periodico italiano magazine febbraio 2015

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P i MAGAZINE Anno 4 I numero 9 I Gennaio-Febbraio 2015 PRIMO PIANO Il flop del piano Garanzia giovani Pochissime le offerte concrete MERCATO Sigarette elettroniche Meno nocive ma non innoque ESTERI A L’Avana Dopo l’embargo arrivano i tour gastronomici Periodico italiano ERROR 404 Lavoro not found ERROR 404 Lavoro not found Inflazione in negativo e disoccupazione al 12,8%: queste le previsioni della Commissione Ue per il 2015 in Italia.

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Mensile di informazione e approfondimento. In copertina: Inflazione in negativo e disoccupazione al 12,8%: queste le previsioni della Commissione Ue per il 2015 in Italia. Non perdetevi gli aggiornamenti settimanali sul nostro sito: www.periodicoitalianomagazine.it

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Pi MAG

AZI

NE

Anno 4 I numero 9 I Gennaio-Febbraio 2015

n PRIMO PIANO

Il flop del pianoGaranzia giovaniPochissimele offerte concrete

nMERCATO

SigaretteelettronicheMeno nocivema non innoque

n ESTERI

A L’AvanaDopo l’embargoarrivano i tourgastronomici Periodico italiano

ERROR 404Lavoro not foundERROR 404Lavoro not found

Inflazione in negativo e disoccupazione al 12,8%: queste le previsioni dellaCommissione Ue per il 2015 in Italia.

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Muoversi o perireIl nostro elevato tasso di disoccupazione discende da una serie di con-dizioni a lungo sottostimate nel corso degli ultimi decenni. Negli anni’80 del secolo scorso, infatti, in Italia si registrarono tassi di crescitadella produttività addirittura più elevati di quelli degli Stati Uniti. UnPaese nel quale, tuttavia, negli stessi anni vennero raggiunti i più altitassi di crescita dell’occupazione. Questo dato americano è interessan-te. E si spiega con una serie di cambiamenti strutturali ben precisi:negli Usa si ebbe un’espansione di quei ‘servizi’ che comportavano unmaggiore impiego di lavoro. Da questa osservazione sembrerebbe sidebba accettare un’antinomia irrisolubiletra incremento dell’occupazione e crescitaeconomica. E, infatti, nel breve periodoquesti due obiettivi generalmente sonoinconciliabili. Tuttavia, la contrapposizionetra l’obiettivo di una crescita sostenuta eun’occupazione più alta tende ad attenuar-si nel tempo, in un’ottica di lungo periodo.Ciò, ovviamente, a una condizione: che sieffettuino nuovi investimenti e si rimetta il‘sistema-Paese’ sui ‘binari’ della crescita.Sul fronte occupazionale, infatti, studiandoun sistema di diminuzioni dell’orario dilavoro, la disoccupazione potrebbe comin-ciare a scendere a causa dell’aumento deicoefficienti di consumo. La ripresa econo-mica, in sostanza, si vedrebbe stabilizzata,nel lungo periodo, proprio se venisse assicurata nuova occupazionebasata sulla riduzione degli orari di lavoro. Appare un errore evidentecontinuare a mantenersi ‘chiusi’ in una logica di austerità e di immo-bilismo economico, poiché ciò non permette nessun tipo di espansione,né sotto il profilo della produttività, né in quello della domanda di con-sumi. Al contrario, il persistere della disoccupazione, alla lunga finiscecol danneggiare la qualificazione stessa della mano d’opera. Sul fron-te degli investimenti, inoltre, andrebbe favorita, da parte degli istitutibancari tenuti a fornire nuovo credito, l’entrata sui mercati di nuoveaziende, iniziative e progetti, soprattutto giovanili o d’imprenditoria fem-minile. Ciò innescherebbe un processo virtuoso di ulteriore spinta all’in-novazione tecnologica dei processi produttivi, rigenerando i mercati o cre-andone dei nuovi, invertendo in tal modo la tendenza negativa sul fron-te della disoccupazione. Se ciò non avvenisse, allora si confermerebbe ilprocesso opposto: la mancanza di occupazione finirebbe con l’associarsiall’obbligo di intensificazione di ulteriori politiche assistenziali che, vice-versa, nel lungo periodo incidono negativamente sulla dinamica dellaproduttività e sulle stesse prospettive di crescita. Insomma, è ormai giun-ta l’ora delle decisioni: o si cerca di dare una ‘scossa’ al sistema economi-co occidentale, oppure siamo destinati a perire.

VITTORIO LUSSANA

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editoriale [email protected]>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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L’omosessualità ‘entra’ negli spot

Gentile direttore, negli ultimi numeri avete parlatomolto di parità di genere. Le discriminazioni nelnostro Paese sono tante, da sempre. Per un motivo oper l’altro c’è sempre qualcuno che si arroga il dirittodi sentirsi migliore di un altro. Quando si parla diorientamento sessuale, tutto sembra complicarsiulteriormente. Fa molto sorridere la comparsa intelevisione di spot pubblicitari in cui si fa riferimentoalle unioni gay. Alcune sono proprio surreali. Tipoquella di una nota marca di surgelati in cui unragazzo fa ‘auting’ alla madre con un tonocanzonatorio (come a dire “ma dai, sciocchina, non loavevi capito?”). Altre sono più discrete e fotografanouna serie di situationi di quotidiana familiarità, fra lequali appaiono due ragazzi che si coccolano suldivano. Insomma, tutto normale. Nessuna reazioneindignata. Sono lontani i tempi delle polemiche diGiovanardi nei confronti della ‘famosa’ pubblicitàIkea (sono trascorsi soltanto quattro anni). SecondoLei è realmente il segnale che la società stacambiando. Oppure è un altro sintomo di debolezza diquella destra politica che si sta frantumando?

Riccardo RubinoRisponde Vittorio LussanaCaro Riccardo, la frantumazione della destra politica c’entrapoco: è tutto un mondo, familista e conservatore, che si statrovando a disagio in quanto privo di strumenti di analisiefficaci di fronte a una società che cambia. In difficoltà siritrova, ovviamente, anche la destra politica. Tuttavia, essa èin buona compagnia con le cosiddette culture tradizionaliste,moderate o ispirate a principi religiosi antiscientifici.

Vittorio Lussana

La femminilità inesplorata

Gentile Serena Di Giovanni,ho avuto modo di vedere lamostra dedicata alvariegato universofemminile di cui Lei hascritto su Periodicoitaliano magazine dinovembre 2014. Alcunedelle opere esposte mihanno colpita particolarmente perla loro capacità di fissare un attimo distraordinaria ordinarietà. Ritengo che troppo spessoci si soffermi quasi esclusivamente sui ‘temi forti’ (ilfemminicidio, la discriminazione). Minore èl’attenzione verso la normalità del quotidiano.Mi piacerebbe molto leggere di questo universofemminile ‘sommerso’. Ordinario, ma tutt’altro chebanale.

Daniela Fusi

Risponde Serena Di GiovanniCara Daniela, capisco cosa intende. È confrontandoci con labanalità del quotidiano che possiamo cogliere il valore deipiccoli gesti, delle giornate vissute ‘di corsa’, del temposottratto a noi stesse per dedicarci ai figli, ai mariti.Raccontare le piccole storie ci può dare la misura di quantol’universo femminile sia più forte rispetto a comenormalmente si dica. Nel prossimo numero della rivistadedicheremo un ampio spazio alla figura della donna nellasocietà contemporanea. Terremo conto anche dei suoisuggerimenti.

Serena Di Giovanni

posta I commenti dei lettori >>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Ma le aziendeci sono o ci fanno?

In un mercato ‘stressato’ dalla crisi, con una crescita annuale (2013-2014)del Pil pari a zero, non si può parlare altro che di paralisi del mercato dellavoro. Ora, di analisi macro e micro economiche ne possiamo parlarequanto vogliamo. Ma la quotidianità offre spunti di riflessione diversi dalcontinuo rinfacciarsi colpe e meriti fra politica, istituzioni e sindacati.Perché fra il cercare e il non trovare un contratto di assunzione esistonomille variabili di cui raramente si parla. Per darvi un vivido esempio diciò, riportiamo lo stralcio di una lettera giunta in redazione qualche set-timana fa. “Buongiorno, sono un ‘non più tanto giovane’ precario milane-se. Da quando ho ottenuto un diploma professionale ho lavorato nel set-tore edile. Mi sono specializzato come carpentiere e successivamente nelsettore delle facciate ventilate. Già a 18 anni ero economicamente indi-pendente e vivevo da solo. Oggi ne ho 32 e ‘sopravvivo’ grazie allo stipen-dio (un apprendistato) della mia compagna. La crisi ha fatto chiuderemolte aziende nel mondo dell’edilizia. Così di anno in anno, è diventatosempre più difficile trovare incarichi in questo settore. Parlo di lavori perbrevi periodi, pagati poco e male. Da qualche mese, forse grazie all’Expo,finalmente trovo annunci di ricerca di operai carpentieri specializzati.Sostengo diversi colloqui e, finalmente, mi offrono un contratto a tempodeterminato e ipotizzano uno stipendio da milleurista o poco più. Devoperò effettuare un periodo di prova. Mi fissano un appuntamento perandare a ‘firmare il contratto’. È venerdì e devo iniziare il lunedì succes-sivo. La proposta che trovo sul tavolo è un mese di prova-stage a 250,00euro (ne spenderei più di benzina per raggiungere il luogo di lavoro).Naturalmente nessuna certezza per il futuro. Operaio specializzato car-pentiere con formula stage? Il mio cervello si ‘sconnette’ per evitare didare in escandescenze. Spiego che è inaccettabile. Rispondono che chiede-ranno al commercialista se possono cambiare la formula e mi farannosapere. Lascio a voi ogni commento”.Mi chiedo cosa si può rispondere a una lettera di questo tipo. E mi restauna domanda in testa: “Ma se il lavoro non c’è, la colpa di chi è?”

FRANCESCA BUFFO

storiadicopertina La colpa di chi è?>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Per quanto possa sembrare unfiorentino ‘scanzonato’, un‘nerd’ o un ‘discolo’, Renzi èassai abile a non lasciarsi‘intrappolare’ dai consueti para-metri di immagine ‘snobistica’ e‘intellettualoide’ della sinistraitaliana

sommario Anno 4 I numero 9 I Gennaio-Febbraio 2015

3 Editoriale

4 Posta

5 Storia di copertina

8 Il lavoro si è rottoIl Job act, alla prova dei fatti con il piano Garanzia giovani, si scontra con un sistema irrimediabilmente inceppato

11 L’occasione perduta dei buoni lavoro InpsConsentono di retribuire i lavoratorioccasionali in modo equo e legale,ma in molti ancora non li conoscono

18 Bobo Craxi:“Il Pd è ormai un Partito di centro”

22 La rivoluzione culinariadi Fidel CastroIl Comandante ha governato Cuba con la convinzione di saperne sempre più degli altri, persino in cucina. La sua abilità di cuoco, riflette lo spiritocon cui ha guidato il suo Paese

24 L’immobilità romanaCittadini che si creano da soli una pista ciclabile, trasporto pubblico inadeguato,mobilità sostenibile ridotta. Ma perché Roma non tiene il passo con le altre capitali europee?

30 Attenzione svaporizzati!La moda delle sigarette elettroniche è tutt’altro che innoqua.

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Le ragionidi Matteo

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33 A tu per tu con l’espertoFabio Beatrice: “Attenzione l’e-cig non è neutra, contiene nicotina”

36 Cercasi horror disperatamenteDa anni stiamo assistendo alla deriva di questo genere cinematografico. Film che non fanno paura e immagini truculente di corpi smembrati

40 L’astrologia nell’arteL’influsso dei corpi celesti sulle nostre vite e la divinazione astrologica hanno radici antichissime di cui ritroviamo traccia iconografica sin dalla più antica cristianità

44 Quadrissimo megiochi artisticiChiara Comella, 31enne romana, reinterpreta con minuziosa originalità tele famose nelle quali lei stessa diventa parte dell’opera

50 Il ritorno dei MarloweThe Shak & Speares, con il loro nuovo album ‘Dramedy’, si confermano come una delle realtà musicali più interessanti in circolazione

Le specialità gastronomiche del-l’isola caraibica adesso vengonoinserite nei percorsi turistici,suscitando molte polemiche

A L’Avanaviva la cucina

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Anno 4 - n. 9 - Gennaio-Febbraio 2015

Direttore responsabile: Vittorio LussanaCaporedattore centrale: Francesca Buffo

In redazione: Gaetano Massimo Macrì, Carla De Leo, Serena Di Giovanni , Ilaria Cordì , Silvia Mattina, Clelia Moscariello, Giorgio Morino, Giuseppe Lorin, Michela Zanarella

REDAZIONE CENTRALE: Via A. Pertile, 5 - 00168 Roma - Tel.06.92592703

Progetto grafico: Komunicare.org - Roma

Editore Compact edizioni divisione di Phoenix associa-zione culturale - Periodico italiano magazine è unatestata giornalistica registrata presso il RegistroStampa del Tribunale di Milano, n. 345, il 9.06.2010

PROMOZIONE E SVILUPPO

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L’attuazione del piano Garanzia Giovani, il programma euro-peo di contrasto alla disoccupazione e inattività giovanile,

inserito dal Governo nel suo Job act, è giungo al suo nono mesedi vita. Una ‘gestazione’ problematica, di cui si cominciano aregistrare i risultati con non poche polemiche. Scarse le effettiveiscrizioni al programma: 409.280, in pratica il 23% degli aventidiritto. Lenti i tempi di chiamata per un colloquio: in pratica solo154.305 ragazzi (in tutta Italia). Di risposte concrete solo il 3%(12.273), di cui la maggior parte (74%) a tempo determinato.Certo, non è facile cambiare le cose in un Paese dove la disoccu-pazione giovanile è ormai salita al 42%. E nove mesi senza cam-biamenti sostanziali, sono un’eternità per quel milione e 723

primopiano La difficile lotta alla disoccupazione giovanile primopiano>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Il Job act, allaprova dei fatti, conil piano Garanziagiovani, si scontracon un sistemairrimediabilmenteinceppato

Il lavorosi è rotto

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mila ragazzi che restano parcheggiati a casa inassenza di sviluppi reali. Per loro e per le rispet-tive famiglie che se ne fanno carico.Tuttavia, parlare di un ‘flop’ è prematuro (in certicasi anche populista) perche il progetto in sé deimeriti li ha. Se non altro, è una grossa opportuni-tà per verificare i tempi di risposta e la capacitàorganizzativa delle Regioni, che da sempre costi-tuiscono l’imbuto nel quale si incastrano e si per-dono molte delle leggi del Governo. E chissà che,di fronte a un progetto così ambizioso quantonecessario, non si determini un’accelerata in ter-mini di allineamento fra le diverse realtà territo-riali. Anche perché, questa volta, le risorse econo-miche ci sono: uno stanziamento cospicuo, pari a1,5 miliardi di euro, di cui beneficiano tutte leregioni italiane.In secondo luogo, tutta l’operazione funge da ‘cen-simento’ nazionale sullo stato reale del mercatodella domanda e della reale offerta. Sì perchéanalizzando i dati dal punto di vista ‘qualitativo’salta subito all’occhio come le figure professional-mente ricercate riguardino principalmente profilimedio-bassi. Un dato che si riflette ‘rovinosamen-te’ sull’inadeguatezza delle riforme scolatiche del-l’ultimo ventennio e su tutti quei giovani chehanno puntato a un titolo universitario, cui maga-ri ha fatto seguito un master, per garantirsi un futuro. Dal puntodi vista della domanda, è evidente – e lo si dice da anni – che leimprese senza un rilancio dell’economia, non riescono ad assume-re a tempo indeterminato. E gli incentivi, da soli, non bastano acolmare il calo dei fatturati. Senza contare che le aziende ancoraoggi, a nove mesi dall’avvio del programma, non sono nelle condi-zioni di capire se i fondi a disposizione siano attivi o meno e qualiprocedure burocratiche dovrebbero affrontare.Tolti i meriti di questa ‘fotografia’ dello stato reale delle cose,restano sul tavolo alcune perplessità.Come ha giustamente ha fatto notare in un suo recente articoloMichele Tiraboschi, giuslavorista e coordinatore scientifico diAdapt (l’Associazione senza fini di lucro fondata da Marco Biaginel 2000 per promuovere, in un’ottica internazionale e compara-ta, studi e ricerche di lavoro) “l’obiettivo del Piano sembra nonessere quello di creare un sistema di ‘assunzioni agevolate’, mapiuttosto quello di facilitare la transizioni occupazionali dei gio-vani intervenendo sulle dinamiche del placement attraverso unefficientamento delle politiche attive”.Bisogna ricordare che il bonus occupazionale nel piano delinea-to dall’Europa è inteso come un modo per oliare gli ingranaggi,non certo il pilastro fondante attorno al quale costruire un siste-ma generatore di opportunità per i giovani (come pensato nelJob act). Senza contare che il ‘piano Renzi’ ha formulato un’este-

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sione degli incentivi di Garanzia giovani che la Commissioneeuropea potrebbe rifiutare (come già avvenuto in una sentenzadella Corte di Giustizia nel 2002 che ha ritenuto aiuti di statogli incentivi dati ai contratti di formazione).“In definitiva” – sottolinea Tiraboschi – “l’Italia resta uno deipochi Paesi senza un sistema strutturato di transizione e inte-grazione tra scuola e lavoro dove la garanzia di occupazione èdata dalle competenze e dalla effettiva employability (impiega-bilità) della persona e non da modesti incentivi pubblici, chehanno sempre il fiato corto”.

FRANCESCA BUFFO

primopiano Gli incentivi da soli non bastano>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Il sondaggio /Il monitoraggio promosso da Repubblica degli Stagisti e Adapt

Cosa pensano i protagonisti di Garanzia giovani:“Tempi troppo lunghi e poche risposte concrete: voto 4”

«Uno strumento in più che vogliamo dare al ministro Poletti per gestire al meglio la Garanzia Giovani, tenendo conto delle istanze, deisuggerimenti, delle critiche di oltre 1.500 giovani che in queste settimane ci hanno raccontato la loro esperienza»: così la giornalistaEleonora Voltolina e il giuslavorista Michele Tiraboschi hanno dichiarato durante la presentazione dei primi risultati del monitoraggio informale sullaGaranzia Giovani che la testata online Repubblica degli Stagisti (www.repubblicadeglistagisti.it) e l’associazione Adapt(www.bollettinoadapt.it). Un questionario online, anonimo, attraverso cui i giovani under 30 hanno potuto raccontare in maniera diretta il proprio con-tatto con l’iniziativa Garanzia Giovani e che, da metà ottobre, è stato già compilato da quasi 1.600 ragazzi. Dall’analisi delle risposte raccolte ilprimo dato che colpisce è quello sull’età dei partecipanti al monitoraggio: circa il 70% infatti è nella fascia d’età 25-29 anni. È importan-te sottolineare questo perché l’estensione del piano europeo dai 25 ai 29 anni è stata una richiesta del Governo italiano: i dati provano che se l’accessofosse stato limitato agli under 25 le criticità di Garanzia Giovani sarebbero state ancora maggiori, a conferma del fatto che in Italia i giovanientrano troppo tardi nel mercato del lavoro e che non esiste un sistema di transizione scuola-lavoro così come presente nei Paesi dove la disoccupazione

giovanile è bassa. E cosa cercano i giovani italiani nella Garanzia Giovani? Essenzialmente una opportunità:molti (27%) dichiarano di aspettarsi di “trovare un lavoro”, fosse anche uno stage (34%). Esiste tuttavia un 14%di giovani “disillusi”, che ammettono apertamente di non avere grandi aspettative. Analizzando l’andamento del pianosi nota come solo la metà degli iscritti (53,4%) abbia già svolto il primo colloquio – a conferma dei dati delministero che mostrano come i colloqui stiano procedendo più lentamente del previsto. Coloro che l’hannoeffettuato hanno dovuto attendere in media due mesi dalla registrazione. Nota dolente, però, il contenuto concreto diquesti primi incontri: nella maggiora parte dei casi i ragazzi segnalano di aver ricevuto solamente un gene-rico riferimento a future offerte di lavoro o di stage (43,5%) o di non aver ottenuto “nulla di concreto”(40%). Molto più bassa, anche se degna di nota, la percentuale (11%) di coloro che si dichiarano soddisfatti delleinformazioni ricevute durante il primo incontro di persona. E poi? Poco, purtroppo. Dai primi risultati risulta che ilterzo step, quello della effettiva presa in carico dei giovani da parte dei servizi per l’impiego con la famosa “garanzia”di una offerta concreta, è stato raggiunto davvero da pochissimi partecipanti. Solamente il 15,5% dei giovaniche hanno sostenuto il primo colloquio è stato poi ricontattato successivamente dagli addetti dei ser-vizi all’impiego per l’effettivo «trattamento». C’è dunque un 85% che resta per ora ‘in freezer’, e dopo essersi iscrit-to e aver sottoscritto il patto di servizio attende con (più o meno) pazienza di essere richiamato per qualche propo-sta concreta. Forse per questo il voto che i giovani danno all’iniziativa è così basso. Su una scala da uno a 10, soloun giovane su cinque ha dato la sufficienza, cioè un voto pari o superiore a 6. La stragrande maggioran-za delle valutazioni sta invece, purtroppo, al di sotto della soglia della sufficienza, con una netta maggioranza del

voto più basso: ha infatti dato «1» oltre il 28% dei partecipanti. Giudizi dunque non lusinghieri, che devono servire al ministero del Lavoro e alleRegioni per ripensare in corsa l’iniziativa, rendendola più efficiente e più in grado di rispondere alle aspettative dei giovani italiani senza lavoro. In ultimo,nel file che contiene nel dettaglio tutte le analisi dei dati, Repubblica degli Stagisti e Adapt riportano anche alcuni estratti delle testimonianzedei giovani iscritti al piano. Si va dal giovane del Lazio che descrive l’esperienza come “completamente fallimentare” in quanto durante il colloquio gliè stato comunicato che “pochissime aziende avevano posti disponibili” a esperienze positive: un giovane del Veneto racconta di uno stage iniziato grazieal piano mentre un’altra ragazza ha dovuto perfino rinunciare ad alcune offerte che erano giunte numerose.

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Si possono acquistare intabaccheria, on line o in

posta, e consentono di retri-buire i piccoli lavori occasio-nali in modo onesto e legale.Li possono acquistare leaziende, ma anche i privati(ideali per la donna dellepulizie a ore o la giovanebaby-sitter). Il vantaggio?Innanzitutto tutelano il dato-re di lavoro tanto quanto illavoratore, perché garanti-scono la copertura assicurati-va ed evitano eventuali ver-tenze circa la natura dellaprestazione.I buoni sono disponibili intagli da 10 euro (corrispon-dente alla contribuzioneminima di un’ora di lavorodeterminata per legge), da 20e da 50 euro (in genere peruna giornata di lavoro). Sitratta di valori lordi nei qualiè compresa la contribuzioneobbligatoria per il lavoratore:- 13% a favore della gestione

separata Inps, che vieneaccreditata sulla posizioneindividuale contributiva delprestatore;

- 7% a favore dell’Inail perl’assicurazione anti-infortu-ni;

- 5% di compenso alconcessionario (Inps),per la gestione del ser-vizio.

Su ogni buono da 10 eurolordi il corrispettivo nettodella prestazione al lavora-

tore è di 7,50 euro (su quello da50 euro lordi, il netto è 37,50euro, mentre su quello da 20euro lordi il netto è 15 euro).Il lavoratore può riscuoterli,enro 24 mesi dall’emissione,direttamente presso gli ufficipostali o all’Inps.Quando si acquistano, il dato-re di lavoro deve indicare ilcodice fiscale del lavoratore. Sitratta comunque di lavorooccasionale e non certo di una‘scappatoia’ da un contratto dilavoro. Lo si evince anche dailimiti imposti al committente,che può utilizzare questosistema per un monte oretotale pari a 2500 euro all’an-no (indipendente-mente dal numerodi collaboratoriutilizzati). Per illavoratore il limitemassimo nell’annosolare – che puòessere determina-to anche dallasomma di piùdatori di lavoro – èdi 6740 lordi nel-l’anno solare (supe-rando questo limite

diventerebbe un lavoratoreautonomo con obbligo di aper-tura di partita iva).Chiaramente le cifre corrispo-ste all’Inps non danno dirittoalla malattia o la maternitàpagata, ma le quote versateall’Inps come accantonamentoprevidenziale è cumulabilecon i trattamenti pensionisti-ci. Resta comunque un sistematrasparente di retribuzione e, asuo modo, di regolarizzazionedi brevi rapporti di lavoro.Nonostante la facilità e legaranzie offerte da questamodalità di retribuzione, ilsistema dei buoni postali èancora poco diffusa e, cosaancor più grave, quasi scono-sciuta ai lavoratori che potreb-bero richiederla quantomenoper avere la sicurezza di riceve-re un compenso, dato che ibuoni sono pagati in anticipodal datore di lavoro.

FRANCESCA BUFFO

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Consentono di retribuire i collaboratori occasionali in modoequo e legale, ma in molti ancora non li conoscono

L’occasione perdutadei buoni lavoro Inps

Lavoro /Come retribuire le collaborazioni occasionali accessorie

Page 12: Periodico italiano magazine febbraio 2015

Dopo aver assistito all’intervi-sta che Matteo Renzi ha rila-

sciato a Daria Bignardi nel corsodella trasmissione ‘Le invasionibarbariche’, ci siamo resi conto di

politica La nostra produzione culturale ha sempre dato l’impressione di intrattene

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Le ragionidi Matteo

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Per quanto possa sembrare un fiorentino ‘scanzonato’, un ‘nerd’ o

un ‘discolo’, Renzi è assai abile a non lasciarsi ‘intrappolare’ dai

consueti parametri di immagine ‘snobistica’ e ‘intellettualoide’ della

sinistra italiana

come l’attuale segretario delPartito democratico e presidentedel Consiglio dei ministri nonabbia tutti i torti nel cercare diutilizzare atteggiamenti e stilemi

ben distinti, rispetto ai criterid’immagine tradizionali dellasinistra italiana. E come la suafigura, sotto il profilo ‘mediatico’,riesca a incidere nei confronti di

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nostra tradizionale cultura con-tadina pre-industriale, in formaora di idillio, ora di epicedio stra-ziato per i suoi ‘ragazzi di vita’ inPier Paolo Pasolini; di resocontodella forzata irruzione dellaStoria in un mondo quasi immo-bile per Ferdinando Camon (‘Ilquinto Stato’); di soave follia perLuigi Malerba (‘La scoperta del-l’alfabeto’); di incurabile ipocon-dria verso i sentimenti, aggrava-ta dal lavoro in fabbrica, perPaolo Volponi (‘Memoriale’). Già:la fabbrica! E tutto ciò che l’hasempre accompagnata in terminidi alienazione e di realistica ana-lisi antropologica dei rapporti dilavoro. Raramente, le logiche dellavoro nei vari stabilimenti sonoapparse in primo piano all’inter-no della nostra produzione cultu-rale. E il cosiddetto ‘romanzoindustriale’, un genere che haavuto grandi momenti di splen-dore in Germania, Francia eInghilterra, qui da noi non è mairiuscito ad emergere dal ‘docu-mentarismo’ più asettico e impal-pabile. In chi ha sofferto una real-tà di dissoluzione materiale, spi-rituale, morale e culturale, rim-pianto e nostalgia si trasformanoin qualcosa di ovvio, che non sol-leva problemi particolari. Ed èforse per questo motivo che l’uni-co scrittore impegnatosi a redige-

re con occhi veramente ‘asciutti’ ilcertificato di morte di un passatocomposto eminentemente da“Dio, Patria e Famiglia” sia statoLuigi Meneghello (‘Libera nos amalo’ e ‘Pomo pero’), il quale hasaputo mettere il proprio ‘illumi-nismo’ al servizio di un più logico‘inventario linguistico’: se istituti,cibi, abiti, mestieri, giochi, orna-menti, farmaci, usanze domesti-che e persino odori e sapori dellavecchia Italia contadina si sono‘inabissati’, occorre salvare lanostra memoria attraverso unaserie di ‘tecniche’ in grado di‘infilzare’ con lo spillo dell’ento-mologo quelle parole che, perintere generazioni, hanno rappre-sentato un senso corrispondentealle ‘cose’.

Il cinemaMaggiormente sensibile versol’analisi antropologica dellanostra vita quotidiana, il cinemaitaliano ha rappresentato unospecchio assai più fedele dei cam-biamenti avvenuti nel nostroPaese: la ‘commedia all’italiana’ha donato al pubblico spunti sati-rici e verità ‘squarcianti’, chehanno realmente illuminato leordinarie vergogne di una ciecacorsa tutta italiana verso unbenessere grettamente materiali-sta. Per esempio, ‘Divorzio all’ita-

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ere con la realtà italiana un rapporto sovrastato dalle bronzee leggi degli schematismi ideologici>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

un certo ‘sentire comune’ degliitaliani. In sostanza, forse è vero,come sostiene lo stesso GiulianoFerrara, che la sinistra sia riusci-ta, finalmente, a trovare il suo‘Royal boy’.

La letteraturaUno dei problemi più gravi dellasinistra italiana è sempre statoquello di un’egemonia italo-mar-xista che, per lunghissimi decen-ni, ha fortemente condizionato lepubblicazioni editoriali, la produ-zione cinematografica, la ricercastoriografica, le arti, le scienze,persino la ‘poetica’ dell’Italia postbellica, percependo in maniera‘intermittente’ i cambiamenti inatto nel Paese. Ciò ha semprerappresentato uno dei principalilimiti della stessa produzione cul-turale della ‘intellighentia’ pro-gressista, la quale non sempre èstata in grado di cogliere tempe-stivamente i mutamenti avvenu-ti, per esempio, durante la ‘gran-de trasformazione’ italiana. Enon sempre è riuscita a predi-sporre strumenti adeguati percomprendere questo stessi muta-menti in profondità. Le nostrecase editrici raramente hannotrattato l’argomento, per esem-pio, dello sviluppo economico ita-liano, avvenuto attraverso moda-lità fortemente accelerate, scar-samente accompagnate da ungrado di ‘coscienza’ adeguato alletrasformazioni stesse. Uno deipochi romanzi pubblicati sull’ar-gomento fu ‘Fratelli d’Italia’, diAlberto Arbasino: la cronaca diun pellegrinaggio in un Paesecompletamente messo a soqqua-dro da cantieri e opere pubbliche,talvolta inutili quanto faraoni-che.Tuttavia, a parte tale eccezio-ne, l’andazzo complessivo dellaproduzione letteraria di sinistra èsempre stato quello di concen-trarsi esclusivamente sulladrammatica estinzione della

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politica La sinistra italiana è sempre stata ‘trattenuta’da un perdurante giudizio a>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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liana’, di Pietro Germi, tramiteuna ‘scettica eleganza’ ha saputoscherzare sull’assurdità di uncodice penale che non puniva i‘delitti d’onore’ del ‘maschio’ ita-liano, mentre Dino Risi, nel film‘Una vita difficile’ intuì l’esigenzadi dover affrontare ‘di petto’ ildramma di quegli italiani chehanno creduto negli ideali dellaResistenza e che invece si sonovisti travolti dalla ‘iattanza cafo-na’ di tanti ‘neo-ricchi’. SempreDino Risi, ne ‘Il sorpasso’, sepperitrarre, attraverso un ritmo fil-mico tutto ‘a singulti’, la ‘giornatatipo’ di uno dei tanti parassiti cheraccolgono le briciole dei nuovimodelli di vita imposti da unamodernità vacua, canagliesca e,alla fin fine, amarissima. Maanche in questo settore, le leggidel successo e della commercializ-zazione sono riuscite a imporre lasuperficialità e l’involgarimento.Alcune pellicole di buona fatturapretesero infatti di ‘intonacare’ la

nostra ‘Storia-Patria’ diffondendoideologie giustificazioniste eautoassolutorie dei difetti degliitaliani. Manchevolezze che, comeha rilevato di recente ancheEugenio Scalfari, gli italiani pro-prio non intendono correggere.Ne ‘La grande guerra’ di MarioMonicelli e in ‘Tutti a casa’ diLuigi Comencini furono presen-tate figure di italiani i cui trattipiù indolenti vengono addebitatialla nostra tradizionale ‘arte diarrangiarsi’. E la satira, per partesua, ha spesso degenerato nel‘macchiettismo’ e nella bonariapresa in giro - ci riferiamo in par-ticolare a ‘Il vigile’, di LuigiZampa - di costumi e modi divivere accettati con eccessivaindulgenza. Fortunatamente,qualcuno a un certo punto siaccorse che certe nostre ‘istituzio-ni’ non ‘tenevano’ più: con toccoassai delicato, il grande LuchinoVisconti, in ‘Rocco e i suoi fratelli’,riuscì a fotografare splendida-

mente una famiglia di immigratila cui esigua manciata di valorimorali viene letteralmente ‘bru-ciata’ dai labirinti della grandecittà, mentre il geniale e fantasio-so Federico Fellini, ne ‘La dolcevita’, fu uno dei pochi a raccontar-ci una Roma stordita e corrotta,in cui ogni compostezza sprofon-da in un paganesimo provincialeche celebra i suoi riti godereccisenza nemmeno saper attingerea una ‘grandiosa malvagità’. Poigiunse l’epoca del cinema ‘didenuncia civile’, dalla chiaraimpronta politica. Su tale versan-te, decisamente ‘accecanti’ si rive-larono i film di Francesco Rosi,scomparso di recente (‘Le manisulla città’ e ‘Il caso Mattei’);addirittura ‘radiografici’ quelli diElio Petri (‘A ciascuno il suo’, ‘Laclasse operaia va in Paradiso’);dolorosamente poetici quelli diPier Paolo Pasolini (‘Uccellacci euccellini’ e ‘Mamma Roma’). Arammentarci infine che l’istitu-zione maggiormente priva ditenuta era proprio la famiglia cipensarono Marco Bellocchio (‘Ipugni in tasca’); il ‘crudo’Salvatore Samperi (‘Grazie zia’);il quasi ‘onirico’ Marco Ferreri(‘Dillinger è morto’). Registi iquali appuntarono i propri ‘strali’contro le atrocità del matrimonio,le ipocrisie del ‘familismo’ all’ita-liana e gli egoismi dei modernirapporti di coppia. In ogni caso,tranne queste eccezioni, in lineagenerale la nostra produzioneculturale, letteraria e cinemato-grafica ha sempre dato l’impres-sione di intrattenere con la realtàitaliana un rapporto sovrastatodalle bronzee leggi degli schema-tismi ideologici. Questo è unpunto su cui Matteo Renzi ha piùdi qualche ragione: da una partesi tende a riprodurre un’Italiapervasa da forme di sfruttamentoe di sopraffazione che lo sviluppoeconomico non è quasi mai in

Palmiro Togliatti nel 1946. Fu segretario del PCI dal 1938 al 1964

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anti-industrialista incapace di aprirsi a una critica ‘superatrice’del capitalismo>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

grado di ‘intaccare’ o, quantomeno, di correggere; dall’altra, sirincorrono i volti di una borghe-sia concepita nel più ‘idealtipico’dei modi, come banale ‘epifeno-meno’ la cui coscienza storica,quando esiste, rappresenta sola-mente un ‘rivolo di spurgo’.

La questione filosoficaÈ sempre stato questo il giudizioespresso sulla società italiana dalpredominio comunista nellanostra produzione culturale. Ed èquindi giunto il momento di affer-mare a chiare note come la sini-stra italiana sia sempre stata‘trattenuta’ e ‘zavorrata’ da unperdurante giudizio anti-indu-strialista incapace di aprirsi auna critica ‘superatrice’ del capi-talismo. Ciò è avvenuto proprio acausa della politica culturale delPci, che ha coltivato a lungo lapaura dello sviluppo economicogiudicando il ‘congelamento deidualismi’ e delle permanenze pre-industriali come il viatico miglio-re per la crescita delle forze pro-duttive, finalizzata a una transi-zione democratica al socialismo.Ma tale errore è disceso, a suavolta, dai ‘filtri’ a cui è stata sotto-posta, qui da noi, la dottrina diKarl Marx dai suoi autori piùletti e amati, Antonio Gramsci eGyorgy Lukacs, i quali, per ragio-ni diverse, non furono mai attrat-ti più di tanto dai problemi dellamodernizzazione: il primo, poichéera un pensatore sostanzialmen-te ottocentesco; il secondo, perchénon è mai riuscito ad andare‘oltre’ una concezione troppo rigi-da della totalità dottrinaria ‘mar-xista’. I tentativi migliori di rian-nodare i fili della riflessione diMarx all’evoluzione delle societàpost industriali (come per esem-pio quello di Galvano Della Volpe,che ha sempre insistito sul meto-do ‘galileiano’ del filosofo diTreviri, tentando di aggirare

autentici ‘macigni’ concettualiquali ‘rivoluzione’ e ‘socialismo’postulando una ‘transvalutazionenormativa’ della democrazia chepassasse attraverso una serie dicoraggiose ‘riforme di struttura’)sono sempre stati ‘stroncati’ dabruschi richiami all’inammissibi-lità dei ‘saperi eclettici’. Di frontea simili ‘lumi di luna’, la conse-guenza culturale più devastantefu storicamente quella di unavera e propria messa in ‘quaran-tena’ delle cosiddette ‘scienzesociali’: mentre negli altri Paesioccidentali vennero regolarmentepubblicati tutti i grandi classicidella sociologia, da Weber aDurkheim, da Tonnies a Thomase Znaniecki, da Aron a Kelsen, daFromm a Galbraith, in Italia perlungo tempo si è continuato a‘setacciare’ la letteratura marxi-sta e post-marxista proponendoBaran, Braveman, Lukacs,Sweezy, Horkheimer, Adorno,Marcuse e, persino, Mario Tronti.Un’egemonia di tal genere è deri-vata, soprattutto, da una classeintellettuale che si è sempre, stu-pidamente, gettata ‘a capofitto’nell’applicazione della teoria delmaterialismo storico alle arti ealle scienze, tentando di rompere

il proprio ‘accerchiamento’ avvin-ghiando se stessa a una snobisti-ca immagine di ‘intellettualità’totalmente autoreferenziale. Perquanto possa sembrare un fioren-tino ‘scanzonato’, un ‘nerd’, o un‘discolo’, Matteo Renzi è assaiabile a non lasciarsi ‘intrappola-re’ da tali parametri di immagine‘snob’ e ‘intellettualoide’ dellasinistra italiana. Esaurito il filo-ne neo-realista, anche la nostranarrativa ha sempre vissuto inuna sorta di ‘limbo’ complessiva-mente riluttante ad assumereogni genere di trasformazionecome oggetto di riflessione critica,vagabondando straccamente traun intimismo soggettivo e un‘indifferentismo’ allergico a tutto,dalla televisione al cinema, dalcalcio al turismo di massa.Persino il gruppo musicale dei‘Matia Bazar’, in un videoclip deiprimissimi anni ’80 legato albrano ‘Il video sono io’, ha cercatodi presentare tale visione critica,denunciando l’approdo edonistadella nuova società dell’immagi-ne. A riprova di una contraddizio-ne ‘fatale’, assai diffusa ancoraoggi nel mondo progressista ita-liano, in cui la critica alla superfi-cialità e alle mere apparenze

Gyorgy Lukacs, filosofo e critico letterario ungherese

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viene, al contempo, assunta comeforma di comunicazione e marke-ting. In forme linguisticamenteassai diverse, solo tre romanzierihanno assunto un atteggiamentoche non fosse di supina accetta-zione o di aristocratico disprezzo:Pier Paolo Pasolini, che con ango-scia quasi mistica ha censito lepotenti attitudini mortifere dellamodernità; Italo Calvino, che èriuscito a conservare una fiduciatutta illuminista nella possibilitàdi riuscire a dominare razional-mente il “brulicante mare dell’og-gettività”, contemplando ilmondo dall’alto (come il suo‘Barone rampante’, che decide ditrascorrere la propria vita sopraun albero); e Leonardo Sciascia,la cui ‘sicilitudine ombrosa’ vienefreddamente applicata a unaimplacabile diagnosi dell’organiz-zazione pianificata del ‘male’nelle società soggette a processidi arricchimento inegualitario etroppo accelerato.

La storiografia Dopo una lunga ‘notte’ di mutaerudizione, rischiarata solamentedal ‘crocianesimo eterodosso’ diFederico Chabod e dal marxismo‘rovistante’ di Delio Cantimori -uno storico ‘gentiliano’ funambo-licamente accampatosi su posi-zioni di frontiera “per questioni dichiarezza” - anche l’ambientedegli storici ha compiuto, a suotempo, il suo capolavoro più orri-pilante: la creazione di una sto-riografia per ‘appartenenze sepa-rate’, che ha preteso di riscrivereil nostro passato sottoforma diStoria delle grandi forze popolariche sono riuscite e costruire lademocrazia. Ma il profilo a suotempo fornito del Partito sociali-sta, del Partito comunista e del-l’associazionismo cattolico è statosoprattutto quello di movimentiabilitati al protagonismo politiconon dal patrimonio di lotte del-

l’antifascismo, bensì dalla loroestraneità alla tradizione delmoderatismo prefascita. Ciò fuun gravissimo errore, che ha fini-to col rinchiudere l’esperienzaautoritaria ‘mussoliniana’ all’in-terno di una ‘parentesi storica’capitata quasi per caso: unagigantesca ‘rimozione’ collettivache ha finito col giustificare ognigenere di revisionismo. Grazie alcielo, non sempre un’appartenen-za esplicita ha fatto velo all’one-stà intellettuale, o è riuscita aottundere le grandi capacitàinterpretative di alcuni storici:così, la ‘Storia del socialismo ita-liano’ di Gaetano Arfè riuscì adapprodare a una ben argomenta-ta rivalutazione del riformismo‘turatiano’; la documentatissima‘Storia del movimento cattolico inItalia’ di Gabriele De Rosa hasaputo trarre in superficie uninsospettato continente di uominie istituzioni - quello dell’intransi-genza clericale e populista – incui hanno sempre germinato ‘sen-sibilità sociali’ destinate a ‘vacci-nare’ il cattolicesimo-democraticodai pericoli del confessionalismo;la monumentale ‘Storia delPartito comunista italiano’ diPaolo Spriano ha sfatato leggen-

de e pregiudizi intorno a un Pcilegittimo erede del Machiavelli,di cui fu messo a nudo il cieco set-tarismo che lo rese responsabiledi disastri ai quali fu poi costret-to a rimediare; infine, RosarioRomeo, ne ‘Il giudizio storico sulRisorgimento’, oltre a rianimareun indirizzo di studi ormainegletto, ha saputo sforzarsi neltentativo di salvare quei valori dilibertà civile, di intraprendenzaindividuale, di serietà politica, dicompetenza amministrativa e dispirito di servizio verso le istitu-zioni pubbliche minacciate dallademagogia tribunizia e dalle ‘ele-mosine’ di uno stato sociale con-cepito nella maniera più ‘assi-stenzialista’ che si potesse imma-ginare. Insomma, fatte salvealcune eccezioni, per l’intelli-ghentia progressista italiana lanostra società è sempre stata, perlunghi decenni, puramente ‘sup-posta’, immaginata, mai indagatanelle sue movenze più profonde.Si tratta di una lacuna di nonscarso rilievo, aggravata dallacolpevole sufficienza con cui si èguardato ai cataloghi delle scien-ze sociali, in altri Paesi in pienorigoglìo. L’antropologia culturale,per esempio, a livello accademico

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politica Per l’intellighentia progressista italiana la nostra società è stata, per lung

Paolo Spriano, storico del Pci

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è rimasta materia per troppotempo tributaria della Storiadelle religioni e delle ‘tradizionipopolari’, le quali hanno fattopassare inosservati lavori note-volmente interessanti come quel-li di Franco Ferrarotti e SabinoAcquaviva. Eppure, di analisi dicostume si è sempre avvertito ilbisogno, se non altro perché lacultura, in quanto sistema nor-mativo, ovvero come repertorio divalori e comportamenti di princi-pio applicabili nella vita quotidia-na e non certo come mero ‘baga-glio formale’ di conoscenza, subi-sce modificazioni continue chenon possono essere genericamen-

te addebitate a un’appendiceindustriale della cosiddetta‘società di massa’. Dunque, per imotivi che abbiamo elencato,l’Italia oggi risulta essere unaggregato senza alcuna identità,poiché il mondo della nostra cul-tura ha preferito rimanere abordo della propria ‘mongolfiera’senza accorgersi, se non in raricasi, delle ripercussioni di un pro-gresso totalmente materialisticosulla mentalità, sulle abitudini,sui costumi e sui comportamentisociali degli italiani. Questo è unodei nodi cruciali, che dovrebberoimpegnare la sinistra italiana inuna realistica e credibile rielabo-razione ‘interiore’, che la costrin-ga a smettere di architettare‘castelli teorici’ che la espellonototalmente dalla Storia. MatteoRenzi, non del tutto consapevol-mente ma in maniera evidente, èriuscito a comprendere come riu-scire a valorizzare la propria‘distanza’ dal grave pregiudizio

che ha sempre afflitto una granparte dell’intellettualità di sini-stra italiana: la convinzione cheun sistema produttivo non possaessere modificato dall’interno, masolamente abbattuto dalle fonda-menta, per poi passare spessoall’eccesso opposto di un soggetti-vismo esasperato in cui compitodel pensiero ‘operaista’ non dove-va essere quello di intuire i pro-getti del capitale per organizzareuna risposta efficiente, bensì discompaginarne le previsioni, dianticiparne le mosse, di rendereobbligatoria una direzione dimarcia che determinasse unacrisi irreversibile e un capovolgi-mento rivoluzionario. Per quasiun secolo, si è esclusivamente teo-rizzata l’instabilità, il radicalismoprotestatario, il rifiuto di ognimediazione, respirando a pienipolmoni quella ‘critica dellademocrazia’ che ha caratterizzatola militanza politica di sinistradella prima metà del novecento.L’operaismo ‘intellettualoide’italo-marxista ha finito col tra-smettere un’eredità ‘nefasta’, poi-ché ha inaugurato l’era del deliriodella ragione e della deformazio-ne grottesca di ogni evidenza con-creta, misurabile, fattuale. Maper evadere da una simile conce-zione e riuscire veramente a gio-care un ruolo in quanto forzapolitica culturalmente credibileper gli italiani, una moderna sini-stra riformista socialdemocraticadeve convincersi a non rimuovereogni spirito di indagine della real-tà sociale e dei multiformi inte-ressi che in essa si accavallano.Ecco cosa ha compreso veramen-te Matteo Renzi e che a moltisfugge: la sinistra italiana nonpuò più limitarsi a produrre qual-che cupo brontolìo sul cielo di unPaese in cui gli intellettuali cosid-detti ‘progressisti’ non sono quasimai riusciti a rappresentare - oquanto meno a ‘centrare’ vera-

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hi decenni, immaginata, puramente ‘supposta’, mai indagata

Renzi-Tsipras:una cravatta non fa merendaNell’incontro carico di promesse fra i due pre-

mier, Matteo Renzi ha sfoderato un sorrisone e

una cravatta regalo (gesto molto ‘berlusconia-

no’). Quel suo “Noi vogliamo dare una mano

vera alla Grecia, che non vuol dire dare sempre

ragione, ma siamo sicuri che ne uscirà e quan-

do accadrà ci piacerebbe che il premier indos-

sasse una cravatta italiana” dice tutto e il con-

trario di tutto. Insomma, noi italiani ci abbia-

mo fatto l’abitudine. Ma il ‘povero’ Tsipras ha

dovuto aspettare solo qualche giorno per capi-

re che quella stretta di mano non definiva nes-

suna alleanza. È bastato l’annuncio della

Banca centrale europea, che ha deciso di non

accettare più i titoli di Stato ellenici detenuti

dalle banche del Paese in cambio di liquidità,

per far capire la posizione del nostro presiden-

te del Consiglio, che ha commentato: “Una

decisione legittima e opportuna”. Una posizio-

ne che guarda diplomaticamente a Bruxelles,

perché la Commissione Ue a breve dovrà espri-

mersi sulla legge di stabilità messa a punto

dall’Italia e, in qualsiasi momento di un futuro

molto prossimo, potrebbe avviare contro Roma

una procedura per debito eccessivo, visto che non

rispetta la regola del debito. Sebbene la

Commissione stessa abbia finora rassicurato

l’Italia sostenendo che il vento è cambiato a

Bruxelles e che non si vogliono punire i Paesi

ma aiutarli a trovare la loro via per coniugare

finanze sostenibili e crescita, la preoccupazio-

ne è forte. Speriamo che non ci regalino anche

loro una cravatta. FB

NEXT

mente - il pensiero di fondo degliitaliani, poiché hanno semprecreduto di rappresentare, essistessi, un’umanità rigenerata. Avario titolo.

VITTORIO LUSSANA

l’Italia oggi risulta essere un aggregato

senza alcuna identità

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Pochi sanno che il vero ‘primo suggeritore’ delnome di Giorgio Napolitano, nel 2006, alla cari-

ca di presidente della Repubblica italiana, fu BoboCraxi, attualmente responsabile Affari esteri delPartito socialista italiano. Per tali motivi, ci è venu-ta la curiosità di incontrarlo per sapere cosa nepensa, oggi, dell’avvenuta elezione al Quirinale diSergio Mattarella e trarre insieme a lui alcune‘somme’ dopo questo passaggio politico-istituzionalepiuttosto delicato.

Onorevole Craxi, innanzitutto può darci unsuo giudizio sulla scelta di Sergio Mattarella,da parte del premier Matteo Renzi, comenuovo capo dello Stato?“Si è giustamente convenuto sul fatto che la sceltadel capo della più grande forza politica presente inparlamento abbia rappresentato un suo successotattico e politico: Sergio Mattarella rappresentava laterza scelta possibile fra quelle giudicate ‘super par-tes’ nel centrosinistra. E il suo profilo politico e giu-ridico lo rendono più ‘digeribile’ rispetto ad altri,penso a Romano Prodi e a Giuliano Amato, che tut-

tavia sarebbero risultati, a mio parere, assai più ido-nei in una fase interna e internazionale come que-sta. Tuttavia, nulla si eccepisce sulle qualità e l’inte-grità della persona. Dopo due laici, al Quirinale èri-tornato un cattolico: niente di nuovo o di male sottoil ‘cielo’. Egli dovrà affrontare tre nodi principali,facendo leva sulla sua cultura politica e giuridica diimpronta cattolica: le riforme costituzionali, la leggeelettorale e l’interpretazione della Costituzione stes-sa in presenza di probabili nuovi conflitti esterni,nonché i vincoli che ci obbligano dall’esterno e che cihanno costretti al rispetto di angusti parametri eco-nomici. Un compito che dovrà vedere il neo-presiden-te tentare di mantenersi in sintonia con la propriaimpostazione giuridica e politica e, al tempo stesso,garantire al Governo e al premier la certezza digiungere a compimento dei propri obiettivi”.

Nel Pd sta ormai dominando la componentepost democristiana? E quali saranno le conse-guenze per i destini della sinistra italiana?“Nonostante ci si affanni a dimostrare il contrario, èevidente che il Partito democratico si sposta verso il

politica La sinistra intesa come alternativa di un campo largo, che comprenda tut>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Bobo Craxi:“Il Pd è ormai un Partito di centro”

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‘centro’, tendendo verso la creazione di un Partitounico, che assorbe in parte la sinistra e lascia alleestreme alcuni Partiti che si vanno radicalizzando.La sinistra intesa come alternativa di un campolargo, che comprenda tutte le aree espressione delnovecento, non c’èpiù. E difficilmente si riorganiz-zerà nel segno di una continuità ideologica. I movi-menti greci e spagnoli e lo stesso Movimento cin-que stelle ne sono una prova abbastanza chiara.L’evoluzione del quadro di quel Partito non va indirezione di un ‘rassemblement’ della sinistra, maverso una forma rinnovata di neo-centrismo.Circola in rete un vecchio adagio pronunciato daBettino Craxi quando i post comunisti rifiutaronol’Unita socilista: “Diventeranno democristiani purdi non diventar socialisti”. Mi sembra una frasepiù che di attualità…”.

L’idea di una sintesi tra riformismi sembraessere il ‘cuore’ del ‘progetto-Pd’: in qualemisura e attraverso quale metodo potrebbecoinvolgere anche laici, liberaldemocratici esocialisti?“A me non èmai sembrato che il Pd intendesse esal-tare l’ispirazione di fondo della ‘solidarietà naziona-le’, ovvero l’incontro fra i tre grandi Partiti popolari(Dc, Pci e Psi), quanto l’esclusivo raccordo fra postcomunisti e cattolici di sinistra, con qualche ‘foglia difico’. Il segno che si sta dando èquello di un Partitodel leader assai pragmatico, che tiene nel suo recin-to ciò che resta dei Ds e che costruisce un’opzionepolitica di Partito ‘pigliatutto’, o ‘della nazione’, asso-bendo ogni velleità di ricollegarsi alle vecchie appar-tenenze. La scelta di aderire al campo del socialismoeuropeo èstata compiuta in assenza di un altro fron-te progressista. Ma, tendenzialmente, il Pd di Renziscioglie ogni vincolo residuo con la storia delle for-mazioni della sinistra italiana ed europea, perchèluiper primo non intende farne parte e vuole, anzi,superarne la cultura. In questo senso, il ‘Partito dellanazione’ assorbe, ma non accoglie, le tendenze laicheo socialdemocratiche”.

Nel corso delle votazioni per l’elezione delCapo dello Stato, lei ha avanzato delle criticheverso il suo Partito, colpevole di non aver insi-stito sul nome di Emma Bonino: può spiegarciquali scelte avrebbero dovuto compiere i par-lamentari del Psi e secondo quale metodo?“Abbiamo scelto un candidato significativo comeEmma Bonino per la sua storia, per sottolineare

l’importanza che avrebbe avuto una donna per laprima volta sul Colle, per indicare, al tempo stesso,la prospettiva politica di un’area in cui si riconosca-no socialisti, laici e democratici. Ho ritenuto inoppor-tuno annunciare il sostegno a Mattarella mentreancora erano in corso le prime votazioni, per unaragione di rispetto verso Emma e per una ragione diconvenienza politica e tattica. Leggo che si fa riferi-mento al risultato ottenuto da Emma nelle tre vota-zioni come ‘base’ per ricostruire un fronte laico -rifor-mista più ampio. Sono d’accordo, ma il primo passoverso questa prospettiva deve coincidere con unallentamento del rapporto soffocante con il Pd e ilGoverno. Diversamente, èun puro esercizio sofisticoper non deludere chi aveva creduto in una nostraritrovata vena autonomista”.

Lei ha ragione su un punto, secondo noi: forse,era giunto il momento per eleggere una donnaalla carica più alta dello Stato, anche per dareun segnale ‘forte’ di cambiamento verso l’opi-nione pubblica: lei ritiene che, tra sette anni,finalmente i tempi saranno maturi per unascelta di questo tipo?“L’Italia, sul piano della valorizzazione delle donnein politica, penso abbia compiuto passi in avantisignificativi e non da oggi: abbiamo avuto donne sin-daco di grandi città, presidenti di Regione, ministri,presidenti della Camera e Commissari europei.Mancano le due massime cariche politiche, ma mipare che ci stiamo, pian piano, avvicinando, postoche la scelta avvenuta non ha nulla a che vedere conuna presupposta discriminazione verso le donne, chesono state protagoniste tra le candidature”.

FRANCESCA BUFFO

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tte le aree espressione del novecento, non c’è più>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Bobo Craxi, responsabile Affari esteri del Partito socia-lista italiano

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Le distensioni politiche fra Usa e Cuba apro-no nuove opportunità per il turismo dell’iso-

la. I primi segnali arrivano da pacchetti turisti-ci che offrono ai turisti nordamericani tour culi-nari ‘firmati’ dagli chef americanocubani profes-sionisti. “Si tratta di viaggi culturali”, spiegaJamie De Rosa, chef cubana trapiantata aMiami, che “possono migliorare un’economiadebole come quella cubana. La democraziadovrà pur cominciare da qualche parte, quindi“perché non dal cibo?”. Così ecco il ‘suo’ minitour da 6 giorni con formula ‘all inclusive’, checomprende le visite ai ristoranti e alle fattoriede L’Avana: “Culinary Cuba! Culture, History &Cuisine”, costo 3.300 $ a persona (www.cultural-contrast.org.).Ma gli chef di Miami non ci stanno e sfogano la

esteri La moda di offrire tour alla scoperta dei piatti tipici cubani è nata a Miami, nel q

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A L’Avanaviva la cucina

Una nuova moda agita gli chef americani: i tour gastronomici aCuba, presto libera dall’embargo. Le specialità gastronomichedell’isola adesso vengono inserite nei percorsi turistici, suscitan-do molte polemiche

loro rabbia condividendola sui social: “Roba damatti, fare un viaggio culinario in un paese incui la mia famigliamanda latte in polve-re”, scrive MichaelBeltran, aiuto cuocodel Cypress Room.“Pianificare viaggigastronomici in unpaese in cui le perso-ne sono in fuga per-ché non hanno damangiare, è unoscherzo” – sottolineaAlberto Cabrera,chef e proprietariodel nuovo Little

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quartiere ‘Little Havana’

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Bread nel quartiere Little Havana.Eppure le proposte dei diversi operatori turisti-ci sono tante, anche mini gite sull’isola di 4-5 orecon pranzo incluso a 50-60 $.D’altronde la moda di offrire tour alla scopertadei piatti tipici cubani si è diffusa proprio aMiami da qualche anno, nel quartiere ‘LittleHavana’: l’arte di arrotolare i sigari, la santeriae la musica caraibica dell’isola. E se la cosa haavuto successo in America come potrebbe esserediverso direttamente a Cuba. Perché cibo eluogo di origine insieme costituiscono un ‘sapo-re’ unico e irriproducibile. Per molti è un piace-re poter assaggiare la cucina locale direttamen-te sul posto. Cuba da questo punto di vista offreforse maggiori garanzie di ‘autenticità’. Ancoranon è stata intaccata da quel turismo di massache probabilmente la invaderà a breve con lafine dell’embargo. Né ha subito l’intrusionemassiccia di prodotti stranieri sulla tavola, percui ha una cucina originaria tutta da scoprire,pronta per dare al mondo, del food e non solo, ilproprio contributo. A impedirlo è stato l’isola-mento ‘forzoso’, durante il quale l isola si è tra-sformata in una meta per un turismo il più dellevolte sessuale. Le tipiche influenze africane,spagnole e caraibiche rendono i suoi piatti moltoappetibili. Sono già essi stessi un meltin pot cheli rende pronti per altre nuove mescolanze con lecucine di tutto il mondo. Qualcuno potrebbeporre dubbi sulla pulizia e l’igiene nel paese,senza sapere che proprio in vista della liberaliz-zazione delle frontiere sta aumentando l’offertain termini di alta ristorazione.In proposito, Tim Johnson ha scritto sul MiamiHerald un articolo dal titolo illuminante:“Cuba’s latest revolutionary trend: fine dining”.A Cuba oggi si fa “cucina raffinata”, L’Avana èpiena di ristoranti privati (almeno 2000) ingrado di offrire dal caviale russo all’aragosta,per finire alla pizza.Sarebbe interessante poter conoscere il pareredi Fidel Castro di fronte a questi cambiamenti.Chi lo conosce bene sa della sua passione per lacucina e quanto amasse dispensare consigli. Erasolito affermare a proposito degli chef stranieri:“I cuochi internazionali sprecano troppo”.Chissà cosa pensa ora che il suo Paese sta perassaporare un’aria nuova? Qualcuno sostieneche sia morto o, nella peggiore delle ipotesi, gia-cente sul letto di morte. In ogni caso, difficilmen-

Dopo mezzo secolo,il riavvicinamento di Obama:“Todos somos americanos”Sono trascorsi 53 anni dall’embargo totale, ‘el bloqueo’. Da tanto

Cuba e gli Usa non dialogano. Il 17 dicembre 2014, il presidente

Obama, in un discorso alla Nazione, ha annunciato l’avvio del

disgelo. Il che si deve tradurre nell’apertura di una sede diploma-

tica americana a L’Avana e, lentamente, alla normalizzazione

delle relazioni con l’isola.

Oltre mezzo secolo fa, il 7 febbraio 1962, Kennedy imponeva

l’embargo totale al regime di Fidel, ampliando così le restrizioni

già imposte dal suo predecessore Eisenhower. Nell’ ottobre dello

stesso anno un aereo spia americano scoprì che l’Urss stava istal-

lando basi missilistiche sul territorio cubano. Il rischio di attacchi

per le vicine città americane oltre oceano, in qualsiasi momento

e senza che ci fosse il tempo necessario per organizzare una dife-

sa, allertò l’amministrazione Kennedy. Per 13 giorni il mondo

rimase col fiato sospeso, il rischio di uno scontro nucleare tra le

due superpotenze era dietro l’angolo. Fu la situazione più diffici-

le della Guerra fredda. Fidel scrisse a Khrushchev una lettera in

cui lo esortava a un attacco nucleare, nel caso l’Isola fosse stata

invasa. Alla fine arrivò il cessato pericolo, l’Urss rinunciò attraver-

so una pubblica dichiarazione alle basi. Per contro anche gli ame-

ricani ritirarono le loro in Turchia e Italia, fatto che avvenne quasi

un anno dopo, al riparo dei riflettori dei media. Da allora, Cuba

visse nel suo ‘isolamento’di repubblica socialista, finché nel 2005

riprese le relazioni con l’Ue e nel 2006 Raul Castro, fratello e sosti-

tuto del Líder máximo, fuori scena per problemi di salute, avviò i

primi timidi rapporti di ripresa con gli Usa. Oggi, finalmente, pare

che la fine dell’embargo sia vicina. Le parole di Obama lo hanno

lasciato intendere: “Todos somos americanos”. Probabilmente ci

abitueremo a una nuova ‘Cuba libre’ sempre più ‘americanizzata’.

In&Out

te potrà ‘intervenire’ ancora sulle ricette. Iltempo dell’’interventismo’ è ormai è finito. Inpentola bolle altro.

GAETANO MASSIMO MACRÌ

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“Bastano cinque minuti per gli spiedini digamberi; undici per l’aragosta al forno e

sei per gli spiedini alla brace. Come soli condi-menti, burro, aglio e limone. Il cibo gustoso èsempre semplice. I cuochi internazionali spreca-no troppo”. Non lo direste mai, eppure questepillole di cucina provengono dal comandanteFidel. Di Castro è nota la storia politica, ma nonquella ‘culinaria’. La sua passione per la cucinaè un vezzo che si porta dietro da tempo. Unadote che, nel bene o nel male, sembra contenereperò tutti i vizi e le virtù di un uomo che per 48anni (oggi lo sostituisce il fratello Raul) è statoalla guida di Cuba, grazie proprio alla sua ‘ricet-ta’. Quel “I cuochi internazionali sprecano trop-po” è emblematico del suo pensiero di rivoluzio-nario che ha sempre combattuto lo straniero

invasore. La Repubblica di Cuba è, nelle sueconvinzioni, un’autentica democrazia popolare,opposta a quella borghese capitalista, che altronon sarebbe se non “un vecchio trucco del capi-talismo, una vecchia menzogna, una vecchia sto-ria”, come scrisse in un discorso per le elezioni lostesso Castro. Un trucco che i politici imperiali-sti, occidentali e i dissidenti cubani conosconobene, e per questo motivo vanno dicendo in giroche il suo sia in realtà un regime totalitario.Evidentemente per lui non devono essere dei‘buongustai’. Quando nel 2005 la rivista ameri-cana Forbes lo inserì nella lista dei “Re, Reginee Dittatori” più ricchi del mondo (550 milioni didollari) mettendolo al fianco di un playboy comeil principe Alberto di Monaco, rispose che si trat-tava di “una goffa diffamazione orchestrata

esteri Il Líder máximo fu anche uno sperimentatore. Per risollevare l’agricoltura creò d>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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La rivoluzione culinariadi Fidel Castro

Il Comandante ha governato Cuba con la convinzione di saperne sempre piùdegli altri, persino in cucina. La sua abilità di cuoco riflette lo spirito con cuiha guidato il suo Paese: la tendenza a volersi immischiare in ogni questione,per dirigere, regolamentare e risolvere i problemi del popolo. Con qualche suc-cesso, come nel campo della sanità e dell’istruzione, ma molti fallimenti

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dagli Stati Uniti”. Appunto, gli stranieri “spreca-no troppo”, senza badare al sodo. E infatti aCuba ci ha sempre pensato lui, con le ricette‘facili facili’, pronte all’uso, per l’economia dellacasa, del Paese. Buonenecessariamente pertutti i palati. Buone pernecessità per tutti.Questa si che è egua-glianza culinaria. Il cibopare essere stato unasua ossessione. In fondolo è stato per tutti icubani nel cosiddetto‘periodo speciale’, quan-do l’isola perse tutti isuoi partners commerciali e rimase sola almondo a credere di potersi risollevare senzaricorrere al sistema capitalistico. Ecco, in quelperiodo in cui tutto scarseggiava e la fameaumentava, qualcuno scherzava dicendo chenegli zoo bisognasse sostituire il cartello “vieta-to dare da mangiare agli animali” in “vietatomangiare gli animali”. Crudele. Pure in quellecondizioni il Líder máximo riuscì a imporre lasua ‘filosofia gastronomica’. Lo fece attraverso latelevisione nazionale, mandando in onda la pre-sentatrice Nitza Villapol a dimostrare comefosse possibile cucinare con gli unici prodottidisponibili sull’isola. Quelli che passava ilgoverno con la tessera annonaria. Patate, pureadi patate, patate al forno, dolci di patate e scor-ze di arancia. E ancora succo di arancia, condi-mento di grasso di maiale. “Il cibo gustoso èsempre semplice”, ripeteva Fidel. Ma Castro siscoprì anche uno sperimentatore. Per risolleva-re l’agricoltura sperimentò risaie nelle zoneperiferiche di L’Avana; allevamenti di mucchefrisone del Canada; avviando la produzione diquei formaggi francesi che altrove costavanoun occhio della testa. Addirittura sperimentò ilwhisky (e pare che sotto sotto lo preferisse alRum). La sua passione però si rivolse al fegatod’oca. E ovviamente ne autorizzò la produzionesperimentale, studiando dettagliatamente ilmiglior metodo di ingozzamento delle oche, perottenere un prodotto di alta qualità. Spesso ilfegato lo offriva ai leader sandinisti che glifacevano visita. A una coppia di turisti ameri-cani, abituati agli chef che “sprecano troppo”, siimpose come cuoco in albergo. Voleva convince-

re la signora che la carne doveva mangiarlaseguendo la sua ricetta: fritta. Una caparbietàche lo distingueva anche quando era un giova-ne studente e si recava a casa del suo professo-re Moreno Fraginals. La prima cosa che faceva,in quelle occasioni, era entrare in cucina e direalla moglie del professore: “Lasciami friggere lebanane, ti mostrerò come si fa”. Ecco, nellefrasi e negli atteggiamenti di Castro amantedella buona tavola, si possono ritrovare gli ele-menti costitutivi di quel ‘so tutto io’, che lohanno caratterizzato nel lungo periodo di regi-me. Cuba si è lasciata guidare. Il Paese, però,rimane fondamentalmente agricolo, a nullasono servite quelle sperimentazioni e le rifor-me agrarie. Il solo prodotto che ‘tira’ è la cannada zucchero.Un nuovo miglior ricettario sarebbe auspicabi-le. E non per i soli palati dei grandi gourmentstranieri in visita a Cuba. In questo il LíderMáximo aveva raggiunto la sua ‘sapienza culi-naria’. È il popolo che deve mangiare. Il primoNatale dopo l’embargo fu il primo senza carnedi maiale né dolci, ma anche il primo in cuitutti i bambini ricevettero dei giocattoli.L’unico anomalia resterebbe quella preferenzaal whisky ‘yankee’ e non al rum locale. Ma vediun po’ che non si celi qui il segreto per le nuoveportate. Quelle in cui ognuno apprezza il ciboaltrui. Gli scambi culinari, si sa, avvengonoquando si decide di sedersi al tavolo e incomin-ciare ad assaggiare. Il Comandante, da severopadre di famiglia, si è seduto a un capo dellatavola. Peccato che fosse solo.

GAETANO MASSIMO MACRÌ

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delle risaie nelle zone periferiche de L’Avana e avviò la produzione di formaggi francesi>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Gina Lollobrigida ospite diFidel Castro a Cuba a metàdegli anni settanta.

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Comitati di quartiere stufi di aspettare che si

creano da soli un passaggio ciclabile, traspor-

to pubblico inadeguato, mobilità sostenibile

ridotta: ma perché Roma non tiene il passo

con le altre capitali europee?

sviluppo Il primo problema nel costruire una corsia per le bici nella ‘città e>>>>>>>>>><<<<<<<<<<<<<>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>><<<

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L’immobilitàromana

La pista ‘clandestina’ realizzatada un gruppo di romani.Con la loro iniziativa, in 45 minuti,hanno reso sicuro per le bicicletteil tunnel di S. Bibiana, che collega tra loroalmeno 50 mila abitanti dei due quartieriEsquilino e San Lorenzo

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Roma non è “solo” la Capitale,è anche la città più popolosa

d’Italia. Una superficie di circa1300 km quadrati e la più altaconcentrazione di beni storici earchitettonici al mondo,Patrimonio dell’Umanitàdell’UNESCO. Tante, troppemacchine ed il traffico come com-pagno quotidiano. Per chi ciabita, il sistema dei trasportipubblici è da sempre un proble-ma, soprattutto quelli di superfi-cie. Ma forse qualcosa è destina-to a cambiare o almeno così sem-brerebbe leggendo le comunica-zioni ufficiali diffuse in rete. Sìperché, contemporaneamenteall’apertura della metro C, l’Atacpresenta “Bike friendly” la nuovamodalità di trasporto bici suimezzi pubblici. Un progetto cheamplia le possibilità di sposta-mento attraverso le biciclette epromuove per la città una mag-giore mobilità sostenibile.L’azienda ha aumentato a 9 lelinee di autobus dove è possibilesalire a bordo con la propria bici,aggiungendo anche 6 linee tram.In totale quindi saranno 15 lelinee di superficie disponibili peri ciclisti. Inoltre, sono stateampliate le finestre orarie per iltrasporto delle bici all’internodella metropolitana e della ferro-via Roma-Lido.Tutto ciò farebbe supporre che, inparallelo, esista una rete efficien-te di piste ciclabili per tutta lacittà. A dire il vero, ci sono e alcu-ne sono ben visibili, dato che pas-sano lungo il lato esterno deimarciapiedi, delineate solo dauna linea bianca dipinta sul-l’asfalto. Sicché, il pedone ignaro,talvolta si trova inconsapevol-mente a camminarci soprarischiando l’incidente frontaleche se non ti riempie di lividi tiricopre degli insulti dei ciclisti. E

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eterna’ è lo spazio, a causa delle prescrizioni normative che occorre rispettare <<<<<<<<<<<>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

probabilmente, quelle che cisono, di piste, non sono sufficien-ti. Dato che a fine novembre scor-so un gruppo di cittadini che sisono definiti “gruppo di cittadinipromotore”, dopo anni di richie-ste, hanno deciso di crearne unaclandestina restringendo lacarreggiata di 9 metri sotto iltunnel S. Bibiana a Roma, neltratto che unisce l’Esquilino aS.Lorenzo (costo dell’operazione140,00 euro). Tutto ciò dimostrache dei problemi ci sono ed è suf-ficiente qualche breve soggiornoin una qualsiasi capitale europeaper rendersi conto che lo sviluppoche la mobilità sostenibile haavuto nelle principali cittàdelVecchio Continente, in particola-re per quanto riguarda la mobili-tà ciclabile e a basso impattoambientale, non ha interessato lanostra Capitale, che si trova ascontare non solo un’arretratez-za del trasporto pubblico, maanche lo scotto di alcune scelte‘infelici’ prese nel corso deglianni. Abbiamo avuto modo didiscuterne con Francesco Ciaffi,ingegnere dei trasporti e consu-lente presso le maggiori societàoperanti nella pianificazioni deitrasporti.

Ingegner Ciaffi, quali sono ledifficoltà di realizzare unpista ciclabile a Roma?“Ci sono delle prescrizioni nor-mative che vanno sicuramenterispettate, dimensioni minimedella pista in termini di larghez-za, distanza dalla carreggiatastradale, separazione o meno deiflussi ciclabili; già così possiamodire che il primo problema nelcostruire una pista ciclabile aRoma è lo spazio. Un altro gran-de problema sta nel fatto che, nelcaso specifico di Roma, i bordistradali sono occupati dalla sostache toglie ulteriore spazio alla

ciclabile. A complicare ulterior-mente la realizzazione c’è lanatura collinare della città:Roma è tutta un sali e scendi,diventa quindi oggettivamentepiù complicato fare un percorsoche poi non viene usato perchéfaticoso per l’utente”.

Non sarebbe possibile risol-vere il problema organiz-zando delle “tappe” interme-die di raccordo con i mezzipubblici?“Se ne parliamo in termini ipote-tici tutto può essere fatto. Bastipensare al caso di Parigi, dove lacorsia preferenziale dell’autobusè dedicata anche alle biciclette,così come anche il ciglio estremodella strada che solitamente èdedicato alla raccolta delle acquepluviali. Ripeto, fare si potrebbefare tutto, mancano la volontà, lacultura, la disponibilità di spazioe di strumenti per organizzarel’integrazione con gli altri mezzipubblici. Nel caso delle biciclettei problemi principali sono gliincidenti e i furti: i primi si risol-vono con la separazione dellepiste ciclabili e con un maggiorrispetto del cittadino nei confron-ti del ciclista (e la vedo complica-ta). I furti sono forse il problemapiù grande: lascio la biciclettaalla stazione senza rastrelliere,la ritroverò al mio ritorno?”

Quanto costerebbe realizzarequeste strutture?“Dipende da quello che si decidedi fare, dal tipo di pavimentazio-ne che si decide di usare, dall’uti-lizzo di spartitraffico per renderenetta la separazione dalla car-reggiata, dai deviatori e quant’al-tro. Si tratta di un costo impor-tante senza dubbio, ma per comela vedo io, infinitesimale rispettoad altre opere. Recentemente èstata inaugurato un nuovo per-corso ciclabile che scende da

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sviluppo Il trasporto pubblico sarebbe il modo di spostamento più sosten>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Monte Mario fino a Valle Aurelia,ricavato da una vecchia strada indisuso. Se andiamo a calcolare icosti di un progetto non si puòpensare soltanto al costo in ter-mini monetari”.

In che senso?“Facciamo un esempio: costruireuna pista ciclabile in terminiinfrastrutturali costa 10, per loStato l’inquinamento del trafficoquotidiano in città costa 20; afronte di un investimento di 10 siè risparmiato sull’inquinamentoche sarebbe stato emesso dalleautomobili, sui tempi di percor-renza che si sono ridotti e conse-guente riduzione del traffico. Masi tratta di un risparmio nonmonetizzabile, quindi nei contifinali risulta solo il 10 inizialespeso. Esistono dei modelli appo-siti che studiano le emissioni, manon saprai mai quanta gentepuoi spostare dall’auto alla bici-cletta, calcolarne con precisione iconsumi”.

Quanto potrebbe essere effi-cace una politica di incenti-vazione all’uso della bici-cletta?“È una politica che si è cercato diseguire per qualche tempo. Cisono diverse opzioni da conside-

rare: c’è la ciclabile classica, quel-la per la bici elettrica a pedalataassistita e la soluzione della ‘pie-ghevole’ (la bici in grado di saliresui mezzi pubblici). Lo Statopotrebbe intervenire in diversimodi. Secondo me il problema diRoma è la mentalità; è vero cheal Nord la natura pianeggiantedel terreno incentiva lo sposta-mento ciclabile, ma è anche veroche se uno lascia la bicicletta auna rastrelliera a Parma, ReggioEmilia o Padova la ritrova comel’ha lasciata (nella capitale,quando va bene, ne ritrova un‘pezzo’). La viabilità stessa vienegià programmata in tal senso:quando viene progettato un sot-topassaggio, la strada scendecome dovesse far passare la sago-ma limite del camion, la ciclabilescende di meno in modo da noncostringere il ciclista a fare lasalita normalmente. Come dicevoè una questione di spazi, ma spe-cialmente di cultura”.

Parlando in generale, qualipotrebbero essere delle vali-de alternative di trasportosostenibile a Roma?“Il trasporto pubblico. Sarebbe ilmodo di muoversi più sostenibiledi tutti dato che ci si sposta incinquanta nello spazio che occu-

pano tre macchine; in più è unservizio che noi paghiamo efinanziamo con le tasse, quindidovremo essere consapevoli didoverlo usare come nostro dirit-to. Nelle città dove le cose fun-zionano, vedi Parigi o Londra, iltrasporto pubblico è effiiente eha un utenza di circa il 40%della popolazione; a Roma inqueste condizioni a stento arrivial 20%”.

Una simile sproporzione èanche dovuta alla scarsacura riservata ai mezzi pub-blici della capitale.“Le componenti sono tante: pochifondi e spesi male, metropolitanecostruite come sappiamo e spes-sissimo in ritardo: autobus chesono l’inaffidabilità fatta mezzo;parco macchine molto vecchio equindi più soggetto a usura e auna manutenzione costosa. Se faifunzionare bene il trasporto pub-blico non c’è bisogno di inventar-si nulla: non ti devi inventare“Car2go”, bike sharing. Bastasemplicemente fare in modo che iservizi funzionino, che i treniarrivino in orario come succedein tutti i paesi civili. Poi si posso-no fare tante cose: Ztl e anelloferroviario allargate a cui si puòaccedere a pagamento, anche sesi tratta di una mossa a mioparere eccessivamente invasiva;la sosta a pagamento può essereconsiderata una politica di mobi-lità sostenibile. Tutto sta agarantirne il funzionamento.Amsterdam è la prima città euro-pea per numero di piste ciclabiliperché il servizio funziona ed èsicuro, qui no. Puoi fare tutte lepostazioni che vuoi, ma se nongarantisci la sicurezza la gente labici non la usa”.

Quindi le attuali piste cicla-bili a Roma non sono sicure?“Quelle sicure a Roma sono sul

La pista ciclabile che costeggia il Lungotevere

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nibile di tutti, dato che ci si muove in cinquanta nello spazio che occupano tre autovetture>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Lungotevere, su via CristoforoColombo e a Monte Mario, chenon sono promiscue con la car-reggiata stradale. Però hanno deicontro: primo sono scollegate,quindi non si intrecciano tra diloro; secondo la pista del lungote-vere ha solo tre punti d’accesso,quindi in tutti gli altri 20 accessiti devi caricare la bici e scendere(o salire) le scale dei muraglioni.Sarebbe opportuno investire ifondi in modo da rendere accessi-bile la pista in ogni suo punto,specialmente dove non ci sonoabitazioni. Non meno importanteil fatto che questa stessa pista dicui parliamo si allaga periodica-mente d’inverno, mentre d’estateil passaggio è in gran parteostruito dalle bancarelle delfestival sul Tevere. Sono tantecose che messe insieme creanoun disagio più grande. Esiste unpiano che prevede una maggioreintegrazione delle piste ciclabili,ma per adesso è una cosa cheresta su carta”.

Esiste invece un progetto diintegrazione tra piste ciclabi-li e mezzi pubblici come ave-vamo ipotizzato precedente-mente?“Che io sappia no. So per certoche l’Università di Roma 3 aveva

fatto un accordo con RomaServizi e Mobilità e il municipioper realizzare delle rastrelliereprotette alla stazione Piramide.La speranza è che il progetto siaintegrato successivamente e cheuna ciclabile possa partire daPiramide. Però anche l’integra-zione è regolamentata a volte conregole assurde, come ad esempioil non poter portare una biciclet-ta elettrica con batteria al piom-bo sui mezzi pubblici. Si tratta diun’ulteriore barriera all’integra-zione della mobilità urbana cheandrebbe superata. Forse dopo lapedonalizzazione del centro sto-rico degli ultimi mesi un serviziodi bike sharing in quella zonapotrebbe funzionare molto bene,sempre ammesso che le biciclettenon vengano rubate”.

Se volessimo invece trovareun altro mezzo di trasporto abasso impatto ecologico?“Il tram. Si tratta di un mezzo ditrasporto a impatto ambientale“delocalizzato” in quanto tutto sibasa sull’energia elettrica pro-dotta nella centrale. Senza doverfare paragoni scomodi con cittàeuropee come Amsterdam eguardando a Milano, il tramsarebbe un’ottima cura da pren-dere in considerazione. La mobi-

lità su rotaia a Roma era un vero‘fiore all’occhiello’ della città, masi è provveduto a smantellarnegran parte durante il secondodopoguerra e nel periodo delleOlimpiadi del 1960, quando sidecise di investire maggiormentenel trasporto su gomma; all’epo-ca forse avevano anche ragione,fatto sta che adesso abbiamodismesso i binari e ci stiamo‘mangiando le mani’ perchérimetterli costa tantissimo. Aquesto si aggiunge anche l’oppo-sizione dei Beni Culturali quan-do si obietta ad esempio che iltram non può passare a ViaNazionale perché i fili fannoimpatto ambientale e visivo; inrealtà fino al 1930 il tram lì cipassava. Esiste un progetto diampliamento della rete, il sinda-co Marino aveva parlato di settenuove linee, ma trovo difficile chesi tratti di un progetto a brevetermine. Un tram è abbastanzafacile da realizzare, economica-mente non è dispendioso e nean-che i tempi realizzativi sono lun-ghissimi; ci sono però problemi dinatura tecnica”.

Metropolitana?“La metropolitana è sempreun’incognita. La linea C fino alColosseo dovrebbe essere com-

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pletata, anche se in realtà il pro-getto iniziale prevedeva unalinea fino a Piazzale Clodio, madubito seriamente che riuscire-mo mai a vederla realizzata. Peradesso la linea collega MonteCompatri a Cento Celle; da lìbisogna prendere la navetta. Perottimizzare il collegamento devearrivare almeno a San Giovannipe lo scambio con la linea A, magià parliamo di fine 2015 a voleressere ottimisti”.

Cos’è che blocca la realizza-zione di questi progetti checonsentirebbero alla città diraggiungere lo standardeuropeo?“Sulla carta ci sono progetti bel-lissimi. Probabilmente alla basedi tutto c’è una cattiva gestionedei fondi a disposizione che o siperdono o si fa in modo che ritor-nino nelle tasche giuste; ci sonoanche troppe voci che interrom-pono il normale iter burocratico,che già di per sè non è agevole.Quando i Beni Culturali ti bloc-cano i lavori per il ritrovamentodi una villa, di un’anfora, è giustoe nessuno ha intenzione di sman-tellare completamente il patri-monio; si potrebbe però cercare

di integrare le due cose per farproseguire i lavori, come hannofatto ad Atene che i ritrovamentidegli scavi sono stati inseriti inmusei nelle stesse fermate dellametro. In questo modo finanzianche i lavori. C’è anche un po’di ‘inettitudine’ nel realizzare iprogetti. Adesso è difficileaffrontare ogni singolo proble-ma legato alla metropolitana, oalle linee degli autobus che sonosempre afflitte da ritardi croni-ci e dal problema delle corsesenza biglietto”.

Secondo lei, cosa ci sarebbeda rifare da capo e cosa inve-ce può essere recuperato?“Cancellare nulla, recuperaretutto. Di studi ce ne sono tanti,probabilmente basterebbe unpo’ di oculatezza in più negliinvestimenti. Prendiamo adesempio la Roma-Lido: le strut-ture sono vecchie per non dire allimite del fatiscente, ma sistema-te quelle si ha una linea metroche collega Ostia al centro e se sifa l’attacco dei binari aGarbatella può arrivare fino aRebibbia (progetto anch’esso divecchia data). Di sicuro non èun investimento leggero, ma

meno costoso del costruire exnovo”.

Risulta difficile pensare auna cosa del genere quandoè stato chiesto al presidentedell’A.S. Roma, JamesPallotta, di costruire tutte leinfrastrutture nell’area diTor di Valle per il nuovoStadio.“Ecco questa è una situazionefrancamente paradossale e inac-cettabile. Non è possibile che siaun privato a occuparsi del tra-sporto pubblico. È concettual-mente sbagliato: tu Stato haichiesto a un privato di fornire unservizio che in teoria già dovrestigarantire. Onestamente non honeanche capito bene di cosa stia-mo parlando, perché si tratta diun progetto preliminare”.

Il sindaco Marino ha fattodella mobilità sostenibile ilpunto centrale del suo pro-gramma; un giudizio del suooperato fino a questomomento?“Il vero problema del sindaco èche non sa vendere quello che fa:ha fatto passare gran parte dellesue iniziative come se fossero untorto piuttosto che un privilegioper il cittadino. Se fai la pedona-lizzazione di via dei Fori Im-periali, giusta o sbagliata che siala scelta, pubblicizzala come sefosse una politica vantaggiosaper la città. Si può discuterequanto si vuole, ma chiuderequella strada significa fare ilparco archeologico più grande delmondo, però lo devi vendere benee far si che sia una vera chiusuranon che ci siano mille deroghe.Le proposte di Marino non sonocosì insensate, anche se questaattenzione spasmodica per il cen-tro storico ha portato a distoglie-re lo sguardo dalle periferie”.

GIORGIO MORINO

Il traffico automobilistico degli orari di punta sulla tangenzialedi Roma

sviluppo Ci sono bei progetti, ma alla base c’è una cattiva gestione

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mercato In Italia ci sono 11 milioni di fumatori e le malattie legate al tabacco>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Attenzionesvaporizzati!

La moda delle sigarette elettroniche è tutt’altro che innoqua.

A confermarlo uno studio che ne determina il potenziale can-

cerogeno. Così, fra polemiche, divieti e tasse per le E-Cig arri-

va l’ultima stangata. Ma c’è anche chi le difende

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o provocano 80 mila morti all’anno>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Era nata come soluzione alternativa perridurre i danni causati dal fumo tradiziona-

le e l’idea era piaciuta a molti. Tanto da genera-re una moltitudine di nuovi punti vendita mono-marca. Oltre 400 mila i fumatori (o «svaporato-ri») fra il 2012 e il 2013, con un giro d’affari paria 90 milioni di euro annui. Un boom sul quale siè discusso molto fra pareri contrari e favorevoli.Sì perché il prodotto in sé è stato talmente inno-vativo che mancavano gli elementi per ‘regola-mentarlo’. Roberta Pacifici, direttoredell’Osservatorio fumo, alcol e drogadell’Istituto Superiore della Sanità, avevadichiarato cautamente: “L’atteggiamento chesi vuole suggerire è un atteggiamento diprudenza a difesa del consumatore. Non èinfatti ancora dimostrata l’efficacia delprodotto nell’aiutare i fumatori a smettere.Inoltre ci sono elementi che devono esserechiariti riguardo la tossicità di questo pro-dotto. Possiamo dire che la sigaretta elet-tronica è meno tossica di quella tradizio-nale, ma non si può affermare che sia deltutto innocua”.Eppure a promuovere la sigaretta elettronica,sono stati proprio coloro che alla lotta ai tumorihanno dedicato una vita intera. Come UmbertoVeronesi, direttore scientifico dell’IstitutoEuropeo di Oncologia, che da subito a dichia-rato: “la sigaretta elettronica è assoluta-mente innocua, soprattutto quella senzanicotina, tanto è vero che, per esempio, èutilizzata per un protocollo scientificomulticentrico ufficiale che coinvolge treIrccs milanesi. La sigaretta elettronica puòessere uno strumento molto utile per inizia-re un processo di disassuefazione, soprat-tutto in chi ha una forte dipendenza psico-logico-gestuale, che è una delle componentifondamentali e più difficili da eradicaredella dipendenza del fumatore”.Resta però un dato sostanziale: sulle diversetipologie di e-cig la confusione è stata ed è tutto-ra tanta. Il prodotto rappresenta un mercatotroppo giovane dove troppi (e totalmente scono-sciuti al pubblico) competitor si sono buttati apesce. Tant’é che per ‘afferrare’ il cliente a late-re di un design di prodotto specifico e di unaampissima gamma di gusti e aromi di ognibrand viene offerto da ciascuno di questi unalinea di ‘ricariche’ al gusto dei più affermati tipi

di sigaretta tradizionale.In definitiva, trannequalche eccezione (tipola marca Puff o Ovaleche hanno una buonarete di punti vendita intutta Italia e offronoprodotti di qualità edesperienza) più deibrand, è il prodotto aessere diventato dimoda e il cliente si affi-da alla competenza delsingolo esercente (chenaturalmente promuovela validità del ‘suo’ pro-dotto) e poi al propriogusto personale.E, probabilmente, piùdei divieti di utilizzo neiluoghi pubblici o dellaminaccia di tassazioniinaspettate sul prodotto,è stata proprio questamancanza di fidelizzazione a determinare lachiusura di molti negozi del settore. Soprattuttoquelli che hanno aperto un’attività in fretta efuria sull’onda del business e che poi sono finitenel mirino dei Nas perché vendevano prodottirealizzati in Cina privi dell’etichettatura Ce,senza indicazioni riguardo i dispositivi, le carat-teristiche tecniche e di etichettatura sulle con-centrazioni di nicotina che è tossica in caso diingestione e a contatto con la pelle.Indubbio, invece il risparmio per il consumato-re. Con una spesa inferiore ai 30 euro è possibi-le, infatti, acquistare un buon modello e-cig chepuò essere ricaricata con cartucce di liquido(100ml costano circa 30 euro). In pratica chi abi-tualmente fumava 20 sigarette al giorno conuna spesa quotidiana di 5 euro, con l’elettronicaspende meno di 50centesimi al giorno.Il vantaggio, per chi è veramente costante èquello di ridurre gradualmente i consumi dinicotina partendo da ricariche che ne contengo-no una gradazione media e poi diminuendo coltempo fino a gradazioni più basse o nulle.?

Ma l’elettronica fa male o no?In Italia ci sono 11 milioni di fumatori, e lemalattie legate al tabacco provocano 80 mila

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Roberta Pacifici

Umberto Veronesi

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morti all’anno. Quindi,volendo considerarla comeun ‘male minore’ rispettoalla sigaretta tradizionale,l’elettronica è comunquesempre meglio del tabacco:uno studio del 2012 presen-tato al congresso dellaSocietà Europea diCardiologia ha verificato chegli effetti immediati delle e-cig sul sistema cardiovasco-lare (alterazione del battitoe innalzamento della pressione) sono molto lievise paragonati a quelli del fumo di tabacco che, inpiù, contiene almeno 400 sostanze cancerogene.Questo però non vuol assolutamente dire chequesti dispositivi siano innocui. Basti pensareche Australia, Canada, Norvegia le vietano deltutto, in Francia sono autorizzate solo a scopoterapeutico, il Regno Unito le sta regolamentan-do e gli Usa sono orientati a sottoporle alle stes-se prove di valutazione dei farmaci. Le sigarette«potrebbero riattivare l’abitudine al fumo» inchi ha già smesso. Questo perché, secondol’Oms (l’Organizzazione mondiale della sanità)non esistendo evidenza scientifica sufficiente astabilire la sicurezza e l’efficacia come metodoper la dissuefazione, andrebbero regolamentatecome dispositivi medici o prodotti farmaceutici enon come prodotti del tabacco.A tutto ciò si sommano annunci allarmisti sullascoperta di nuovi fattori nocivi. Il più recente èuna lettera pubblicata nell’ultima edizione dellarivista scientifica New England Journal ofMedicine, nella quale i ricercatori della PortlandState University che affermano che, se riscalda-ti e succhiati profondamente, i vapori contenen-ti nicotina nelle sigarette elettroniche possono

formare formaldeide. Una sostanza che è da 5 a15 volte più cancerogena del tabacco. Si trattaperò di uno studio basato su un utilizzo ‘estre-mizzato’ della e-cig, alimentando cioè l’elettroni-ca con una tensione elettrica maggiore del dovu-to (5 volt anziché 3). Insomma, una ricerca nonrealistica, che secondo molti esperti, “non rag-giunge valutazioni scientifiche credibili”.

Un dato sicuro invece arrivasul fronte dei ‘consumer’, dauno studio condotto da unaéquipe di ricercatoridell’Istituto universitario dimedicina sociale e preventivadi Losanna, secondo il qualele sigarette elettroniche costi-tuiscono per i giovani la“porta d’ingresso” al tabagi-smo. Ad attirare i giovanisono soprattutto l’effetto-moda, l’identificazione con ilprodotto, l’aspetto ludico e ilgran numero di aromi propo-sti, riferiscono i dottoriChristina Arké e Joan-CarlesSuris. “È un business, un

marketing al quale i giovani sono sensibili”, sot-tolinea quest’ultimo. “I giovani la consideranocool e alla moda”. Tenendo presente che, inSvizzera, le e-cig non sono vietate ai minori e sipossono acquistare anche nei chioschi accantoalle caramelle. In Italia, tuttavia, come ha fattonotare Roberta Pacifici “i giovani possono aggi-rare facilmente i divieti procurandosi questidispositivi su internet a costi bassi”.Insomma, la questione continua a essere contro-versa. Anche se, considerando che Secondo i dati riferiti dal ministero della Salute,si stima che in Italia siano attribuibili al fumodi tabacco dalle 70 mila alle 83 mila morti l’an-no (negli Usa il fumo uccide 400 milioni di per-sone ogni anno). Oltre il 25% di questi decessi ècompreso tra i 35 e i 65 anni di età e oltre unmilione sono gli anni di vita in buona salutepersi. Questi dati fanno del fumo di tabacco laprincipale causa prevenibile di mortalità anchenel nostro Paese, come nel resto del mondo occi-dentale. E di fronte a questa realtà le sigaretteelettroniche possono costruire la loro fortuna.

FRANCESCA BUFFO

mercato Rispetto al fumo tradizionale, l’e-cig è un male minore>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Il fumo fa male, sempre ecomunque. Fatta questa

piccola premessa, sappiamoche milioni di ‘fumeurs’hanno sempre contrastatoconsapevolmente questa cer-tezza. Con noncuranza ilfumatore ha, per anni eimpunemente, intossicato sestesso e chi gli è stato intor-no, costringendolo al respiropassivo di un fumo maleodo-rante e rischioso per la salu-te. Con un guizzo di civiltà lapolitica ha bandito il fumodai luoghi pubblici. Ora, com-plice anche il momento dicrisi, le nuove ‘bionde’, quelleelettroniche, con la loro rica-rica e il vapore acqueo inluogo del fumo, si stannoimponendo, come la panaceaal vizio di fumare. Ma saràdavvero così? Persiste ancoratroppa incertezza sulla inno-cuità delle sigarette elettro-niche. Opinioni autorevoliammettono l’assenza di cer-tezza su questo punto.Intanto sempre più personele acquistano, con la convin-zione che “tanto non fannomale”. Nel tentativo di porta-re un po’ di chiarezza, abbia-mo chiesto il parere del Dott.Fabio Beatrice, primario oto-rino al San Giovanni Bosco diTorino, già autore, insiemealla giornalista scientificaJohann Rossi Mason, dellibro edito da Guerrini eAssociati ‘101 motivi per nonfumare’, in cui dedica uncapitolo proprio alla sigaret-

ta elettronica. Il dott.Beatrice ha subito tenuto aspecificare, tanto per capircisulla esattezza delle informa-zioni, che la sigaretta in que-stione “non è elettronica,come vorrebbero farci inten-dere, perché di elettronico nonha nulla. Possiede, invece, undispositivo elettrico. Quindi,semmai, dovrebbe essere defi-nita tale. Ma chi comprereb-be, poi, una ‘sigaretta elettri-ca’? Per cui, commercialmen-te parlando, lei capisce, cheha prevalso l’altro termine”.La poca chiarezza con cui sipresenta già nel nome, però,continua a manifestarsianche in altri aspetti, forsepiù importanti. “Non è chia-ro, infatti”, sostiene sempreBeatrice, “quanta nicotinacontenga. Perché l’indicazio-ne presente nelle confezioni,parla piuttosto vagamente di‘poco’ – ‘medio’ – ‘alto’ conte-nuto. Non c’è l’indicazioneprecisa, come nel caso delle

sigarette normali”. Su questopunto il professore è catego-rico: bisogna capire che lasigaretta elettronica “non èneutra. Sarà meno nociva,poiché comunque non contie-ne, per esempio, il tabacco, mala questione non è questa”.Già, perché Beatrice ha pre-cisato molto chiaramente cheil problema consiste “nell’abi-tudine al fumo. Nell’ ottica dismettere di fumare, la siga-retta elettronica può essereuna soluzione, come tappaper allontanarsi definitiva-mente dal fumo. Ma alla fineè un po’ come quando unpaziente veniva da me,prima, e mi diceva che per

Fabio Beatrice: “Attenzione, non è neutra

e contiene nicotina”

Sigaretta elettronica / A tu per tu con l’esperto

Fabio Beatrice, primario oto-rino al San Giovanni Bosco diTorino

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perdere il vizio, voleva fuma-re i sigari o la pipa. Posto che,se si vuole abbandonare ilvizio, sarebbe meglio non

fumare affatto, chiarito que-sto, se proprio non c’è soluzio-ne, si provi a passare anche alsigaro o alla pipa”.La sigaretta elettronica, dun-que, non porterà a smetteredi fumare. Può, tuttavia,essere un passaggio impor-tante di una fase di disintos-sicazione. “In fondo”, conti-nua il professore, “è un po’come quando ti vendono unapenna. Te la vendono per scri-vere, non avrebbe senso il con-trario”. La similitudine ciappare davvero chiara. Lenuove ‘bionde’ ormai sonoampiamente diffuse sul terri-torio. Si possono acquistareanche su internet. Anzi, quisi ha forse di più l’idea diquanto questo nuovo accesso-rio per fumare sia, in realtà,più che un oggetto necessarioa soddisfare un vizio, un verooggetto di design, legato allamoda. E sul dubbio che la e-sigaretta sia più una moda oun vizio, Beatrice ha rispostoin maniera sempre illumi-nante: “Esiste sicuramenteuna forte spinta speculativa.Dietro a queste sigarette c’èun investimento importante.Il brevetto cinese che staall’origine, porta con sé tuttaquella pressione commercialetipica di quella parte diOriente”. In sintesi, qualcuno

le fabbrica, perché qualcunole deve comprare, che faccia-no più o meno male di altriprodotti. Il nuovo mercatodelle e-cig offre nuovi scenarie opportunità di guadagnocon ampi margini di crescita.La spinta propulsiva con cuisi sta ‘pompando’ il prodotto,la continua pubblicità sulfatto che faccia ‘smettere difumare’, per il momento sem-brano aver avuto la meglio,‘distraendo’ il consumatore-fumatore sul reale stato dellecose. In fondo, chi decide di‘farsi’ una sbuffata di vaporeacqueo, è, nella stragrandemaggioranza dei casi “unfumatore di sigarette, abitua-to a certi gesti. E decide diprovare la novità perché pos-siede una oralità spiccata cheviene gratificata meglio pro-prio dalla sigaretta elettroni-ca. Basta vedere per stradaquesti fumatori, sembranousare un ciuccio, piuttosto cheuna sigaretta. A volte sonopure goffi nei movimenti”. Ilprimo amore, però, non siscorda mai. “Infatti il fuma-tore, dopo aver provato lanovità, dopo un po’ ritornaall’antico. Perché, in fondo, sele piace l’espressione, è unoche continua a sognare lasigaretta”.

GAETANO MASSIMO MACRÌ

mercato Molti dopo aver provato la novità tornano alle ‘bionde’>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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101 Motivi per non fumareFabio Beatrice, Johann Rossi Mason

Editore Guerini e Associati

Pagine 267, euro 12,90Questo libro non offre una soluzione facile ouna scorciatoia per smettere di fumare. Nonè neppure un testo contro i fumatori chesono già abbastanza ghettizzati e stigmatiz-zati. Racconta invece in maniera accessibiledi come il fumo interferisca negativamentesul 95% degli apparati del nostro organismoe svela effetti poco noti rispetto all’intelli-genza, al comportamento, all’estetica, allerelazioni, alle performance sessuali, allapossibilità di avere bambini e alla garanziache nascano sani.

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Ho deciso di chiudere conl’horror. Il nervosismo e il

disappunto hanno raggiuntoin me il limite di saturazione

tollerabile per uno spettatoreamante del genere.Procediamo con ordine: l’ulti-mo film di genere che ho avuto

il “piacere” di vedere è statoClown, per la regia dell’esor-diente Jon Watts, prodottodall’incensato nuovo maestro

cinema La ‘nuova’ interpretazione di questo genere non punta più a spaventare l>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Cercasi horrordisperatamente

Da anni stiamo assistendo alla deriva di questo genere cinematogra-

fico: film che non fanno paura e che, per attirare spettatori in sala, si

limitano a proporre immagini truculente di corpi smembrati. Nulla a

che vedere con le pellicole del passato, che riuscivano a terrorizzare lo

spettatore creando l’atmosfera giusta

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dell’horror Eli Roth, già regi-sta dei due Hostel e di CabinFever. Per chi, come il sotto-scritto, apprezza e segue daanni il genere horror, il nomedi Roth non è certamentegaranzia di qualità.Nonostante ciò è stata l’imma-gine del protagonista dellapellicola a darmi la spintadecisiva per entrare in sala.Frowny, il pagliaccio divorato-re di bambini che vive nasco-sto all’interno di un costumeliso e logoro (che infetta conun demoniaco appetito chiun-que abbia la sfortuna di indos-sarlo) è effettivamente un per-sonaggio visivamente bencaratterizzato e inquietante.Precisiamo che non mi aspet-tavo certo che Pennywise (ilpagliaccio assassino di IT,magistralmente interpretatoda Tim Curry nel 1990) potes-se tornare sul grande schermoin un’interpretazione moder-na, originale e spaventosa.Tuttavia, qualsiasi speranzariposta in Clown è stata disat-tesa già nei primi quindiciminuti di visione della pellico-la. Il motivo è semplice: sulloschermo c’era un film gore,interamente incentrato sumorti e smembramenti. Unatrama talmente pretenziosada risultare irritante, in cuisituazioni grottesche riesconoa procurare solamente sensodi disgusto di fronte a immagi-ni truculente di organimaciullati, e di fastidio davan-ti a situazioni “comiche” infila-te a forza dove non serve. Maserve davvero questo perrichiamare le persone in sala?Viscere sparse sui muri dellecase, arti mozzati ed ettolitridi sangue possono da soli clas-sificare una pellicola come

horror? Da quando lo splatterha inglobato l’horror? La sensazione è che con glianni si è perso il senso di quel-la che la tanto vituperata sag-gezza popolare chiama “giustavia di mezzo”, e che il quoti-diano bombardamento media-tico ci abbia in un certo assue-fatti alla violenza al punto chela fiction si ritrova costretta aquesto.Nel 1980 Stanley Kubrickdimostrò al mondo di essere ingrado di creare un film horror“anomalo” senza violenza esangue a fiotti. The Shining,grazie alla straordinariainterpretazione di JackNicholson. Una pellicola cheriesce ancora oggi a provocarepiù di un brivido freddo lungola schiena allo spettatore più

smaliziato. Eppure, in circadue ore di film viene ucciso‘solo’ un personaggio, per ilresto la tensione è tutta celatanei movimenti di camera lun-ghi e incessanti, la musica disottofondo che da semplicesussurro si trasforma in ince-dere incalzante. In sintesi: lagiusta atmosfera, un buonsoggetto e un uso sapientedella cinepresa.Senza scomodare i capostipitidel genere come i Dracula,Frankenstein e Mostri dellaPalude, pensiamo un attimo aquello che è oggi considerato ilfilm horror per antonomasia:L’Esorcista di William Fried-kin. Una pellicola con unaserie di scene entrate nell’im-maginario collettivo: la testaruotante dell’indemoniata, il

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o spettatore, bensì a disgustarlo>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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vomito verde, la camminata aragno lungo le scale (presentesolo nella versione integraledel 2000). E il momento, a mioavviso più terrificante: lascena dell’esorcismo, in cui lapiccola Regan parla a padreKarras in greco con la vocedella madre del sacerdote.

Una soluzione talmente sem-plice da risultare banale, mache personalmente mi ha fattodesiderare di interrompere lavisione e scappare.Esempi di altre pellicole se nepotrebbero fare all’infinito econfermerebbero tutte che la‘nuova’ interpretazione di que-

sto genere non punta più aspaventare lo spettatore bens’a disgustarlo. Film con i qualiil pubblico sperimenta unasorta di contorto meccanismocatartico nel quale si “gode” diuna violenza visiva senza nes-sun tipo di conseguenza.Film come Hostel, Sawl’Enigmista, danno l’impres-sione che l’horror è sparitodalla circolazione lasciando ilposto al sadismo tipico deglisnuff movies.Forse è un punto di vista estre-mo, ma finché i cineasti utiliz-zano le parole Evil o Devil neititoli (che poi in Italia vengonogenialmente tradotti con ilgenerico Male) per riproporcisempre la solita minestra disangue riscaldata, non ci sisente di sicuro incoraggiati apensarla diversamente.

GIORGIO MORINO

cinema L’horror è sparito dalla circolazione lasciando il posto al sadismo>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Il 2015 è appena iniziato e non possiamo fare ameno di chiederci quali sorprese ci riserverà.

Una necessità, la nostra, che ha origini antichissi-me e, segnatamente, in quel complesso di credenzebasate sullo studio dell’influsso dei corpi celestisulla terra, racchiudibile nella parola ’astrologia’. Ilnome deriva dal termine greco antico astrologhía,composto da ‘astêr/asteros’ (stella) e ‘lógos’ (discor-so). La divinazione dell’astrologo, colui che praticaquesta disciplina, è definita, appunto, ‘oroscopo’.Un elemento che, fin dai popoli primitivi, ha indi-rettamente influito sulla psiche umana condizio-nandone gli atteggiamenti e i pensieri, così come ilprodotto del suo ‘fare’, l’arte e l’artigianato artisti-co. Vediamo come.

Le originiL’astrologia consiste essenzialmente nell’uso degliastri per determinarne i presunti influssi di questiultimi sulla terra, al fine di prevedere il futuro ospiegare fatti accaduti ancora insondati. Le originidi questa disciplina si confondono con quelle del-l’astronomia e sono da ricondurre alle più grandi eantiche civiltà; cinese, indiana, mesopotamica, egi-zia, mediterranea, precolombiana. In passato,l’astronomia, sulla base dei moti celesti, provvede-va a scandire il tempo in ore, giorni, mesi e anni, adefinire il calendario e a fissare e diffondere ritua-lità e credenze astrologiche connesse alla mitolo-gia. Già i sacerdoti babilonesi, muovendo dall’ideadi una fatalità strettamente collegata ai moti cele-sti e dalla concezione della natura divina degli

arte La rappresentazione dello sviluppo dell’anno attraverso personificazioni dei dodici me>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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L’astrologianell’arte

L’influsso dei corpi celesti sulle nostre vite e la divinazione

astrologica hanno radici antichissime di cui ritroviamo trac-

cia iconografica sin dalla più antica cristianità

astri, sostenevano che la vita dell’es-sere umano fosse regolata dagli astri,intesi come divinità, cui era riservatoil destino dell’Universo. Nel III secoloa.C. il pensiero astrologico babilonesefu divulgato in Grecia, dove si diffusel’idea di un mondo governato da ciclicosmici e di una ‘simpatia universale’,basata sul concetto che tutte le partidell’Universo, pur distanti, sono tra loro colle-gate e in stretto rapporto reciproco. Tali teorievennero poi assorbite dallo ‘stoicismo’ (correntefilosofica e spirituale nata in Grecia nel III secoloa. C.) ed ebbero per il suo tramite grande diffusio-ne. Fino a toccare le teorie di Claudio Tolomeo (IIsec. d.C.), il famoso astronomo che aveva descrittola struttura del sistema solare ponendo la Terra alcentro, con il Sole, la Luna e gli altri pianeti rotan-ti entro orbite circolari, e formulando così la teoria‘geocentrica’.Sebbene i cristiani dei primi secoli avessero conce-pito l’astrologia come un’invenzione diabolica,questa disciplina finì per informare anche la cul-tura cristiana, ivi compresa quella iconografica.Del resto, nozioni sulle zone del cielo e sulle suecaratteristiche giungevano alla cultura medie-vale dall’Antichità, cui erano pervenute attra-verso la tradizione orientale di area assiro-babi-lonese. Le conoscenze babilonesi influenzaronola cultura greca la quale si rifece alla scienza deiCaldei. Platone, in particolare, facendo propriala filosofia pitagorica, mise i movimenti astrali

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esi costituisce un tema iconografico che si tramanda dal Medioevo all’età moderna>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Astrologia, magia e alchimia - Le costellazioni del cielo boreale e isegni dello zodiaco, miniatura di Francesco Botticini, in Matteo

Palmieri, Città di Vita, sec. XV.

in stretta relazione con il destino dell’anima.Come spesso avviene nel mondo antico, i greciassorbirono la nomenclatura celeste dei Caldei,riconducendola ai propri costumi religiosi. Cosìalcune divinità e figure mitologiche greche furo-no associate ai segni zodiacali: i Gemelli aCastore e Polluce (i cosiddetti Dioscuri), figligemelli di Zeus e di Leda, ammirabili, in unadelle tante versioni, in Piazza del Campidoglio aRoma (Fig 1); il Toro venne assimilato allo stessoanimale che rapì Europa, e quindi a Zeus, mentreil Leone con il leone nemeo delle dodici fatiche diErcole, come si vede su un vaso attico conservatoal Louvre (Fig.2).

Le conoscenze astrologiche greche giunsero aRoma per il tramite di Claudio Tolomeo, come i

testi redatti dagli autori della tarda antichità,con le loro numerose citazioni del

Tetrábiblos, concorrono a dimostrare. ConTolomeo la stretta relazione tra l’essereumano e i segni zodiacali inizia a conso-lidarsi. Ciascuna parte del corpo vieneposta in relazione con uno specificosegno dello Zodiaco. Nel Tetrábiblos,in particolare, il rapporto fra segnizodiacali, paesi delle terra e carat-teristiche umane viene definitiva-mente istituito e, per il tramite deitesti latini e arabi, in particolaredella Naturalis Historia di Plinio ilVecchio (23-79), ereditato dalla cul-tura cristiana, all’interno di opere

letterarie di grande rilievo. Fra que-ste, l’Etymologiae di Isidoro di

Siviglia (560-636), il De natura rerumdi Beda il Venerabile (673-735), il De

originibus rerum di Rabano Mauro (784-856), per rimanere ai primi secoli del

Cristianesimo (VI-IX).

I segni dello zodiaco nell’arte cristianaNell’arte cristiana i segni zodiacali divennero unasorta di paradigma sulla base del quale organizza-re le conoscenze del mondo. Seppure in un primotempo astrologia e astronomia furono consideratenegativamente, tali discipline entrarono a farparte del bagaglio culturale della cristianità, tantoche i segni zodiacali vennero assimilati agli angeli,come mostra una nota miniatura dellaTopographia christiana del mercante, filosofo e car-tografo siriaco di VI secolo, Cosma Indicopleuste(Fig.3).

Astrologia e mesi dell’annoSulla base del ragionamento analogico, i segnizodiacali consentivano di collegare l’uomo con ilcosmo e Dio. Nell’immaginario medievale, la fasciazodiacale era ripartita in dodici zone ognuna dellequali corrispondeva a un mese dell’anno, scanditodalla corrispettiva attività agricola e dal segnostesso che la governava. Come si vede, ad esempio,

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nel Tapís de la Creació de Mus. de la Catedral diGerona, databile tra l’XI e il XII secolo, ove la fasciapiù esterna presenta i dodici segni con l’attivitàagricola corrispondente (Fig. 4). E dove compareanche Annus, la personificazione dei dodici mesi,che accompagna spesso cicli figurativi con i segnizodiacali.La rappresentazione dello sviluppo dell’annoattraverso personificazioni dei dodici mesi costi-tuisce un tema iconografico che, pur avendo lesue origini nell’Antichità, si tramanda per tuttoil Medioevo, fino ad arrivare all’età moderna. Adiffonderla fu soprattutto la tradizione enciclope-dica delle scuole dei monasteri e delle cattedrali.L’associazione ‘mesi-calendario-attività agricole’compare per la prima volta nei Fasti di Ovidio enelle Georgiche di Virgilio e, attraverso questiclassici, viene assorbita dalla letteratura cristia-na antica, dove è aggiunta la componente religio-sa. Nel contesto della rinascita carolingia e otto-niana (IX-X secolo) i cosiddetti ‘carmina men-sium’ furono copiati nelle maggiori abbazie bene-dettine e ispirarono nuovi componimenti poetici,nei quali emergono una marcata tendenza alladescrizione dell’attività agricola del singolo mese

e numerosi dati meteorologici e paesistici. Oltrealla tradizione enciclopedica, alcune delle regoledi interpretazione del tema dei mesi furono forni-te proprio dalla Bibbia, dove emerge l’idea di unDio Chronokrátor (creatore del tempo) che ordinae scandisce il tempo e assicura anche semine eraccolti per il sostentamento dell’uomo, così comepromise a Noè dopo il diluvio (Gn. 1, 29; Lv. 25,19). Tale idea, ripresa dalla letteratura cristianadelle origini, favorì l’interpretazione allegoricadei lavori dell’anno agricolo come metafora dellapredicazione e della lotta del buon cristiano, el’immagine dei mesi come un calendario festivodi celebrazioni liturgiche finalizzate alla salva-zione dell’Uomo.Relativamente al campo figurativo, quanto dettofinora si tradusse, in epoca medievale e segnata-mente nel IX secolo, nell’elaborazione di un par-ticolare repertorio iconografico con le immaginidei mesi associate ai lavori agricoli. Sulla sua for-mulazione pesò sia la riforma agraria avviata inquel periodo, sia un rinnovato interesse per iltema negli ambienti artistici e letterari a segui-to della riforma del calendario. Anche se sulpiano iconografico si ricorse al repertorio

arte Secondo l’ideatore del ciclo pittorico anagnino, microcosmo e macrocosmo sono esatta>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Fig. 1 – Castore e Polluce (i Gemelli). Piazza delCampidoglio, Roma.

Fig. 2 - Eracle combatte contro il leone di Nemea (ilLeone), lekythos attico. Parigi, Musée du Louvre.

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dell’Antichità, furono introdotte innovazionideterminanti per la definitiva formazione deltema. Le fonti antiche furono, tra le altre, ilCronografo del 354, del quale, intorno al IX seco-lo venne realizzata una serie di recensioni (Figg.5, 6). Nel Calendario filocaliano riportato dalCronografo, ad esempio, il mese di settembre pre-vede una figura virile nuda con una sorta dilungo pallio sulla spalla. Con la mano sinistra

sorregge il grappolo d’uva, che allude alla ven-demmia, mentre con l’altra tiene un cesto dalquale spuntano degli spiedini; alle sue spalle uncesto (probabilmente con dei fichi), una nave,forse carica di vino, e una lucertola, associata

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amente speculari grazie al legame costituito dal sistema zodiacale>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Fig. 3 - Mappa del mondo di Cosma Indicopleuste,copia di IX secolo. BAV, Roma.

Fig. 7 - Scholium de duodecim zodiaci signis et ventis.Parigi, BN, lat. 7028, c. 154r.

Fig. 5 – Cronografo del 354. I sette pianeti con i gior-ni fortunati e sfortunati; Saturno. Die Calenderbilder,Berlin (1888) figures 10-14.Fig. 6 - Cronografo del 354. Calendario di Philocalus;mese di settembre. Die Calenderbilder, Berlin (1888)figures 19, 20, 22-28, 30, 32.

Fig. 4 - Tapiz de la Creación, Catedral de Gerona.

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spesso a Dioniso, dio del vino. Settembre è, infat-ti, il mese della vendemmia, e così sarà conside-rato anche nei secoli a venire.Già nell’arte classica e romana i grandi cicli delcosmo (cosmogonici) facevano riferimento allefeste del calendario e ai simboli agricoli dei mesi,mentre il trascorrere del tempo era dato dalle sta-gioni, spesso collegate alla Tellus (terra). In tuttiquesti casi il lavoro veniva connesso all’uomo e alritmo temporale in generale e poneva alla luce ilconcetto, assolutamente moderno, dei ‘figli deipianeti’: chi nasceva sotto l’influsso di un determi-nato pianeta o segno zodiacale era predispostoper una determinata attività lavorativa, cui veni-va associato. La stessa fisicità dell’uomo potevaessere ricondotta, non senza implicazioni di carat-tere medico, al paradigma zodiacale. Allo stessotempo, l’immagine dell’uomo viene sovrapposta aquella del firmamento; in particolare, il corpoumano e la sua forma vengono assimilati all’uni-verso. In un manoscritto dell’XI secolo (lo“Scholium de duodecim zodiaci signis et ventis),ad esempio, l’Ariete viene riferito alla testa, iGemelli agli occhi, il Sagittario alle pudenda, finoa giungere ai piedi congiunti ai Pesci (Fig. 7).Nei secoli successivi il concetto delle corrispon-

denze zodiacali venne ripreso dalla speculazionecristiana, come dimostra una serie di esempimonumentali, tra i quali la decorazione dellaCripta di Anagni, risalente alla metà del XIIIsecolo circa. Qui, si vedono lo zodiaco e il microco-smo, che mostra l’uomo al centro di una sfera qua-dripartita, la quale fa riferimento agli umori eagli elementi. In altre parole, secondo l’ideatoredel ciclo pittorico anagnino, microcosmo e macro-cosmo sono esattamente speculari grazie al lega-me costituito dal sistema zodiacale, all’interno delquale sono collocati, sulla base della corrispon-denza numerica, i dodici apostoli. Sempre nellostesso periodo, tale associazione torna, ancora,nella splendida decorazione dell’Aula Gotica pres-so il monastero dei Santi Quattro Coronati aRoma: una summa enciclopedica medievale fattadi costellazioni, segni zodiacali, stagioni e mesicon le attività agricole che li connotano (Fig.8).Simili corrispondenze, per il tramite dell’icono-grafia cristiana e mediante il recupero della cul-tura classica avvenuto nel corso del Rina–sci-mento, si sono poi consolidate nell’immaginariocollettivo di epoca moderna; il quale, come abbia-mo visto, fin dall’antichità, a prescindere da qual-siasi culto religioso, non ha mai cessato di consi-derare l’uomo e l’universo sotto l’influenza deipianeti e delle stelle (Fig. 9).

SERENA DI GIOVANNI

arte Per i cristiani dei primi secoli, l’astrologia era un’invenzione diabolica>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Fig. 8 – Aula Gotica, Santi Quattro Coronati, Roma.Particolare decorazione pittorica con il mese di ottobree la relativa attività agricola.

Fig. 9 – Zodiaco. Sinagoga di Beit Alfa (oggi inIsraele), VI secolo.

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Reinterpretare le opere d’arte per comuni-carne con originalità il valore: è questa

l’idea elaborata da Chiara Comella. Le sue iro-niche reinterpretazioni, vere e proprie ricostru-zioni scenografiche di tele d’autore nelle qualilei è protagonista, ‘fermate’ da uno scatto foto-grafico (dal fotografo Simone Viti) vengonoregolarmente postate sulla sua pagina facebook‘Quadrissimo me’.Un’idea nata per gioco e per puro divertimento.Uno stimolante passatempo nel quale coinvol-gere anche il figlio di nove anni, suo complice eautore dei primi scatti che l’hanno immortalata

arte “L’idea di ‘reinterpretare’quadri famosi non è sicuramente nuova. Per me, significa abb>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Quadrissimo megiochi artistici

Chiara Comella,

31enne romana,

reinterpreta

con minuziosa

originalità

celebri tele,

nelle quali

lei stessa diventa

parte dell’opera

‘quadro’. Un personale racconto del modo in cuil’arte viene vista e recepita, interpretazione sog-gettiva per renderla più accessibile a tutti.Che si tratti di Caravaggio, di De Chirico, diRembrandt, di Manet o di Leonardo da Vinci,Chiara Comella ‘indossa’ ogni singola opera. E iltutto, ricorrendo soltanto al materiale reperibi-le nella sua abitazione.Un gioco che sta coinvolgendo un numero cre-scente di pubblico, che la segue con sempre piùcostanza, affetto e sostegno. Un seguito attento,partecipe e attivo. Che offre input, suggerimen-ti e propone anche nuove opere. Noi di Periodico

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Italiano Magazine l’abbiamo intervistata per farciraccontare i retroscena della nascita e degli sviluppidi questo suo simpatico progetto.

Chiara Comella, come nasce l’idea di‘Quadrissimo me’?“Lavoro nei servizi aggiuntivi di un noto spazio espo-sitivo romano. Vivo quindi a contatto con opere d’ar-te tutti i giorni. Ma l’idea di ‘diventare un quadro’ hainiziato a farsi strada durante la mostra dedicata aFrida Khalo: sono rimasta colpita dalla quantità didonne, giovani e non, che vestivano come lei o che nerichiamassero lo stile. Dagli abiti sgargianti, aicapelli acconciati con corone di fiori e pettinini, aibaffi, al monociglio. Mi ha stupita l’aver constatatocome l’artista messicana riesca, ancora oggi, a rag-giungere un vasto e variegato pubblico. E di comeevidentemente continui a evocare un immaginarioben preciso. Proprio da questa riflessione – e dalmodo in cui l’arte e l’artista ‘arrivino’ alla collettività– è nata per gioco l’idea di indossare letteralmente iquadri. Ma all’inizio ‘riproducevo’ soltanto famosetele di Frida”.

Qual è, se ne esiste uno, lo scopo di questa ini-ziativa?“L’idea di ‘reinterpretare’ famose opere d’arte non èsicuramente nuova: basti pensare alla famosissima‘Gioconda’ con i baffi di Dalì. Ma mentre in questo ein casi analoghi, probabilmente, l’obiettivo è quellodi smitizzare i ‘grandi’, criticando o analizzando illinguaggio artistico attraverso l’arte stessa, il mioscopo, invece, è quello di avvicinare all’arte.Ironizzare. Non ricorrere al sarcasmo. Giocare conl’arte, per me, significa abbattere le distanze, render-

la più vicina e accessibile a tutti”.

In base a quale criterio sceglie il quadro chedesidera ‘indossare’?“Sicuramente gli autoritratti si prestano più facil-mente al gioco interpretativo. Ma, nel complesso,scelgo opere che posso ricreare facilmente soprattut-to sotto l’aspetto scenografico. Poiché utilizzo soltan-to oggetti e accessori che ho a portata di mano: dalvecchio scialle di mia nonna ai fiori di cartapesta, aipeluche di mio figlio. Mi piace l’idea che oggetti delmio mondo quotidiano vengano mescolati a quelloartistico. Mi diverto a cercare per casa tutto il neces-sario. A ideare come ‘trasformare’ un oggetto, ren-dendolo funzionale ai miei bisogni. Ma capita anchedi mettere in scena opere che mi sono state suggeri-te da altre persone (e, in questo senso, tantissimisuggerimenti li ricevo dagli storici dell’arte che lavo-rano all’interno dello stesso museo per il quale lavo-ro io), che si divertono a seguirmi e che mi offronocontinuamente spunti e input”.

Come nasce la scenografia delle sue opere?“La premessa da cui è partito ‘Quadrissimo me’ è chetutto, dai vestiti agli utensili, deve essere reperito incasa o creato al momento. Vivo con mia nonna e hola fortuna di poter attingere ad un intero guardaro-ba, rimasto intatto nel tempo. Ma abiti e scenografiesono anche il risultato del modellare tende, lenzuolao coperte. Ne “Due donne tahitiane sulla spiaggia” diPaul Gauguin, per ricreare lo sfondo del mare, misono addirittura servita della carta igienica incasto-

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battere le distanze e rendere l’arte più vicina e accessibile a tutti”>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Qui sopra: le ‘Fumatrici di oppio? di Gaetano Previati.Nella pagina a fianco: il ‘Bacco’ di MichelangeloMerisi di Caravaggio

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nata tra le strisce di legno di una serranda. E non dirado prendo in prestito anche i giocattoli di mio figliodi nove anni. Come accaduto, ad esempio, nellariproduzione di due famose opere caravaggesche: perla spada di ‘Giuditta e Oloferne’ e per i serpenti in‘Testa di Medusa’ (ironicamente realizzati con deidinosauri in gomma). La location invece è sempre lastessa: la mia casa che, all’occorrenza, si tra-sforma in un vero e proprio set. Per quantoriguarda gli altri interpreti, sono circon-data da amici entusiasti e molto dispo-nibili a darmi un aiuto e a prestarsi algioco. Per la realizzazione di uno scatto(‘Lezione di anatomia’ di Rembrandt) èstata coinvolta anche mia nonna, dellaquale si intravedono le mani”.

Ogni tuo scatto viene pubblicato e aggiornatosui social network: qual è l’importanza dellacondivisione?“Oggi abbiamo a disposizione questo potente stru-mento di comunicazione, che permette di arrivare atantissima gente. Attraverso la condivisione dei variquadri che, di volta in volta, vado a ‘indossare’ speroappunto di ‘toccare’ le persone. Di coinvolgerle inquesto gioco e, di conseguenza, nel meravigliosomondo dell’arte. Restando ovviamente aperta a sug-

gerimenti e a confronti. Raccogliendo e analizzandole reazioni del pubblico che mi segue. Mi sostieneanche il successo di esperimenti simili come ‘L’artespiegata ai truzzi’ di Paola Guagliumi o quello sim-paticissimo ‘Se i quadri potessero parlare’ di StefanoGuerrera”.

E qual è la risposta del pubblico che ti segue?“Sulla pagina ‘facebook’ ricevo molti complimenti daparte di persone che si divertono e che mi incorag-giano a continuare e a migliorare. E fa sicuramentepiacere sapere di essere sostenuti dall’affetto e dalcalore della gente. Anche quando si aprono dibattitiin contrasto di pensiero.Trovo anzi che questo aspet-to sia di fondamentale importanza. Perché spinge auna riflessione sul modo di comunicare l’arte e apreorizzonti interpretativi sempre nuovi. Uno scambioequo e assolutamente fecondo”.

Dove pensi potrà portarti questo gioco?“Per il momento, sono felice di essere riuscita a coin-volgere un numero così abbondante di personeintorno a questo progetto. Molte delle quali, tra l’al-tro, prima di ‘Quadrissimo di me’ non avevano maimanifestato un particolare interesse per l’arte. E cheadesso, invece, sono le prime ad offrirmi suggerimen-ti. Mio figlio stesso si diverte moltissimo. I primiscatti li ha immortalati lui. Segue attentamente l’al-lestimento del set e ci aiuta. Ma soprattutto ha ini-ziato a sviluppare una forte curiosità per l’arte. Ecomincia ormai a distinguere alcuni artisti o a rico-

noscere determinate opere. E per me questa ègià una grande soddisfazione”.

CARLA DE LEO

arte “Sulla mia pagina facebook si aprono dibattiti su come comunicare l’arte”>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Sopra: ‘Due donne tahitiane’di Paul Gauguin.Sotto: ‘Scudo con testa diMedusa’ di MichelangeloMerisi da Caravaggio.

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musica Mantenendo la formula del loro esordio, la band folk-agreste di Pompei >>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Le canzoni degli Shak & Speares per il loroswing potrebbero sembrare jingle pubblici-

tari. Sì, perché una volta ascoltate, non puoiche cantarle e ricantare i loro ritornelli. I lorotesti sono tutt’altro che banali. Il loro nuovoalbum, “Dramedy”, è uscito il 30 settem-bre2014 su etichetta FreakHouse Records.Una seconda prova discografica di tutto rispet-to. Ascoltando le nove tracce del nuovo album(che apre con un omaggio di Vic Godard deifamigerati Sex Pistols), non saprei dire qualesia la mia canzone preferita, c’è l’imbarazzodella scelta, una cosa è certa, trasmettono

Il ritornodei Marlow

Scanzonati, irriverenti, un po’spavaldi e con un sound asso-lutamente travolgente, TheShak & Speares, con il loronuovo album ‘Dramedy’, siconfermano come una dellerealtà musicali più interessan-ti in circolazione

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tanta energia e positività.La band, nata nel 2010, è la punta di diamante delfolk rock campano. Grazie a un’intensa attivitàlive, il loro nome si sta affermando in tutta Italiae anche all’estero. Infatti, con il loro primo album“Gagster” sono stati in tournèe per oltre 50 live,compresa Londra ed hanno accompagnato VicGodard & Paul Cook (Sex Pistols).Loro sono quattro fratelli scanzonatissimi(Frank, Louis, Al e Max Marlowe). Un gruppoche si diverte con gran serietà e che non nonama farsi imbrigliare in radici geografiche e digenere. Mantenendo la formula del loro esor-dio, ci regalano sonorità intense e coinvolgentiThe Shak & Speares si confermano come unadelle realtà più interessanti in circolazione.Li abbiamo incontrati (a un anno dall’ultimaintervista) per farci raccontare, con la loroconsueta e scansonata ironia, adesso cosa bollein pentola.

Frank, Louis, Al e Max, che aria si respirain casa Marlowe?“Abbiamo cercato di raccontare tutto quello checi è successo da ‘Gagster’ in poi registrando unnuovo disco. Diciamo pure che abbiamo optatoserenamente per il racconto/canzone”.

Il vostro album ‘Dramedy’ unisce formetragicomiche artistiche. Quanto contasdrammatizzare anche in tempi così diffi-cili?“Per noi conta moltissimo ‘dramedizzare!’. Titoloa parte, lo abbiamo sempre fatto e ne siamoorgogliosi. Per quanto riguarda i ‘tempi difficili’,risolviamo il dilemma esistenziale della nostraepoca proponendo ai nostri ascoltatori tempifacili velocissimi”.

L’idea di far aprire il disco da Vic Godardda dove è nata?“Non è stata un’idea ma una bravata! Quella diVic – secondo noi ovviamente, è la partecipazio-ne più spontanea che si possa desiderare.Sentire per credere”.

L’esperienza di suonare con Vic Godard &Paul Cook dei Sex Pistols a Londra cosa viha lasciato?“Ognuno di noi avrà incrociato sicuramente gliocchi di ‘quei due’ durante l’esibizione al Water

Rats; ognuno di noi avrà pensato qualcosa quan-do poi hanno applaudito. Il bello è che non neabbiamo ancora parlato: ecco, Vic ePaul, cihanno lasciato qualcosa di cui ancora dobbiamodiscutere!”.

‘Castro Street’, singolo estratto da‘Dramedy’ è dedicato a Harvey BernardMilk. Come mai questa scelta?“Per completare il testo della canzone avevamobisogno di una location/titolo in cui (momentoparole difficili) l’ossimoro che si era creato dopoaver girato il coloratissimo videoclip potesse tro-vare la giusta dose di follia e vivere in pace.Diciamo che la dedica ad Harvey Milk a questopunto ci è sembrata scontata”.

Non potete che essere definiti artisti oltreche musicisti. Quanto contano le passioninella vostra vita?“Più della nostra stessa vita! Ecco, questa è larisposta che né un artista, né un musicista verodarebbe mai (lo speriamo ovviamente). Noi,dopo una riunione in cameretta, abbiamo optatoper un romanticissimo 60%”.

Il vostro swing folk-punk agreste riesce afar ballare sempre più culi: il vostro pros-simo obiettivo?“Visto che la mettete così, il nostro prossimoobiettivo è far ballare i cactus”.

CLELIA MOSCARIELLO

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ci regala sonorità intense e coinvolgenti>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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