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Istituto Comprensivo Statale “CINO DA PISTOIA” Viaggio di istruzione 29 Aprile 2016 Classe I A Pistoia-San Mommé-Castagno Lo scorso 29 Aprile, in una bella giornata di sole, si è svolto il viaggio di istruzione programmato per la classe prima A finalizzato a sviluppare la conoscenza del territorio pistoiese, in particolare l’ambiente collinare dell’alta valle dell’Ombrone con la sua storia e le sue tradizioni. PARTENZA DALLA STAZIONE FERROVIARIA DI PISTOIA OVEST ALLE ORE 8:29 Per raggiungere il paese di San Mommè è stato utilizzato il treno della linea Porrettana. La ferrovia Porrettana fu il primo collegamento transappenninico in quanto scavalcava interamente la dorsale appenninica tra la Toscana e l’Emilia-Romagna, collegando Bologna a Pistoia. Detta anche Strada ferrata dell'Italia Centrale, la Porrettana rappresenta un'opera di enorme portata ingegneristica con le sue 47 gallerie e i 35 ponti e viadotti; fu inaugurata ufficialmente da Vittorio Emanuele II nel 1864. Al tempo la lunghezza totale era di 99 km. Il tratto più difficile risultò quello tra Pracchia e Pistoia, dove in 26 km venne superato un dislivello di 550 metri. L'impresa fu affidata all'ingegnere francese Jean Louis Protche, il quale, insieme alla nutrita equipe di ingegneri che aveva portato con sé dalla Francia, risolse il problema del dislivello

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Istituto Comprensivo Statale “CINO DA PISTOIA”

Viaggio di istruzione 29 Aprile 2016

Classe I A

Pistoia-San Mommé-Castagno

Lo scorso 29 Aprile, in una bella giornata di sole, si è svolto il viaggio di istruzione

programmato per la classe prima A finalizzato a sviluppare la conoscenza del territorio

pistoiese, in particolare l’ambiente collinare dell’alta valle dell’Ombrone con la sua storia e le

sue tradizioni.

PARTENZA DALLA STAZIONE FERROVIARIA DI PISTOIA OVEST ALLE ORE 8:29

Per raggiungere il paese di San Mommè è stato utilizzato il treno della linea Porrettana.

La ferrovia Porrettana fu il primo collegamento transappenninico in quanto scavalcava interamente

la dorsale appenninica tra la Toscana e l’Emilia-Romagna, collegando Bologna a Pistoia. Detta

anche Strada ferrata dell'Italia Centrale, la Porrettana rappresenta un'opera di enorme portata

ingegneristica con le sue 47 gallerie e i 35 ponti e viadotti; fu inaugurata ufficialmente da Vittorio

Emanuele II nel 1864. Al tempo la lunghezza totale era di 99 km. Il tratto più difficile risultò quello

tra Pracchia e Pistoia, dove in

26 km venne superato un

dislivello di 550 metri.

L'impresa fu affidata

all'ingegnere francese Jean

Louis Protche, il quale,

insieme alla nutrita equipe di

ingegneri che aveva portato

con sé dalla Francia, risolse il

problema del dislivello

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progettando gallerie elicoidali,

considerate un miracolo di

ingegneria ferroviaria, due

tornanti (ferroviari) nel tratto

Piteccio - Corbezzi con la galleria

di Piteccio in curva e con tornanti

a forma di "S" della lunghezza

originaria di 1.753 m. ed il

problema del valico con una lunga

galleria di 2727 metri. Il viadotto

di Piteccio (foto a lato)

completava l'elenco delle

realizzazioni imponenti

tecnicamente ed estremamente

costose.

La realizzazione della "Porrettana" rappresentava un grande passo in avanti, ma fu presto chiaro

che era nata già inadeguata al compito per il quale era stata progettata.

L'esecuzione dei lavori fu lunga e costosa con 47 gallerie, per 13 km complessivi, viadotti e pendenze

del 26 per mille. Da quattro anni

ormai l'Austria aveva perso

l'egemonia sull'Italia; gli scopi

militari per cui era stata voluta

la linea non c'erano più e

utilizzata per il traffico di merci

e viaggiatori tra nord e sud

mostrò subito la sua scarsa

potenzialità e i suoi molti

problemi. La linea, a binario

semplice da Pistoia a Bologna,

per poco più di 98 km, era

innestata alla Prato-Firenze,

complessivamente 131 km. Tra

Pistoia e Pracchia, vi era un

grado di prestazione del 27% per cui, anche se la migliore locomotiva da montagna del periodo

successivo poteva trainare 160 tonnellate a velocità più elevata, con una percorrenza fra Firenze e

Bologna di 3 ore e mezzo, la linea aveva una potenzialità di sole 3.000 tonnellate di merci

trasportabili al giorno. Il treno inaugurale impiegò 5 ore per giungere da Bologna a Pistoia e l'orario

iniziale previde solo due coppie di treni giornalieri. Gli scopi promozionali del turismo della

montagna per i quali la Porrettana era stata voluta dai pistoiesi tuttavia non si realizzarono perché

l'intensa utilizzazione per il traffico di transito delle merci dirette a nord e a sud non permetteva lo

sviluppo di traffico locale, eccetto che per l'unica località di Terme della Porretta, centro di cura e

villeggiatura.

La galleria dell'Appennino creava gravi disagi ai viaggiatori e ai

macchinisti a causa del fumo asfissiante dei treni in salita che

penetrava dappertutto; i macchinisti e i fuochisti erano spesso

costretti a coprirsi il volto con un fazzoletto bagnato per evitare

l'asfissia. I pozzi di ventilazione aperti in seguito non risolvevano

il problema e i ventilatori "Saccardo", azionati da motori a

vapore, installati nel 1899 all'imbocco delle gallerie

dell'Appennino e di Piteccio lo migliorarono solo di poco. Si

aggiungevano anche problemi di frenatura a causa del deposito

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di scorie untuose e umide sui binari nei tratti coperti ed un clima invernale spesso difficile.

Durante la prima guerra mondiale, malgrado le evidenti difficoltà, il traffico raggiunse presto livelli

elevati e con un massimo di 70 treni nelle 24 ore. Si arrivò a predisporre delle squadre di macchinisti

a cavallo appostati all'uscita delle principali gallerie, pronti a saltare sui treni che arrancavano

salendo da Pistoia, per rilevare i colleghi semi-asfissiati. Nel 1916 un guasto al sistema di

ventilazione di una delle gallerie provocò numerosi morti tra i soldati di una tradotta diretta al fronte

Le locomotive a vapore avanzavano con scarsa velocità tanto che nel tratto di massima pendenza

Pistoia-Pracchia venivano attaccate a locomotive di spinta. Negli anni ’20 si passò finalmente a

locomotori a trazione elettrica trifase che permisero di raddoppiare la velocità di marcia, ma la linea

ormai sopportava un traffico ferroviario al limite. La Direttissima (tra Prato e Bologna), i cui i

lavori erano iniziati nel 1913, realizzata dopo tanti sforzi, era finalmente pronta e così il 22 aprile

1934 la Porrettana venne retrocessa a far fronte al solo traffico locale, con cinque coppie di treni al

giorno. La seconda guerra mondiale diede il colpo di grazia alla linea. Nel corso della ritirata dalla

Linea Gotica furono distrutte sistematicamente le opere d’arte, i fabbricati e tutto quello che poteva

essere utile al nemico. Tra Bologna-Pracchia furono fatti saltare 29 ponti, 8 gallerie, 10 stazioni, 45

case cantoniere, 52 km di binario. Si ricorse anche allo scontro di due locomotive cariche di esplosivo

in piena galleria. La ricostruzione avvenne a tempo di record e nel giro di qualche anno vennero

riattivate linea ed impianti; il tratto da Bologna a

Pracchia fu infatti riaperto il 5 ottobre 1947,

mentre quello tra Pracchia e Pistoia il 29 maggio

1949. La linea mantiene ancor oggi un traffico di

interesse prettamente locale.

ARRIVO ALLA STAZIONE

DI SAN MOMMÈ

ALLE ORE 8:55

Qui ci attende il Sig. Aldo

Romagnani della Pro Loco

di Castagno che si è

gentilmente offerto per

farci da guida nel corso

dell’escursione

Viadotto di Piteccio ricostruito con una sola serie di

arcate dopo la distruzione dell’originale nel corso

della II Guerra mondiale. A Piteccio un monumento

ricorda l’evento e le sue vittime.

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San Mommè (o Sammommè) è un piccolo paese nel comune di Pistoia sorto in prossimità della

sorgente dell'Ombrone Pistoiese, a circa 555 metri sul livello del mare.

Il paese, amena località di villeggiatura, è un piccolo gioiello incastonato nell'Appennino Tosco-

Emiliano, dove il vecchio borgo avvolto nel verde gode ancora di una natura incontaminata e il

tempo segue ritmi ancora "a misura d'uomo".

In quest'area Caterina de' Medici era solita soggiornare stagionalmente, con tutta la corte, per la

caccia al cervo. Il borgo era ben conosciuto anche all'epoca del Granducato, ma solo nei primi

lustri del '900 cominciò a svilupparsi trasformandosi in località di villeggiatura, aiutato anche

dall'entrata in funzione della fermata ferroviaria (intorno al 1930).

Il centro sorge intorno alla Pieve di San Matteo e al suo campanile, dotato delle campane più

prestanti della vallata; le abitazioni, inizialmente addossate attorno al piccolo oratorio di Pian di

Ripalta (detto Il Chiesino) nel casolare di Savaiana, si sono in seguito sviluppate intorno alla

Pieve; mano a mano le abitazioni si sono poi sparse tra i castagni dei boschi circostanti. Il borgo

non ha subito speculazioni edilizie, avendo la Pro - Loco locale acquisito gli spazi centrali del

Paese adibendone uno a parcheggio ed uno a parco (il Pratone).

Il vero centro del Paese è però la Piazza recentemente pavimentata su cui si affacciano la Pieve e

tutti i servizi.

San Mommè.

Davanti al piccolo

oratorio di

Pian di Ripalta

(detto il Chiesino)

La Pieve di San Matteo

e il suo campanile,

il centro del paese

di San Mommè

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Da San Mommè parte il

sentiero nel bosco che ci

porterà fino a Villa di

Piteccio

Eccoci sul sentiero; ci viene

incontro il Signor Benini,

volontario della Pro Loco di

Piteccio, sempre disponibile

ad accompagnare le

scolaresche per far loro

conoscere l’ambiente, la

storia, gli usi e costumi della

gente di montagna.

Ama così tanto questo territorio

che cura personalmente la

manutenzione dei sentieri e

promuove l’escursionismo nella

zona.

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Qui ha messo in sicurezza con

una corda un tratto di sentiero

irto e scivoloso

Con la guida del

Signor Aldo Romagnani

ecco la testa del gruppo,

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il gruppo centrale,

il gruppo di coda con

la guida del Signor Benini

La Montagna pistoiese occupa

un'estesa area a nord e nord-ovest di

Pistoia, sulla dorsale sud

dell'Appennino tosco-emiliano. Il

territorio presenta ampie zone forestali

che si differenziano in base

all’altitudine.

Nella fascia compresa fra i 500 è gli

800 m s.l.m. il bosco è costituto

prevalentemente da castagni, ma nella

selva si trovano anche altre essenze

arboree quali ornello, carpino nero,

cerro, ciliegio, acero di monte, acacia,

sambuco, agrifoglio e, qua e là, qualche esemplare di maggio ciondolo, leggio, biancospino, pino e

faggio. Il sottobosco è costituito da piante

erbacee, muschi, felci, eriche, ginestre, rovi

e vitalbe e, nella stagione favorevole, si

possono trovare funghi di varie specie fra

cui profumatissimi e prelibati porcini.

La fauna sul territorio è piuttosto variegata e

comprende il capriolo, il cervo, il daino, la

volpe, il cinghiale, la faina, la martora, la

puzzola, la donnola e il lupo fra i

mammiferi; l merlo, la poiana, la civetta,

l’averla, la ghiandaia fra gli uccelli; il

biacco o frustone, l’orbettino, la biscia, la

vipera, fra i rettili. A sinistra: Aghifoglio

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A sinistra: Ginestra A destra: Felce

Muschi, piante erbacee e piccole piantine nate dai semi caduti a terra

Il Castagno è l’albero prevalente

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Lungo il cammino il Sig.

Benini ci spiega che, fino

a 50, 60 anni fa, questi

sentieri rappresentavano

l’unica via di

comunicazione fra i

piccoli paesi di queste

colline e la città; venivano

frequentemente percorsi

a piedi e a dorso di mulo.

Riprendiamo il cammino per

raggiungere la “Caldina”,

sotto l’abitato di Villa di

Piteccio, dove ci aspetta il

Signor Ubaldo che ci

mostrerà il suo Metato, il

seccatoio per le castagne

ancora funzionante.

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Il Signor Ubaldo ci porta

all’interno del metato e ci

mostra la struttura del solaio in

tavolette di castagno e gli

attrezzi per la battitura delle

castagne secche.

Il metato è un

edificio con pareti e

tetto di lastre di

pietra, diviso al suo

interno in due livelli

da un solaio di

legno di castagno, "graticcio" o “canniccio”, sul quale

vengono stivate le castagne fresche, fino ad uno spessore di

circa 70 cm. Al centro della stanza, al piano terra, viene

acceso e alimentato costantemente per 40 giorni un fuoco di

legna i cui fumi e calore passano attraverso il graticcio e lo

strato di castagne. È fondamentale che le castagne vengano

periodicamente “rivoltate” in modo da ricevere tutte lo

stesso

grado di

calore e che la temperatura rimanga costante

poiché un calore troppo elevato accelera

l’essiccazione delle castagne con conseguente

ottenimento di farina di scarsa qualità. Una volta

seccate, le castagne devono essere private del

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guscio e della buccia; questo, una volta, veniva fatto attraverso l’operazione della “battitura”: le

castagne secche si mettevano in appositi recipienti, le bigonge, e si battevano energicamente con

uno strumento appuntito.

Questo lavoro ora viene effettuato da macchine apposite che vedremo più avanti,

presso il mulino di Romeo.

Al termine della battitura le donne trasferivano le

castagne secche nella “vassoia” e con ripetuti

movimenti le agitavano per eliminare il

“polverino”.

Sempre alle donne spettava il paziente e

prezioso lavoro del vaglio: le castagne

“bacate o poco bone” venivano scartate

per non danneggiare la qualità della

farina.

Le castagne buone venivano poi raccolte

in sacchi di iuta per essere portate al

mulino e macinate con macine in pietra.

Qui il Signor Ubaldo ci mostra il vaglio e i

sacchi di iuta che, in alcuni casi, recavano

le cifre dei proprietari ricamate a punto

croce.

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Il Signor Ubaldo ci mostra la stadera con cui

venivano pesati i sacchi di castagne prima e

dopo la seccatura; in genere tre sacchi di

castagne fresche rendono un sacco di castagne

secche.

Ci mostra anche le vecchie “forme” o

“testi” con cui si cuocevano i Necci.

Questi dischi di pietra arenaria venivano

arroventati al fuoco del caminetto e posti su

delle guide per mantenere il corretto

impilamento.

Nelle forme, leggermente scavate

internamente, tra due foglie essiccate e

rinvenute di castagno, si metteva l'impasto di

farina di castagne. Le donne provvedevano a

cambiare di volta in volta la disposizione dei

testi per assicurare a tutti i necci una cottura

uniforme. I Necci cotti nei testi di pietra

assumevano una colorazione bruna molto

marcata, con le sottili nervature delle foglie

di castagno, che conferivano al dolce un

sapore leggermente amaro.

Attualmente questo sistema di cottura non è

praticamente più usato; si preferiscono i

testi di ferro, due dischi muniti ognuno di

un lungo manico.

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Prima di ripartire il signor Ubaldo ci

intrattiene recitando “La Canzone del

Meo” .

Un centinaio di anni fa era consuetudine da

queste parti che gli uomini si recassero in

Maremma o in Sardegna a fare il carbone.

Le donne restavano a casa a badare alla casa,

coltivare i campi, governare il bestiame e i

bambini restavano con loro. Nella canzone del

Meo è il protagonista, in prima persona, a

raccontare la sua triste storia, la faticosa

esperienza vissuta da ragazzino di appena 10 anni

quando, dopo la scomparsa prematura del padre,

fu costretto, per guadagnarsi la vita, ad andare in

Maremma al seguito di una squadra di carbonai a fare il “meo” appunto, il giovane garzone che

svolgeva tutti i piccoli, noiosi e poco gratificanti lavori della carbonaia come andare a prendere

l’acqua, accendere il fuoco, fare da mangiare, riordinare le capanne.

Ci rimettiamo in cammino.

Ubaldo ci accompagna fino al lavatoio

dove gli abitanti di Villa di Piteccio

andavano a lavare i panni e a prendere

l’acqua.

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Poco più avanti ci mostra una croce che

ricorda il luogo dove, durante la II

Guerra mondiale, un gruppo di soldati

tedeschi delle SS trucidarono senza

ragione alcuni civili fra cui due bambini

Continuiamo il nostro itinerario

scendendo verso valle.

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Arriviamo all’abitato della Crocetta e

attraversiamo il torrente Ombrone;

notiamo alcune briglie, strutture in

muratura con la funzione di rallentare il

corso dell’acqua.

In questa zona più umida la vegetazione è

rigogliosa.

Risaliamo l’altro versante della

valle ed arriviamo al Mulino di

Romeo cui si rivolgono gli

abitanti della zona per

macinare le castagne secche.

Prima delle macine Romeo, che

prima faceva il meccanico, ci

mostra il macchinario che ha

ideato e costruito per togliere

le bucce dalle castagne

secche.

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Le macine sono due blocchi circolari di

pietra dura che, per rotazione effettuano la

triturazione del prodotto. Lavoravano

disposte ad asse verticale, sovrapposte ed

opportunamente distanziate. La macina

inferiore è fissa ed ha un foro al centro in

cui si collocano i cuscinetti di legno entro

cui gira l'albero. La macina di sopra gira

distanziata dall'altra di quel minimo spazio

corrispondente alla finezza della farina da

ottenere; il prodotto scende dalla

tramoggia.

Per mostrarci il funzionamento delle

macine il Signor Romeo ha messo nella

tramoggia del granturco.

Riprendiamo nuovamente il cammino; la

nostra prossima meta è il piccolo paese

di Castagno

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Siamo quasi arrivati; al tabernacolo della Vigna

scendiamo verso il paese;

superiamo la fonte dell’Alberuccio dove possiamo osservare una galleria idraulica della

ferrovia porrettana.

Siamo a Castagno con la piccola

Chiesa di San Francesco e la fontana

in pietra nel centro del paese

Castagno è un piccolo paese della montagna

pistoiese a circa 540 metri sul livello del mare.

Le strade acciottolate percorribili solo a piedi, la

chiesetta degli inizi del millennio scorso, la fontana

ottocentesca rendono questo paesino unico nel suo

genere. Nei boschi circostanti si possono ammirare

alberi di castagno secolari e raccogliere profumati

unghi porcini.

Opere di artisti come Bueno, Vivarelli, Maccari,

Martini e Vaccai, delizieranno la vostra passeggiata

per le vie del grazioso borgo trasformato negli anni

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settanta in un vero e proprio museo a cielo aperto.

Presso la Pro Loco potete ritirare le guide per visitare

il paese ed ammirarne le opere esposte o farvi

accompagnare dai volontari nel tour del paese.

Alle 14.00 circa, stanchi, ma contenti, siamo finalmente alla sede della Pro Loco di

Castagno per consumare il pranzo a base di pizza, focaccia col prosciutto e dolcetti

vari.

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… e ora via gli scarponi, diamo aria ai nostri piedi

che hanno tanto camminato; è il momento del

meritato … GIOCOOOO !!!

Verso le cinque del pomeriggio ci

rimettiamo in cammino sul vecchio sentiero

che ci condurrà a Piteccio per prendere

l’autobus di linea che ci riporterà a scuola.

Ci soffermiamo in una radura da dove

possiamo rivedere parte del nostro lungo

cammino della giornata da San Mommè, a

San Mommè Villa di Piteccio

Caldina

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Villa di Piteccio, poi alla “Caldina” e infine giù fino all’Ombrone.

Nell’ultimo tratto di sentiero verso

Piteccio un cartello ci illustra le

principali specie vegetali presenti

in questi boschi

Alle 17.50 prendiamo l’autobus che

ci riporta a scuola; siamo stanchi,

ma soddisfatti per aver trascorso

una bella giornata in compagnia e

aver vissuto un’esperienza che ci

ha fatto conoscere qualcosa in più del nostro territorio.

Si ringraziano:

la Pro Loco di Castagno ed in particolare il Signor Aldo Romagnani che si è

prestato gentilmente a farci da guida ed ha collaborato attivamente

all’organizzazione del programma dell’escursione e i volontari che hanno

preparato e servito il pranzo;

i signori Benini, Ubaldo della Caldina e Romeo del Mulino del Bruni per

l’ospitalità e la disponibilità a farci conoscere, attraverso racconti e ricordi,

qualche frammento della storia dei nonni e bisnonni che abitavano le colline

pistoiesi.