produttività del lavoro e contesti informativi

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UNIVERSITA’ DEL SALENTO FACOLTA‟ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE TESI DI LAUREA TRIENNALE IN ECONOMIA POLITICA PRODUTTIVITA’ DEL LAVORO E CONTESTI INFORMATIVI Relatore: Prof. Andrea Pacella Laureando: Andrea Bene Matr. n. 10019855 ANNO ACCADEMICO 2008-2009

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Tesi di Laurea triennale in Economia Politica.

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Page 1: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

UNIVERSITA’ DEL SALENTO

FACOLTA‟ DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA

COMUNICAZIONE

TESI DI LAUREA TRIENNALE

IN

ECONOMIA POLITICA

PRODUTTIVITA’ DEL LAVORO E CONTESTI

INFORMATIVI

Relatore:

Prof. Andrea Pacella

Laureando:

Andrea Bene

Matr. n. 10019855

ANNO ACCADEMICO 2008-2009

Page 2: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

1

INDICE

INTRODUZIONE ......................................................................................... 3

CAPITOLO PRIMO

IL FUNZIONAMENTO DEL MERCATO DEL LAVORO

1.1 . DOMANDA E OFFERTA DI LAVORO: ANALISI

MICROECONOMICA .................................................................. 5

1.2 . LA TEORIA KEYNESIANA DELL’OCCUPAZIONE ................... 19

1.3 . DEREGOLAMENTAZIONE DEL MERCATO DEL LAVORO ..... 22

CAPITOLO SECONDO

I FALLIMENTI DEL MERCATO: IL CASO DELLE ASIMMETRIE

INFORMATIVE

2.1 I FALLIMENTI DEL MERCATO: CARATTERI GENERALI ........ 32

2.2 LA SELEZIONE AVVERSA ....................................................... 34

2.3 IL RISCHIO MORALE ED IL MODELLO DEL PRINCIPALE

AGENTE ................................................................................... 35

2.4 LA TEORIA KEYNESIANA DELL’INCERTEZZA ....................... 37

CAPITOLO TERZO

DEREGOLAMENTAZIONE, PRODUTTIVITÁ DEL LAVORO E

DISOCCUPAZIONE

3.1 PRODUTTIVITÁ E SAGGIO DI PERFORMANCE DEL

LAVORATORE .......................................................................... 40

3.2 EFFETTO LIME ........................................................................ 45

3.3 IL POTERE COME SCAMBIO................................................... 47

3.4 CONTESTI INFORMATIVI ........................................................ 50

Page 3: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

2

3.5 QUALE SCAMBIO TRA FLESSIBILITÁ E DISOCCUPAZIONE. 55

3.6 L’INFORMAZIONE SUL MERCATO DEL LAVORO .................. 58

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE ........................................................... 60

BIBLIOGRAFIA ........................................................................................ 63

Page 4: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

3

INTRODUZIONE

Il presente lavoro di tesi nasce da una serie di riflessioni seguite allo

studio di un modello teorico post-keynesiano di impronta

marginalista riguardante il rapporto esistente tra flessibilità del

lavoro e produttività. Dopo diversi incontri con il docente siamo

giunti alla conclusione che fosse quantomeno utile, quand‟anche

necessario stante la situazione critica in cui versa il mercato del

lavoro in Europa, nonché tutti i sistemi economici nazionali

occidentali, di approfondire la disamina delle realtà associate alle

nuove forme contrattuali previste dalla maggior parte delle

legislazioni Europee e non solo.

La reale condizione del lavoratore subordinato spesso viene confusa

con argomenti propriamente aziendalistici (uno su tutti la

produttività), i quali premiano una visione positiva, i molti casi

esaltata dalla propaganda prettamente liberista che in questi anni

sempre più sembra tornare in auge, rispetto ai contratti di lavoro

interinale, o più in generale riguardo ad una deregolamentazione di

tutto il sistema.

In questo contesto tematico si inserisce la nostra disquisizione

teorica, con ambiti applicativi tuttavia estremamente pratici, che

partendo nel primo capitolo da un richiamo generale alle teorie

inerenti il mercato del lavoro, pur rimanendo nell‟alveo delle

definizioni di orientamento keynesiano e post-keynesiano, si

sofferma poi su una definizione degli strumenti utili a capire quali

Page 5: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

4

fenomeni vengono ad entrare in gioco quando sopraggiunge nel

mercato del lavoro un modello contrattuale deregolamentato. Nel

secondo capitolo, quindi, vengono richiamati concetti legati a casi

di asimmetrie informative che portano a fallimenti del mercato.

Nel terzo capitolo, quello conclusivo, si è cercato di fare un

approfondimento sia di natura economica che sociologica,

affrontando lo studio di strumenti quali il worker performance rate

e del connesso fenomeno denominato LIME (Last in Most

Efficient), e soffermandoci sul rapporto che si instaura tra lavoratore

neoassunto e tutti gli attori che lo circondano (colleghi più anziani,

imprenditore, manager). Scopo centrale del lavoro di tesi rimane

quello di individuare i contesti informativi che influenzano il

comportamento del lavoratore assunto con un contratto di lavoro a

tempo determinato, e che ne settano il grado di produttività.

Page 6: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

5

CAPITOLO PRIMO

IL FUNZIONAMENTO DEL MERCATO DEL

LAVORO

1.1 DOMANDA E OFFERTA DI LAVORO: ANALISI

MICROECONOMICA

Oggetto di studio multidisciplinare, il mercato del lavoro può

essere considerato sia da un punto di vista economico che da un

punto di vista sociologico. Il primo approccio si basa

prevalentemente sull‟analisi del meccanismo di mercato di

domanda/offerta che regola lo scambio di lavoro in maniera

sostanzialmente analogo a qualsiasi altra merce; l‟approccio

sociologico, invece, si focalizza sui meccanismi istituzionali che

regolano lo scambio di lavoro in contesti storico-geografici

specifici.

Nel mercato del lavoro, alla stregua degli altri mercati di beni e

servizi, il criterio della concorrenza e dell‟equilibrio ottenibile

grazie al sistema dei prezzi.

Contrariamente a quanto avviene nel linguaggio comune, in

economia chi domanda lavoro sono le imprese, mentre chi offre

lavoro sono le famiglie (i lavoratori). L‟impresa domanda lavoro in

base al livello di output che ha deciso di produrre. Il salario

rappresenta il costo del lavoro e l‟impresa domanderà lavoro fino a

Page 7: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

6

che il valore del prodotto marginale del lavoro non eguaglierà il

salario.

Da questa condizione possiamo quindi giungo alla formula che ci

dice che il prezzo del fattore lavoro è uguale al rapporto tra saggio

di salario e prodotto marginale del lavoro:

A questo punto è facile ricavare l‟equazione della domanda di

lavoro da parte dell‟impresa:

Come sempre, la condizione di massimizzazione è definita dalla

grandezza marginale. La condizione di massimizzazione del profitto

implica, dunque, che l‟impresa assuma lavoro fino a quando il

salario reale eguaglia il prodotto marginale del lavoro. Per salario

reale s‟intende la quantità di prodotto che i lavoratori possono

acquistare con il salario nominale, cioè, appunto, il rapporto tra

saggio di salario e prezzo . Se il salario reale diminuisce

l‟impresa avrà convenienza ad aumentare la quantità di lavoro

domandata, poiché il prodotto marginale del lavoro è una funzione

decrescente della quantità di lavoro occupata. La curva di domanda

di lavoro è dunque una funzione decrescente del salario reale.

Page 8: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

7

Come si vede nella figura 1.1, all‟aumentare del salario reale

l‟impresa domanda la quantità di lavoro , in corrispondenza

del quale il profitto è massimizzato. Se ripetiamo lo stesso

ragionamento per vari livelli del salario reale otteniamo la curva di

domanda di lavoro dell‟impresa, corrispondente al tratto

decrescente della curva del prodotto marginale del lavoro.

In termini di logica economica possiamo ragionare in questi

termini:

1. se l‟impresa impiega una quantità di lavoro inferiore a , la

stessa ha convenienza a domandare ulteriori unità di lavoro

perché il prodotto in più che può ottenere è maggiore del

prodotto (il salario reale) utilizzato per remunerare queste unità

aggiuntive;

w/P

Figura 1.1

Page 9: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

8

2. se l‟impresa impiega una quantità di lavoro maggiore di , essa

ha convenienza a diminuire la quantità di lavoro perché il

prodotto ottenuto con le ultime unità di lavoro è minore del

prodotto (il salario reale) che remunera queste unità aggiuntive;

3. solo quando

l‟impresa è in equilibrio, cioè non ha

alcuna convenienza ad aumentare o a diminuire la quantità di

lavoro impiegato.

Perché dobbiamo considerare solo il tratto decrescente del prodotto

marginale? Se l‟impresa eguagliasse il prodotto marginale e salario

reale in un punto in cui il prodotto marginale è crescente, avrebbe

tutta la convenienza ad aumentare il lavoro impiegato, perché

ulteriori unità di lavoro produrrebbero un output maggiore del

salario reale, e di conseguenza aumenterebbe il profitto

dell‟impresa (Gioia, Perri, 2005).

Poniamoci ora dal punto di vista del lavoratore e andiamo quindi ad

analizzare il lato dell‟offerta. Si supponga che ciascun individuo

possa scegliere quanto tempo dedicare al lavoro per ogni periodo di

tempo preso in considerazione (un giorno, un mese un anno o

persino l‟intero arco della vita lavorativa). L‟alternativa al lavoro è

il tempo libero che comprende tutte le attività diverse dal lavoro.

Oltre che lavorare e godere del tempo libero, ciascun individuo

acquista un insieme di beni e servizi. A questo punto il problema

del lavoratore è quello di scegliere tra:

a) tempo libero e tempo di lavoro;

b) quali e quanti beni e servizi consumare;

Page 10: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

9

Anche se a prima vista potrebbe sembrare un problema complesso,

la scelta per l‟agente economico è simile a quella tra due beni

osservabile nel comportamento del consumatore. Per ipotesi, il

consumatore dispone del solo reddito da lavoro che destina

all‟acquisto dell‟unico bene di consumo composito. Il vincolo di

bilancio è il seguente:

Dove è il prezzo del bene di consumo; è la quantità fisica del

bene di consumo; rappresenta il saggio del salario orario e il

tempo di lavoro. Se prendiamo in considerazione, come periodo di

tempo, un giorno allora:

esprime la relazione esistente tra tempo di lavoro e tempo libero

Il vincolo di bilancio diventa:

In questa formula il vincolo è facilmente interpretabile: è il

reddito massimo conseguibile (teorico) se l‟individuo lavorasse per

24 ore al giorno; rappresenta la spesa per l‟acquisto del bene di

consumo composito; è la spesa per “acquistare” il tempo

libero di cui intende godere e è dunque la spesa

complessiva.

È evidente che il consumatore non “acquista” letteralmente . Di

tutto il suo tempo complessivo (24 ore), il consumatore offre

Page 11: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

10

e quindi rinuncia a guadagnare il salario orario per

usufruire di . Quindi si valuta in base al costo opportunità,

ossia al reddito da lavoro a cui l‟agente rinuncia per godere del

tempo libero.

Torniamo al vincolo di bilancio esplicitando rispetto a ,

otteniamo la retta:

Dal grafico risulta che il punto rappresenta la situazione in cui il

consumatore acquista solo il bene di consumo e non gode del

tempo libero, mentre nel punto il consumatore “acquista” solo

tempo libero senza consumare altro. In più ricordiamo che l‟angolo

α è uguale a

.

=

α

Figura 1.2

Page 12: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

11

Per un consumatore le cui preferenze riferite a e a siano

rappresentabili tramite una funzione di utilità con tutte le usuali

proprietà, è possibile rappresentare una mappa di curve di

indifferenza tra consumo e tempo libero:

Considerando contemporaneamente il vincolo di bilancio e la curva

di indifferenza più elevata compatibilmente con tale vincolo si

evidenzia la scelta ottima del consumatore. Nel punto di ottimo

vale la condizione:

Il saggio marginale di sostituzione tra e è uguale al salario

reale

.

Figura 1.3

Page 13: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

12

Cosa accade, in particolare a e ad , se aumenta il salario reale

? Normalizziamo per semplicità il prezzo del consumo

ponendo , così che rappresenti direttamente il salario reale.

Graficamente, un aumento di :

modifica l‟intercetta verticale (spostandola verso l‟alto);

lascia immutata l‟intercetta orizzontale;

fa aumentare la pendenza del vincolo;

la scelta ottima si sposta verso l‟esterno.

Figura 1.4

Page 14: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

13

CASO A - un aumento di riduce e fa aumentare :

CASO B - un aumento di fa aumentare e riduce :

B

A

Figura 1.5

Figura 1.6

Page 15: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

14

Passiamo ora allo studio di due effetti e delle loro relative

conseguenze:

EFFETTO SOSTITUZIONE: un aumento del salario rende

relativamente più caro il consumatore è indotto a domandare

meno e ad offrire più .

EFFETTO REDDITO: un aumento del salario fa aumentare il

reddito reale, consentendo all‟individuo di consumare di più tutti i

beni (tra i quali anche ) se è un bene normale, il

consumatore è indotto a domandare più e ad offrire meno .

Se l‟Effetto Sostituzione prevale sull‟Effetto Reddito, allora il

consumatore domanda meno e offre più , e questo è ciò che

accade per bassi livelli di reddito. Se i due effetti si compensano, il

consumatore non varia la domanda di tempo libero e continua ad

offrire la stessa quantità di lavoro.

Queste considerazioni rendono plausibile l‟ipotesi che la curva di

offerta di lavoro abbia un andamento inizialmente crescente e

successivamente decrescente all‟aumentare del salario reale. (Piras,

2005). Esiste dunque un livello di salario reale, chiamiamolo ,

oltre il quale l‟offerta di lavoro diminuisce all‟aumentare del salario

reale.

Page 16: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

15

La curva di offerta di lavoro di mercato per una categoria di

lavoratori si ottiene sommando orizzontalmente le singole curve di

offerta individuali. Si può dimostrare che anche se la curva di

offerta di lavoro di tutti gli individui ha un tratto decrescente, la

curva di offerta di lavoro di mercato per quella categoria di

lavoratori è crescente rispetto al salario. La ragione di ciò risiede

nel fatto che anche se l‟aumento del salario induce i singoli

lavoratori a lavorare di meno, tale aumento attira lavoratori da altri

settori verso quello nel quale si è registrato l‟aumento salariale.

Data questa ampia premessa, passiamo ora a definire il caso

dell‟equilibrio dell‟impresa, ricordando che essa opera sempre su

due mercati: quello dei fattori produttivi e quello dei beni. Deve

pertanto risolvere due problemi: come produrre (mercato dei fattori)

e quanto produrre (mercato dei beni). Per il primo problema i

neoclassici pongono l‟ipotesi definita dalla dicitura: rendimenti

Figura 1.7

Page 17: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

16

marginali decrescenti (ricordiamo che produttività marginale si

intende l‟incremento di prodotto associato all‟impiego di una unità

addizionale di un fattore produttivo). La funzione di produzione è:

dove è la produzione, ed sono rispettivamente il capitale ed il

lavoro impiegati nel processo produttivo, assumendo che la

produzione cresca al crescere di , con dato, ma con rapidità

decrescente. Ciò viene spiegato con il fatto che – dato il capitale

disponibile – il lavoratore addizionale avrà a disposizione una

quantità di minore rispetto al primo lavoratore assunto e, per

questa ragione, sarà meno produttivo. Il profitto si ricava ponendo:

dove e sono rispettivamente il costo del capitale ed il costo del

lavoro (salario) e i prezzi di vendita. Ponendo uguale a zero la

derivata prima della funzione del profitto, si ottengono le due

condizioni di equilibrio nel mercato del lavoro e nel mercato dei

capitali, ovvero:

L‟isocosto è, sostanzialmente, il vincolo di bilancio dell‟impresa e

la sua formula è quindi:

L‟isoquanto è il luogo geometrico di tutte le possibili combinazioni

di lavoro e capitale che danno il medesimo livello di produzione.

Differisce dalla curva di indifferenza (pag. 8, figura 1.3) perché

Page 18: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

17

possiamo attribuirgli un valore numerico. La sua inclinazione, posto

come ascissa, è:

ovvero è data dal rapporto fra le produttività marginali dei fattori.

L‟inclinazione è negativa in quanto al crescere della quantità del

fattore , quella del fattore decresce (e quindi la sua produttività

marginale va sottratta). L‟equilibrio dell’impresa si ha nel punto di

tangenza tra isoquanto e isocosto:

in tale punto infatti si realizza la massima produzione compatibile

con il bilancio dell‟impresa, in quanto tutti gli altri punti

dell‟isocosto intercettano isoquanti posti a Sud-Ovest di quello

tangente, associati quindi a produzioni inferiori, mentre gli

isoquanti posti a Nord-Est di quello tangente semplicemente non

possono essere raggiunti, comportando un costo maggiore.

Se si riduce, l‟isocosto ruota, con intercetta sulle ordinate ( )

fissa, diventando tangente ad un isoquanto posto più a Nord-Est,

con un maggiore valore di . Quindi la curva della domanda di

lavoro (da parte delle imprese) è inclinata negativamente. In questa

ottica, e per la sola ipotesi relativa alla tecnologia utilizzata dalle

imprese (sostituibilità dei fattori), è impossibile quindi il simultaneo

aumento di salario e di occupazione.

Page 19: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

18

L‟offerta di lavoro è invece crescente, perché sono diversi i salari di

riserva1. Il mercato del lavoro nel modello neoclassico funziona in

base al seguente meccanismo, assumendo che ci sia concorrenza sia

fra le imprese e sia fra i lavoratori:

Per aumentare sia che , secondo i neoclassici occorre il

progresso tecnico. Esso accresce la produttività del lavoro,

spostando la curva più a destra (con conseguente spostamento di

e di rispettivamente a destra e in alto). Il progresso tecnico è

neutrale: non si ammette l‟esistenza della disoccupazione

tecnologica. La curva di domanda del lavoro esprime la produttività

marginale del lavoro, dal momento che – come si è visto – le

imprese scelgono il numero di occupati solo sulla funzione delle

produttività marginale, pertanto è uguale alla produttività

1 Salari minimi per i quali i lavoratori sono disposti a lavorare.

Figura 1.8

Page 20: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

19

marginale del lavoro. Si osservi che, in questo modello, sono

escluse valutazioni di ordine etico, così che il salario può assumere

qualunque valore anche se inferiore a quello di sussistenza.

1.2 LA TEORIA KEYNESIANA DELL’OCCUPAZIONE

L‟opera principale dell‟economista inglese John Maynard

Keynes (1883-1946) è la Teoria generale dell’occupazione,

dell’interesse e della moneta (1936). L‟obiettivo fondamentale di

Keynes consiste nel dimostrare che un’economia di mercato non

tende automaticamente alla piena occupazione. Perciò la stessa

sopravvivenza del capitalismo, che sarebbe messa in pericolo da

condizioni di disoccupazione elevata e persistente, richiede un

vigoroso intervento pubblico per stimolare l‟attività economica e

sostenere l‟occupazione. Scrive Keynes:

“Il nostro scopo presente è di scoprire ciò che determina in un

periodo qualsiasi, in un dato sistema economico, il reddito

nazionale e (ciò che è press‟a poco lo stesso) il volume

dell‟occupazione; la qual cosa – in uno studio complesso come

quello dell‟economia, nella quale non si può sperare di pervenire a

generalizzazioni assolutamente esatte – significa scoprire i fattori le

cui variazioni contribuiscono principalmente a determinare il

risultato che cerchiamo. Il nostro compito finale potrebbe essere di

scegliere quelle variabili che possono venire deliberatamente

controllate o manovrate dall‟autorità centrale, in un sistema come

quello nel quale effettivamente viviamo.” (Keynes 1936, p.437).

Page 21: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

20

La struttura analitica della Teoria generale poggia su tre pilastri: il

concetto di domanda effettiva, il meccanismo del moltiplicatore, la

teoria dell‟interesse, ma per i nostri obiettivi abbiamo bisogno di

soffermarci soprattutto sul primo dei tre, cogliendolo dalla lucida ed

autorevole analisi di Alessandro Roncaglia.

Al „principio di domanda effettiva‟ è dedicato il terzo dei 24

capitoli della Teoria generale. Keynes definisce il 'punto di

domanda effettiva' il punto di intersezione tra i grafici delle

funzioni di domanda e offerta aggregate che tuttavia presentano

degli aspetti peculiari che le differenziano dalle rappresentazioni

tradizionali. In sostanza Keynes rappresenta la domanda aggregata

come risultato della relazione tra il numero dei lavoratori occupati

N lungo l'asse delle ascisse a una variabile Z, riportata sull'asse

delle ordinate e definita come: <<il prezzo d'offerta aggregato del

prodotto ottenuto dall'impiego di N uomini>>, mentre la funzione

aggregata di domanda collega N a una variabile D (che, come Z,

figura sull'asse delle ordinate), definita da Keynes come: <<i ricavi

che gli imprenditori si attendono di ricevere dall'impiego di N

uomini>> (Keynes, 1936, p. 25).

In buona sostanza, la variabile Z serve a rappresentare il costo

complessivo che gli imprenditori si attendono di sostenere se

impiegano N lavoratori. Questo costo complessivo, tra l'altro, non

comprende solo i salari, ma include anche i costi fissi e gli oneri

figurativi. Per converso D indica quanto gli imprenditori si

attendono di ricavare vendendo sul mercato il prodotto che sperano

di ottenere con l'impiego di N lavoratori. A questo punto risulta

evidente che nella rappresentazione keynesiana, le uniche

valutazioni e decisioni in grado di influenzare il mercato del lavoro,

Page 22: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

21

dipendono dalla volontà unilaterale degli imprenditori. E' così che

Keynes esclude il potere contrattuale dei lavoratori, che possono

solo accettare le condizioni qualitative e quantitative dettate dal

datore di lavoro (l'imprenditore)2.

Sia i costi sia i ricavi attesi crescono al crescere del numero dei

lavoratori occupati. Pertanto entrambe le funzioni sono crescenti,

cioè sia sia crescono al crescere di . Tuttavia cresce sempre

più rapidamente (derivata seconda positiva), mentre cresce

sempre più lentamente (derivata seconda negativa). Questo

andamento può avere varie giustificazioni. Per quanto riguarda la

domanda effettiva , Keynes ricorda che essa è costituita da due

componenti, consumi e investimenti; per una „legge psicologica‟ i

primi aumentano più lentamente del reddito, e quindi

dell‟occupazione; i secondi invece dipendono dalle aspettative di

lungo periodo degli imprenditori e possono essere considerati dati

2 È chiaro che la costruzione keynesiana lascia aperto il problema della costruzione di curve

aggregate, riferite alle valutazioni dell’insieme degli imprenditori e non di un imprenditore singolo.

Figura 1.9

Page 23: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

22

nel contesto della determinazione del punto di domanda effettiva.

Per quanto riguarda , nel contesto marshalliano della teoria di

Keynes è naturale supporre che all‟aumentare del numero di

lavoratori impiegati (mentre dato il contesto di breve periodo, si

suppone resti invariata l‟attrezzatura produttiva) il costo marginale

risulti crescente.

Il „ punto di domanda effettiva‟ è quello in corrispondenza del quale

. Esso ci dice dunque qual è il livello di equilibrio atteso

dall‟occupazione, e quindi della produzione, date le aspettative di

breve periodo degli imprenditori su costi e ricavi.

1.3 DEREGOLAMENTAZIONE DEL MERCATO DEL

LAVORO

Gli studi che cercano di mettere a nudo il ruolo delle

istituzioni come fattori esplicativi della performance del mercato del

lavoro, solitamente, fanno riferimento a forme diverse di

regolamentazione o intervento in questo campo: a) salario minimo;

b) assicurazione contro la disoccupazione; c) disciplina limitativa

della facoltà di recesso del datore di lavoro; d) forme di flessibilità

in entrata; e) contrattazione centralizzata. Questa varietà di elementi

istituzionali pone un primo problema di definizione del termine

flessibilità (Nannicini, 2005). Fra i primi tentativi di chiarire il

significato del termine, va segnalato quello contenuto nel rapporto

OCSE del 1986, nel quale si identifica la flessibilità con “l‟abilità

degli individui nel sistema economico, ed in particolare sul mercato

Page 24: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

23

del lavoro, di abbandonare schemi prestabiliti e di adattarsi a

circostanze nuove” (OCSE, 1986, p. 6). Negli anni successivi, si è

proceduto a specificare più in dettaglio i contenuti di tale nozione,

giungendo a proporre la distinzione fra flessibilità numerica e

flessibilità funzionale. La prima riguarda la maggiore o minore

libertà per l‟imprenditore di variare il proprio organico; la seconda

fa riferimento alla maggiore o minore libertà di adattare il personale

esistente alle mansioni definite dalla programmazione aziendale.

Come rilevato da Salvati (1988), tuttavia, lo sforzo di

individuazione di criteri che definiscano la nozione di flessibilità

incontra due limiti:

i) per tutte le possibili definizioni, vale una sostanziale

ambiguità terminologica. Il termine, infatti, contiene un implicito

giudizio di valore, per cui “rigidità è una brutta parola, flessibilità

una bella” (Salvati, 1988, p. 8);

ii) la flessibilità è, per sua stessa natura, una variabile

multidimensionale, che include, cioè, una molteplicità di variabili

quantitative e qualitative. Se, dunque, fosse anche logicamente

possibile definire il concetto di flessibilità – e se anche fosse

possibile escluderne l‟implicito giudizio di valore contenuto nel

termine – risulta impossibile misurare il grado di flessibilità.

L‟impossibilità di misurazione rende di fatto inutile (quanto meno

ai fini operativi) lo sforzo di definizione.

Ma che cosa contraddistingue un contesto ad elevata flessibilità: la

libertà dei salari di fluttuare senza vincoli a seconda della

produttività, o la libertà del datore di lavoro di aggiustare

Page 25: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

24

rapidamente il livello e la composizione della propria manodopera

seguendo gli andamenti della produzione? Secondo il nostro

approccio, che punta ad una messa in luce delle relazioni che

intercorrono tra produttività del lavoro e contesti informativi, una

maggiore flessibilità coincide con minori costi di licenziamento

della manodopera regolare e con una maggiore facilità di ricorso a

forme di lavoro temporaneo da parte delle imprese. In quasi tutti i

paesi industrializzati, infatti, esistono regimi di protezione

dell’impiego (RPI), che limitano la facoltà del datore di terminare

un rapporto lavorativo a tempo indeterminato e/o di ricorrere a

tipologie contrattuali non standard. In generale, un RPI si

caratterizza per la presenza di uno o più di questi elementi: a)

pagamento di un “buono uscita” (severance payment) nei confronti

del lavoratore licenziato; b) periodo minimo di preavviso prima di

terminare il rapporto; c) obbligo di reintegro del lavoratore in caso

di licenziamento ingiustificato (job property); d) procedure

preventive per l‟avvio di licenziamenti collettivi; e) vincoli

quantitativi o procedurali all‟utilizzo di contratti a tempo (Garibaldi

e Violante, 1999).

In quanto segue, per comodità espositiva, si intenderà per

flessibilità una condizione che soddisfi i requisiti di seguito elencati

e si farà astrazione – ancora per comodità espositiva – dal problema

della misurazione3:

3 Per rendere confrontabili tra loro le situazioni di paesi diversi, nel rapporto Oecd (1999;

2004) viene applicato a trentacinque Paesi il metodo delle “gerarchie delle gerarchie”. Questo metodo consiste nell’assegnazione di una valutazione numerica che sintetizzi la rigidità di una particolare forma di regolamentazione o intervento. Facendo la media dei diversi indici si ottiene una misura sintetica della rigidità del RPI di un paese.

Page 26: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

25

- La flessibilità salariale. È una condizione nella quale il

salario può fluttuare liberamente (assumendo, cioè, qualunque

valore) in risposta a variazioni della domanda e/o dell‟offerta di

lavoro. Tale condizione presuppone l‟assenza di „distorsioni‟,

ovvero l‟assenza di interventi di istituzioni esterne al mercato

(segnatamente lo Stato e le organizzazioni sindacali), che siano in

grado di influire su (o determinare il) livello salariale.

- La flessibilità del rapporto di lavoro. Si struttura nelle

seguenti componenti:

- La flessibilità numerica, ovvero la libertà attribuita

all‟impresa di assumere e licenziare il numero e la tipologia di

lavoratori che l‟impresa stessa vuole assumere o licenziare;

- La flessibilità funzionale, ovvero la discrezionalità attribuita

all‟impresa nel gestire l‟allocazione della forza-lavoro all‟interno

del processo produttivo, senza vincoli su quando farlo e su come

farlo (il c.d. ius variandi). In particolare, vi è flessibilità funzionale

quando il datore di lavoro può destinare propri dipendenti allo

svolgimento di mansioni anche inferiori rispetto a quelle per le

quali sono stati assunti.

Passiamo ora velocemente in rassegna i tre diversi orientamenti

teorici che – soprattutto a partire dagli anni novanta – hanno

proposto modelli contrastanti sul funzionamento del mercato del

lavoro, soffermandoci sull‟approccio postkeynesiano, il quale ci

sarà utile nel prosieguo della nostra indagine per comprendere i

modelli di nuovissima realizzazione, e sulla base dei quali

Page 27: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

26

affronteremo il problema del rapporto tra flessibilità, produttività e

disoccupazione.

Secondo gli economisti di orientamento neoclassico „tradizionale‟,

la flessibilità è uno strumento efficace per accrescere l’occupazione

(v., fra gli altri, Lyard, Nickell and Jackman, 1994). In presenza di

interventi esterni – segnatamente l‟intervento pubblico di

regolamentazione del salario minimo o l‟adozione sindacale volta

ad accrescere oltre il livello di equilibrio – si genera

disoccupazione involontaria. L‟aumento del profitto è qui visto

come una precondizione per l‟aumento degli investimenti, nel senso

che (inteso come volume dei profitti) costituisce una fonte di

autofinanziamento per le imprese:

SEQUENZA 1.1.

Dove è un indicatore della flessibilità salariale, è il volume

dei profitti, sono gli investimenti ed l‟occupazione.

Soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, numerosi

studiosi di ispirazione „neokeynesiana‟ (v., fra gli altri, Garofalo

and Quintiliani, 1994) hanno contribuito allo sviluppo di un

indirizzo di ricerca (noto come „microfondamenti della

macroeconomia keynesiana‟) volto a mostrare come la rigidità

salariale sia l‟effetto di meccanismi endogeni al mercato del lavoro

e come, conseguentemente, politiche di flessibilità salariale siano

inefficaci. Le principali teorie, in quest‟ambito, sono la teoria dei

contratti impliciti (v. Rosen, 1985), la teoria del salario di efficienza

(v. Akerlof and Yellen, 1986), la teoria degli insiders/outsiders, la

teoria del decent wage (v. Solow, 1994).

Page 28: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

27

Gli economisti di ispirazione keynesiana ritengono che la

flessibilità salariale costituisca una strategia o inefficace o finanche

controproducente ai fini della riduzione della disoccupazione. In

quanto segue, si procede a dimostrare questa conclusione a partire

dalle seguenti assunzioni generali:

a. La contrattazione fra datori di lavoro e lavoratori ha ad

oggetto il salario monetario, non il salario reale;

b. Il salario ha natura duale: è costo di produzione, ma anche

elemento della domanda aggregata per il tramite dei consumi.

Dall‟ipotesi b. discende immediatamente che le decisioni di

occupazione da parte delle imprese non sono prese sulla base (o

soltanto sulla base) della tecnica con la quale operano (come accade

nel modello neoclassico e nelle teorie „neokeynesiane‟), e dunque,

dei costi; ma principalmente sulla base della domanda attesa per i

beni da esse prodotti. È così possibile stabilire la seguente relazione

macroeconomica:

Dove è la domanda aggregata attesa. Ciascuna impresa

fronteggia una quota attesa di ed effettua le proprie scelte di

occupazione sulla base delle aspettative sulla domanda dei beni che

essa produce. In ottica keynesiana, una possibile schematizzazione

degli effetti derivanti dall‟introduzione di misure di flessibilità

salariale è indicata nella sequenza 1.4:

SEQUENZA 1.4. :

Page 29: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

28

La sequenza ricostruisce, in modo semplificato, il meccanismo

keynesiano mediante il quale la riduzione del salario monetario,

connesso alla rimozione di rigidità nel mercato del lavoro in

presenza di disoccupazione ( ), riduce la domanda per

consumi, con effetti negativi sulla domanda aggregata e,

conseguentemente, con effetti sostanzialmente nulli

sull‟occupazione. Occorre tener conto, tuttavia, che, parallelamente,

la riduzione del salario spinge (almeno temporaneamente) le

imprese ad accrescere l‟occupazione (Graziani, 1992),

determinando un aumento dell‟offerta aggregata ( ). L‟aumento

di e la contemporanea riduzione di si trasferisce in una

riduzione del livello generale dei prezzi e, dunque, in una

tendenziale rigidità del salario reale (giacché si è ridotto il salario

monetario).

D‟altra parte, mentre la collettività delle imprese trarrebbe

vantaggio dalla crescita della domanda aggregata, nessuna impresa

ha interesse a contribuire a determinare tale risultato. Infatti, sia A

la singola impresa e B l‟insieme delle altre imprese, si escluda il

caso di collusione fra A e B, e si ammetta che sia A sia B siano

wage-maker. L‟aumento dei salari monetari per i dipendenti di A

accrescerebbe la domanda aggregata, essenzialmente a beneficio

delle imprese B (non potendo A obbligare i propri dipendenti ad

acquistare i beni che essa produce). Poiché questa considerazione

vale per tutte le imprese, pur essendo per tutte conveniente elevare

la domanda, nessuna ha interesse a iniziare, ovvero tutte hanno

interesse a che siano le altre a iniziare (advantage of being late),

Page 30: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

29

così che l‟aumento dei salari – in un mercato del lavoro

deregolamentato – non ha mai luogo.

In definitiva, nel modello keynesiano:

- la flessibilità salariale non accresce l‟occupazione;

- pur ammettendo perfetta flessibilità del salario monetario, in

questo modello il salario reale risulta essere endogenamente rigido.

Il che sta a dire che l’operare spontaneo dei meccanismi di mercato

non garantisce necessariamente il raggiungimento del pieno

impiego (Forges Davanzati, 2005, pp. 11-31).

Questi risultati sono generati dall‟ipotesi chiave secondo la quale il

livello di occupazione non è determinato nel mercato del lavoro

(che è qui un „mercato residuale‟), ma dipende dall‟ampiezza della

domanda aggregata.

Alcuni recenti sviluppi della ricerca in ambito keynesiano (v.

Forges Davanzati e Realfonzo, 2004) hanno posto in rilievo il fatto

che la flessibilità in uscita può ridurre l‟occupazione. Il modello è

fondato sulle seguenti ipotesi:

a) La propensione al consumo ( ) si riduce al crescere della

probabilità di licenziamento ( ). Questa ipotesi è giustificata dal

fatto che, ragionevolmente, l‟obiettivo degli occupati è mantenere

sostanzialmente stabile il proprio tenore di vita. La riduzione della

propensione al consumo (ovvero l‟aumento dei propri risparmi)

costituisce, perciò, una risposta razionale all‟introduzione di misure

di flessibilità in uscita;

Page 31: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

30

b) La produttività del lavoro ( ) cresce al crescere della probabilità

di licenziamento ( ), a ragione dell‟operare dell‟effetto di

disciplina.

Dal punto di vista macroeconomico, si verificano, dunque, i

seguenti effetti.

SEQUENZA 1.5‟.

SEQUENZA 1.5‟‟. α

Una maggiore flessibilità in uscita riduce la propensione al

consumo, dunque la domanda aggregata, dunque l‟occupazione.

Parallelamente, sia a causa della riduzione della domanda, sia a

causa dell‟aumento della produttività del lavoro, si rende necessario

un numero minore di occupati.

D‟altra parte, dal punto di vista microeconomico, vi è certamente

convenienza ad avvalersi di misure di flessibilità in uscita, giacché

queste, contribuendo alla riduzione dei costi di produzione

(l‟aumento della produttività a parità di salario), determinano una

riduzione dei prezzi e la conseguente sottrazione – da parte delle

imprese che per prime se ne avvalgono – di quote di mercato alle

proprie concorrenti. È questo un caso nel quale:

- vi è vantaggio nel „partire per primi‟ (advantage of being

first);

- vi è divergenza fra convenienza privata (avvalersi della

flessibilità in uscita, in quanto questa contribuisce alla crescita della

produttività e dei profitti) e convenienza sociale (non avvalersi della

flessibilità in uscita in quanto questa riduce la domanda aggregata,

Page 32: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

31

l‟occupazione e non ha effetti positivi sui profitti aggregati). In

conclusione, è opportuno porsi la seguente domanda: posto che non

vi è accordo fra gli economisti sugli effetti di politiche di

deregolamentazione del mercato del lavoro, sulla base di quali

considerazioni tali politiche vengono – o non vengono – poste in

essere? In letteratura sono state avanzate numerose risposte (v.

Saint-Paul, 2000) e non è questa la sede per dare conto della

complessità del dibattito. Occorre rilevare che la fase di attuazione

di misure di politiche del lavoro (e, più in generale, di politica

economica) coinvolge numerosi attori, segnatamente: il Governo (il

cui obiettivo si ritiene essere la massimizzazione del consenso), le

imprese (alle quali conviene operare in un mercato del lavoro

„flessibile‟), i lavoratori occupati (che verosimilmente sono contrari

alla flessibilità), i lavoratori disoccupati (che verosimilmente sono

favorevoli alla flessibilità). Una tesi, accreditata soprattutto fra gli

economisti di ispirazione marxista-radicale (cfr. Bowles and Gintis,

1983), è che le politiche del lavoro sono, in ultima analisi, orientate

dalla minaccia che le imprese oppongono al Governo di

disinvestire, ovvero dislocare i propri investimenti all‟estero ( il c.d.

Capital Strike). Il disinvestimento costituisce una minaccia poiché,

riducendo il reddito nazionale, e quindi i redditi individuali, riduce

la probabilità che i cittadini (ora impoveritisi) rinnovino il proprio

consenso al Governo in carica.

Page 33: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

32

CAPITOLO SECONDO

I FALLIMENTI DEL MERCATO: I CASI DELLE

ASIMMETRIE INFORMATIVE

2.1 I FALLIMENTI DEL MERCATO: CARATTERI

GENERALI

L‟obiettivo della sezione è quello di fornire gli strumenti per

comprendere alcuni fenomeni che caratterizzano il mercato del

lavoro, sia dal lato dell‟offerta che da quello della domanda.

Affronteremo i casi di fallimento del mercato soffermandoci su

taluni che, secondo gli ultimi studi sul settore, determinano delle

dinamiche di comportamento ben distinguibili riguardo la

produttività del lavoro nei contratti a tempo determinato in funzione

del livello di deregolamentazione dello stesso.

In economia, viene chiamata fallimento del mercato quella

situazione in cui i mercati non sarebbero in grado di organizzare la

produzione in maniera efficiente, o non saprebbero allocare

efficientemente beni e servizi ai consumatori. Nel linguaggio di tutti

i giorni, d‟altra parte, il termine è impropriamente utilizzato per

designare le situazioni in cui le forze di mercato non appaiono

servire ciò che è definito quale interesse pubblico.

Riguardo al tema in esame ci soffermeremo su un tipo particolare di

fallimento definito come asimmetrie informative. Questa

Page 34: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

33

condizione è caratterizzata dal fatto che un‟informazione non è

condivisa integralmente fra gli individui, e così avviene che una

parte degli agenti interessati ha maggiori informazioni rispetto a

resto dei partecipanti, ponendo i primi in una posizioni di evidente

vantaggio.

Passiamo ad un esempio pratico: gli azionisti di una società

vorranno certamente assumere il miglior manager sul mercato con il

compito di gestire l‟impresa e definire i piani in difesa dei loro

interessi. Noteremo la presenza di un accesso differenziato alle

informazioni: da un lato gli azionisti non sono in grado di valutare

le capacità manageriali dell‟agente prima della sua assunzione

(adverse selection o selezione avversa, oltre par. 2.2), dall‟altro non

hanno un controllo puntuale sulle sue azioni e decisioni (rischio

morale o moral hazzard, oltre par. 2.3). Se il manager viene pagato

a stipendio fisso, il suo interesse è quello di minimizzare gli sforzi

e, in mancanza di variabili o elementi verificabili su cui fondare un

contratto ottimale, cercherà di sfruttare il “vantaggio informativo”

per incrementare la sua utilità a scapito di quella degli azionisti.

Nel terzo capitolo sarà nostra premura evidenziare come queste

circostanze valgano anche all‟opposto, cioè a scapito del lavoratore

dipendente. Esistono difatti diversi autorevoli studi che tentano di

dimostrare come la deregolamentazione del mercato del lavoro

abbia ribaltato la situazione sopra descritta, conferendo agli

imprenditori il controllo totale delle informazioni riguardanti il

rinnovo contrattuale. Difatti, con le nuove forme contrattuali

interinali, il lavoratore verrà tenuto (volutamente) allo scuro di

alcune notizie riguardanti il suo futuro all‟interno dell‟impresa, allo

scopo finale di ottenere da esso la massima produttività.

Page 35: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

34

2.2 LA SELEZIONE AVVERSA

La selezione avversa si ha quando una delle parti (delegante)

non può osservare importanti caratteristiche esogene (preesistenti)

del delegato o del bene oggetto della transazione o delle situazioni

nelle quali possa trovarsi il delegato stesso (Akerlof, 1989).

Studiata inizialmente da Akerlof, per il mercato delle auto usate,

negli anni settanta, il caso di selezione avversa è un tipico caso che,

oggi, interessa soprattutto il mercato assicurativo. In questo settore i

ricavi sono corrisposti anticipatamente al verificarsi dell‟evento e la

non conoscenza dell‟effettivo manifestarsi dello stesso determina

incertezza nella quantificazione del prezzo da praticare. Il prezzo

corrente deve corrispondere al costo medio atteso dell‟evento

dannoso che, non essendo prevedibile in maniera certa, poiché il

grado di rischiosità dell‟assicurato non è calcolabile

aprioristicamente, condurrà ad una situazione di inefficienza.

Infatti, l‟assicuratore è costretto a fissare il premio sulla base di una

probabilità media del verificarsi dell‟evento. Da un lato questo

premio sarà troppo alto per individui con un basso grado di

rischiosità che decideranno quindi di non assicurarsi; dall‟altro lato,

questo sarà vantaggioso per coloro che presentano alti profili di

rischiosità e che pertanto saranno gli unici a sottoscrivere il

contratto assicurativo. Tutto ciò condurrà ad un aumento del

verificarsi degli eventi dannosi e ad un conseguente innalzamento

dei livelli di premi assicurativi, con un ciclo negativo che conduce

rapidamente al fallimento del mercato.

Riguardo al nostro indirizzo di ricerca, la definizione di questo

fenomeno rientra appieno nell‟analisi della contrattazione nel

Page 36: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

35

mercato del lavoro, difatti l‟informazione privata responsabile della

selezione avversa può essere acquisita attraverso sia esami

attitudinali e sulla preparazione, e sia tramite l‟invio del curriculum

vitae. Invero, l‟impresa deve sostenere dei costi o limitazioni che

riducono il loro utilizzo mantenendo la relazione contrattuale

soggetta ad asimmetrie informative. Nelle situazioni di

opportunismo pre-contrattuale, gli individui potrebbero

avvantaggiarsi rivelando le loro informazioni private e certamente

anche le altre parti ne trarrebbero beneficio. Le difficoltà sussistono

nel fatto che non esiste un metodo efficace in grado di rivelare

informazioni credibili se non attraverso il tentativo delle parti non

informate di ricercarle attraverso l‟analisi delle dichiarazioni

verificabili. La segnalazione è la strategia intrapresa dalla parte

privatamente informata, invece la selezione dalla sua controparte.

2.3 IL RISCHIO MORALE ED IL MODELLO DEL

PRINCIPALE-AGENTE

Come per la selezione avversa, anche il termine rischio

morale (o moral hazard) proviene dagli studi sul settore

assicurativo e si riferisce al fatto che gli assicurati tendono a

modificare il loro comportamento in un modo che rende più elevati

i rimborsi richiesti, ma il moral hazard è però un meccanismo più

generale che ritroviamo in numerose circostanze, compresa quella

in cui si trova un lavoratore neo assunto.

Per analizzare il suddetto fenomeno utilizziamo un modello in cui si

suppone vi sia un principale che stipula un contratto con un agente

Page 37: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

36

il quale, una volta stipulato il contratto, ha l‟interesse ad adottare un

comportamento che danneggia il principale poiché tale

comportamento è difficilmente riscontrabile da parte del principale.

Questo modello viene per questo definito “del Principale-Agente”

(Bilancini, 2008).

L‟esistenza del rischio morale è dovuta alla presenza di

un‟esternalità negativa che l‟agente impone al principale (in altre

parole l‟agente non considera tutti i costi delle sue azioni rendendo

possibile che egli compia azioni i cui benefici privati sono superiori

ai costi privati ma inferiori ai costi sociali). Come la selezione

avversa, il moral hazard nasce dall‟incompletezza contrattuale.

Tuttavia, a differenza di questa, esso è caratterizzato da:

Opportunismo post-contrattuale, nel senso che

l‟opportunismo si manifesta dopo la stipula del contratto;

L‟asimmetria informativa è sistematicamente a favore

dell‟agente (per questo chiamiamo l‟altro contraente

principale).

Ci sono due tipi di asimmetrie informative che possono generare il

moral hazard e sono: i)non osservabilità delle azioni dell‟agente da

parte del principale; ii)osservabilità delle azioni dell‟agente da parte

del principale ma non verificabilità delle azioni da parte di un terzo.

Nella realtà può essere molto difficile distinguere tra moral hazard

e selezione avversa poiché non si conoscono le varie ragioni delle

scelte degli agenti (es. caso Volvo e gli incidenti nella zona di

Washington, 1990).

2.4 LA TEORIA KEYNESIANA DELL’INCERTEZZA

Page 38: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

37

In letteratura spesso si discute di quale sia la vera

innovazione analitica presente nella Teoria generale: se

l‟innovazione consista nel principio della domanda effettiva, oppure

nella determinazione monetaria del tasso d‟interesse. La discussione

è oziosa, poiché entrambe le categorie e dunque l‟intera Teoria

generale, piaccia o non piaccia, hanno una fondazione comune, che

per brevità si può definire di ordine psicologico.

Tutte e due le componenti della domanda effettiva hanno una

fondazione „psicologica‟: la domanda per consumi è spiegata sulla

base di una „legge psicologica fondamentale‟, mentre la domanda

per investimenti è spiegata sulla base delle „aspettative‟ che

governano l‟efficienza marginale del capitale e la domanda di

moneta per il motivo speculativo (di qui la natura monetaria del

tasso di interesse). A questo proposito sono rivelatrici, tra le tante,

due critiche di diversa provenienza e con diversi obiettivi. Klein

nota, con evidente disapprovazione, che tutti i risultati importanti di

Keynes sono derivati da schede di comportamento economico e non

da relazioni definite tra elementi concreti (Klein, 1966). D‟altra

parte Dobb lamenta che sulle „propensioni‟ non si può costruire

nessuna teoria della distribuzione, e che la nozione di efficienza

marginale del capitale, nel rapporto in cui viene posta col saggio

corrente d‟investimento e con le aspettative per il futuro, sembra in

realtà indicare che la teoria tradizionale del profitto non viene

messa in discussione né trasformata, e questo è per Dobb il punto

vulnerabile della Teoria generale (Dobb, 1973). In breve: l‟idea

Page 39: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

38

prevalente è che in economia l‟impiego di categorie psicologiche è

epistemologicamente biasimevole.

In un articolo del ‟37 a commento della Teoria Generale, è notevole

che Keynes cominci non con il principio della domanda effettiva,

così come fa nella Teoria generale, ma con “una disquisizione

filosofica di carattere generale sul comportamento dell‟umanità”:

una disquisizione che al lettore potrebbe sembrare peregrina. La

premessa maggiore del ragionamento keynesiano è che noi

abbiamo, di regola, soltanto l‟idea più vaga delle conseguenze non

immediate dei nostri atti (Keynes, 1937). Questo fatto, che è

incontrovertibile, è di ordine non psicologico, anche se può avere

conseguenze psicologiche, ma è di ordine cognitivo. In altre parole,

la nostra conoscenza del futuro è fluttuante, vaga e incerta. Ciò non

significa che le nostre decisioni siano „irrazionali‟ (come spesso si

sostiene che Keynes sostenga), ma significa che vengono prese

sulla base di una “conoscenza incerta”. Ed è proprio qui che si

innesta la nostra discussione sulla flessibilità nel mercato del lavoro

e sui suoi possibili contesti informativi.

Il significato con cui Keynes usa la locuzione “incertezza” è quello

per cui si può dire che sono incerti la prospettiva di un‟altra guerra

in Europa, o il prezzo del rame e il tasso di interesse di qui a

vent‟anni, o l‟obsolescenza di una nuova invenzione, o la posizione

dei proprietari di ricchezza privata nel sistema sociale tra cinquanta

anni. Su queste cose, scrive Keynes, non c‟è alcuna base scientifica

su cui fondare un qualsivoglia calcolo probabilistico: noi

semplicemente non sappiamo. Anche se in condizioni di

conoscenza incerta, tuttavia, dovremo prendere delle decisioni, e

Page 40: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

39

ciò faremo rimuovendo l‟esperienza passata e dunque

sottovalutando la possibilità di mutamenti futuri; oppure fingendoci

che lo stato attuale dell‟economia sia basato su una corretta

ponderazione delle prospettive future (che è l‟assunto

epistemologicamente ingenuo della moderna teoria delle

„aspettative razionali‟); oppure ammettendo che il nostro giudizio

individuale non vale nulla, e perciò ci converrà ricorrere al giudizio

del resto del mondo, che forse è meglio informato (Lunghini, 2009).

Page 41: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

40

CAPITOLO TERZO

DEREGOLAMENTAZIONE E PRODUTTIVITÁ DEL

LAVORO

3.1 PRODUTTIVITÁ E SAGGIO DI PERFORMANCE DEL

LAVORATORE

La flessibilità nel mercato del lavoro, sia salariale sia della

durata del contratto, è un principio che sta trovando, e in molti casi

ha già trovato, attuazione nella maggior parte delle politiche

economiche europee. Si nota difatti una tendenza a considerare la

flessibilità come la soluzione a realtà giudicate ormai anacronistiche

ed improduttive, in una sola parola: rigide. Proprio la

contrapposizione tra rigidità e flessibilità sta alla base di numerose

disquisizioni di natura economica e sociale, in una realtà in cui la

globalizzazione impone elevati standards di efficienza qualitativa e

quantitativa.

La deregolamentazione del mercato del lavoro si pone l‟obbiettivo

generale di snellire i contratti di lavoro, riducendo i poteri

contrattuali e le conseguenti restrizioni, facendo in questo modo

pendere la bilancia a favore delle imprese e quindi delle domanda.

Rimanendo nel contesto giuridico italiano, ci rendiamo conto che

con la legge Biagi sono venute ad istituirsi forme contrattuali

Page 42: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

41

“flessibili” con caratteristiche le più disparate, che hanno permesso

alle imprese di sfruttare appieno tutta l‟offerta disponibile,

ottenendo così livelli di produttività più elevati.

Nel nostro percorso ci soffermeremo in particolare su uno di questi

contratti che, a nostro vedere, punta a sfruttare particolari forme di

asimmetrie informative con il chiaro intento di rendere

costantemente insicura la condizione del lavoratore, per ottenere

così da esso la massima produttività. Ci doteremo di strumenti per

misurare la produttività del lavoro in funzione della flessibilità,

sfruttando i recenti studi sul tema di impostazione post-keynesiana.

Consideriamo il recente modello di Pacella (2009). Le ipotesi di

base sono le seguenti:

1. Il sistema economico è chiuso e opera in equilibrio di

sottoccupazione.

2. Il grado di deregolamentazione del mercato del lavoro è

misurato sulla differenza relativa tra massima durata del

contratto legalmente prevedibile e la durata attuale

del contratto di lavoro usato più frequentemente dal

sistema :

con . Se il sistema si trova nella

situazione di massima regolamentazione, pertanto la

durata massima del contratto di lavoro coincide con la

durata più frequente. Se invece , il sistema si trova

al massimo livello di deregolamentazione. (Un approccio

Page 43: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

42

alternativo, adottato da Davanzati & Realfonzo (2004),

definisce come una probabilità esogena di

licenziamento.)

3. Con la massima regolamentazione, i datori di lavoro non

sono liberi di licenziare, al contrario con la massima

deregolamentazione hanno la totale libertà di licenziare.

4. In regime di deregolamentazione non sono previsti sussidi

di disoccupazione.

5. La deregolamentazione è retroattiva, nel senso che è

applicabile sia ai nuovi contratti di lavoro, sia a quelli già

in corso.

6. Prezzi e salari nominali sono assunti come dati.

7. Imprese e lavoratori sono soggetti ad un regime di

incertezza keynesiana.

8. Le imprese vogliono massimizzare i loro profitti.

A questo punto facciamo un balzo in avanti rispetto

all‟approfondimento sulle relazioni tra deregolamentazione e

domanda aggregata per costruire la funzione dei profitti rispetto al

grado di deregolamentazione:

dove è il livello dei prezzi e è la produttività del lavoro.

La funzione di produttività rappresenta la produttività media

dei lavoratori come una funzione della deregolamentazione del

Page 44: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

43

contratto. è la produttività minima offerta dai lavoratori4.

Mentre rappresenta l‟intensità minima di lavoro offerto,

individua lo sforzo addizionale che i lavoratori forniscono oltre gli

stock di capitale a loro disposizione. Questa quantità addizionale

dipende dal costo opportunità derivante dalla possibile perdita del

proprio lavoro.

Il saggio di performance del lavoratore (worker performance rate)

per ciascun livello di deregolamentazione è dato da

. Il

nodo della questione è che si assume un rapporto di proporzionalità

diretta di natura esponenziale tra il worker performance rate e il

grado di deregolamentazione del contratto di lavoro (Pacella, 2009),

difatti la forma esponenziale è basata sull‟idea che nel momento in

cui il lavoratore si trova in una situazione di incertezza riguardo al

rinnovo del suo contratto di lavoro, esso si sforzerà di ottenere da se

stesso la massima produttività, con il chiaro intento di mettersi in

buona luce agli occhi del datore di lavoro. Scopo finale di questo

comportamento quindi è quello di evitare il rischio di licenziamento

dimostrando il massimo delle proprie capacità (Engellandt &

Riphahn, 2005). L‟analisi della funzione di produttività conduce

alle seguenti implicazioni:

a) In condizioni di massima deregolamentazione/flessibilità

( ) la produttività del lavoratore è al suo massimo livello

, ed è questo il caso in cui il lavoratore offrirà il

massimo sforzo per evitare il rischio di licenziamento ed

44

Per semplicità questo valore è preso come parametro ed è misurato in termini di output medio ottenuto nel tempo tecnico necessario allo svolgimento del ciclo produttivo, dati gli stock di capitale umano e tecnico.

Page 45: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

44

aumentare le probabilità di rinnovo contrattuale. Al contrario,

quando ci troviamo in una situazione di massima

regolamentazione/rigidità la produttività del lavoratore è

uguale a . In questo caso il lavoratore non sentirà alcun

bisogno di dimostrare il proprio valore in quanto sa di non

correre alcun rischio di licenziamento.

b) L‟elasticità della funzione di produzione dipende dal grado di

deregolamentazione:

1. se e

(produttività positivamente inelastica)

2. se

(produttività positivamente elastica).

Page 46: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

45

3.2 EFFETTO LIME

Passiamo ora allo studio di un fenomeno definito come

effetto LIME (Last in Most Efficient) effect, di approccio post-

keynesiano il quale dimostra che la produttività dei neoassunti è

maggiore rispetto ai lavoratori assunti precedentemente.

Consideriamo la funzione di offerta aggregata nella seguente

forma:

e ne calcoliamo l‟elasticità rispetto al grado di deregolamentazione:

1. se e

(offerta positivamente inelastica)

2. se e

(offerta positivamente elastica)

La funzione di produzione qui proposta si caratterizza da una

produttività marginale crescente. Il succo del discorso sta

nell‟evidenziare che il nuovo assunto è più produttivo rispetto al

precedente perché esso non sa esattamente quale sarà il suo futuro

nell‟impresa. Di fatto, l‟intensità di lavoro profuso dipende da uno

stato di incertezza derivante da un contesto informativo sbilanciato

a favore dell‟impresa, generando così una situazione nella quale il

lavoratore si trova a subire un rischio morale.

Page 47: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

46

Date le caratteristiche dei contratti di lavoro stipulati in regime di

flessibilità, il datore di lavoro è interessato a tenere allo scuro il

lavoratore riguardo il suo possibile rinnovo contrattuale, perché in

questo modo riesce a mantenere una situazione di precarietà che, da

un lato spinge il lavoratore a lavorare al massimo delle sue

possibilità, dall‟altro permette al datore di lavoro di tenere “sotto

scacco” i suoi dipendenti. Se un lavoratore assunto con un contratto

di lavoro precario con possibilità di rinnovo, sapesse a priori che

alla scadenza dei termini non lavorerebbe più per quell‟impresa,

non avrebbe nessun interesse a dimostrare la sua efficienza, che

invece sarebbe portata al massimo livello se dietro ci fosse una

possibilità di rinnovo contrattuale. Appare evidente che, in

mancanza di forme di protezione da parte dello Stato, il lavoratore

possiede una ed una sola arma per far sì che gli venga rinnovato il

contratto, cioè distinguersi per dedizione, impegno, precisione,

stacanovismo, in una sola parola produttività.

Tuttavia è ragionevole supporre che questa mancanza di

informazioni prima o poi verrà colmata; le fonti a disposizione del

lavoratore, trascorso un certo periodo di tempo5 aumentano sempre

di più mettendo così in luce una temporaneità del fenomeno.

Esperienza maturata nell‟azienda, contatti frequenti con il datore di

lavoro, passa parola tra colleghi, sono tutti elementi che

contribuiscono ad una presa di coscienza della situazione nella

quale si trova il lavoratore, pertanto è lampante che più tempo

rimane alla scadenza del contratto e più alta sarà la produttività del

5 Il riferimento ad un periodo entro il quale calano le barriere informative è tuttavia una

semplificazione del discorso, in quanto, di fatto, risulta arduo quantificare in giorni, piuttosto che in ore lavorative il tempo necessario ad acquisire tali informazioni.

Page 48: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

47

lavoratore. Quindi l‟ultimo lavoratore sarà più efficiente del

lavoratore assunto prima.

È importante però riportare anche un altro fenomeno che ci appare

fondamentale nella valutazione aprioristica della produttività di un

lavoratore con contratto a tempo determinato, difatti non bisogna

tralasciare che, soprattutto per la forma contrattuale definita dal D.

Lgs. N. 276/2003 (artt. 20 ss.) definita di somministrazione, è

importante per il lavoratore far si che, anche in caso di non rinnovo

del contratto di lavoro, rimanga una buona impressione al datore di

lavoro, affinché valga come referenza spendibile per il contratto

successivo.

3.3 IL POTERE COME SCAMBIO

Ci sembra a questo punto necessario entrare con più audacia

nello studio delle dinamiche del potere, partendo da

un‟impostazione generale relativa alle organizzazioni, per poi

arrivare in maniera decisa alla formulazione di modelli di

comportamento che descrivono il potere come scambio.

La nostra idea è quella di dimostrare che affianco alle normali

forme di potere esercitate dall‟imprenditore, cioè quelle che

riguardano direttamente il rapporto di lavoro con le sue mansioni

esplicitamente previste nel contratto, vi siano delle forme di

manifestazione di potere che potremmo definire accessorie. Queste

Page 49: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

48

ultime riguardano una serie di comportamenti che il capo

(l‟imprenditore piuttosto che il capoufficio) assume (sfrutta) nel

momento in cui stabilisce che il rapporto di lavoro non debba

esaurirsi con l‟esecuzione della mansione da parte del dipendente,

ma che continui attraverso un feedback che dal dipendente va verso

il capo e che permetta a quest‟ultimo di poter valutare le singole

performance dei lavoratori. Fin qui non si aggiunge niente di nuovo.

Il problema sorge nei casi di regimi contrattuali deregolamentati,

ossia quando lo strumento che l‟imprenditore usa per ottenere dei

feedback sempre più positivi, è la possibilità del rinnovo del

contratto di lavoro. Tale strumento funge da volano per la

produttività del lavoratore, innescando però dei sistemi di potere,

basati su delle asimmetrie informative, eccessivamente sbilanciati a

favore dell‟imprenditore.

Muoviamo le nostre prime mosse dalla definizione di potere data

dal politologo Robert Dahl, il quale lo descrive come: <<la capacità

di A di fare qualcosa a B, che B non avrebbe fatto senza

l‟intervento di A>> (Dahl, 1957). Estremamente chiara e semplice,

può essere assunta come nostro punto di partenza pur nella

consapevolezza che molti autori l‟hanno criticata come limitata,

riduttiva, in alcuni casi addirittura tautologica.

È relativamente facile per A ottenere che B faccia quello che lui

vuole se questo rientra nell‟ambito della sfera di accettazione, è

legittimato e comporta quindi una pregiudiziale predisposizione

all‟obbedienza. Ma è possibile per A far fare a B qualcosa che è al

di fuori della sfera di accettazione di B, in violazione dei processi

sociali che legittimano alcune azioni e ne escludono altre? Può A

Page 50: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

49

indurre comportamenti voluti in B quand‟anche questi non sia per

nulla predisposto all‟obbedienza? La risposta è senz‟altro positiva,

date certe condizioni che cercheremo ora di vedere meglio e che

molto hanno a che vedere con i processi di deregolamentazione del

mercato del lavoro.

L‟assistente che va a prendere a scuola la figlia del professore

quando piove e il dipendente che aiuta la moglie del capoufficio a

fare le pulizie pasquali si stanno muovendo al di là di quanto è

considerato giusto, normale, legittimo. Stanno compiendo atti al di

fuori del loro dovere: ma perché lo fanno? Le risposte possono

essere fondamentalmente due: o si sono offerti spontaneamente

oppure hanno ricevuto un ordine. Soffermandoci sul secondo caso,

l‟imposizione del capo (il professore, il capoufficio) si afferma nella

consapevolezza di oltrepassare il limite del normale rapporto di

lavoro e quindi di operare al di fuori del su ambito d‟autorità,

inducendo al comportamento voluto con la minaccia esplicita o

implicita di sanzioni. <<Non sta scritto da nessuna parte che lo devi

fare, ma se non lo fai non ti sosterrò al prossimo concorso per

professori (o non ti rinnoverò il contratto di lavoro)>>. Il

professore, il capoufficio, l‟imprenditore, un qualsiasi A usano le

risorse che hanno a disposizione in ragione dell‟ufficio che

occupano per ottenere da B un comportamento voluto e che esula

dal normale rapporto di autorità. Scambiano una risorsa (l‟accesso

al concorso, la possibilità di un rinnovo del contratto di lavoro) con

un‟altra risorsa, più limitata, che ha B.

Una vasta letteratura e un insieme importante di autori quali

Emerson, Blau, Crozier, Friedberg (per non citare che i più

Page 51: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

50

rilevanti) si sono occupati di questa questione formulando, seppur

con rilevanti discrepanze nei ragionamenti, l‟idea del potere come

scambio asimmetrico di risorse. Nella sua formulazione idealtipica

più pura possiamo dire che A ha potere su B quando B è in possesso

di una risorsa che interessa ad A ma contemporaneamente A

controlla una risorsa:

di cui B ha assolutamente bisogno;

che B non può procurarsi altrove;

che B non può strappare con la forza ad A.

In tutti questi casi A ha potere su B e riesce a fargli fare quello che

vuole perché nel contempo B dipende da A così come è sancito

dalla condizione di asimmetria nel possesso di risorse pertinenti e

mobilitabili nello scambio: l‟asimmetria (nel nostro caso di tipo

informativo), ossia la sperequazione nel possesso delle risorse, lo

squilibrio, la dipendenza di un soggetto dall‟altro, è il primo

requisito dello scambio che crea le condizioni per l‟insorgenza di un

potere come scambio che lo rende un fenomeno assai diverso

dall‟autorità.

3.4 CONTESTI INFORMATIVI

Più volte ci siamo riferiti a delle circostanze che più di altre

determinano un eccessivo sfruttamento del lavoratore subordinato

(precario) che si ritrova senza alcuna protezione nei confronti degli

interessi dell‟imprenditore. Abbiamo descritto l‟effetto LIME e ci

Page 52: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

51

siamo soffermati ad osservare come il potere si manifesta oltre le

normali attribuzioni d‟ufficio. Ora però abbiamo bisogno di

indagare con più attenzione alla ricerca di quei contesti informativi

che determinano l‟insorgenza delle suddette situazioni; ovvero ci

viene spontaneo porci le seguenti domande: quali sono le

informazioni che l‟imprenditore nasconde al dipendente? Quali

rapporti si instaurano tra dipendenti neoassunti? Quali informazioni,

se nascoste al dipendente, permettono un innalzamento della

produttività?

Prima però di procedere al tentativo di dare una risposta alle nostre

domande, è necessaria una precisazione che deriva da diverse

osservazioni maturate “sul campo”: trattando temi quali la

flessibilità e la produttività dei lavoratori, abbiamo constatato che le

dimensioni aziendali sono inversamente proporzionali

all‟incremento di produttività dovuto alla deregolamentazione. Nei

casi di piccole/medie imprese, il lavoratore neoassunto si trova

spesso ad avere contatti direttamente con l‟imprenditore riducendo

così la scalata gerarchica delle informazioni, mentre in imprese di

grosse dimensioni il rapporto tra dipendente e imprenditore è

mediato da una gerarchia molto consolidata che filtra ogni notizia.

Per questa ragione scegliamo di semplificare il modello di

riferimento considerando una classificazione dei rapporti che non

tenga conto delle dimensioni dell‟impresa né della lunghezza della

scala gerarchica, ma che classificheremo come orizzontali nel caso

in cui si tratti di rapporti tra dipendenti, verticali nel caso di contatti

tra il lavoratore e la direzione.

Page 53: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

52

Date le dovute precisazioni, possiamo passare al setaccio le diverse

circostanze che possono influire sulla produttività del lavoratore in

funzione della flessibilità e dei contesti informativi nei quali si trova

ad operare. Sin dal momento in cui viene stipulato un contratto di

lavoro, e quindi dal momento in cui il lavoratore mette piede per la

prima volta nel nuovo ambiente lavorativo, assistiamo ad una serie

di passaggi che egli inevitabilmente deve percorrere prima di

riuscire ad integrarsi. Nella costruzione dei rapporti, sia di tipo

verticali che orizzontali, il neoassunto tesse una rete di relazioni

sociali che nel medio lungo termine influiscono sulla sua

produttività. Partendo da una situazione di totale insicurezza e

spaesamento, egli avrà tutto l‟interesse a dimostrare la sua buona

volontà e le sue capacità lavorative per fare in modo che sia i

superiori che i colleghi abbiano un‟ottima impressione, ma passata

questa fase iniziale di integrazione, il lavoratore comincerà a

chiedersi (e a chiedere in giro per l‟azienda) quanto paghi in termini

contrattuali un comportamento esemplare ed altamente produttivo6.

Parlando con i colleghi egli potrà scoprire i comportamenti che

l‟imprenditore ha assunto in passato, di fronte a situazioni simili, un

atteggiamento di totale indifferenza, inducendo così il lavoratore a

non preoccuparsi più di spiccare in produttività; ovvero potrebbe

scoprire che l‟imprenditore tiene molto in considerazione il

comportamento del neoassunto durante le prime settimane di lavoro

e pertanto il lavoratore si sentirà incentivato a lavorare ancora

meglio. Conoscere le esperienze vissute nell‟azienda dai propri

6 Ricordiamo che il lavoratore è stato assunto con un contratto di lavoro a tempo

determinato, pertanto il suo primo interesse è quello di riuscire ad ottenere dall’imprenditore un rinnovo contrattuale.

Page 54: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

53

colleghi aiuta il lavoratore a fare le sue valutazioni sulla possibilità

di un rinnovo contrattuale e più in generale sulle possibili scelte

dell‟imprenditore. Non sempre però avviene che i colleghi siano

disposti a condividere le proprie informazioni e la propria

esperienza, sia perché non vedono nessun interesse a farlo, sia

perché vedono nel nuovo assunto una possibile minaccia alla loro

posizione. A questo punto si può assistere a vere e proprie

operazioni di depistaggio mirate a confondere le aspettative del

lavoratore, che si possono concretizzare in false rassicurazioni,

valutazioni inesatte, quand‟anche vere e proprie minacce. Questo

fenomeno può essere devastante per il lavoratore e profondamente

deleterio per la produttività dell‟azienda ed è per questo che il ruolo

dell‟imprenditore (manager) comprende anche la capacità di

integrare i nuovi assunti in maniera meno traumatica possibile, sia

per i dipendenti e sia per il lavoratore stesso7.

Per quanto riguarda invece la gestione dei rapporti specificamente

verticali, risulta di fondamentale importanza il ruolo e la

preparazione dell‟imprenditore (manager nel caso di imprese di

grandi dimensioni) nel saper gestire in maniera giusta e corretta le

relazioni con il personale. La concezione di fondo dell‟impresa, che

è in continua evoluzione e non è statica, prevede come necessario

un costante aggiornamento metodologico e relazionale,

obiettivizzato al miglioramento continuo delle relazioni. Nella

fattispecie, se andiamo ad analizzare le relazioni tra lavoratore

7 Un’alternativa all’effetto LIME è il suo opposto denominato effetto FIME (First in Most

Efficient) che si verifica quando i lavoratori più anziani vedono i nuovi assunti come una minaccia alla loro stabilità lavorativa. Vi sono approcci che si sono occupati di osservare come i lavoratori più anziani cerchino di ridurre la produttività dei nuovi assunti per fare in modo che aumentino le possibilità di un loro licenziamento (Standing, 1999).

Page 55: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

54

precario e imprenditore, questi precetti di buona Governance non

sempre vengono applicati, soprattutto in termini di trasparenza.

Molto spesso è interesse dell‟imprenditore tacere quanto più a

lungo possibile le proprie intenzioni riguardo al lavoratore, per fare

in modo che le sue insicurezze ne garantiscano la massima resa. Le

informazioni taciute non riguardano solo il contratto di lavoro e la

possibilità di rinnovo dello stesso, ma possono riguardare anche

direttamente le mansioni svolte dal dipendente: il soggetto che non

si sentirà adeguatamente gratificato penserà che il proprio lavoro

non è stato apprezzato dal capo e quindi in futuro si impegnerà di

più proprio allo scopo di ottenere quella gratificazione. Questi

atteggiamenti fanno sì che la produttività del dipendente rimanga

sempre molto alta, anche in prossimità della scadenza del contratto

di lavoro, impedendo che il lavoratore si senta in una sorta di limbo

di premorienza. Da un punto di vista aziendale questo tipo di

strategie possono risultare altamente proficue e produttive, in

quanto permettono di sfruttare al massimo le nuove forme

contrattuali sia in termini salariali che funzionali, ma dal punto di

vista del lavoratore questo approccio può essere devastante. La

totale mancanza di garanzie contrattuali lascia nelle mani

dell‟imprenditore il potere di decidere autonomamente della vita

lavorativa (e non!) dei suoi dipendenti esclusivamente rispetto alle

oscillazioni della domanda di beni.

Page 56: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

55

3.5 QUALE SCAMBIO TRA FLESSIBILITÁ E

DISOCCUPAZIONE?

Dal 1995 al 2003 al forte aumento dell‟occupazione e alla

parallela riduzione della disoccupazione, soprattutto giovanile, si è

accompagnata una crescita delle occasioni di lavoro instabili, meno

dirompente di quanto spesso si crede, ma comunque rilevante. Si

può quindi concludere che vi è un nesso tra i due fenomeni, cioè

che l‟aumento dell‟occupazione e la riduzione della disoccupazione

si devono attribuire alla flessibilizzazione dei rapporti di lavoro?

Un‟analisi più dettagliata di quanto accaduto nel mercato del lavoro

italiano non conferma tale trade-off.

La diffusione dei lavori flessibili, da quelli a tempo determinato alle

collaborazioni, ha interessato essenzialmente i giovani, ma

l‟impatto sui tassi di occupazione risulta quasi nullo per i giovani

maschi e molto scarso per le giovani femmine. Indagini ISTAT

(2004) riferite ad un periodo di tempo che va dal 1993 al 2003,

rilevano che per i maschi dai 20 ai 35 anni il tasso di occupazione

del 2003 supera di poco quello del 1995, ma resta nettamente

inferiore a quello del 1993, quando la crisi economica era già

iniziata e i lavori instabili erano molto meno diffusi. Quanto alle

donne il tasso di occupazione è cresciuto per tutte quelle oltre 24

anni, ma l‟aumento maggiore è stato registrato dalle donne dai 45 ai

60 anni, che solo in misura molto limitata sono state interessate

dalla diffusione dei lavori instabili. Se escludiamo le donne dai 24

ai 29 anni, i giovani nel 2003 risultano un po‟ meno occupati di

Page 57: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

56

dieci anni prima e se occupati più spesso con lavori instabili,

benché per lo più a fini formativi, ma anche meno disoccupati

poiché il tasso di disoccupazione dai 15 ai 24 anni si riduce di un

paio di percentuali.

L‟apparente paradosso che i giovani sono contemporaneamente

meno occupati e meno disoccupati si spiega con la netta ripresa

della scolarità superiore, che dai 15 ai 24 anni ha provocato una

riduzione del tasso di attività di 6-7 punti percentuali dal 1993 al

2003. Quindi, i giovani sono meno disoccupati non perché riescono

a trovare più facilmente occasioni di lavoro flessibile ma perché

frequentano in maggior misura gli istituti superiori e le università

(Forges, 2005). Inoltre non bisogna dimenticare che il volume della

disoccupazione giovanile si riduce anche perché le nuove leve sono

sempre meno numerose; dal 1993 al 2003 i giovani dai 15 ai 24

anni diminuiscono da 8 milioni 400 mila a 6 milioni 400 mila.

Il forte aumento dell‟occupazione, che si deve quasi tutto alle donne

adulte, può essere sì collegato ad una misura di flessibilizzazione,

che concerne, però, solo l‟orario di lavoro e non la stabilità del

rapporto. Oltre un quarto dei 2 milioni di posi di lavoro creati tra il

1995 e il 2003 sono, infatti, occupati a tempo parziale da donne.

L‟occupazione femminile a tempo parziale molto cresciuta

(dall‟11% di quella dipendente nel 1993 al 18% nel 2003), ma la

stragrande maggioranza delle donne che lavorano part-time hanno

normali rapporti a tempo indeterminato.

L‟impressione che vi sia stato un collegamento tra crescita

dell‟occupazione e diffusione dei lavori “atipici” si fonda

Page 58: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

57

sull‟inserimento tra gli “atipici” anche dei lavori a tempo parziale,

ma si tratta di un arbitrio pericoloso, perché confonde situazioni

precarie con altre che non lo sono affatto e consente di stabilire

artificiosamente una relazione tra il livello di occupazione e quello

dei vincoli posti alle imprese. Occorre pensare ad altre spiegazioni

della crescita dell‟occupazione in Italia, come il circuito virtuoso

innescato dalla maggiore partecipazione al lavoro delle donne, di

cui si è detto, e la riduzione del costo del lavoro. Un rapporto

ISTAT (2004) mostra come, a parità di potere d‟acquisto, le

retribuzioni dei lavoratori italiani sono precipitate agli ultimi posti

della graduatoria dei paesi della vecchia Unione Europea perché dal

1996 al 2002 praticamente non sono cresciute, mentre in tutti gli

altri paesi gli aumenti sono stati cospicui, anche con percentuali a

due cifre (Reyneri, 2005). La moderazione salariale, nata con la

crisi economica e la politica dei redditi decisa nel 1993 per

l‟ingresso nell‟euro, è proseguita anche dopo quando la

disoccupazione diminuiva e l‟occupazione cresceva. Poiché la

produttività del lavoro ha continuato a crescere (per i motivi di cui

sopra) sia pur debolmente, la quota dei redditi da lavoro dipendente

su reddito nazionale si è fortemente ridotta a favore sia dei profitti

(da impresa e da lavoro indipendente), sia anche delle rendite (da

quelle finanziarie a quelle immobiliari). Ci si deve domandare,

quindi, se era davvero necessario aumentare ancora il grado di

flessibilità del lavoro, portando al livello record di 21 il numero dei

apporti di lavoro “pienamente atipici”, come ha fatto la legge

30/2003.

Page 59: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

58

3.6 L’INFORMAZIONE SUL MERCATO DEL LAVORO IN

ITALIA

Nei primi anni ‟80 si è venuta sempre più diffondendo la

consapevolezza che una politica attiva del lavoro debba dedicare

grande cura sia ad un‟informazione tempestiva e significativa sulla

struttura e dinamica della domanda e dell‟offerta, sia

all‟orientamento e alla formazione professionale dell‟offerta

medesima (Carinci, 2005).

Per quanto riguarda l‟informazione la situazione attuale vede la

coesistenza di tutta una serie di strutture pubbliche che, in modo

(solo in parte) diverso, controllano e monitorano i flussi di

lavoratori in entrata e uscita dai mercati del lavoro e cercano di

studiarne caratteristiche e tendenze (es. Istat, Cnel, Ministero del

lavoro e delle politiche sociali e sue articolazioni periferiche,

commissioni regionali e provinciali per l‟impiego, osservatori

regionali e provinciali del mercato del lavoro).

Nell‟ottica della realizzazione di un sistema di strumenti diretti a

garantire la trasparenza nel mercato ed una migliore circolazione

delle informazioni, fattori ritenuti propedeutici per una corretta

impostazione di politiche del lavoro ed una concreta efficacia delle

misure dirette a promuovere l‟incontro tra domanda e offerta,

dapprima il D. Lgs. N. 469/1997 (art. 11) e successivamente il D.

Lgs. N. 276/2003 (art. 15) (anche detta riforma Biagi) si occupano

di istituire una rete informatica (network) che utilizza lo stesso

protocollo di comunicazione quale strumento di coordinamento

Page 60: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

59

delle informazioni, offerto a beneficio di tutti i sistemi locali per

l‟impiego, pubblici e privati (Pedrazzoli, 2003).

Ideato nel 1997 e battezzato come SIL (Sistema Informativo

Lavoro), tale sistema in origine chiuso (una sorta di Intranet, cioè

una rete protetta e accessibile solo per i soggetti autorizzati), ancor

prima di trovare completa e concreta attuazione su tutto il territorio

nazionale, si rinnova nel 2003, cambiando nome e natura. Nasce

così la “Borsa continua nazionale del lavoro”, sistema basato su una

rete di nodi regionali facilmente consultabile (es. da Internet) sia

dai lavoratori che dalle imprese attraverso accessi appositamente

dedicati da tutti i soggetti pubblici o privati autorizzati ad erogare

servizi per l‟impiego. A tal fine tutti gli operatori accennati devono

conferire al sistema i dati legittimamente in loro possesso, cioè

quelli strettamente attinenti alle attitudini professionali dei

lavoratori. Infatti severi limiti all‟acquisizione, al trattamento e alla

divulgazione dei dati personali sono predisposti per la tutela della

riservatezza dei lavoratori e per evitare il perpetrarsi di trattamenti

discriminatori (Carinci, 2004). La conduzione coordinata ed

integrata della Borsa del lavoro resta ben salda nelle mani dello

Stato [art. 117, 2° comma, lett. r), Cost.] mentre la sua gestione

viene in gran parte demandata alle Regioni8.

8 È già attivo il primo nodo regionale “Borsa Lavoro Lombardia”,

http:www.borsalavorolombardia.net

Page 61: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

60

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Le previsioni per il futuro dicono che il fenomeno della

deregolamentazione del mercato del lavoro avrà un impatto sempre

più incisivo nella costituzione di nuove forma contrattuali. Il

numero di varianti previste dalle norme vigenti lascano presagire

che l‟eterogeneità delle condizioni contrattuali è ormai una

condizione assodata quanto irrinunciabile, per l‟ottenimento di una

condizione occupazionale soddisfacente.

La nostra riflessione si incunea su alcuni aspetti derivanti dalla

eccessiva precarizzazione dei lavoratori, che diventano sempre più

deboli e ininfluenti in fase contrattuale, constatando di contro una

tendenza, di innegabile natura capitalistica, a favorire il lato della

domanda. Argomenti quali la produttività vengo strumentalizzati da

alcune teorie socio-economiche per spostare gli equilibri

contrattuali in maniera pericolosa a favore dei datori di lavoro, che

possono così sfruttare a proprio piacimento i lavoratori, sia in

termini salariali che funzionali.

Nella fattispecie sarebbe opportuno rivedere, alla luce delle

suddette riflessioni, alcune delle forme contrattuali che oramai

regolamentano la maggior parte delle assunzioni. Ci riferiamo in

questa sede alla forma definita dalla vigente normativa nazionale

come contratto di somministrazione (ex interinale)9 che predispone

una struttura triangolare. Il rapporto di lavoro interinale consta,

9 Introdotta dal Decreto legislativo 276/2003, artt. 20-28.

Page 62: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

61

infatti, di tre figure cardine: un'impresa fornitrice di lavoro

temporaneo, un'impresa utilizzatrice ed infine il lavoratore assunto

e retribuito dall'impresa fornitrice ed avviato al lavoro presso

l'impresa utilizzatrice. Il fenomeno che in questa forma si

manifesta, è una sorta di formalizzazione, a nostro vedere, di

un‟asimmetria informativa tutta a favore delle imprese utilizzatrici:

il lavoratore in questo caso non è un dipendente dell‟azienda per la

quale lavora, bensì dell‟agenzia di lavoro interinale, che lo

assume… e lo stipendia! Pertanto il lavoratore non avrà mai nessun

tipo di contatto con il proprio datore di lavoro riguardo un eventuale

rinnovo contrattuale, perché di fatto il suo referente unico rimane

l‟agenzia. Anche in fase di selezione, il lavoratore non ha in nessun

modo la possibilità di entrare in contatto con l‟azienda in quanto

essa delega all‟agenzia il compito di trasmettere al candidato tutte le

comunicazioni del caso. Si delinea così un atteggiamento da parte

del datore di lavoro, che sin dall‟inizio del rapporto, “abitua” il

lavoratore ad una condizione di assoggettamento, che educa

psicologicamente il neo assunto rendendolo “mansueto”, in ogni

caso.

Lo studio di fenomeni quali il LIME che sfruttano modelli nei quali

la produttività del lavoratore viene valutata in funzione della

flessibilità del contratto di lavoro, fa capire che i rapporti di potere

che si instaurano tra dipendente ed imprenditore non sono sempre

equilibrati, ma anzi sono spesso sbilanciati da asimmetrie

informative che indeboliscono il lavoratore precario. Avviene così

che il rapporto di potere tra i due soggetti viene distorto e piegato

rispetto alla sua forma normale proprio a causa di mancanza di

Page 63: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

62

garanzie per il lavoratore, determinando così una sfera di poteri che

potremmo definire accessori.

A conclusione di questo lavoro ritengo sia importante evidenziare

che una riflessione più attenta alle esigenze dei lavoratori

subordinati sia dovuta, oltre che necessaria, per favorire una

contrattazione più equa ed equilibrata. Riteniamo che il

perseguimento di uno standard elevato di produttività sia una

condizione necessaria ma non sufficiente per un mercato del lavoro

che tenga conto degli interessi di tutti gli strati sociali.

Page 64: Produttività del Lavoro e Contesti informativi

63

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