primavera gioia 2014 - n.19

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LUG/AGO ‘14 Pubblicazione periodica d’informazione indipendente | free press CONCRETE JUNGLE IL PIANO DI RECUPERO URBANO castel del monte manuale storico di sopravvivenza aro ba/5 la nuova frontiera del rifiuto LAVORO E IMPRESA l’analisi del territorio gioiese PROTEZIONE CIVILE Ma di quanta protezione abbiamo bisogno? sogno libico la storia di fuad

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Numero 19 del periodico PrimaVera Gioia. - è possibile scaricarlo e leggerlo offline.

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LUG/AGO ‘14

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CONCRETE JUNGLEIL PIANO DI RECUPERO URBANO

castel del montemanuale storico di sopravvivenza

aro ba/5la nuova frontiera del rifiuto

LAVORO E IMPRESAl’analisi del territorio gioiese

PROTEZIONE CIVILEMa di quanta protezione abbiamo bisogno?

sogno libicola storia di fuad

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Direttore responsabile ed editoriale:Vito Stano

Progetto grafico:Giuseppe Resta ValeriaSpada AntonioLosito Pierluca Capurso

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Redazione:MariaCastellano PierlucaCapurso LauraCastellaneta LyubaCentrone AlessandraColapietro MarioD’Alessandro AlessandroDeRosa AlessandroDigregorio LinoDigregorio EmanueleDonvito VanniLaGuardia FilippoLinzalata EmmaLomonte AntonioLosito DarioMagistro MariaMarmontelli GianlucaMartucci FiammaMastrapasqua RosarioMilano MarcoOrfino GiuseppePugliese GiuseppeResta RaffaeleSassone ValeriaSpada.

Stampa:IGM di Masiello Antonio | Cassano d. Murge | Bari

Editore:Associazione La PrimaVera Gioia | via Pio XII 6 Gioia del Colle | Bari

SedeVia De Deo 14, Gioia del Colle | Bari

©PrimaVera Gioia, 2012 Tutti i diritti sono riservati

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Copertina: Metamorfosi estiva.

Copertina ispirata dalle grafiche di Tilman.

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PrimaVera Gioia 3

OuvertureLa giusta distanza o L’esercito dei raccomandatiItalia oggi

Vito Stano / DirettoreFB/ vito.stano1

INDICE

3 ouverture4 aro Ba/56 Lavoro e impresa8 Pd, il partito unico non c’è9 Laburbano10 Volano gli stracci11 Protezione civile12 concrete jungle 14 La città divisa16 sagra della mozzarella18 Fuad19 chi ricerca, trova20 castel del monte22 Pasolini26 gioia rock Festival

Potrebbe sembrar perfino troppo faci-le raccontare qualche storia e invece è quanto di più difficile ci sia. Anche perché

a grande distanza le cose appaiono più chiare, ma soltanto a tratti. Contribuendo alla crescita redazionale in poche parole raccontavo de «la giusta distanza», cioè lo spazio emozio-nale che un cronista deve tenere quando si pone alla macchina da scrivere. Come recita l’omonimo «tra colui che racconta un fatto realmente accaduto e colui che n’è diretto protagonista deve necessariamente potersi misurare la giusta distanza». E quale sarebbe esattamente? Credo che sia lo spazio necessario per comprendere a fondo i dettagli troppe volte dormienti sotto il naso senza neppure essere considerati o ai quali non riusciamo a dare la giusta importanza. Personalmente credo che il deside-rio di definire con la massima esattezza la giusta distanza abbia portato molti pugliesi a lasciare la propria terra natia. Perché a volte per ottenere certezza delle cose che meglio conosciamo siamo costretti a privarcene. E questo esercizio, per molti incom-prensibile o perlomeno inaccettabile, diviene la strada sulla quale incontrare nuove idee mai pensate prime. Quando le aspettative tradite e le strade intraprese e poi inter-rotte si fanno non numerabili, qualcuno dovrebbe risponderne. Quando si continua a morire per cause conosciute qualcuno do-vrebbe pagare. Quando quel qualcuno occupa posizioni di rilie-vo nel panorama politico-sociale senza averne meriti, qualcuno dovrebbe spiegarne i perché. Quando l’evidenza non ha altro ef-fetto che ammansire la rabbia, la giusta distanza tra il proprio sé e quello spazio circostante non può che mutare, così come la distanza tra le lenti di un obbiettivo spostano il punto focale di una immagine riflessa.La giusta distanza regala momenti di estrema gioia, perché con-sente di scoprire l’ineffabile e al contempo edifica lo sconforto di aver tradito, di non aver fatto abbastanza per l’unica mamma disponibile: la propria Terra.

Ed è a questa conclusione che pare di giungere quando persi nei pensieri vien facile immaginare il ritorno, non per ragioni oscure alla mente ma semplicemente per prendere tutto quello che è stato anzitempo negato. Per portare dinanzi al giudizio imparzia-le una classe dirigente e un apparato statale capace di inghiottire speranze e denaro con uguale voracità. Per provare a condanna-re in via definitiva un modus operandi indegno anche di un passa-to inglorioso.Immagino il ritorno d’una classe dirigente in fieri che prenda le redini di una Terra saccheggiata appena dopo aver sbancato i bagarini elettorali. Pregusto il ritorno senza pormi la necessaria fretta di voltarmi indietro. E intanto mi crogiolo pensando quan-to sia difficile ottenere il banale: un letto in ospedale, una pista ciclabile o un marciapiedi utile al passeggio e non solo all’instal-lazione degli obblighi stradali. Ma non basteranno nuove regole e vecchi manganelli, occorrerà una rivoluzione culturale per pro-vare a fare l’ordinario. Da noi, nell’inferno terreno del welfare in stato vegetativo e della raccomandazione come rito iniziatico, immaginare l’autonomia è quantomeno complesso. Come cam-biare canale ad una «tv accesa, che pare spenta».¿

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Negli ultimi mesi i cittadini di Gioia del Colle hanno arricchito il proprio vocabolario personale con un nuovo acronimo: ARO, che significa Ambito di Raccolta Ottimale. L’ARO è un organo sovra-comunale nel quale sono confluiti, dopo la messa in liquidazione degli A.T.O. (Ambiti di Territorio Ottimale), una rete di Comuni associati tra loro

per mezzo di una convenzione. Gioia del Colle è entrata di diritto e in veste di Comune capofila (in virtù del numero di abitanti, nonché di altri parametri riconducibili ad esso) nell’ARO BA/5, costituita assieme ai comuni di Acquaviva delle Fonti, Adelfia, Casamassima, Sammichele di Bari e Turi e per questo motivo al sindaco Sergio Povia è stata assegnata la carica di presidente dell’ARO. Tra i suoi compiti, oltre a rappresentare, convocare e presiedere l’assemblea, vi è quello di nominare il responsabile dell’Ufficio Comune di ARO (deliberazione n.6 del 03/05/2013) e il Responsabile unico del procedimento (Rup) del bando di gara, quest’ultimo individuato nella figura dell’architetto Capacchione, funzionario del Comune di Casamassima, la cui nomina ha suscitato qualche malumore all’interno dell’ARO poiché, secondo gli addetti ai lavori, avvenuta senza un opportuno e proficuo dialogo tra tutti i Comuni. In ogni caso, superati i primi malumori, si è arrivati alla delibera n.7 (dell’assemblea ARO) del 04/07/2013 in cui veniva redatta una sorta di linea guida per il futuro bando di gara, ossia, nello specifico, «scegliere, quale modalità per l’affidamento del servizio di spazzamento, raccolta e trasporto rifiuti urbani ed assimilati ad unico gestore sul territorio, quella della procedura ad evidenza pubblica con criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa». Questa deliberazione escludeva di principio la possibilità che la SPES, in virtù di un organico carente e per via dei costi di gestione notevolmente alti e non competitivi, potesse partecipare al futuro bando di gara. Con queste premesse e ottemperando al D.Lgs 152/2006, attraverso la determina n.1 del 04/11/2013, si decise di affidare alla società ESPER srl la

redazione del piano industriale (per un importo di 37.500 euro, più Iva) dell’intera ARO BA/5, capitolo essenziale per l’istituzione del futuro bando di gara. In sintesi, il piano industriale prevede gli interventi concernenti le fasi di raccolta, trasporto e trattamento (recupero e smaltimento) del rifiuto e individua i relativi costi in modo coerente con quanto descritto nel piano regionale, oltre a valutarne gli effetti in termini di miglioramento dell’efficacia ed efficienza del servizio stesso. Passati i tempi tecnici atti alla sua redazione, il piano industriale, per essere attuato, deve ottenere l’approvazione del Consiglio comunale di ogni singolo paese ricompreso nell’ARO di competenza. Da qui in poi l’amministrazione di Gioia del Colle pare sia entrata nel caos. In linea con gli altri Comuni, il 28 maggio, s’è svolto il Consiglio comunale, durante il quale si doveva votare per l’approvazione del piano industriale, accettandone l’impostazione e le risultanze economiche e finanziarie, dando inoltre il via libera alla predisposizione del bando di gara. Invece l’assise comunale gioiese a sorpresa rinviò la decisione al 6 giugno. La motivazione (ufficiosa) era quella di valutare la possibilità che la SPES riuscisse a partecipare alla gara per la raccolta dei rifiuti per l’intero ARO e valutare la possibilità di un affidamento in house del servizio con conseguente uscita dall’A.R.O. stessa. Questo ritardo ha compromesso la possibilità (per tutti i Comuni dell’ARO BA/5) di accedere alla premialità di 10 milioni di euro messa a disposizione della Regione Puglia per tutte le ARO che si costituivano entro il 30 giugno 2014. Premialità che consentiva di alleggerire i costi del primo anno di gestione del servizio. Ovviamente la contrarietà degli amministratori degli altri Comuni associati a Gioia del Colle si è palesata presto. Ma, se è vero che la fortuna aiuta gli audaci , il sindaco Povia è in forte debito con essa. La Regione Puglia, infatti, pochi giorni prima della scadenza fissata al 30 giugno, ha deciso di prorogare il termine ultimo al 31 gennaio 2015.Questi i fatti relativi al futuro servizio di raccolta. A margine di questa storia, non meno interessante è stata la reazione del sindaco Sergio Povia, il quale, saputa la notizia della proroga, l’ha condivisa sulla sua pagina facebook, arricchendo il relativo comunicato con un commento che lascia pochi dubbi: «Per dovere di chiarezza verso quei cacaspilli di Gioia e Acquaviva che nelle scorse settimane hanno affermato che le scelte del nostro Comune compromettevano la possibilità degli altri membri dell’ARO di accedere al meccanismo di premialità». Purtroppo non abbiamo conoscenza del significato del termine cacaspillo ma, immaginando possa essere correlato o sinonimo del termine ‘puntiglioso’, abbiamo comunque deciso di fare anche noi i ‘cacaspilli’ e, studiando delibere, comunicati e piani industriali, ci è sorta qualche domanda. Leggendo il piano industriale della SPES, redatto nel 2013, si prevedeva un costo annuo di 210,00 euro per abitante per raggiungere il 65% di raccolta differenziata; ad oggi, nel piano industriale dell’A.R.O. BA/5, viene dichiarato che la stessa percentuale può essere raggiunta con un costo di servizio pari a 140,00 euro per abitante. Come si può giustificare questa discrepanza di 70,00 euro per abitante? Come può la stessa società che oggi gestisce il servizio ad un costo elevato (210,00 per abitante) applicare, senza modifiche alla struttura o

Dario Magistro | / Dario.Magistro223

Gianluca Montanaro | / gianluca.montanaro2

aro ba/5 la nuova frontiera del rifiuto

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ai macchinari, tariffe così inferiori? Nella migliore delle ipotesi, chi ha redatto il precedente piano industriale (per la cifra di 23mila euro) ha commesso grossi sbagli. Nella peggiore delle ipotesi, o sono stati sottratti illecitamente soldi alla comunità gioiese o ne verranno sottratti degli altri, nell’immediato futuro, per le perdite d’impresa che potrebbero evidenziarsi. Un’altra domanda che ci siamo posti riguarda la famigerata spending review, la quale, al momento, non permette al Comune di Gioia del Colle di procedere ad assunzioni. Affinché prevalga il criterio dell’affidamento in house dei servizi previsti dal piano industriale dell’ARO, la società SPES deve essere al 100% pubblica. Al momento lo è solo all’82% in quanto il restante 18% è posseduto dalla società spezzina ACAM. Stimato l’acquisto di questa rimanenza in circa 300mila euro, una volta resa completamente municipalizzata e quindi sotto il regime della suddetta spending review, come farebbe la

SPES a garantire un servizio così efficiente senza poter richiedere nuove assunzioni? A tal proposito, se è vero, come afferma in una nota il sindaco Povia, che «la municipalizzata locale, al netto dell’azione di controllo che il Comune esplica su di essa, è un soggetto totalmente terzo rispetto all’Ente locale, del tutto legittimato ad autodeterminarsi sotto il profilo della governance aziendale», con che modalità l’azienda potrebbe garantire l’assunzione di nuovi operatori se, in ogni caso, apparterrebbe al 100% al Comune di Gioia e quindi al suo stesso bilancio? Inoltre, a voler essere maliziosi, possono esserci gli estremi del conflitto d’interessi nella figura del consigliere Ottavio Giannico, capo servizio della SPES? Un ultimo dubbio viene avanzato dagli stessi Comuni appartenenti all’ARO i quali, attraverso una lettera comune inviata al sindaco Povia, scrivono: «[…] come può pensare la SPES in futuro di poter, servendo solo i 28mila (cittadini, ndr) gioiesi, offrire un servizio più economico ma agli stessi standard qualitativi del gestore unico il quale dovrà servire invece ben 80mila abitanti e che per questo motivo avrà maggior potere contrattuale, maggiore economia di scala, dunque assolutamente più competitivo sul mercato. A tale riguardo è bene ricordare che oggi, invece, il servizio che rende la SPES ai cittadini gioiesi comporta la TARSU più alta di tutto l’A.R.O.!».Avremmo voluto porre queste domande all’assessore all’Ambiente di Gioia del Colle Giuseppe Lenin Masi, ma egli ha preferito rispondere così:

Inoltre, in virtù dell’incontro tenutosi presso i locali della SPES l’8 luglio 2014 alla presenza del consulente ambientale ingegner Gadaleta (durante il quale sono stati esposti i risultati della raccolta differenziata del primo semestre, 30,22 % la percentuale raggiunta a Gioia del Colle, che consente di non pagare l’ecotassa da 25,82 euro a tonnellata) all’assessore Masi avremmo chiesto di rispondere anche ad altre domande che per completezza riportiamo di seguito. Alla luce delle cifre record raggiunte in questo breve periodo di raccolta differenziata (45,41 tonnellate di cartone, 37,71 tonnellate di carta, 26 tonnellate di plastica) quello che ci chiediamo è come è stato possibile, in così poco tempo, intercettare tutti questi rifiuti sul territorio? E come venivano smaltiti precedentemente? Come è stato possibile abbattere il quantitativo medio di rifiuto indifferenziato da 25,5 tonnellate al giorno dei primi mesi del 2014 alle 22,5 tonnelate al giorno del mese di giugno 2014?Per far tutto ciò, vi è la possibilità che anche i Comuni e le aziende limitrofe nel territorio abbiano conferito, ad esempio presso l’Ecopunto, una quantità tale che abbia permesso al nostro Comune di raggiungere il 30,22% di raccolta differenziata? Se il dovere di un cronista è quello di informare i lettori, il dovere degli amministratori comunali dovrebbe (anche) essere quello di fornire spiegazioni plausibili ai con-cittadini. Anche se questi, a volte, si accontentano di altro.¿

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Venerdì 11 luglio si è tenuto un incontro organiz-zato dalla Camera del Lavoro di Gioia del Colle sui temi del lavoro e dello sviluppo locale. Dal dibat-tito, al quale hanno partecipato diversi rappre-

sentanti delle associazioni di categoria e delle istituzioni locali, è emerso il quadro della situazione economico-sociale in cui ver-sano le attività site nel territorio di Gioia del Colle. Secondo Giu-seppe di Fonzo, coordinatore della Camera del Lavoro di Gioia del Colle, «è di vitale importanza sfruttare il grado di autonomia di questa organizzazione sindacale locale, per promuovere una se-rie di azioni volte alla tutela dei diritti del lavoratore e a creare le condizioni necessarie allo sviluppo umano ed economico del ter-ritorio, in un futuro più o meno prossimo». Dunque, l’approccio scelto dalla CGIL di Gioia del Colle è di tipo propositivo, in quan-to è del tutto evidente che gli imprenditori stanno affrontando una congiuntura negativa dell’economia globale: d’ora in avanti, sarà cruciale evitare alcuni errori commessi in passato, legati non tanto a fattori esterni e congiunturali, quanto piuttosto a modelli gestionali delle aziende stesse che lavorano sul nostro territorio.

Il dibattito si è poi sviluppato intorno al tema della crisi del set-tore lattiero-caseario, dell’industria e della meccanica, del legno e del mobile imbottito, facendo emergere l’esigenza di stimolare e monitorare le politiche culturali, turistiche e dello spettacolo, quelle di sviluppo urbano e urbanistico e infine quelle socio-sa-nitarie caratterizzate dai piani di zona. «La Camera del Lavoro – dice ancora Giuseppe di Fonzo – non ha solo il compito di aprire

e gestire le stagioni di conflitto tra gli interessi dei lavoratori e quelle degli imprenditori, ma di far convergere tutte le azioni del-le varie organizzazioni presenti sul territorio, comprese le istitu-zioni, verso una condizione di convivenza della comunità che sia degna di esistere e progredire all’interno di un paese civile come l’Italia».

Lo strumento per tradurre tutto questo in fatti e azioni è una piattaforma di contrattazione territoriale che la Camera del La-voro sta tentando di mettere a punto. Ovviamente, sarà neces-sario che anche gli altri sindacati partecipino alla creazione di questo strumento e, soprattutto, che venga creata un’associa-zione di categoria degli imprenditori del settore lattiero-caseario fino ad oggi inesistente. Infatti, all’evento pare che non abbia partecipato nemmeno un imprenditore del settore in questione, tantomeno un loro rappresentante, e questo è un fatto grave se-condo l’opinione dei presenti al dibattito. Inoltre, la CGIL di Gioia

Lavoro e impresal’analisi del territorio gioiese

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Emanuele Donvito | / emanuele.donvito.7

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metria che offre questo sito. Ma per farci cosa? Servizi? La zona in questione, dopo la costruzione dell’ultimo edificio abitativo, palesa già un disordine urbanistico notevole e qualche scempio paesaggistico, ma eviteremo di entrare nel merito tecnico del-la questione in questa sede. Inoltre il sindaco dichiara di voler costruire anche un campo sportivo da dedicare esclusivamente alle attività del rugby. Tuttavia, quello che più ci interessava è os-servare che non si procederà al riutilizzo e alla risistemazione di qualche stabile o struttura, ma sicuramente si continuerà a co-struire, in contraddizione con ciò che il sindaco ha dichiarato du-rante la conferenza, ossia di voler utilizzare il principio del riuso per il futuro sviluppo urbano della città. Durante il dibattito con i rappresentanti sindacali, il sindaco ha affermato che l’Ansaldo Caldaie in questi anni ha provveduto a investire in ricerca e svi-luppo, contraddicendo nettamente l’opinione della CGIL in que-sto ambito. Nei prossimi mesi, la redazione di PrimaVera Gioia cercherà di fare chiarezza sul tema della presunta obsolescenza dei macchinari installati nello stabile gioiese dell’Ansaldo, che impediscono l’aggiudicazione di commesse utili al proseguimen-to dell’attività produttiva.

Nel corso del dibattito, la sociologa Letizia Carrera e il segretario generale FLAI-CGIL Bari Gaetano Mincuzzi hanno poi descritto la situazione in cui versa il settore agricolo e lattiero caseario locale.

Ecco alcuni dati aggiornati al 2010 forniti da Letizia Carrera: nel territorio gioiese sono presenti 1881 aziende agricole, di cui 1836 a conduzione diretta dell’agricoltore e solo 18 dotati di moderni strumenti di comunicazione (siti web, presenza su social net-work, indirizzi e-mail, ecc.). Letizia Carrera lamenta innanzitutto l’assenza di un’unità statistica territoriale che si occupi di aggior-nare più di frequente i dati. Nel corso di questa crisi economica, quattro anni senza aggiornamenti sono un’eternità. Gli scenari cambiano molto più repentinamente rispetto ad una situazione di stabilità economica. Questo problema, di conseguenza, inci-de notevolmente sul lavoro autonomo delle organizzazioni locali come i sindacati, i quali hanno fame di dati per poter produrre rapporti, dossier o relazioni utili al dialogo costante con gli attori economici ed istituzionali del territorio e non solo.

Invece Gaetano Mincuzzi constata la latitanza di un’etica del la-voro. Di qui la proposta della FLAI del «marchio etico di qualità». Secondo il segretario FLAI-CGIL di Bari, è incomprensibile che nel 2014 si debbano ancora affrontare lotte sindacali sul tema del lavoro nero, del caporalato e dello sfruttamento dei lavoratori nelle campagne. Tutto questo è rilevante per il buon funziona-mento della filiera produttiva e della distribuzione della ricchez-za. Il problema è dilagante e attiene alla maggior parte del terri-torio pugliese e una delle cause principali risiede nel deficit delle politiche agricole italiane.

In cinque anni abbiamo avuto ben sei ministri dell’agricoltura. Questo la dice lunga sulla miopia delle politiche agricole realiz-zate fin ad oggi.¿

del Colle conta la maggioranza dei lavoratori iscritti in tutti i set-tori economici produttivi sopra citati, tranne in quello del mobile imbottito. Una cooperazione tra le varie organizzazioni sindacali, dunque, è assolutamente auspicabile. L’altra esigenza avverti-ta dalla CGIL di Gioia del Colle è quella di stimolare la partenza dell’accordo di programma quadro, siglato presso il Ministero dell’Economia lo scorso febbraio 2013, relativo al distretto in-dustriale del salotto e del mobile imbottito, in cui rientra anche il nostro Comune. Ma passiamo ai numeri che descrivono la crisi. L’Ansaldo Caldaie conta attualmente un terzo del numero degli occupati rispetto ai cinquecento lavoratori di circa quindici anni

fa; il comparto del mobile imbottito registra una riduzione di circa quattrocento imprese e circa diecimila occupati nel giro di dieci anni. Quindi l’impulso dato dalla Camera del Lavoro di Gioia del Colle pare quanto mai opportuno.Dopo l’introduzione di Giuseppe di Fonzo, è stata la volta del sin-daco di Gioia del Colle, Sergio Povia. Dal suo intervento emer-gono un paio di contraddizioni. La prima riguarda un’intervista rilasciata dal sindaco sul tema dello sviluppo urbano; la seconda attiene le opinioni dei rappresentanti sindacali in merito al dibat-tito sulla dotazione di capitale fisso (i macchinari) della Ansaldo Caldaie.

Leggendo le dichiarazioni del sindaco sull’ultimo numero di un periodico locale, si nota subito che il suo decisionismo nei prossi-mi mesi si rivolgerà verso la riqualificazione della zona retrostan-te l’ex campo sportivo di Gioia del Colle, ricadente nella zona C1. Secondo il sindaco sarà necessario sfruttare al massimo la volu-

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L’esito finale dello scontro intestino al PD locale tra renziani e riformisti era scontato. Dopo mesi di incomunicabilità, l’Area Riformista del PD di Gioia, quella che in sostanza aveva perduto le pri-

marie dell’8 dicembre 2013, ha scelto di sbattere la porta e di abbandonare il partito: il problema di fondo è una certa distanza generazionale e culturale tra le due anime del Partito Democra-tico, aggravata dalla solita dose di personalismi che da sempre caratterizzano la politica, tanto più se si tratta di politica locale.

Se i Riformisti accusano i renziani del deficit democratico del partito, i renziani puntano il dito contro i Riformisti per la man-canza di quel necessario senso di responsabilità di governo che imporrebbe alcune scelte dolorose, senza arroccarsi su posizioni idealiste che negano il dialogo con la maggioranza di partito. Di fatto, la sera del 5 giugno, a causa del rinvio di una riunione del direttivo relativa all’adozione del piano industriale per l’ARO, la minoranza del partito - l’Area Riformista - decideva di porre fine alla difficile coabitazione che durava dal giorno dopo le primarie per l’elezione del segretario cittadino. La segreteria del PD, in-vece, rigettava, come sempre, l’accusa di aver negato il dialogo interno al partito sul tema ARO BA/5, affermando che la decisio-ne in merito a quel punto era già stata dibattuta dal partito in un precedente coordinamento del 27 maggio. Al di là degli aspetti procedurali, la segreteria del PD accusava la minoranza di voler «liquidare la Spes», ribadendo l’irresponsabilità di alcuni espo-nenti della corrente riformista, che, tra l’altro, nel 2004 avevano avallato la creazione della stessa società. Il segretario Massimo Labbate rincarava la dose, lamentando il danno d’immagine per «lo spettacolo indecoroso che emerge davanti alla città, con un partito spaccato e diviso, con un gruppo che ormai persegue solo lo schema della contrapposizione personale verso un’am-ministrazione che ha sostenuto in campagna elettorale e con un sindaco le cui idee e modi di fare sono conosciuti da oltre un ventennio». Il giorno seguente, un nuovo comunicato dell’Area Riformista negava il contenuto del precedente, accusando anco-ra una volta il segretario di atteggiamenti reticenti e strumentali, sottolineando che l’uscita di scena dei dimissionari dell’Area Ri-formista non equivale ad un abbandono, ma al più classico dei

reculer pour mieux sauter. Intanto, nella querelle a due tra riformi-sti e renziani, si è inserito un gruppo di tesserati che, in data 23 giugno, ha scritto alla segreteria provinciale del PD per chiedere chiarimenti a proposito del cattivo funzionamento degli organi interni al partito, i quali, secondo i firmatari, «non sono di fatto pienamente in funzione». Una presa di posizione che ripropone le argomentazioni dei riformisti, fino a oggi bollate come prete-stuose dai renziani.

In sostanza, ci si accusa a vicenda di rifiutare il dialogo. Non il-ludiamoci, dunque, di poter comprendere le ragioni profonde di quest’insanabile rottura, ma proviamo a offrire degli spunti di analisi. In primo luogo, ci pare che ci sia un’assoluta incom-prensione tra i nostalgici della dialettica interna al partito, della noiosa e inconcludente politica da Prima repubblica, e il nuovo che avanza, i renziani che, come insegna il loro leader tutto prag-matismo e decisionismo, non ne vogliono sapere delle pastoie della così detta democrazia e vanno spediti per la propria via. Poi, vorremo capire qual è la via: la matrice ideale del partito non esi-ste, poiché la regressione democratica del Paese ha rispedito il sistema politico italiano verso i modelli dell’Italia liberale. Le pri-marie dello scorso dicembre sono state l’esempio di una lotta tra «federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un boss e dei sotto-boss» (Berlinguer, 1981); quindi una battaglia di tessere che ha visto implicati riformisti e renziani in una corsa al riarmo, che ha portato il PD locale a raggiungere un ragguardevole nu-mero di tesserati. In questo senso non ci sono buoni o cattivi, ma soltanto posizioni da tutelare e nemici politici da marginalizzare. Al netto dell’episodica campagna per le primarie, il dato di fatto che emerge da queste discussioni è che il PD non ha un’identità, anzi non cerca un’identità e rifugge dagli interrogativi legati alla crisi di rappresentanza del sistema politico italiano. Da Mani Pu-lite in poi, cerchiamo di risolvere la crisi di rappresentanza ma, al posto della partecipazione, la soluzione adottata è stata quella del cesarismo, dell’elezione plebiscitaria del nuovo Messia che dovrebbe risolvere tutti i problemi, ma che, per affermarsi, non può prescindere dai pacchetti di voti. Ci aspettiamo forse che la segreteria provinciale del PD imponga a Labbate di verificare la tensione morale dei propri rappresentanti negli organi rappre-

PDil partito unico che non c’è

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Rosario Milano

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un modo nuovo di proporre la partecipazione, di valorizzarla e di trasformarla in un veicolo di rinnovamento reale. La compressione dell’esercizio democratico interno al circolo PD di Gioia del Colle diventa immediatamente sospetta se valutata alla luce della neanche troppo presunta subalternità della segre-teria ai rappresentanti del PD all’interno delle istituzioni. È tale condizione, difficilmente contestabile, che non appartiene certo a questa fase della politica, ma che è un’eredità dell’involuzione del sistema dei partiti verso il notabilato. D’altronde, sento con-tinuamente fare appello al senso di responsabilità, ma ci chiedia-mo se esista un limite a ciò, se la responsabilità non finisca per dimostrarsi irresponsabile se si perde una visione generale della cosa pubblica. L’intransigenza degli uni e il senso di responsabili-tà degli altri potrebbero avere entrambi un’importante intrinseca valenza, ma se ciò fosse vero dovrebbero incontrarsi e trovare una mediazione come accade in politica, poiché prese singolar-mente di intransigenza e responsabilità si potrebbe perire, ma soprattutto perché l’ultimo partito italiano non merita di soc-combere di egoismi.¿

sentativi o più semplicemente si preoccupi di raggiungere degli obiettivi in termini elettorali? Nello spazio grigio della crisi de-mocratica, emergono effettivamente tutte le difficoltà di gesti-re un partito quando non si ha la possibilità di dire quello che è evidente, e cioè che la segreteria del PD è ostaggio del sistema elettorale almeno quanto l’Area Riformista è ostaggio della pro-pria intransigenza, che i renziani disprezzano in quanto retaggio culturale veterocomunista, sebbene in realtà abbia differenti e molteplici spiegazioni.

Il PD di oggi sembra rifiutare l’eredità pesante della sinistra ita-liana. Ne nega il patrimonio culturale, la storia di lotte, di scon-fitte, di errori e di successi. Volendosi invece qualificare come partito nuovo, il partito del popolo del fare, adeguato ai tempi ma incapace di affrontare le sfide imposte: il rinnovamento della classe dirigente e degli strumenti di partecipazione degli iscrit-ti, due aspetti tra di loro strettamente correlati, poiché non si può pensare a un nuovo partito senza una nuova classe di go-verno, così come una classe di governo non può prescindere da

porte aperte al LabUrbano Creatività giovanile e riappropriazione degli spazi:

Torna a essere operativo il Laboratorio Urbano Bandeàpart di Gioia del Colle. Il centro, ospita-to nello storico palazzo dei servizi sociali di via Arciprete Gatta, lì dove una volta si riuniva l’in-

dimenticabile Consiglio comunale dei ragazzi, diventa hub. Un ambizioso progetto di co-working, i cui vettori saranno le asso-ciazioni gioiesi Arci Lebowski, Oratorio/Circolo ANSPI, La Prima-Vera Gioia, Murex e WWF sotto la supervisione dell’ente gestore

Teatro Kismet di Bari. Le associazioni, oltre a trovare casa presso il laboratorio, potranno sfruttare, così come tutti i giovani gioiesi, uno spazio creativo in cui fare rete, visto il forte potenziale mes-so a loro disposizione dalla struttura. Sale prove e registrazione, sala lettura, sala video e un progetto a sostegno della crescita

esponenziale e costruttiva di quelle idee tipiche della creatività giovanile. Era il 2012 quando il progetto dei laboratori urbani, patrocinato dalla Regione Puglia con il suo ‘Bollenti Spiriti’, ve-deva l’apertura di Bandeàpart, costituita dalle sedi di Gioia del Colle e di Turi, Arte Franca in quel di Martina Franca e l’Officina degli Esordi nel capoluogo pugliese. Da allora, si sono susseguiti un gran numero di corsi e progetti come laboratori di narrazione e messinscena teatrale, fotografia, orchestra ritmico sinfonica, scrittura per la scena, grafica, teoria e tecnica cinematografica, trashware, ecc. Le associazioni coinvolte mediante sottoscrizione a relativa convenzione, spostando parte delle loro attività pres-so il laboratorio urbano, tornano a far vivere uno spazio pubblico nell’ottica di restituire la centralità dell’azione all’associazioni-smo gioiese ormai maturo a fare rete. La struttura è aperta dal lunedì al venerdì dalle 14 alle 20. Noi di PrimaVera siamo pre-senti con il nostro lavoro redazionale presso l’ex sala lettura, in condivisione con i ragazzi dell’Anspi, lieti di offrire progetti e idee dopo un iniziale periodo di assestamento che ci porterà ad esse-re totalmente funzionali a settembre con l’avvio definitivo delle attività. Stay tuned. ¿

Filippo Linzalata | / filippo.linzalata

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Dopo la cocente eliminazione mondiale che ha generato una ricorsa ai responsabili e ha aperto la stagione dei regolamenti dei conti interni allo spogliatoio calcistico nazionale, anche il Consiglio comunale di Gioia del Colle del 25 giugno 2014 ha

visto emergere tensioni interne alla maggioranza, con uno scon-tro verbale alquanto duro tra sua maestà Sergio Povia e il con-sigliere Vito Antonio Falcone, personaggio dall’indubbia classe (senza i calzini turchesi), che sembra uscito dai racconti televisivi di ‘Elisa di Rivombrosa’. Le tensioni erano da tempo intuibili e il consigliere Falcone si era già assentato in maniera sospetta in occasione del Consiglio co-munale del 28 maggio, allorquando la maggioranza era riuscita ad approvare il rinvio dell’adozione del ‘Piano Industriale per la gestione associata dei rifiuti urbani nell’ARO BA5’ solo grazie ai voti delle opposizioni. Il 25 giugno, durante le comunicazioni preliminari, l’alterco tra Povia e Falcone è esploso in tutta la sua veemenza, non tanto grazie al merito delle argomentazioni sollevate da Falcone, ma perché il Sindaco di Gioiosezza del Colle chiedeva al consigliere il motivo per cui questi punti non fossero stati discussi durante le riunioni di maggioranza, anziché in aula consiliare dinanzi all’as-sise e all’opinione pubblica. Evidentemente, Falcone voleva porre la questione apertamente per sottolineare il proprio disagio nei confronti della maggioran-za che, stando alla sue parole, «si riunisce poco» e discute poco, confermando le impressioni già sussurrate da altri consiglieri e dagli esponenti dei partiti di maggioranza, che lamentano l’in-consistenza degli incontri di maggioranza, mentre la politica la farebbero solo il Sindaco e il suo entourage. Il grido di dolore di Falcone ha ricevuto la solita reprimenda del sovrano locale, poco abituato alle critiche, che, sbottando, ha accusato Falcone, pro-babilmente non senza fondamento, di «fare il giro delle sette chiese (sic)», quindi di non essere completamente fedele a que-sta maggioranza, occupandosi già del proprio riciclaggio in vista delle elezioni regionali e della possibile conclusione dell’ammi-

nistrazione Povia. Lo scontro, tutto caratterizzato dall’utilizzo di un informale «Lei», è espressione dell’insofferenza di consiglieri come Falcone, il quale evidentemente non ha visto adeguata-mente ricompensato in ambito amministrativo il proprio sforzo elettorale. Tutto ciò nonostante l’elegante Falcone sia stato uno degli artefici del traghettamento quasi incolore da Longo a Povia.Un’impressione confermata dalla richiesta da parte di Falco-ne di una maggiore presenza degli assessori durante le sedute consiliari, ma anche dall’accusa esplicita rivolta nei confronti dei così detti «factotum senza ruoli istituzionali», che senza alcuna investitura risultano molto più coinvolti nel processo decisionale della maggioranza degli stessi consiglieri. Intuire chi sia il facto-tum non è difficile, se consideriamo che l’ex vice di Povia, Franco Ventaglini, si affaccia anche sui banchi della Giunta durante le sedute, mentre probabilmente il povero Falcone è da tempo in attesa di una qualche forma di riconoscenza e del proprio posto al sole dopo anni di fedele adempimento. L’alterco sembra non chiudersi con la sconfitta di Falcone, zittito sul piano dialettico da Povia. Infatti, malgrado il consigliere non sia formalmente uscito dalla maggioranza, ha voluto dichiarare alla stampa (sul prossimo numero de ‘La Piazza’) che, malgrado non abbia fino ad ora mai dichiarato di voler uscire dalla maggio-ranza, le offese ricevute pubblicamente e le parole di Povia che mettono in discussione la sua fedeltà alla maggioranza impon-gono una riflessione. Quindi Falcone si riserva di valutare atto per atto il voto a favore della maggioranza, affermando bellico-samente che d’ora in poi «questa maggioranza dovrà fare i conti con me». Non solo un uomo di classe, ma un combattente.Tuttavia la fronda di Falcone è durata meno del mondiale di Cassano. Dopo solo poche settimane, nel corso del Consiglio comunale del 24 luglio, Falcone con un accorato intervento a difesa dell'operato di questa amministrazione, e contro la strumentalizzazione della vicenda CERIN da parte dei suoi ex alleati oggi all'opposizione, ha voluto lanciare un messag-gio chiaro di spirito di corpo. Tutto è bene quel che finisce bene.¿

Volano gli stracciPossibili frizioni interne alla maggioranza

Rosario Milano

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Negli scorsi mesi, il Comune di Gioia del Colle si è impegnato a ripianificare in termini strutturali il servizio di protezione civile cittadino. Nello specifico, l’amministrazione ha deciso di prendere in carico i lavori in maniera diretta, attraverso la

creazione di un gruppo operativo comunale su base volontaria, che adempia ai servizi di protezione civile, di cui il Comune rimane unico responsabile. Prima di questa riorganizzazione, era l’associazione di volontariato ‘Pubblica Assistenza Gioia Soccorso’ a curare le attività di protezione civile, che comprendono gli interventi di pronto soccorso, ma anche le iniziative di prevenzione e sensibilizzazione sulla pubblica sicurezza. ‘Gioia Soccorso’, come ci riferisce il presidente Nicola Partipilo, riceveva dal Comune un rimborso forfettario di 5mila euro l’anno per sostenere le spese necessarie ad amministrare l’associazione, acquistare materiale per le operazioni di soccorso, sostenere l’acquisto di veicoli, del carburante e i costi per la loro manutenzione. Questo rimborso è stato revocato in favore degli investimenti che il Comune sta predisponendo nei confronti della strutturazione del gruppo comunale di protezione civile, al momento completato nel suo organigramma, nomina del coordinatore compresa, e già operativo.Volendo fare un confronto fra l’appalto esterno di prima e il gruppo interno attuale, senza voler esprimere pareri di merito sulle competenze dei volontari circa la loro abilità nella pianificazione e nell’attuazione delle attività di pronto intervento, si possono mettere sulla bilancia le scelte economiche. A fronte dei 5mila euro annui del passato, sicuramente più onerosa deve essere stata la costituzione di un apparato comunale di protezione civile.

Inoltre, proprio in questi mesi in cui viene attuato un piano straordinario di sicurezza antincendio, è la protezione civile, nello specifico affidata interamente al gruppo comunale, a giocare un ruolo importante e ad essere impegnata intensamente sul campo. L’amministrazione, dal canto suo, ha messo i volontari nelle condizioni migliori per poter fare del proprio meglio in questo frangente, concedendogli, con delibera n. 118 del 24/06, un rimborso diretto in buoni pasto con un impegno di spesa pari a 2.450,00 euro.Si può dire con certezza che siamo già molto al di sopra delle spese annue della scorsa gestione. Tuttavia, se si guarda alla scelta dell’amministrazione comunale con un po’ di fiducia e lungimiranza, ci si aspetta che gli attuali sforzi economici possano

consegnare nella mani delle future amministrazioni, che pure dovranno far fronte alle proprie

responsabilità in tema di protezione civile, un patrimonio organizzativo e materiale

importante.Per il momento ciò che possiamo pretendere è che la scelta del Comune si riveli funzionale in termini pratici sin da subito, che vengano cioè portate avanti con estrema cura le operazioni

che competono al gruppo di volontari e ai responsabili a livello amministrativo. Ci

piacerebbe che il nuovo gruppo riuscisse a cooperare al meglio con le realtà già operanti

nel settore, a partire dalla stessa ‘Gioia Soccorso’ che, al netto del giustificato malcontento derivante dalla

perdita dell’incarico, continua a mettere la propria esperienza a disposizione delle amministrazioni locali (attualmente la Regione Puglia). L’obiettivo, certamente molto ambizioso, di gestire autonomamente un capitolo amministrativo ampio e complesso come quello della protezione civile dev’essere perseguito con convinzione, non come l’ennesima prova tecnica di buona amministrazione.¿

PROTEZIONE CIVILEMa di quanta protezione abbiamo bisogno?

Lino Digregorio | / lino.digregorio.5

Po

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«I programmi di recupe-ro urbano si presentano come strumento per tra-sformare tessuti urbani

consolidati e degradati per favorire una più equilibrata distribuzione dei servizi e delle infrastrutture e migliorare la qualità ambientale e architettonica dello spazio urbano, al fine di eliminare le condizioni di abbandono e di degrado edilizio, am-bientale e sociale che investono le aree urbanizzate».Era il 1994 quando la Regione Puglia pro-mosse e disciplinò la realizzazione dei Programmi di Recupero Urbano (P.R.U.), rifacendosi all’art. 11 della legge 493/93. Un sistema di realizzazione, manutenzio-ne e ammodernamento di urbanizzazioni primarie (strade a servizio di insediamen-ti, spazi di sosta e parcheggio, condotti e scarico acque nere) e urbanizzazioni se-condarie (asili, scuole, mercati di quartie-re), affiancato a interventi di edilizia resi-denziale pubblica. Il Comune di Gioia del Colle con delibera-zione comunale n.35 del 26 aprile 1999 approvava, con il successivo parere fa-vorevole della Regione, il P.R.U. per l’area posta ad ovest della ex Statale 100, a nord di via De Nicola, a est di via Einaudi e a sud dell’anello esagonale della zona 167, appaltando con gara a evidenza

pubblica la realizzazione all’ATI De Bar Costruzioni Spa e impresa Ing. Nicola De Bartolomeo. Da allora il P.R.U. ha subito ben due ridi-mensionamenti: il primo con deliberazio-ne n. 80 del 13 dicembre 2010 e l’ultimo il 16 aprile 2013 (deliberazione n.18), con relativa ri-pianificazione economica. Di questo programma sono ormai ultimati i lavori di sistemazione di via della Chiusa nel tratto compreso tra la ex SS 100 e via Einaudi e il parcheggio in via del Monte in adiacenza al liceo scientifico Ricciotto Canudo. In ritardo invece i lavori per la realizzazione della nuova strada tra via Padre Semeria e via Pertini, che plausi-bilmente sarà consegnata in simultanea al lotto edificabile a destinazione resi-denziale che insiste sull’ormai sventrato campo sportivo di via della Fiera.

Altro discorso per l’allargamento di via Einaudi, il cui cantiere ha attraversato una fase di stallo nell’ultimo anno e mez-

zo con una lieve impennata negli ultimi mesi. Pare infatti che l’andamento a sin-ghiozzo dei lavori sia dovuto alle scarse vendite delle unità abitative dei lotti re-sidenziali ultimati e rientranti nel P.R.U., a riprova del fatto che abitare in un quar-tiere per anni dimenticato sia poco appe-tibile. Al momento, soltanto il versante esterno di via Einaudi può essere ulti-mato con consegna prevista per la fine di luglio, cui seguirà l’apertura del cantiere sul versante interno (a ridosso degli edifi-ci) forse verso inizio agosto, assieme alla realizzazione di una rotatoria tra via Ei-naudi, via del Monte e via De Nicola. La seconda parte dei lavori prevede la re-alizzazione di una pista ciclabile a livello con il marciapiede ma non con la strada: non essendo previsto uno spartitraffico, la pista sarà differenziata dal colore ros-so del manto. Nella speranza di scongiu-rare i fantasmi di una pista ciclabile come quella della Comunità Montana, Gianni Fraccalvieri, presidente del Comitato di Quartiere 167, afferma: «Ci terremmo molto che i criteri di realizzazione della pista ne permettessero in futuro lo svi-luppo. Premesso che il programma trien-nale delle opere pubbliche approvato dal Comune di Gioia prevede la destinazione di una somma di 150mila euro alla realiz-zazione generica di piste ciclabili, sareb-

Filippo Linzalata | / filippo.linzalata

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be opportuno che a quella che verrà re-alizzata su Via Einaudi si possa collegare un sistema di piste ciclabili, orientandosi verso la mobilità sostenibile». Curiosa però la scelta di destinare al versante prospiciente gli edifici la stessa pista ci-clabile: infatti, a parità di accessi privati, il versante interno vede l’intersecarsi di ben sei strade rispetto all’unica del ver-sante esterno.Per quanto riguarda le acque meteoriche, il primo tratto di via Einaudi fino a via Vi-cinale La Chiusa è provvisto di un siste-ma di raccolta delle acque canalizzato, assente però nel restante tratto fino a via De Nicola, dove le acque meteoriche defluirebbero naturalmente grazie alla pendenza della strada verso l’inghiottito-io di via del Monte. La legge prevede che le acque meteoriche che dilavano super-fici impermeabilizzate dove c’è transito di automezzi di qualsiasi tipo, devono essere raccolte, depurate e riutilizzate. Il riutilizzo prevede anche la possibili-tà di immettere le acque depurate negli strati anidri del sottosuolo tramite pozzi disperdenti o subirrigazione. Le cavità, invece, non possono essere utilizzate in quanto punto di collegamento tra super-ficie e falda. In ultima analisi, c’è il centro polivalente per giovani e anziani. La struttura, ulti-

mata dalla Coema Srl e apparentemente pronta all’utilizzo da tempo, rientra tecni-camente nel P.R.U. da cui sono stati infat-ti prelevati i fondi per l’abbattimento del rudere un tempo esistente lì dove sorge adesso la struttura. C’è stata poi la volon-tà (chiaramente politica) di dare un pro-sieguo all’operazione, attingendo ai fondi del Piano di zona dei servizi sociali per la costruzione della struttura. C’è stata per-fino una gara di gestione aggiudicata alla cooperativa Itaca di Conversano, ma non è lecito sapere quando la struttura sarà totalmente operativa. Basterà ultimare queste opere per ridare ossigeno e vivibilità ad una zona fino a poco tempo fa segnata in modo tangibile da una forma di immobilismo (de)conser-

vativo? Si può convertire questa tenden-za in una più efficace opera di valorizza-zione e recupero? L’auspicio è che questo progetto possa instaurare un equilibrio armonico con il tessuto urbano circostante e giungere al tanto agognato concetto di smart city (città intelligente), condividendo le scelte con tutti i cittadini (non solo quelli ivi resi-denti), prima ancora di prendere decisioni nelle stanze di Palazzo. Attendiamo in maniera fiduciosamente smart il recupero urbano non solo di edifici e infrastrutture, ma anche di concetti troppo spesso tirati in ballo (barriere architettoniche, mobilità sostenibile, impatto ecologico, vivibilità, ecc.), ma puntualmente lasciati in sospe-so nel limbo della teoria. ¿

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Sembrerebbe tutt’altro che avviata al suo epilogo la vicenda del passaggio a livello di via Dante, almeno stando agli altalenanti umori del sindaco Povia, per oltre un anno strenuo difensore del

progetto degli impianti ettometrici - un sistema di ascensori collegati che permetterebbero lo scavalcamento dell’area dei binari - ed ora fermamente convinto che il muro che taglia in due la città non sia assolutamente un problema per i gioiesi forestieri al di lá di quello (neanche gli ascensori sarebbero più indispensabili). Nel mezzo di tanta indecisione, il movimento Pro.di.Gio ha dapprima presentato un progetto di sottopasso ciclopedonale alternativo agli ascensori e indetto una serie di incontri cittadini per presentarlo alla città e sensibilizzarla sulla questione. Ha poi coadiuvato un gruppo di cittadini in una raccolta firme per bloccare la prosecuzione dell’Iter progettuale degli ascensori ed ha infine incontrato l’Assessore regionale alle infrastrutture, mobilità e lavori pubblici Giovanni Giannini, nella convinzione che intorno ad un tavolo diretto da quest’ultimo sarebbe stato possibile raggiungere un’intesa sulla vicenda con sindaco e maggioranza. Ascoltiamo l’architetto De Mattia, ideatrice del progetto del sottopasso, per scoprire gli esiti di questo incontro.

A cinque mesi dalla presentazione alla città del progetto del sottopasso ciclopedonale da parte di Pro.di.Gio, si è mosso qualcosa da parte del Sindaco e della sua maggioranza?Faccio una premessa circa la scelta di protocollare il progetto. La scelta di metodo è nata dalla considerazione che le nostre numerose proposte (presentate ufficialmente in Consiglio ed esposte in incontri pubblici oltre che sui giornali locali e sul nostro blog) non sono mai state prese in considerazione dall’amministrazione, la quale afferma che dalle opposizioni non vengono contributi concreti. Senza questa nostra scelta i cittadini avrebbero continuato a credere che il sottovia ciclopedonale lungo via Dante non fosse realizzabile per problemi tecnici e che gli ascensori fossero l’unica soluzione possibile, rinunciando a ricucire Gioia del Colle dopo la

chiusura del passaggio a livello.Il Sindaco non ci ha mai contattato, non ha assistito alla presentazione del progetto e si è pronunciato sempre sommariamente, cambiando spesso opinione. Durante i Consigli comunali ha prima espresso l’impossibilità tecnica del sottovia, riportando a voce dichiarazioni dello Studio Cirillo (in realtà rivelatesi a favore della fattibilità tecnica di un sottovia ciclopedonale). Si è poi dichiarato favorevole all’idea, ma, convinto che sarebbe costata più degli ascensori (senza preventivi documentati), si era mostrato disponibile ad un confronto con l’assessore regionale Giannini (incontro che poi è stato dirottato su altro argomento). Negli ultimi giorni sembra aver definitivamente accantonato l’idea del sottovia a favore di altri progetti.Coloro che inizialmente avevano mostrato maggiore interesse

erano l’assessore Masi (che una volta consegnatoci il progetto dello Studio Cirillo non si è più interessato dell’argomento) e il consigliere Antonicelli (che dopo aver voluto un incontro con noi per visionare gli elaborati non ha più appoggiato apertamente il progetto nei successivi tavoli tecnici e incontri ufficiali). Da gennaio ad aprile non c’è stata nessun’altra partecipazione al tema da parte dell’Amministrazione. Durante il Consiglio Comunale dell’1 aprile, l’unanimità dei presenti decise di sospendere la procedura di definizione del progetto degli ascensori per valutare la proposta di un sottovia ciclopedonale. A questa decisione fece seguito solo un incontro in Giunta con

l’architetto Cirillo, durante il quale l’atteggiamento di consiglieri e assessori era decisamente meno accalorato rispetto al Consiglio, meno motivato nel voler perorare la causa del sottovia. Alcuni consiglieri hanno ammesso apertamente che, non essendo esperti in materia, erano stupiti nell’apprendere la fattibilità del sottovia. Mi chiedo allora come mai questi consiglieri, prima di votare a favore degli ascensori, non abbiano provato a chiedere, a discutere, a creare un gruppo di lavoro all’interno del partito per essere consapevoli del proprio voto?

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Alessandro De Rosa | / alessandro.derosa.161

La città divisail nodo ferroviario non si scioglie

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realizzare la riqualificazione del Cavalcaferrovia di Via Giovanni XXIII e realizzazione di una nuova banchina ciclopedonale per incompatibilità tecnica con il programma di ampliamento del piazzale ferroviario di Gioia del Colle», come riportato nella proposta di deliberazione del 12 dicembre 2013, in cui si deliberò la realizzazione degli ascensori. Dinanzi a tali incongruenze e cambiamenti di direzione, davvero non so come pronunciarmi.

E il consigliere Antonicelli che ha basato la sua campagna elettorale sulla questione? Non si era mostrato disponibile a perorare il progetto di Prodigio come da lei affermato prima?Sì, aveva manifestato la sua disponibilità, ma come detto, durante gli incontri ufficiali svolti, non ho riscontrato in nessuno dei presenti la volontà di lottare per la soluzione del sottovia. Prima si è detto che non era fattibile tecnicamente, poi economicamente e ora burocraticamente. In realtà manca solo la volontà politica.

Ha detto che era presente anche il consigliere Celiberti che, notoriamente, non fa parte della maggioranza. Che posizione ha espresso? Durante l’incontro la posizione emersa con chiarezza era quella del Sindaco, credo avallata dai restanti presenti consiglieri, ad esclusione del solo Lucilla ovviamente. Le nostre speranze di poter ricevere concreto supporto in questo progetto si sono volatilizzate.

In definitiva con i 2 milioni di euro quali opere saranno realizzate per alleviare il trauma degli abitanti di via Paolo Cassano? Credo che quei soldi non saranno proprio utilizzati in prossimità del passaggio a livello su via Dante. Nell’ultima intervista su Fax (12 luglio), il Sindaco dichiara che «4 milioni e 200 mila euro sono per via Vicinale la Villa» e che «è notizia di pochissime ore che la Regione ci ha finanziato 2 milioni di euro per il nodo di scambio che dalla stazione finirà in via Lagomagno». Da quello che avevo compreso dai documenti per la riqualificazione del fascio ferroviario, nei 4 milioni rientrava già il nodo di scambio con via Lagomagno, per cui ora non so se il Sindaco faccia riferimento a nuovi progetti, a nuovi finanziamenti o ai famosi 2 milioni che vagano dagli ascensori al ponte, ora a via Lagomagno. In ogni caso, non sembra si voglia destinarli alla zona tra via Dante e via Cassano. Trovare in futuro altri fondi per quella zona non sarà semplice.Noi ci impegneremo nel seguire quanto accade, informando sempre i cittadini, non dimenticando i bisogni di coloro che abitano lungo via Cassano e via Dante e le potenzialità di quell’area urbana.¿

Nei giorni scorsi, una delegazione di Pro.di.Gio ha incontrato l’assessore regionale Giannini. Quali erano le premesse e le aspettative al riguardo?L’incontro con l’assessore Giannini era stato accordato dal Sindaco in seguito all’invito di Lucilla scritto dopo la dichiarazione pubblica di disponibilità, da parte dell’assessore, a discutere del sottovia, anche in nome delle oltre 2mila firme raccolte. Date queste premesse non ci aspettavamo assolutamente che durante l’incontro si sarebbe parlato di altro, di un’altra proposta in un’altra parte di città.

Chi era presente all’incontro in rappresentanza del Comune di Gioia del Colle?Erano presenti il Sindaco, il geometra Plantamura per l’ufficio tecnico, i consiglieri Ludovico, Antonicelli, Celiberti e il presidente del Consiglio Bradascio.

Quali posizioni sono emerse? Ci sono possibilità di vedere ricucito il tessuto urbano di Gioia del Colle?Durante l’incontro è emersa la volontà dell’amministrazione, espressa dal sindaco, di utilizzare la parte dei fondi (circa 1milione e 900 mila euro dei totali 6 mln destinati alla riqualificazione del fascio ferroviario), per l’ampliamento del ponte di pietra di via Giovanni XXIII mediante l’aggiunta di una passerella per bici e pedoni e non la sua intera ricostruzione.

Secondo lei, sindaco e consiglieri presenti sono concordi nel ritenere che una città divisa in due sia una condizione insostenibile per chi abita al di là del muro?I presenti hanno dichiarato acclarata l’inutilità degli ascensori, seppur votati da loro, e sembravano in parte convinti che la zona tra via Dante e via Cassano necessiti di interventi di riqualificazione. Si è asserito però che non si debba far riferimento all’Assessorato alle Infrastrutture e Mobilità, Lavori Pubblici, poiché il sottovia non riguarderebbe più problemi di mobilità, ma di riqualificazione urbana. Non si potrebbe quindi più attingere ai finanziamenti disponibili. Abbiamo chiesto perché invece il progetto degli ascensori rientrava in tali finanziamenti e ci è stato risposto che gli ascensori offrivano una mobilità diversa rispetto a quella del sottovia. Motivazione che ritengo debole rispetto ai reali problemi dell’area e che porta a chiedersi in che modo l’aggiunta di una semplice passerella ciclopedonale al ponte di via Giovanni XXIII sia attinente con il migliorare e modificare la mobilità esistente. Per di più, l’intervento sul ponte era stato stralciato dai progetti finanziabili per «l’impossibilità di

ass. Regionale Giovanni Giannini, assessore a infrastrutture e mobilità, lavori pubblici

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Fabio D’Aprile | /fabio.daprile.9

«Benvenuti a Gioia del Colle, città del vino primiti-vo e della mozzarella»: così recita il cartello posto ad ogni ingresso della nostra città. Se per il vino possiamo vantare alcuni riconoscimenti (premio

Guida Veronelli, Gambero Rosso, 3 Bicchieri, oltre i vari marchi DOC), la mozzarella sta attraversando una fase di declino difficil-mente superabile. L’ultima evidente dimostrazione è data dalla sagra del 5 e 6 luglio scorsi, il cui esito può essere racchiuso nel commento di un passante: «Tutto c’è al di fuori della mozza-rel-la». Su corso Vittorio Emanuele vi erano, infatti, gli stand di una concessionaria, di un rivenditore di salumi e un altro di prodotti siciliani, con il povero Antonio Da Costa che cercava di animare la serata, intonando un mix tra pizzica e flamenco.Se è lecito da un lato attribuire questo fiasco agli organizzatori già protagonisti in passato di eventi mal riusciti, dall’altro vor-remmo cogliere l’occasione per capire perché il formaggio di pa-sta filata, “mozzata” nel corso della lavorazione – da cui il nome mozzarella – da essere protagonista del settore trai-nante della nostra economia, esportato in Italia e nel mondo, sta attraver-sando un forte periodo di crisi, accompagnato delle voci di un’im-minente chiusura del caseificio F.lli Capurso (che conta circa 80 dipendenti) e dalle continue proteste degli allevatori.Già! I nostri allevatori! Lamentano il basso prezzo di vendita del

latte crudo (€ 0,41 al litro circa) imposto dai caseifici locali e pre-feriscono incassare fino a 0.57 – 0.60 €/l dai vari raccoglitori di zone limitrofe o della Campania che mescolano il latte delle no-stre stalle con quello di bufala per ricavarne la loro famosa moz-zarella. Eppure, diversi sono stati i casi di retrofront di allevatori che, atti-rati da un modo di fare inizialmente allettante da parte dei racco-

Eco

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Sagra della mozzarellalo specchio di una crisi

mozzarella Land coinvolta nello scandalo della mozzarella blu

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impiegato latte locale, nazionale, europeo e extraeuropeo oppu-re se il latte ha subito manipolazioni.L’art. 1 della stessa legge dice che la data di scadenza del «latte fresco pastorizzato» e del «latte fresco pastorizzato di alta qua-lità» è determinata nel sesto giorno successivo a quello del trat-tamento termico. Il rispetto della normativa spinge dunque i ca-seifici o all’utilizzo di latte locale da trasformare poche ore dopo la mungitura o in alternativa, per i caseifici con Bollino CE, dotati per legge di un centro di raccolta (regolamento CE n. 852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari, controlli per verificare la con-formità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti, norme specifiche per l’organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano), è possibile sotto-porre il latte a trattamenti di sterilizzazione e conservazione per

poi venderlo o tra-sformarlo a distan-za di qualche tempo (è il caso della Gra-narolo e dei F.lli Ca-purso).

Come ovviare allora alla crisi del setto-re lattiero-caseario gioiese? Oltre ad avere un’etichetta che garantisca l’o-rigine, è necessaria

l’attribuzione di un marchio (DOP e made in Puglia) a tutela del prodotto, per puntare sulla differenziazione e non su una leader-ship di prezzo. Solo in questo modo sarebbe possibile difendere quote di mercato e garantire la salvaguardia del patrimonio zo-otecnico, visto che negli ultimi 10 anni, solo a Gioia del Colle, le aziende agricole da 1200 si sono ridotte a 350, nonostante la quantità di latte prodotta sia aumentata a discapito però della qualità.

Infine, è necessaria la creazione di un consorzio di filiera tra al-levatori, caseifici e distribuzione, con l’intervento delle istituzioni a sostegno della sponsorizzazione del prodotto (contributi per partecipare a fiere o altri eventi mondiali), ma anche per la for-mazione dei mastri casari (necessaria se si pensa che l’80 % dei caseifici gioiesi sono ancora a stampo artigianale). Di supporto deve essere anche l’attività di ricerca svolta dalle facoltà di Medi-cina, Veterinaria e Agraria per selezionare, ad esempio, i mangimi o i foraggi che rendono naturalmente migliore il nostro latte piut-tosto che ricorrere all’aggiunta di nutrienti in laboratorio (come gli omega 3 contenuti in un latte biologico). Si dovrebbe inoltre provvedere a smaltire raccolti danneggiati dagli eventi atmosfe-rici, incrementare il numero di analisi sul latte per prevenire casi di intolleranza e incentivare tutte le attività necessarie per avere una mozzarella di qualità. In attesa di vedere come risponderà il mercato ad un prodotto qualitativamente superiore ma ad un costo più elevato.¿

glitori, hanno poi scelto di aspettare tempi di pagamento più lun-ghi da parte dei caseifici, pur di evitare il raggiro dietro l’angolo: dai pagamenti in contanti effettuati alla consegna, molti racco-glitori, infatti, sono poi passati a forme di pagamento sempre più dilazionate fino a diventare “latitanti” (pur avendo una ragione sociale, i raccoglitori non hanno, infatti, una sede di stoccaggio o di produzione dove rintracciarli).Dal punto di vista dei trasformatori, i caseifici appunto, il proble-ma risiede a monte della filiera, ovvero nella concorrenza della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) e dei vari discount verso cui si è spostata nel frattempo l’attenzione dei consumatori. Certo, da un punto di vista economico, la mozzarella locale che si aggira intorno ai 6/7 € al kg non può competere con la moz-zarella light penny a 3.60 €/kg, ma non è tanto il prodotto finito importato il proble-ma, quanto le com-ponenti necessarie per produrlo.

Secondo la Coldi-retti, in Puglia, sono 2.700 gli allevamenti che producono circa 3,5 milioni di quin-tali di latte, mentre importiamo circa 1,5 milioni di quintali di semi-lavorati (pol-vere di latte) per fare prodotti lattiero-caseari poi commercia-lizzati sfruttando il valore aggiunto dato dalla dicitura ‘Made in Puglia’ (dei 421.000 quintali di mozzarelle regolarmente venduti come pugliesi, oltre il 35% sono ‘costruiti’ con cagliate e paste fuse provenienti dall’estero, principalmente Germania ed Europa dell’Est). Vera e propria concorrenza sleale nei confronti di pro-duttori e trasformatori che utilizzano esclusivamente latte cru-do. Infatti, per produrre un chilogrammo di mozzarella, si sosten-gono costi di almeno 3,5 €/kg per il solo latte, per cui il prezzo al pubblico di un kg di mozzarella vaccina di qualità non dovrebbe essere inferiore ai 7,5/8 €/kg. Alcuni soggetti della filiera, già da qualche mese, stanno perciò offrendo la vera mozzarella puglie-se a prezzi stracciati sugli scaffali della GDO, finanche a 3 €/Kg. La dimensione del fenomeno, in costante crescita, minaccia gli allevatori, i caseifici e i consumatori.

Per evitare il rischio di mangiare un falso, è necessario tracciare il prodotto, con l’indicazione obbligatoria dell’origine sia del latte che della mozzarella, ove (secondo il comma 2 art. 1 bis legge 204/04) «per luogo di origine o provenienza di un prodotto ali-mentare non trasformato (latte crudo, ndr) si intende il Paese di origine ed eventualmente la zona di produzione e, per un pro-dotto alimentare trasformato (la mozzarella, ndr), la zona di col-tivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata prevalentemente nella preparazione e nella produzione». Con la tracciabilità del prodotto, il consumatore può sapere se è stato

Sagra della mozzarella

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Abbiamo intervistato Fuad, un ragazzo ghanese fuggito dalla Libia e arrivato a Gioia del Colle nel 2011.Come è nata l’esigenza di venire in Italia?

Sono un ragazzo originario del Ghana, ma ho vissuto prevalentemente in Libia. Lì lavoravo, era tutto bellissimo, fin quando è arrivata la guerra. Sono stato costretto a fuggire da quegli orrori, ho attraversato il Mediterraneo, sono giunto a Lampedusa, poi a Manduria e infine a Gioia del Colle.

Che realtà hai lasciato in Libia?Prima la Libia era un posto bellissimo, poi si è trasformato in un inferno. Ho rischiato più volte la vita e sono stato costretto a fuggire. Il viaggio è durato tre giorni e non avevamo da mangiare.

Invece a Lampedusa, come sono andate le cose?Sono stato lì solo due giorni, però posso affermare che la mia esperienza non è stata affatto negativa.

Grazie al bando regionale Principi Attivi sei riuscito a creare una ciclofficina a Putignano. Come hai incontrato il mondo della bicicletta?A Gioia proprio non riuscivo a trovare lavoro, poi ho conosciuto un ragazzo che reputo il mio miglior amico, Claudio. Gli sono debitore perché mi ha dato una grande mano. Mi ha presentato una ragazza di Noci, Valentina, che è la presidentessa dell’associazione La Ciclofficina. Non sapevo nemmeno cosa fosse una bicicletta. Con lei abbiamo iniziato a pensare quale fosse la soluzione migliore per me. Allora è arrivata la possibilità di andare a Milano a specializzarmi nel settore della riparazione.

Hai quindi lasciato Gioia del Colle per trasferirti a Putignano. Come mai non sei riuscito a trovare alcun lavoro nel nostro paese?Ho avuto un po’ di difficoltà nell’integrarmi. Ho provato anche a rivolgermi al centro di collocamento, ma non mi hanno aiutato. Mi sono sentito ferito perché vedevo della chiusura nei miei confronti, forse perché ero insieme ad un altro gruppo di ragazzi neri fuggiti dalla guerra. Magari era la prima volta che vedevano numerosi immigrati e avevano paura. Tutto questo

però fa malissimo, perché siamo delle brave persone. Ora vivo a Putignano, dove la mentalità è più aperta. Ho una casa tutta mia e mia moglie ha da poco dato alla luce il nostro primogenito.

Quante biciclette ripari al giorno?Ci sono dei giorni in cui ne riparo 20, altri 15, altri ancora 10. Dipende.

La Ciclofficina è un’associazione molto attiva sul territorio sia di Noci che di Putignano. Svolgono anche numerose attività come gite in bicicletta. Partecipi anche tu?Assolutamente si. Ora con un bimbo piccolo a cui badare è diventato tutto più difficile. Ma quando sarà possibile, tornerò a passare più tempo con loro.

Ora ti lascio uno spazio con tema libero. Puoi dirci quello che vuoiVoglio ringraziare tutte le persone che mi hanno aiutato, qui adesso mi sono costruito una vita e devo tutto a loro e ai loro sorrisi di ogni giorno.¿

la storia di FuadDal sogno libico alla realtà italiana

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Lyuba Centrone | / lyuba.centrone

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Li ho incontrati alla fermata dell’autobus. Adriano Monaco e Rosangela Errico sono due studiosi del gruppo di ricerca guidato dal prof. Roberto Bellot-ti, premiato dalla Medical School dell’università

americana di Harvard nell’ambito di un concorso sullo sviluppo di nuove metodologie di diagnosi delle malattie neurodegenerative.

Su 50 progetti di ricerca presentati da tutto il mondo, quello del gruppo del prof. Bellotti, formato da otto studiosi tra professori e ricercatori (di cui ben 5 precari) del Dipartimento di Fisica dell’U-niversità di Bari, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e del Cnr, è stato scelto per l’algoritmo più preciso nella classificazione delle risonanze magnetiche “in cieco”, ossia all’oscuro dell’effet-tivo stato di salute del paziente e delle patologie da cui è even-tualmente affetto: su un campione di n risonanze “indefinite”, l’algoritmo barese è stato dunque il più preciso nell’individuare la diagnosi per ciascuna risonanza analizzata, consentendo lo sviluppo potenziale di sistemi automatici di riconoscimento e di analisi morfologica dell’ippocampo del cervello, altamente ripro-ducibili e quindi più certi e rapidi. Si riducono così i tempi di dia-gnosi delle patologie neurodegenerative e si apre la possibilità di applicare lo stesso algoritmo anche ad altri ambiti. I risultati delle ricerche del gruppo di Bellotti saranno presentati al MIT di Bo-ston del prossimo settembre e pubblicati successivamente sulle più prestigiose riviste scientifiche del settore.

Alfonso Monaco, classe 1980, è il tipico scienziato sornione e apparentemente distaccato che, dopo tutti i passaggi della car-riera universitaria e una fase di inevitabile precarietà e volonta-riato a favore della ricerca scientifica, ha finalmente ottenuto un contratto da ricercatore a tempo determinato presso l’Istituto di Fisica Nucleare, rimanendo comunque un precario. Del resto, Alfonso aveva già partecipato con successo in ambito astrofisi-co, sempre sotto la guida del professor Bellotti, all’esperimento “Pamela”, un rilevatore di raggi cosmici montato su un satellite, in grado di superare l’atmosfera, i cui risultati erano stati pubblica-ti anche qui su riviste specialistiche del settore. Alfonso confida la propria insofferenza nei confronti di chi legge gli articoli e poi gli chiede cosa ci guadagna in termini economici dalle scoperte scientifiche e dalle pubblicazioni.

Chi (ri)cerca, trovaalfonso monaco e rosangela errico

Rosario Milano

Rosangela Errico ha una storia diversa: non è propriamente un’accademica, ma una specializzanda in Fisica Medica presso l’Università di Genova. Richiamata a Bari dal suo professore di tesi, Roberto Bellotti, si trova a far parte di questo gruppo di ri-cerca interdisciplinare. Più giovane ma non meno pugnace, Ro-sangela racconta la sua passione per la fisica medica e la volontà di continuare a occuparsi della professione medica nell’ambito della diagnosi preventiva delle patologie: oltre alla passione, ha la lucidità e la determinazione necessaria per proseguire la sua attività di studiosa. Questi sono due esempi del nuovo che avanza che ci piace, del capitale umano che resta qui, riaffermando quotidianamente l’appartenenza alla propria terra. La precarietà economica (per non dire sfruttamento, date le 12 ore quotidiane trascorse fuori di casa) e la difficile situazione del sistema universitario non li ha spaventati. Per loro ciò che conta è continuare a fare quel che gli piace, anche se a intervalli di tempo devono sempre spera-re nella riconferma del contratto. Almeno per loro, l’emigrazione non sembra una soluzione, anche perché, sostiene Rosangela, prima o poi «sempre qui si ritorna». Tuttavia, i laboratori sono spesso trappole del tempo e, quando chiedo se gli capiti spes-so di dire «chi me lo ha fatto fare», mi rispondono che l’eser-cizio delle bestemmia è quotidiano, mentre al venerdì si sclera per tutto il giorno. Resta comunque la verità di questa enorme ricchezza di cervelli che è tutta nostra e spesso per autoflagel-lazione non consideriamo all’altezza, almeno finché i nostri non sbancano Harvard. Senza il clamore mediatico, tutto ci appare piatto, desolante e al contrario dovremmo ricordare più spesso che, per ogni notizia clamorosa, ci sono migliaia di storie ignora-te, a volte anche tristi, di giovani precari della ricerca che nel più completo anonimato vivono la loro quotidiana battaglia contro il regresso a favore della vita. Per questa stessa indole, per la loro etica della ricerca, quando gli chiedo cosa ne pensano della politica nazionale e locale, fanno spallucce, dichiarandosi incom-petenti, una non risposta figlia della propria formazione scienti-fica e della propensione al lavoro oscuro, quello anonimo senza selfie e senza ridondanza mediatica: ecco gli eredi di quel “popolo di formiche” osannato da Tommaso Fiore, l’antitesi del popolo dei ciarlatani esaltati, che vestono come Lapo e pensano come Antonio Razzi. ¿

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Giosuè Musca, tra i maggiori medievisti italiani del Medioevo, aveva studiato Castel del Monte negli anni in cui si diffusero le prime interpretazioni simboliche che oggi continuano ad alimentarsi accanto a deformazioni esoteriche-neotemplari di grande fortuna mediatica. “Castel del Monte, manuale storico di sopravvivenza” (Caratteri Mobili edizioni) di Massimiliano Ambruoso, responsabile di un gruppo di ricerca storica sul castello federiciano con l’Università di Bari, tenta di fare chiarezza tra stereotipi e schematismi di vario genere. Il volume è arricchito dall’introduzione di Franco Cardini e da un’appendice di Anna Castriota, docente di Politics presso il St Clare’s College di Oxford, dal titolo ‘Il Manoscritto numero 408 o Codice Voynich: tra verità e mito’. Di fronte a titoli sensazionalistici o a chi si dichiara detentore di verità assolute forse è bene ricordare le parole di Noberto Bobbio in ‘Politica e cultura’: «di certezze – rivestite della fastosità del mito o edificate con la pietra dura del dogma – sono piene rigurgitanti, le cronache della pseudocultura degli improvvisatori, dei dilettanti, dei propagandisti interessati. Cultura significa misura, ponderatezza, circospezione: valutare tutti gli argomenti prima di pronunciarsi, controllare tutte le testimonianze prima di decidere».Ne parliamo con l’autore«Senza dubbio – spiega Musca – le fonti di cui disponiamo non registrano tutto, sono solo una parte di quelle prodotte, molte sono andate perdute». Eppure in qualità

di scienziato, lo storico non può inventare, se mai avanzare ipotesi: ma partiamo dal famoso documento del 1240.Il mandato del 29 gennaio 1240, indirizzato da Federico II al giustiziere di Capitanata, costituisce la carta d’identità di Castel del Monte. In esso si specifica il committente dell’opera, cioè l’imperatore stesso, il periodo in cui l’edificio è in costruzione, il luogo ove deve sorgere e, senza alcuna possibilità di equivoci, che cosa lo Svevo volesse che fosse edificato: un castrum ossia un castello. In tutte le fonti del periodo svevo, non numerose ma molto significative, e in quelle più cospicue del periodo angioino, Castel del Monte è sempre citato come castello e come tale utilizzato.

C’era un messaggio di potere rispondente alle scelte politiche di Federico II o Castel del Monte è un castello privo di difese come per alcuni dimostrerebbe la scelta del luogo?Castel del Monte chiude una maglia all’interno del “sistema castellare” federiciano, ponendo in comunicazione i castelli dell’interno, posti lungo la via Appia, e quelli collocati più a est, lungo la via Traiana. L’idea dell’isolamento del luogo dove sorge il castello è uno stereotipo stratificatosi nel corso degli ultimi decenni che non trova, però, alcun riscontro nelle fonti medievali. Queste, al contrario, ci restituiscono un castello posto al crocevia di un reticolo stradale che interessava quella zona della Murgia. Altrettanto

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Castel del montemanuale storico di sopravvivenza

Silvana Farina | / silvana.farina.54

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Fondamentale è l’utilizzo delle fonti storiche. Quando si formulano delle ipotesi interpretative è necessario che esse siano supportate da quanto è ricavabile dalla lettura delle fonti e che non entrino in stridente contrasto con quanto è storicamente accertato. La lettura delle fonti deve essere diretta e non mediata da testi di seconda mano, altrimenti si rischia di incorrere in una catena di rimandi e citazioni errate, poste alla base di nuove infondate teorie: purtroppo a proposito di Castel del Monte questa metodologia di studio è stata spesso disattesa.

Non esistono fonti che accertino il passaggio o la presenza dell’imperatore Federico II di Svevia a Castel del Monte. È quindi probabile che il Puer Apuliae non sia mai passato di qui?Nessuna fonte attesta un benché minimo soggiorno di Federico II a Castel del Monte. Ciò non vuol dire che non ci sia mai stato, ma semplicemente che noi non siamo in grado di poterlo affermare.

Un vero e proprio mito è nato anche attorno al castello di Gioia del Colle, soprattutto attorno alla figura di Bianca Lancia. Che cosa può dirci a riguardo?Il castello di Gioia del Colle, presente nello Statuto federiciano sulla riparazione dei castelli, si presenta oggi, come ha scritto Raffaele Licinio, nell’anomala veste di «castello medievale immaginario», dopo il fantasioso restauro degli inizi del ‘900. Nel Medioevo immaginario di questo castello troneggia la figura di Bianca Lancia e dei suoi seni scolpiti sul blocco di pietra della presunta prigione. Anche in questo caso, come per Castel del Monte, nell’immaginario collettivo il Medioevo del mito ha preso il sopravvento su quello degli storici, per quella fame di esotismo e di mistero che attanaglia la nostra società.¿

infondata è l’asserzione che Castel del Monte fosse privo di difese: le torri erano più alte di quelle attuali e contenevano gli alloggiamenti per i soldati e, soprattutto, il castello era verosimilmente circondato da un circuito murario difensivo, in linea con quanto accadeva in altri castelli dell’epoca. Insomma, Castel del Monte possedeva tutte le caratteristiche per svolgere le funzioni politiche di controllo del territorio e strategico-militari, oltre che residenziali, tipiche dei castelli federiciani.

C’è chi lo ha definito un osservatorio astronomico, chi una struttura termale, chi un hammam. I simboli individuati sono molti (alcuni legati soprattutto alla sua forma ottagonale): il monte, la luce, la corona. In breve come li spiegherebbe?Castel del Monte fu costruito in alto, su quel colle, non solo per controllare il territorio ma anche per essere ammirato, per suscitare emozioni, per trasmettere ai sudditi dell’imperatore un messaggio di potenza immediatamente percepibile. Come ha sottolineato Musca, era uno status symbol e la pietrificazione di un’ideologia di potere: da questo punto di vista, la forma ottagonale, richiamante l’ottagono della corona imperiale, svolge un ruolo non indifferente e altamente simbolico.

Aveva ragione Antonio Gramsci quando, in pagine famose, affermava che lo studio è «un mestiere molto faticoso, con un suo speciale tirocinio anche nervoso muscolare, oltre che intellettuale: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo il dolore e la noia». A pagina 220 c’è un paragrafo intitolato ‘L’importanza del metodo’: quali sono gli strumenti imprescindibili per un’adeguata indagine storico-filologica?

Nasce Etranger Film Festival il primo concorso internazionale di cortometraggi organizzato a Gioia del Colle dall’11 al 13 settembre

L’Associazione Culturale “étranger” presenta Etranger Film Fe-stival, la prima edizione del concorso internazionale di cortome-traggi organizzato a Gioia del Colle dall’11 al 13 settembre 2014. L’intento della manifestazione è promuovere la cultura dell’inte-grazione globale attraverso l’espressione cinematografica. Invi-tando registi e neofiti della macchina da presa a confrontarsi con il tema della “diversità”. Declinata in ogni sua forma: etnica, cul-turale, sociale, religiosa, sessuale, di genere ecc. I cortometraggi ammessi - fiction, animazione, documentari - prodotti dopo il 1° gennaio 2012, non potranno avere una durata maggiore di 20 minuti. Sono previsti riconoscimenti in denaro per le opere mi-gliori: Premio Etranger valutato dalla giuria di esperti (giornalisti, registi, critici, attori) e Premio Le Barisien votato dalla giuria po-polare. Il bando completo è disponibile sul sito www.etrangerfilm-festival.it. La scadenza per l’invio dei corti è fissata al 23 agosto. La direzione si prefigge di incoraggiare film di autori emergenti che si distinguono per originalità stilistica e formale.

La rassegna, patrocinata dal Comune di Gioia del Colle, Provincia di Bari, Regione Puglia, MiBACT, Apulia Film Commission, Agis e Anec Puglia e Basilicata, prevede anche eventi collaterali: pro-iezione di lungometraggi fuori concorso, incontri con registi in-ternazionali, workshop, vernissage e musica. A fare da cornice all’evento sarà il suggestivo Castello Normanno Svevo, il chiostro di palazzo San Domenico e i vicoli del centro storico gioiese.

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Nello scorso numero abbiamo intrapreso una piccola sfida: parlare di spazi urbani e delle strade attraverso cui riappropriarcene. Avevamo deciso di confrontarci con chi rappresentava in quel mo-

mento la nostra maniera di vedere le cose: Marica Girardi che ha affrontato la questione del teatro e Daniela Paradiso che ci ha raccontato, invece, della realtà di Monte Sannace e del Castello. Questa volta proviamo a continuare il nostro percorso attraverso lo stimolo che ci hanno dato due iniziative che, tra una sagra e l’altra, hanno smentito le tipiche atmosfere vanesie dell’estate: le tre giornate dedicate a celebrare i cinquant’anni dall’uscita del ‘Vangelo secondo Matteo’ di Pier Paolo Pasolini e le varie attività svoltesi nel teatro Rossini durante il Laboratorio dal Basso (per chi non ne fosse a conoscenza, si tratta di un progetto finanziato dalla Regione, rivolto a quei giovani che intendono formarsi e in-vestire nelle loro realtà associative o imprenditoriali), in partico-lare quella condotta da due ragazzi del Teatro Valle Occu-pato di Roma, che vedeva come tema ‘Spazi e comunità’. Pier Paolo Pasolini, le sue periferie e un teatro occupato insomma. Quando nel 1964 Matera si trasformava in una Gerusalemme tutta cinematografica, le macchine da presa e la lungimiranza di uno degli intellet-tuali più acuti del XXI secolo aprivano il sipario sulla miseria che corrodeva le pare-ti dei sassi ancora abitati e considerati una vergogna nazionale. Così, mentre la politica incominciava a mobilitarsi per lo sgombe-ro di quei borghi, Pasolini, difese al contrario l’essenzialità della vita rupestre, parafrasata attraverso la finzione della macchina cinematografica, coerente con una battaglia ideologica consu-mata nella totale autonomia di veduta. In questo caso il punto focale è l’importanza che la voce di un intellettuale può avere nel convogliare le forze verso una scelta ideologica coerente, e se ancora oggi la cultura – intesa come

palestra di consapevolezze e non calendario stagionale da riem-pire di eventi – possa ancora contare qualcosa. Marica e Daniela, mentre esprimevano la loro idea circa i diversi ambiti di competenza, arrivavano entrambe ad una stessa con-clusione: unire le forze al fine di riprendere quel che in fondo è nostro. Come non essere d’accordo con loro.

Noi ce ne auguriamo vivamente, non solo: dichiariamo la nostra assoluta disponibilità a prendere in considerazione tutti gli input che eventualmente potrebbero arrivarci da voi lettori. Da poco siamo ufficialmente parte del progetto di coworking al Labora-torio Urbano insieme ad ARCI Lebowski, Oratorio/Circolo ANSPI, Murex e WWF di Gioia del Colle. Ciò che testardamente crediamo di fare è mantenere vivo quel posto, svincolandolo dall’isolamen-to che rischia di subire in quel secondo piano del palazzo dei Ser-vizi sociali. La realizzazione di qualcosa di simile all’esperienza

del Teatro Valle, oc-cupato dal 2011 da un gruppo di ope-ratori culturali «per attivare un altro modo di fare politi-ca senza delegare, costruire un altro modo di lavorare creare produrre, affermare un’altra idea di diritto oltre la legalità, sviluppa-re nuove economie fuori dal profitto di pochi» (così si legge nel loro manifesto costituente) non

sarebbe impossibile. Quello che è emerso dal laboratorio tenu-to da due ragazzi, che quella esperienza la vivono giornalmente, è che l’idea di una strenua difesa all’autonomia di pensiero non parte dalla moda di dissentire da qualsiasi cosa che ci circonda, ma dall’offrire più semplicemente un’alternativa valida. Non ste-rili polemiche insomma, ma crescita collettiva e sinergie creative. L’inverno che ci aspetta sarà una lunga corsa per la sopravviven-za, arricchiti dall’esperienza maturata in questi due anni ed entu-siasti del nuovo corso, continueremo a lavorare in perfetto stile PrimaVera Gioia.¿

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Lyuba Centrone | / lyuba.centrone

Pasolini e teatro valleIl tesoro esperienziale a confronto per il bene comune

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Venerdì 8 e sabato 9 agosto alle ore 20.30, con il patrocinio del Comune di Gioia del Colle, torna in scena nella ormai storica location del piazzale antistante il PalaCapurso di Via Einaudi il Gioia

Rock Festival 2014, giunto alla sua V edizione. Anche quest’anno la manifestazione è organizzata dall’associazione Circolo Arci Le-bowski e dal gruppo informale Rockerella. Il programma prevede un gustoso mix distribuito in due concerti in cui si alterneranno band nostrane e artisti di livello nazionale. Di seguito il programma:

Venerdì 08 Agosto: la serata, a cura di Rockerella, in continuità con quanto fatto finora, darà spazio agli artisti di casa. A scalda-re i motori ci penserà Francesco Recchia, alias Keccorè. L’artista, fresco di esperienza british, si esibirà con i suoi maggiori successi e i pezzi dell’ultimo album, tra cui “Logiche relazionali” che ha tro-vato spazio nella colonna sonora della commedia italiana “Pane e Burlesque” di Manuela Tempesta. Il “cantautore post psichedelico in esilio” avrà l’onore di duettare con la band di punta della se-rata, i Diaframma. La band nata a Firenze nella fine degli anni 70 ripropone il repertorio storico capeggiato dal brano Siberia, che oltretutto è il titolo a cui si rifà l’album del 1984 e posizionato al settimo posto della classifica stilata dalla rivista musicale Rolling Stone dei 100 migliori album italiani di tutti i tempi. Prima dell’e-sibizione è previsto in mattinata un workshop rivolto a tutti con Federico Fiumani, frontman del gruppo.

Sabato 09 Agosto: Apriranno le danze della serata conclusiva del festival i 23 and beyond the infinite, band beneventana dalle so-norità neo-psichedeliche, e gli Stip’ Ca Groove, band barese dall’a-nimo funk. A seguire il nome forte della serata, I Nobraino che suoneranno i brani che li hanno resi celebri nel panorama indie

italiano (La giacca di Ernesto, Film muto, Cecilia...) presentando an-che il loro ultimo lavoro discografico, “L’ultimo dei Nobraino” per l’appunto. Per finire la scena verrà affidata alla musica elettroni-ca del duo barese Redrum Alone.

Il festival, totalmente gratuito, rientra nella rete Momart Net-work, promossa dal PO FESR Puglia 2007/2013 Asse IV – Puglia Sounds – Investiamo nel vostro futuro con il Patrocinio della Re-gione Puglia, Assessorato alle Politiche Giovanili, comprensiva di quattro dei maggiori festival musicali della provincia: Gioia Rock Festival, Giovinazzo Rock Festival, Dirockato Festival e Rassegna Fuori Tempo.

Oltre a tanta buona musica, presenti anche vari stand enoga-stronomici, di piccolo artigianato e delle più svariate associazioni che hanno deciso di partecipare a questo evento divenuto un ap-puntamento atteso dell’estate gioiese. Dopo i successi ottenuti con i Ministri, Tre Allegri Ragazzi Morti, Bugo, Benvegnù & 99 Posse, il Gioia Rock festival non può che riconfermarsi in positivo facen-do divertire una vasta fascia di pubblico, gioiese e non, grazie alla scelta artistica di questa edizione, frutto di mesi di lavoro.¿

Gioia Rock festivalIl tesoro esperienziale a confronto per il bene comune tutti i protagonisti

Filippo Linzalata | / filippo.linzalata

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Se è vero che il lavoro rende nobili, anche quei me-stieri che oggi sembrano essere a rischio di estin-zione meriterebbero una rispettosa attenzione per aver arricchito la dignità di persone umili. Questi

mestieri sono tuttora dimora delle radici di una società radi-calmente cambiata, se pensiamo al tempo in cui essi potevano vantare una maggiore incisività sul territorio. Nonostante possa sembrare contraddittorio nei confronti della crescente crisi oc-cupazionale, il dovere morale di rivalutare queste arrugginite at-tività di bottega si fa pressante. D’altronde le stesse potrebbero ripresentarsi in futuro come una reale possibilità di lavoro che miri al recupero delle antiche tecniche artigianali. Non a caso ci risulta opportuno dar voce a chi ha dedicato la propria vita pro-fessionale a un mestiere antico, ossia il falegname. Ne abbiamo parlato con Tonio Grandieri.

Come si è avvicinato a questo mestiere? La mia esperienza di falegname ha avuto inizio all’età di tredici anni con la conclusione del terzo anno di avviamento professio-nale, l’antenato dell’attuale scuola media. In realtà, occorre dire che provenivo già da una famiglia di mobilieri ebanisti e questo ha senz’altro contribuito ad avviarmi al mestiere che pratico an-cora adesso a distanza di parecchi anni.

Perché secondo lei il numero di persone che si occupa di fale-gnameria sembra essere diminuito?A essere diminuite sembrano le possibilità di rendere produttivo questo settore. È palese che la mentalità consumistica ha pre-so il sopravvento. Al prodotto artigianale che richiede un costo maggiore, si preferisce sempre quello lavorato industrialmente e dunque le possibilità di competere sono minime. A essere poco competitivo è anche il prodotto locale: per questo molte impre-

se mobiliari sono più propense a importare merce da altri mercati. Come potrebbero avvicinarsi i giovani a questa professione?A livello locale, le possibilità po-trebbero risultare ampiamente interessanti. Più volte ho propo-sto di poter sfruttare spazi at-tualmente inutilizzati al fine di metterli a disposizione per cor-si di falegnameria artigianale ai quali contribuirei a titolo gratuito, anche in considerazione del fatto che il numero di giovani che avrebbero l’intenzione di appli-carsi non sembra essere così esiguo. Tutto sta nel proporre loro un’opportunità di potersi specializzare e quindi di mantenere vivo il mercato dell’artigianato. Al nord questo tentativo ha già avu-to un discreto successo e la sfida di investire nel recupero delle vecchie tecniche ha spalancato delle prospettive interessanti per l’occupazione giovanile.

In futuro questa professione potrebbe presentarsi come una reale nuova occasione di lavoro secondo lei? Sono dell’opinione che, rendendo il prodotto artigianale più com-petitivo e investendo sulle capacità dei giovani, esso potrebbe rianimare un’antica figura professionale. Ma questo discorso vale a 360 gradi: se è vero che le esportazioni dello storico pro-dotto della mozzarella di Gioia del Colle sono state interessate da un brusco rallentamento negli ultimi anni, ripartendo dal pro-dotto artigianale più autentico, e formando attorno a questo i giovani, si potrebbe aprire per il futuro una strada vincente da percorrere. ¿

TONIO GRANDIERI. titolare della fale-gnameria in piazza Livia

Gianluca Martucci

INTERVISTA AL FALEGNAME GRANDIERI

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Era il 1882 e il governo italiano, con l’assenso britannico, nazionalizzò il porto commerciale di Assab, sulla costa del-la Dancalia, di proprietà dell’armatore genoano Rubattino. Questo fu il primo possedimento coloniale della Storia d’Ita-lia, al quale nel 1885 si aggiunse lo scalo di Massua, sempre sulla costa eritrea, concesso dal governo di Londra all’Italia quale compenso per il sostegno offerto dal governo di Roma in occasione della repressa rivolta madista in Sudan. L’allora ministro degli Esteri Stanislao Mancini otteneva per l’Italia due possedimenti strategici per il controllo del Mar Rosso, che avrebbero dovuto costituire il presupposto inziale dell’af-fermazione italica nel Mediterraneo, anche se in rapporto subalterno alla grande potenza britannica. Mancini promos-se anche la costituzione della Triplice Alleanza, poiché in questo modo, grazie all’alleanza con la Gran Bretagna e con il Regno di Germania, intendeva contrastare l’ostilità france-se del dopo 1870, palesatasi nello scacco tunisino del 1881, quindi, portare l’Italia fuori dalla condizione d’isolamento in cui era piombata nel corso del primo decennio di politica estera unitaria. Colonialismo tardivo è stato spesso definito quello di matrice italiana, incentrato sull’obiettivo strategico di creare la “Quarta sponda” italica nel Mediterraneo, assi-curandosi parte dei territori dell’Impero ottomano caduto in una irreversibile crisi. Oggi i nostri paesi di provincia ospitano anonimi profughi provenienti da quell’ampia fascia

di insicurezza che ormai contraddistingue la Libia del post-Gheddafi. Sulle sabbie del deserto del Fezzan, si accumulano come merci migliaia di individui giunti lì dalle zone depresse e dalle zone di guerra dell’Asia, del Medio Oriente e dell’A-frica. Il flusso si è invertito, ma soprattutto è lo spirito del tempo a essere mutato. Oggi le sponde dell’Africa non sono più oggetto di ambizioni ma di maledizioni, di nuove disgra-zie e di un fardello umano che siamo incapaci di sopportare. Infatti, oggi sento molti che protestano per l’ingratitudine del governo italiano che non ha risorse per lenire i disagi della popolazione italica e che invece ha l’ardore di accogliere, nutrire e accudire gli immigrati dei barconi. Anche i borghesi più illuminati protestano per i trenta euro che la Croce Rossa spende quotidianamente per ciascun immigrato nell’ambito della attuale crisi umanitaria. In linea di principio, l’Italia non può sottrarsi all’obbligo giuridico internazionale umani-tario che impone agli Stati di non respingere gli immigrati, almeno prima di verificarne l’identità, l’eventuale richiesta di rifugio, ecc. (il così detto principio del “non respingimen-to”). Assunto che non possiamo sparare alle barche, che il Mediterraneo è stato per noi fonte di ricchezza (e di fuga verso le Americhe) e che nella nostra storia contemporanea abbiamo anche combattuto per controllarlo, non possiamo fingere di non avere obblighi nei confronti delle popolazioni in fuga. Ovvio, ognuno rivendica l’inadeguatezza dell’Italia

qRosario Milano

Noi generazione di “cacaspillo”

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ad assorbire questa emergenza e, in generale, a recepire im-migrati che cercano benessere in un paese che sembra non in grado di offrirne. In parte sarebbe anche vero, soprattutto se pensiamo alle tensioni sociali ingenerate, se consideria-mo che questi individui sradicati sono forse più inclini ad assumere atteggiamenti lascivi rispetto al comune sentire e all’ordinamento giuridico vigente. Poi, la nostra gestione della crisi dei clandestini è piuttosto rabberciata, all’italiana. Non vogliamo essere buonisti, ma occorre ricordare che la Puglia oggi è in credito con l’emigrazione e che se oggi può vantare il primato della produzione di pomodori è anche gra-zie alla manodopera straniera. Se il Paese fa schifo e non ci sono soldi per l’assistenza sociale agli italiani, la colpa non è dei negri e dei cinesi, ma più semplicemente di chi ha depau-perato le finanze del Paese con sac-cheggi di ogni sor-ta. E’ facile capire che se devi pren-dertela con qualcu-no, se devi trovare un capro espiatorio, è naturale pren-dersela con genti brutte a vedersi, maleodoranti, por-tatrici di culture strane, talvolta de-dite alla delinquen-za, proprio come Giuseppe Fioroni e Giancarlo Galan. A nuocerci più dei clandestini è l’incapacità del nostro Paese di dimostrarsi all’altezza del proprio status di paese G8 e di fondatore della famiglia europea, della civiltà che il patri-monio artistico testimonia, incapace di fornire modelli com-portamentali diffusi da trasmettere agli stranieri: il nostro problema è da sempre la velleità, l’illusione di una media po-tenza. Sarò strano, sarò ingenuo e ignorante ma non riesco a detestare neanche per un momento questi poveri disgraziati, emaciati e pieni di cicatrici come neanche i protagonisti dei film di Sergio Leone. Noi abbiamo da tempo perduto la con-sapevolezza del privilegio di una vita in uno Stato di diritto, ma troppi tra questi esseri viventi iniziano ad apprezzarlo solo ora, lontani da Assad, dai talebani, dagli elicotteri che Agusta vende ai peggiori dettatori del globo. Vorrei infine consolare i contribuenti, ribadendo che se proprio di spreco si tratta quando si riconosce a qualcuno il diritto al “non re-spingimento”, potremmo rassicurarli col fatto che almeno in questo modo ci compriamo la salvezza, mentre non ci sare-mo guadagnati il favore dei numi, facendoci infliggere multe da 4 miliardi di euro dall’UE per infrazioni legate al manca-to adeguamento alle norme comunitarie – deficit normativo spesso legato all’incapacità dei nostri legislatori. Personal-

mente sono stato inquadrato in un sistema di valori e oggi mi ritrovo a far parte di una minoranza civica disorientata ri-spetto a un mondo che funziona al contrario. Esiste un piano dei princìpi e uno della realtà, e il fatto che noi appariamo dei settari nemici, dei generici e infantili “cacaspillo”, è espres-sione di questa tragica diacronia. Ci avete mostrato le mera-viglie di un mondo ideale che non esiste. La nostra perenne sconfitta è diretta conseguenza dell’incapacità di adattamen-to ad un ordine di cose retto su fondamenta realiste, ispirato da un’inconfessabile doppia morale. Per governare, bisogna usare il codice del potere, non le chiacchiere sulla democra-zia. Il grande miracolo della gestione e della conservazione del potere si è ben palesata agli occhi dei pochi avventori del consiglio comunale del 25 giugno, allorché il consigliere

di minoranza, ma non di opposizione, Sante Celiberti, ha sfoderato la stam-pella per sostenere una leggera défail-lance poviana. Il senso di responsa-bilità ha prevalso - avrebbe chiosato qualche benpensan-te. Gesti solenni, parole non dette e intese volanti, come l’intesa equivoca che unisce quegli automobilisti, ten-denzialmente in

debito con il Codice della Strada, che guidano in direzione opposta e che si segnalano il pericolo di un posto di blocco dei carabinieri. Questa virtù costituisce il patrimonio di chi ha capito come si fa, ma soprattutto è la cifra esatta della nostra perenne impossibilità. Anche questo nostro discreto esperimento editoriale non supererà la longevità di alcuni schemi e dei vostri blocchi di potere, presto ci estingueremo, travolti come siamo dal corso degli eventi, soprattutto perché è da un po’ di tempo che il dolore ci perseguita. Un’estate poco calda e poco movimentata, con il vento di guerra e di morte che continua a sputare tragedie ovunque per ricordarci il privilegio di essere nati in un Paese che, malgrado tutto, ci consente il privilegio della sopravvivenza. Siamo obbliga-ti a non abbandonare la speranza, anche quando la Seleçao viene asfaltata dai panzer tedeschi in soli pochi minuti. Tra uno sbalzo di umore e l’altro, abbiamo anche celebrato un nostro piccolissimo miracolo, Lyuba “la polacca”, una fresca laureata potenziale disoccupata, esempio vivente di come i fiori più belli non nascano mai dai diamanti. Non ci resta che aspettare Silvano.

#forzasilvanononmollare

Lombardi Historical Collection, le truppe italiane combattono a Tripoli (1911)

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