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POLITECNICO DI MILANO Facoltà di Ingegneria Industriale e dell’Informazione Corso di Laurea in Ingegneria Energetica Dipartimento di Energia Analisi modellistica di Impianti di Trattamento Meccanico-Biologico (TMB) per Rifiuti Solidi Urbani (RSU) Relatore: Prof. Federico VIGANÒ Tesi di Laurea di: Leonardo PRAZZOLI Matr. 804871 Anno Accademico 2013 2014

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POLITECNICO DI MILANO

Facoltà di Ingegneria Industriale e dell’Informazione

Corso di Laurea in Ingegneria Energetica

Dipartimento di Energia

Analisi modellistica di Impianti di Trattamento Meccanico-Biologico (TMB) per

Rifiuti Solidi Urbani (RSU)

Relatore: Prof. Federico VIGANÒ

Tesi di Laurea di:

Leonardo PRAZZOLI Matr. 804871

Anno Accademico 2013 – 2014

Un sentito ringraziamento al Professor Viganò per il

costante confronto rivelatosi prezioso per la realizzazione

del lavoro.

Indice

ABSTRACT ......................................................................................................... 9

CAPITOLO 1

1 Introduzione ................................................................................................ 13

1.1 La gestione dei rifiuti urbani nel contesto europeo ................................... 13

1.2 La produzione e la raccolta differenziata del RU in Italia ........................ 14

1.3 La gestione dei rifiuti urbani in Italia ........................................................ 17

1.3.1 Focus su impianti TMB e CSS 19

CAPITOLO 2

2 Il Combustibile Solido Secondario (CSS) ................................................. 21

2.1 Introduzione legislativa e norma UNI 9903 .............................................. 21

2.2 Normativa attuale ...................................................................................... 22

2.2.1 Norma UNI CEN/TS 15359 23

2.2.2 Il CSS-Combustibile 25

CAPITOLO 3

3 I sistemi TMB .............................................................................................. 27

3.1 Impianti finalizzati alla produzione di CSS .............................................. 27

3.2 Impianti MRF ............................................................................................ 31

CAPITOLO 4

4 La modellizzazione dei sistemi TMB ........................................................ 33

4.1 Caratterizzazione del Rifiuto Solido Urbano (RSU) ................................. 33

4.1.1 Suddivisione merceologica 33

4.1.2 Distribuzione dimensionale 35

4.1.3 Proprietà combustive 45

4.2 Il vaglio ..................................................................................................... 48

4.2.1 Vaglio primario 48

4.2.2 Vaglio secondario 49

4.3 Il trituratore ............................................................................................... 50

4.3.1 Modellizzazione trituratore 50

4.4 Separatori metallici ................................................................................... 65

4.4.1 Definizione dei fattori di purezza e recupero 65

4.4.2 Separatori a magneti permanenti 66

4.4.3 Separatore a correnti indotte 66

4.5 La bioessicazione ...................................................................................... 67

4.5.1 Modellizzazione della bioessicazione 68

4.5.2 La maturazione 70

CAPITOLO 5

5 Casi di studio .............................................................................................. 73

5.1 Definizioni ................................................................................................ 73

5.1.1 Caratterizzazione del RUR in ingresso 73

5.1.2 Definizione dei parametri di merito 74

5.2 Impianto di riferimento ............................................................................. 75

5.2.1 Analisi delle prestazioni-impianto di riferimento 76

5.3 Impianto tradizionale ................................................................................ 80

5.3.1 Analisi delle prestazioni-impianto tradizionale 81

5.4 Impianto a flusso unico con biostabilizzazione ........................................ 85

5.4.1 Analisi delle prestazioni-impianto biostabilizzazione 85

5.5 Confronto generale ................................................................................... 88

CAPITOLO 6

6 L’utilizzo del CSS nei cementifici ............................................................. 89

6.1 Il processo produttivo del cemento ........................................................... 89

6.2 L’utilizzo del CSS in co-combustione ...................................................... 90

6.2.1 La sostenibilità del co-processing 90

6.3 Situazione attuale ...................................................................................... 92

6.3.1 Il mercato europeo del cemento 92

6.3.2 Il mercato del cemento in Italia 93

6.3.3 Il co-processsing in Italia 95

6.4 Possibili sviluppi ....................................................................................... 99

CAPITOLO 7

7 Analisi dei costi d’investimento per TMB ............................................. 103

7.1 Material Cost .......................................................................................... 104

7.1.1 Costo dei macchinari 104

7.1.2 Costo dei capannoni 105

7.1.3 Material Cost complessivo 108

7.2 Costo Totale d’investimento ................................................................... 108

CAPITOLO 8

8 Conclusioni e sviluppi futuri.................................................................... 111

8.1 Conclusioni ............................................................................................. 111

8.2 Sviluppi futuri ......................................................................................... 114

BIBLIOGRAFIA ............................................................................................. 115

Abstract

The European Directives on waste require the development of appropriate

integrated waste management system, which respect the hierarchy of recovery

and disposal. The production of Solid Recovered Fuel (SRF) through

Mechanical-Biological Treatment (MBT) can bring about significant advantages

when correctly integrated within the local waste management system. This

thesis introduces a simple and effective model to assess the performances of

Mechanical-Biological Treatments, allowing their design according to the

characteristics of the incoming waste. The model of each component determines

the output flows according to the characteristics of the component and of the

input stream. The combination of model components allows the simulation of

different MBT configuration. The co-combustion of SRF in cement plants was

analyzed to highlight the current situation and the possible developments.

Finally, an evaluation of investment cost for Mechanical-Biological Treatment

system was carried out.

Keywords: Solid Recovered Fuel (SRF), Municipal Solid Waste (MSW),

Mechanical and Biological Treatment (MBT), Co-combustion

Sommario

Le Direttive Europee in materia di rifiuti impongono lo sviluppo di un

appropriato modello di gestione integrata, rispettoso della gerarchia dei processi

di recupero e smaltimento. La produzione di Combustibile Solido Secondario

(CSS) in impianti di Trattamento Meccanico e Biologico (TMB) può presentare

consistenti vantaggi se correttamente integrata all’interno del sistema locale di

gestione dei rifiuti. La tesi introduce un modello semplice ed efficace per

simulare le prestazioni di semplici impianti di Trattamento Meccanico e

Biologico, consentendone una progettazione in accordo con le caratteristiche del

rifiuto in ingresso. Il modello di ogni componente determina il flusso in uscita in

accordo con le caratteristiche dell’unità e il flusso in ingresso. La combinazione

dei vari modelli dei componenti permette la simulazione di differenti

configurazioni dell’impianto di Trattamento Meccanico e Biologico. Si è, inoltre

analizzato il processo di co-combustione all’interno di cementifici,

evidenziandone la situazione attuale e le possibilità di sviluppo. È stata, infine

effettuata una stima economica dell’investimento necessario alla realizzazione

di un impianto di Trattamento Meccanico e Biologico.

Parole chiave: Combustibile Solido Secondario (CSS), Rifiuto Solido Urbano

(RSU), Trattamento Meccanico e Biologico (TBM),

Co-combustione

Capitolo 1

1 Introduzione

«Waste means any substance or object which the holder discards or intends or is

required to discard» [EU Directive 2008/98, Art. 3]

1.1 La gestione dei rifiuti urbani nel contesto europeo

Il Rapporto ISPRA sui Rifiuti Urbani (RU) del 2014 [1], ha rilevato come vi sia

stata in Italia ed Europa una diminuzione della produzione di rifiuti urbani

riducendo l’impatto che le attività umane hanno sull’ambiente. La politica della

riduzione è, infatti, la prima metodologia da attuare per cercare diminuire le

difficoltà che derivano dalla gestione dei rifiuti. La riduzione nella produzione

di rifiuti urbani in Europa è stata per il 2012 del 2,4% rispetto l’anno precedente

[1] ed anche la produzione pro capite appare essere in diminuzione. È tuttavia

difficile, allo stato attuale, stabilire se questa riduzione sia determinata

esclusivamente dalla crisi economica internazionale che penalizza i consumi o

se, invece, si stiano effettivamente affermando modelli di consumo e produzione

più virtuosi.

Figura 1.1-Produzione annua 2012 pro-capite di rifiuti [kg/abitante per anno]

(Fonte:Elaborazione ISPRA su dati Eurostat)

Dalla Figura 1.1 si può notare come i paesi più ricchi e sviluppati del Nord

Europa abbiano una produzione pro capite di Rifiuti Urbani (RU) superiore ai

0

100

200

300

400

500

600

700

800

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Lett

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ia

Esto

nia

Capitolo 1

14

paesi dell’est, appena entrati a far parte dell’Unione Europea. Un’altra

importante differenza tra queste macroaree riguarda le modalità di gestione dei

rifiuti. Mentre nei paesi in via di sviluppo gran parte dei rifiuti prodotti viene

smaltita in discarica, nei paesi più sviluppati ed attenti alla gestione del RU, tale

pratica è pressoché assente ed aumentano, invece, le frazioni di rifiuti incenerite

ed avviate a riciclaggio (Figura 1.2).

L’Italia si colloca in una situazione intermedia tra le due configurazioni.

Figura 1.2-Ripartizione [%] della gestione dei rifiuti urbani dell’UE nel 2012

(Fonte: Elaborazione ISPRA su dati Eurostat)

1.2 La produzione e la raccolta differenziata del RU in Italia

«Nel 2013, la produzione nazionale (in Italia n.d.r.) dei rifiuti urbani si attesta a

circa 29,6 milioni di tonnellate, facendo registrare una riduzione di quasi 400

mila tonnellate rispetto al 2012 (-1,3%). Tale contrazione, che fa seguito ai cali

già registrati nel 2011 e nel 2012, porta a una riduzione complessiva di circa 2,9

milioni di tonnellate rispetto al 2010 (-8,9%).» [1] In parallelo alla riduzione dei

rifiuti prodotti, in Italia, è stata potenziata la raccolta differenziata delle diverse

tipologie merceologiche, per la quale il D.Lgs. n. 152/2006 e la legge n.

296/2006 individuano i seguenti obiettivi in termini di materiale raccolto su

rifiuti urbani totali:

- Almeno il 35% entro il 31 dicembre 2006

- Almeno il 40% entro il 31 dicembre 2007

- Almeno il 45% entro il 31 dicembre 2008

- Almeno il 50% entro il 31 dicembre 2009

Introduzione

15

- Almeno il 60% entro il 31 dicembre 2011

- Almeno il 65% entro il 31 dicembre 2012

«La direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE, recepita nell’ordinamento nazionale

dal D.Lgs. n. 205/2010, affianca agli obiettivi di raccolta previsti dalla

normativa italiana un target di preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di

specifici flussi di rifiuti quali i rifiuti urbani. In particolare, la direttiva quadro

prevede che, entro il 2020, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di

carta, metalli, plastica e vetro provenienti dai nuclei domestici (ma

possibilmente anche di altra origine) sia aumentata complessivamente almeno al

50% in termini di peso. Per promuovere il riciclaggio di alta qualità, gli stati

membri istituiscono la raccolta differenziata dei rifiuti, ove essa sia fattibile sul

piano tecnico, ambientale ed economico».[1]

La direttiva 2008/98/CE, pur non prevedendo target di raccolta differenziata

richiede, dunque, che si proceda alla sua attivazione e che siano conseguiti

specifici obiettivi di preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio con riguardo,

quantomeno alle frazioni indicate (carta, metalli, plastica e vetro).

Nel 2013, la percentuale di raccolta differenziata in Italia si attestava al 42,3%

della produzione nazionale (Figura 1.3), facendo rilevare una crescita di oltre 2

punti percentuali rispetto al 2012 (40%). Si può notare, tuttavia, come,

nonostante l’incremento, non è stato tuttora conseguito l’obiettivo fissato dalla

normativa per il 2008 (45%).[1]

Figura 1.3-Andamento della percentuale [%] di raccolta differenziata del RU

(Fonte: ISPRA)

Dalla Figura 1.3 si può notare come un aumento delle percentuali di riciclo si sia

realizzato in maniera piuttosto uniforme in tutta l’Italia: tutte le regioni hanno

0

10

20

30

40

50

60

Nord Centro Sud Italia

2009

2010

2011

2012

2013

obiettivo 2009

obiettivo 2008

Capitolo 1

16

infatti incrementato la raccolta differenziata al loro interno di circa il 10%. La

raccolta differenziata risulta, tuttavia, ancora più sviluppata nel Nord Italia,

sebbene anche lì si registri un ritardo rispetto agli obiettivi normativi.

La Figura 1.4 mostra, infatti, che al 2013, le uniche due regioni ad aver

raggiunto l’obiettivo del 2012 (65%) erano Trentino-Alto Adige e Friuli-

Venezia Giulia.

Figura 1.4-Percentuale raccolta differenziata RU nel 2013 (Fonte: ISPRA)

A questo punto, è necessario rilevare che la raccolta differenziata attuata oggi in

Italia non si limita, tuttavia, alle frazioni obbligatorie per legge (carta,metalli,

plastica e vetro), ma comprende anche altre frazioni. La frazione cellulosica e

quella organica rappresentano nel loro insieme oltre il 66% della raccolta

differenziata (Figura 1.5). Queste ultime unitamente alle frazioni tessili ed al

legno, costituiscono i cosiddetti rifiuti biodegradabili. Tale frazione rappresenta,

nell’ultimo anno di riferimento, circa il 72,1% del totale dei rifiuti raccolti in

modo differenziato.[1]

0

10

20

30

40

50

60

70

Tren

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Sici

lia

obiettivo 2012

Introduzione

17

Figura 1.5-Ripartizione merceologica della raccolta differenziata nel 2013 (Fonte: ISPRA)

L’obiettivo sulla preparazione al riutilizzo e al riciclaggio (50% in peso),

imposto dalla direttiva 2008/98/CE e tradotto nel D.Lgs. n. 205/2010, è, ad oggi,

ancora da raggiungere. In questi anni tale quantitativo è cresciuto e si attestava

nel 2013 tra il 37,6% ed il 41,8% a seconda delle modalità con cui viene

calcolata tale percentuale (definite all’interno del Rapporto ISPRA 2013 [1]). Vi

è dunque, allo stato attuale, la necessità di implementare ulteriormente le

tecniche di riciclaggio e di riutilizzo, in modo da poterle affiancare

all’incremento della raccolta differenziata. Potenziando in maniera sinergica le

due attività, si costituirebbe, infatti, un’unica filiera in grado di sfruttare nel

processo di riciclaggio tutte le potenzialità della separazione a monte dei rifiuti.

1.3 La gestione dei rifiuti urbani in Italia

L’Unione Europea ha definito, con la decisione 1386/2013/UE, il programma

generale d’azione in materia di politica ambientale. In termini di rifiuti l’UE

richiede l’applicazione della gerarchia dei rifiuti ed un uso efficace degli

strumenti di mercato, così da garantire che:

1. Le discariche siano limitate ai rifiuti residui non riciclabili o recuperabili

2. Il recupero energetico sia limitato ai materiali non riciclabili

3. I rifiuti riciclati siano utilizzati come fonte principale ed affidabile di materie

prime

4. I rifiuti pericolosi siano gestiti responsabilmente,limitandone la produzione

5. I trasporti di rifiuti illegali siano sradicati

6. I rifiuti alimentari siano ridotti

41,8

24,4

12,8

7,6

5,1

3,2 1,9 1,6 0,9

organico

carta e cartone

vetro

plastica

legno

ingombranti

metallo

RAEE

tessili

selettiva

Altro

Capitolo 1

18

Figura 1.6-Piramide dei trattamenti dei rifiuti secondo la Direttiva Europea

Figura 1.7-Ripartizione [%] della gestione del RU nel 2013 in Italia (Fonte: ISPRA)

In Italia circa il 30% dei rifiuti urbani prodotti viene lavorato all’interno di

impianti di trattamento meccanico e biologico al fine di migliorare le

caratteristiche del rifiuto a seconda del successivo impiego. La stabilizzazione

del rifiuto attraverso la riduzione dell’umidità in esso contenuta, risulta essere

un processo utile tanto per i rifiuti che vengono smaltiti in discarica, quanto per

quelli inceneriti.

Dalla Figura 1.7 si nota come l’Italia faccia largamente ricorso allo smaltimento

in discarica, che interessa circa il 37% dei rifiuti. Viene, quindi, alla luce la

necessità di ridurre questa frazione cercando di indirizzare tali flussi verso un

36,9%

18,2%

24,1%

14,6%

1,9% 1,7% discarica

incenerimento

recupero materia

trattamento biologico della frazione organica RD fonte di energia

trattamenti di selezione e biostabilizzazione esportazioni

copertra discariche

Altro

Introduzione

19

recupero di materia od energia. Risulta, infatti, importante ai fini della riduzione

dell’impatto ambientale, far si che lo smaltimento in discarica sia l’ultima, e non

la prima, soluzione utilizzata. Nella combustione in inceneritori, cui consegue il

recupero di energia, viene utilizzato circa il 18,2% del RU prodotto, frazione

destinata ad aumentare con il lento abbandono dello smaltimento in discarica.

Come sottolineato dalle politiche europee, lo strumento del recupero energetico

deve essere adottato solo per quei materiali per cui si sia nell’impossibilità di

procedere ad un recupero della materia stessa.

Il riciclaggio di rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata o dagli impianti

TMB raggiunge nel suo complesso circa il 38,7%: poco più di un terzo di questa

parte è costituito dal recupero di materia da sola frazione organica, mentre il

restante contributo è dato da tutte le altre frazioni merceologiche. L’incremento

di questa frazione è alla base degli obiettivi per la raccolta differenziata. Solo

una piccola frazione di rifiuti (circa l’1,9%) viene utilizzato in impianti

(cementifici) come fonte energetica con l’obiettivo di sostituire le fonti fossili.

[1]

1.3.1 Focus su impianti TMB e CSS

Nel 2013, in Italia, sono state avviate a trattamento meccanico e biologico più di

9 milioni di tonnellate di rifiuti, valore in crescita (+8,5%) rispetto al 2012. La

maggior parte di tali rifiuti (86,7%) risulta essere costituita da rifiuti urbani

indifferenziati, in particolare per il 2013 7,9 milioni di tonnellate di RSU sono

state trattate negli impianti TMB. La restante parte si suddivide fra residui dei

trattamenti dei rifiuti urbani (8,6%), frazioni derivanti dalla raccolta

differenziata (2,1%) e rifiuti speciali di derivazione industriale (2,6%) [1]. Sul

territorio nazionale sono presenti 117 impianti autorizzati al trattamento di 13,6

milioni di tonnellate di rifiuti: questi impianti sono però sfruttati nel loro

complesso per solo il 67% della loro capacità (Tabella 1.1).

Tabella 1.1-Focus impianti TMB nel 2013 (Fonte: ISPRA)

I prodotti in uscita da questi impianti (oltre 7,1 milioni di tonnellate nel 2013)

risultano differenti tra loro al variare della tipologia del rifiuto in ingresso e

soprattutto dell’obiettivo dell’impianto. I flussi prodotti maggiormente sono

frazione secca, CSS, frazione organica non compostata e biostabilizzato (Figura

1.8). È utile notare come nel 2013 sia stato prodotto, in Italia, più di una

tonnellata di combustibile derivato da rifiuti corrispondente al 14,6% di tutti i

prodotti degli impianti TMB [1].

Nord Centro Sud ITALIA

numero impianti 39 32 46 117

quantità in ingresso autorizzata 3.583.414 4.192.095 5.827.514 13.603.023

quantità in ingresso 2.414.455 2.907.069 3.793.244 9.114.768

% di sfruttamento 67,38% 69,35% 65,09% 67,01%

Capitolo 1

20

Figura 1.8-Suddivisione dei prodotti degli impianti TMB - Italia 2013 (Fonte:ISPRA)

La destinazione di questi prodotti (Figura 1.9) dipende dalla loro tipologia e

dalle strategie di gestione utilizzate. Il 53,12% (circa 3,8 milioni di tonnellate)

del flusso in uscita dagli impianti TMB viene smaltito in discarica. Si tratta

essenzialmente di frazione secca, biostabilizzato e frazione organica non

compostata. Solo l’8% (574 mila tonnellate) viene destinato a recupero

energetico in impianti produttivi (es. cementifici) ed è costituito principalmente

da CSS e frazione secca. La quasi totalità del CSS viene avviata ad

incenerimento insieme ad una quota parte di frazione secca e rifiuti misti, che

nel loro totale costituiscono il 24,2% dei prodotti degli impianti TMB. In Italia

vengono complessivamente inceneriti più di 5,8 milioni di tonnellate: 2,5

milioni di RSU, 1,8 milioni di frazione secca, oltre un milione di CSS (da

impianti TMB) e la restante parte di rifiuti speciali.

Figura 1.9-Destinazione dei prodotti dagli impianti TMB - Italia 2013 (Fonte: ISPRA)

43,4%

14,6%

12,3%

11,8%

6,6%

3,8%

3,3% 2,5% 1,7% Frazione secca

CSS

Frazione organica non compostata Biostabilizzato

Frazione umida

Rifiuti misti da trattamento meccanico Bioessicato

Frazioni recuperabili

53,12%

24,19%

8,07%

5,23%

2,84% 2,65% 1,58%

Discarica

Incenerimento

Recupero energia

Biostabilizzazione

Copertura discarica

Recupero materia

Produzione CSS

Altro

Capitolo 2

2 Il Combustibile Solido Secondario (CSS)

Il Combustibile Solido Secondario (CSS) è “il combustibile solido prodotto da

rifiuti che rispetta le caratteristiche di classificazione e di specificazione

individuate delle norme tecniche UNI CEN/TS 15359 e ss.mm.ii.” [Art. 183,

lettera cc, D.Lgs. 152-2006 come modificato dal D.Lgs. 205-2010].

2.1 Introduzione legislativa e norma UNI 9903

Il legislatore italiano, in attuazione di alcune direttive CEE, ha disciplinato per

la prima volta l’ RDF (Refuse Derived Fuel) con il D.M. 16/01/95, poi sostituito

dal D.Lgs. 22/1997, che ha introdotto la nuova definizione di CDR

(Combustibile Derivato da Rifiuti), ossia "il combustibile ricavato dai rifiuti

urbani mediante trattamento finalizzato all'eliminazione delle sostanze

pericolose per la combustione ed a garantire un adeguato potere calorico, e che

possieda caratteristiche specificate con apposite norme tecniche" [D.Lgs. 22/97,

art. 2, lett. p]. Il D.M. del 5/02/98, che regolava nello specifico il CDR, è stato,

fino all’emanazione della normativa attuale, il vero e proprio quadro di

riferimento legislativo in materia, insieme alle norme tecniche elaborate dal

Comitato Termodinamico Italiano (norma UNI 9903).

Il CDR è un vettore energetico classificabile, sulla base delle norme tecniche

UNI 9903, che può essere prodotto a partire da Rifiuti Solidi Urbani (RSU)

(percentuale in peso di almeno il 50%) e da rifiuti speciali, preventivamente

separati delle frazioni destinate a recupero di materia. Le caratteristiche che

doveva avere il CDR erano raccolte nella norma UNI 9903 la quale classificava

il combustibile derivato da rifiuti in due diverse classi:

- CDR di qualità normale: ricalcava le specifiche definite dal D.M. 05/02/98 in

modo da mantenere legali le produzioni già avviate.

- CDR di qualità elevata: questa classe era caratterizzata da specifiche più

stringenti sia per quanto riguardava le sostanze potenzialmente dannose per

l’ambiente, sia per quanto riguardava i parametri d’interesse tecnologico

come PCI e contenuto d’umidità.

In Tabella 2.1 sono riportate le caratteristiche delle due classi di combustibile

contenute all’interno della norma UNI 9903.

Capitolo 2

22

Tabella 2.1-Caratteristiche del CDR e del CDR-Q (Fonte: UNI 9903)

2.2 Normativa attuale

Il D.Lgs 205/2010, che recepisce la direttiva 98/2008/CE, introduce il CSS

(Combustibile Solido Secondario) ottenuto da rifiuti non pericolosi, utilizzato

per il recupero di energia in impianti di incenerimento e co-incenerimento. Tale

materiale deve rispondere alla classificazione fornita dalle norme UNI EN

15359 [2]. Il CSS può derivare dal trattamento di frazioni omogenee e

opportunamente selezionate di “rifiuti urbani, rifiuti industriali, rifiuti

commerciali, rifiuti da costruzione e demolizione, fanghi da depurazione delle

acque reflue civili e industriali, ecc.” [2].

RDF qualità RDF qualità

normale elevata

umidità % massa t.q. max. 25 % massa t.q. max. 18

P.C.I. MJ/kg t.q. min. 15 MJ/kg s.s. min. 20

Ceneri % massa s.s. max. 20 % massa s.s. max. 15

Cloro totale % massa t.q. max. 0,9 % massa s.s. max. 0,7

Zolfo % massa t.q. max. 0,6 Mg/kg s.s. max. 0,3

Pb (1) mg/kg s.s. max. 200 Mg/kg s.s. max. 100

Cr mg/kg s.s. max. 100 Mg/kg s.s. max. 70

Cu (2) mg/kg s.s. max. 100 Mg/kg s.s. max. 50

Mn mg/kg s.s. max. 400 mg/kg s.s. max. 200

Ni mg/kg s.s. max. 40 mg/kg s.s. max. 30

As mg/kg s.s. max. 9 mg/kg s.s. max. 5

Cd+Hg mg/kg s.s. max. 7 mg/kg s.s. --

Cd mg/kg s.s. -- mg/kg s.s. max. 3

Hg mg/kg s.s. -- mg/kg s.s. max. 1

Contenuto di vetro % s.s. * % s.s. *

Fe % s.s. * % s.s. *

Fluoro % s.s. * % s.s. *

Al % s.s. * % s.s. *

Sn % s.s. * % s.s. *

Zn % s.s. * % s.s. *

aspetto esteriore * *

pezzatura mm * mm *

rammollimento ceneri °C * °C *

(1) Frazione volatile, (2) Composti solubili

* Per questi parametri non è richiesto il limite di accettazione. Tuttavia, se ne raccomanda l'indicazione

Parametro u.m. u.m.

Il Combustibile Solido Secondario (CSS)

23

2.2.1 Norma UNI CEN/TS 15359

Figura 2.1-Catena del CSS (Fonte: UNI CEN/TS 15359) [2]

«L’obiettivo di questo documento è quello di fornire principi di classificazione e

specifiche chiare ed univoche per i SRF (Solid Recovered Fuels).»[2] La

normativa europea unica si propone come strumento di negoziazione del CSS

promuovendone l’accettabilità sul mercato e puntando ad aumentare la fiducia

della società nei confronti di tale combustibile. La definizione di specifiche

chiare cerca di limitare la variabilità intrinseca di questo prodotto, in modo da

permettere una maggior comprensione tra venditore ed acquirente e facilitare di

conseguenza la mobilità del combustibile. Il CSS viene prodotto a partire da

rifiuti non pericolosi, che possono variare tra rifiuti solidi urbani, rifiuti

industriali, rifiuti speciali da recupero di materia ecc. (Figura 2.1). Poiché i

materiali di partenza risultano vari ed eterogenei, classificare il CSS in modo

chiaro ed univoco permette di facilitare il dialogo tra gli operatori del mercato.

Identificare in modo più sicuro tale combustibile, ne semplificherà, inoltre, l’uso

ed il controllo, aiutando le autorità nelle procedure di autorizzazione.

Tabella 2.2-Caratteristiche del CSS e del sottoinsieme CSS-C (in grigio) (Fonte: EN 15359)

1 2 3 4 5

Potere calorifico inferiore (PCI) Media MJ/kg (ar) ≥ 25 ≥ 20 ≥ 15 ≥ 10 ≥ 3

1 2 3 4 5

Cloro (Cl) Media % (d) ≤ 0,2 ≤ 0,6 ≤ 1,0 ≤ 1,5 ≤ 3

1 2 3 4 5

Mercurio (Hg) Mediana mg/MJ (ar) ≤ 0,02 ≤ 0,3 ≤ 0,08 ≤ 0,15 ≤ 0,50

80° percentile mg/MJ (ar) ≤ 0,04 ≤ 0,06 ≤ 0,16 ≤ 0,30 ≤ 1,00

ar = as recieved (tal quale)

d = dry basis (base secca)

Parametro di classificazione Misura statistica Unità di misura

Parametro di classificazione Misura statistica Unità di misura Classi

Classi

Classi

Parametro di classificazione Misura statistica Unità di misura

Capitolo 2

24

Ciascun CSS è classificato in base a tre diversi parametri che descrivono tre

caratteristiche del combustibile (Tabella 2.2):

- Il Potere Calorifico Inferiore (PCI) rappresenta il contenuto energetico del

CSS, e viene considerato come un indicatore del suo valore commerciale. È

qui utilizzato come parametro economico.

- Il contenuto di cloro (Cl) è un parametro tecnologico ed indica l’aggressività

del combustibile sugli impianti (fumi e ceneri).

- Il contenuto di mercurio (Hg) è preso a riferimento dell’impatto ambientale

che il CSS genera. Tale elemento viene utilizzato come riferimento per tutte le

componenti dannose per l’ambiente, poiché si è notato come esso vari in

maniera proporzionale agli altri elementi. Avere un CSS contenente un piccola

quantità di mercurio significa che tale combustibile contiene anche valori

ridotti di tutti gli altri elementi inquinanti.

Ognuno di questi parametri viene suddiviso in 5 classi in cui la classe 1 è quella

a più alte specifiche qualitative (PCI maggiore e quantità di Cl e Hg inferiori).

Risulta necessario fornire una terna di valori per identificare univocamente una

tipologia di CSS (es. PCI 3; Cl 2; Hg 2) tra le 125 rappresentazioni che

descrivono tutti i CSS possibili. Questa classificazione non risulta di per sé

sufficiente per l’utilizzatore poiché necessita di una descrizione più dettagliata.

Alcune delle proprietà del CSS risultano così importanti che devono essere

obbligatoriamente specificate, mentre altre possono essere registrate

volontariamente, ad esempio su richiesta dell’acquirente. Le informazioni

aggiuntive obbligatorie sono:

- Origine del rifiuto in ingresso all’impianto di produzione, che può essere fatta

tramite testo o codici numerici CER (Catalogo Europeo dei Rifiuti)

- Forma delle particelle

- Dimensione delle particelle, che devono essere calcolate tramite prove di

setacciatura e descritte attraverso distribuzioni cumulate (EN 15415-1)

- Contenuto di ceneri su base secca (EN 15403)

- Contenuto di umidità (CEN/TS 15414-1, CEN/TS 15414-2, EN 15414-3)

- PCI sia tal quale che su base secca (EN 15400)

- Proprietà chimiche come il contenuto di cloro e dei singoli metalli pesanti,

specificando anche la massa totale di questi ultimi. I limiti di questi elementi

sono frutto di un accordo tra produttore e utilizzatore del CSS.

La classificazione del CSS resta valida per un periodo di produzione di 12 mesi,

il sistema di gestione qualità (SGQ) viene applicato su questo periodo al fine di

garantire la corrispondenza tra CSS prodotto e classi dichiarate. Il peso massimo

di un lotto per la classificazione è di 1.500 tonnellate. Qualora la produzione

annua di un impianto TMB risulti inferiore alle 15.000 tonnellate di CSS, la

dimensione del lotto deve essere pari ad un decimo della produzione annua. Se

vi sono modifiche significative ai materiali in ingresso o al processo di

produzione, tali da comportare una variazione della classe di definizione,

Il Combustibile Solido Secondario (CSS)

25

bisogna considerare di interrompere la produzione poiché questa non rispecchia

più la classificazione assegnata al prodotto. Per ciascun lotto si deve eseguire

almeno una misurazione per ciascuna caratteristica ed il tutto deve essere

ripetuto per 10 lotti. Le modalità di campionamento ed analisi sono descritte con

precisione nelle norme UNI EN 15442, UNI EN 15443 e UNI EN 15413. Una

volta effettuate le verifiche per ciascun sottolotto, il produttore del CSS deve

emettere la Dichiarazione di Conformità, dove dichiara la corrispondenza del

prodotto con le caratteristiche dichiarate durante la classificazione.

Figura 2.2-Schematizzazione del processo di campionamento (Fonte: UNI CEN/TS 15359)

2.2.2 Il CSS-Combustibile

Il D.M. 14/02/2013 introduce alcune ulteriori specifiche al fine di promuovere

l’utilizzo di CSS. Apportare chiarezza giuridica e comportamentale in materia,

può portare infatti ad un aumento di fiducia nei confronti di tale combustibile, il

cui utilizzo diffuso renderebbe possibile una parziale indipendenza energetica

del territorio. L’obiettivo è quello di sostituire i combustibili tradizionali,

contribuendo alla riduzione delle emissioni inquinanti e incrementando l’utilizzo

di fonti rinnovabili, quali la biomassa contenuta nei rifiuti. Così facendo vi

sarebbe anche un innalzamento del livello di recupero dai rifiuti nel rispetto

della gerarchia di trattamento, riducendo gli oneri legati allo smaltimento in

discarica. Nel decreto si afferma, all’articolo 4, che il CSS cessa di essere

qualificato come rifiuto se una volta emessa la Dichiarazione di Conformità

viene definito come CSS-Combustibile. Questa è una particolare qualità di CSS

tale da appartenere alle classi 1, 2 e 3 per PCI e Cl, ed alle classi 1 e 2 per Hg

(Tabella 2.2). Per la produzione di tale combustibile sono utilizzabili solo rifiuti

urbani e speciali non pericolosi, e sono inoltre previsti limiti più stringenti per il

contenuto dei metalli pesanti (Tabella 2.3).

Capitolo 2

26

Tabella 2.3-Limiti del contenuto di metalli nel CSS-C (Fonte: DM 14/02/2013)

La produzione, il trasporto e lo stoccaggio del CSS vengono disciplinati in modo

da evitare che si verifichino nel processo contaminazioni di acqua, aria e suolo,

autocombustione e diffusione di odori. Per questo motivo ad esempio, solo

impianti provvisti di specifiche autorizzazioni possono produrre il CSS-C ed il

trasporto tra l’impianto di produzione e quello di utilizzo deve avvenire senza

depositi intermedi. L’uso di questo combustibile viene limitato a solo due

tipologie d’impianto al fine di massimizzare i vantaggi e raggiungere gli

obiettivi prefissati:

- Cementificio: definito come «un impianto di produzione di cemento avente

capacità di produzione superiore a 500 ton/giorno di clinker in possesso di

autorizzazione integrata ambientale purché dotato di certificazione di

qualità ambientale secondo la Norma UNI EN ISO 14001 oppure, in

alternativa, di registrazione ai sensi della vigente disciplina comunitaria

sull’adesione volontaria delle organizzazioni ad un sistema comunitario di

ecogestione e audit (Emas)» [D.M. 14/02/2013, art. 4, comma I, lett. e]

- Centrale termoelettrica: definita come «impianto di combustione con

potenza termica di combustione di oltre 50 MW in possesso di

autorizzazione integrata ambientale purché dotato di certificazione di

qualità ambientale secondo la Norma UNI EN ISO 14001 oppure, in

alternativa, di registrazione ai sensi della vigente disciplina comunitaria

sull’adesione volontaria delle organizzazioni ad un sistema comunitario di

ecogestione e audit (Emas)» [D.M. 14/02/2013, art. 4, comma I, lett. f]

Fatte salve le prescrizioni più restrittive eventualmente contenute

nell’autorizzazione integrata ambientale di ogni singolo impianto, l’utilizzo di

CSS-C è comunque sempre soggetto al rispetto delle disposizioni applicabili al

coincenerimento [D.Lgs. 152/2006], al fine di garantire un elevato grado di

tutela dell’ambiente e della salute umana.

Parametro Misura statistica Unità di misuraValore massimo della

mediana

Antimonio (Sb) Mediana mg/kg s.s. 50

Arsenico (As) Mediana mg/kg s.s. 5

Cadmio (Cd) Mediana mg/kg s.s. 4

Cobalto (Co) Mediana mg/kg s.s. 18

Cromo (Cr) Mediana mg/kg s.s. 100

Manganese (Mn) Mediana mg/kg s.s. 250

Nichel (Ni) Mediana mg/kg s.s. 30

Piombo (Pb) Mediana mg/kg s.s. 240

Rame (Cu) Mediana mg/kg s.s. 500

Tallio (Tl) Mediana mg/kg s.s. 5

Vanadio (V) Mediana mg/kg s.s. 10

Σ metalli Mediana mg/kg s.s. --

Capitolo 3

3 I sistemi TMB

Con il termine impianti di Trattamento Meccanico e Biologico (TMB) ci si

riferisce ad una famiglia d’impianti anche molto diversi tra loro, sia nella

struttura che nelle finalità. Per TMB si intendono, infatti, tutti quegli impianti

che operano dei trattamenti meccanici (vagliatura, triturazione, separazione,

ecc..) sul rifiuto urbano, combinandoli, a volte, con trattamenti biologici

(bioesssicazione, maturazione). La configurazione impiantistica può presentare

sostanziali differenze a seconda dell’obiettivo primario dell’impianto stesso

individuato normalmente in base alla tipologia di rifiuto urbano disponibile in

ingresso ed al contesto sociale in cui si opera. Si possono individuare tre

differenti tipologie d’impianto sviluppatesi nel corso degli anni:

- Impianti di pretrattamento: servono a modificare alcune caratteristiche

del rifiuto in previsione del suo successivo utilizzo. Questi impianti, ad

esempio, migliorano le proprietà energetiche qualora il rifiuto sia

destinato a recupero energetico, mentre ne diminuiscono la putrescibilità

se il rifiuto è indirizzato verso lo smaltimento in discarica.

- Impianti di produzione del Combustibile Solido Secondario (CSS): sono

finalizzati alla produzione di combustibile derivato da rifiuti non

pericolosi. Per far sì che il prodotto in uscita dall’impianto risulti

conforme alle norme UNI EN 15359 è necessario separare dal rifiuto le

frazioni a basso o nullo potere calorifico. In questi impianti è

tendenzialmente sempre previsto un trattamento biologico.

- Impianti di recupero di materiali (MRF-Material Recovery Facility):

hanno lo scopo di recuperare materiale da avviare a riciclo. A seconda

del livello di complessità, possono separare uno o più classi

merceologiche dal flusso di rifiuti urbani in ingresso. All’interno di

questa categoria rientrano anche tutti quegli impianti meccanici che

trattano il rifiuto raccolto per via differenziata, al fine di separare i

diversi materiali ed avviarli a riciclo.

La progettazione dell’impianto è profondamente influenzata dal risultato che si

vuole ottenere con il trattamento (produzione di CSS o recupero di materiali), a

sua volta legato alla struttura del sistema locale di gestione dei rifiuti. La

presenza di utenze industriali che possono utilizzare il CSS in co-combustione

ed il livello di raccolta differenziata dei vari materiali sono due importanti

aspetti da valutare nella scelta della tipologia di impianto.

3.1 Impianti finalizzati alla produzione di CSS

Questi impianti hanno lo scopo di produrre del Combustibile Solido Secondario

che risulti in accordo con le norme UNI EN 15359, in modo da recuperare

Capitolo 3

28

energia dal rifiuto non pericoloso in ingresso all’impianto. La realizzazione di

questi impianti è spesso motivata dalla presenza sul territorio limitrofo di utenze

industriali che possono bruciare il CSS e imporre, quindi, le caratteristiche che il

combustibile deve avere. Qualora questo sia smaltito all’interno di forni dedicati

(tipicamente a letto fluido), la sua qualità ed il suo PCI possono risultare anche

modesti. Nel caso, invece, in cui il CSS sia destinato a bruciare in co-

combustione all’interno di cementifici o centrali a carbone, il suo PCI deve

essere maggiore e il contenuto di metalli pesanti più controllato. Tutti gli

impianti prevedono fasi di classificazione granulometrica, in modo da rimuovere

le frazioni fini a basso PCI, fasi di triturazione, in modo da rendere il rifiuto

dimensionalmente compatibile con il successivo recupero energetico, e fasi di

recupero dei metalli, necessarie alla separazione di questi materiali. Gli unici

materiali che vengono separati dal resto e avviati a riciclo sono, appunto, i

metalli, che si comportano come inerti e non vengono rimossi durante la

separazione dimensionale a causa di dimensioni mediamente simili a quelle

delle classi merceologiche più pregiate.

Basandoci sullo schema d’impianto, se ne possono riconoscere tre diverse

categorie:

- Impianti a flusso separato: in questi impianti la frazione organica viene

separata dalla restante e viene stabilizzata mediante compostaggio o

digestione anaerobica, prima di essere smaltita in discarica. Le altre

frazioni merceologiche subiscono dei trattamenti meccanici finalizzati

alla separazione dei metalli ed al recupero della frazione costituente il

CSS. In uscita dall’impianto vi è quindi, tendenzialmente, anche una

frazione di inerti da smaltire in discarica.

- Impianti a flusso unico: sono impianti in cui la biostabilizzazione

avviene su tutto il RUR in ingresso, in modo da ridurre l’umidità di tutte

le componenti e la presenza delle sostanze organiche. Successivamente,

il flusso viene trattato meccanicamente in modo da recuperare metalli e

separare la frazione da avviare a recupero energetico (cioè il CSS).

- Impianti meccanici: sono impianti che trattano il RUR in ingresso solo

con dei trattamenti meccanici e sono schemi utilizzati tendenzialmente in

impianti MRF.

La Figura 3.1 riporta lo schema dell’impianto TMB a flusso unico di Osnabrück

in Germania [3], finalizzato alla produzione di CSS. Il rifiuto trattato in ingresso

possiede un PCI di circa 9 MJ/kg e la separazione densimetrica segue la

biostabilizzazione che viene, quindi, effettuata su tutto il flusso. I separatori

metallici sono ridondanti e trattano sia il sottovaglio che il sovvallo, in modo da

recuperare il maggior quantitativo di materiali ferrosi e non ferrosi. L’impianto

produce CSS caratterizzato da un PCI di circa 15 MJ/kg con un rendimento di

massa di circa il 54%. Lo schema impiantistico risulta essere semplice ed il

PCICSS elevato, poiché solo i metalli vengono recuperati dal flusso di rifiuti.

I sistemi TMB

29

Figura 3.1-Impianto di Osnabrück in Germania [3]

Nel caso in cui si volesse recuperare anche la plastica, diventa necessario

introdurre ulteriori macchinari e stabilire se risulta conveniente separare dal CSS

tutte le tipologie di plastica contenute nel rifiuto o solamente alcune specifiche.

In particolare eliminare il PVC dal combustibile prodotto significa ridurre il

quantitativo di cloro (Cl) in esso contenuto, diminuendo così l’impatto

ambientale e quello che si avrà sull’impianto durante la combustione. Le

variabili sulle quali decidere restano sempre le stesse: il livello di raccolta

differenziata, la presenza di impianti adatti alla combustione e la qualità

necessaria per il CSS prodotto.

Nell’impianto di Ennigerloh in Germania (Figura 3.2) [3], si è deciso di sottrarre

il PVC al rifiuto attraverso un separatore ad infrarosso (NIR). L’impianto è a

flusso separato e la frazione da avviare a trattamento biologico viene divisa

dopo il recupero dei metalli. Vi è la produzione di due tipologie diverse di CSS

uno a medio e l’altro ad alto PCI. La separazione del PVC viene effettuata in

modo tale da ridurre il contenuto di cloro all’interno del combustibile ad elevato

PCI, facendo corrispondere ad un alto potere calorifico anche migliori

caratteristiche ambientali. In questo modo i due parametri di classificazione del

CSS (PCI e Cl) vengono elevati contemporaneamente.

Scelta diversa viene effettuata nell’impianto di Wijster nei Paesi Bassi (Figura

3.3) [3], dove tutta la plastica presente nel RUR in ingresso viene recuperata.

Quest’impianto presenta una serie di soli trattamenti meccanici finalizzati alla

produzione di CSS e al recupero degli imballaggi plastici, che non vengono

separati per via differenziata e finiscono nel RUR. I sensori NIR ed i separatori

per film recuperano le varie tipologie di plastica dai vari flussi dell’impianto.

L’impianto TMB produce tre diverse tipologie di combustibile, che si

differenziano essenzialmente per il potere calorifico. La parte più fine viene

inviata ad incenerimento, a causa delle scarse proprietà combustive dovute

all’alto contenuto di organico ed inerti. Dalle frazioni più grossolane viene

27,7% Perdite di processo

100%

Frazione pesante Frazione leggera

TRITURAZIONE

150 mmBIOSTABILIZZAZIONE

SEPARATORE

MAGNETICO

SEPARATORE

MAGNETICO

SEPARATORE

AMAGNETICO

SEPARATORE

AMAGNETICO

NON

FERROSI

FERROSI

1%

4%

54,4% 12,90%

CSS DISCARICA

SEPARAZIONE DENSIMETRICA

Capitolo 3

30

recuperata la plastica e si costituiscono due diverse tipologie di CSS,

tendenzialmente utilizzate in co-combustione. Il recupero di materiale

combustivo in questo impianto risulta essere complessivamente di circa il 90%,

poiché non vi sono scarti inviati a discarica.

Figura 3.2-Impianto di Ennigerloh in Germania [3]

Figura 3.3-Impianto Wijster nei Paesi Bassi [3]

Gli impianti analizzati sono solo alcune delle configurazioni attualmente

esistenti. Essi sono, tuttavia, rappresentativi della situazione che si è sviluppata

nel Nord-Europa, dove il recupero energetico riveste oggi un ruolo centrale nella

gestione del rifiuto. La forte presenza di inceneritori ad alta efficienza ha

contribuito allo sviluppo degli impianti TMB ed all’utilizzo del CSS in co-

combustione all’interno di cementifici (Capitolo 6) e centrali elettriche a

< 30 mm

100% 40,9%

< 20 mm

> 80 mm

Perdite

3,7%

19,1%

> 7 mm

0,9%

NON FERROSI

0,6%

Frazione

pesante

20 ÷ 80 mm

ESSICAZIONE

FISICA

VAGLIONIR per PVC

TRITURAZIONE

150-250 mm

SEPARATORE

MAGNETICO

VAGLIO

VIBRANTE

CLASSIFICATORE

AD ARIA

VAGLIO A

TAMBURO

TRITURAZIONE

80 mm

SEPARATORE

AMAGNETICO

PVC

Frazione

pesante

TRATTAMENTO

BIOLOGICO

CSS A MEDIO PCI

CSS A ELEVATO

PCI

3%

22,7%

Frazione

leggera

CLASSIFICATORE

AD ARIA

TRITURAZIONE

20-30 mm

FERROSI

Frazione

leggera

CSS A MEDIO PCI

SEPARATORE

MAGNETICO

100% >180 mm 6,7%

Film

8,2%

Film

> 30 mm

< 30 mm

33% 2%

VAGLIO A TAMBURO-

180 mm

CLASSIFICATORE

AD ARIASENSORE NIR

SEPARATORE PER

FILM

CSS A ELEVATO

PCI

Plastiche

dure

Plastiche

dure

42,1%

FINE AD

INCENERIMENTO

Frazione

leggera

Frazione

pesante

8%

CSS A MEDIO

PCI

SENSORE NIRSEPARATORE

PER FILM

PLASTICHE

CSS A

ELEVATO PCI

SEPARATORE

MAGNETICO

VAGLIO A DISCO

FERROSI

TRITURAZIONE

150 mm

I sistemi TMB

31

carbone. Lo sviluppo massiccio di tali impianti per lo smaltimento dei rifiuti ha

permesso di ridurre al minimo l’utilizzo, in questi paesi, delle discariche.

3.2 Impianti MRF

Recentemente, una maggior attenzione verso le tecnologie di riciclo ha portato

allo studio di impianti MRF, direttamente finalizzati al recupero di materia.

Questi impianti si sono sviluppati a causa della crescente opposizione

dell’opinione pubblica e delle istituzioni verso l’incenerimento dei rifiuti e

l’utilizzo del CSS.

La scelta dell’impianto deve, anche in questo caso, tenere conto del sistema di

gestione dei rifiuti locale, in modo da inserirsi in questo sviluppando appieno le

sue potenzialità.

Nei casi in cui questi impianti trattino rifiuti provenienti dalla raccolta

differenziata, il loro obiettivo deve essere quello di separare le varie tipologie di

una o più determinate classi merceologiche, in modo da poterle avviare alle

rispettive filiere di riciclaggio. Al variare della tipologia di rifiuto trattata varia,

dunque, la struttura dell’impianto e i macchinari utilizzati per la separazione.

Qualora l’obiettivo fosse, invece, il recupero dal RUR di materiale da destinare

al riciclaggio, bisognerebbe porre attenzione al livello di raccolta differenziata

del territorio di provenienza del rifiuto, in modo da indirizzare le prestazioni

verso il recupero di quelle frazioni più presenti nel rifiuto indifferenziato. Non

sempre risulta, infatti, possibile o conveniente sviluppare all’interno

dell’impianto MRF le operazioni di recupero per tutti i materiali.

Qualora la raccolta differenziata fosse poco sviluppata può, effettivamente,

essere interessante separare i materiali grazie al lavoro di un impianto

appositamente progettato. Questo è ciò che avviene nell’impianto Ecoparc 4 di

Barcellona in Spagna [Navarotto, Domingues Llauro, 2012. Materials recovery

from municipal solid waste ECOPARC 4 Barcelona a case study. Atti del

Convegno Sidisa 2012, Sustainable technology for environmental protection,

26-29 giugno 2012, Milano] (Figura 3.4). L’impianto risulta fortemente

innovativo per il largo utilizzo al suo interno dei sensori di recupero, benché la

separazione manuale sia ancora utilizzata per il recupero dei materiali di grosse

dimensioni e la separazione di vetro e batterie.

I rifiuti di dimensione superiore ai 35 cm vengono separati con un vaglio a

tamburo e inviati a discarica, previa raccolta di materiali da avviare a riciclo.

Dai rifiuti del sottovaglio sono successivamente separati manualmente i

materiali pericolosi. Il flusso è poi ulteriormente separato da un vaglio a

tamburo, che lo suddivide in parte fine da avviare a stabilizzazione anaerobica e

frazione dalla quale recuperare materiale. La plastica è, invece, separata

utilizzando l’azione dei separatori balistici che suddividono il rifiuto in materiali

bidimensionali e tridimensionali. Il materiale bidimensionale è costituito

principalmente da carta, recuperata con sensori NIR, e sacchetti di plastica,

Capitolo 3

32

separati grazie ad aspiratori. La frazione rimanente dopo i processi di

separazione viene triturata e successivamente suddivisa in una frazione fine da

inviare a compostaggio e una frazione costituente il CSS. I materiali

tridimensionali vengono a loro volta ripuliti dai sacchetti eventualmente presenti

e sottoposti ad una serie di sensori NIR che recuperano poliaccoppiati a matrice

cellulosica (tetrapack) e plastica, separata in seguito nelle sue varie tipologie.

Nell’impianto sono presenti anche dei separatori magnetici, che recuperano i

materiali ferrosi.

Il CSS prodotto risulta essere solo il 6,38% del rifiuto in ingresso, poiché

l’impianto è finalizzato a recupero di materia. Circa il 36% del RUR trattato

viene smaltito in discarica (direttamente o dopo il trattamento biologico), a

fronte di solo un 10,5% di materiale avviato a riciclo (esclusa la frazione

organica stabilizzata). Si nota come il rapporto fra frazione smaltita in discarica

e CSS avviato a recupero energetico sia nettamente a favore della prima,

evidenziando come la gestione integrata dei rifiuti in Spagna faccia ancora largo

utilizzo di questa modalità.

Figura 3.4-Impianto Ecoparc 4 di Barcellona in Spagna

0,25%

< 350mm < 90mm

0,26% 90÷250mm

> 350mm 0,13% 250÷350mm

3D

3D

4%

< 90mm

0,15%

18,18% 2D

2,96%

0,82%

0,10%

0,97% PET 0,6%

0,46% HDPE

0,12%

> 90 mm

6,38% < 90mm

COMPOSTAGGIO

VETROGROSSI

METALLI

DISCARICACLASSIFICATORE

BALISTICO

CLASSIFICATORE

BALISTICO

FERROSI

1,85%

SELEZIONE

MANUALELACERASACCHI

VAGLIO A

TAMBURO

60,65%

CARTONE

HDPE

ASPIRAZIONE

FILM

SEPARATORE

MAGNETICO

SEPARATORE

MAGNETICO

VAGLIO A

TAMBURO

SELEZIONE

MANUALE

SENSORE NIR

SEPARATORE

MAGNETICOplastica

CARTA

2,25%SENSORE NIR

SENSORE NIR

VAGLIO A

TAMBUROCSS

SEPARATORE

AMAGNETICO

NON

FERROSI

ASPIRAZIONE

FILM

MATERIALI PERICOLOSI

2D< 90mm

TRITURATORE

TETRAPACK

PLASTICA

MISTA

FILM PLASTICI E

SACCHETTI

Capitolo 4

4 La modellizzazione dei sistemi TMB

4.1 Caratterizzazione del Rifiuto Solido Urbano (RSU)

Il Rifiuto Solido Urbano (RSU) risulta essere per sua stessa definizione, un mix

eterogeneo composto da particelle di diversa natura e provenienza. Nella sua

eterogeneità, però, il RSU risulta avere una composizione mediamente costante

nel breve periodo, a meno di piccole variazioni stagionali, mentre vi possono

essere differenze anche sostanziali al variare della regione di raccolta. Le

caratteristiche del rifiuto sono in stretta relazione con le abitudini di vita della

popolazione che lo genera e con il livello e la tipologia di raccolta differenziata

che viene operata a monte da parte del cittadino.

Le tipologie di RSU che si possono incontrare sono molteplici. Vi è, quindi, la

necessità di caratterizzare il rifiuto in modo da poter analizzare il diverso

comportamento che questo assume negli impianti. Le principali caratteristiche

d’interesse del rifiuto sono la sua composizione merceologica, la distribuzione

dimensionale cumulata delle particelle che lo compongono e le sue proprietà

combustive.

La suddivisione del rifiuto nelle classi merceologiche è rappresentativa del

contesto in cui si opera, definisce indirettamente la qualità del RUR e

contribuisce alla definizione degli obiettivi dell’impianto TMB indicando la

presenza delle frazioni di materiali recuperabili.

L’importanza della distribuzione dimensionale delle particelle risiede, invece,

nella struttura del modello semplificato utilizzato per rappresentare il

funzionamento dei vagli. Le caratteristiche ed il contenuto massico dei flussi in

uscita dall’impianto TMB (CSS, FORSU, inerti a discarica) dipendono

fortemente dalle dimensioni dei fori del vaglio rendendone decisiva la scelta. Il

vaglio è stato modellizzato in maniera ideale in modo che tutte e sole le

particelle di dimensione inferiore ai fori passino attraverso essi. Conoscere la

distribuzione dimensionale cumulata del rifiuto in ingresso al vaglio,

corrisponde, quindi, a conoscere la frazione di sottovaglio che si crea per una

dato diametro dei fori del vaglio.

Infine, le caratteristiche combustive del RUR e di tutte le classi merceologiche

in esso contenute risultano importanti al fine della produzione di CSS.

L’obiettivo finale è, in questo lavoro, la produzione di combustibile: risulta

quindi necessario conoscere le proprietà iniziali del rifiuto in ingresso che

intervengono durante il processo di combustione.

4.1.1 Suddivisione merceologica

Di fondamentale importanza per le prestazioni di un impianto TMB risulta

essere la composizione merceologica che il RSU possiede poiché questa

Capitolo 4

34

definisce indirettamente le caratteristiche (dimensione particelle, PCI, umidità,

ecc.) del rifiuto stesso. Ogni frazione merceologica, infatti, contribuisce, in

maniera proporzionale alla sua presenza, alla definizione delle proprietà del

rifiuto complessivo. Risulta necessario definire nel modo più completo possibile

le classi merceologiche di cui il RSU si compone. In letteratura vi sono

numerose classificazioni che si differenziano anche a seconda del caso di studio

analizzato, introducendo o eliminando classi ulteriori. Faremo qui una sintesi di

tali suddivisioni considerando le classi principali, cioè quelle sempre presenti e

più significative dal punto di vista prestazionale, accorpando, invece, classi che

risultano avere natura simile.

Organico: «risulta essere prevalentemente composta da scarti organici

putrescibili, cioè rifiuti derivanti dalla movimentazione, preparazione,

cottura e impiattamento di cibi di natura animale e vegetale (es. bucce,

gusci, ossa, piume, ecc.)».[4] In questa classe merceologica vengono

anche considerate tracce di rifiuti derivanti dalla pulizia e sistemazione

di giardini come ad esempio erba, foglie, e piccoli rami. Rami di

dimensioni maggiori derivanti dalla potatura non vengono qui

considerati.[4]

Carta & Cartone: questa tipologia merceologica è l’insieme di due classi

distinte, ma che possono essere raggruppate poiché hanno la stessa

natura di partenza (entrambi sono prodotti cartacei). La differenzazione

tra le due classi proposta da Ruff all’interno della sua tesi [4], si basa

essenzialmente sullo spessore del singolo foglio: se questo è inferiore a

¼ inch (6,35 mm) allora si tratta di carta, altrimenti è cartone. In questo

lavoro si ipotizza che questa classe sia composta per il 70% da carta (es.

quotidiani, riviste, fogli, ecc.) e per il 30% da cartone (es. scatole da

scarpe, contenitori per uova, scatoloni, ecc.).

Plastica: comprende tutti i rifiuti che sono composti da plastica come ad

esempio contenitori per liquidi, bottiglie, ecc.. Vi sono diverse tipologie

di plastica che devono essere separate tra loro nel caso in cui si voglia

effettuare un riciclo di tale materiale. Qualora l’impianto TMB sia,

invece, finalizzato alla produzione di CSS queste differenze sono

trascurabili.

Vetro & Inerti: questa classe comprende dei materiali che non

contribuiscono alla combustione del rifiuto, ma si comportano come

degli inerti durante la stessa. Si possono differenziare due sottoclassi: il

vetro (es. bottiglie, vasi, ecc.) e i rifiuti di natura rocciosa come

La modellizzazione dei sistemi TMB

35

ceramiche,terra, polvere, ecc. Si è ipotizzato, all’interno di questo lavoro,

che questa classe si suddivida in un 70% di vetro e un 30% di altri inerti.

Tessili, Gomma & Cuoio: in questa classe vengono raggruppati i rifiuti

composti da tessuto, gomma e cuoio come per esempio borse, scarpe e

altri accessori.

Legno: in questa classe troviamo rifiuti di natura legnosa derivanti dalla

potatura (es. tronchi e grossi rami), dal mondo edilizio (es. assi, pannelli,

ecc.) e dagli imballaggi (es. cassette e scatole in legno).

Ferrosi: tutte le parti metalliche che vengono attratte da un magnete [4]

sono comprese in questa classe.

Non Ferrosi: i metalli che non vengono attratti da un magnete rientrano

in questa categoria. Vi è forte presenza di Alluminio utilizzato per

scatolame e packaging.

4.1.2 Distribuzione dimensionale

Il RSU risulta essere un insieme di particelle che possano avere anche

dimensioni notevolmente differenti tra loro. Una prima omogeneizzazione

dimensionale viene effettuata dalla rimozione manuale degli ingombranti

(efficienza del 100%) e dal successivo trituratore “lacera-sacchi” necessario a

far si che le dimensioni del rifiuto non superino i 400 mm facilitando così la

movimentazione. Risulta necessario provare a definire a priori la distribuzione

della dimensione del rifiuto, poiché campagne di analisi e studio appaiono

essere eccessivamente impegnative e lunghe: per poter estendere i risultati

bisogna infatti analizzare un gran numero di campioni.

Un punto di partenza può essere rinvenuto nello studio effettuato nel 1974 da

Ruff [4], che pubblicò i risultati di una lunga campagna di analisi dei rifiuti della

città di Gainesville in Florida. Le curve di distribuzione dimensionali da lui

proposte sono il frutto di una elaborazione matematica dei dati raccolti. Per

ottenerle, Ruff, ha diviso ciascun campione analizzato nelle diverse classi

merceologiche in esso contenute misurando, poi, il contenuto in peso di 12

classi dimensionali. Sommando i risultati ottenuti da tutti i 63 campioni ha

ottenuto il peso in grammi totale per ogni classe dimensionale per ogni

componente. Dividendo questi valori per il peso totale dei campioni ha ricavato

le distribuzioni di frequenza. Per ottenere le distribuzioni di frequenza cumulate

relative a ciascuna classe merceologica ha poi utilizzato tecniche numeriche e

grafiche. Ruff ha svolto questo studio in tre diversi punti dell’impianto

caratterizzando le distribuzioni dimensionali del rifiuto grezzo in ingresso

all’impianto (Figura 4.1), del rifiuto primario in uscita dal primo trituratore

Capitolo 4

36

(Figura 4.2) e del rifiuto secondario in uscita dal secondo trituratore (Figura

4.3).

Figura 4.1-Distribuzioni cumulate di Ruff del rifiuto grezzo in ingresso all’impianto [4]

Figura 4.2-Distribuzioni cumulate di Ruff del rifiuto primario in uscita dal trituratore

primario[4]

La modellizzazione dei sistemi TMB

37

Figura 4.3-Distribuzioni cumulate di Ruff del rifiuto secondario in uscita dal trituratore

secondario [4]

L’utilizzo di queste distribuzioni nel programma Microsoft Excel (programma

utilizzato per la modellizzazione dell’impianto TMB) risulta essere subordinata

a delle modifiche. La definizione dei parametri che questo programma necessita

per il calcolo delle distribuzioni statistiche utilizzate risulta differente rispetto

alla definizione utilizzata da Ruff all’interno del suo lavoro (Tabella 4.1):

- La distribuzione Esponenziale viene rappresentata da Ruff e da Microsoft

Excel nel medesimo modo, il parametro λ fornito da Ruff coincide, quindi,

con il parametro richiesto dal programma.

- La distribuzione Gamma necessita in entrambi i casi di due parametri in

ingresso. Il primo parametro fornito da Ruff (k) corrisponde al primo

parametro richiesto in ingresso da Microsoft Excel anche, chiamato Alpha.

Differenza vi è invece per il secondo parametro poiché il secondo valore

richiesto da Microsoft Excel (denominato Beta) corrisponde al reciproco del

secondo parametro (λ) proposto da Ruff.

- La distribuzione Beta è rappresentata in ambo i casi da 4 parametri: a e b

rappresentano gli estremi di validità della distribuzione, mentre gli altri due

corrispondono ai parametri che definiscono la funzione all’interno di questo

campo di validità. Una prima differenza tra la rappresentazione di Ruff e

quella di Microsoft Excel sta nell’ordine con cui devono essere forniti i

parametri. Ruff fornisce come prima coppia gli estremi di validità a e b, e

successivamente i due parametri di descrizione r e t. Microsoft Excel,

viceversa, richiede prima i parametri di descrizione (Alpha e Beta) e poi i

limiti di validità della funzione (sempre nell’ordine prima a e poi b). Il

parametro r fornito da Ruff corrisponde al parametro Alpha richiesto da

Microsoft Excel mentre Beta corrisponde alla differenza tra t ed r.

Capitolo 4

38

- La distribuzione Logonormale si differenzia nei due casi per il solo primo

parametro in ingresso poiché Ruff fornisce la media geometrica xg mentre

Microsoft Excel richiede la media dei logaritmi che corrisponde al logaritmo

di xg stesso. Il secondo valore è per entrambi i casi pari alla deviazione

standard dei logaritmi di x.

- La distribuzione Normale presenta sia nella definizione di Ruff che in quella

di Microsoft Excel come primo parametro la media dei valori di x. Il secondo

valore è per Ruff pari alla varianza della distribuzione, mentre per Microsoft

Excel corrisponde alla deviazione standard (pari alla radice quadrata del

valore dato fornito da Ruff)

Le distribuzioni riportate in questo testo sono presentate sempre secondo la

formulazione di Ruff. Queste distribuzioni sono tutte relative a valori in pollici

(inch) poiché Ruff ha utilizzato questa unità di misura nel suo lavoro.

Tabella 4.1-Tavola di conversione parametri

Son state apportate modifiche alle distribuzioni proposte da Ruff al fine di

renderle più consistenti dal punto di vista matematico. Per raggiungere questo

obiettivo è stato necessario imporre che le distribuzioni avessero range di

validità positivo, poiché valori negativi delle dimensioni delle particelle non

possono essere accettati. Le distribuzioni Normali presentano per loro stessa

definizione un range di validità (-∞;+∞) e devono quindi essere troncate,

modificandone il campo di validità. Tutte le distribuzioni Normali cumulate

sono state troncate inferiormente a 0 e superiormente al limite di validità

proposto da Ruff. In questo modo il range di validità della funzione coincide

esattamente con il range di validità di Ruff.

(4.1)

NT(x) rappresenta il valore della funzione Normale Troncata cumulata in x, e

N(x) il valore della funzione cumulata Normale in x. Il parametro k deve

garantire che il valore della Normale Troncata cumulata nell’estremo superiore

sia pari a 1, mantenendo la veridicità matematica della funzione. Questa

condizione viene imposta per calcolare il valore di k.

(4.2)

Ruff Excel

Esponenziale EX(λ) EX(λ)

Gamma G(k;λ) G(k;1/λ)

Beta BT(a;b;r;t) BT(r;r-t;a;b)

Lognormale LN(xg;slnx) LN(ln(xg);slnx)

Normale N(xmed;s²) N(xmed;√(s²))

La modellizzazione dei sistemi TMB

39

Da questo sistema si ricava:

(4.3)

Le distribuzioni Esponenziali, Gamma e Logonormale hanno per loro stessa

definizione limite inferiore di validità pari a 0. Il limite superiore di queste

distribuzioni risulta essere +∞, ma il limite di validità deve essere sempre un

numero finito: viene quindi imposto pari a quello proposto da Ruff. Per la

distribuzione Beta, invece, il limite di validità inferiore viene inserito all’interno

della definizione dei parametri: assegnando al parametro a valore nullo si è

sicuri che la funzione in esame assuma range di validità fisicamente corretti. Il

parametro b, indica il limite superiore di tale range e viene imposto pari al limite

di validità proposto da Ruff.

Per tutte queste funzioni il campo di validità considerato risulta pari a quello

proposto da Ruff: per valori superiori al limite massimo di validità la funzione di

probabilità è imposta pari a 0 e quella cumulata pari a 1.

Partendo dai dati raccolti nella campagna di campionamento ed utilizzando il

“Metodo dei Momenti”, Ruff ha calcolato per ogni classe merceologica alcuni

parametri statistici come la media aritmetica e geometrica, la deviazione

standard aritmetica e geometrica, il coefficiente di asimmetria e il coefficiente di

Kurtosis. «I parametri statistici dei campioni sono stati utilizzati per stimare i

parametri dei modelli. I parametri dei modelli sono stati determinati e i modelli

tracciati. Il modello che più si avvicinava alla rappresentazione dei dati è stato

inizialmente scelto. La scelta finale è stata effettuata in modo che l’indice di

correlazione di ogni modello superasse lo 0,7 per ogni distribuzione. Indici

superiori allo 0,9 sono stati preferiti.» [4]

Per migliorare la correlazione tra dati raccolti da Ruff durante il campionamento

e parametri delle distribuzioni statistiche proposte si è deciso di sostituire il

“Metodo dei Momenti” col “Metodo dei Minimi Quadrati” che risulta più

preciso. La possibilità di applicare questo metodo ad un elevato insieme di punti

risulta oggi possibile grazie all’utilizzo di calcolatori (normali computer), ma era

impensabile al tempo di Ruff in assenza di tali strumenti. I valori dei dati

raccolti da Ruff sono stati estrapolati per via grafica dalle Figure 4.1, 4.2 e 4.3. I

parametri delle distribuzioni sono stati calcolati in modo da massimizzare il

coefficiente di determinazione R2 definito come:

(4.4)

Dove SSE è definita come la somma dei quadrati degli errori (differenza fra dato

e modello proposto) e SST come la somma totale dei quadrati che misura la

variabilità totale dei dati. L’indice R2 si può interpretare come la proporzione di

variabilità nel dato intercettata dal modello utilizzato.

Capitolo 4

40

I parametri di definizione delle distribuzioni statistiche sono stati ricalcolati

massimizzando il valore di R2. Questo metodo di lavoro è stato applicato nello

stesso modo al rifiuto grezzo, primario e secondario. Solamente per la

distribuzione della classe merceologica textiles del rifiuto primario è risultato

conveniente modificare il tipo della distribuzione proposta da Ruff al fine di

ottenere valori di R2 maggiori. Si è passati da una distribuzione Logonormale

(come proposto da Ruff) ad una distribuzione binomiale composta da una

Logonormale ed una Normale.

Tabella 4.2-Ottimizzazione delle distribuzioni di Ruff per il rifiuto grezzo (espresse nella

formulazione di Ruff)

Tabella 4.3-Ottimizzazione delle distribuzioni di Ruff per il rifiuto primario (espresse nella

formulazione di Ruff)

Tabella 4.4-Ottimizzazione delle distribuzioni di Ruff per il rifiuto secondario (espresse

nella formulazione di Ruff)

Index C. R²

food 0,9147 0,9898 0-16

garden 0,8715 0,9874 0-16

cardboard 0,9829 0,9985 0-20

paper 0,9875 0,9919 0-16

plastic 0,9939 0,9981 0-16

textiles 0,9567 0,9970 0-16

wood 0,9077 0,9975 0-16

ferrous 0,9841 0,9958 0-16

non ferrous 0,9795 0,9965 0-8

glass 0,9399 0,9985 0-8

sand&rock 0,8966 0,9806 0-4

distribuzione

OTTIMIZZATE RANGE

[in]

0,80LN(0,0418;1,7748)0,20N(1,00;0,2283)

distribuzione

RUFF

BT(0;16;2,3913;9,4816)

0,72LN(1,6901;0,7188)+0,2N(5,5;1,0096)

G(6,8906;1,6946)

0,08N(0,438;0,0163)+0,92N(3,00;1,00)

N(2,7404;0,4691)

LN(0,6915;1,7280)

LN(0,4509;1,7813)

0,2N(3,0;4,0)+0,8N(12,3596;10,1761)

N(5,9096;7,8869)

G(3,1969;0,6029)

LN(0,6515;1,8031)

LN(0,4042;1,9618)

0,2N(4,0721;4,2779)+0,8N(11,7594;3,1512)

N(5,0879;5,1525)

G(4,1753;0,8680)

0,80LN(0,0418;1,4613)+0,20N(1,8016;1,0184)

BT(0;16;2,6721;11,5883)

0,72LN(1,6640;0,7255)+0,28N(5,0165;0,5830)

G(11,0598;2,8905)

0,08N(0,5572;0,0379)+0,92N(2,5990;0,5067)

N(2,4319;0,1671)

Index C. R²

food 0,9046 0,9862 0-2

garden 0,9303 0,9910 0-4

cardboard 0,9749 0,9993 0-8

paper 0,9835 0,9975 0-16

plastic 0,9692 0,9992 0-8

textiles 0,7404 0,9985 0-16

wood 0,9654 0,9927 0-8

ferrous 0,9836 0,9976 0-8

non ferrous 0,9056 0,9999 0-8

glass 0,9954 0,9988 0-1

sand&rock 0,9358 0,9529 0-2

RUFF OTTIMIZZATE RANGE

[in]distribuzione distribuzione

EX(6,30)

LN(0,3445;0,9079)

LN(0,1116;1,1796)

N(3,2137;3,0801)

LN(1,0042;1,2541)

0,1875G(2,9031;5,2063)+0,8125N(2,6718;1,7476)

LN(0,0464;1,15159)

LN(0,3612;0,9290)

LN(0,0994;1,3320)

N(2,8151;3,0864)

LN(1,0455;1,1528)

0,1875G(2,2870;3,7959)+0,8125N(2,3181;1,4939)

0,60LN(1,7255;0,86)+0,40N(5,1368;0,6889)

LN(0,6848;1,0723)

BT(0;8;12,9069;40,4678)

0,1N(0,5568;0,0512)+0,90N(2,3166;0,3452)

EX(6,3937)

LN(0,0464;1,7969)

LN(2,8213;0,08674)

LN(0,6713;1,0066)

BT(0;8;10,15;29,98)

0,10N(0,438;0,01585)+0,90N(2,5410;0,4909)

Index C. R²

food 0,9046 0,9862 0-2

garden 0,9303 0,9910 0-4

cardboard 0,9749 0,9993 0-8

paper 0,9835 0,9975 0-16

plastic 0,9692 0,9992 0-8

textiles 0,7404 0,9985 0-16

wood 0,9654 0,9927 0-8

ferrous 0,9836 0,9976 0-8

non ferrous 0,9056 0,9999 0-8

glass 0,9954 0,9988 0-1

sand&rock 0,9358 0,9529 0-2

RUFF OTTIMIZZATE RANGE

[in]distribuzione distribuzione

EX(6,30)

LN(0,3445;0,9079)

LN(0,1116;1,1796)

N(3,2137;3,0801)

LN(1,0042;1,2541)

0,1875G(2,9031;5,2063)+0,8125N(2,6718;1,7476)

LN(0,0464;1,15159)

LN(0,3612;0,9290)

LN(0,0994;1,3320)

N(2,8151;3,0864)

LN(1,0455;1,1528)

0,1875G(2,2870;3,7959)+0,8125N(2,3181;1,4939)

0,60LN(1,7255;0,86)+0,40N(5,1368;0,6889)

LN(0,6848;1,0723)

BT(0;8;12,9069;40,4678)

0,1N(0,5568;0,0512)+0,90N(2,3166;0,3452)

EX(6,3937)

LN(0,0464;1,7969)

LN(2,8213;0,08674)

LN(0,6713;1,0066)

BT(0;8;10,15;29,98)

0,10N(0,438;0,01585)+0,90N(2,5410;0,4909)

La modellizzazione dei sistemi TMB

41

Queste distribuzioni sono legate al contesto regionale e temporale dei

rilevamenti fatti da Ruff (Florida-Anni ’70). Utilizzando i grafici proposti da

Ranzini e Daneco Impianti [5] (Figura 4.4) per il rifiuto in uscita dal

lacerasacchi è stato possibile contestualizzare nella nostra realtà le distribuzioni

di tale tipologia di rifiuto. Dalla Figura 4.4 sono stati estrapolati per via grafica i

punti delle distribuzione attuali. I parametri delle distribuzioni statistiche

proposte da Ruff per il rifiuto grezzo sono stati modificati in modo da

massimizzare il valore di R2 relativo ai punti estrapolati dalla Figura 4.4. I valori

di R2 risultano piuttosto elevati: sono tutti superiori a 0,98 (Tabella 4.5).

Figura 4.4-Distribuzioni cumulate del rifiuto in uscita dal lacerasacchi proposte da Ranzini

e Daneco Impianti [5] (colori differenti ai successivi grafici)

Tabella 4.5-Distribuzioni contestualizzate del rifiuto grezzo espresse nella formulazione di

Ruff con R2 riferito alle distribuzioni proposte da Ranzini e Daneco Impianti

R²Media

[in]

Media

[mm]Range [in]

organico 0,9863 1,6644 42,2758 0-16

cartone 0,9836 5,3779 136,5976 0-20

carta 0,9824 5,1848 131,6939 0-16

plastica 0,9920 5,0265 127,6729 0-16

tessili 0,9857 3,9847 101,2111 0-16

legno 0,9917 2,7148 68,9552 0-16

ferrosi 0,9951 3,8845 98,6655 0-16

non-ferrosi 0,9839 2,4762 62,8955 0-8

vetro 0,9889 2,3351 59,3115 0-8

inerti 0,9806 0,1076 2,7330 0-4

Distribuzioni contestualizzate

0,72LN(1,6522;0,6903)+0,28N(5,4471;0,5830)

G(12,0737;3,1082)

0,08N(0,5088;0,0762)+0,92NN(2,6871;0,6959)

N(2,3351;0,2045)

LN(0,1076;2,0093)

LN(1,6644;0,3983)

0,2N(3,5869;5,9691)+0,8N(5,8256;0,1140)

N(5,1848;4,7826)

G(3,1687;0,6304)

BT(0;16;2,0427;8,2022)

Capitolo 4

42

Alcune classi merceologiche proposte da Ruff sono state accorpate secondo le

ipotesi fatte nel Paragrafo 4.1.1. Sono state così ottenute le distribuzioni

dimensionali riportate in Figura 4.5 e Figura 4.6.

Figura 4.5-Distribuzioni cumulate contestualizzate del rifiuto in uscita dal lacera sacchi

Figura 4.6-Densità di distribuzioni calcolate a partire delle distribuzioni cumulate

utilizzando classi dimensionali di ampiezza 5 mm

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 110 120 [mm]

organico

carta&cartone

plastica

vetro&inerti

tessili,gomma&cuoio legno

ferrosi

non-ferrosi

0

0,005

0,01

0,015

0,02

0,025

0,03

0,035

0,04

0 25 50 75 100 125 150 175 200 225 250 275 300

organico

carta&cartone

plastica

vetro&inerti

tessili,gomma&cuoio legno

ferrosi

non ferrosi

La modellizzazione dei sistemi TMB

43

Dalla Figura 4.6 si nota come organico e vetro&inerti si concentrino alle basse

dimensioni. Questa similitudine dimensionale tra le due classi risulta utile

durante il processo di separazione dimensionale (vagliatura) perché fa

corrispondere ad una rimozione del materiale organico anche una rimozione

efficace del vetro&inerti. Entrambe le classi sono caratterizzate da bassi PCI,

rimuovendole contemporaneamente si eleva notevolmente il PCI del restante

flusso. Spingendosi verso dimensioni maggiori si incontrano i picchi delle

distribuzioni di ferrosi e carta&cartone. Plastica e tessili,gomma&cuoio hanno

una maggior variabilità e presentano un andamento senza picchi.

La definizione di queste distribuzioni permette di analizzare la composizione

merceologica del rifiuto per una data classe dimensionale (Figura 4.7 e Figura

4.8). Si sono qui utilizzate per semplicità una serie di classi di ampiezza costante

e pari a 10 mm con estremi superiori che variano tra 300 e 20 mm. Queste

dimensioni sono rappresentative rispettivamente della dimensione massima delle

particelle in uscita dal lacerasacchi e della dimensione massima del “fine”. Sono

stati analizzati due differenti tipologie di RUR (descritte nel Paragrafo 5.1.1): il

RURmin contenente elevate frazioni di organico ed inerti, ed il RURmax

caratterizzato da frazioni maggiori di palstica e carta&cartone. Si nota come la

composizione merceologica delle varie classi dimensionali vari con la tipologia

del RUR analizzato poiché varia la composizione iniziale. Si riscontrano in

ambo i casi gli andamenti delle vari classe merceologiche.

Figura 4.7-Composizione merceologica della classe dimensionale di ampiezza 10mm con

estremo superiore indicato in mm - RURmin

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

30

0

29

0

28

0

27

0

26

0

25

0

24

0

23

0

22

0

21

0

20

0

19

0

18

0

17

0

16

0

15

0

14

0

13

0

12

0

11

0

10

0

90

8

0

70

6

0

50

4

0

30

2

0

non ferrosi

ferrosi

legno

tessili,gomma&cuoio

vetro&inerti

plastica

carta&cartone

organico

Capitolo 4

44

Figura 4.8- Composizione merceologica della classe dimensionale di ampiezza 10mm con

estremo superiore indicato in mm – RURmax

La Figura 4.9 e la Figura 4.10 mostrano rispettivamente l’andamento della

frazione cumulata del RURmin e del RURmax suddivisa per le varie classi

merceologiche. Si nota come tale andamento dipenda fortemente dalla

classificazione merceologica del rifiuto. Il contenuto di frazione organica risulta

costante all’aumentare della dimensione per valori superiori ai 60 mm mentre

crolla velocemente scendendo sotto questa soglia. Anche la frazione di

vetro&inerti si riduce notevolmente al di sotto di questo valore. Questa

dimensione può essere presa a riferimento al fine di effettuare una separazione

dimensionale finalizzata alla produzione di un flusso ad alto PCI escludendo da

esso i materiali organici e il vetro&inerti.

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

30

0

29

0

28

0

27

0

26

0

25

0

24

0

23

0

22

0

21

0

20

0

19

0

18

0

17

0

16

0

15

0

14

0

13

0

12

0

11

0

10

0

90

8

0

70

6

0

50

4

0

30

2

0

non ferrosi

ferrosi

legno

tessili,gomma&cuoio

vetro&inerti

plastica

carta&cartone

organico

La modellizzazione dei sistemi TMB

45

Figura 4.9-Andamento della frazione cumulata del RURmin suddivisa per le varie classi

merceologiche

Figura 4.10-Andamento della frazione cumulata del RURmax suddivisa per le varie classi

merceologiche

4.1.3 Proprietà combustive

Le caratteristiche combustive delle varie specie merceologiche non sono

univocamente definite, poiché intrinsecamente variabili a causa della natura

aleatoria del rifiuto. Ogni specie merceologica può essere divisa in tre differenti

componenti, che partecipano in maniera differente alla combustione: frazione

combustibile, umidità (H2O), e ceneri. Sono presenti in letteratura diversi

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

30

0

28

0

26

0

24

0

22

0

20

0

18

0

16

0

14

0

12

0

10

0

80

60

40

20

non ferrosi

ferrosi

legno

tessili,gomma&cuoio

vetro&inerti

plastica

carta&cartone

organico

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

30

0

28

0

26

0

24

0

22

0

20

0

18

0

16

0

14

0

12

0

10

0

80

60

40

20

non ferrosi

ferrosi

legno

tessili,gomma&cuoio

vetro&inerti

plastica

carta&cartone

organico

Capitolo 4

46

modelli e proposte della composizione dei rifiuti e del loro potere calorifero. Ne

sono qui considerati e confrontati due diversi: il modello 1, proposto dai

professori Consonni e Viganò all’interno della pubblicazione “Material and

energy recovery in integrated waste management systems: the potential for

energy recovery” [6] e il modello 2, utilizzato da Ranzini e Daneco Impianti

nella tesi di Laurea dell’Ing. Ranzini [5]. Dalla Figura 4.11 si nota il fatto che la

frazione più umida risulta essere l’organico, che per oltre metà è composto da

acqua, mentre metalli ed inerti risultano essere per loro natura molto secchi

(materiali impermeabili).

Figura 4.11-%Umidità nel rifiuto (Nel modello di Ranzini vi è un'unica classe

tessili,gomma&cuoio+legno)

Si riscontrano, poi, alti contenuti di ceneri (Figura 4.12) in quelle classi che

partecipano in maniera limitata alla combustione: metalli, vetro e inerti si

ritrovano quasi esclusivamente all’interno dei residui di combustione.

Figura 4.12-%Ceneri nel rifiuto su base umida (Nel modello di Ranzini vi è un'unica classe

tessili,gomma&cuoio+legno)

0 10 20 30 40 50 60 70

Consonni-Viganò

Ranzini

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90

100

Consonni-Viganò

Ranzini

La modellizzazione dei sistemi TMB

47

Sia l’umidità che le ceneri hanno effetti negativi sulla combustione, poiché

assorbono calore senza svilupparne. Le classi merceologiche che contengono

una maggior frazione di queste componenti risultano avere un PCI inferiore

rispetto a quelle classi che sono formate per la maggior parte da frazione

combustibile. Questa parte del rifiuto è, infatti, l’unica che si ossida durante la

combustione rilasciando calore, di cui una parte viene, tuttavia, assorbita dalle

ceneri e dall’acqua.

(4.5)

Con =2,2425 MJ/kg

Ai fini della modellizzazione della bioessicazione, risulta necessario conoscere

anche il PCI del rifiuto secco, ossia del rifiuto composto solo da frazione

combustibile e ceneri. Questo valore è superiore rispetto a quello del rifiuto tal

quale (Tabella 4.6) poiché non vi è più la perdita di calore dovuta

all’evaporazione dell’acqua contenuta nel rifiuto.

Figura 4.13-PCI in MJ/kg su base umida (Nel modello di Ranzini vi è un'unica classe

tessili,gomma&cuoio+legno)

Tabella 4.6-PCI del rifiuto

-0,02

4,98

9,98

14,98

19,98

24,98

29,98

Consonni-Viganò

Ranzini

Consonni-Viganò Ranzini Consonni-Viganò Ranzini Consonni-Viganò Ranzini

organico 5,42 4,60 16,72 13,77 19,67 22,46

carta&cartone 10,84 10,84 14,58 14,58 16,20 16,20

plastica 25,63 25,53 30,20 27,01 32,65 30,01

vetro&inerti -0,02 0,00 0,00 0,06 0,00 4,03

tessili,gomma&cuoio 15,90 18,89 19,88

legno 13,94 18,55 18,84

ferrosi -0,02 0,00 0,00 0,10 0,00 1,61

non ferrosi -0,02 0,00 0,00 0,10 0,00 1,61

18,92

PCI [MJ/kg] PCIfc+ash [MJ/kg] PCIfc [MJ/kg]

14,65 19,40

Capitolo 4

48

4.2 Il vaglio

La vagliatura è un’operazione di separazione che si basa sulla dimensione dei

fori presenti sulla superficie del vaglio. Durante l’attraversamento del

macchinario, le particelle di dimensione inferiore alle aperture passano

attraverso esse grazie al movimento rotatorio del vaglio, formando, così, la

frazione fine o sottovaglio. Il materiale che resta nel macchinario costituisce la

frazione grossolana o sovvallo. I vagli separano materiale di varie dimensioni in

flussi di particelle di dimensioni specifiche. Poiché la distribuzione

dimensionale delle particelle è una caratteristica di ogni frazione merceologica,

la vagliatura può essere utilizzata per la separazione dei materiali.

Le distribuzioni dimensionali del rifiuto (Tabella 4.5 e Figura 4.6), mostrano

come le classi merceologiche con PCItq più basso (organico, vetro&inerti,

metalli) hanno anche dimensioni mediamente inferiori alle altre classi. Risulta

dunque conveniente effettuare una separazione dimensionale, ottenendo un

sovvallo ad alto PCI ed un sottovaglio ricco di organico e inerti.

Durante la separazione reale del rifiuto, una certa percentuale di particelle fini

rimane bloccata all’interno del vaglio, ostacolata dagli altri rifiuti. Questo

fenomeno non viene, tuttavia, preso in considerazione in questo lavoro poiché il

vaglio viene sempre considerato ideale. Così facendo si considera che tutte le

particelle di dimensione inferiore al diametro dei fori del vaglio finiscano nel

sottovaglio consentendo di ottenere il quantitativo di rifiuto che passa attraverso

i fori direttamente dalle distribuzioni cumulate del rifiuto stesso. Il valore della

frazione di sottovaglio risulta essere pari al valore della distribuzione cumulata

per la dimensione dei fori.

4.2.1 Vaglio primario

Il vaglio primario è il primo separatore dimensionale incontrato dal flusso di

rifiuti e ha capacità considerevole. Si tratta tendenzialmente di un vaglio a

tamburo adatto a trattare tali flussi. Normalmente le prestazioni di questo

tipologia di vaglio sono influenzate dalla dimensione dei fori sul tamburo, dal

diametro e dalla velocità di rotazione del tamburo stesso, dal tipo e numero dei

fori e dall’inclinazione del cilindro. Ipotizzando di riuscire a progettare in

maniera ottimale il vaglio per qualsiasi dimensione dei fori del tamburo, si può

ipotizzare che la frazione di rifiuto separata dipenda solamente dalle dimensioni

dei fori stessi. Questa ipotesi si realizza solamente se tutte le variabili sono

calibrate in modo appropriato tra loro ed in relazione alle dimensioni dei fori.

Particolare importanza assume il moto descritto dal flusso di rifiuti all’interno

del tamburo (Figura 4.14), governato dalla velocità di rotazione del tamburo. Per

basse velocità di rotazione l’azione di mescolamento risulta insufficiente a

muovere il rifiuto dal centro del tamburo verso l’esterno inficiando

notevolmente le prestazioni del vaglio. Alle alte velocità si realizza, invece, il

moto centrifugo per cui le particelle del rifiuto sono mantenute contro la

La modellizzazione dei sistemi TMB

49

superficie del tamburo dalla forza centrifuga. Anche questa tipologia di moto

non consente movimento alle particelle impedendone il passaggio attraverso i

fori. Tra queste due condizioni sta l’andamento ottimale denominato a caratta in

cui il tamburo ruota ad una velocità leggermente inferiore rispetto a quella che

impone il moto centrifugo. Il rifiuto viene spinto contro il tamburo dalla forza

centrifuga finché, giunto nel punto più alto, questa non viene vinta dalla forza di

gravità che causa la caduta del rifuto. In queste condizioni le particelle cadono

dalla distanza massima creando la massima azione di mescolamento poiché solo

poche di esse seguono il moto a cascata. Le particelle di dimensione inferiore ai

fori attraversano gli stessi in maggioranza nel momento dell’impatto sul fondo

del tamburo. Ipotizzare una corretta progettazione consente di approssimare

l’azione del vaglio come ideale.

Figura 4.14-Moto del rifiuto all’interno del vaglio: (a) moto a cascata (b) moto a caratta

(c)moto centrifugo

Il diametro dei fori sul tamburo deve essere tale da garantire un buon

compromesso tra l’aumento del potere calorifico del rifiuto ed il rendimento

materiale dell’impianto TMB. Aumentando tale dimensione, infatti una frazione

sempre maggiore di organico ed inerti viene intercettata nel sottovaglio,

aumentando l’effetto desiderato. Contemporaneamente, però, sempre meno

rifiuto finisce nel sopravaglio riducendo la resa in massa dell’impianto.

4.2.2 Vaglio secondario

Il vaglio secondario riceve in ingresso, tendenzialmente, solo una parte del

flusso di rifiuti lavorato e opera un’ulteriore separazione. Nel caso in cui questo

componente lavori solo sul sottovaglio del vaglio primario viene

tradizionalmente utilizzato un vaglio stellare. Tale vaglio risulta, infatti, essere

più conveninte di quello a tamburo quando si vuole separare un piccola quantità

da un flusso notelvole. Inoltre, grazie alla sua struttura piana, questo tipo di

vaglio è adatto a trattare rifiuti particolarmente umidi e ricchi di frazione

organica, poiché presenta minori problematiche d’impaccamento. Anche questo

componente viene consierato, ai fini del presente studio, nella sua forma ideale.

Capitolo 4

50

4.3 Il trituratore

Il trituratore è quel componente dell’impianto che ha il compito di rompere in

parti più piccole il rifiuto, facilitandone la movimentazione e diminuendo le

superfici e i volumi per i successivi trattamenti. Le particelle in ingresso al

macchinario vengono spezzate comportando una variazione della distribuzione

dimensionale che tali particelle assumono. In tale fase, le distribuzioni in

ingresso si spostano verso valori più piccoli rispetto ai precedenti: l’obiettivo del

trituratore è, infatti, quello di ridurre le dimensioni del rifiuto. Le varie classi

merceologiche reagiscono in maniera differente all’azione del trituratore, a

causa delle differenti caratteristiche fisiche e delle diverse dimensioni delle

particelle di partenza. Un effetto negativo che produce il trituratore è il fatto che

la correlazione tra classe merceologica e dimensione di riferimento diminuisce,

cioè le distribuzioni dimensionali tendono a sovrapporsi maggiormente rispetto

al rifiuto grezzo. Per questo motivo la triturazione non risulta essere spinta, ma

ci si limita ad una triturazione moderata che garantisca risparmi volumetrici. La

triturazione risulta essere, in ogni caso, un’operazione essenziale per la

produzione di CSS poiché è necessario ottenere particelle di dimensioni

contenute, in modo da garantirne la completa combustione. Non va dimenticato,

inoltre, che una prima riduzione della pezzatura del rifiuto avviene all’interno

del lacera-sacchi da cui le particelle escono con dimensioni non superiori ai fori

della griglia di uscita (300÷400 mm).

I trituratori più utilizzati sono i trituratori a coltelli (hammer mills) ad asse

orizzontale. Possono essere a più alberi, in modo da poter trattare una maggior

portata di rifiuti. Le lame presenti sono di due tipi: fisse o mobili. Le lame

rotanti possono essere saldate o bullonate all’albero su cui sono montate. Il

numero di lame dipende dal costruttore e dalla potenza del macchinario.

4.3.1 Modellizzazione trituratore

Per simulare il trituratore è stata utilizzata la π-Breakage Theory [7] per la

quale:

(4.6)

(4.7)

- pi e fi sono rispettivamente le frazione del prodotto e del flusso in

ingresso (feed), la cui grandezza risulta appartenere alla classe

dimensionale i-esima.

- sj è il fattore di selezione della classe j: indica la frazione delle particelle

contenute nella classe j che si rompe durante l’attraversamento del

macchinario.

La modellizzazione dei sistemi TMB

51

- bij indica la frazione delle particelle che si rompono di dimensione

iniziale j che dopo la triturazione fa parte della classe dimensionale i

(

Queste formule devono essere applicate a tutte le tipologie merceologiche

definendo gli appropriati valori dei coefficienti si e bij per ciascun tipo di rifiuto.

Poiché questa teoria è basata su un approccio discreto, è stato necessario

adattare le distribuzioni dei rifiuti. Per far questo, si è deciso di suddividere

l’intervallo significativo per la triturazione in 30 classi (Tabella 4.7), utilizzando

una progressione geometrica (con ragione q pari 0,9137) per il calcolo degli

estremi. Questo tipo di progressione consente di ottenere un numero di classi

maggiore per le dimensioni delle particelle inferiori: ciò si rivela utile poiché per

tali valori sono presenti un numero superiore di particelle. Avere a diposizione

classi dimensionali che riducono la propria ampiezza al diminuire delle

dimensioni delle particelle consente un’appropriata rappresentazione senza

aumentare il numero delle classi totali.

L’estremo superiore della progressione è stato scelto pari a 300 mm, ossia il

valore standard della griglia di uscita dal lacera-sacchi, mentre la dimensione

massima del “fine” (20 mm) è stata scelta come estremo inferiore. Per

modellizare tutto il continuo sono poi state aggiunte le classi (∞;300) e [20;0).

L’estremo D0 è pari a ∞ mentre l’estremo D32 è 0.

Risulta utile definire per ogni classe dei valori rappresentativi utilizzando la

media geometrica tra gli estremi delle classi.

con (4.8)

Applicare questa formula anche alle classi dimensionali 0 e 31 risulta tuttavia

sbagliato poiché fornirebbe risultati privi di significato fisico. Per definire i

valori rappresentativi di queste due classi estreme sono stati utilizzati alcuni

espedienti:

- Il valore rappresentativo della classe 0 (∞;300) è stato posto pari a 20 inch

(508 mm). Tale valore rappresenta il limite di validità più alto imposto alle

distribuzioni dimensionali del rifiuto (cardboard rifiuto grezzo-Tabella 4.5): è

quindi la dimensione massima che può avere una particella in ingresso

all’impianto.

- Il valore rappresentativo della classe 31 [20;0) è stato imposto seguendo la

progressione che assumono i valori rappresentativi delle altre classi:

(4.9)

Capitolo 4

52

Tabella 4.7-Valori degli estremi e dei valori rappresentativi delle classi dimensionali

utilizzate per la discretizzazione del continuo

[mm] [inch] [mm] [inch] [mm] [inch]

0 ∞ ∞ 300,0000 11,8110 508 20

1 300,0000 11,8110 274,1058 10,7916 286,7608 11,2898

2 274,1058 10,7916 250,4466 9,8601 262,0093 10,3153

3 250,4466 9,8601 228,8296 9,0090 239,3942 9,4250

4 228,8296 9,0090 209,0784 8,2314 218,7311 8,6115

5 209,0784 8,2314 191,0320 7,5209 199,8516 7,8682

6 191,0320 7,5209 174,5432 6,8718 182,6016 7,1890

7 174,5432 6,8718 159,4777 6,2786 166,8405 6,5685

8 159,4777 6,2786 145,7125 5,7367 152,4398 6,0016

9 145,7125 5,7367 133,1355 5,2416 139,2821 5,4835

10 133,1355 5,2416 121,6440 4,7891 127,2601 5,0102

11 121,6440 4,7891 111,1445 4,3758 116,2758 4,5778

12 111,1445 4,3758 101,5511 3,9981 106,2396 4,1827

13 101,5511 3,9981 92,7858 3,6530 97,0696 3,8216

14 92,7858 3,6530 84,7771 3,3377 88,6911 3,4918

15 84,7771 3,3377 77,4597 3,0496 81,0358 3,1904

16 77,4597 3,0496 70,7738 2,7864 74,0413 2,9150

17 70,7738 2,7864 64,6650 2,5459 67,6505 2,6634

18 64,6650 2,5459 59,0835 2,3261 61,8113 2,4335

19 59,0835 2,3261 53,9838 2,1253 56,4761 2,2235

20 53,9838 2,1253 49,3242 1,9419 51,6015 2,0316

21 49,3242 1,9419 45,0669 1,7743 47,1475 1,8562

22 45,0669 1,7743 41,1770 1,6211 43,0780 1,6960

23 41,1770 1,6211 37,6228 1,4812 39,3598 1,5496

24 37,6228 1,4812 34,3754 1,3534 35,9625 1,4158

25 34,3754 1,3534 31,4084 1,2365 32,8584 1,2936

26 31,4084 1,2365 28,6974 1,1298 30,0223 1,1820

27 28,6974 1,1298 26,2204 1,0323 27,4309 1,0800

28 26,2204 1,0323 23,9572 0,9432 25,0633 0,9867

29 23,9572 0,9432 21,8894 0,8618 22,9000 0,9016

30 21,8894 0,8618 20,0000 0,7874 20,9234 0,8238

31 20,0000 0,7874 0,0000 0,0000 19,1174 0,7527

estremo superiore

(Di)

estremo inferiore

(Di+1)

valore

rappresentativo (di)nome classe (i)

0,9137ragione della progressione geometrica per il

calcolo degli estremi

La modellizzazione dei sistemi TMB

53

La matrice di breakage ( ) calcola i valori cumulati della matrice e viene

calcolata, a seconda della classe merceologica (Tabella 4.8), seguendo la

formulazione di Gaudin-Meloy:

(4.10)

o la formulazione di Broadbent-Callcott:

(4.11)

Storicamente, a differenza di quanto presentato in questo lavoro, sia la classe

dimensionale della particella in ingresso al trituratore che quella della particella

triturata in uscita venivano rappresentate, all’interno delle formule per il calcolo

della matrice di breakage ( ), con l’estremo superiore della classe dimensionale.

Così facendo, però, le dimensioni delle particelle in ingresso al trituratore

venivano sovrastimate soprattutto nelle classi dimensionali di ampiezza

maggiore. Nel 1986 all’interno del lavoro “Evalutation of it Breakage Theory

for Refuse Components” [8] Aarne Vesilind utilizzò la media geometrica fra gli

estremi delle classi per rappresentare la dimensione della particella di una

determinata classe. Nel 2004 Nikolov all’interno del lavoro “Modelling and

Simulation of Particle Breakage in Impact Crushers” utilizzò, nella definizione

matrice di breakage ( ), la media tra gli estremi della classe dimensionale per

definire le dimensioni della particella in ingresso, e l’estremo superiore della

classe del flusso prodotto in analisi per rappresentare le particelle in uscita.

L’approccio utilizzato all’interno di questo lavoro segue il metodo proposto da

Nikolov, che differenzia la rappresentazione della classe dimensionali

all’interno della matrice di breakage a seconda che essa sia riferita al flusso in

ingresso o in uscita dal trituratore.

Tabella 4.8-Formule utilizzate per il calcolo della matrice di breakage ( ) per le varie

classi merceologiche

Formula Bij

food Gaudin-Meloy con r=3

garden Gaudin-Meloy con r=8

cardboard Gaudin-Meloy con r=1

paper Gaudin-Meloy con r=3

plastic Gaudin-Meloy con r=2

textiles Broadbent-Callcott con n=2,45

wood Gaudin-Meloy con r=7

ferrous Broadbent-Callcott con n=2,45

non-ferrous Broadbent-Callcott con n=2,42

glass Gaudin-Meloy con r=14

sand&rock Gaudin-Meloy con r=7

Capitolo 4

54

Bij rappresenta la frazione cumulativa in peso del prodotto di dimensione minore

alla dimensione Di risultante dalla rottura di particelle di dimensione dj.

Le formule di Gaudin-Meloy e Broadbent-Callcott (4.10 e 4.11) così scritte

valgono solo se i>j. È facile capire che se i=j Bij viene imposto pari ad 1, mentre

se i<j Bij deve risultare 0 (una particella non può aumentare le sue dimensioni).

I valori discretizzati bij derivano dai valori corrispondenti della matrice di

breakage B:

con i≥j (4.12)

Poiché non vi è perdita di massa a cavallo del trituratore:

(4.13)

I valori di si venivano inizialmente ritenuti costanti al variare delle classi

dimensionali, modificandosi solamente in relazione alla classe merceologica.

Questa semplificazione consentiva una più facile implementazione del modello

in assenza dei calcolatori automatici. La possibilità di avvalersi, oggi, di

strumenti di calcolo più potenti rispetto quelli del passato ha consentito lo

sviluppo di teorie che assegnano ad ogni classe dimensionale i uno specifico

fattore di selezione si, mantenendo anche la variabilità in base alla specie

merceologica.

Per definire i valori di tali fattori sono stati utilizzati, in questo lavoro, i dati

raccolti da Ruff e le distribuzioni ottimizzate associate ai rifiuti. Inserendo

nell’equazione della π-Breakage Theory (4.6) le distribuzioni di Ruff

ottimizzate del rifiuto grezzo (fi) (Tabella 4.2) e primario (pi) (Tabella 4.3), è

stato possibile valutare il comportamento del trituratore dell’impianto di Ruff.

Dove le curve dei rifiuti non erano definite (valori maggiori del limite di

validità) è stato assegnato alla distribuzione cumulativa un valore pari a 1. Le

funzioni di distribuzione del rifiuto (fi e pi) sono state poi discretizzate in base

alle 32 classi presentate in Tabella 4.7. I valori si di ogni classe dimensionale, e i

parametri r o n relativi alla matrice di breakage sono stati calcolati

minimizzando la somma quadratica delle differenze tra i valori di pi derivanti

dalle formule proposte e quelli proposti dalle distribuzioni ottimizzate di Ruff

per il rifiuto primario.

L’ottimizzazione dei parametri si è basata sulla somma quadratica degli errori

assoluti e non relativi poiché questi ultimi non sono sempre influenzati dai

valori di si. Il limite superiore al campo di validità delle distribuzioni statistiche

del rifiuto primario risulta spesso inferiore al corrispondente valore per il rifiuto

grezzo. Questo comporta la necessità di creare un modello che porti a zero il

contenuto di classi dimensionali il cui contenuto iniziale risulta non nullo.

Tuttavia la π-Breakage Theory non è in grado di ottenere questo risultato, per il

quale necessiterebbe di valori di bij nulli. Questi coefficienti, per loro stessa

La modellizzazione dei sistemi TMB

55

definizione, risultano però sempre postivi. Per le classi dimensionali per cui è

definita dalle distribuzioni statistiche la presenza di particelle nel rifiuto grezzo,

ma non in quello primario, il valore calcolato dalle formule non sarà mai pari a

quello proposto da Ruff (cioè 0) e gli errori relativi risulteranno, quindi, del

100%. Poiché le classi dimensionali interessate da questo fenomeno sono classi

poste all’estremo superiore delle distribuzioni e contengono frazioni limitate del

rifiuto l’analisi effettuata porta ad errori assoluti considerati accettabili.

Particolare attenzione è stata posta in merito all’errore assoluto di ogni singola

classe dimensionale che evidenzia la distanza tra la distribuzione dimensionale

calcolata e quella proposta da Ruff. Il massimo valore ottenuto per questo errore

risulta dello 0,052 ritenuto, in questo lavoro, accettabile (Tabella 4.9).

La taratura dei parametri si è stata effettuata tramite delle iterazioni manuali al

fine di ottenere dei valori fisicamente corretti. Questi coefficienti devono, infatti,

risultare positivi e minori di uno, e devono inoltre essere decrescenti al

diminuire della dimensione della particella (cioè al crescere di i) [8].

Quest’andamento è giustificato dal fatto che al diminuire della dimensione del

rifiuto in ingresso al trituratore diminuisce anche la facilità con cui la particella

si rompe: più è piccola e meno è affine alla rottura. L’unica classe merceologica

per cui si è ritenuto poco opportuno modificare i parametri si in modo da

renderli decrescenti risulta essere la classe dei tessili,gomma&cuoio. Questa

classe merceologica risulta essere un insieme di più rifiuti: per questo motivo si

è ritenuto possibile una andamento non decrescente causato dalla differente

natura del rifiuto contenuto nelle diverse classi dimensionali che comporta una

diversa affinità alla rottura. Si nota dalla Tabella 4.10 come il valore di si per la

classe 31 risulta indefinito poiché questo si semplifica all’interno della formula

(4.6) e non interviene nella modellizzazione.

Infine viene assunto che il comportamento del trituratore (Bij e si) non vari al

variare della distribuzione dimensionale del rifiuto in ingresso.

Capitolo 4

56

Figura 4.15 Andamento di si al variare della classe dimensionale (food-garden-cardboard)

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30

si-food

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30

si-garden

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30

si-cardboard

La modellizzazione dei sistemi TMB

57

Figura 4.16-Errore assoluto al variare della classe dimensionale (food-garden-cardboard)

0,0284

0

0,005

0,01

0,015

0,02

0,025

0,03

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32

err-food

0,0298

0

0,005

0,01

0,015

0,02

0,025

0,03

0,035

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32

err-garden

0,0340

0

0,005

0,01

0,015

0,02

0,025

0,03

0,035

0,04

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32

err-cardboard

Capitolo 4

58

Figura 4.17-Andamento di si al variare della classe dimensionale (paper-plastic-textiles)

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30

si-paper

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30

si-plastic

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30

si-textiles

La modellizzazione dei sistemi TMB

59

Figura 4.18-Errore assoluto al variare della classe dimensionale (paper-plastic-textiles)

0,0338

0

0,005

0,01

0,015

0,02

0,025

0,03

0,035

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32

err-paper

0,0161

0

0,002

0,004

0,006

0,008

0,01

0,012

0,014

0,016

0,018

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32

err-plastic

0,0371

0

0,005

0,01

0,015

0,02

0,025

0,03

0,035

0,04

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32

err-textiles

Capitolo 4

60

Figura 4.19- Andamento di si al variare della classe dimensionale (wood-ferrous-non

ferrous)

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30

si-wood

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30

si-ferrous

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30

si-non ferrous

La modellizzazione dei sistemi TMB

61

Figura 4.20-Errore assoluto al variare della classe dimensionale (wood-ferrous-non

ferrous)

0,0126

0

0,002

0,004

0,006

0,008

0,01

0,012

0,014

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32

err-wood

0,0529

0

0,01

0,02

0,03

0,04

0,05

0,06

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32

err-ferrous

0,0093

0

0,001

0,002

0,003

0,004

0,005

0,006

0,007

0,008

0,009

0,01

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32

err-non ferrous

Capitolo 4

62

Figura 4.21- Andamento di si al variare della classe dimensionale (glass-sand&rock)

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30

si-glass

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30

si- sand&rock

La modellizzazione dei sistemi TMB

63

Figura 4.22-Errore assoluto al variare della classe dimensionale (glass-sand&rock)

Tabella 4.9-Tabella riassuntiva degli errori massimi assoluti tra contenuto di particelle

calcolato attraverso le formule e il corrispondente valore proposto da Ruff.

0,0013

0

0,0002

0,0004

0,0006

0,0008

0,001

0,0012

0,0014

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32

err-glass

0,0173

0

0,002

0,004

0,006

0,008

0,01

0,012

0,014

0,016

0,018

0,02

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32

err-sand&rock

erroremax singola classeclasse in cui si realizza l'erroremax

(estremi in [mm])

food 0,0284 classe 20 [53,98;49,32)

garden 0,0298 classe 20 [53,98;49,32)

cardboard 0,0340 classe 31 [20,00;0,00)

paper 0,0338 classe 31 [20,00;0,00)

plastic 0,0161 classe 31 [20,00;0,00)

textiles 0,0371 classe 9 [145,71;133,14)

wood 0,0126 classe 31 [20,00;0,00)

ferrous 0,0529 classe 18 [64,67;59,08)

non-ferrous 0,0093 classe 21 [49,32;45,07)

glass 0,0013 classe 28 [26,22;23,96)

sand&rock 0,0173 classe 20 [53,98;49,32)

Capitolo 4

64

Tabella 4.10-Valori di si e degli errori assoluti tra contenuto di particelle calcolato

attraverso le formule e il corrispondente valore proposto da Ruff.

La modellizzazione dei sistemi TMB

65

4.4 Separatori metallici

Questi macchinari hanno un duplice effetto utile: separano materiali inerti dal

flusso dei rifiuti e, contemporaneamente rendono disponibile il prodotto

recuperato, che risulta facilmente commerciabile nella filiera del riciclaggio di

tali materiali. A seconda dell’obiettivo dell’impianto TMB possono essere

presenti macchinari finalizzati al recupero di materiali differenti. In generale, i

separatori metallici sono sempre presenti, poiché la rimozione di tali frazioni dal

flusso del prodotto comporta un aumento nella qualità del CSS.

4.4.1 Definizione dei fattori di purezza e recupero

I separatori metallici separano i rifiuti in entrata in due flussi in uscita (Figura

4.23). Il materiale in ingresso (flusso 0) risulta essere il mix delle componenti x

(materiale da recuperare) e y (altri rifiuti), mentre in uscita vengono creati due

flussi: il materiale recuperato (flusso 1), cioè il prodotto desiderato, e la frazione

residua (flusso 2). Entrambi questi flussi sono a loro volta un mix delle due

componenti x e y. Se la separazione fosse ideale, il flusso 1 conterrebbe solo

materiale x e il flusso 2 solo materiale y.

Figura 4.23-Schematizzazione separatori metallici

Per descrivere in maniera completa le prestazioni del macchinario è necessario

definire più parametri:

- Recovery Factor Transfer Function (RFTF): questo parametro indica il

contenuto totale del flusso di prodotto ottenuto (x1+y1) in relazione al

flusso in ingresso del solo materiale che si vuole recuperare (x0)

(4.14)

- Fattore di Purezza (P): indica la frazione del materiale da recuperare

contenuta nel flusso di prodotto

(4.15)

Componendo le due equazioni si trova che il valore dell’efficienza (E) intesa

come il rapporto tra il materiale desiderato che effettivamente si riesce a

recuperare (x1) e il materiale da recuperare in ingresso (x0) risulta essere:

(4.16)

Capitolo 4

66

4.4.2 Separatori a magneti permanenti

Si tratta di un magnete che scorre perpendicolarmente o parallelamente alla

direzione di trasporto dei rifiuti e attrae a se tutti i materiali magnetici ossia i

metalli ferrosi. Le prestazioni del magnete non dipendono dalle dimensioni del

rifiuto metallico poiché questo è sempre attratto dal magnete, bensì dallo

spessore di rifiuto che copre la particella magnetica. La forza di attrazione

magnetica, infatti, deve essere in grado di vincere la forza peso del rifiuto

sovrastante. Ipotizzando di disporre di superficie di interazione in eccesso e

riuscendo a mantenere lo spessore del flusso entro certi limiti, si possono

ritenere costanti le prestazioni del separatore magnetico. La distribuzione

dimensionale dei metalli ferrosi non subirà quindi variazioni. I parametri RFTF

e P utilizzati per questa modellizzazione risultano entrambi pari a 0,8 (Tabella

4.11) consentendo, quindi, un’efficienza di recupero (E) pari a 0,64.

Figura 4.24-Separtori magnetici

Tabella 4.11-Prestazioni separatori magnetici

4.4.3 Separatore a correnti indotte

I separatori a correnti indotte si basano sulla generazione di una corrente

elettrica indotta nei metalli non magnetici in risposta ad un campo

elettromagnetico. Questo processo consente la separazione dei metalli non-

ferrosi come l’Alluminio ed il Rame. Le correnti indotte si creano quando un

oggetto conduttivo viene esposto ad un campo magnetico variabile nel tempo o

nello spazio. La corrente indotta circola in circuito chiuso all’interno del

conduttore; in accordo con la legge di Lenz tale corrente genera un campo

magnetico opposto al campo magnetico a cui il materiale è esposto. Si crea,

così, una forza che agisce sull’oggetto conduttivo spingendo l’oggetto fuori dal

campo magnetico a cui è esposto. Questo funzionamento non si modifica al

variare delle dimensioni del materiale conduttivo, bensì al variare della sua

densità. Si può considerare, quindi, che il separatore a correnti indotte non vari

le distribuzioni dimensionale dei rifiuti, agendo con le stesse prestazioni su tutte

le classi dimensionali. Le prestazioni di questi separatori risultano superiori a

RFTF 0,8

P 0,8

La modellizzazione dei sistemi TMB

67

quelle dei separatori magnetici e l’efficienza E considerata all’interno di questo

lavoro risulta pari a 0,81. I valori di P e RFTF sono riportati nella Tabella 4.12.

Figura 4.25-Separatore a correnti indotte

Tabella 4.12-Prestazioni separatore a correnti indotte

4.5 La bioessicazione

La bioessicazione è un processo anaerobico esotermico basato sull’ossidazione

batterica del materiale organico contenuto nel rifiuto. L’obiettivo della

bioessicazione è quello di sfruttare una reazione batterica esotermica al fine di

far evaporare la maggior quantità di umidità contenuta nel rifiuto con la minor

conversione di materia organica possibile. Gli effetti dovuti a tale processo sono

un aumento del PCI del rifiuto e una parziale stabilizzazione della sua

composizione.

Il rifiuto viene posto in pile alte al massimo 6 m all’interno dei bio-reattori che

forzano il passaggio dell’aria all’interno del cumulo di rifiuti. L’aria ha diversi

compiti: deve fornire ai batteri l’ossigeno necessario all’ossidazione e deve

trascinare fuori dal reattore i prodotti della reazione e l’umidità che evapora a

causa del riscaldamento dell’ambiente. La durata del processo e la portata d’aria

ambiente nel reattore cambiano a seconda dell’umidità del rifiuto e del

contenuto di materiale putrescibile, variando rispettivamente tra i 7 e i 14 giorni

e tra 3 e 12 m3/kgRSU. Ciò che influenza maggiormente le prestazioni della

bioessicazione e ne può provocare l’arresto è il contenuto di umidità nel rifiuto,

poiché all’aumentare di questo aumenta l’attività dei batteri. La riduzione di

massa del rifiuto alla fine del processo dipende dalla dinamica e dal tipo di

regolazione del processo stesso: soprattutto dalla durata e dal regime di

ventilazione.[9]

RFTF 0,9

P 0,9

Capitolo 4

68

4.5.1 Modellizzazione della bioessicazione

La riduzione in massa del rifiuto durante la bioessicazione si compone di 3 parti:

- La frazione dei composti volatili contenuti nella parte organica che

vengono trasformati durante la reazione in prodotti volatili

- Una parte dell’umidità del rifiuto che evapora e viene trasportata via

dall’aria

- Una piccolissima parte (circa il 2% della riduzione totale di massa) di

umidità che si raccoglie come percolato liquido.

Le reazioni chimiche sviluppate dai batteri all’interno del rifiuto consumano

parte della frazione organica volatile rilasciano del calore che scalda l’ambiente

esterno e fa evaporare parte dell’umidità contenuta nel rifiuto. La perdita di

umidità risulta essere, quindi, correlata alla perdita di frazione organica volatile.

Le reazioni di bioessicazione sono reazioni differenti rispetto alla combustione e

coinvolgono tutta la frazione organica presente nel rifiuto, non solo quella che

viene persa. Per calcolare il calore rilasciato dalle reazioni non è quindi corretto

utilizzare il PCIfc della sostanza organica volatile che viene persa perché così

facendo si sottostimerebbe tale valore. I Professori Viganò e Consonni hanno

proposto nel loro lavoro “A model for mass and energy balances of bio-drying”

[9] un modello di calcolo che tiene conto di questo fenomeno. Tale

procedimento verrà seguito all’interno di questo lavoro.

Analizzando il comportamento della sola frazione combustibile dell’organico si

possono scrivere i bilanci di massa ed energia [9]:

(4.17)

(4.18)

Il modello assume che la massa organica combustibile che si ossida risulti

differente da quella consumata: il contributo energetico delle due quantità si

deve però eguagliare. [9]

(4.19)

Assumendo che

[9] si può scrivere

(4.20)

La massa organica consumata risulta essere minore di quella ossidata ed il

valore ε risulta minore di 1. Tale coefficiente risulta dipendente dalla frazione su

base umida di organico presente all’interno del flusso di rifiuti in ingresso

La modellizzazione dei sistemi TMB

69

(yorgin

) ed è calcolabile attraverso la relazione proposta sempre dai Professori

Viganò-Consonni [9]:

(4.21)

Dalla definizione di ε si può ricavare i PCI effettivo della frazione organica

consumata in relazione al PCIfc,orginiziale

che risulta superiore a quest’ultimo

(ε<1): si sviluppa quindi una quantità di calore superiore rispetto a quella che si

calcolerebbe utilizzando PCIfc,orginiziale

.

(4.22)

L’attività sperimentale portata avanti dall’Università di Trento ha mostrato

come, nel range di “contenuto organico” che si trova tipicamente nel RSU

italiano (o per EU15), quale ad esempio il rifiuto indifferenziato lasciato dopo la

raccolta differenziata, la riduzione totale in massa del rifiuto alla fine del

processo di bioessicazione può essere considerato pari al 63% del contenuto

organico presente nel rifiuto iniziale [9]. Un’altra considerazione utile deriva

dagli studi fatti dal Prof. Viganò [9] per cui il rendimento di reazione può essere

considerato pari al 97,5%. Questo valore non è unitario poiché parte del calore

sviluppato serve a riscaldare l’ambiente e il flusso di rifiuti, e parte si ritrova

all’interno del flusso di acqua liquida in uscita.

Occorre ora strutturare un sistema a tre equazioni in tre incognite (ΔMH2O,

ΔMfc,org, PCIfc,orgfinale

). Per far questo vengono utilizzati il bilancio di massa ed

energia a cavallo del reattore ed il bilancio di energia sulla frazione volatile

dell’organico (eq. 4.18).

(4.22)

Condizioni:

Capitolo 4

70

Imponendo tali condizioni è possibile calcolare la massa di organico consumata

e l’umidità che evapora. Per suddividere la perdita di umidità all’interno delle

varie classi merceologiche è stato calcolato il fattore di riduzione della

percentuale di umidità contenuta in ciascuna classe merceologica (β < 0).

Questo coefficiente è stato considerato uguale per tutte le classi merceologiche.

(4.23)

4.5.2 La maturazione

La maturazione è un processo biologico naturale e si realizza su una frazione del

flusso in ingresso ricca di materiale organico. A differenza della

biostabilizzazione non avviene in un reattore, ma in cumuli in contatto con

l’ambiente circostante. Il processo si struttura in due fasi:

- La prima parte della maturazione dura circa 30 giorni e deve avvenire al

coperto a causa del rilascio di odori e dell’alta putriscibilità del rifiuto. In

questo periodo il rifiuto viene continuamente rivoltato dall’azione di pale

gommate al fine di mescolarlo e rivoltarlo. Il rifiuto è inoltre soggetto a

ventilazione forzata. Il rivoltamento consente di ottenere una buona

miscelazione dei materiali di partenza, ne riduce la pezzatura, ne facilita

l’aerazione e ne regola la temperatura. In questo modo, alla fine del processo

si avrà una sufficiente igienizzazione e una omogenea stabilizzazione. In

genere si effettuano fino a 2-3 rivoltamenti a settimana, che consentono

anche di accelerare il processo. Vi è, però, un dispendio energetico non

indifferente necessario a tale movimentazione. L’aria che entra in contatto

con i cumuli viene convogliata verso dei bio-filtri e quindi rilasciata in

atmosfera. Dopo questa fase la frazione in massa di umidità specifica di ogni

classe merceologica si riduce a ⅔ del corrispettivo valore in ingresso, mentre

il valore della frazione combustibile dell’organico si riduce del 35%.

- La seconda fase può avvenire anch’essa al coperto, ma durante questo

periodo il rifiuto non è soggetto ne a rivoltamenti, ne a ventilazione forzata.

Questa fase agisce principalmente sul rifiuto organico poiché le altre classi

merceologiche contengono quantitativi di umidità molto minori. In questo

periodo (che dura circa 60 giorni) si consuma una parte di frazione

combustibile della frazione organica ed un parte di umidità di questa classe

merceologica evapora. Al termine del processo il rifiuto in uscita presenta un

valore della frazione combustibile della parte organica ridotto di un ulteriore

15% del valore iniziale (prima dell’inizio del processo di maturazione). I

valori delle percentuali di umidità delle varie tipologie merceologiche

risultano invece pari a quelli in uscita dalla prima fase di maturazione.

Figura 4.26-Schematizzazione maturazione

0 2STABILIZZAZIONE in CAPANNONE

(30 giorni)

MATURAZIONE all'APERTO

(60 giorni)1

La modellizzazione dei sistemi TMB

71

Indicando con y la frazione massica di umidità o sostanze combustive relativa ad

ogni classe merceologica i si può affermare che:

per ogni i (4.24)

In riferimento alla sola frazione organica:

(4.25)

(4.26)

La riduzione di massa di questo processo si ripercuote anche sulle dimensioni

delle particelle del rifiuto, poiché queste, rilasciando umidità, si

rimpiccioliscono. Il fenomeno viene considerato dimezzando le dimensioni delle

particelle di organico. Si interviene solamente su questa classe merceologica

poiché risulta la più colpita dal processo a causa della perdita di una frazione

della parte combustibile e del maggior quantitativo in massa di umidità

rilasciato.

Capitolo 5

5 Casi di studio

Il modello creato è stato strutturato ed implementato su tre diversi schemi

d’impianto ritenuti significativi al fine di rappresentare la popolazione degli

impianti esistenti. Questi tre esempi rappresentano: l’impianto di riferimento su

cui il modello è stato tarato, il modello degli impianti tradizionali presenti in

Italia, ed infine uno schema d’impianto a flusso unico caratterizzato dalla

presenza della biostabilizzazione. Tutte e tre le tipologie d’impianto risultano

essere finalizzate alla produzione di CSS e non al recupero di materiali da

avviare al riciclo. Gli unici materiali opportunamente separati dal flusso di rifiuti

risultano essere i metalli poiché determinerebbero un decadimento della qualità

del CSS prodotto. Carta e plastica non sono separati al fine mantenere alto il PCI

del combustibile derivato da rifiuti. Tutti gli schemi qui riportati sono composti

dagli stessi macchinari, variando la loro disposizione e, con essa, alcune

caratteristiche che ogni singolo componente deve avere. La modellizzazione del

singolo macchinario tuttavia non prevede modifiche al variare dell’impianto in

cui è inserito.

5.1 Definizioni

5.1.1 Caratterizzazione del RUR in ingresso

Per analizzare le prestazioni degli impianti si è fatto riferimento a tre diverse

tipologie di rifiuti in ingresso fornendo una rappresentazione il più completa

possibile. Questi tre diversi tipi di RUR si differenziano per la loro

composizione e, di conseguenza per il loro potere calorifico. In ordine crescente

di PCI le tipologie di RUR sono state denominate come RURmin, RURmed,

RURmax. La caratterizzazione di questi rifiuti si è basata sulla rappresentazione

fornita da Ranzini [5] in modo da poter confrontare i risultati da lui ottenuti con

quelli calcolati attraverso il modello realizzato. In questo modo è stato possibile

calibrare il modello confrontando i parametri di prestazione dell’impianto di

riferimento con quelli della corrispondente configurazione di Ranzini.

Nell’analisi riportata in seguito si è considerato che gli ingombranti presenti

vengano rimossi prima dell’ingresso del rifiuto nell’impianto TMB con dei

parametri di rimozione RFTF e P pari a 1 poiché la separazione si può ritenere

ideale per il fatto che avviene manualmente e gli ingombranti risultano “ben

visibili”. Quest’ipotesi comporta delle differenze con l’analisi di Ranzini, ma

permette di fornire una rappresentazione più realistica e significativa. Inoltre la

classe merceologica tessili+gomma+legno+cuoio è stata suddivisa in questa

analisi in 70% di legno e 30% di tessili utilizzando per queste due nuove classi i

valori delle proprietà proposti nel modello Consonni-Viganò [6]. Per tutte le

altre frazioni merceologiche sono state utilizzate le proprietà descritte dal

Capitolo 5

74

modello di Ranzini [5]. Le distribuzioni dimensionale del RUR in ingresso sono

state considerate pari a quelle contestualizzate del rifiuto grezzo.

Tabella 5.1- Suddivisione merceologica RUR in ingresso agli impianti

Tabella 5.2-Proprietà RUR in ingresso

5.1.2 Definizione dei parametri di merito

Per valutare le prestazioni degli impianti analizzati ci si è basati su tre diversi

parametri in modo da rappresentare i diversi effetti utili che si ottengono

attraverso il trattamento meccanico e biologico dei rifiuti solidi urbani.

Il rendimento di materia (ηm) indica la capacità dell’impianto nel recuperare

materia dal flusso di rifiuti in ingresso ed è definito come il rapporto tra la

portata di CSS prodotto e la portata di RUR in ingresso. Il complemento ad

uno di questo parametro è composto da perdite di processo (Δmbioessicazione),

dal materiale di scarto destinato a discarica (FORSU e inerti) e da un flusso

di materiale recuperato inviato poi al riciclaggio (ferrosi e non-ferrosi

recuperati).

(5.1)

L’incremento di PCI (ΔPCI) indica la capacità dell’impianto di aumentare il

potere calorifico del combustibile in ingresso migliorandone le sue proprietà

RURmin RURmed RURmax

organico 56,82% 47,81% 34,27%

carta&cartone 14,46% 19,33% 26,21%

plastica 7,64% 15,16% 22,48%

vetro&inerti 11,57% 7,12% 5,44%

tessili,gomma&cuoio 1,24% 2,08% 3,05%

legno 2,89% 4,84% 7,13%

ferrosi 4,30% 2,93% 1,13%

non ferrosi 1,07% 0,73% 0,28%

TOT. 100,00% 100,00% 100,00%

PCI [MJ/kg] 6,73 9,17 11,64

yfc yash yumidità PCIfc PCIfc+ash PCI

organico 26,60% 16,80% 56,60% 22,46 13,77 4,60

carta&cartone 70,20% 7,80% 22,00% 16,20 14,58 10,84

plastica 85,50% 9,50% 5,00% 30,01 27,01 25,53

vetro&inerti 1,50% 96,00% 2,50% 4,03 0,06 0,00

tessili,gomma&cuoio 81,70% 4,30% 14,00% 19,88 18,89 15,90

legno 76,83% 1,17% 22,00% 18,84 18,55 13,94

ferrosi 6,00% 90,00% 4,00% 1,61 0,10 0,00

non ferrosi 6,00% 90,00% 4,00% 1,61 0,10 0,00

Casi di studio

75

combustive. La variazione viene anche rapportata al PCI iniziale in modo da

evidenziare l’incremento relativo.

[MJ/kg] (5.2)

(5.3)

Il rendimento termico (ηt) risulta essere un indice che combina il rendimento

di materia con la variazione di PCI: è definito come il rapporto tra l’energia

termica utile in uscita dall’impianto sotto forma di CSS e l’energia termica

utile associata al flusso di rifiuti in ingresso.

(5.3)

Confrontando i grafici dei parametri di merito per i vari impianti si può notare

come il ΔPCI% risulti, a pari diametro di fori dei vagli, crescente nell’ordine

RURmax, RURmed, RURmin poiché in quest’ordine risulta crescente la presenza di

organico ed inerti. Più un rifiuto è ricco di queste specie merceologiche e

maggiore risulta essere la frazione di RUR nel sottovaglio con rispettiva

diminuzione dei rendimenti di massa e termici. Si può affermare che la

vagliatura ha un effetto di separazione maggiore al diminuire della qualità del

rifiuto di partenza. Le caratteristiche del RUR in ingresso all’impianto sono una

delle variabili da tenere in considerazione al fine della scelta del diametro dei

fori dei vagli. Anche le modalità di utilizzo del CSS prodotto concorrono alla

scelta della struttura dell’impianto TMB: qualora il CSS venga utilizzato in co-

combustione nei cementifici il suo PCI deve risultare maggiore rispetto al caso

in cui il combustibile derivato dai rifiuti venga bruciato in un inceneritore

dedicato. Tenendo conto di queste condizioni bisogna cercare il miglior

compromesso tra aumento del PCI e recupero di materia.

5.2 Impianto di riferimento

Questa tipo d’impianto (Figura 5.1) è stato proposto da Ranzini all’interno della

sua tesi [5] ed è un schema a flusso separato in cui il RUR in ingresso passa

attraverso un separatore magnetico per il recupero di materiali ferrosi prima di

essere separato. Il vaglio primario divide la parte fine ricca di organico ed inerti

dai materiali a più alto PCI. Il sovvallo viene trattato da un separatore a correnti

indotte per il recupero dei metalli non-ferrosi, mentre il sottovaglio passa

attraverso un ulteriore separatore magnetico. Questo flusso viene poi lasciato a

maturazione il tempo necessario al completamento del processo (60÷90 giorni);

il rifiuto stabilizzato viene fatto passare attraverso un vaglio stellare. Il

Capitolo 5

76

sottovaglio viene inviato a discarica mentre il sovvallo viene unito al sovvallo

proveniente dal vaglio primario costituendo così il CSS. Per essere utilizzato

come combustibile, però, il flusso deve essere sottoposto a triturazione e

pellettizzazione.

Figura 5.1-Schema impianto di riferimento

5.2.1 Analisi delle prestazioni-impianto di riferimento

Analizzando l’andamento dei parametri di prestazione al variare del diametro

dei fori del vaglio primario (D) (Figura 5.2) si nota come ηm e ΔPCI% abbiano

un andamento opposto tra loro. Aumentare le dimensioni dei fori sul tamburo

comporta una riduzione della massa trattenuta nel sovvallo facendo diminuire, di

conseguenza, il rendimento di massa. Per contro, però, si riesce ad intercettare

nel sottovaglio una frazione sempre maggiore di organico ed inerti permettendo

di ottenere un sovvallo ad alto PCI. Poiché la maggior parte del CSS prodotto

deriva dal flusso grossolano in uscita dal vaglio primario (dal 55% per grossi

fori al 98% per fori di piccole dimensioni) il ΔPCI% aumenta all’aumentare del

diametro del vaglio primario. Si può vedere come ηt segua l’andamento del

rendimento di massa poiché la portata incide maggiormente su questo indice

rispetto al ΔPCI. All’aumentare del diametro dei fori del vaglio primario le

prestazioni dell’impianto risentono maggiormente della composizione iniziale

del rifiuto e le curve del RURmin, RURmed, RURmax tendono a divergere.

Un’analisi simile può essere fatta anche sull’andamento dei parametri al variare

del diametro dei fori del vaglio secondario (d) (Figura 5.3) dove all’aumentare

della dimensione di separazione il ΔPCI% aumenta mentre ηm e ηt diminuiscono.

In questo caso, però, la variazione del diametro dei fori incide in maniera minore

Sottovaglio

Sovvallo

FERROSI

TRITURATORE

CSS

DISCARICA

SEPARATORE A

CORRENTI INDOTE

SEPARATORE

MAGNETICO

MATURAZIONE

VAGLIO STELLARE

NON

FERROSI

SottovaglioSovvallo

RUR LACERA-SACCHI

SEPARATORE

MAGNETICO

VAGLIO PRIMARIO

Casi di studio

77

sui parametri, poiché agisce su una frazione minore del CSS prodotto. Si può

vedere come gli indici di prestazione varino con un andamento significativo per

valori sotto i 30 mm e restino pressoché costanti oltre questa soglia. La

variazione di pendenza risulta essere posizionata in corrispondenza di d=D/2

ossia del valore pari alla metà delle dimensioni dei fori sul vaglio primario.

Utilizzando questo valore si è sicuri, infatti, di escludere tutta la parte organica

dal sovvallo del vaglio secondario. La modellizzazione della maturazione agisce

sulle dimensioni della frazione organica dimezzandole: prima di essa la

dimensione maggiore delle particelle è pari alla dimensione dei fori del vaglio

primario. Risulta sconveniente utilizzare dimensioni maggiori rispetto questa

soglia, poiché si ha una perdita di massa senza un corrispettivo aumento del PCI

del CSS. Il riscontro numerico a questa teoria è stato effettuato con più valori

del diametro dei fori del vaglio primario.

Figura 5.2-Andamento dei parametri di prestazione dell’impianto al variare della

dimensione del diametro dei fori del vaglio primario (D) in [mm] con diametro dei fori del

vaglio secondario (d) fissato pari a metà della dimensione dei fori del vaglio primario

(d=D/2). (Impianto di riferimento)

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

30 40 50 60 70 80 90 100 110 120 130

ηm-RURmin

ηm-RURmed

ηm-RURmax

ΔPCI-RURmin

ΔPCI-RURmed

ΔPCI-RURmax

ηt-RURmin

ηt-RURmed

ηt-RURmax

Capitolo 5

78

Figura 5.3-Andamento dei parametri di prestazione dell’impianto al variare della

dimensione del diametro dei fori del vaglio secondario (d) in [mm] con diametro dei fori

del vaglio primario (D) fissato a 60mm. (Impianto di riferimento)

Analizzando i valori del PCI (Figura 5.4) del CSS ottenuto si nota come questo

non sia sempre superiore al limite per la classificazione come CSS-C (15

MJ/kg), ma che anzi sia tutto sommato difficile produrre questa tipologia di

combustibile. Per ottenere valori di PCI adatti a tale scopo bisogna utilizzare

elevate dimensioni dei fori del vaglio primario con decadimento del rendimento

di massa oppure avere a disposizione un RUR ad elevato PCI iniziale (RURmax).

Figura 5.4-Andamento del PCI [MJ/kg] al variare del diametro dei fori del vaglio primario

(D) in [mm]. (Impianto di riferimento)

Per quanto riguarda il recupero di metalli grazie ai due separatori magnetici e al

separatore a correnti indotte si può notare come esso vari al variare del diametro

dei fori del vaglio primario (Figura 5.6). All’aumentare di questa variabile

diminuisce la percentuale di non-ferrosi che si riesce a catturare poiché una

minor quantità di questo materiale finisce nel sovvallo del vaglio primario

venendo poi trattata dal separatore a correnti indotte. Per il motivo opposto

0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

0,9

1

24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36

ηm-RURmin

ηm-RURmed

ηm-RURmax

ΔPCI-RURmin

ΔPCI-RURmed

ΔPCI-RURmax

ηt-RURmin

ηt-RURmed

ηt-RURmax

0

5

10

15

20

30 40 50 60 70 80 90 100 110 120 130

PCI-RURmin

PCI-RURmed

PCI-RURmax

limite CSS-C

Casi di studio

79

(maggior quantitativo di ferrosi nel sottovaglio) la percentuale di ferrosi separata

aumenta (Figura 5.5). Il quantitativo di ferrosi separati risente in maniera minore

della variazione delle dimensioni dei fori del vaglio poiché la maggior parte di

questo materiale viene recuperata dal separatore magnetico a monte del vaglio in

questione. Osservando le distribuzioni dimensionali del rifiuto grezzo per le due

tipologie di metalli si osserva come i ferrosi abbiano dimensioni mediamente

superiori ai non-ferrosi (media: ferrosi 98,67 mm e non-ferrosi 62,9 mm). Si può

pensare che invertendo i due separatori (magnetico sul sovvallo e amagnetico

sul sottovaglio) si riesca a recuperare una maggior frazione di materiali

metallici. Quest’affermazione risulta corretta per diametri dei fori piccoli

(inferiori a 95 mm) poiché in questi casi si rende possibile un aumento della

separazione di metalli ferrosi. Va ricordato che l’andamento della percentuale di

recupero di tutti i metalli segue l’andamento della percentuale di recupero dei

ferrosi poiché questi risultano presenti in quantità maggiore nel RUR in ingresso

all’impianto.

Figura 5.5-Recupero % di materiali ferrosi e non-ferrosi al variare del diametro dei fori

del vaglio primario (D) in [mm]

0,00%

10,00%

20,00%

30,00%

40,00%

50,00%

60,00%

70,00%

80,00%

90,00%

30 50 70 90 110 130

normali %rec ferr

normali %rec non-ferr

invertiti %rec ferr

invertiti %rec non-ferr

Capitolo 5

80

Figura 5.6-Recupero % di metalli al variare del diametro dei fori del vaglio primario (D)

in [mm]

5.3 Impianto tradizionale

L’impianto analizzato di seguito (Figura 5.7) risulta avere uno schema

tradizionalmente presente sul territorio italiano ed è, come gli altri, strutturato

per la produzione di CSS. Questa tipologia d’impianti risulta essere a flusso

separato, la maturazione avviene solo sul sottovaglio del vaglio primario e serve

a stabilizzare il rifiuto in modo da poterlo inviare a discarica. La struttura si

differenzia da quella dell’impianto di riferimento poiché tutto il sottovaglio del

vaglio primario viene inviato a discarica (a meno di una frazione di ferrosi

recuperati prima della maturazione) senza che vi sia recupero di ulteriore

materiale. Il sovvallo del vaglio primario, invece, passa attraverso un separatore

a correnti indotte, viene triturato ed inviato ad un vaglio secondario in modo da

rimuovere un ulteriore frazione di organico ed inerti che vengono poi inviati a

discarica. La parte più grossolana separata dal vaglio secondario viene

pellettizzata e costituisce il CSS.

0,00%

10,00%

20,00%

30,00%

40,00%

50,00%

60,00%

70,00%

80,00%

90,00%

100,00%

30 50 70 90 110 130

normali

invertiti

Casi di studio

81

Figura 5.7-Schema impianto tradizionale

5.3.1 Analisi delle prestazioni-impianto tradizionale

Questa tipologia d’impianto si differenzia da quella dell’impianto di riferimento

poiché dal sottovaglio del vaglio primario non viene recuperata nessun

quantitativo di materia. L’obiettivo del vaglio primario è quello di separare la

maggior parte della frazione organica in modo da convogliarla a maturazione.

La successiva triturazione mischia parzialmente le classi merceologiche ed è

quindi utile separare la frazione organica a monte di questa lavorazione.

Aumentare le dimensione dei fori del vaglio primario consente una maggior

sicurezza nell’esclusione di organico ed inerti, ma contemporaneamente

comporta un quantitativo sempre maggiore di frazioni pregiate rimosse. I

parametri di prestazione finali dell’impianto dipendono dall’azione combinata

dei due vagli. L’effetto della variazione delle dimensioni dei fori del vaglio

primario può essere evidenziato fissando il diametro dei fori del vaglio

secondario al valore minimo disponibile (20mm) (Figura 5.8). Il vaglio

secondario, in questo caso effettua un limitata opera di separazione,

influenzando in maniera minore i parametri prestazionali. Aumentare il diametro

dei fori del vaglio primario significa, anche in questo caso, aumentare il ΔPCI%

e ridurre ηm e ηt, a causa della progressiva diminuzione della frazione di

organico ed inerti contenuta nel CSS e del contemporaneo aumento della massa

di rifiuto scartata. L’andamento delle prestazioni al variare delle dimensioni dei

fori del vaglio primario può anche essere rappresentato imponendo il diametro

dei fori del vaglio secondario pari alla metà del valore del diametro dei fori del

vaglio primario (d=D/2) (per il diametro dei fori del vaglio primario pari a

30mm è stato imposto il valore minimo disponibile cioè 20mm.) Rispetto al caso

precedente le linee non seguono un andamento lineare, inoltre i valori del

Sottovaglio

CSS

INERTE A DISCARICA

Sovvallo

NON

FERROSI

SEPARATORE A

CORRENTI INDOTE

SEPARATORE

MAGNETICOFERROSI

MATURAZIONE

FORSU A DISCARICA

TRITURATORE

VAGLIO SECONDARIO

RUR LACERA-SACCHI

SEPARATORE

MAGNETICO

SovvalloVAGLIO PRIMARIO

Sottovaglio

Capitolo 5

82

ΔPCI% risultano maggiori e quelli dei ηm e ηt inferiori. Questo fatto è dovuto

all’aumento delle dimensioni dei fori del vaglio secondario.

Figura 5.8-Andamento dei parametri di prestazione dell’impianto al variare della

dimensione del diametro dei fori del vaglio primario (D) in [mm] con diametro dei fori del

vaglio secondario (d) fissato a 20 mm. (Impianto tradizionale)

Figura 5.9-Andamento dei parametri di prestazione dell’impianto al variare della

dimensione del diametro dei fori del vaglio primario (D) in [mm] con diametro dei fori del

vaglio secondario (d) fissato pari a metà della dimensione dei fori del vaglio primario

(d=D/2). (Impianto tradizionale)

0

0,2

0,4

0,6

0,8

1

1,2

20 30 40 50 60 70 80 90

ηm-RURmin

ηm-RURmed

ηm-RURmax

ΔPCI-RURmin

ΔPCI-RURmed

ΔPCI-RURmax

ηt-RURmin

ηt-RURmed

ηt-RURmax

0

0,2

0,4

0,6

0,8

1

1,2

20 40 60 80

ηm-RURmin

ηm-RURmed

ηm-RURmax

ΔPCI-RURmin

ΔPCI-RURmed

ΔPCI-RURmax

ηt-RURmin

ηt-RURmed

ηt-RURmax

Casi di studio

83

L’influenza delle dimensioni dei fori del vaglio secondario sulle prestazioni

dell’impianto si deve rapportare al valore dei diametri dei fori del vaglio

primario. Se quest’ultimo risulta piccolo (Figura 5.10) una frazione consistente

di organico ed inerti attraversa il trituratore e si ritrova in ingresso al vaglio

secondario. Variare il diametro dei fori del vaglio secondario influenza in modo

anche consistente le prestazioni e all’aumentare di tale dimensione il ΔPCI%

aumenta, mentre ηm e ηt si riducono. Se invece la separazione del vaglio

primario risulta spinta e il diametro dei fori sul suo tamburo elevato (Figura

5.11), l’azione del vaglio secondario ha effetti minori sulle prestazioni

dell’impianto. Tale contributo risulta limitato a causa dell’esclusione della quasi

totalità della frazione di organico ed inerti a monte del vaglio secondario.

Figura 5.10-Andamento dei parametri di prestazione alla variazione del diametro dei fori

del vaglio secondario (d) in [mm] con diametro dei fori del vaglio primario (D) fissato pari

a 40mm. (Impianto tradizionale)

0

0,2

0,4

0,6

0,8

1

1,2

1,4

15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70

ηm-RURmin

ηm-RURmed

ηm-RURmax

ΔPCI-RURmin

ΔPCI-RURmed

ΔPCI-RURmax

ηt-RURmin

ηt-RURmed

ηt-RURmax

Capitolo 5

84

Figura 5.11-Andamento dei parametri di prestazione alla variazione del diametro dei fori

del vaglio secondario (d) in [mm] con diametro dei fori del vaglio primario (D) fissato pari

a 80mm. (Impianto tradizionale)

Analizzando l’andamento dei valori assoluti del PCI si nota come non sempre il

CSS ottenuto possa essere classificato come CSS-C, ma che il raggiungimento

delle proprietà necessarie a tale definizione viene raggiunto solo per il RURmax e

il RURmed. Partendo da un rifiuto a più basso PCI risulta difficile ottenere un PCI

superiore a 15 MJ/kg.

Figura 5.12- Andamento del PCI [MJ/kg] al variare del diametro dei fori del vaglio

primario (D) in [mm]. (Impianto tradizionale)

I valori delle prestazioni del recupero delle frazioni metalliche non si discostano

ne qualitativamente ne quantitativamente a quelli dell’impianto di riferimento.

Le lavorazioni che avvengono prima dei separatori metallici risultano identiche

per le due tipologie d’impianto.

0

0,2

0,4

0,6

0,8

1

1,2

15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70

ηm-RURmin

ηm-RURmed

ηm-RURmax

ΔPCI-RURmin

ΔPCI-RURmed

ΔPCI-RURmax

ηt-RURmin

ηt-RURmed

ηt-RURmax

0 2 4 6 8

10 12 14 16 18

20 30 40 50 60 70 80 90

PCI-RURmin

PCI-RURmed

PCI-RURmax

limite CSS-C

Casi di studio

85

5.4 Impianto a flusso unico con biostabilizzazione

Questa tipologia di impianti (Figura 5.13) opera la biostabilizzazione sull’intero

flusso di rifiuti in ingresso. A questa seguono un separatore magnetico e un

trituratore. Vi sono poi un altro separatore magnetico ed uno a correnti indotte

che separano dal flusso di rifiuti un’ulteriore frazione di metalli. Queste

rimozioni risultano scrupolose poiché in uscita da essi vi è un flusso che può già

essere utilizzato come combustibile. Tuttavia l’incremento di PCI risulta

modesto poiché tutti gli inerti e l’organico stabilizzato non sono stati rimossi. Se

si vuole ottenere CSS di elevata qualità bisogna quindi rimuovere queste

componenti utilizzando un vaglio secondario che comporta, però, uno scarto da

inviare a discarica.

Figura 5.13-Schema impianto a flusso unico con biostabilizzazione

5.4.1 Analisi delle prestazioni-impianto biostabilizzazione

Questo impianto è caratterizzato dalla produzione di CSS ad alto PCI poiché la

biostabilizzazione avviene su tutto il flusso di rifiuti che comporrà il CSS. Il

combustibile derivato dai rifiuti risulta totalmente essiccato (a meno

dell’efficienza di essicazione della biostabilizzazione) e tutte le frazioni

merceologiche risultano avere un PCI superiore a quello di partenza. Il

posizionamento del vaglio a valle del trituratore comporta la necessità di

Sottovaglio

Sovvallo

CSS A BASSO PCI

VAGLIO

NON

FERROSI

FORSU A DISCARICA

RUR LACERA-SACCHI

SEPARATORE

MAGNETICO

FERROSI

TRITURATORE

BIOSTABILIZZAZIONE

CSS AD ALTO PCI

SEPARATORE

MAGNETICO

SEPARATORE A

CORRENTI INDOTE

Capitolo 5

86

utilizzare diametri dei fori piccoli al fine di non scartare troppa massa dal CSS.

ηm e ηt crollano in maniera considerevole già utilizzando un vaglio da 20 mm

(misura minima) mentre contemporaneamente il ΔPCI% aumenta fortemente.

Aumentando le dimensione dei fori del vaglio si riscontrano inizialmente

incrementi significativi nell’andamento della variazione di PCI poiché una

frazione sempre maggiore di inerti ed organico sono esclusi dal CSS. Vi è un

limite massimo per questa crescita posizionato a circa 50÷60 mm: oltre tale

valore il ΔPCI% inizia a diminuire. La presenza di questo massimo dipende dal

fatto che per valori superiori la percentuale di plastica nel CSS si riduce

lasciando spazio a frazioni merceologiche a più basso PCI (come ad esempio la

carta&cartone.) Risulta sconveniente oltrepassare questo limite poiché si

otterrebbe un aumento di PCI raggiungibile anche con valori di ηm maggiori. Il

valore di questo massimo è determinato dal fatto che per valori superiori a 2

inch (50,8 mm) nelle distribuzioni del rifiuto primario non sono più presenti né

organico né inerti. L’entità della decrescita del ΔPCI% dipende dalla presenza

della frazione di plastica all’interno del rifiuto in ingresso all’impianto. Questo

valore aumenta all’aumentare del PCI del rifiuto grezzo imponendo una

diminuzione più rapida per queste tipologie di rifiuto.

Figura 5.14-Andamento dei parametri di prestazione dell’impianto al variare del diametro

dei fori del vaglio (D) in [mm] (Impianto biostabilizzazione)

Si può notare (Tabella 5.3) come la biostabilizzazione abbia un effetto maggiore

sul RURmin a causa del più alto contenuto di frazione organica. Il valore del

0

0,2

0,4

0,6

0,8

1

1,2

1,4

1,6

1,8

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 110 120 130

ηm-RURmin

ηm-RURmed

ηm-RURmax

ΔPCI-RURmin

ΔPCI-RURmed

ΔPCI-RURmax

ηt-RURmin

ηt-RURmed

ηt-RURmax

Casi di studio

87

rendimento di massa in assenza di vaglio assume per questa tipologia di rifiuto

un valore più basso (punto di ascissa 0 nella Figura 5.14).

Tabella 5.3-Valori delle perdite di massa legate al processo di biostabilizzazione

Considerando l’andamento del PCI in valore assoluto al variare delle dimensioni

dei fori del vaglio (Figura 5.15) si può notare come la sola presenza di questo

macchinario consenta di ottenere un CSS a PCI maggiore di 15 MJ/kg. Per

diametri dei fori del vaglio superiori a 20mm il CSS ha sempre PCI superiore al

limite per il CSS-C. Il combustibile prodotto da questo impianto rientra quasi

sicuramente nella classificazione di CSS-C incrementando significativamente il

suo valore commerciale. Logicamente questi valori di PCI devono essere

accompagnati da contenuti di cloro (Cl), mercurio (Hg) ed altri metalli tali da

rientrare anch’essi nei limiti imposti per il CSS-C.

Figura 5.15- Andamento del PCI [MJ/kg] al variare del diametro dei fori del vaglio

primario (D) in [mm]. (Impianto biostabilizzazione)

Quest’impianto recupera, inoltre, circa l’84% dei metalli ferrosi, il 78% dei

quelli non-ferrosi. La percentuale di recupero di tutti i metalli si attesta intorno

all’83%. Questi valori possono variare di ±1% a seconda della tipologia di RUR

(aumentano all’aumentare del PCI).

RURmin RURmed RURmax

ΔMtot 35,7955 30,1221 21,5927

ΔMH2O 32,0334 26,7848 18,9485

ΔMfc,org 3,7620 3,3373 2,6442

β [%] 27,5020 37,8936 52,8407

0

5

10

15

20

25

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 110 120 130

PCI-RURmin

PCI-RURmed

PCI-RURmax

limite CSS-C

Capitolo 5

88

5.5 Confronto generale

Figura 5.16-Correlazione tra ΔPCI% e ηm per le tre tipologie d’impianto valutate per

RURmin e RURmax - considerando per gli impianti di riferimento e tradizionale, le

configurazioni con diametro dei fori del vaglio secondario (d) imposto pari alla metà delle

dimensioni dei fori del vaglio primario(D) (d=D/2)

Osservando la Figura 5.16 si può notare come i tre impianti si comportino in

modo differente comprendo campi di prestazione diversi. In generale si può

affermare che ad un aumento del ΔPCI% corrisponde una diminuzione di ηm.

L’impianto basato sulla bioessicazione fornisce a pari ηm dei ΔPCI% maggiori

rispetto agli altri impianti a causa del processo di bioessicazione. Si nota, inoltre,

che per questo schema d’impianto c’è un punto di massimo ΔPCI% alla cui

sinistra è sconveniente andare. L’impianto di riferimento e quello tradizionale

forniscono ΔPCI% confrontabili, ma a pari valore l’impianto di riferimento

ottiene ηm maggiori a causa del recupero di materia dal sottovaglio del vaglio

primario per mezzo del vaglio stellare.

Passando da RURmin a RURmax le prestazioni dei tre impianti si spostano verso il

basso e la destra diminuendo i valori di ΔPCI% ed aumentando quelli di ηm.

0

0,2

0,4

0,6

0,8

1

1,2

1,4

1,6

1,8

0 0,2 0,4 0,6 0,8 1

ΔP

CI [

%]

ηm

riferimento min

riferimento max

tradizionale min

tradizionale max

biostabilizzazione min

biostabilizzazione max

Capitolo 6

6 L’utilizzo del CSS nei cementifici

6.1 Il processo produttivo del cemento

L’industria del cemento è un settore fortemente energivoro: il processo di

produzione avviene a temperature molto elevate e per questo necessita di elevate

quantità di energia termica ed elettrica. Il componente principale del cemento è

il “clinker” che viene prodotto a partire da materie prime naturali quali il calcare

(circa il 90%) e l’argilla, finemente macinati ed alimentati al forno di cottura

(Figura 6.2). Qui vengono cotti i materiali e le temperature devono essere molto

alte: sono necessari 1450°C affinché avvenga il processo di calcinazione grazie

al quale il carbonato di calcio presente nel calcare (CaCO3), rilasciando anidride

carbobica (CO2), si trasforma in calce (CaO), la quale è elemento principale del

minerale artificiale detto “clinker”. Quest’ultimo viene velocemente raffreddato

a 100-200°C e successivamente miscelato con materiali correttivi quali il gesso,

al fine di costituire il cemento di composizione standardizzata. «Il processo di

formazione del clinker nel forno rotativo non genera né residui né scarichi idrici.

Le emissioni in atmosfera provenienti dal forno da cemento si originano dal

processo di combustione e dalle reazioni chimiche e fisiche che avvengono

durante la cottura delle materie prime»[10]. Tradizionalmente vengono utilizzati

combustibili fossili poco pregiati quali pet-coke e carbone al fine di ottenere il

calore necessario (3,3-5 MJth/kg di clinker) con il minimo impatto economico

sul processo di produzione.

Figura 6.1-Impianto di produzione del cemento

Capitolo 6

90

Figura 6.2-Schematizzazione del forno di un cementificio

6.2 L’utilizzo del CSS in co-combustione

La co-combustione -che è parte del co-processing- è la sostituzione di

combustibili primari con residui riutilizzabili effettuata al fine di ridurre

l’utilizzo di combustibili fossili e contemporaneamente ridurre le emissioni. Non

tutti i rifiuti possono essere utilizzati per questo scopo poiché le ceneri derivate

dalla loro combustione vengono inglobate nel clinker e formano, quindi, parte

del prodotto in uscita dal forno. La composizione chimica finale del cemento

(cioè del prodotto utile) non può subire forti variazioni e questo risulta essere il

primo forte vincolo imposto all’utilizzo dei rifiuti. Questo limite è interno al

processo produttivo e, di conseguenza, impone che tutti i rifiuti utilizzati

provengano da filiere controllate, assicurando pre-trattamenti idonei e controlli

di qualità rigorosi. La stessa azienda produttrice ha convenienza a dotarsi di

standard prefissati per il combustibile in ingresso, poiché altrimenti non sarebbe

in grado di garantire la qualità del cemento prodotto.

A questo vincolo si aggiungono poi quelli relativi all’impatto ambientale ed alla

protezione della salute dei lavoratori e delle comunità limitrofe all’impianto.

6.2.1 La sostenibilità del co-processing

La sentenza della Corte Superiore di Giustizia Europea (V Sezione) del 13

febbraio 2003 – Caso C-228/00 Commissione Europea contro Germania –

stabilisce che l’utilizzo di rifiuti come combustibile nei forni da cemento deve

essere classificato come attività di recupero. Viene quindi differenziata la co-

L’utilizzo del CSS nei cementifici

91

combustione dall’incenerimento; inoltre in alcuni casi particolari l’Unione

Europea riconosce il co-processing come BAT (Best Available Technique). La

Decisione di Esecuzione della Commissione Europea del 26 marzo 2013

stabilisce «le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili (BAT) per il

cemento, la calce e l’ossido di magnesio, ai sensi della direttiva 2010/75/UE del

Parlamento» [Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea del 9.4.2013].

- Sostenibilità sociale: La produzione di CSS si integra pienamente con la

raccolta differenziata senza sostituirsi ad essa, le caratteristiche di questo

processo comportano infatti la necessita di una selezione dei rifiuti che può

avvenire solo tramite la raccolta differenziata e permette inoltre di recuperare

ulteriore materiale (ferrosi e non-ferrosi). La combustione nei cementifici,

inoltre, garantisce una riduzione delle emissioni di CO2 e un annullamento di

residui da depositare in discarica. La combustione dei rifiuti in impianti già

esistenti permette, poi, di minimizzare l’impatto sociale legato alla

realizzazione di nuovi impianti.

- Sostenibilità ambientale: La co-combustione risulta avere alcuni vantaggi

anche dal punto di vista delle emissioni. La sostituzione di combustibili

fossili con combustibili che contengono una frazione di biomassa permette di

ridurre le emissioni di combustione: per ogni tonnellata di CDR utilizzato nei

cementifici, si emettono circa 1,1 tonnellate di CO2 in meno rispetto al caso

in cui venga utilizzato combustibile fossile. L’attività di tutti i cementifici è

legato al rilascio dei certificati A.I.A. (Autorizzazione Integrata Ambientale)

da parte degli enti locali (Provincia/Regione). Tale certificato autorizza anche

l’uso del CSS, per cui è tuttavia imposto il rispetto di limiti alle emissioni e

prescrizioni normative più stringenti rispetto alla marcia a combustibili fossili

(D.Lgs. 59/05 e D.Lgs. 152/06). In questi certificati sono, inoltre, descritte le

modalità di controllo delle emissioni da parte delle autorità competenti

(ARPA): qualora vengano utilizzati combustibili alternativi, il monitoraggio

della maggior parte delle emissioni (CO,NOx, SO2, polveri totali, COT, HCl,

HF) deve essere effettuato in continuo.

Le caratteristiche dei forni di cottura e del processo produttivo del cemento

garantiscono:

Una corretta e completa combustione di tutti i composti organici presenti

nei fumi (rimangono all’interno del forno per tempi maggiori ai 10

secondi con temperature superiori ai 1200°C, raggiungendo temperature di

circa 1800°C per circa 5-6 secondi)

La neutralizzazione di quasi tutti i composti acidi dei fumi dovuti alla

presenza di un ambiente di natura basica.

La creazione di un ambiente termodinamico sfavorevole alla formazione

di diossine: temperature superiori agli 850°C e tempo di permanenza

Capitolo 6

92

maggiore di 2 secondi. I due parametri combinati sono largamente

superiori a quanto considerato indispensabile per evitare la formazione di

diossine dalla Direttiva UE sulla riduzione delle emissioni industriali.

Questo accade nei forni da cemento per esigenze di processo e non accade

negli inceneritori che, per raggiungere gli stessi parametri, devono essere

dotati di particolari dispositivi, quali, ad esempio, una camera di

postcombustione con un bruciatore ausiliario (dove vengono bruciati

combustibili fossili). Le emissioni di NOx nei cementifici risultano inferiori

rispetto agli inceneritori che bruciano combustibili fossili a causa della minor

temperatura di fiamma con un beneficio stimato dalla Commissione Europea

attorno allo 0,36 kgNOx/tCDR [Genon,Brizio 2008]. Circa il 99,9% dei metalli

pesanti liberati dalla combustione, inoltre, viene inglobato nel clinker o

trattenuto nei sistemi di filtrazione.

- Sostenibilità energetica: La sostituzione energetica di fonti fossili non

rinnovabili con combustibile CSS garantisce un risparmio di fonti non

rinnovabili a dispetto di un incremento dell’utilizzo di fonti parzialmente

rinnovabili. L’aumento della sostituzione energetica con combustibili

alternativi permette di incrementare l’indipendenza energetica italiana.

- Sostenibilità economica: «La filiera del CSS non solo è sostenibile sotto il

profilo economico, ma è addirittura virtuosa»[10]. Vi sono vantaggi legati ad

una più alta valorizzazione economica del rifiuto ed altri dovuti a un

risparmio economico per i cementifici.

6.3 Situazione attuale

6.3.1 Il mercato europeo del cemento

«Il settore delle costruzioni sta attraversando la crisi più grave dal dopoguerra ad

oggi. Il 2013 è stato il sesto anno consecutivo di crisi e si è chiuso con un

riduzione degli investimenti in costruzioni del 6,9% in termini reali su base

annua»[11]. Dal 2008 ad oggi gli investimenti in abitazioni, costruzioni non

residenziali ed opere pubbliche hanno continuato a diminuire. La situazione è

stata aggravata dalla riduzione dei risparmi familiari e dalla difficoltà di

accedere a mutui bancari; il mercato si è quindi contratto e le previsioni odierne

per il futuro non prevedono tuttora una ripresa.

In Europa (UE 28) si registra un calo generale della produzione di cemento; le

gerarchie produttive tra i vari Paesi (Figura 6.3) non sono però cambiate.

Se si guarda, invece, ai Paesi esterni all’Unione Europea, ma membri del

Cembureau (European Cement Association), si possono notare anche situazioni

differenti, come quella della Turchia, dove il tasso di crescita della produzione

di cemento nel 2013 è stato addirittura del +11,7% [11].

L’utilizzo del CSS nei cementifici

93

Figura 6.3-Produzione annua di cemento per i principali produttori membri Cembureau

[103 tonn] (Fonte: Cembureau ed elaborazione AITEC)

6.3.2 Il mercato del cemento in Italia

Nonostante la contrazione del mercato e la conseguente riduzione della

produzione stessa del cemento, l’Italia continua ad essere il secondo produttore

di cemento dell’area UE 28. La produzione di cemento in Italia è stata per il

2013 di 23.083.078 tonnellate, il che evidenzia una riduzione percentuale su

base annua del 12%. «Continua, quindi, la grave crisi che attanaglia il settore del

cemento e che si è manifestata al culmine del più lungo ciclo espansivo (dieci

anni) rilevato a partire dal dopoguerra. Dal 2006 al 2013 i consumi di cemento si

sono infatti più che dimezzati rispetto al picco di 46,9 milioni di tonnellate»

[11]. Le previsione per i prossimi anni indicano che la riduzione della

produzione continuerà, anche se, probabilmente, con un tasso di riduzione annuo

minore a causa del contesto economico italiano uscito dalla recessione [11].

Figura 6.4-Produzione di cemento in Italia in [10

3 tonn] (Fonte: AITEC)

Il saldo dell’interscambio con l’estero evidenzia come nel 2013 l’Italia sia

diventata un esportatrice di cemento (Figura 6.5). Questo cambiamento è

0

10.000

20.000

30.000

40.000

50.000

60.000

70.000

80.000

TUR GER ITA FRA POL SPA UK SWI

20.000

25.000

30.000

35.000

40.000

45.000

50.000

19

99

20

00

20

01

20

02

20

03

20

04

20

05

20

06

20

07

20

08

20

09

20

10

20

11

20

12

20

13

Capitolo 6

94

principalmente dovuto alla riduzione della domanda interna che ha portato le

aziende del settore ad indirizzare una quota sempre maggiore dei propri flussi

verso l’estero.

Figura 6.5-Andamento in [10

3 tonn] (Fonte: AITEC)

Il restringimento delle dimensioni del mercato ha portato le aziende cementiere

ad intervenire sulla struttura produttiva incrementandone l’efficienza ed ad

operare azioni di miglioramento dell’allocazione dell’utilizzo della capacità

produttiva. Le imprese, quindi, sono state spinte a concentrare i volumi

produttivi sugli impianti più grandi ed efficienti, limitando al minimo le quantità

prodotte dagli impianti piccoli ed obsoleti. Questi cambiamenti si sono

intersecati con la particolare fisionomia del settore italiano che presenta un

elevato numero di imprese e impianti ad elevato livello tecnologico.

Il consumo di energia termica nel 2013 è stato di 3,69 GJ/tclinker (Tabella 6.1),

valore in linea con i livelli europei. Tale valore risulta essere influenzato

dall’andamento non continuativo dei forni che hanno subito arresti e riavvii, con

conseguenti dispendi energetici ben superiori rispetto a quelli derivanti da un

funzionamento a marcia regolare. Nell’ultimo anno l’energia media necessaria

alla produzione di 1 tonnellata di clinker è, tuttavia, diminuita in ragione del

progressivo spegnimento dei forni meno performanti a causa della crisi del

settore.

Tabella 6.1-Consumo specifico di energia termica (Fonte: AITEC)

Ad oggi (dati del 2013) sono presenti, in Italia, 28 aziende operanti nel settore e

caratterizzate da una grande eterogeneità di operatori quanto a dimensioni e

struttura organizzativa: vi sono sia gruppi multinazionali che aziende operanti a

-6.000

-5.000

-4.000

-3.000

-2.000

-1.000

0

1.000

2.000

3.000

2002 2004 2006 2008 2010 2012 2014

esportazioni

importazioni

saldo

2009 2010 2011 2012 2013

GJ/tclinker 3,75 3,77 3,69 3,74 3,69GJ/tcem 2,78 2,93 2,91 3,03

L’utilizzo del CSS nei cementifici

95

livello nazionale o anche solo locale [11]. Il numero di impianti risulta essere di

79 unità, di cui il 46% localizzato nel Nord-Italia.

6.3.3 Il co-processsing in Italia

L’Italia risulta esser uno dei principali produttori europei di cemento e negli

ultimi anni è diventata un’esportatrice, il che ha imposto alle industrie italiane di

adeguarsi agli standard produttivi europei. La sostituzione energetica nei paesi

del Nord-Europa raggiunge livelli molto superiori rispetto a quanto succede in

Italia, dove si riscontra un notevole ritardo in questa pratica anche solo rispetto

alla media europea (Figura 6.6).

Figura 6.6-Tasso di sostituzione calorica con combustibili alternativi al 2011

(Fonte: CSI (Cement Sustainability Initiative), Oficem, AITEC)

L’interesse verso la pratica del il co-processing nasce dal fatto che la crisi del

settore ha spinto le imprese a cercare soluzioni di risparmio economico,

favorendo lo sviluppo tecnico degli impianti e l’utilizzo di combustibili più

economici. Il costo dell’energia di processo risulta, infatti, essere una voce di

costo significativa per il settore. Nonostante in Italia la percentuale di

sostituzione calorica sia ancora lontana dai valori dei competitor internazionali

ed europei, dagli inizi degli anni ’90 ad oggi questo valore ha continuato a

crescere, riducendo il contributo dei combustibili fossili meno adatti al processo,

come il metano (costoso) e l’olio combustibile derivato dalla raffinazione del

petrolio (Figura 6.7). Al 2013 la quantità d’energia termica ottenuta da

combustibili alternativi ha raggiunto l’11,2% [11].

83

63 62 60 54

49 47

40 39

30 29 29

22 22

8,3 0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

Capitolo 6

96

Figura 6.7-Suddivisione % dell’energia termica utilizzata (Fonte: AITEC)

Tra i combustibili alternativi utilizzati non vi è solo il CSS derivato RUR, ma

vengono impiegati anche altri residui industriali. Per questi materiali, sono

tuttavia necessari controlli qualitativi e pretrattamenti, in modo da garantire la

costanza delle caratteristiche e della composizione di tali rifiuti. Il recupero

energetico deve combinarsi con quello di materia: per questo anche residui dal

basso PCI come, ad esempio, i fanghi provenienti dalle acque reflue urbane

vengono utilizzati come combustibili nei cementifici.

Tabella 6.2-Utilizzo dei vari combustibili alternativi in Italia (Fonte: AITEC)

La definizione di “residuo pericoloso” viene data dal D.M. 5/2/98 come

modificato dal D.Lgs. 186/06. Come si può notare dalla Tabella 6.2, la quantità

di energia termica sviluppata dai combustibili alternativi non segue l’andamento

crescente del tasso di sostituzione energetica, poiché la riduzione della

produzione di cemento a partire dal 2007 ha causato una riduzione dei consumi

di energia termica totali. Il mix energetico in questi anni è variato senza però

75%

80%

85%

90%

95%

100%

1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 2011 2013

Alternativi

Gas Naturale

O.C.D.

Carbone

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

CDR 6.068 29.239 17.636 33.725 35.505 61.104 81.554 117.154 100.176

CDRQ 6.643 13.346 20.186 37.535 42.866 34.571 27.679 49.443

26.347 30.279 29.263 5.834 41.661 21.557 39.591 63.197

48.615 54.394 47.880 48.496 47.019 42.652 32.855 19.985

58 59

10.976 13.212 15.615 8.044

4.082 2.999 9.999 13.369

110.015 136.245 128.055 57.656 55.973 45.917 24.815 22.926 11.317 12.545 18.109 6.378

21.730 29.043 55.226 46.896 42.012 46.167 34.763 31.328 32.468 29.480 10.814 6.945

8.160 7.013 11.944 11.342 10.295 9.300 10.896 18.621 15.399 11.000 6.342 3.272

227.559 283.285 328.069 275.713 267.382 304.324 280.166 279.999 312.541 315.177 305.384 301.516

5,4 5,7 7,2 6,4 5,8 5,9 6,0 7,4 8,1 8,3 10,6 11,2

5.727 6.218 7.986 7.019 6.595 7.841 7.623 7.503 8.211 7.991 8.042 7.173

25,17 21,95 24,34 25,46 24,67 25,76 27,21 26,80 26,27 25,36 26,33 23,79

N

O

N

P

E

R

I

C

O

L

O

S

I

P

E

R

I

C

O

L

O

S

I

97.908

8.000

Solventi non clorurati

Farine e grassi animali

Oli usati

72.666 67.102 93.862

Fanghi reflue urbane

Rifiuti comb. liq.8.920 11.100 14.297 16.424 7.9618.000 8.000

Combustibili

da RUR

Plastiche&Gomme

Pneumatici

Car fluff

TOTALE [tonn]

% SOST. ENERGETICA [%]

ENERGIA [10³ GJ]

PCImedio [MJ/kg]

181.732 172.001 180.267

L’utilizzo del CSS nei cementifici

97

comportare una variazione significativa del PCImedio dei combustibili alternativi

utilizzati.

Figura 6.8-Andamento della ripartizione in massa dei combustibili alternativi

(Fonte: AITEC)

Per il 2013 (ultimi dati disponibili), più della metà in peso dei combustibili

alternativi risulta essere composto da CSS derivato da Rifiuto Solido Urbano: in

dieci anni (Figura 6.8) la sua quantità si è quintuplicata, rendendo il CSS il

materiale più utilizzato in sostituzione ai combustibili fossili.

La seconda classe per importanza risulta essere composta da plastiche, gomme e

pneumatici: l’alto PCI di questi materiali li rende particolarmente idonei ad

essere utilizzati nei cementifici, tanto che essi risultano i materiali utilizzati con

più continuità nella storia. Il loro contributo non si è modificato sostanzialmente

nel tempo, mentre, ultimamente, il loro recupero avviene a partire da rifiuti

sempre più eterogenei tra loro. Gli interni delle autovetture rottamate (c. d. “car

fluffs”), ad esempio, incominciano oggi ad essere utilizzati come combustibili,

proprio perché ricchi di materie plastiche e tessili.

Alcune soluzioni sono state invece parzialmente abbandonate: l’utilizzo di farine

e grassi animali nei cementifici si è ridotto a meno del 5% rispetto al 2003,

mentre il quantitativo di oli usati risulta essere, al 2013, meno di un quarto del

quantitativo utilizzato dieci anni prima. Quest’ultima variazione è probabilmente

dovuta alla difficoltà di trattamento di queste sostanze liquide pericolose al fine

di garantire standard qualitativi elevati e limitare il loro impatto ambientale. Per

lo stesso motivo, anche i solventi recuperati da alcuni processi industriali,

0

50.000

100.000

150.000

200.000

250.000

300.000

350.000

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

[tonn]

Solventi non clorurati

Oli usati

Farine e grassi animali

Combustibili liquidi non pericolosi

Plastiche-gomme-pneumatici-car fluff

CSS da RUR

Capitolo 6

98

seppur privi di cloro in partenza, hanno dimezzato la loro presenza. Al contrario,

invece,è raddoppiato il quantitativo di combustibili liquidi non pericolosi.

Riflettendo, invece, sul contributo energetico apportato da ogni singola tipologia

di materiale, gli andamenti di carattere storico non cambiano. Si nota, però, in

maniera ancora più chiara (Figura 6.9) che il CSS da RUR contribuisce a più di

metà dell’energia termica proveniente da combustibili alternativi, e plastiche-

gomme-pneumatici ad un 30% ulteriore. Queste due classi provvedono, dunque,

alla quasi totalità del contributo energetico apportato dai combustibili

alternativi. È importante notare come solo il 6% di questa energia termica derivi

da combustibili classificati come pericolosi (oli usati e solventi non clorurati).

Figura 6.9-Ripartizione dei combustibili alternativi su base energetica al 2013

(Elaborazione su dati AITEC)

Per realizzare la Figura 6.9 sono stati assegnati dei PCI ad ogni tipologia di

rifiuto. A tal fine, l’energia termica totale fornita da combustibili alternativi dal

2002 al 2013 è stata calcolata attraverso la percentuale di sostituzione calorica

fornita da AITEC (Figura 6.7), imponendo PCIcarbone pari a 33,5 MJ/kg.

Conoscendo la composizione annuale in massa del mix di combustibili

alternativi utilizzato ed attribuendo ad ogni frazione il corrispettivo PCI, si è

potuto quindi calcolare il calore apportato annualmente dai combustibili

alternativi.

Minimizzando, poi, l’errore tra questi valori e i corrispondenti calcolati

attraverso la percentuale di sostituzione calorica, si sono ottenuti dei PCI di

best-fit dei combustibili alternativi (Tabella 6.3), con un errore massimo relativo

dell’8,12%. Questa analisi si è basata sui dati disponibili, ovvero dal 2002 al

2013, e non tiene conto delle possibili differenze annuali di potere calorifico che

si possono realizzare a causa della variabilità dei rifiuti.

54%

30%

8%

1% 4% 2% CSS da RUR

Plastiche-gomme-pneumatici-car fluff

Combustibili liquidi non pericolosi

Farine e grassi animali

Oli usati

Solventi non clorurati

L’utilizzo del CSS nei cementifici

99

Tabella 6.3-PCI dei combustibili alternativi (Elaborazione su dati AITEC)

6.4 Possibili sviluppi

Risulta interessante, date le potenzialità della tecnologia, effettuare alcune

valutazioni con riguardo alla capacità massima di ricezione del CSS da parte

dell’industria cementiera. Per far questo, è necessario avanzare alcune ipotesi

introduttive basate sull’andamento storico dei dati: l’obiettivo è quello di capire

le potenzialità di utilizzo del CSS all’interno di questo processo.

La prima ipotesi viene fatta sulla suddivisione dell’energia termica apportata dai

combustibili alternativi imponendo la seguente ripartizione (Figura 6.10): 60%

di derivazione da CSS, il 30% da plastiche-gomme-pneumatici-car fluff ed il

restante 10% da combustibili liquidi non pericolosi. A differenza dei valori del

2013 (e degli anni precedenti), sono stati eliminati i rifiuti pericolosi (oli usati e

solventi non clorurati) e le farine-grassi animali. Per i primi si è ipotizzato un

loro completo abbandono a causa della loro pericolosità, dei problemi di

gestione e del maggiore impatto ambientale. Questa scelta risulta coerente con

l’andamento storico del loro utilizzo, che ne descrive un progressivo abbandono.

Le farine e i grassi animali sono stati eliminati dal mix dei combustibili

alternativi ipotizzato per motivi “storici”: il loro utilizzo è crollato drasticamente

negli ultimi 10 anni, riducendosi al 2013 a sole 6.378 tonn che corrispondono al

4,7% del quantitativo utilizzato nel 2003. Per contrastare queste riduzioni è stato

aumentato il contributo energetico apportato da CSS derivato da RUR in

concordanza con l’andamento storico e con l’obiettivo di sviluppo. Vi è un lieve

aumento anche dei combustibili liquidi non pericolosi (es. fanghi acque reflue

urbane) che mantengono il loro trend crescente degli ultimi anni. Non viene

modificato, invece, il contributo di plastiche-gomme-pneumatici-car fluff poiché

questo si è stabilizzato in questi anni attorno al 30% e si può ritenere rimarrà

costante negli anni futuri.

CDR

CDR-Q

CSS da RUR (CDR+CDR-Q)

Plastiche&Gomme 23

Pneumatici 40

Car fluff

Fanghi reflue urbane 17,5

Altri comb. liq. non pericolosi 36

Oli usati

Solventi non clorurati

Farine e grassi animali 16

PCI [MJ/kg]

42

50

28

19

17

17

22

30

Capitolo 6

100

Figura 6.10- Ipotesi di ripartizione dei combustibili alternativi su base energetica per gli

anni futuri

Il PCI delle tre componenti viene ritenuto uguale a quello calcolato per gli anni

2003-2013 (Tabella 6.3), ed è stato ipotizzato un consumo specifico di energia

termica di 3 GJ/tonncem in linea coi valori di questi anni (Tabella 6.1).

Queste ipotesi permettono di calcolare il quantitativo di CSS da RUR smaltito

nei cementifici per diversi valori di sostituzione energetica dei combustibili

alternativi. Sono stati sviluppati tre diversi scenari a seconda della riduzione di

produzione annua del cemento in rapporto alla produzione del 2013: riduzione

nulla, al 10% e al 20%, in modo da considerare la stabilità del settore al variare

del mercato. Si ricorda che nel 2013 sono state bruciate nei cementifici 180.267

tonnellate di CSS con un tasso di sostituzione energetica di tutti i combustibili

alternativi dell’11,2%, mentre il tasso specifico al CSS era del 6%.

Figura 6.11-Consumo di CSS nei cementifici [tonn] al variare del tasso si sostituzione

energetica dei combustibili alternativi

60%

30%

10%

CSS da RUR

Plasica-gomma-pneumatici-car fluff

Combustibili liquidi non pericolosi

150.000

250.000

350.000

450.000

550.000

650.000

750.000

850.000

950.000

1.050.000

1.150.000

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70%

2013

produzione cemento -0%

produzione cemento -10%

produzione cemento -20%

L’utilizzo del CSS nei cementifici

101

Tabella 6.4- Consumo di CSS nei cementifici [tonn]

Considerando una variazione nulla della produzione di cemento si può notare

come raddoppiare il tasso di sostituzione calorica dei combustibili alternativi

comporti un raddoppio nel quantitativo di CSS smaltito nei cementifici. Nel

Rapporto ISPRA sui Rifiuti Urbani del 2014 si afferma che nel 2013 sono state

prodotte in Italia più 1 milione di tonnellate di CSS [1] la cui quasi totalità

(1.082.392 tonn) è stata smaltita in impianti di incenerimento. Considerando un

tasso di sostituzione energetica nei cementifici del 60%, pari a quello odierno

della Germania e tale da non necessitare di particolari interventi sulla struttura

degli impianti del parco di produzione del cemento italiano [11], si potrebbe

smaltire la totalità del CSS prodotto all’interno dei cementifici lasciando agli

inceneritori lo smaltimento dei rifiuti non trattati. Questo scenario prevede

essenzialmente una diversa gestione dei flussi in uscita dagli impianti TMB

senza comportare la costruzione di ulteriori strutture. La difficoltà di gestione

del settore e la necessità di vicinanza territoriale tra l’impianto di produzione

(TMB) e l’impianto di smaltimento del CSS (cementificio) può portare a

considerazioni differenti. Bisogna comunque tenere presente che gli impianti

TMB ora presenti sul territorio italiano sono sfruttati nel loro complesso per solo

il 67% lasciando la possibilità di un ulteriore incremento di produzione di CSS.

Analizzando gli altri due scenari si nota come una riduzione del 10% della

produzione di cemento non comporti grandi variazioni nel quantitativo di CSS

smaltito nei cementifici, mentre una diminuzione del 20% comporta variazioni

maggiori e che aumentano all’aumentare del tasso di sostituzione calorica (linee

divergenti). In quest’analisi non si è tenuto conto dell’andamento decrescente

della produzione dei rifiuti e dello sviluppo di strategie contemporanee

(riutilizzo e riciclaggio) che potrebbero far diminuire il quantitativo di RSU

disponibile per la produzione di CSS.

Nonostante le forti potenzialità di questa tecnologia riconosciuta a livello

europeo, in Italia la difficoltà nelle procedure autorizzative (legate al rilascio dei

certificati A.I.A.) e un’opinione pubblica contraria. Il superamento di questi

ostacoli necessita di una maggior fiducia della collettività negli organi garanti

delle emissioni (ARPA) e di una completa trasparenza da parte dell’industria. Le

sinergie locali tra azienda ed enti pubblici risultano essere fondamentali per la

completa realizzazione dei vantaggi di questa tecnologia.

sost. energetica alternativi 15% 20% 30% 40% 50% 60%

sost. energetica CSS 9% 12% 18% 24% 30% 36%

produzione cemento -0% 263.889 351.852 527.778 703.703 879.629 1.055.555

produzione cemento -10% 254.963 339.951 509.926 679.902 849.877 1.019.852

produzione cemento -20% 226.634 302.178 453.268 604.357 755.446 906.535

Capitolo 7

7 Analisi dei costi d’investimento per TMB

Per completare l’analisi svolta, si è cercato di quantificare il costo

d’investimento necessario alla realizzazione di un impianto TMB. L’impianto

preso a riferimento per quest’analisi coincide con l’Impianto di Riferimento

analizzato al Paragrafo 5.2.

Questa tipo d’impianto (Figura 7.1) ha uno schema a flusso separato, in cui il

rifiuto in ingresso (considerato come RURmed) passa attraverso un separatore

magnetico per il recupero di materiali ferrosi prima di essere separato. Il vaglio

primario ha fori con diametro pari a 60 mm ed effettua una prima separazione

dimensionale. Il sovvallo (circa il 50% del RUR in ingresso all’impianto) viene

trattato da un separatore a correnti indotte per il recupero dei metalli non-ferrosi,

mentre il sottovaglio passa attraverso un ulteriore separatore magnetico.

Quest’ultimo flusso viene poi lasciato a maturazione il tempo necessario al

completamento del processo (60÷90 giorni). Il rifiuto stabilizzato è, infine, fatto

passare attraverso un vaglio stellare con diametro di 30 mm, dimensione pari

alla metà del diametro dei fori sul tamburo del vaglio primario. Il sottovaglio

così ottenuto viene inviato a discarica, mentre il sovvallo, unito al sovvallo

proveniente dal vaglio primario, costituisceil CSS, con un rendimento di massa

dell’impianto (ηm) pari a 0,55. La dimensione delle particelle del prodotto è,

infine, ridotta all’interno di un trituratore in modo da consentirne una completa

combustione.

L’analisi dei costi d’investimento è stata effettuata per due diverse capacità

dell’impianto TMB, rappresentative delle taglie medio-piccole degli impianti:

200 ktonn/anno e 300 ktonn/anno. Queste dimensioni d’impianto sono, infatti, le

più adeguate per la gestione degli elevati livelli di raccolta differenziata presenti

in Europa.

Capitolo 7

104

Figura 7.1-Configurazione dell’Impianti di Riferimento su cui è stata svolta l’analisi dei

costi d’investimento

7.1 Material Cost

7.1.1 Costo dei macchinari

I macchinari necessari ai Trattamenti Meccanici e Biologici sono in gran parte

riportati nella Figura 7.1, a questi vanno aggiunte le pale gommate necessarie al

rivoltamento del rifiuto durante la prima fase della maturazione e i nastri

trasportatori che collegano i vari punti dell’impianto.

Per valutare le capacità di trattamento [tonn/h] che devono avere tali macchinari,

si sono considerate 3.720 ore equivalenti, suddivise in 310 giorni lavorativi di

12 ore ciascuno (valori riscontrati nella realtà). Il fattore di carico per ciascun

componente è stato considerato pari all’85%.

I costi di ciascun componente derivano da un’indagine di mercato svolta

recuperando dati presso gli operatori del settore (costruttori e venditori di tali

macchinari).

Dalla Tabella 7.1 si evince come la voce di costo maggiore risulta essere legata

alle pale gommate, le quali devono avere capacità rilevanti al fine di effettuare

due rivoltamenti settimanali. Circa l’80% del costo complessivo dei macchinari

deriva da questo trattamento. Tra i macchinari che costituiscono il trattamento

meccanico, risulta rilevante il costo del trituratore, componente che presenta

potenze installate nettamente superiori agli altri componenti.

100%

2,35%

47,30% 50,35%

0,40% 0,05%

50,30%

Perdite

24,57%

Sottovaglio17,20%

46,90% 7,37% Sovvallo

54,27%

TRITURATORE

CSS

100%

97,65%

25,73%

NON

FERROSI

SEPARATORE A

CORRENTI INDOTE

SEPARATORE

MAGNETICOFERROSI

MATURAZIONE

VAGLIO STELLARE (30

mm)DISCARICA

RURmed LACERA-SACCHI

SEPARATORE

MAGNETICO

Sovvallo VAGLIO PRIMARIO

(60 mm)

Sottovaglio

Analisi dei costi d’investimento per TMB

105

Tabella 7.1-Tabella dei costi dei macchinari per impianto TMB

7.1.2 Costo dei capannoni

I capannoni necessari all’impianto sono due: un capannone che contenga tutti i

macchinari dedicati ai trattamenti meccanici quali vagli, trituratori e separatori

magnetici, ed uno dedicato alla maturazione.

- Capannone Trattamenti Meccanici

Il capannone deve essere sufficientemente grande da contenere tutti i

macchinari dedicati ai trattamenti meccanici (Figura 7.2) e al contempo

consentire l’allestimento di zone dedicate alla ricezione dell’RSU e allo

200

[ktonn/anno]

300

[ktonn/anno]Lacerasacchi

capacità [tonn/h] 63 95

costo [€] 230.000 250.000

Vaglio rotante (primario)

capacità [tonn/h] 63 95

costo [€] 160.000 180.000

Vaglio stellare (secondario)

capacità [tonn/h] 32 47

costo [€] 100.000 125.000

Separatore magnetico I

capacità [tonn/h] 63 95

costo [€] 15.000 16.000

Separatore magnetico II

capacità [tonn/h] 32 47

costo [€] 15.000 16.000

Separatore amagnetico

capacità [tonn/h] 32 47

costo [€] 15.000 16.000

Trituratore

capacità [tonn/h] 35 52

costo [€] 330.000 350.000

Nastri trasportatori

larghezza [m] 1,5 2,0

costo spec. [€/m] 200 220

tot. [m] 244 244

costo [€] 48.800 53.680

Pale gommate

capacità [m³/h] 498 747

costo [€] 2.934.677 4.115.479

COSTO TOT. MACCHINARI [€] 3.848.477 5.122.159

Capitolo 7

106

stoccaggio del CSS. La superficie di questo capannone è quindi stata assunta

pari a 2.000 m2. Tale dimensione è adatta alla realizzazione di un impianto

ad una sola linea, senza che vi sia la necessità di aumentarla al variare della

capacità dello stabilimento. Per poter considerare valida questa ipotesi,

l’analisi deve svolgersi su range di capacità del TMB limitata, poiché, in

questo modo, le dimensioni dei macchinari e la larghezza dei nastri

trasportatori variano di poco consentendo di mantenere invariate le

dimensioni dell’edificio.

Figura 7.2-Vista interna del capannone contenente i trattamenti meccanici per un ipotetico

impianto TMB [5]

- Capannone Trattamenti Biologici (Maturazione)

Le dimensioni di questo capannone sono considerevoli e nettamente

superiori a quelle del capannone dedicato ai trattamenti meccanici. Le sue

superfici sono state calcolate a partire dal volume dei rifiuti che subiscono

questo trattamento.

Il capannone è stato suddiviso a sua volta in due parti: una dedicata alla

prima fase della stabilizzazione, in cui il rifiuto viene rivoltato, e una in cui

avviene la successiva maturazione. Le caratteristiche del rifiuto e la

configurazione dei cumuli su cui esso viene disposto, sono differenti nelle

due fasi (Tabella 7.2) poiché il rifiuto iniziale risulta maggiormente umido e

ricco di frazione organica combustibile.

I cumuli del rifiuto sono stati ipotizzati di forma a parallelepipedo poiché

vengono spesso utilizzate pareti di sostegno. L’altezza dei cumuli risulta

Analisi dei costi d’investimento per TMB

107

inferiore durante i primi 30 giorni del processo in modo da evitare

l’impaccamento del rifiuto.

Tabella 7.2-Caratteristiche del rifiuto durante le fasi di trattamento biologico

Una raccolta dati presso costruttori di capannoni industriali ha permesso di

imporre il costo al m2, compreso di tutte le opere edili (prefabbricato,

carroponte, sottofondazioni, pavimentazione, serramenti, impianti idrici/elettrici

ecc.), pari a 550 [€/m2] per entrambe le capacità d’impianto considerate. Tale

valore è stato scelto in relazione alle elevate superfici di queste strutture in

rapporto al mercato dei capannoni industriali. Per strutture di dimensioni minori

il costo al m2 può aumentare fino a circa 750 [€/m

2].

Considerando un’altezza degli edifici di circa 7,5 m, adatta al contenimento dei

trattamenti in esame, la struttura considerata rientra nei parametri di mercato

standard e non necessita di particolari modifiche ai progetti usuali. Qualora vi

siano particolari esigenze legate alla morfologia o natura del terreno (es.

fondazioni particolari) il costo del capannone può aumentare notevolmente.

Riferendosi ad una struttura considerata “classica” si possono considerare validi

i valori sopra presentati. La Tabella 7.3 mostra come l’area necessaria al

trattamento biologico risulti nettamente superiore a quella necessaria per il

trattamento meccanico.

Tabella 7.3-Area capannone impianto TMB

STABILIZZAZIONE MATURAZIONE

tempo [giorni] 30 60

%RUR che subisce il trattamento 50% 25%

densità del rifiuto[kg/m³] 500 400

H cumuli [m] 3 4,5

Vol./Area [m³/mq] 3 4,5

200 [ktonn/anno] 300 [ktonn/anno]

Area di TM (Trattamento Meccanico)

Area [m²] 2.000 2.000

Area TB (Trattamento Biologico)

STABILIZZAZIONE (primi 30 giorni)

masssa a maturazione [tonn] 8.219 12.329

volume di rifiuto [m³] 16.438 24.658

Area [m²] 5.479 8.219

MATURAZIONE (successivi 60 giorni)

masssa a maturazione [tonn] 8.219 12.329

volume di rifiuto [m³] 20.548 30.822

Area [m²] 4.566 6.849

Area totale TB [m ²] 10.046 15.068

AREA TOTALE 12.046 17.068

Costo specifico capannone [€/mq] 550 550

COSTO TOTALE CAPANNONE [€] 6.625.114 9.387.671

Capitolo 7

108

7.1.3 Material Cost complessivo

Al costo dei macchinari e dei capannoni va sommato il costo del terreno

edificabile necessario alla realizzazione dell’impianto. L’area occupata dai

capannoni è stata incrementata di circa 2,5 volte al fine di considerare gli spazi

esterni di passaggio e manovra. Il costo del terreno è molto variabile a seconda

di numerosi fattori di mercato, quali la zona, l’accessibilità, la logistica, ecc. Il

valore può quindi variare tra 90 [€/m2] e 150 [€/m

2]. In questa analisi è stato

considerato pari a 120 [€/m2].

Tabella 7.4-Matirial Cost impianto TMB

Dalla Tabella 7.4 si può notare come il costo dei macchinari rappresenti circa ¼

del Material Cost complessivo. Se si riflette sul fatto che circa l’80% del costo

dei macchinari è riferibile alle pale gommate (Tabella 7.1) e che circa il 90%

dell’area del capannone (Tabella 7.3)- e di conseguenza anche del terreno- è

riferibile a Trattamento Biologico, si può osservare che la quasi totalità del

Material Cost (circa 87%) è allocabile al processo di maturazione.

7.2 Costo Totale d’investimento

Confrontando i risultati ottenuti al Paragrafo 7.1.3 con i valori proposti da

Ranzini-Daneco Impianti per il costo totale d’investimento per impianti TMB

[5] (Figura 7.3) si nota una consistente differenza. I valori ottenuti attraverso le

valutazioni fatte al paragrafo precedente risultano essere pari a circa la metà di

quelli presentati da Ranzini-Daneco Impianti. Questa sostanziale differenza

deriva dall’assenza, all’interno della trattazione qui fatta, di alcuni fattori di

costo correlati alla realizzazione dell’impianto stesso, quali:

- Costi diretti di progetto: in questa voce è considerata, oltre al Material Cost

qui calcolato, anche la spesa richiesta per l’installazione dell’impianto

stesso. Si tratta, essenzialmente, dei costi dei materiali, delle strumentazioni ,

e della mano d’opera lavoro necessari per la costruzione dei capannoni, la

messa in posa dei macchinari e la realizzazione dell’impianto.

- Costi indiretti di progetto: si ritrovano in questo fattore i costi di trasporto di

materiali e macchinari, i costi delle assicurazioni e dell’ingegneria

necessaria alla progettazione dell’impianto TMB. Anche i costi del lavoro

indiretto dei supervisori e delle strumentazioni vengono considerati

all’interno di questa voce.

200

[ktonn/anno]

300

[ktonn/anno]Costo macchianari 3.848.477 5.122.159

Costo capannone 6.625.114 9.387.671

Costo terreno 3.613.699 5.120.548

COSTO TOTALE 14.087.290 19.630.379

Analisi dei costi d’investimento per TMB

109

- Contingency e tasse: ossia le tasse e gli esborsi dovuti a imprevisti nella

realizzazione e gestione del’’impianto.

- Costi di strutture ausiliarie: sono qui riassunte le voci di costo legate alla

realizzazione di strutture ausiliarie all’impianto come uffici amministrativi,

laboratori, e parcheggi.

Per considerare queste voci di costo si potrebbero assegnare dei coefficienti a

ciascuna di queste classi, in modo da rapportare il loro valore al Material Cost.

L’assenza di dati relativi allo specifico caso degli impianti TMB tuttavia non ha

permesso la realizzazione di questo procedimento di calcolo.

Figura 7.3-Investimento relativo ad un impianto TMB in M€ al variare della capacità

annua dell’impianto in ktonn/anno (Fonte: Ranzini-Daneco Impianti [5])

Capitolo 8

8 Conclusioni e sviluppi futuri

Il focus sulle attuali modalità di smaltimento dei rifiuti in Italia ha evidenziato

carenze nel rispetto della gerarchia dei trattamenti da applicare ai rifiuti. Al fine

di ottenere un sistema di gestione dei rifiuti più sostenibile, appare necessario

ridurre lo smaltimento in discarica e, per contro, potenziare ed implementare

riutilizzo, riciclaggio e recupero energetico dei rifiuti urbani.

Una strategia adottabile al fine di raggiungere questi obiettivi è l’utilizzo di

impianti di Trattamento Meccanico e Biologico. Le modalità di utilizzo di questi

impianti sono molteplici e ciò permette di adattarne la configurazione al

particolare obiettivo finale perseguito.

8.1 Conclusioni

Il modello sviluppato si presenta come uno strumento utile per il progetto della

configurazione di impianti MBT in modo, che risultino correttamente integrati

nel sistema di gestione dei rifiuti. Lo strumento si è rivelato efficace, flessibile e

facilmente adattabile a varie configurazioni di impianti: è infatti basato su una

struttura modulare. Le prestazioni dell’impianto modellizzato sono calcolate a

partire dalla classificazione merceologica del rifiuto in ingresso, rendendo

possibile l’applicazione a contesti diversi. Ogni categoria merceologica è stata

caratterizzata mediante una distribuzione dimensionale e opportune proprietà

combustive. L’analisi delle distribuzioni dimensionali è stata ispirata al lavoro

svolto da Ruff nel 1974 [4] e aggiornata con informazioni più recenti (Ranzini-

Daneco Impianti [5]). Le proprietà combustive sono state tratte dalla letteratura

(Consonni-Viganò [6]) a valle di un’analisi critica.

I singoli componenti presenti negli impianti di TMB sono stati rappresentati

mediante modelli tratti dalla letteratura scientifica di settore, calibrati su una

configurazione TMB di riferimento (Ranzini-Daneco Impianti [5]). Altre

configurazioni sono state quindi analizzate combinando variamente i modelli

sviluppati. Tutte le configurazioni TMB analizzate sono finalizzate alla

produzione di CSS. In particolare sono state considerate tre configurazioni:

- Impianto di riferimento: è un impianto a flusso separato in cui la fase di

separazione iniziale è effettuata mediante un vaglio a tamburo. Solo il

sottovaglio subisce il trattamento biologico di maturazione, al termine del

quale un vaglio stellare recupera un frazione di rifiuto. Questa unita al

sovvallo del vaglio primario forma il CSS.

- Impianto tradizionale: è un impianto a flusso separato il cui tutto il

sottovaglio prodotto dalla separazione iniziale viene inviato a discarica dopo

aver subito il processo biologico di maturazione. Il sovvallo viene, invece,

Capitolo 8

112

triturato e ulteriormente selezionato all’interno di un vaglio stellare. Il

sovvallo in uscita costituisce il CSS.

- Impianto biostabilizzazione: è un impianto a flusso unico in cui tutto il

rifiuto in ingresso passa attraverso il processo di biostabilizzazione.

Successivamente i rifiuti vengono triturati e un vaglio a tamburo separa la

parte fine. Il sovvallo in uscita costituisce il CSS.

Per ognuna di queste configurazioni, le prestazioni sono state determinate al

variare delle proprietà del RUR in ingresso. In particolare, sono stati considerati

tre RUR, differenziati prevalentemente sulla base del contenuto d’organico e,

conseguentemente, del risultante PCI. Sono, infatti, state designate come:

RURmin, RURmed, RURmax, con PCI rispettivamente pari a 6,7 MJ/kg, 9,2 MJ/kg,

11,6 MJ/kg.

Le prestazioni delle diverse configurazioni d’impianto al variare dei principali

parametri progettuali e delle caratteristiche del RUR in ingresso sono state

espresse mediante tre indici:

- Rendimento di materia (ηm):

- Incremento di PCI relativo (ΔPCI%):

- Rendimento termico (ηt):

Tali tre indici non sono fra loro indipendenti, in quanto la resa termica può

essere espressa in funzione della resa in massa e dell’aumento relativo di PCI.

Il grafico nella seguente Figura 8.1 riassume i principali risultati. Per tutte e tre

le configurazioni ad un aumento di ΔPCI% corrisponde una diminuzione di ηm e

il trattamento di rifiuti a più alto contenuto di frazione organica (RURmin) è

caratterizzato da valori di ΔPCI% maggiori e ηm minori. L’impianto di

biostabilizzazione consente di raggiungere ΔPCI% superiori rispetto alle altre

configurazioni poiché tutto il rifiuto che costituisce il CSS ha subito un

trattamento biologico. La differenza nelle prestazioni tra impianto tradizionale

ed impianto di riferimento sta nella capacità di quest’ultimo di fornire

rendimenti di massa superiori a pari ΔPCI% dovuta al recupero di materia

effettuato sul sottovagli del vaglio primario.

Conclusioni

113

Figura 8.1-Correlazione tra ΔPCI% e ηm per le tre tipologie d’impianto valutate per

RURmin e RURmax - considerando per gli impianti di riferimento e tradizionale, le

configurazioni con diametro dei fori del vaglio secondario (d) imposto pari alla metà delle

dimensioni dei fori del vaglio primario(D) (d=D/2)

A valle dell’analisi delle prestazioni degli impianti TMB per produzione di CSS,

si è affrontata la questione dell’impiego efficiente di tale prodotto nel sistema

industriale italiano. In particolare, si è analizzato l’impiego del CSS nella

produzione di cemento. L’analisi dei dati raccolti ha mostrato che negli ultimi

anni l’industria del cemento ha fatto sempre maggiore ricorso a combustibili

alternativi anche durante gli ultimi anni di crisi economica.

Nel 2013 il tasso di sostituzione termica dei combustibili convenzionali

impiegati nei cementifici ha raggiunto il valore di 11,2%. Di questo, è stato

stimato il contributo fornito dal CSS, che risulta pari al 54%, cioè 180.267

tonnellate l’anno di CSS. Questa valutazione è cruciale nella determinazione

della massima capacità di ricezione di CSS da parte dell’industria cementiera.

Sulla base dell’elenco dei componenti che costituiscono un impianto TMB,

reperendo dati da produttori di strutture e apparecchiature, è stata condotta

un’analisi preliminare dei costi d’investimento associati alla tecnologia TMB. È

emerso che il costo complessivo imputabile ai singoli componenti e alle

principali infrastrutture appare molto inferiore ai valori normalmente indicati

dagli EPC. Una spiegazione a tali discrepanze è stata ricercata nei fattori di

costo quali: i costi d’installazione, i costi di trasporto, assicurazione ed

ingegneria, le tasse e i costi di strutture ausiliarie.

0

0,2

0,4

0,6

0,8

1

1,2

1,4

1,6

1,8

0 0,2 0,4 0,6 0,8 1

ΔP

CI [

%]

ηm

riferimento min

riferimento max

tradizionale min

tradizionale max

biostabilizzazione min

biostabilizzazione max

Capitolo 8

114

8.2 Sviluppi futuri

Nel modello presentato sono state utilizzate alcune ipotesi semplificative al fine

di rendere la modellizzazione di facile impiego. Questa caratteristica risulta

infatti necessaria se si vuol rendere il modello utilizzabile per delle valutazioni

preliminari. È quindi possibile, abbandonando le esigenze che hanno

contraddistinto questa fase del lavoro, immaginare di rendere il presente

elaborato più aderente alla realtà.

Uno sviluppo d’interesse potrebbe essere perseguito, ad esempio, facendo in

modo che le prestazioni dell’impianto e del singolo macchinario varino al

variare della portata in ingresso. Questo permetterebbe di valutare le prestazioni

degli impianti già realizzati al variare delle condizioni operative.

In relazione ai singoli componenti, sono inoltre configurabili i seguenti

progressi:

- Vaglio: in questo lavoro è stata ipotizzata l’idealità del macchinario.

Riuscire a rimuovere questa assunzione significa considerare la frazione

di particelle fini che non attraversa i fori e resta nel sovvallo.

- Trituratore: uno sviluppo possibile è quello di cercare di migliorare i

parametri bij e si in modo da ridurre gli errori.

Seguendo le linee guida presentate in questo lavoro possono inoltre essere

schematizzati ulteriori trattamenti, come ad esempio la separazione dei materiali

per mezzo di separatori balistici e sensori ottici NIR. Assegnare dei valori di

prestazione (P e RFTF) anche per questi macchinari consentirebbe poi

l’implementazione del modello anche su impianti MRF finalizzati al recupero di

materia da avviare a riciclaggio.

Risulterebbe, inoltre, interessante modellizzare ulteriori configurazioni

d’impianto sulla base delle tipologie di RUR utilizzate, in modo da ottenere dei

grafici guida da affiancare a quelli delle configurazioni già studiate.

115

Bibliografia

[1] Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale ISPRA

Rapporto 202-2014, Rapporto Rifiuti Urbani Edizione 2014 – Dati di

sintesi

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mechanical-biological treatment compared to direct waste-to-energy.

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[4] Ruff, J.A. (1974). Particle size spectrum and compressibility of raw and

shredded Municipal Solid Waste. PhD Dissertation University of Florida

1974

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gestione dei rifiuti (MBT+WtE). Tesi di Laurea, Politecnico di Milano,

2013

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North American Waste-to-Energy Conference,NAWTEC19, May 16-18,

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[10] NE-Nonisma Energia Srl (2011). Potenzialità e benefici dall’impiego dei

Combustibili Solidi Secondari (CSS) nell’industria.

[11] Associazione Italiana Tecnico Economica Cemento AITEC (2014).

Rapporto di sostenibilità AITEC 2013