versioneteatrale italiana dello ‘Sguardo dal ponte’, insieme

all’attrice Alida Valli. Raf Vallone ha inoltre curatola regìa di alcune opere liriche in Italia e all'esteroe ha partecipato a numerosi sceneggiati televisivi:indimenticato protagonista, con Ilaria Occhini, del‘Jane Eyre’ (1957) di Anton Giulio Maiano, conGiulia Lazzarini nel già citato ‘Il mulino del Po’(1963) di Sandro Bolchi. Nella vita privata fu lega-to per tutta la vita alla moglie, l’attrice Elena Varzi,dalla quale ha avuto tre figli: Eleonora, Arabella eSaverio. «Quando lo conobbi, mi colpirono la suaintelligenza la sua discrezione, la sua mancanza divanità», disse di lui in un'intervista MarlèneDietrich, che non nascose mai di subirne il fascino.E ancora, a proposito della sua interpretazione‘parigina’ di Eddie Carbone, ruolo cui Vallone erarimasto indissolubilmente legato, la splendidaattrice berlinese in seguito raccontò: «Quandoandai a vederlo al Théâtre Antoine restai sbalordi-ta: dominava totalmente la scena e il pubblico loseguiva come in ‘trance’. Vi era un meravigliosoequilibrio tra sapienza interpretativa e tensioneemotiva. Tutta Parigi si era innamorata di lui.Pochi spettacoli rimasero in cartellone cosi a lungocome ‘Uno sguardo dal ponte’. Per di più, avevaaccettato la sfida di recitare in francese. E l'avevavinta». Sono questi gli uomini e gli artisti italianiche, oggi, tanto ci mancano.

VITTORIO LUSSANA

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entinaio di film: una carriera artistica completa e indimenticabile>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

In alto: Raf Vallone con la moglie Elena Varzi e la figlia Eleonora. Qui sopra asinistra Anna Magnani e Raf Vallone nelle vesti di Anita e Giuseppe Garibaldi.A destra l’attore con Steve McQueen nella pellicola ‘Nevada Smith’

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Il gruppo musica è formato dao Tomaso De Mattia,voce e chitarra; Emanuele Randon , chitarra e

cori; Marco Salvatici al basso; Nicola Marangonalla batteria; Marco Piccioni al sassofono; infineAndrea Barin alla tromba. Sono insieme dal 2000 e,dopo una lunga gavetta, hanno conquistato il mer-cato musicale europeo (Berlino è la loro roccaforte ehanno suonato persino al Fuji Rock in Giappone).Non hanno paura di esporre le loro idee politiche epresentano ‘Silent town’: considerato il loro albumpiù maturo che chiude una trilogia, quella composta

musica Un gruppo italiano che ha una propria roccaforte all’estero, anche se i co>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Lo ska punkdei Talco

già da ‘La Cretina Commedia’ nel 2010 e Gran Galànel 2013. In Italia il loro cantautorato ‘stiloso’ diritmo ska punk non trova molto spazio, ma per iTalco questa è stata l’occasione per affrontare i mer-cati internazionali, come ci racconta in questa inter-vista Tommaso De Mattia voce della band.

Tommaso De Mattia, come mai avete deciso dichiamarvi prima ‘Talco mentolato’ e poi‘Talco’?“Al principio, come qualsiasi altra band, suonavamo

Sei ragazzi liguri, insieme da oltre dieci anni, sono la band piùesterofila di uno stile musicale che in Italia ha poco seguito: con illoro ultimo album, ‘Silent Town’, confermano il loro stile

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senza un progetto ben chiaro, solo per esclusivodivertimento e da studenti quali eravamo, con unavena demenziale. Motivo per il quale il nome eralegato a questa idea spensierata della musica.Successivamente, nonostante il progetto diventassesempre più’ chiaro ed impegnato, abbiamo deciso dimantenere almeno il nome Talco, ormai affezionatiallo spirito della band che è comunque ancora oggilegato al divertimento.”

Siete apertamente anti-fascisti, quanto contala politica nelle musica ? “Se devo essere sincero, non saprei risponderti pro-prio perché credo che quello che conti nella musicasia tutto ciò di cui ti senti di parlare e per ognuno ènaturalmente differente perché ognuno di noi hapriorità differenti. Per noi la politica ha una forterilevanza nella vita di tutti i giorni, la consideriamouna parte importante della società in cui viviamo,perché è tutto ciò che ci circonda e ci cambia, quin-di ci sembra normale parlare di questo, naturalmen-te sfatando subito l’equivoco su cui qualcuno potreb-be cadere, legato al fatto che ci sia una volontà divolere insegnare qualcosa. Non c’e assolutamentenulla da insegnare ma una semplice spensieratavoglia di scambiarsi idee e comunicare attraverso lamusica, nulla più. Per insegnare bisognerebbeesserne all’altezza, e non mi ritengo una persona ingrado di poterlo fare. Forse è la mia più’ gran-de paura, che la gente pensi questodi noi, e cerco di farle capireche sono abbastanza grottescoe frivolo da non poter certo fareil ‘maestrino’.”

Vi è pesato a volte esporvipoliticamente oppure attraver-so la oppure è un canale che uti-lizzate piacevolmente per comu-nicare le vostre idee?“Esporsi non dovrebbe mai essere unproblema, è un fatto di libertà, se aves-simo paura di farlo forse non saremmopersone coraggiose e orgogliose di ciò chepensiamo, o vivremmo in una società peri-colosa che ci crea da un lato il timore didire la propria, e dall’altro, ancora peggio,l’idea che parlare di queste cose sia pedanteed eccessivamente serioso”.

Collaborate con il progetto Marghera, per sen-

sibilizzare l’opinione pubblica al problemanel territorio del Nord-est, quanto conta pervoi questo progetto?“Marghera è la città in cui vivo da sempre, conosciu-ta tristemente per le morti del Petrolchimico. Saròsempre legato a questa città, e fiero di presentare iTalco come una band nata in questo posto, perché èsì un microcosmo di una mentalità gretta e delin-quenziale che ha rovinato il nostro paese, ma anchedove la politica di strada ha messo in luce un proble-ma che la politica istituzionale, a volte collusa con icolpevoli delle morti del Petrolchimico, ha cercato diignorare o nascondere. vivere a Marghera è comevivere a Cinisi negli anni 70, a Taranto, nella Val diSusa, vivere a Marghera è vivere sulla propria pellela mala politica del nostro paese. Ed è una cosa cheti fa crescere con ideali puri e a contatto con la verarealtà”.

Siete stati definiti “cervelli italiani in fuga” ,siete famosissimi in Europa infatti, vi va benecosì o vi piacerebbe avere più risonanza inItalia?“Stiamo cercando da un paio d’anni di tornare inItalia con davvero ottimi risultati, non ce lo sarem-

mo mai aspettato. Logico cheormai abbiamo una roccaforte all’estero

ma tornare a suonare dalle nostre parti fa sempremolto piacere e li consideriamo i concerti più emo-zionanti dell’anno. Ci piacerebbe suonare di più,

ncerti più emozionanti sono quelli italiani>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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certo, ma è anche vero che in un anno tocchiamomolto paesi e cerchiamo di dare uno spazio ad ogniopportunità”.

Siete insieme dal 2000, ed avete collezionatosuccessi, il vostro disco ‘Silent town’ chiudeuna trilogia ed è stato definito il disco dellamaturità, ci spiegate il perché?“Perché racchiude tutte le nostre caratteristichedagli inizi a oggi. Dal punto di vista musicale, c’è unmix di tutti i nostri album vecchi rivisitati con unamaggiore maturità, responsabilità e forse più corag-gio di osare. Dal punto di vista delle liriche, anchequi una maggior sicurezza, e una voglia di fare qual-cosa un minimo più ricercato di uno slogan hannofocalizzato la nostra attenzione nel tentativo di scri-vere testi il meno retorici possibile (a volte ci vabene, altre meno, ma già l’idea di non utilizzare slo-gan triti e ritriti per noi è qualcosa di buono). E inpiù c’è una storia scritta da noi, insomma dal puntodi vista musicale, delle tematiche e dei testi per noiè il disco più completo”.

Avete suonato con molti gruppi, quali sonoquelli che ammirate di più o quelli con i qualivi siete trovati meglio?“Sicuramente i gruppi californiani, come i Nofx e iMad Caddies, che ascoltiamo da quando eravamoragazzini. Ci ha colpito molto l’umiltà con cui siponevano nei nostri confronti, nonostante fossimogli ultimi arrivati nella loro famiglia. È una cosa checi ha insegnato molto, a volte strimpella-re due note davanti ad unpubblico, può fartisentire onnipotente earrogante (caratteri-stica notata in moltigruppi italiani, fortuna-tamente non tutti), e avera che fare con queste espe-rienze ti fa capire davveroche l’umiltà e la semplicitàsono le migliori qualità peruna vita che in fondo è solopuro divertimento”.

Il vostro genere musicale ska-punk, è associato a testi com-plessi e mai banali, creando unmix raro, quali sono stati i vostririferimenti?

musica Siamo un popolo di egoisti e opportunisti senza morale>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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“Sicuramente la Mano Negra, poi direi il cantauto-rato italiano, specialmente De Andrè e Gaber, e ilpunk californiano, Nofx Lagwagon e No Use for aName soprattutto.”

Ve la sentireste di ricantare “Bella Ciao” inItalia ?“Lo facciamo sempre e quando non lo faremo piùvorrà dire che non suono più con i Talco o staròfacendo altro (in quel caso la canticchierò comunque(ahahah)”.

Cosa pensate della situazione politica attualee degli italiani?“Gli italiani hanno determinato questa situazionepolitica. Per spiegarmi penso a una frase diMonicelli, in cui sosteneva che agli italiani piacevadelegare il potere ai vari Mussolini, Andreotti,Berlusconi per poi lavarsene le mani dopo la lorosconfitta. Siamo un popolo in maggioranza di egoi-sti, frivoli, razzisti, ignoranti, senza morale, oppor-tunisti: tutta questa mentalità ha creato la mafia eforaggiato una mala politica che ha affondato lanostra società”.

Dopo aver suonato al Fuji Rock in Giappone,quali sono i vostri prossimi progetti?“Suonare il più possibile in giro per l’Europa e nonsolo fino ad arrivare a 120 concerti nel 2016 e inizia-re il 2017 con altrettante ambizioni!”

CLELIA MOSCARIELLO

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Selezionati come artisti delmese nel contest MTV New

Generation, i Materianera sonoconsiderati un trio eterogeneo estravagante e non solo per ilnome che li caratterizza, maanche per lo stile che li rende ori-ginali quanto basta. Un progettomusicale innovativo e recente,che nasce dall’incontro di treartisti torinesi: Yendry Fio-rentino, voce del gruppo, Davide“Enphy” Cuccu, produttore emusicista, e dj Alain Diamond,anche lui produttore. YendryFiorentino, è nota per aver par-tecipato alla sesta edizione di XFactor, dove è arrivata in finalenella squadra di Elio. Ha firmatoun contratto con Sony che subitodopo ha deciso di sciogliere perintraprendere un altro genere dipercorso. È anche nel cast delprogramma televisivo ‘Crozzanel Paese delle Meravigliè comevoce della band. Ciò che rendecoinvolgente la musica del grup-po non è solo la vocalità diYendry, che sicuramente è un

punto di forza, ma è soprattuttola sperimentazione elettronicache diventa magnetica, in alcunipassaggi arriva a sfiorare l’intro-spezione per poi liberarsi inun’esplosione di emozioni, c’èuna sorta di transito in piùdimensioni che avvolge chi ascol-ta. Una sonorità profonda,misteriosa, a volte oscura, comela materia nera dell’universo, èciò che esprime il primo progettodiscografico ‘Supernova’, unlavoro che si discosta dai canonidella musica nazionale, e chesembra più appartenente allerealtà internazionali. Supernovaindica il collasso, la morte di unastella, che si può rigenerare inun nuovo astro. E nel brano rap-presenta il vortice di emozioni diuna storia d’amore che sta perinterrompersi, ma che forse puòriprendere. Sono sette traccesicuramente d’impatto, cheappartengono a una musicadiversa dalla media, un mix disoul ed elettronica efficace e percerti verti disorientante, per ciò

che trasmette. Più si entra nel-l’ascolto, più si avvertono i diver-si mondi sonori che richiamanoatmosfere notturne, frammentihouse, sulla scia dei MassiveAttack, che molto probabilmentesono stati un riferimento per ilgruppo. La voce di Yendry ècalda, precisa, i brani seguonoun andamento lineare. ‘Bubblespeach’ è un pezzo visionario,‘Stay’ e ‘You Killed my sun’mischiano vocalità soul a drummachine e si discostano dallostandard pop, gli arrangiamentisembrano più curati. ‘Supernova’per essere il primo ep d’esordiodel trio, è un lavoro interessantee compatto, che ben rappresental’intesa di tre artisti con percorsidiversi, che sono riusciti a unirele loro esperienze artistiche inqualcosa di unico. L’equilibriosonoro c’è e si può arrivare dav-vero in un universo parallelo.

Yendry Fiorentino, oltre adessere interprete di talentofai parte del cast del notoprogramma televisivo‘Crozza nel Paese delleMeraviglie’ dove dai la vocealla resident band. Come vivil’esperienza televisiva oltreagli impegni con il gruppo?“Lavoro nel cast di Crozza dadue stagioni e al fatto che sia tv,non ci penso quasi più ormai.Vivo l'esperienza televisiva comeun lavoro, che mi permette di

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A più di cinque anni dall’esordio con ‘Amore o Purgatorio’, ilgruppo salentino torna con un concept album che è un urlodiretto e pungente contro una realtà fatta di autoillusioni

Materianeraun sound originale

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portare avanti il progettoMaterianera. Inoltre non è miaintenzione trasferirmi a Milano,per questo il lavoro diventa piùimpegnativo perché mi dividotra una città e l'altra, ma è unascelta che ho fatto io. Sono affe-zionata a Torino”.

Un trio ben consolidato eparticolare per un progettomusicale davvero originale.Cosa ha generato iMaterianera? Centra forsela materia oscura del cosmo?“Materianera deriva in effetti damateria oscura, cioè la materiache non conosciamo. Allo stesso

modo cerchiamo di costruire unsound che non esiste, o almeno ilpiù originale possibile”.

‘Supernova’, il vostro primoprogetto discografico si com-pone di sette tracce, unaintro, quattro brani inediti,un remix e un outro, dove lesonorità elettroniche si fon-dono al soul. Che significatoha questo lavoro e comel’avete realizzato?“Mentre per Supernova e CosmicDust siamo partiti da un’idea ditesto scritto da me, sul qualeabbiamo costruito le strutture, lealtre songs sono il risultato di

session improvvisate in sala.Un modo di lavorare che ci hadivertito e che si è rivelatomolto prolifico”.

«Le angosce della nostraanima sono sempre catacli-smi del cosmo. Quando ciarrivano, intorno a noi siperde il sole e si sconvolgonole stelle». Una riflessione suquesta frase di FernandoPessoa.“Le angosce della vita sono spes-so causate dalle relazioni inter-personali. Siamo collegati con ilprossimo analogamente a comelo sono le stelle e quando qualco-sa non va perdiamo la ragione, lagravità che ci permette di rima-nere in equilibrio nel nostro per-sonale sistema di vita”.

Qualche anticipazione deiprossimi impegni?“Stiamo preparando il nostrolive. Intanto portiamo in tour ilSound Materianera”.

MICHELA ZANARELLA

musica Improvvisare in sala si è rivelato un modo prolifico di lavorare>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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AlìFacciamo niente insiemeNato a Catania nel 19178, ma cresciuto a Siracusa, Stefano Alì fa parte della cerchia, ad onor del vero piuttosto variegata ed eteroge-

nea, di nuovi cantautori siciliani che partendo da Carmen Consoli, racchiude personalità quali quelle di Colpasce, Di Martino e Toti

Poeta. Facciamo Niente Insieme è il suo secondo lavoro, uscito per Woodworm lo scorso 26 febbraio. Così come per il disco d’esordio La

rivoluzione del monolocale del 2013, anche questa seconda fatica vede Lorenzo Urciullo ( Colapesce) nel ruolo di produttore artistico.

10 tracce, tra le quali troviamo la cover di Luca Carboni Colori ( Carovana 1998), che raccontano l’intimo microcosmo dell’autore fatto

di ricordi, ricerca di sé, suggestioni, amore, paesaggi, immagini del quotidiano fotografate attraverso una focalizzazione sui più piccoli par-

ticolari. Permeati da un senso nostalgico e piacevolmente malinconico i brani non scadono tuttavia nell’eccessiva melanconia: “C’è la costante voglia di

riderci su, contro ogni disperazione, contro ogni presagio funesto. Perché, comunque, alla fine, c’è sempre il mare nel quale cercare riparo e quiete”. Le

linee vocali non sono mai scontate e la scrittura risulta essere molto personale e matura, segno che siamo di fronte

ad un disco di spessore, concepito secondo un equilibrato mix tra linguaggio acustico ed elettrico- elettronico di

respiro internazionale. È questo un lavoro mai ripetitivo e a suo modo colto essendo concepito mediante un ampio

background di influssi ( Wilco e Tha National, ma anche il conterraneo Battiato ad esempio in Ufo). Negli incastri tra

beat e basso di Via Umberto si scorgono echi delle produzioni dell’americano Tycho, mentre l’armonia della chitarra

acustica rimanda ai tedeschi The Notwist ( che ritornano con forza in Calze a righe).

Il synth di Ero io non può non far pensare agli Air e, in alcuni punti, la linea vocale di Occupati di me sembra costi-

tuire un omaggio a Thom Yorke dei Radiohead. Le numerose influenze non sono tuttavia mero citazionismo, ma

bensì assorbite con cognizione di causa e in maniera funzionale alla creazione di un linguaggio personale. Facciamo

Niente Insieme è un disco ben strutturato, elegante, frutto di uno scrittura ispirata e di una sapiente produzione.

Piace al primo ascolto e lo si ama la seconda volta. Tra le uscite più interessanti di questo inizio 2016. Michele Di Muro

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Nel XVI secolo si sviluppòuna corrente artistica

nota come Manierismo, dove lostile cinquecentesco dei grandimaestri del Rinascimento, daMichelangelo a Leonardo finoal Vasari (che proprio nella suamonumentale opera Le Viteaccennò ad una prima defini-zione di questa Maniera difare arte), diventa canone edefinizione stessa di Bello.Forzando questa seppur ridut-

tiva definizione di Manierismoe traslandola nel mondo moder-no della settima arte, potrem-mo dire che spesso le innova-zioni tecniche in campo regi-stico e stilistico che si possonoriscontare in un film “classi-co”, diventano in un secondotempo la “maniera” di giraretipica di molti registi: dai sem-plici mestieranti agli autoripiù affermati, tutti in qualchemodo “citano” nel loro lavoro

le opere che maggiormentehanno amato. Il più lampanteesempio di questo nuovo“Manierismo cinematograficomoderno” è forse il regista piùdiscusso degli ultimi vent’an-ni: Mr. Quentin Tarantino.Esistono poche personalitàinfatti, attualmente in attivitànel mondo del cinema, ingrado di dividere il pubblico inmaniera netta come QuentinTarantino: tra chi lo venera

cinema Esistono poche personalità, nel mondo del cinema in grado di divider>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Geniale, manierista, innovatore, citazionista, violento, cult: tanti aggetti-

vi per un solo regista che è stato capace di rivoluzionare l’industria cine-

matografica, riscoprendone le parti più nascoste e riportandole alla luce.

Un percorso lungo e travagliato, fatto di critiche e amore maniacale per

la settima arte. Un viaggio che con il suo ultimo film, The Hateful Eight,

sembra finalmente giungere alla piena maturità artistica

Tarantino’sstyle

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come visionario e geniale regi-sta, capace di dare nuovolustro e linfa vitale a generiormai ritenuti “defunti”, e chiinvece lo considera un virtuo-so “citazionista”, incapace dirappresentare contenuti origi-nali degni di nota. Nonostantela netta cesura tra amanti edetrattori, è indubbio chel’uscita in sala di un nuovofilm del regista di Knoxvilleabbia rappresentato un’ap-puntamento irrinunciabile perl’intero pubblico.

Come cani da rapina in un Pulp MagazineCercare di analizzare la car-riera di Quentin Tarantinoequivale ad una lunga escur-sione senza guida nella fore-sta buia e intricata della suacinefilia. Le sue origini umili eun provvidenziale impiego inun negozio di video-noleggioManhattan Beach VideoArchives, nella zona diManhattan Beach a LosAngeles, consentirono al gio-vane Quentin di appassionar-si in maniera quasi maniacaleal cinema. Sviluppò una parti-colare predilezioni per quelliche comunemente vengonochiamati B-Movies: film dibreve durata e girati con pochisoldi e mezzi anche inferiori,nati negli anni ‘30 per affron-tare il progressivo calo di spet-tatori nelle sale a seguito dellaGrande Depressione. Questepellicole, i cui contenuti spa-ziavano dalla fantascienza alwestern passando per l’horrore il thriller poliziesco, raggiun-sero una certa popolarità neglianni ’70, salvo poi finire neldimenticatoio. Questo almenofino all’arrivo di Tarantino.Dopo il lungo “apprendistato”al video-noleggio, comprensivodi un primo tentativo di regiaamatoriale, il giovane Quentin

riesce a vendere due sue sce-neggiature: Una vita al massi-mo diretto in seguito da TonyScott e Assassini nati: NaturalBorn Killers di Oliver Stone. Isoldi ricavati dalla vendita diqueste due sceneggiature, uni-tamente all’attenzione delproduttore Lawrence Bender,consentirono a Tarantino didirigere il suo primo film: LeIene (Reservoir Dogs). Un filmgirato a bassissimo budget,dove gli attori usarono abitidel proprio guardaroba comevestiti di scena, dove il registainizia a sperimentare, a met-tere alla prova il suo stile, cre-ando dei veri e propri “marchi

di fabbrica” per tutte le sueproduzioni successive: a)un’esagerata violenza spessoai limiti dello splatter; b) unuso smodato di volgarità lin-guistiche, alternando l’usocontinuato della parola “fuck”a ben più raffinati insulti; c) la"trunk shot", un’inquadraturadal bagagliaio o dal cofanodella macchina con la teleca-mera che riprende la scenadall'interno rivolgendosi versogli attori; d) i lunghissimipiani-sequenza che seguonol’azione senza mai un’interru-zione dettata dal montaggio;e) il “mexican standoff”, tra-dotto in italiano come “stallo

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re il pubblico in maniera così netta>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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alla messicana”, in cui unminimo di tre personaggi siritrovano a confrontarsi pun-tandosi rispettivamente con-tro la pistola, di modo che ilprimo colpo dia di fatto il via atutti gli altri. Scavando più afondo però si nota come ognisingolo elemento tipico dellostile “Tarantino”, sia un omag-gio più o meno esplicito a regi-sti e generi che del registasono stati “la scuola”: l’estre-ma violenza visivo/psicologicae le ricercate scurrilità richia-mano l’exploitation, quelgenere cinematografico svi-luppatosi tra gli anni ’70 e ’80con il progressivo allentamen-to delle maglie della censura,con pellicole girate a bassissi-mo budget e scarsa attenzioneal dettaglio stilistico; la “trunkshot” è uno stilema dei gan-gster movies e del cinema poli-ziesco anni ’60; il pianosequenza, una lunga inqua-dratura ininterrotta che alritmo frenetico del montaggiosostituisce un movimento piùragionato e raffinato dellamacchina da presa, è invece

uno dei marchi di fabbrica deigrandi registi come StanleyKubrick, Alfred Hitchcock eSergio Leone, di cui Tarantinoè un ammiratore; è proprio daLeone e dal celebre “triello”finale de Il Buono, il Brutto eil Cattivo che il regista diKnoxville riprende lo “stalloalla messicana”. Grazie a que-sti elementi Tarantino riesce afar breccia nel cuore di quellanicchia di appassionati cinefilicome lui, riuscendo tuttavia afarsi apprezzare dal grandepubblico e da parte della criti-ca, prima con Le Iene e poi conPulp Fiction, il film che adoggi per molti rappresenta illavoro migliore del regista.Pulp Fiction, crudo, sboccato,stilisticamente vicino ai filmda “drive-in” ma con una ricer-ca stilistica più approfondita,è stato capace non solo dirilanciare la carriera di JohnTravolta, ma anche di rimuo-vere la patina di polvere dauna serie di pellicole cadutenel dimenticatoio, creandouna nuova generazione diappassionati. Grazie alla sce-

neggiatura di questa pellicolail giovane Tarantino vinse ilsuo primo Oscar e un allorainattesa Palma d’Oro alFestival di Cannes, che lo con-sacrarono definitivamentenell’Olimpo delle allora giova-ni promesse di Hollywood.

Verso il western sotto il segno di LeoneFin dagli esordi il cinema diTarantino era naturalmenteorientato verso il western. Ungenere che per anni avevaconquistato l’immaginazionedegli spettatori ma che, vuoiper l’avanzata inesorabiledella fantascienza o una sem-pre più evidente scarsità diidee originali, era statodimenticato e relegato allanicchia “per appassionati”. Giànella seconda parte di Kill Bill,il film dedicato alla sua musaUma Thurman largamenteispirato ai film di arti marzialicon protagonista Bruce Lee,Tarantino dimostra un’estremasensibilità per il genere resoimmortale da Sergio Leone: leatmosfere dei film del registaromano, che hanno di fattoinsegnato agli americani comedovevano esser fatti i western,si possono respirare in tutte lesuccessive pellicole del registaamericano. Un tributo eviden-te, ma non pedissequamentesterile. Questa evoluzione già èevidente in Bastardi SenzaGloria (omaggio a QuelMaledetto Treno Blindato diEnzo G. Castellari del 1978),che nonostante l’ambientazionebellica della Seconda GuerraMondiale richiama lo svolgi-mento tipico del western: labanda in missione solitaria, iprotagonisti duri e disposti atutto pur di portare a terminela missione, la vendetta, l’esca-lation verso il confronto finale.

cinema The hateful eight sembra urlare: “Sergio Leone”>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Anche il film successivo,Django Unchained, è un reven-ge movie dove la questionedello schiavismo e l’ambienta-zione delle piantagioni gioca unruolo fondamentale, consenten-do a Tarantino di mettere il suostile a servizio di temi impor-tanti come schiavitù e razzi-smo, smentendo contempora-neamente le critiche di altri col-leghi (come Spike Lee) che loaccusano di essere poco attentoalla questione razziale per l’ec-cessivo uso della parola nigger(negro). Quello di Tarantino èstato un lungo percorso allaricerca di una propria identitàautoriale nata dall’apparenteinestricabile mix della suacinefilia; un percorso che haraggiunta la propria compiutaaffermazione nella sua ultimafatica registica: The HatefulEight. Scegliendo ancora l’am-bientazione della frontiera,negli scenari innevati delWyoming, Tarantino ci raccon-ta attraverso le storie degli

otto “odiosi” del titolo, unaparte importante della storiaamericana, immediatamentesuccessiva alla Guerra diSecessione del 1861-1865,costruendo un film inaspetta-tamente “politico”. Il confrontotra Stati Uniti e StatiConfederati del Sud sulla que-stione dello schiavismo haconsentito al regista di crearesituazioni apparentementesconnesse ma che si intreccia-no nel prosieguo della trama,in un’escalation di rivelazionie capovolgimenti di frontedegne dei migliori thrillerdegli anni ’50. Il tutto gesten-do un cast stellare (Samuel L.Jackson e Curt Russel ingiu-stamente non consideratinella corsa agli Oscar) in unospazio ristretto e angusto, incui il climax degli eventi vienecostruito con estrema lentezzaper poi esplodere fragorosa-mente nella seconda partedella pellicola, colpendo lospettatore come un pugno

nello stomaco, lasciandolostordito e desideroso di unaseconda visione una volta giun-to ai titoli di coda. Tutto in TheHateful Eight sembra urlare“Sergio Leone”, dai movimentidi camera, ai primissimi pianidei protagonisti, ai ribaltamen-ti di fronte, fino alle meravi-gliose musiche del maestroEnnio Morricone, che forse riu-scirà a prendere quell’Oscarche non è mai riuscito a vince-re (l’Accademy Awards lo hainsignito infatti di un premioonorario nel 2007, l’equivalen-te di un “contentino”). Il tuttograzie alla straordinaria pas-sione di un regista che, nonpiegandosi mai alle logiche delcircuito mainstream, è riusci-to a proporsi come autore indi-pendente e apprezzato dabuona parte della critica e delpubblico, capace di crearedalle ceneri di generi dimenti-cati un proprio stile identifica-bile: il “Tarantino’s style”.

GIORGIO MORINO

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Cinecittà Alla riscoperta del 70 mm

L’avanzata delle nuove tecnologie a volte porta a dimenticarsi di ciò che è

stato in passato, relegando fin troppo facilmente alcune cose nello scan-

tinato impolverato del “vintage”. La pellicola da 70mm, su cui era possibi-

le imprimere immagini molto più grandi e definite rispetto alla tradizio-

nale 35mm, è una di queste tecnologie considerate ingiustamente obso-

lete, anche a causa della riduzione di costi portata dal digitale. Una logi-

ca a cui Quentin Tarantino non si è arreso, scegliendo di girare The Hateful

Eight in 70mm con delle cineprese Panavision apposite. Il risultato, capa-

ce di restituire allo spettatore quel colpo d’occhio tipico delle pellicole

anni ’70 (con il cambio di bobina indicato dalla “bruciatura di sigaretta” in

alto a destra nell’immagine) è effettivamente straordinario, con inquadrature “gigantesche” ed estremamente nitide. Per meglio valorizzare questo

lavoro di “archeologia cinematografica”Tarantino e la Leone Group, distributrice del film in Italia, hanno deciso di organizzare delle proiezioni spe-

ciali nel Bel Paese: il film è stato reso visionabile in 70mm nella sua versione integrale da 188 minuti, per tutto il mese di febbraio, nella suggesti-

va cornice del Teatro 5 di Cinecittà. Il teatro di posa preferito da Fellini è un luogo di culto per tutti gli appassionati, allestito per l’occasione con un

maxischermo da 21 x 8 metri e 888 posti a sedere. Un’esperienza unica dal sapore un po’ retrò, impreziosita in corrispondenza del percorso d’ingres-

so degli spettatori da una grande scenografia innevata, con riferimenti alla trama del film. Queste proiezioni speciali saranno propedeutiche alla

rassegna “Cinecittà Winter Film Show”, iniziativa promossa dal Leone Group per omaggiare il lavoro di Tarantino e Sergio Leone, in una serie di retro-

spettive annuali. Un’ottima iniziativa capace di far rivivere i fasti di una struttura troppa a lungo lasciata all’abbandono.

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libri&libri Novità in libreria a cura di Michela Zanarella>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Considerato uno dei romanzi più contesi disempre, venduto in ventisei paesi, “La sarta diDachau”, Garzanti editore, arriva nelle libre-rie italiane ed è già un successo per MaryChamberlain, docente di storia al suo esordioletterario. L’autrice ha iniziato a scrivere lastoria della protagonista, dopo averletto un saggio sulla seconda Guerramondiale che rivelava il mistero sulvestito da sposa dell’amante delFührer (fu una sarta sconosciuta arealizzarlo). La fantasia la guida inuna narrazione così precisa e defi-nita, da sembrare perfettamentereale. Un libro che riesce a racconta-re con uno sguardo inedito uno deiperiodi più drammatici della

LETTO PER VOI

La sarta di DachauNell’orrore della seconda guerra mon-diale, tra le atrocità dei nazisti, un sognomantiene viva la protagonista dandolela forza di non cedere alle brutture diun’epoca segnata dalla violenza

storia. È il 1939, siamo a Londra e Ada non haancora compiuto diciotto anni, ma è già unaragazza determinata, sa quello che vuole,sogna di diventare una sarta famosa, di aprireuna propria casa di moda e realizzare abiti perle donne più eleganti della sua città. Inizia alavorare in una sartoria a Dover Street e il suotalento emerge fin da subito. L’incontro ina-spettato con un uomo elegante, benestante eaffascinante, le stravolgerà completamentel’esistenza. Ada si lascerà convincere nellasciare la famiglia e il lavoro per andare conlui a Parigi: l’amore la porterà a compieredelle scelte che cambieranno per sempre il suodestino. Emerge il carattere forte della giova-ne che, pur di inseguire i suoi obiettivi, non siabbatte di fronte alle difficoltà e cerca sempredi risolvere i problemi affrontandoli. L’amoreper Stanislaus, se da una parte la fa sentireorgogliosa dei suoi sentimenti, dall’altra laporta a essere fragile: quando lui la lascia sola

in una città occupata dai tedeschi, si rendeconto di quanto sia stata ingenua a

fidarsi di una persona che conoscevaappena; si trova ad affrontare la bruta-lità della guerra e il delirio nazista, èsenza soldi, senza rifugio, non può farrientro a casa dai genitori. Arrestata e

deportata nel campo di concentramentodi Dachau riesce a sopravvivere aggrap-

pandosi a un sogno: diventare una sarta eaprire una propria casa di moda. La

sua abilità con ago e filo le consen-tirà di lavorare per la mogliedel comandante del campo:sarà una schiava, ma potràfare abiti seguendo le richie-

L’AUTRICEMary Chamberlain è professoressa di storia a

Oxford. Nutre un profondo interesse per la condi-

zione femminile e la società inglese post-bellica.

Mentre sfoglia un saggio sulla seconda guerra

mondiale, scopre il mistero del vestito da sposa di

Eva Braun, l'amante di Hitler, disegnato da una

sarta sconosciuta. E allora la sua fantasia comin-

cia a viaggiare, immaginando una ragazza

deportata in un campo di concentramento che

ha il sogno di diventare stilista. Da qui nasce La

sarta di Dachau, il suo primo romanzo.

LA SARTA DI DACHAUDi Mary ChamberlainGarzanti EditorePagg. 240, 16,90 euro

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ste, o meglio gli ordini, della donna. Negli annidi prigionia la sua bravura sarà conosciutaanche fuori dalle mura del campo di concen-tramento, fino ad arrivare ai vertici dellegerarchie naziste, fino a quando le viene com-missionato un abito speciale, nero con unarosa rossa: il vestito da sposa di Eva Braun,l’amante di Hitler. L’estro creativo di Ada, lesue intuizioni, la porteranno a essere unadonna decisa, che crede in se stessa, in ciò chepuò fare, anche in condizioni estreme. L’orroredella guerra lascia spazio alla luce che ardenel cuore della protagonista. La scrittura dellaChamberlain non è solo il frutto dell’immagi-nazione: ci sono precisi riferimenti storici,un’attenta ricostruzione dei fatti accadutidovuta a un minuzioso lavoro di ricerca, laconsultazione di documentazione provenientedagli archivi. L’occhio dell’insegnante di storiasi evince anche nella divisione del libro in treparti, con date e luoghi a tracciare una nettaseparazione temporale, che corrisponde a trefasi della vita della protagonista.L’autrice utilizzando uno stile di scritturasemplice, dal buon ritmo, vuole portare allaluce non tanto il dramma della guerra, chepurtroppo ha lasciato delle ferite enormi nellastoria, ma cerca di esplorare la società britan-nica colpita dalla seconda Guerra mondiale, inmodo particolare la condizione femminile.Senza descrivere le scene drammatiche delcampo di concentramento, la Chamberlain ciconduce attraverso la vita di una donna che neha vissuto gli orrori e le contraddizioni ricon-ducendoci alle molteplici espressioni di resi-stenza, coraggio, tenacia e dignità che hannocontrastato la brutalità umana nazista. �

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CURIOSITÀQuesto libro è un caso editoriale ancora prima della sua uscita, è statoconteso dagli editori di tutto il mondo. Anche in Italia tutti lo vogliono,ma è Garzanti ad aggiudicarselo, acquistandone i diritti. Quando adaprile 2015 esce in Inghilterra, scala le classifiche di vendita. La stam-pa lo consacra come fenomeno editoriale e a gennaio 2016 arrivaanche nelle librerie italiane. La traduzione per Garzanti è stata affida-ta ad Alba Mantovani. In un’intervista a chiusura del romanzo l’autricerivela che la suocera, l’attrice Lilli Palmer, era un’ebrea tedesca rifugia-ta in Inghilterra e molti suoi parenti hanno perso la vita nell’Olocausto.La Chamberlain ha attinto dalle testimonianze di alcuni sopravvissutiper ispirarsi nella stesura del libro. La fonte principale è stata comun-que la zia Violet, che trascorse il periodo bellico come prigioniera delregime nazista.

In primo piano

Editoria indipendente

Il mare nasconde le stelledi Francesca Barra, GarzantiPagg. 154, 14,90 euroCostretto a lasciare la famiglia e ad andarsenedall’Egitto perché cristiano, il quattordicenneRemon si imbarca clandestinamente. Arrivato in Italia viene accolto e scopre che la vitapuò essere davvero migliore se incontri personeche ti aprono il cuore. Una storia vera. Toccante.

Il bambino magicodi Maria Paola Colombo, MondadoriPagg. 300, 18,50 euroIn una notte africana Gora stringe tra le bracciaun neonato dalla pelle bianca. È suo fratello, natoalbino: una sventura per il villaggio. I due fratellicrescono inseparabili, insieme a Miriam, testardae visionaria. Un trio unito da una profonda amici-zia che li porterà, ventenni, in Italia. Tanta solitu-dine ma anche gesti inaspettati. Attuale.

Il cacciatore di lucedi Giovanni Ferrero, RizzoliPagg. 324, 19,00 euroErnest, pittore solitario decide di fuggire dallamondanità ritirandosi sulle scogliere di CapeTown. Nella sua vita però Serena, una fiorista conla passione per la pittura. Tutto sembra perfetto,ma qualcosa spezza la felicità da poco raggiunta.Una storia d’amore che, con il ritrovamento di trecadaveri, si trasforma in giallo. Complesso.

Il tredicesimo giornodi Fabio Ceraulo, Milena EdizioniPagg. 230, 14,00 euroLa storia ruota intorno all’omicidio del poliziottoitalo-americano Joe Petrosino (realmente acca-duto a Palermo nel 1909). La voce narrante èquella del giovane cameriere testimone, suomalgrado, dell’efferato omicidio. Un romanzo cheracconta un evento che ha segnato la storia dellaSicilia e della mafia in Italia. Coraggioso.

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Il romanzo della giornalistaamericana Monica Hesse,

edito in Italia da Piemme, èuscito in anteprima mondialein Olanda, dove è ambientatala storia. Hanneke, la giova-ne protagonista, con la suavecchia bicicletta rossa per-corre le strade diAmsterdam, città occupatadai nazisti, per fare consegneal mercato nero. È una ‘trova-trice’, consegna porta a portabeni considerati introvabiliin tempo di guerra. Lavorapart-time in un’agenzia dipompe funebri e il resto dellagiornata si procura caffè,cioccolato, calze di nylon, riu-scendo così a mantenere lafamiglia. Hanneke vive letensioni dell’invasione tede-sca sulla propria pelle, e si

trova a dover affrontaresituazioni non facili, in unclima dove la resistenza èmessa a dura prova. Latrama pur non essendo origi-nale, riesce a farsi densa diemozioni con rimandi e riferi-menti a un tema che è statoampiamente trattato edescritto in altri romanzi(vedi ‘Il bambino con il pigia-ma a righe’ o ‘Storia di unaladra di libri’). Monica Hessetraccia con estrema chiarez-za avvenimenti storici real-mente accaduti anche attra-verso le vicende di personag-gi frutto della sua creatività.Anche in Olanda, le restrizio-ni messe in atto dai tedeschicontro la popolazione ebreafurono davvero dure.Aattraverso la figura di

Hanneke, la Hesse mette inatto una riscoperta dei valo-ri, un recupero interiore delleemozioni, quel fare del beneverso gli altri che aiuta ariappropriarsi della bellezzadell’esistenza.Hanneke conosce i pericolidel suo lavoro, ma non temedi mettersi in discussione,continua a distribuire i beni,perché sa che solo in quelmodo può far sopravvivere isuoi cari. Nel suo piccolo rie-sce ad attuare una forma diresistenza al nazismo, e ungiorno accade qualcosa diinaspettato. Una cliente lechiede aiuto per ritrovareuna bambina ebrea che eranascosta nella sua casa. Ladonna spera di ritrovarla eriprenderla con sé. La ragaz-za accetta la sfida, mettendoa rischio la sua vita. È unaricerca che le consentirà dicomprendere quanto sianoimportanti i sogni e il valoredell’amicizia.

MICHELA ZANARELLA

libri&libri Una storia di Resistenza nell’Amsterdam del 1943>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Un romanzo di grande impatto che ci riporta ai classici delgenere: una storia dove la guerra lascia macchie indelebili,che solo il coraggio e la determinazione della protagonistapotranno rendere meno dolorose

Una ragazzaattraverso il nazismo

La ragazza con la bicicletta rossadi Monica Hesse, Piemme EdizioniPagg. 298, 17, 50 euro

L’autriceMonica Hesse è una giornalista americana.Scrive sul Washington Post, occupandosi ditutto (dai matrimoni reali alle campagnepolitiche alla cerimonia degli Oscar). È origi-naria dell’Illinois, ma vive a Washington, DC.Questo è il suo primo romanzo.

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