proverbi ecclesiaste e cantico

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Fernando De Angelis PROVERBI, ECCLESIATE E CANTICO Fernando De Angelis, C.P. 92 – 52044 CAMUCIA (AR); e-mail: [email protected]

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Fernando De Angelis

PROVERBI, ECCLESIATE E CANTICO

Fernando De Angelis, C.P. 92 – 52044 CAMUCIA (AR); e-mail: [email protected]

SOMMARIO Cap. 1. Proverbi: miniera d’oro e bussola 1. Introduzione 2. Struttura del libro 3. «Salomone, figlio di Davide»

A. Continuità fra Davide e Salomone B. Continuità fra Salmi e Proverbi C. Diversità fra Salmi e Proverbi

4. I Proverbi come adempimento della Legge di Mosè 5. Finalità dei Proverbi 6. Il solito intreccio di legge e grazia 7. Proverbi riguardanti alcuni temi

A. Come vengono chiamati i credenti e i non credenti B. La vita del saggio e quella dello stolto C. Lavorare nobilita, mentre la pigrizia è una vergogna D. Religiosità corretta e sbagliata E. Reagire con calma, non con irruenza F. La parola: una grande forza, positiva o negativa

a. Parola positiva b. Parola negativa in genere c. Il grande male della menzogna

G. La donna: una trappola o una delizia a. Adultere e prostitute: sembrano dolci, ma

sono amarissime b. La moglie può essere una delizia, o un tarlo

H. Gestione dell’economia a. Principi generali b. Farsi garanti per altri: una trappola

pericolosissima c. Correzione dei sottoposti d. Sostenere il prossimo

I. Genitori e figli L. Alcuni esempi di accortezza

a. Usare il vino, ma senza abusarne b. Evitare di far causa, se possibile c. Amici e nemici

M. Re e giustizia N. Insufficienza della saggezza O. Temi vari P. Una “scala di valori”

8. Elenchi sulle assonanze col Nuovo Testamento A. Passi del Nuovo Testamento che richiamano qualche proverbio B. Quali proverbi sono richiamati dal Nuovo Testamento

Cap. 2. Ecclesiaste: uno snodo essenziale della Bibbia 1. Introduzione 2. L’autore 3. Riassunto del testo 4. L’Ecclesiaste sembra veleno, ma è un vaccino

A. Tutto è vanità, perciò… godiamoci il benessere, se possibile B. La struttura del libro in sette cicli C. Non nascondere l’amarezza D. Un profeta travestito da filosofo? E. La fede come incontro fra rivelazione innata e rivelazione scritta

5. L’Ecclesiaste nel contesto di tutta la Bibbia A. Assonanze dell’Ecclesiaste con i Proverbi B. La storia da Abramo ai Proverbi subisce una svolta C. Un ponte fra Abramo e l’Apocalisse D. Concetti dell’Ecclesiaste richiamati dal Nuovo Testamento

Cap. 3. Cantico dei cantici: importanza dell’amore fra gli sposi 1. Introduzione 2. “Di” Salomone o “a” Salomone? 3. Linguaggio simbolico anticipato dai Proverbi 4. Struttura del libro 5. Sintesi delle espressioni più significative 6. Negare il fatto ed esaltarne il significato? 7. Il Cantico e gli altri libri della Bibbia

A. Cominciare ad illuminare una Scrittura con quella precedente B. Il Cantico rilancia l’importanza della coppia descritta in Genesi 1-2

a) È la coppia maschio-femmina ad essere immagine di Dio b) L’amore degli sposi è il motore del mondo c) Uno specchio da ripulire

C. Luci sul Cantico da Proverbi ed Ecclesiaste D. Cantico e Profeti E. Cantico e Nuovo Testamento

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CAP. 1

PROVERBI: MINIERA D’ORO E BUSSOLA

1. INTRODUZIONE Ho letto la prima volta i Proverbi quasi mezzo secolo fa e lo feci con molta attenzione, perché desideravo

metterli in pratica. Negli ultimi anni li ho un po’ trascurati, ma in questa occasione ho dovuto riesaminarli accuratamente, accorgendomi che in molti casi sono stati proprio i Proverbi ad influenzare le mie scelte di vita.

Nelle chiese c’è qualcuno che apprezza molto i Proverbi, ma molti li trascurano ed alcuni addirittura li svalutano, considerandoli come parte di un Antico Testamento ormai sostituito dal Nuovo.

Nonostante il mio apprezzamento per i Proverbi, pensavo anch’io che la loro influenza sul Nuovo Testamento fosse limitata ma, rileggendoli, mi è venuto il sospetto che ci fosse una relazione più ampia di quanto appaia a prima vista; ho allora sfruttato le indicazioni dei “passi paralleli” che sono contenute nella mia Bibbia (Nuova Riveduta), facendone degli elenchi dai quali si può vedere che le relazioni non sono poche (cfr. par. 8).

La gran parte dei Proverbi sono facili da capire e molti anche facili da accettare; alcuni invece contrastano con la mentalità odierna e allora le alternative sono due: quella di ritenerli destinati ad una società rozza, alla quale Dio si è dovuto adattare; oppure quella di sentirci noi lontani da Dio e perciò bisognosi di cambiare mentalità.

In ogni caso, leggere i Proverbi è come avere libero accesso ad una miniera di materiali preziosi, dalla quale se ne esce comunque arricchiti, anche quando non si è preso tutto quello che era possibile prendere.

I Proverbi funzionano anche da “bussola” perché, quelli che riguardano un certo argomento, forniscono delle indicazioni complete e realistiche, che ci permettono di orientarci su come affrontare le diverse situazioni concrete.

2. STRUTTURA DEL LIBRO

La parte più tipica è quella fatta da massime che sono espresse in poche parole (i noti proverbi); essa occupa la

gran parte del libro (capp. 10-29) ed è preceduta da nove capitoli in forma discorsiva (capp. 1-9); forma che ritroviamo anche nei due capitoli finali (30-31), aventi struttura e autori particolari (cap. 30 di Agur e cap. 31 di Lemuel). Il libro si può allora suddividere nelle seguenti parti principali: 1:1-7. Autore e scopo del libro. 1:8 a 7:27. Esortazioni ad un figlio. Capp. 8-9. Elogio della saggezza. Capp. 10-29. Proverbi di Salomone e di altri. Cap. 30. Parole di Agur. Cap. 31. Parole di Lemuel.

Ci soffermiamo ora brevemente su queste diverse sezioni.

1:1-7. Autore e scopo. È essenziale comprendere bene le affermazioni e le implicazioni dei primi sette versetti, perciò su di essi

riprenderemo il discorso subito dopo questa prima panoramica.

1:8 a 7:27. Esortazioni rivolte ai giovani. Sono una serie di discorsi rivolti ad un “figlio” (1:8,10,15; 2:1; 3:1,11; 4:1,20; 5:1,20; 6:1,3,20; 7:1,24). Ogni

discorso comincia con un’esortazione simile a quella in 1:8-9: «Ascolta, figlio mio, l’istruzione di tuo padre e non rifiutare l’insegnamento di tua madre; poiché saranno una corona di grazia sul tuo capo e monili al tuo collo». Questi due versetti (1:8-9) si collegano perciò ai successivi, più che ai precedenti.

I primi quattro capitoli hanno un contenuto vario e c’è solo un accenno ad evitare le donne corrotte (2:16-19), un tema sul quale si concentreranno poi i tre capitoli finali di questa sezione (cioè i capp. 5-7, con l’esclusione di 6:1-19). Questa insistenza non è fuori luogo, perché il passaggio da adolescente irresponsabile ad uomo affidabile è anche il passaggio da una sessualità che ci domina ad una sessualità che riusciamo a governare.

Altri aspetti saranno considerati nell’affrontare alcuni specifici temi.

Capp. 8-9. Già nel cap. 1 c’è un primo invito fatto dalla saggezza (vv. 20-33), discorso che poi si approfondisce in questi

due capitoli. Il fatto che la saggezza parli come fosse una persona ha dato luogo ad ipotesi interpretative varie, ma è

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evidente che per l’Ebreo del tempo di Salomone si trattava di un espediente letterario. Noi ci fermiamo al testo in sé, riconoscendo però che sono possibili e lecite applicazioni di vario tipo.

Il messaggio più importante che abbiamo colto è che la saggezza permea tutta la creazione; la saggezza infatti dice: «Fui generata prima che i monti fossero formati […] Quand’egli disponeva i cieli io ero là […] Chi mi trova infatti trova la vita e ottiene il favore del Signore. Ma chi pecca contro di me, fa torto a sé stesso; tutti quelli che mi odiano, amano la morte» (8:24:36). È un messaggio tutt’altro che scontato, perché l’idea più diffusa è che nel mondo prevalga il disordine, cioè che le fondamenta del mondo non abbiano una logica sensata, come invece affermano questi due capitoli.

Il discorso sulla saggezza dei capp. 8-9 è perciò basilare, perché il successo della persona saggia e l’insuccesso dello stolto sono determinati proprio dal fatto che, nel mondo, si riflette in qualche modo la giustizia e la bontà di un Creatore, che continua ad esserne anche il Signore.

Capp. 10-29. Proverbi di Salomone e di altri.

È il cuore di tutto il libro. Ogni proverbio affronta un argomento con un riassunto telegrafico di due frasi, perciò non è possibile riassumerli, ma solo raggruppare quelli riguardanti alcuni argomenti o che sono particolarmente interessanti, come sarà fatto più avanti.

I proverbi attribuiti chiaramente a Salomone arrivano fino a 22:16, infatti in 22:17 e 24:23 si accenna al contributo di altri “saggi”, mentre il cap. 25 comincia con «Ecco altri proverbi di Salomone, raccolti dalla gente di Ezechia, re di Giuda». Fra Salomone ed Ezechia ci sono circa due secoli (cfr. tabella a p. 73 della Seconda Parte, tenendo presente che Roboamo era figlio di Salomone), perciò sembra improbabile che al tempo di Ezechia siano stati messi per scritto dei proverbi di Salomone tramandatisi oralmente. Appare invece più verosimile che, dopo Salomone, altri lo abbiano imitato, formulando proverbi con quello stesso stile. “Proverbi di Salomone”, perciò, in questo caso potrebbe avere il significato di “proverbi sul modello di quelli di Salomone”.

Per i Proverbi, insomma, sembra essersi verificata la stessa dinamica che abbiamo vista nei Salmi: iniziati e sviluppati da Davide, ma poi scritti anche da altri (Asaf, Figli di Core e molti di Anonimi).

Cap. 30-31. Parole di Agur e di Lemuel.

In questi due capitoli finali viene ripreso lo stile discorsivo dei primi nove. Il cap. 30 è attribuito ad Agur, mentre l’ultimo capitolo (cioè il 31) è attribuito a Lemuel. Gli ultimi versetti del cap. 31 (cioè i vv. 10-31) sono perciò quelli conclusivi del libro e vengono dedicati al famoso “elogio della donna virtuosa”.

3. «SALOMONE, FIGLIO DI DAVIDE » (1:1)

A. Continuità fra Davide e Salomone.

Anche i Proverbi sono “Parola di Dio data in certe circostanze”, perciò va prima compresa nel suo contesto

originario e poi applicata alla nostra situazione. Il libro comincia con «Proverbi di Salomone, figlio di Davide, re d’Israele»; sono parole che di solito si leggono

velocemente per andare subito “alla sostanza”, ma quelle parole sono una specie di “chiave di lettura” e perciò è necessario soffermarcisi.

Salomone era “Figlio di Davide” non soltanto in senso genetico, ma anche per il tipo di missione da compiere: Davide e Salomone, infatti, costituiscono una “coppia funzionale” simile a Mosè-Giosuè e Elia-Eliseo. Senza Giosuè, per esempio, l’opera di Mosè sarebbe stata incompleta, perciò Giosuè va visto all’interno della missione assegnata da Dio a Mosè (Num 27:15-20). Anche la vita di Elia si interrompe prima del completamento della sua opera ed è Eliseo che è chiamato a portarla avanti (1Re 19:14-18).

Attraverso Davide, Dio voleva dare un esempio di come funziona una nazione quando c’è a capo un suo servo fedele, seguito anche dal popolo (1Sam 13:14; 16:13; 2Sam 5:3). Davide percepì chiaramente che, senza la costruzione del Tempio, la sua missione sarebbe stata incompiuta, vide così in Salomone colui che avrebbe concluso quel disegno di Dio del quale aveva gettate le fondamenta (2Sam 7:1-16).

Salomone non divenne re e non proseguì l’opera di Davide per caso, ma fu Dio stesso a sceglierlo, ad incaricarlo ed a benedirlo, in modo che Salomone potesse fare ciò che Dio desiderava. Abramo e Mosè furono trattati da Dio come amici (Es 33:11; Is 41:8), ma per Salomone fece qualcosa di più e di unico, dato che lo adottò come suo figlio (1Cro 28:6). Dio amò Salomone al punto che il profeta Natan gli mise il soprannome di “Iedidia”, cioè “Diletto del Signore” (2Sam 12:25).

Salomone, così, era sia “Figlio di Davide” che “Figlio di Dio” e questa doppia paternità fece immaginare cose meravigliose anche per la sua discendenza (“il Messia”). L’attesa di un “Figlio di Davide” ancor più “divino” di Salomone si può cogliere soprattutto nei “Salmi messianici” (vedere Ottava Parte, “Davide e i Salmi”, par. 8), ma anche qui nei Proverbi (par. 7/M, la parte sui “Re divini”).

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Attraverso Salomone, insomma, Dio volle realizzare un progetto straordinario, che rappresentò un abbozzo di “Regno di Dio” e che si espresse almeno in tre modi: nel Tempio, nella costruzione di uno “Stato modello” e nella sapienza dei Proverbi. La degenerazione in vecchiaia di Salomone non intaccò la bellezza dell’opera che Dio volle che facesse, così come un grattacielo non cessa di meravigliare e di stare in piedi anche se poi l’ingegnere che lo ha fatto impazzisce.

B. Continuità fra Salmi e Proverbi.

La continuità fra Davide e Salomone, così, si riflette sulla continuità fra i Salmi e i Proverbi. La continuità più

forte è data dal fatto che, come abbiamo visto nei Salmi, anche i Proverbi si rivolgono al singolo. Abbiamo notato come molti Salmi siano “di lotta” (vedi Ottava Parte, p. 32), nel senso che fanno vedere un

contesto di scontro fra chi vuole osservare la legge e i malvagi, nonostante che ambedue i gruppi siano fatti prevalentemente da circoncisi; nei Proverbi questo contrasto fra il “saggio” e lo “stolto” non solo è presente, ma permea tutto il libro, escludendo qualsiasi possibilità di intesa fra le due categorie (26:4; 29:9,27).

Anche per i Proverbi, perciò, il vero popolo di Dio è dato non da tutti i circoncisi, ma tutti quelli che temono veramente il Signore, mentre sono sgraditi a Dio non solo i sacrifici animali, ma perfino le preghiere di quelli che conducono una vita disordinata (15:8; 21:27; 28:9).

Come i Salmi, anche i Proverbi sono un “inno alla vita”, nel senso che non viene prospettata una benedizione di Dio dopo la morte, ma una giustizia “qui ed ora”; in 11:31, per esempio, è scritto che «il giusto riceve la sua retribuzione sulla terra, quanto più l’empio e il peccatore».

Come nei Salmi, anche nei Proverbi è riassunta tutta la teologia precedente, perché certe scelte pratiche si basano su una profondità dottrinale che sfugge al lettore frettoloso. Per esempio, in 19:17 è scritto: «Chi ha pietà del povero presta al Signore, che gli contraccambierà l’opera buona»; è evidentemente sottintesa l’onniscienza di un Dio che vede tutto e la sua volontà di agire in questo mondo. Se si fa attenzione, d'altronde, si può notare come la signoria di Dio e la sua bontà facciano da sottofondo a tutto il libro dei Proverbi.

Altre connessioni fra le circostanze di Salomone ed i Proverbi saranno precisate affrontando qualche argomento più in dettaglio.

C. Diversità fra Salmi e Proverbi. Per prepararsi e preparare i progetti di Dio, Davide fece una vita complessa e travagliata, mentre a Salomone

toccò la bella sorte di raccogliere quanto preparato da suo padre, portandolo a compimento. Realizzò così il Tempio (1Re 8:13) e portò a maturità il Regno, dandogli una grande prosperità, un grande ordine e manifestando una sapienza che attirava «tutti i re della terra» (1Re 4:34; 10:4-7,23-24).

I Proverbi, perciò, riflettono la saggezza di Salomone e la sua attitudine pratica, concentrandosi sugli aspetti concreti del vivere; vien detto, non a caso, che i Salmi sono per quando preghiamo, mentre i Proverbi per quando camminiamo.

Ciò fa comprendere perché, nei Proverbi, siano assenti quei numerosi riferimenti al Tempio che abbiamo trovato nei Salmi; sono pure assenti i richiami al popolo d’Israele a alla sua origine (Abramo, Mosè). Ciò è in sintonia con l’apertura verso l’esterno che ebbe Salomone, pronto ad accogliere re e gente di ogni luogo (1Re 4:34), parlando a loro con un linguaggio universale, cioè fatto di concretezza ed evitando espressioni tipiche della religiosità e della storia di Israele. Anche per questo i Proverbi risultano di una straordinaria attualità e ancor più universali dei Salmi.

Nei Proverbi sembra anche mancare quella confessione del peccato presente nei cosiddetti “Salmi penitenziali” (per es. il 51), ma in realtà c’è un costante invito a riconoscere, col comportamento, il nostro essere mancanti sotto molti aspetti. Per esempio, è lo stolto che non accetta rimproveri, ritenendosi perfetto (12:15; 15:12), mentre il saggio riconosce i suoi limiti con un atteggiamento di umiltà (15:33), con l’accettare la riprensione (9:8), nel cercare il consiglio altrui (12:15) e nel considerare che tutta la saggezza umana è insufficiente, senza la benedizione (e la grazia) di Dio (3:5; 19:21).

C’è comunque un versetto che affronta direttamente la questione del peccato e del perdono di Dio, facendolo come al solito in modo telegrafico, ma con grande chiarezza ed efficacia: «Chi copre le sue colpe non prospererà, ma chi le confessa e abbandona otterrà misericordia» (28:13).

Il Salmo 1 può essere considerato come un “riassunto introduttivo di tutti i Salmi”; afferma che, a chi si diletta nella legge di Dio (v. 2), «tutto quello che fa, prospererà» (v. 3), mentre «la via degli empi conduce alla rovina» (v. 6). Il Salmo 1, nella vita di Davide, si è nel complesso realizzato, perché effettivamente egli ha prevalso su Saul e su tutti i suoi nemici (1Cro 29:26-28); ma il percorso iniziato da Davide quando fu unto re da Samuele, assomigliò alle “montagne russe”, con periodi nei quali sembrava che fossero i nemici a trionfare su di lui (per es. 1Sam capp. 19-30).

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Il percorso di Salomone, invece, cominciò subito fra onori e prosperità, che continuarono a crescere con costanza (1Re capp. 2-10). Così, paradossalmente, il Salmo 1 è stato sperimentato da Salomone in modo più ampio di quanto vissuto da Davide ed è perciò nei Proverbi che troviamo l’applicazione più ampia e coerente del Salmo 1 (e del Salmo 23).

Il Dio della Bibbia si manifesta prima di tutto con ciò che fa, piuttosto che con i discorsi. Perciò i Proverbi non sono tanto ciò che Salomone ha pensato, ma l’espressione in parole di ciò che Dio gli ha fatto fare e vivere; non auspicano che il mondo vada in un certo modo, ma vogliono soprattutto far comprendere come realmente va il mondo.

4. I PROVERBI COME ADEMPIMENTO DELLA LEGGE DI MOSÈ

Il libro dei Proverbi afferma continuamente che Dio benedice i giusti, mentre gli empi sono presto giudicati e

vanno di male in peggio. Può sembrare un’esagerazione, ma non è certo una novità, perché già nella Genesi le storie di Abramo, Isacco, Giacobbe e Giuseppe dimostrano la benedizione di Dio sulla vita dei giusti.

Nella legge di Mosè, poi, c’è la ripetuta promessa di benedizioni sul popolo d’Israele in ogni campo (economico, sociale, militare), se metterà in pratica la legge (Deu 28:1-14).

Perciò il Regno di Salomone può considerarsi come la piena realizzazione delle benedizioni promesse da Mosè e la certificazione concreta della validità pratica della legge di Dio. La novità, come abbiamo detto, è che la “via della felicità”, prospettata da Mosè al popolo nel suo insieme, Salomone nei Proverbi la dichiara possibile anche per i singoli individui. Certo, questa “regola generale” non esclude che ci possano essere difficoltà, problemi e casi particolari, ma tutto questo non può annullare una regola di fondo che Dio ha dato.

Sul rapporto fra Salomone e Mosè c’è un altro aspetto che non va trascurato. Mosè aveva annunciato che un giorno Dio si sarebbe scelto un luogo specifico come «dimora del suo nome» (Deu 12:11) ed abbiamo visto che Davide sentì il peso di questa mancata realizzazione (par. 3/A). Senza la costruzione del Tempio, insomma, il progetto di Dio annunciato per mezzo di Mosè restava incompiuto; anche in questo senso, perciò, Salomone porta a compimento la legge di Mosè. Un compimento, però, che in qualche modo tende a chiudere quella stagione, aprendo nuovi scenari.

Dopo il grande splendore di Salomone, infatti, cominceranno e si amplieranno quei segni di disgregamento che porteranno proprio alla distruzione del Tempio, ma su tutto questo ci siamo già soffermati: sia quando abbiamo tracciato la storia dei Regni di Israele e di Giuda, sia esaminando i Profeti fino a Zaccaria.

5. FINALITÀ DEI PROVERBI

Gli obiettivi dei Proverbi sono subito esplicitamente dichiarati (1:2-7). Essi vogliono insegnare «all’uomo»

(cioè a tutti, v. 2) «il buon senso, la giustizia, l’equità, la rettitudine» (v. 3). Ne hanno particolare necessità i “semplici” e i “giovani”: i semplici perché mancano di accortezza e tutti i giovani, perché mancano di esperienza (v. 4).

Pur essendo rivolti a tutti, se ne gioveranno di più… quelli che ne hanno meno bisogno, perché chi è già un po’ saggio cercherà di aumentare la saggezza (v. 5), mentre gli stolti disprezzano proprio quella saggezza della quale avrebbero grande necessità (v. 7).

Noi li chiamiamo tutti “proverbi”, ma in realtà contengono anche allegorie (rivelazioni attraverso simboli) ed ENIGMI, cioè frasi il cui vero significato è un po’ nascosto. Così molti proverbi appaiono semplici, mentre altri sono meno facili, risultando una buona palestra per esercitarci nella comprensione della realtà.

Un aspetto preziosissimo dei Proverbi è il fatto che sono una specie di “bussola”, attraverso la quale orientarci. Ci sono infatti proverbi che sembrano contraddire altri proverbi, costringendoci a cercarne l’incastro, che una volta trovato ci permette di orientarci meglio in tutta la Parola di Dio: più avanti vedremo qualche caso concreto.

Nella cultura tradizionale, specie quella contadina, la saggezza in forma di “proverbi” era molto radicata ed a volte l’imitazione dei proverbi biblici riguardava anche la sostanza. Per esempio, «Chi disprezza, compra» è parallelo a Proverbi 20:14; «Chi va con lo zoppo, impara a zoppicare» è simile a Proverbi 13:20; «Ne uccide più la lingua che la spada» è un concetto molto diffuso nei Proverbi (vedere par. 7/F, “Parola negativa”). Non so quanto un’indagine sui “proverbi popolari” possa chiarire riguardo alla loro origine, ma certamente quelli biblici hanno ulteriormente stimolato una saggezza basata su espressioni semplici, concrete e memorizzabili.

6. IL SOLITO INTRECCIO DI LEGGE E GRAZIA

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I Proverbi riassumono un principio di legge: chi obbedisce a Dio è benedetto, chi trasgredisce è maledetto. La legge è però ribadita da uno che, come Salomone, è espressione della grazia. Salomone era infatti figlio di Bat-Sceba (1Cro 28:4-6), divenuta moglie di Davide in modo scandaloso, cioè dopo che Davide si era reso colpevole di adulterio e omicidio (2Sam 11). Il fatto che Dio, fra i diversi figli delle varie mogli di Davide, ne scelga e ne adotti uno di Bat-Sceba, mostra chiaramente come Dio voglia far in modo che la sua grazia sia sempre più grande della sua legge.

Legge e grazia si mescolano anche sotto un altro aspetto, nel senso che la legge di Dio è in sé una grazia, perché ci rivela chi è Dio e come funziona la creazione, dandoci istruzioni adatte a vivere; «affinché tu sii felice», aveva detto Mosè ad Israele (Deu 4:40) e ribadisce Salomone nei Proverbi.

7. PROVERBI RIGUARDANTI ALCUNI TEMI

AVVERTENZE.

I versetti all’interno di un gruppo sono di norma ordinati secondo la loro posizione (cioè partendo dal cap. 1). Alcuni versetti sono messi in evidenza col grassetto, ma è una scelta ovviamente opinabile.

Spesso le citazioni dei Proverbi non sono messe fra virgolette, perché sono sintetizzate o adattate. Chi va a controllare nell’originale, tenga poi presente che qui ci basiamo sulla Nuova Riveduta (1995) e che le varie traduzioni, nel caso dei Proverbi, differiscono più del solito; questo perché le frasi dei proverbi sono isolate e telegrafiche, perciò la traduzione può sfruttare il contesto meno del solito. Gli eventuali commenti sono in corsivo.

Come regola, abbiamo evitato di inserire lo stesso proverbio nell’elenco di due distinti argomenti, ma con qualche eccezione; per esempio, 29:12 dice che «Quando il sovrano dà retta alle parole bugiarde, tutti i suoi ministri sono malvagi» e sta bene sia nell’elenco sulla menzogna (F/c), sia in quello dei “Re negativi” (par. M).

A. Come vengono chiamati i credenti e i non credenti.

Nei Proverbi, come già prima nei Salmi, non ci sono mezze misure e gli uomini sono divisi in due sole

categorie: quelli che sono con Dio e quelli che sono contro Dio. All’inizio i nomi usati per le due categorie sono “saggio” e “stolto”, perciò sono quelli che privilegeremo, ma poi vengono dati anche altri nomi.

NOMI DEL SAGGIO

Saggio, 1:5; sa valutare le situazioni nella loro complessità. Retto, 2:7; corretto. Fedele, 2:8; adempie le promesse. Buono, 2:20; ama fare del bene. Integro, 2:21; intero, non doppio. Giusto, 3:33; rispettoso dei diritti di tutti. Umile, 3:34; consapevole dei suoi limiti. Prudente, 10:33; schiva i pericoli. Forte, 11:16; affronta e supera gli ostacoli. Intelligente, 17:10; capisce bene i singoli problemi. Accorto, 27:12; prudente e scaltro.

NOMI DELLO STOLTO

Stolto, 1:7; poco senno. Peccatore, 1:10; non riesce a raggiungere i suoi obiettivi. Beffardo, 1:22; deride gli altri. Insensato, 1:32; stupido. Malvagio, 2:14; si dedica a fare il male. Empio, 2:22; disprezza Dio e la sua legge. Violento, 3:31; uso illecito della forza. Perverso, 3:32; comportamento stravolto. Schernitore, 3:34; disprezza e insulta. Iniquo, 6:12; non equo, non giusto. Sciocco, 7:7; comprensione superficiale e non reale dei problemi. Crudele, 11:17; provoca sofferenza. Stupido, 12:1; non capisce. Cattivo, 13:20; gli piace fare del male agli altri. Arrogante, 14:16; tratta gli altri come inferiori.

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Presuntuoso, 14:16; si considera più sapiente di quello che è. Superbo, 16:19; si ritiene superiore. Ingenuo, 27:12; inesperto. Sanguinario, 29:10; volontà omicida.

B. La vita del saggio e quella dello stolto.

Oltre a quanto già indicano i vari nomi del saggio e dello stolto, elenchiamo altre caratteristiche, dalle quali emergono ancor più le diversità fra i due stili di vita. La variante del contrasto fra pigri e lavoratori l’abbiamo messa a parte, nel punto successivo.

IL SAGGIO

1:5. Vuole apprendere e così diventare più saggio; cfr. 9:9. 1:33. Non ha paura; cfr. 3:24-26; 28:1; 29:25. 2:21. Abiterà la terra. 3:4. Apprezzato da Dio e dagli uomini; cfr. 4:8. 3:34. Coltiva l’umiltà; cfr. 15:33; 18:12; 22:4; 29:23. 4:18. La sua via è sempre più luminosa. 9:8. Accetta la riprensione. 10:7. Anche il ricordo che lascia è una benedizione. 10:16. Usa bene il denaro. 10:24. Gli succede ciò che spera. 10:27. Vive più a lungo; cfr. 28:16. 11:5-6. La giustizia lo protegge più delle ricchezze. 11:17. Fa del bene a se stesso. 11:30. Attira a sé le persone. 11:31. Ricompensato sulla terra. 12:15. Aperto ad ascoltare consigli. 12:21. Nessun male lo colpisce. 14:32. Se cade si rialza e spera anche di fronte alla morte; cfr. 24:16. 21:15. Praticare la saggezza è per lui una gioia; cfr. 2:10; 10:23. 21:22. Scala le fortezze. 22:3. Vede il male da lontano e lo evita; cfr. 14:16; 27:12. 28:5. Capisce ogni cosa. 29:6. Canta e si rallegra. 29:8. Calma le liti. 29:9. Il dialogo con lo stolto è impossibile; cfr. 29:27. 29:10. È odiato dagli stolti.

LO STOLTO. 1:5,32. Le sue scelte producono morte; cfr. 5:22-23. 1:26. Dio riderà di lui. 2:22. Estirpati dalla terra; cfr. 10:30. 3:35. Finirà per essere disprezzato; cfr. 6:33; 10:7. 4:19. Non vede, perciò inciampa e cade. 6:12-15. Ammicca e fa segni, cioè non è trasparente; cfr. 4:25; 10:10. 9:7-8. Odia chi lo riprende; cfr. 12:1; 13:1; 15:5,12. 10:16. Non sa fare buon uso del denaro; cfr. 17:16. 10:23. Commettere delitti è per lui un divertimento; cfr. 2:14. 10:24. Gli succede ciò che teme. 11:2,16. La sua superbia gli provoca infamia; cfr. 10:7. 11:12. Disprezza il prossimo. 11:17. Tortura se stesso. 11:29. Finirà schiavo del saggio. 11:31. Sarà punito sulla terra; cfr. 11:21; 15:10. 12:15. È convinto di essere nel giusto; cfr. 14:12. 12:21. È pieno di guai.

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13:16. Fa sfoggio di follia. 13:19. Evitare il male è per lui orribile; cfr. 14:9. 17:12. Peggio incontrare lui che un animale feroce. 18:12. L’orgoglio prepara la rovina. 19:3. Dà colpa a Dio delle sue difficoltà. 21:4. Ha occhi alteri e cuor superbo. 21:20. Consuma subito tutto quello che ha, senza accantonare. 22:5. Incontrerà sulla sua via spine e lacci. 24:7. Quando sta fra i saggi, non sa cosa dire. 24:16. Quando è travolto dalla sventura, non si rialza; cfr. 14:32. 26:6. Non bisogna affidargli messaggi. 26:7,9. Una massima nella sua bocca è inopportuna e può ferire. 26:10. Non va assunto alle proprie dipendenze. 27:3. Quando si irrita è oltremodo pesante. 27:22. Non abbandona la follia anche se viene schiacciato. 28:1. Pauroso; cfr. 29:25. 28:4. Va combattuto, non lodato; cfr. 24:24; 26:8. 28:5. Non capisce ciò che è giusto. 28:17. È inseguito e distrutto dal suo peccato. 29:9. Impossibile il dialogo col saggio, il contrasto è insanabile (29:27). 29:8. Aizza le discordie.

29:10. Odia chi è integro. 29:24. Non bisogna farci società. 30:12. Si crede puro.

RISPONDERE O NO ALLO STOLTO? 26:4-5: «Non rispondere allo stolto secondo la sua follia, perché tu non gli debba somigliare. Rispondi allo stolto secondo la sua follia, perché non abbia ad apparire saggio ai propri occhi».

Siamo invitati a non rispondere ed a rispondere, sembra un’evidente contraddizione, ma i due proverbi sono posti l’uno accanto all’altro ed è perciò evidente che dobbiamo tenerli presenti ambedue, facendo un esercizio che è necessario per altri insegnamenti biblici che sembrano contraddirsi, ma che invece sono complementari.

In questo caso l’incastro si trova accostando non la prima parte dei due proverbi («Non rispondere» e «Rispondi»), ma la seconda parte, dove ci vengono indicati i due obiettivi che è necessario raggiungere. Il primo obiettivo è quello di non scendere sul terreno dello stolto, cioè non accettare il suo modo di affrontare i problemi, non mettersi in sintonia col suo stile. Se però facciamo questo con la fuga, lasciamo pensare che gli argomenti dello stolto siano inoppugnabili, allora è necessario replicare, ma brevemente e per mettere in mostra l’inconsistenza della sua logica. C. Lavorare nobilita, mentre la pigrizia è una vergogna. 6:6-11. «Va’, pigro, alla formica; considera il suo fare e diventa saggio. Fino a quando te ne starai coricato?

La tua povertà verrà come un ladro. Vedi anche 10:4-5; 12:11; 19:15; 20:13; 24:30-34; 28:19. 10:26. Come il fumo agli occhi, così è il pigro per chi lo manda. 12:10. Il giusto ha cura del suo bestiame, ma l’empio è crudele (cioè trascura, e perciò fa soffrire, anche il suo

bestiame). 12:24. I diligenti domineranno sui pigri. 12:27. Per il pigro è fatica anche arrostire la sua selvaggina. 13:23. Il campo lavorato dal povero dà cibo in abbondanza (perché il povero cerca di sfruttare al massimo il poco

che ha). 14:23. Le chiacchiere producono miseria. 15:19. La via del pigro è come una siepe di spine (preferisce non muoversi). 18:9. Essere sfaticati è come essere spendaccioni (lavorare poco è come buttar via i soldi). 19:24. Per il pigro è fatica portare il cibo in bocca; cfr. 12:27; 26:14-15. 20:4. Il pigro non ara il campo, ma poi vorrebbe mieterlo. 21:25. Il pigro è ucciso dai desideri (l’ozio stimola l’immaginazione e i desideri, ma dato che non lavora non può

soddisfarli); cfr 13:4. 22:13. Il pigro dice: «Là fuori c’è un leone; sarò ucciso per la strada». 22:29. Un uomo svelto sarà al servizio del re.

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23:20-21. Ubriaconi, golosi e dormiglioni impoveriranno; cfr. 21:17,20. 26:16. Il pigro si sente più saggio di sette uomini che lo sono veramente. 27:23-27. Controllare bene la situazione del gregge, perché è quello che fa vivere la tua famiglia (non illudersi che

le cose procedano bene da sé). D. Religiosità corretta e sbagliata.

4:23. Custodisci il tuo cuore più di ogni altra cosa, poiché da esso provengono le sorgenti della vita. 15:8. Il sacrificio degli empi è in abominio al Signore, ma la preghiera degli uomini retti gli è gradita; cfr. 21:27;

28:9. 16:30. Chi chiude gli occhi e trama cose perverse, ha già compiuto il male. 20:9. Chi può dire:«Ho purificato il mio cuore, sono puro dal mio peccato?». 20:22. Non dire: «Renderò il male»; spera nel Signore ed egli ti salverà. 20:25. È pericoloso per l’uomo prendere alla leggera un impegno sacro e riflettere solo dopo aver fatto un voto. 21:3. Praticare giustizia ed equità è per il Signore meglio dei sacrifici. 21:27. Il sacrificio dell’empio è cosa abominevole; quanto più se l’offre con intento malvagio. 24:11-12. Salva quelli che vacillando vanno al supplizio. Se dici: «Ma noi non ne sapevamo nulla!» Colui che pesa

i cuori non lo vede forse? 25:20. Cantare a un cuor dolente è come spogliarsi quando fa freddo. 28:9. Se uno volge altrove gli orecchi per non udire la legge, la sua stessa preghiera è un abominio. 28:13. Chi copre le sue colpe non prospererà, ma chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia. 29:18. Se il popolo non ha rivelazioni è senza freno, ma beato colui che osserva la legge. E. Reagire con calma, non con irruenza. 12:16. Lo stolto lascia scorger subito il suo cruccio, ma chi dissimila un affronto è uomo prudente. 14:29. Chi è lento all’ira ha molto buon senso, ma chi è pronto ad andare in collera mostra la sua follia;

cfr.14:17; 16:32; 29:11,22. 15:1. La risposta dolce calma il furore, quella dura eccita l’ira; cfr. 15:18. 17:27. Chi modera le sue parole possiede la scienza e chi ha lo spirito calmo è un uomo prudente; vedi anche

10:19; 13:3; 15:28; 21:23. 18:2. Lo stolto non prende piacere nella prudenza, ma soltanto nel manifestare ciò che ha nel cuore. 18:13. Chi risponde prima di aver ascoltato, mostra la sua follia e rimane confuso; vedi anche 29:20. 19:2. Lo zelo senza conoscenza non è cosa buona; chi cammina in fretta sbaglia strada. 19:11. Il senno rende l’uomo lento all’ira ed egli considera suo onore passare sopra le offese; vedi anche 20:3. 25:15. Chi è lento all’ira piega un principe. 25:28. Chi è senza autocontrollo è come una città priva di mura. F. La parola: una grande forza, positiva o negativa

«Morte e vita sono in potere della lingua» (18:21)

a) Parola positiva. 10:11. È fonte di vita; cfr. 10:21, 10:31. Fa fiorire la saggezza, 11:12. Sa limitarsi col tacere. 12:6. Procura liberazione e guarigione. 12:14. Procura beni a sazietà. 12:18. Procura guarigione. 12:19. È stabile. 12:25. Rallegra; cfr. 27:9. 13:3. Protegge. 13:5. Odia la menzogna. 15:2. È ricca di scienza. 15:4. Porta la calma. 15:28. È meditata. 20:15. Più preziosa di oro e perle. 25:15. La lingua dolce spezza le ossa. 28:23. Alla fine, chi corregge è più accettato di chi lusinga.

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b) Parola negativa in genere. 2:12. Alcuni amano parlare di cose perverse. 5:3. La parola dolce dell’adultera è un inganno; cfr. 7:21. 10:8. Chi ha labbra stolte va in rovina; cfr. 18:7. 10:11. La bocca degli empi nasconde violenza; cfr. 10:6. 11:9. La bocca dell’ipocrita rovina il suo prossimo; cfr. 13:5; 16:27. 11:11. La bocca dell’empio rovina la città. 11:13. Chi va sparlando svela i segreti. 12:6. Le parole dell’empio insidiano la vita. 12:18. Parlando senza riflettere si può trafiggere come con la spada. 13:3. Chi parla troppo si rovina; cfr. 10:19; 18:7. 14:3. Lo stolto parla con superbia. 15:2. La parola dello stolto è follia; cfr. 15:14. 15:4. La lingua perversa strazia lo spirito. 15:28. Dall’empio escono parole malvage; cfr. 10:32. 16:28. Il maldicente fa litigare perfino gli amici. Cfr. 18:6; 26:20-21. 18:8. Le maldicenze penetrano nell’intimo delle viscere. 20:19. Non immischiarsi con chi parla troppo. c) Il grande male della menzogna. 4:24. Rimuovi da te la perversità della bocca e la falsità delle labbra. 6:12. L’uomo iniquo ha la falsità sulle labbra. 6:16-17. Il Signore odia la lingua bugiarda. Vedi anche 12:22. 6:19. Il Signore odia il falso testimone. Vedi anche 12:17; 14:5; 14:25. 10:18. Chi dissimula l’odio è bugiardo e chi sparge calunnie è stolto. 12:19. Il labbro veritiero è stabile, ma la lingua bugiarda dura un istante. 13:5. Il giusto odia la menzogna, ma l’empio getta discredito su altri. 17:4. Il malvagio dà ascolto alle iniquità e il bugiardo alla cattiva lingua. 17:7. Le labbra bugiarde non si addicono a un principe. 17:20. Il cuore falso non trova il bene e la lingua perversa va in sciagura. 19:5. Chi spaccia menzogne non scamperà. Cfr. 10:31; 19:9; 21:8. 19:22. Un povero vale più di un bugiardo. 21:6. I tesori acquistati con menzogna sono fugaci e portano morte. 24:28. Non testimoniare, senza motivo, contro il tuo prossimo. 25:18. Chi dichiara il falso sull’altro, è martello, spada, freccia acuta. 26:24. Chi odia parla con dissimulazione; ma, dentro, medita l’inganno. 26:28. Il bugiardo odia chi ha ferito e la bocca adulatrice produce rovina. 29:12. Quando il sovrano dà retta alle bugie, i suoi ministri sono malvagi. 30:6. Non aggiungere nulla alle parole di Dio, per non essere bugiardo. 30:8. Allontana da me vanità e parola bugiarda. G. La donna: una trappola o una delizia. a) Adultere e prostitute: sembrano dolci, ma sono amarissime. 2:10-19. La saggezza ti salverà dalla donna adultera, dall’infedele che usa parole seducenti, che ha abbandonato il

compagno della sua gioventù e ha dimenticato il patto del suo Dio. I suoi sentieri conducono ai defunti. 5:1-23. La bocca dell’adultera è più morbida dell’olio; ma la fine a cui conduce è amara come il veleno, i suoi

passi portano al soggiorno dei morti (3-5). Non ti accostare alla porta della sua casa, per non dare ad altri il fiore della tua gioventù, perché tu non abbia a gemere quando verrà la tua fine e tu non dica: «Come ha potuto il mio cuore disprezzare la riprensione?» (8-12). L’empio sarà preso nelle proprie iniquità, tenuto stretto dalle funi del suo peccato. Egli morirà per mancanza di correzione, andrà vacillando per la grandezza della sua follia (22-23).

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All’interno di questo brano, dedicato a ciò che un giovane non deve fare, ci sono i magnifici versetti 18-19 che mettono davanti l’alternativa, cioè quella di «vivere lieto con la sposa della gioventù», come metteremo meglio in evidenza nel paragrafo successivo.

6:20-35. Non desiderare in cuor tuo la bellezza della donna malvagia, poiché per una donna corrotta ci si riduce ad un pezzo di pane (25-26). Chi commette adulterio è privo di senno, rovina se stesso e la sua vergogna non sarà mai cancellata (32-33).

7:1-27. Vidi tra gli sciocchi un ragazzo privo di senno (7). Ecco farglisi incontro una donna in abito da prostituta e astuta di cuore, turbolenta e proterva; lo prese, lo baciò e sfacciatamente gli disse (10-13): «Vieni, inebriamoci d’amore fino al mattino» (18). Egli le andò dietro subito, come un bue va al macello, finché una freccia gli trapassi il fegato (22-23). La casa di quella donna è la via del soggiorno dei morti (27).

9:13-18. La follia è qui paragonata ad un’adultera simile a quella di 7:1-27. 22:14. La bocca delle donne corrotte è una fossa profonda; chi subisce l’ira del Signore vi cadrà dentro; cfr. 23:27-

28. 30:20. La donna adultera dice: «Non ho fatto nulla di male!» b) La moglie può essere una delizia, o un tarlo. 5:15-19. Bevi l’acqua viva del tuo pozzo. I tuoi ruscelli devono forse scorrere per le strade. Vivi lieto con la

sposa della tua gioventù. Cerva d’amore, capriola di grazia, le sue mammelle t’inebrino in ogni tempo e sii sempre rapito nell’affetto suo.

Il contenuto di questi versetti, e la simbologia con la quale essi si esprimono, sono fondamentali nella comprensione del Cantico dei Cantici, come vedremo.

11:16. La donna che ha grazia riceve onore. 11:22. Donna bella e senza giudizio, è un anello d’oro nel grifo di un porco. 12:4. La donna virtuosa è la corona del marito, ma quella che fa vergogna gli è un tarlo nelle ossa. 14:1. La donna saggia costruisce la sua casa, ma la stolta l’abbatte con le proprie mani. 18:22. Trovare moglie è trovare un bene e ottenere un favore dal Signore. 21:9,19. Meglio abitare nel canto di un tetto o nel deserto, che in una gran casa con una moglie rissosa e

stizzosa. Ripetizione in 25:24. 27:15-16; 19:13. Una donna rissosa assomiglia al gocciolar continuo di un tetto in un giorno di gran pioggia. Chi la

vuol trattenere vuol trattenere il vento e stringere l’olio nella sua destra. 31:10-31. Una donna virtuosa chi la troverà? Il suo pregio sorpassa quello delle perle. Il cuore del marito confida in

lei. Lavora gioiosa con le proprie mani. Posa l’occhio sopra un campo e l’acquista. Porge le mani al bisognoso. Suo marito è rispettato alle porte della città. Forza e dignità sono il suo manto. Apre la bocca con saggezza. I suoi figli la proclamano beata. La grazia è ingannevole e la bellezza è cosa vana, ma la donna che teme il Signore è quella che sarà lodata.

H. Gestione dell’economia. a) Principi generali. 3:9-10. Onora il Signore con i tuoi beni e i tuoi granai saranno ricolmi. 10:3. Il Signore non permette che il giusto soffra la fame, ma respinge insoddisfatta l’avidità degli empi. 10:22. Quel che fa ricchi è la benedizione del Signore e il tormento che uno si dà non le aggiunge nulla. Cfr.

Salmo 127:1-2, pure di Salomone. 11:4. Le ricchezze non servono a nulla nel giorno dell’ira, ma la giustizia salva dalla morte. 11:24. C’è chi offre largamente e diventa più ricco, e chi risparmia più del giusto e non fa che impoverire. 11:26. Chi fa incetta del grano è maledetto dal popolo, ma la benedizione è sul capo di chi lo vende. 13:7. C’è chi fa il ricco e non ha nulla, e c’è chi fa il povero e ha grandi beni. 13:11. La ricchezza male acquistata va diminuendo, ma chi accumula a poco a poco l’aumenta. 14:4. Dove mancano i buoi è vuoto il granaio, ma l’abbondanza della raccolta sta nella forza del bue.

Il bue è una spesa, ma è molto forte e permette di arare il terreno in profondità, favorendo così una raccolta abbondante: insomma, è un invito a fare “investimenti produttivi”.

14:20. Il povero è odiato anche dal suo compagno, ma gli amici del ricco sono molti. Cfr. 19:4-7. 21:5. I disegni dell’uomo diligente conducono sicuramente all’abbondanza, ma chi troppo si affretta cade

nella miseria. 21:6. I tesori acquistati con lingua bugiarda sono un soffio fugace di gente che cerca la morte; vedi anche 1:19;

10:2; 12:3; 15:27. 22:2. Il ricco e il povero s’incontrano; il Signore li ha fatti tutti e due.

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22:7. Chi prende in prestito è schiavo di chi presta. 22:29. Chi è veloce nelle sue faccende sarà al servizio del re. 23:4-5. Non ti affannare per diventar ricco, non applicarvi la tua intelligenza, perché la ricchezza si fa delle

ali e se ne vola via. 24:3-4. La casa si costruisce con saggezza e si rende stabile con la prudenza.

La prudenza viene dopo, quando si ha qualcosa da perdere. 24:27. Sistema bene i tuoi campi, poi ti fabbricherai la casa; cfr. 27:23-27.

Prima aumentare la produzione e poi goderne i frutti. 26:10. Chi impiega lo stolto e il primo che capita è come chi ferisce tutti.

In quel tempo, ancora più di adesso, erano molti a cercare lavoro. Dare lavoro senza valutare chi si assume, cioè fare del bene a tutti indistintamente, è considerato come fare del male. Sembra un paradosso, ma è molto efficace contro un buonismo insipido che spesso è solo parolaio perché, essendo fuori dalla realtà, non può durare.

28:11. Il ricco si ritiene saggio, ma il povero, che è intelligente, lo scruta. b) Farsi garanti per altri: una trappola pericolosissima. 6:1-5. Se ti sei reso garante per il prossimo, sei prigioniero delle tue parole. Disimpégnati, perché sei caduto

nelle mani di un altro. Líberati, come il capriolo dalla mano del cacciatore. 17:17-18. L’amico ama sempre; chi non ha senno si fa garante per altri.

Sembrano due concetti contrastanti, ma si possono armonizzare se si considera che amare significa dare ciò che si può, mentre farsi garanti significa rischiare di ridurci in miseria insieme alla nostra famiglia.

22:26-27. Non dare cauzione: perché esporti a farti portare via il letto? 27:12-13. L’uomo accorto vede il male e si mette al riparo, ma gli ingenui proseguono e ne pagano le conseguenze;

prendigli il vestito, perché ha fatto cauzione per altri. L’uomo accorto vede il male da lontano e prende le contromisure, mentre l’ingenuo prosegue fiducioso

anche quando ha davanti un pericolo che non vede. Fare cauzione non comporta sul momento alcun guaio, ma potrebbe portarne molti in seguito. In ogni caso, con la cauzione affidiamo la nostra sorte al comportamento degli altri e ciò, oltre ad essere un male in sé, non può che procurarci apprensione. Cfr. anche 20:16.

c) Correzione dei sottoposti.

Oggi le punizioni fisiche sono considerate inaccettabili; i Proverbi le prevedono di livello moderato e qualcuno

ne conclude che, evidentemente, riflettono un mondo ormai superato. Per chi crede che i Proverbi siano “Parola di Dio”, però, è un modo di risolvere il problema che ne pone molti altri. Non ci dilunghiamo, perché facciamo un riassunto e non un commento, limitandoci ad elencare i versetti che riguardano l’argomento. Notiamo soltanto che fra i servi di Salomone non c’erano certo i beffardi (22:10) e ciascuno, nello svolgere con ordine il proprio compito, accontentava il re, si sentiva soddisfatto in sé e veniva ammirato dagli ospiti; la regina di Seba, per esempio, arrivò a dire: «Beati i tuoi servitori» (1Re 10:8). 17:10. Un rimprovero fa più impressione all’uomo intelligente, che cento percosse allo stolto. 19:19. L’uomo dalla collera violenta deve essere punito; perché, se lo liberi, dovrai tornare daccapo. 19:25. Percuoti il beffardo e l’ingenuo diventerà prudente; cfr. 21:11. 19:29. I giudici sono stabiliti per i beffardi e le percosse per il dorso degli stolti; cfr. 10:13; 26:3. 20:30. Le battiture che piagano guariscono il male; così le percosse che vanno in fondo al cuore. 22:10. Caccia via il beffardo, cesseranno le liti e le offese. 24:24-25. Chi dice all’empio: «Tu sei giusto», i popoli lo malediranno, ma su quelli che sanno punire scenderanno

benedizione e prosperità. 29:19. Uno schiavo non si corregge a parole; anche se comprende, non ubbidisce. 29:21. Se uno alleva delicatamente da bambino il suo schiavo, questo finirà per credersi figlio.

In altre parole, essere buoni va bene, ma senza suscitare illusioni, altrimenti va a finire che si fa del male “non volendo”.

d) Sostenere il prossimo. 11:25. Chi è benefico sarà nell’abbondanza e chi annaffia sarà annaffiato; cfr. 22:9. 14:21. Chi disprezza il prossimo pecca, ma beato chi ha pietà dei miseri; cfr. 22:22-23; 30:14. 14:31. Chi opprime il povero offende colui che l’ha fatto, che è invece onorato da chi ha pietà del bisognoso; cfr.

17:5.

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In ogni uomo c’è il riflesso di Dio, perciò bisogna rispettare tutti. 18:23. Il povero parla supplicando e il ricco risponde con durezza.

Il ricco è oggetto di molte richieste e sviluppa facilmente un senso di fastidio: il proverbio sta descrivendo una realtà, non dando un consiglio.

19:17. Chi ha pietà del povero presta al Signore, che gli contraccambierà l’opera buona. Qualcuno fa del bene come “sacrificio”; per i Proverbi, invece, fare del bene è un atto di fiducia nella

Provvidenza ed è saggezza. 21:13. Chi non ascolta il povero non sarà ascoltato da Dio. 21:21. Chi ricerca la giustizia e la bontà troverà vita, giustizia e gloria. Portare avanti giustizia e bontà insieme non

è facile, ma è necessario. 21:26. Il giusto dona senza mai rifiutare; cfr. 3:27-28. [Vedere il commento in fondo a questo elenco]. 22:2. Il ricco e il povero s’incontrano: Dio ha fatto ambedue; cfr. 29:13. 22:16. Chi opprime il povero, l’arricchisce; chi dona al ricco, l’impoverisce.

È un proverbio che sembra paradossale e che proverò a spiegare (ricordando un amico che per la prima volta me lo fece notare). Il povero, quando è oppresso, è stimolato a reagire e ad organizzarsi: per lui può essere utile, ma l’oppressore potrebbe anche essere punito (a meno che la sua durezza non abbia una consapevole finalità educativa). Donare al ricco lo sminuisce nel suo ruolo e nel suo orgoglio… e lo fa anche impoverire economicamente, perché se un ricco riceve un dono, tenderà a rispondere con un dono maggiore. Il donare al ricco dovrebbe essere conveniente, insomma… e il più ricco di tutti è Dio, che infatti moltiplica i doni che gli facciamo o che ci dice di fare (che poi sono una parte di quel che ci ha donato).

25:14. Nuvole e vento, ma senza pioggia; ecco l’uomo che si vanta falsamente della sua generosità. 28:3. Un povero che opprime i miseri è come una pioggia che non dà pane.

Un povero che opprime è facilmente preso più dalle sue necessità che dalla compassione verso chi sta peggio, perciò l’oppressione del ricco è in genere meno dannosa.

28:8. L’usuraio accumula per colui che ha pietà dei poveri. 28:27. Chi dona al povero non sarà mai nel bisogno, ma chi chiude gli occhi sarà coperto di maledizioni. 30:10. Non calunniare il servo presso il suo padrone. 31:8-9. Sostieni la causa del muto e di tutti gli infelici; cfr. 23:10-11; 29:7. DARE SENZA REGOLE E SENZA LIMITI?

Questi proverbi, specie il 21:26 che invita a non rifiutarsi mai di donare, potrebbero far pensare che un credente debba donare senza limiti. Considerando anche altri proverbi, però, il quadro diviene più complesso. In 1:26, per esempio, è scritto che Dio “riderà” delle sventure che lo stolto si procura col suo comportamento e in 10:3 che «Dio respinge insoddisfatta l’avidità degli empi». In 6:10 abbiamo anche visto che non bisogna far del bene alla cieca. Il non rifiutarsi mai di 21:26, perciò, è un atteggiamento generale che non deve arrivare ad incoraggiare la condotta disordinata degli stolti e dei pigri, come non significa arrivare a farsi garanti (cfr. H/b).

Un conto, insomma, è chi si trova nel bisogno per causa propria, cioè perché non vuol lavorare o perché spende tutto e per fini perversi (10:16; 17:16; 21:20); altro conto è invece quando il bisogno deriva non da colpe, ma da fattori esterni.

Un proverbio molto interessante è 11:24, il quale afferma che c’è un modo di essere generosi che, paradossalmente, fa diventare più ricchi, perciò in grado di essere ancor più generosi (è un cosiddetto “ciclo virtuoso”, insomma); questo insegnamento i Proverbi lo trasmettono anche attraverso il ritratto della “donna virtuosa” del cap. 31, che aumenta le sue proprietà (v. 16) nonostante aiuti i bisognosi (v. 20); o forse prospera proprio perché aiuta i bisognosi? Quest’ultima interpretazione è suffragata, per esempio, da 19:17, dove si afferma che donare al povero è un “prestare al Signore”, cioè prestare ad un Dio generoso e che non ama rimanere in debito: l’usuraio di 28:8, insomma, non sospetta che gli interessi più alti potrebbe ottenerli proprio dando soldi a quei poveri che non sono in grado di rimborsarlo! I. Genitori e figli.

Una famiglia italiana è andata in vacanza in un paese scandinavo ed il padre ha dato uno schiaffo al figlio

disubbidiente: è stato subito arrestato! Un episodio che fa ben comprendere quanto oggi sia difficile accettare i consigli dei Proverbi sulla disciplina dei figli. Considereremo le parole sull’educazione dei figli rivolte ai genitori e poi gli inviti ai figli ad obbedire ed onorare i genitori, ricordando che comunque tutto il libro dei Proverbi (e in particolar modo i primi sette capitoli) sono proprio diretti ad un figlio. AI GENITORI. 13:24. Chi risparmia la verga odia suo figlio, ma chi lo ama lo corregge. 19:18. Castiga tuo figlio, mentre c’è ancora speranza, ma non lasciarti andare fino a farlo morire.

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20:11. Il bambino dimostra con i suoi atti se la sua condotta sarà pura e retta. 22:6. Insegna al ragazzo la condotta che deve tenere; anche quando sarà vecchio non se ne allontanerà. 22:15. La follia è legata al cuore del bambino, ma la verga della correzione l’allontanerà da lui. 23:13-14. Non risparmiare la correzione al bambino; se lo batti con la verga non ne morrà, ma lo salverai dal

soggiorno dei morti. 29:15. La verga e la riprensione danno saggezza; ma il ragazzo lasciato a se stesso fa vergogna a sua madre. 29:17. Correggi tuo figlio; egli ti darà conforto e procurerà gioia. AI FIGLI. 1:8-9. Ascolta, figlio mio, l’istruzione di tuo padre e non rifiutare l’insegnamento di tua madre; poiché saranno una

corona di grazia sul tuo capo e monili al tuo collo; vedi anche 5:1-2; 6:20-22; 8:32; 19:27; 31:1. 2:1-5. Figlio mio, se ricevi le mie parole prestando orecchio alla saggezza, se ti dai a scavarla come un tesoro,

allora comprenderai il timore del Signore e troverai la scienza di Dio. 3:1-4. Figlio mio, bontà e verità non ti abbandonino; troverai così grazia e buon senso agli occhi di Dio e

degli uomini; cfr. 4:1-6,20-22; 7:1-4. 10:1. Un figlio saggio rallegra suo padre, ma un figlio stolto è un dolore per sua madre; vedi anche 15:20; 17:21,25;

19:13,26; 23:15-16,24-25; 27:11. 17:2. Un servo sagace dominerà su un figlio che fa vergogna. 20:20. Chi maledice suo padre e sua madre, avrà la lucerna spenta nelle tenebre più fitte; vedi anche

30:11,17. 23:22. Dà retta a tuo padre e non disprezzare tua madre quando sarà vecchia. 23:26. Figlio mio, dammi il tuo cuore e prendi piacere nelle mie vie. 28:24. Chi ruba ai genitori e dice: «Non è un delitto!» È come il dissipatore. L. Alcuni esempi di accortezza. a) Usare il vino, ma senza abusarne.

La Bibbia considera normale avere una vigna e bere del vino, ma abusarne è un’altra cosa.

20:1. Il vino ti prende in giro e, se te ne lasci sopraffare, non sei saggio. 21:17. Chi ama il vino non arricchirà. 23:29-35. Il vino in eccesso morde come un serpente. 31:4-7. L’autorità lo eviti, ma un po’ di vino può aiutare chi sta male.

b) Evitare di far causa, se possibile. 17:14. Cominciare una contesa è dar la stura all’acqua; perciò ritirati prima che la lite s’inasprisca. 17:19. Chi ama le liti ama il peccato. 18:17. Il primo a perorare la propria causa pare che abbia ragione; ma viene l’altra parte e lo mette alla prova. 20:3. È una gloria per l’uomo l’astenersi dalle contese, ma chiunque è insensato mostra i denti. 25:8. Non ti affrettare a intentare processi, perché alla fine tu non sappia che fare, quando il tuo prossimo ti avrà

svergognato. 25:9-10. Difendi la tua causa contro il tuo prossimo, ma non rivelare il segreto di un altro, perché chi t’ode

non ti disprezzi e la tua infamia non si cancelli più. c) Amici e nemici.

AMICI. 16:28. Il maldicente disunisce gli amici migliori. 17:9. Coprire gli sbagli procura amore, ma il tornarci sopra rovina l’amicizia. 17:17. L’amico ama in ogni tempo; è un fratello nella sventura. 18:24. Chi ha molti amici può esserne sopraffatto, ma c’è un amico che è più affezionato di un fratello. 19:4-7. Le ricchezze procurano molti amici, ma il povero è abbandonato anche dal suo compagno. Cfr. 14:20. 21:10. L’empio desidera fare il male; non ha pietà nemmeno del suo amico. 22:24. Non fare amicizia con l’uomo collerico, non andare col violento. 27:6. Chi ama ferisce, ma rimane fedele; chi odia dà abbondanza di baci. 27:9. La dolcezza di un amico, con i suoi consigli cordiali, rallegra il cuore.

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27:10. Non andare in casa del tuo fratello nel giorno della tua sventura; una persona a te vicina vale più di un fratello lontano.

NEMICI 20:22. Non rendere il male, ma spera nel Signore e ti salverà; cfr. 24:29. 24:17-18. Se il tuo nemico cade, il tuo cuore non ne gioisca, perché il Signore non lo veda e gli dispiaccia,

distogliendo l’ira sua da lui. 25:21-22. Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; perché così radunerai dei carboni accesi sul suo capo.

Questo passo e quello precedente insegnano che la gentilezza verso il nemico può essere un modo sottile per distruggerlo; quella bontà, insomma, contiene una punta di perfidia.

26:24-26. Non fidarti, quando chi odia parla con voce graziosa. M. Re e giustizia. Abbiamo messo insieme questi due temi perché, a quel tempo, l’autorità politica gestiva direttamente la giustizia (1Sam 8:20). GIUSTIZIA. 14:34. La giustizia innalza la nazione, il peccato è la vergogna dei popoli. 17:15,26. Assolvere il reo e condannare il giusto sono entrambi detestati dal Signore. Non è bene condannare un

giusto, fosse anche ad un’ammenda. 17:23. L’empio accetta regali di nascosto per pervertire la vie della giustizia; vedi anche 18:5; 24:23; 28:21. RE IN GENERALE. 14:35. Il re ha in favore il servo prudente, ma la sua ira è per chi lo offende. 16:13. I re amano chi parla rettamente. 16:14. L’ira del re è messaggio di morte, ma l’uomo saggio la placherà. 20:2. Il terrore che incute il re è come il ruggito di un leone; chi lo irrita pecca contro se stesso; cfr. 19:12. 20:26. Il re saggio passa gli empi al vaglio. 20:28. Il re rende stabile il suo trono con la bontà. 22:11. Chi ama la purezza del cuore ha il re per amico. 30:21-22. Una delle quattro cose per le quali la terra trema è quando un servo diventa re; vedi pure 19:10. 25:5. Allontana l’empio dal re e il suo trono sarà reso stabile dalla giustizia.

In 20:28 abbiamo visto che anche la bontà rende stabile il trono: a volte la giustizia sconfina nella mancanza di bontà e a volte la bontà diventa ingiusta; non bisogna perciò scegliere fra bontà e giustizia, ma occorre tenerle insieme, come succede quando il re fa giustizia ai deboli (29:14). Vedi anche 16:12; 29:4.

28:2. Quando un paese è pieno di misfatti, sono numerosi i suoi capi. In una società degenerata, non c’è più rispetto per le autorità; allora si formano varie bande, capeggiate da

malvagi sempre in guerra fra loro. 29:26. Si cerca il favore del principe, ma è al sicuro chi confida in Dio. RE NEGATIVI. 28:15. Un empio che domina un popolo povero è un orso affamato. 29:12. Quando il sovrano dà retta alle parole bugiarde, tutti i suoi ministri sono malvagi. 31:4-5. Non si addice ai re bere del vino: che a volte, dopo aver bevuto, non dimentichino la legge e calpestino così

i diritti di tutti i deboli. RE “DIVINI”. 8:15. Con la saggezza regnano i re e i principi decretano ciò che è giusto. 16:10. Sulle labbra del re sta una sentenza divina; quando pronunzia il giudizio la sua bocca non erra. 16:15. La serenità del volto del re dà la vita. 20:8. Il re, seduto sul trono della giustizia, dissipa col suo sguardo ogni male. 21:1. Il cuore del re, nella mano del Signore, è come un corso d’acqua; egli lo dirige dovunque gli piace. 25:3. L’altezza del cielo, la profondità della terra e il cuore dei re non si possono investigare. 24:21. Temi il Signore e il re, e non mischiarti con gli uomini turbolenti. COMMENTO SUI RE “DIVINI”.

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I Proverbi si caratterizzano per semplicità e concretezza, ma non questi che vedono i re in una luce “divina”. Per esempio, dove sono i re che non sbagliano mai (16:10)? Che con lo sguardo fanno svanire ogni male (20:8)? Che sono completamente diretti dal Signore (21:1)?

All’inizio vien detto che il libro conterrà istruzioni (1:2), ma anche enigmi (1:6), e questo sembra proprio un enigma (cioè un indovinello, qualcosa il cui significato è velato).

Prima di tutto c’è da osservare che Salomone in qualche misura fu effettivamente un re di quel tipo, essendo adottato come Figlio di Dio (1Cro 22:10) e con Dio che benedisse oltremisura il suo Regno (1Re 10:18-24).

C’è poi da rilevare che, nell’ottica biblica, Dio insegnò già col primo re Saul che, al di là dal suo comportamento, il re rivestiva un ruolo sacro: Davide, infatti, non osò reagire alla ingiustificata persecuzione di Saul, alla cui morte compose addirittura un lamento! (1Sam 24:1-8; 2Sam 1:17-24).

Questa sacralità del re si vede in 1Cro 29:21, dov’è raccontato che Davide invitò il popolo ad adorare il Signore e il popolo rispose prostrandosi «davanti al Signore e davanti al re»; in questo contesto è da escludere che si sia trattato di un’adorazione rivolta anche al re, perché in Israele era chiaro che il re era solo un delegato di Dio: in questo stava la sua sacralità.

Forse allora i Proverbi vogliono dirci come dobbiamo considerare il re, piuttosto che guardare a come effettivamente è (affermazione difficilissima da fare fra noi italiani, che ci divertiamo a parlar male delle nostre autorità politiche); infatti i Proverbi non ignorano che i re possono essere anche negativi (come abbiamo messo in evidenza poco sopra).

Davide, in uno dei Salmi “messianici”, aveva scritto: «Grandi liberazioni Dio accorda al suo re, usa benevolenza verso il suo unto (Messia), verso Davide e la sua discendenza in eterno». Già al tempo di Salomone, perciò, c’era l’attesa di uno “straordinario Figlio di Davide” (il Messia); Salomone non pensa di essere lui quel meraviglioso “Figlio di Davide”, ma di esserne solo un “anticipo”. Infatti nel Salmo 72 così scrive del “figlio del re” (e perciò figlio di Davide e figlio suo): «Egli dominerà da un mare all’altro e dall’Eufrate fino all’estremità della terra […] tutte le nazioni lo serviranno […] avrà compassione dell’infelice […] la gente pregherà per lui tutto il giorno, lo benedirà sempre […] il suo nome durerà in eterno […] tutte le nazioni lo proclameranno beato». Forse allora i proverbi sul re “divino” vogliono spingere il lettore proprio ad attendere quell’Unto (Messia) che doveva venire e che era già presente nel cuore di Salomone.

Si parte dal presupposto che i Proverbi non siano profetici, ma questa descrizione dei re – e più in generale il mondo di giustizia che i Proverbi adombrano – ci sembra che abbiano un’evidente proiezione profetica.

N. Insufficienza della saggezza. La persona saggia riconosce i limiti della sapienza umana e i limiti suoi personali, perciò si affida soprattutto alla provvidenza ed alla guida di Dio. 3:5. Confida nel Signore con tutto il cuore e non appoggiarti sul tuo discernimento. 14:12. C’è una via che all’uomo sembra diritta, ma conduce alla morte; vedi anche 16:2,25; 21:2. 16:3. Affida al Signore le tue opere e i tuoi progetti avranno successo. 16:9. Il cuore dell’uomo medita la sua via, ma il Signore dirige i suoi passi. 19:21. Ci sono molti disegni nel cuore dell’uomo, ma il piano del Signore è quello che sussiste. 20:24. I passi dell’uomo li dirige il Signore; come può quindi l’uomo capire la propria via? O. Temi vari. 1:7. Il timore del Signore è il principio della scienza; cfr. 9:10; 15:33. 3:31-35. Non portare invidia all’uomo violento, poiché la maledizione del Signore è nella casa dell’empio, ma

egli benedice l’abitazione dei giusti; cfr. 23:17-18; 24:19-20. 4:7-8. Acquista la saggezza; sì, a costo di quanto possiedi, acquista l’intelligenza; esaltala e ti coprirà di gloria. 4:25. I tuoi occhi guardino bene in faccia, le tue palpebre si dirigano dritto davanti a te. 8:12-19. Io, la saggezza, odio la superbia. Per mio mezzo regnano i re, e i prìncipi decretano ciò che è giusto. Per

mio mezzo governano i capi, i nobili, tutti i giudici della terra. Il mio frutto è migliore dell’oro fino. 9:12. Se sei saggio, sei saggio per te stesso; se sei beffardo, tu solo ne porterai la pena; cfr. 8:36; 11:17. 10:12. L’odio provoca liti, ma l’amore copre ogni colpa. 11:8. Il giusto è salvato dalla tribolazione e l’empio ne prende il posto. 11:14. Quando manca una saggia direzione il popolo cade; nel gran numero di consiglieri sta la salvezza; cfr.

15:22; 24:6. 11:31. Il giusto riceve la sua retribuzione sulla terra, quanto più l’empio e il peccatore! Cfr. 23:17-18; 24:19-

20. 13:8. La ricchezza di un uomo serve come riscatto della sua vita, ma il povero non ode mai minacce.

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13:12. La speranza insoddisfatta fa languire il cuore, ma il desiderio realizzato è un albero di vita. Insomma, è meglio coltivare desideri realizzabili, piuttosto che porsi davanti quelli irraggiungibili.

13:20. Chi va con i saggi diventa saggio, ma il compagno degli insensati diventa cattivo. 14:10. Il cuore sa la propria amarezza e alla sua gioia non partecipa un altro.

Condividere gioie e dolori è molto difficile, ecco perché certi legami famigliari e certe amicizie hanno un gran valore.

14:13. Anche ridendo, il cuore può essere triste. 14:15. L’ingenuo crede a tutto quello che si dice, ma l’uomo prudente fa attenzione ai suoi passi. 14:30. Un cuore calmo è la vita del corpo, ma l’invidia è la carie delle ossa. 15:3. Gli occhi del Signore sono ovunque, osservano i cattivi e i buoni. 16:7. Quando Dio gradisce le vie di un uomo, gli riconcilia anche i nemici. 17:22. Cuore allegro è un buon rimedio, ma lo spirito abbattuto fiacca l’ossa. 17:24. La saggezza sta davanti a chi ha intelligenza, ma gli occhi dello stolto vagano agli estremi confini della

terra; cfr. 14:6. 18:1. Chi si separa dagli altri cerca la sua propria soddisfazione e si irrita contro tutto ciò che è giusto. 18:16. I regali che uno fa gli aprono la strada e gli danno accesso fra i grandi; cfr. 21:14.

Regali leciti, evidentemente, non le “bustarelle” di 17:23. 18:18. La sorte fa cessare le liti e decide fra i grandi. 18:19. Un fratello offeso è più inespugnabile di una fortezza e le liti fra fratelli sono come le sbarre di un castello. 20:14. «Cattivo! Cattivo!» dice il compratore; ma poi si vanta dell’acquisto. 20:17. Il pane frodato è dolce all’uomo; ma dopo avrà in bocca la ghiaia. 22:19-21. Ti ho istruito perché la tua fiducia sia posta in Dio, per conoscere cose certe, perché tu possa rispondere

parole vere a chi t’interroga. Chi insegna la Parola di Dio deve spingere lo studente a porre fiducia nel Signore, non nell’istruttore;

insegnando non le sue particolari vedute, ma cose certe e perciò proponibili ad altri. 23:1-3. Quando ti siedi a mensa con un principe, rifletti bene su chi ti sta davanti. Non desiderare i suoi bocconi

delicati; sono un cibo ingannatore. 23:6-8. Non mangiare il pane di chi ha l’occhio maligno. Ti dirà: «Mangia e bevi!», ma il suo cuore non è conte.

Vomiterai il boccone e avrai perduto le tue belle parole. 24:10. Se ti scoraggi nel giorno dell’avversità, la tua forza è poca. 24:24. Chi dice all’empio: «Tu sei giusto», i popoli lo malediranno. 25:6-7. Non fare il vanaglorioso in presenza del re e non occupare il posto dei grandi; poiché è meglio ti sia detto:

«Sali qui», anziché essere abbassato davanti al principe che i tuoi occhi hanno visto. 25:17. Metti di rado il piede in casa del prossimo, perché egli, stufandosi di te, non abbia a odiarti. 25:26. Il giusto che vacilla davanti all’empio, è come una fontana torbida e una sorgente inquinata. 26:2. La maledizione senza motivo non raggiunge l’effetto. 26:17. Il passante che si riscalda per una contesa che non lo concerne, è come chi afferra un cane per le orecchie. 26:18-19. Come un pazzo che scaglia tizzoni, frecce e morte, così è colui che inganna il prossimo e dice: «L’ho

fatto per ridere!». 27:1. Non ti vantare del domani, poiché non sai quel che potrà succedere. 27:2. Altri ti lodi, non la tua bocca; un estraneo, non le tue labbra. 27:5. Meglio riprensione aperta, che amore nascosto. 27:17. Il ferro si affina col ferro e un uomo affina il suo amico. 27:19. Il viso si riflette nell’acqua e il cuore dell’uomo si riflette nell’uomo. 27:20. Il soggiorno dei morti e l’abisso sono insaziabili, e insaziabili sono gli occhi degli uomini. 27:21. Il crogiuolo è per l’argento e il fornello per l’oro, e l’uomo è provato dalla bocca di chi lo loda.

Se la lode ci fa gonfiare, allora la nostra umiltà è finzione; cfr. 29:5. 28:12. Quando i giusti trionfano, la gloria è grande; ma quando gli empi s’innalzano la gente si nasconde. 30:5-6. Ogni parola di Dio è affinata con il fuoco. Non aggiungere nulla. 30:8-9. Non darmi né povertà né ricchezze, cibami del pane necessario, perché io, una volta sazio non ti rinneghi o,

diventato povero, non rubi. Agur fa questa preghiera e l’umiltà dovrebbe spingerci a farla nostra, ma nella Bibbia ci sono persone a cui

Dio ha concesso di restare fedeli, sia nell’abbondanza che nelle difficoltà. 30:28. La lucertola si prende con le mani, eppure è nei palazzi dei re.

Essere tranquilli proteggere più dell’essere minacciosi. P. Una “scala di valori”.

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12:9. Meglio umili e con un servo, che boriosi e mancanti di pane. 15:16. Meglio poco col timore del Signore, che gran tesoro con turbamento; cfr. 16:8,19. 16:16. La saggezza è meglio dell’oro. 17:1. Meglio un tozzo di pane secco con la pace, che una casa piena di carni con la discordia; cfr. 15:17. 22:1. La buona reputazione è da preferirsi alle molte ricchezze. 28:6. Meglio un povero che cammina nella sua integrità, che il perverso che cammina nella doppiezza ed è ricco;

cfr. 19:1,22. Considerando non solo quelli soprastanti, ma l’insieme del libro, abbiamo ricavato una “scala dei valori” proposta dai Proverbi.

PRIMO LIVELLO. Temere il Signore e conoscerlo (1:7; 9:10; 15:33). SECONDO LIVELLO. Essere saggi e giusti (16:16; 15:16), avere il necessario per vivere (30:8), avere pace in

famiglia (5:18-19; 21:9,19). TERZO LIVELLO. Essere generosi con Dio e col prossimo (3:9-10; 11:25; 19:17), coltivare l’umiltà e non

l’orgoglio (18:12), coltivare la buona reputazione (22:1). QUARTO LIVELLO. Avere il sovrabbondante, cioè essere ricchi non è un male, se non si dimentica che le cose

soprastanti hanno più valore; perciò il desiderio di ricchezza non è un male in sé, ma non deve essere prioritario, né tantomeno dominarci (10:22; 21:5; 23:4-5).

8. ELENCHI SULLE ASSONANZE COL NUOVO TESTAMENTO

A. Passi del Nuovo Testamento che richiamano qualche proverbio.

La Bibbia che usiamo (Nuova Riveduta), come anche altre Bibbie, contiene i “riferimenti paralleli”: a margine

di un testo, cioè, sono segnalate non solo le citazioni espliciti di altri versetti della Bibbia, ma anche altri versetti similari. Il Nuovo Testamento cita esplicitamente i Proverbi solo 8 volte, ma molti di più sono i suoi richiami a concetti presenti anche nei Proverbi (in modo esclusivo o no).

Avendo scelto il “metodo progressivo” non stiamo ora a soffermarci sulla natura del Nuovo Testamento e sui suoi rapporti con i Proverbi, limitandoci a riportare un estratto di quanto abbiamo trovato nella Nuova Riveduta, dalla quale abbiamo prima ricavato l’elenco completo dei 296 collegamenti, dai quali abbiamo poi tolto quei 110 che ci sono sembrati meno evidenti: ne sono così restati quei 186 che riportiamo subito sotto, segnalando in fondo altri cinque collegamenti da noi notati.

La distribuzione dei richiami che fa il Nuovo Testamento appare grossomodo omogenea, con un solo libro che ne è privo (Seconda lettera di Giovanni, fatta di soli 13 versetti) ed un altro che ne ha la massima concentrazione, cioè la Lettera di Giacomo, non a caso incentrata sugli aspetti applicativi della fede e che, nei suoi 5 capitoli, contiene 18 richiami ai Proverbi, rappresentandone così una specie di riassunto e adattamento.

Le Lettere degli apostoli spesso iniziano con un’esposizione dottrinale, per poi concludere privilegiando gli aspetti applicativi; non a caso, perciò, i riferimenti ai Proverbi si concentrano nella seconda parte delle Lettere, come per esempio è ben visibile in quella ai Romani.

I versetti dei Proverbi sono in corsivo, gli altri no; abbiamo sottolineato le 8 citazioni vere e proprie, che sono le seguenti: Romani 12:20 cita Proverbi 25:21-22 Ebrei 12:5-6 cita Proverbi 3:11-12 Ebrei 12:13 cita Proverbi 4:26 Giacomo 4:6 cita Proverbi 3:34 1Pietro 4:8 cita Proverbi 10:12 1Pietro 5:5 cita Proverbi 3:34 2Pietro 2:22 cita Proverbi 26:11 1Corinzi 15:33 cita Proverbi 13:20

MATTEO 3:6 e Proverbi 28:13 – 5:6 e 21:21 – 5:39 e 20:20 – 5:42 e 21:26 – 6:11 e 30:8 – 6:20 e 23:4-5 – 6:22 e

4:25 – 7:6 e 23:9 – 7:7 e 8:17 – 7:13 e 14:12 – 7:25 e 10:25 – 8:13 e 21:3 – 11:30 e 3:17 – 12:34-35 e 10:20-21 – 12:37 e 13:3 – 13:43 e 4:18 – 13:44 e 4:7 – 13:46 e 3:14-15 – 15:18-19 e 4:23; 6:14 – 18:35 e 21:13 – 21:27 e 26:4-5 – 22:3 e 9:1-5 – 25:4 e 3:35 – 25:25 e 22:13 – 25:40 e 19:17 – 27:66 e 21:30. Totale 27.

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MARCO 1:5 e Proverbi 28:13 – 7:21 e 4:23 – 10:24 e 11:28 – 12:14 e 26:24-26 – 14:45 e 27:6 – 15:15 e 29:25 – 15:23 e 31:6-7. Totale 7.

LUCA 1:9 e Proverbi 16:33 – 2:52 e 3:1-4 – 6:27 e 25:21 – 6:30 e 21:26 – 6:38 e 11:25 – 7:35 e 8:32-35 – 10:35 e 19:17 – 11:13 e 1:23 – 12:19 e 27:1 – 14:9 e 25:6-7 – 14:11 e 18:12 – 14:14 e 19:17 – 14:16-17 e 9:1-3 – 14:18-21 e 1:24-28; 8:1-4 – 14:31 e 20:18 – 15:21 e 28:13 – 16:15 e 16:5 – 18:9-14 e 28:9; 28:13; 30:12-13 – 21:15 e 2:6 – 22:24 e 13:10 – 22:33 e 28:26 – 23:9 e 26:4. Totale 25.

GIOVANNI 1:1-4 e Proverbi 8:22-23 – 3:20 e 15:12 – 5:31 e 27:2 – 7:38 e 18:4 – 7:51 e 18:13 – 10:14 e 27:23 – 21:3 e 16:9. Totale 7.

ATTI 1:8 e Proverbi 14:25 – 1:26 e 16:33 – 2:13 e 14:6 – 5:2 e 26:23 – 5:9 e 31:12 – 5:36 e 27:2; 24:21-22 – 5:39 e 21:30 – 8:23 e 5:22 – 9:36 e 19:17 – 11:24 e 19:22 – 12:21-23 e 16:18 – 15:30 e 25:25 – 16:28 e 24:11 – 18:26 e 9:9 – 19:36 e 14:29; 25:8 – 19:40 e 15:1 – 27:13 e 19:21. Totale 19.

ROMANI 8:27 e Proverbi 17:3 – 11:20 e 14:16 – 12:16 e 26:12 – 12:17 e 20:22 – 12:19 e 24:29 – 12:20 e 25:21-22 – 13:1-2 e 24:21 – 13:4 e 20:8 – 13:13 e 23:20 – 14:10 e 14:21. Totale 10.

1CORINZI 2:11 e Proverbi 27:19 – 2:15 e 28:5 – 3:18 e 26:12 – 4:4 e 21:2 – 6:7 e 19:11 – 6:18 e 6:24; 7:25 – 8:2 e 26:12 – 9:7 e 27:18 – 9:19 e 11:30 – 10:12 e 28:14 – 13:7 e 10:12 – 15:33 e 13:20 – 15:58 e 14:23 – 16:7 e 19:21. Totale 15.

2CORINZI 2:4 e Proverbi 27:6 – 3:18 e 4:18 – 7:7 e 25:13 – 8:7 e 22:9 – 9:6-11 e 19:17; 11:25; 28:27 – 10:12 e 27:2; 3:7. Totale 9.

GALATI 2:12 e Proverbi 29:25 – 6:7 e 1:3. Totale 2. EFESINI 5:7 e Proverbi 1:10 – 5:15 e 14:8 – 6:1 e 6:20 – 6:14 e 12:19. Totale 4. FILIPPESI 2:20 e Proverbi 25:13 – 4:19 e 8:21. Totale 2. COLOSSESI 1:15 e Proverbi 8:22 – 4:6 e 16:23. Totale 2. 1TESSALONICESI 2:4 e Proverbi 17:3 – 5:15 e 20:22. Totale 2. 2TESSALONICESI 2:10 e Proverbi 1:29 – 3:11 e 22:11. Totale 2. 1TIMOTEO 5:13 e Proverbi 10:19 – 6:6 e 15:16 – 6:9 e 15:27; 23:4 – 6:17-19 e 19:17; 23:5. Totale 6. 2TIMOTEO 3:15 e Proverbi 22:6. Totale 1. TITO 2:4 e Proverbi 31:12 – 2:5 e 31:27. Totale 2. FILEMONE v. 17 e Proverbi 18:24. Totale 1. EBREI 4:13 e Proverbi 15:11 – 6:1 e 4:18 – 12:5-6 e 3:11-12 – 12:7 e 13:24 – 12:13 e 4:26 – 13:4 e 5:15-23 –

13:5 e 23:4. Totale 7. GIACOMO 1:5 e Proverbi 2:6 – 1:10 e 23:5 – 1:19 e 10:19;14:29 – 1:20 e 29:22 – 2:1 e 24:23 – 2:6 e 17:5 – 3:1-

12 e 10:19 – 3:2 e 21:23 – 3:6 e 16:27 – 4:2 e 14:30 – 4:3 e 28:9 – 4:14 e 27:1 – 5:1 e 11:4; 11:28 – 5:16 e 28:13 – 5:20 e 10:12; 11:30. Totale 18.

1PIETRO 2:13 e Proverbi 24:21 – 3:9 e 20:22 – 3:10 e 4:24 – 4:8 e 10:12 – 5:5 e 3:34. Totale 5. 2PIETRO 1:19 e Proverbi 6:23 – 2:17 e 25:14 – 2:22 e 21:11. Totale 3. 1GIOVANNI 1:9 e Proverbi 28:13 – 2:14 e 20:29 – 3:22 e 15:29 – 5:3 e 21:15. Totale 4. 3GIOVANNI v. 4 e Proverbi 23:24. Totale 1. GIUDA v. 12 e Proverbi 25:14. Totale 1. APOCALISSE 2:5 e Proverbi 29:1 – 3:19 e 3:11-12 – 21:8 e 19:9 – 22:18 e 30:5-6. Totale 4. RIASSUMENDO I RIFERIMENTI PER AUTORE abbiamo: Paolo (Lettere varie) 58 Luca (Vangelo e Atti) 44 Matteo (Vangelo) 27 Giacomo (Lettera) 18 Giovanni (Vang., Lettere, Apoc.) 16 Pietro (due Lettere) 8 Marco (Vangelo) 7 Ebrei (Lettera) 7 Giuda (Lettera)

1 TOTALE

186 B. Quali proverbi sono richiamati dal Nuovo Testamento.

È pure interessante vedere come si distribuiscono i richiami del Nuovo Testamento verso i Proverbi.

PROVERBI RICHIAMATI 6 VOLTE (2 casi).

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19:17: Chi ha pietà del povero presta al Signore. In Mat 25:40; Lu 10:35 e 14:14; At 9:36; 2Cor 9:6-11; 1Tim 6:17-19.

28:13: Chi copre le sue colpe non prospererà, ma chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia. In Mat 3:6; Mar 1:5; Lu 15:21; 18:9-14; Gia 5:16; 1Gio 1:9.

PROVERBIO RICHIAMATO 5 VOLTE (1 caso). 23:4-5: Non ti affannare per diventar ricco, perché la ricchezza si fa delle ali. In Mat 6:20; 1Tim 6:9 e 6:17-19; Ebr

13:5; Gia 1:10. PROVERBI RICHIAMATI 3 VOLTE (7 casi). 4:18: Il sentiero dei giusti è come una luce che splende sempre più. In Mat 13:43; 2Cor 3:18; Ebr 6:1. 10:12: L’odio provoca liti, ma l’amore copre ogni colpa. In 1Cor 13:7; Gia 5:20; 1Pie 4:8. 10:19: In molte parole non manca la colpa. In 1Tim 5:13; Gia 1:19; 3:1-12. 20:22: Non dire: «Renderò il male»; spera nel Signore ed egli ti salverà. In Rom 12:17; 1Tes 5:15; 1Pie 3:9. 24:21: Temi il Signore e il re. In At 5:36; Rom 5:36; 1Pie 2:13. 26:12: Chi si crede saggio è peggio dello stolto. Rom 12:16; 1Cor 3:18; 8:2. 27:2: Altri ti lodi, non la tua bocca. In Gio 5:31; At 5:36; 2Co 10:11. PROVERBI RICHIAMATI 2 VOLTE (24 casi). 2:6; 3:11-12; 4:23; 5:22; 8:22-25; 9:1-3; 11:25; 11:28; 11:30; 14:29; 16:33; 17:3; 19:21; 21:26; 21:30; 25:13; 25:14; 25:21; 26:4; 27:1; 27:6; 28:9; 29:25; 31:12. PROVERBI RICHIAMATI UNA SOLA VOLTA (100 casi). 1:3, 10, 23, 24-28, 29. 2: 3:1-4, 7, 14-15, 17, 34, 35. 4:7, 24, 25, 26. 5: 6:14, 20, 23, 24. 7:25. 8:1-4, 17, 21, 32-35. 9:9. 10:20-21, 25. 11:4. 12:19. 13:3, 10, 20, 24. 14:6, 8, 12, 16, 21, 23, 25, 30. 15:1, 11, 12, 16, 27, 29. 16:5, 9, 18, 23, 27. 17:5. 18:4, 12, 13, 24. 19:9, 11, 22. 20:8, 18, 20, 29. 21:2, 3, 11, 13, 15, 21, 23. 22:6, 9, 11, 13. 23:9, 20, 24. 24:11, 23, 29. 25:6-7, 8, 25. 26:23, 24-26. 27:18, 19, 23. 28:5, 14, 26, 27. 29:1, 22. 30:5-6, 12-13, 8. 31:6-7, 27. RIEPILOGANDO: 2 passi dei Proverbi richiamati 6 volte, per un totale di 12 volte 1 passo dei Proverbi richiamato 5 volte, per un totale di 5 volte 7 passi dei Proverbi richiamati 3 volte, per un totale di 21 volte

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24 passi dei Proverbi richiamati 2 volte, per un totale di 48 volte 100 passi dei Proverbi richiamati 1 volta, per un totale di 100 volte 134 è il totale dei passi coinvolti, richiamati

186 volte CONCLUSIONE. I passi dei Proverbi interessati sono in totale 134 e riguardano tutti i capitoli (i capp. 2 e 5 sono nell’elenco di quelli richiamati 2 volte). Il Nuovo Testamento è così permeato in ogni sua sezione da tutte le sezioni dei Proverbi. Quando si fa una gettata di cemento, ci si immerge una robusta rete di ferro, in modo che il tutto resti compatto. I Proverbi, in conclusione, sono una specie di robusta rete metallica che permea di sé e unisce tutto il Nuovo Testamento, saldandolo profondamente all’Antico. INTEGRAZIONE. Oltre a quelli soprastanti, ricavati dalle segnalazioni della Nuova Riveduta, ci è capitato di notare altri cinque collegamenti fra Nuovo Testamento e Proverbi: Matteo 20:10-14 e Proverbi 22:10; 10:3b; Luca 16:29-31 e Proverbi 29:18; Atti 1:26 e Proverbi 18:18; 2Corinzi 8:21 e Proverbi 3:4; Filippesi 2:3 e Proverbi 11:12.

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CAP. 2 ECCLESIASTE:

UNO SNODO ESSENZIALE DELLA BIBBIA

1. INTRODUZIONE Dato che l’autore dell’Ecclesiaste non si è esplicitamente firmato, cominceremo con un tentativo di

individuarlo, per poi riassumere il testo con un atteggiamento “oggettivo” e sezione dopo sezione. Una visione d’insieme non può però ottenersi con un semplice accumulo di tasselli, perché di essi ne va poi colta la relazione e cercandone un senso complessivo: operazioni che comportano una maggiore soggettività del quadro tracciato e ciò stimolerà una valutazione più attenta, specie quando – come in questo caso – si arriva a conclusioni che sono diverse da quelle dei più. Siamo convinti che quanto esposto si possa ricavare dal testo in sé e ne diamo le motivazioni: naturalmente alcuni le troveranno convincenti, altri meno.

Le conclusioni riguardano non solo il messaggio complessivo dell’Ecclesiaste, ma anche come si colloca nell’insieme di tutta la Bibbia. Anziché dilungarci, comunque, è meglio cominciarne subito l’esame.

2. L’AUTORE

Il libro inizia con «Parole dell’Ecclesiaste, figlio di Davide, re di Gerusalemme». La parola “Ecclesiaste” è di

origine greca, traduce l’ebraico “Qoelet” e alcune Bibbie chiamano così questo libro. Sia il termine ebraico che quello greco si riferiscono all’assemblea e perciò alcuni mettono “Predicatore”, cioè colui che parla all’assemblea (sottinteso del popolo di Dio): “assemblea” in greco è “ekklesia”, da cui “chiesa” in italiano, che nel Nuovo Testamento conserva lo stesso significato di “assemblea” che aveva nell’Antico, senza perciò indicare di per sé una nuova religione. Curioso il fatto che un libro indirizzato formalmente alla “chiesa” sia da diversi cristiani considerato come sostanzialmente contrapposto al Vangelo!

“Figlio di Davide e re a Gerusalemme” ha fatto pensare a Salomone, ma contro questa conclusione ci sono motivi per noi decisivi ed altri indizi significativi. Prima di tutto, il testo dell’Ecclesiaste è troppo diverso dai Proverbi e, come vedremo, pur accettando e partendo dai Proverbi, ritiene necessario integrarli: questo ci sembra escludere l’attribuzione di tutti e due i libri allo stesso autore.

A sostegno dell’attribuzione a Salomone c’è il fatto che, in senso stretto, di figlio di Davide divenuto re c’è solo lui; bisogna però tenere presente che, nel contesto ebraico, “figlio di” può facilmente significare “discendente di” ed è noto come Gesù venisse chiamato “Figlio di Davide” (Matteo 9:27). Se poi l’autore è Salomone, perché nei Proverbi si è firmato esplicitamente, mentre nell’Ecclesiaste no?

E perché Salomone si definirebbe qui come “re di Gerusalemme” e in Proverbi come “re d’Israele”? Sembra una sottigliezza, ma può avere il suo significato; infatti dopo Salomone e la divisione delle dodici tribù in due Regni diversi, “re d’Israele” poteva significare re di Samaria (Regno del Nord), perciò l’espressione “re di Gerusalemme” fa pensare ad un re della sola Giuda, dunque posteriore a Salomone.

La descrizione che fa di sé l’Ecclesiaste, da 1:12 a 2:11, fa pensare a Salomone, ma potrebbe anche riferirsi a qualcun altro simile a lui.

L’autore vuole caratterizzare subito questo scritto come “predicazione”, ma non appaiono segni di una comunicazione diretta col popolo, cioè a voce. D’altronde chi predica, di solito, non avverte l’uditorio che sta predicando, perché è il contesto a renderlo evidente, mentre è chi scrive che deve subito chiarire a chi si rivolge e qual è il suo scopo; se “Ecclesiaste/Predicatore”, perciò, si riferisce più allo scritto che all’autore, allora l’inizio del libro potrebbe essere: “Predicazione del Figlio di Davide, re di Gerusalemme”.

Nel contesto dell’Antico Testamento questa prevalenza dello scritto sulla predicazione orale è un’anomalia, perché i profeti hanno sempre privilegiato la comunicazione diretta, usando semmai lo scritto per fissare quanto già trasmesso a voce (Isaia 30:8; Geremia 30:2; 36:2; Abacuc 2:2); i re, poi, compreso Salomone, non avevano difficoltà a comunicare direttamente col popolo (2Cronache 6:13; cfr. 1Cronache 28:2). Questa specie di “lettera al popolo di Dio”, fa allora pensare ad uno strano impedimento alla comunicazione orale.

In 2:9 l’autore parla di tutti i precedenti re di Gerusalemme e ciò si concilia male con Salomone, prima del quale aveva regnato a Gerusalemme solo Davide.

Il libro dell’Ecclesiaste riflette una situazione deteriorata rispetto allo splendore del regno di Salomone; l’Ecclesiaste accenna per esempio alla corruzione della giustizia (3:16) e all’oppressione dei violenti sui deboli (4:1-2). Pur accettando la base dei Proverbi, insomma, l’Ecclesiaste delinea un quadro quasi contrapposto ai Proverbi; infatti mentre nei Proverbi la persona saggia è invitata ad essere fiduciosa, nell’Ecclesiaste è il pessimismo ad essere più appariscente e la vita è vista drammatica anche per la persona saggia. Un elemento in più per pensare che l’Ecclesiaste sia di un tempo successivo a Salomone.

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L’Ecclesiaste dovrebbe però essere precedente ad Isaia perché, detto in sintesi, in Isaia è in qualche modo presente l’Ecclesiaste, mentre nell’Ecclesiaste non c’è traccia di Isaia. Nell’Ecclesiaste, infatti, non c’è traccia della rivoluzionaria prospettiva che introduce Isaia, il quale annunciò che Dio avrebbe realizzato un mondo completamente rinnovato (per es. Is 11:1-10). Viceversa, in Isaia troviamo tutta la visione tragica dell’Ecclesiaste, dato che Isaia annunciò un giudizio di Dio su tutto il mondo: distruzione del Regno del Nord, poi di quello di Giuda e di Gerusalemme, con l’allargamento del giudizio esteso a tutti i popoli circostanti (3:1; 5:4-7; 28:22; capp. 13-24). Siccome Isaia operò in stretta associazione con Ezechia (capp. 36-39), allora l’Ecclesiaste dovrebbe essere stato re prima di Ezechia.

Quanto considerato sull’autore si può così riassumere: 1) è stato re a Gerusalemme, cioè di Giuda); 2) ha scritto e regnato dopo Salomone; 3) ha scritto e regnato prima di Ezechia; 4) somigliava in qualche modo a Salomone; 5) ha ritenuto opportuno rivolgersi al popolo di Dio in forma scritta e senza rendere esplicito il suo nome.

Se andiamo a guardare i vari re di Giuda, ce n’è uno che presenta tutti i soprastanti requisiti ed è Uzzia il quale, dopo un inizio splendente, fu punito da Dio con la lebbra e ciò potrebbe giustificare sia la forma scritta che il non essersi firmato.

In 2Cronache 26, Uzzia viene così descritto: «Tutto il popolo di Giuda prese Uzzia, che aveva sedici anni, e lo fece re al posto di Amasia suo padre» (v. 1). «Si diede con intelligenza a cercare Dio […] e finché cerco il Signore, Dio lo fece prosperare […] Dio gli diede aiuto contro i Filistei, contro gli Arabi […] e la sua fama si sparse sino ai confini dell’Egitto, perché era diventato potentissimo […] costruì pure delle torri a Gerusalemme […] Costruì delle torri nel deserto e scavò molte cisterne perché possedeva una grande quantità di bestiame […] aveva dei lavoranti e viticultori per i monti e nelle terre fruttifere, perché amava l’agricoltura» (vv. 5-10). «Fece fare, a Gerusalemme, delle macchine inventate da esperti per collocarle sulle torri e sugli angoli, per scagliar saette e grosse pietre. La sua fama raggiunse paesi lontani, perché egli fu meravigliosamente soccorso, finché divenne potente. Ma quando fu diventato potente, il suo cuore, insuperbitosi, si pervertì, ed egli commise un’infedeltà contro il Signore, suo Dio, entrando nel tempio del Signore per bruciare dell’incenso sull’altare dei profumi […] mentre si adirava contro i sacerdoti, la lebbra gli scoppiò sulla fronte, in presenza dei sacerdoti, nella casa del Signore, presso l’altare dei profumi» (vv. 15-19). «Il re Uzzia fu lebbroso fino al giorno della sua morte e rimase nell’infermeria come lebbroso, perché era escluso dalla casa del Signore; e Iotan, suo figlio, era a capo della casa reale e rendeva giustizia al popolo del paese» (v. 21).

Non viene detto che Uzzia avesse molte mogli, come invece dice di sé l’Ecclesiaste (2:8), ma per i re di quel tempo si può ritenere implicito.

L’ipotesi di Uzzia come autore dell’Ecclesiaste si armonizzerebbe bene anche con la chiamata al servizio profetico che ricevette Isaia, che avvenne «nell’anno della morte del re Uzzia» (Isaia 6:1): un’espressione che potrebbe indicare non solo una concatenazione temporale, ma anche logica, cioè facendo vedere in Isaia una risposta all’Ecclesiaste, come sopra accennato.

In ogni caso, per rispettare i silenzi della Bibbia e non volendo costruire su ipotesi incerte, chiudiamo qui le congetture su chi fosse l’Ecclesiaste, con l’obiettivo di concentrarci sul significato del testo in sé e come si colloca all’interno della Bibbia.

3. RIASSUNTO DEL TESTO

Nell’Ecclesiaste prevalgono largamente i discorsi argomentati, ma sono presenti anche dei “proverbi”, cioè

pensieri espressi in una o due frasi. In questa prima carrellata i nostri commenti sono limitati di numero ed estensione: per distinguerli dal riassunto,

li scriviamo in corsivo.

1:2. Vanità delle vanità, dice l’Ecclesiaste, vanità delle vanità, tutto è vanità. Questa espressione iniziale viene continuamente ribadita (1:14,17; 2:1,11,23; 3:19; 4:4,7,16; 6:9,12; 7:15;

8:10,14; 9:9; 12:10). 1:3-11. Una generazione se ne va, un’altra viene, e la terra sussiste per sempre. Anche il sole sorge, poi tramonta, e

si affretta verso il luogo da cui sorgerà di nuovo. Ciò che è stato è quel che sarà; ciò che si è fatto è quel che si farà; non c’è nulla di nuovo sotto il sole.

1:12-15. Ho visto tutto ciò che si fa sotto il sole: ed ecco tutto è vanità, è un correre dietro al vento. Ciò che è storto non può essere raddrizzato, ciò che manca non può essere contato.

1:16-18. Ho applicato il cuore a conoscere la saggezza, e a conoscere la follia e la stoltezza; anche questo è un correre dietro al vento; infatti, chi accresce la sua scienza accresce il suo dolore.

2:1-11. Ho detto in cuor mio: «Ti voglio mettere alla prova con la gioia e tu godrai il piacere». Così, senza abbandonare la saggezza, ho percorso le strade della follia: lasciandomi attrarre dal vino, intraprendendo grandi lavori, accumulando ricchezze e procurandomi ciò che fa la delizia degli uomini, cioè delle donne in gran

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numero. Non mi sono privato di nessuna gioia, poi ho considerato la fatica fatta per ottenere tutte queste cose ed ecco che tutto risultava una vanità, un correre dietro al vento, non traendosene alcun profitto sotto il sole.

2:12-17. Mi sono messo ad esaminare la saggezza, la follia e la stoltezza. Il saggio ha gli occhi in testa, mentre lo stolto cammina nelle tenebre; eppure il saggio muore al pari dello stolto; perciò ho odiato la vita, poiché tutto è vanità e un correre dietro al vento.

2:18-23. Tutte le mie fatiche le devo lasciare a chi verrà dopo di me e chissà se sarà saggio o stolto? Così sono arrivato a perdere ogni speranza. Che profitto trae l’uomo da tutto il suo lavoro? Tutti i suoi giorni non sono che dolore, perfino la notte non ha posa. Anche questo è vanità.

2:24-26. Il quadro tracciato fin qui sembra un deserto totale, un paralizzante buio assoluto. Invece l’Ecclesiaste non cade preda di un pessimismo rinunciatario, ma piuttosto invita ad apprezzare quanto di positivo ci è dato di cogliere, come si può vedere dalle sottostanti parole.

Non c’è nulla di meglio per l’uomo del mangiare, del bere e del godersi il benessere in mezzo alla fatica che egli sostiene; ma anche questo viene dalla mano di Dio. Poiché Dio dà all’uomo che egli gradisce, saggezza, intelligenza e gioia.

Anche questo “sbocco positivo del pessimismo” percorre tutto il libro (3:12-13; 3:22; 5:18-20; 8:15; 9:7-10; 11:8 a 12:1-9).

3:1-8. C’è un momento per ogni cosa sotto il cielo: un tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per piangere e un tempo per ridere; un tempo per tacere e un tempo per parlare; un tempo per amare e un tempo per odiare; un tempo per la guerra e un tempo per la pace.

3:9-15. Dio ha fatto ogni cosa bella al suo tempo: egli ha perfino messo nel cuore degli uomini il pensiero dell’eternità, sebbene l’uomo non possa comprendere tutta l’opera di Dio. Non c’è nulla di meglio del rallegrarsi e del procurarsi del benessere, ma se uno ne gode è un dono di Dio: a quello che lui fa non c’è niente da aggiungere o togliere e Dio fa così affinché gli uomini lo temano.

3:16-22. La giustizia umana non funziona, perché nei tribunali c’è corruzione; Dio però non può essere ingannato e in qualche modo sarà lui a fare giustizia. Dio lascia che l’uomo si comporti liberamente, così che possa rendersi conto che in fondo è come una bestia. Infatti uomini e bestie vengono dalla polvere, hanno ambedue un’anima (cioè “soffio”, “respiro”) e tornano ambedue nella polvere. Resta solo un dubbio e cioè se il soffio dell’uomo e quello delle bestie abbiano o no un unico destino. Meglio allora accontentarsi di una vita tranquilla, rallegrandosi nel compiere il proprio lavoro.

4:1-3. Nel mondo ci sono oppressori spietati e chi è oppresso non trova consolazione; allora [in queste circostanze] stanno meglio i morti dei vivi e ancora meglio è chi non è mai nato.

4:4-8. Quando il lavoro va bene, scatta negli altri l’invidia, perciò anche il successo è vanità; ma è pure da evitare l’ozio col quale lo stolto divora la sua carne. È meglio dunque moderarsi, avendo meno benessere e in modo più tranquillo, piuttosto che avere il sovrappiù ed essere travagliati. Evitando in ogni caso la follia di quelli che si affaticano ad accumulare, anche quando non hanno figli ai quali lasciare.

4:9-12. Bisogna evitare la vita in solitudine, perché se si è in due le difficoltà si superano meglio. 4:13-16. Meglio un ragazzo povero e saggio che un re vecchio e stolto; ma anche se quel ragazzo diventasse un re

acclamato, ciò sarebbe ugualmente vanità, perché i posteri non si rallegreranno di lui. 5:1-7. Quando un saggio va nella casa di Dio, ascolta molto e dice poche parole, perché nel molto dire non

mancano le parole insensate; come quando si fanno voti alla leggera e poi non si mettono in pratica, non sentendosene nemmeno in colpa.

5:8-9. Se vedi nella provincia la violazione della giustizia, non te ne meravigliare; poiché sopra un uomo in alto veglia uno che sta più in alto, e sopra di loro sta un Altissimo.

5:10-17. Chi ama le ricchezze non ne trae profitto di sorta e a volte il ricco non riesce a dormire, mentre un semplice lavoratore si gode il sonno. Le ricchezze possono perfino essere una sventura, quando vengono perse all’improvviso, rendendo vano l’averle accumulate.

5:18 a 6:6. Dio può donarci la ricchezza, ma il potere di goderne e la gioia nel cuore sono doni in più, che non dipendono dalla ricchezza in sé. Insomma, è possibile che Dio ci doni la ricchezza, ma senza il potere di goderne (6:2).

6:7-11. Considerazioni varie. 6:12. Chi può sapere ciò che è buono per l’uomo nella sua vita? Chi sa dire all’uomo quel che sarà dopo di lui sotto

il sole? La saggezza umana, insomma, non va oltre un certo limite.

7:1a. Una buona reputazione vale più dell’olio profumato. 7:1b-6. Il giorno della morte è meglio del giorno della nascita. La tristezza vale più del riso; perché quando il viso è

afflitto, il cuore diventa migliore. Il cuore del saggio è nella casa del pianto, ma il cuore degli stolti è nella casa della gioia.

7:7. Sia l’oppressione che il dono fanno perdere la saggezza. 7:8-9. Lo spirito paziente vale più di quello altero; non essere pronto ad irritarti, perché ciò è tipico degli stolti.

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7:10. Non dire: «Come mai i giorni di prima erano migliori di questi?», poiché non è da saggio domandarsi questo. 7:11-12. La saggezza è buona più di un’eredità, perché non solo offre un riparo come il denaro, ma fa vivere quelli

che la possiedono. 7:13-14. Non si può raddrizzare ciò che Dio ha reso curvo, perciò nel giorno della prosperità godi del bene e nel

giorno dell’avversità rifletti. Bisogna adattarsi alle circostanze, dunque, piuttosto che sforzarsi di cambiare ciò che non possiamo

cambiare. 7:15-24. Non essere troppo giusto e non farti troppo saggio: perché vorresti rovinarti? Non c’è sulla terra nessun

uomo giusto, che faccia il bene e non pecchi mai. Ho detto: «Voglio acquistare saggezza»; ma la saggezza è rimasta lontana.

Insomma, bisogna accettare il fatto che non si può mai arrivare ad essere giusti o saggi in modo completo. Si può essere “troppo giusti” quando ci si impongono regole che vanno al di là di ciò che Dio ci chiede. Il

desiderio di voler essere giusti “al massimo”, poi, può derivare non dalla risposta all’amore di Dio, ma da un orgoglio che vogliamo accrescere. Nel vero cammino di santità si ha sempre più coscienza dell’essere peccatori e, parallelamente, è noto che la vera saggezza cresce insieme alla consapevolezza dei suoi limiti.

7:25-28. Mi sono applicato a riflettere ed ho trovato una cosa più amara della morte: la donna tutta tranelli e le cui mani sono catene: chi è gradito a Dio le sfugge, ma il peccatore rimane preso da lei. Un uomo fra mille l’ho trovato; ma una donna fra tutte non l’ho trovata.

7:29. Dio ha fatto l’uomo retto, ma gli uomini hanno cercato molti sotterfugi. 8:1. La saggezza di un uomo gli rischiara il viso e la durezza del suo volto ne è mutata. 8:2-4. Bisogna osservare gli ordini del re, come impegno preso verso Dio. 8:5-8. Chi osserva il comandamento non conosce disgrazia, perché c’è un giudizio e la malvagità pesa gravemente

addosso a chi la commette. Anche se ciò che avverrà non lo sappiamo e possiamo determinarlo fino ad un certo punto.

8:9-14. Quando prevalgono gli empi, essi sono trattati con onore e i giusti disonorati; fino al punto che i giusti sono trattati come se fossero empi e gli empi come se fossero giusti; anche questo è vanità. Il temporaneo prevalere degli empi dipende dal fatto che Dio è paziente e ne posticipa il giudizio, ma sebbene il peccatore faccia cento volte il male e prolunghi i suoi giorni, io so che il bene è per quelli che temono Dio.

8:15. Ho lodato la gioia, perché non c’è per l’uomo altro bene sotto il sole, fuori del mangiare, del bere e del gioire. 8:16-17. L’uomo è impotente a dare una spiegazione di quello che si fa sotto il sole; anche se il saggio pretende di

saperla, non però può trovarla. 9:1-3. Nemmeno i giusti e i saggi possono avere il controllo sul proprio futuro, perché tutto dipende da Dio, tutto

succede ugualmente a tutti e tutti hanno la medesima sorte [cioè muoiono]; questo spinge gli uomini alla malvagità e alla follia.

9:4-6. Un cane vivo vale più di un leone morto, perché i viventi sanno che moriranno, ma i morti non sanno nulla ed essi non hanno e non avranno alcuna parte in ciò che si fa sotto il sole.

9:7-10. Va’, mangia il tuo pane con gioia e bevi il tuo vino con cuore allegro, perché Dio ha già gradito le tue opere. Godi la vita con la moglie che ami, per tutti i giorni della vita della tua vanità, poiché questa è la tua parte nella vita, in mezzo a tutta la fatica che sostieni sotto il sole. Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze; perché nel soggiorno dei morti dove vai, non c’è più né lavoro, né pensiero, né scienza, né saggezza.

9:11-12. Non basta essere saggi per avere del pane, perché tutti dipendono dal tempo e dalle circostanze, che possono inaspettatamente cambiare.

9:13-18a. La saggezza vale più della forza, ma la saggezza del povero è disprezzata. 9:18b a 10:1. Un po’ di male provoca molto male, come qualche mosca morta sciupa il pregio dell’olio. Infatti un

solo peccatore distrugge un gran bene e un po’ di follia guasta il pregio della saggezza. 10:2-3. Anche quando lo stolto va per la via, mostra a tutti che è uno stolto. 10:4-6. A volte la stoltezza occupa posti di governo altissimi ma, in ogni caso, se il sovrano si adira contro di te,

non lasciare il tuo posto, perché la dolcezza evita grandi peccati. 10:7-11. Considerazioni varie. 10:12-14. Le parole del saggio sono piene di grazia, mentre lo stolto parla a profusione, con parole di malvagia

pazzia, come se conoscesse il futuro. 10:16-17. Certi re sono una benedizione, altri una maledizione. 10:18. La pigrizia fa sprofondare il soffitto della casa. 10:19. Il convito è fatto per gioire, il vino rende gaia la vita e il denaro risponde a tutto. 10:20. Non maledire il re e non maledire il ricco, nemmeno col pensiero. 11:1-2. Getta il tuo pane sulle acque, perché dopo molto tempo lo ritroverai; fanne parte ad altri, perché non sai il

male che può venire [e potrebbe esserti d’aiuto qualcuno dei beneficati o altri].

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11:3-6. Chi bada al vento non seminerà, chi guarda alle nuvole non mieterà (v. 4). Fin dal mattino semina la tua semenza e la sera non dar posa alle tue mani; poiché tu non sai quale dei due lavori riuscirà meglio (v. 6).

11:7-8 (o 12:1-2 in altre versioni). Se un uomo vive molti anni, si rallegri tutti questi anni e pensi ai giorni delle tenebre, che saranno molti; tutto quello che avverrà è vanità.

12:1-10 (o 12:3-12 in altre versioni). Rallegrati pure, o giovane, durante la tua adolescenza, cammina dove ti conduce il cuore e secondo gli sguardi dei tuoi occhi; ma sappi che, per tutte queste cose, Dio ti chiamerà in giudizio! Bandisci dal tuo cuore la tristezza, ma ricordati del tuo creatore nei giorni della tua giovinezza, prima che vengano i cattivi giorni e giungano gli anni dei quali dirai: «Io non ci ho più alcun piacere»; prima che la polvere toni alla terra com’era prima, e lo spirito torni a Dio che l’ha dato. «Vanità delle vanità», dice l’Ecclesiaste, «tutto è vanità».

Qui terminano le parole dell’Ecclesiaste, perché i versetti che chiudono il libro sono di un redattore. 12:11-16 (o 12:13-18 in altre versioni). L’Ecclesiaste ha scritto con rettitudine e verità. Le parole dei saggi sono

come chiodi ben piantati e sono date da un solo pastore. Del resto, figlio mio, sta in guardia: si fanno dei libri in numero infinito e il molto studiare è una fatica per il corpo. Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: TEMI DIO E OSSERVA I SUOI COMANDAMENTI, PERCHÉ QUESTO È IL TUTTO PER L’UOMO. Dio infatti farà venire in giudizio ogni opera, tutto ciò che è occulto, sia bene, sia male.

4. L’ECCLESIASTE SEMBRA UN VELENO, MA È UN VACCINO Ripercorriamo ora nuovamente alcuni contenuti del libro, già evidenziati nel riassunto, cercando di metterli in

relazione e di individuare un possibile senso complessivo ai multiformi pensieri dell’Ecclesiaste. L’Ecclesiaste ha fama di essere un libro pessimista e alcuni lo considerano addirittura come contrapposto al

Vangelo e da sconsigliare ai giovani: ciò potrebbe però derivare da una prima e più superficiale impressione, perché da una più attenta lettura emerge la possibilità che possa funzionare da “vaccino”. Il vaccino è costituito da una forma attenuata della stessa malattia che combatte: preso per tempo, rafforza le difese e perciò mette in grado l’organismo di superare la eventuale e successiva infezione.

I giovani che hanno letto l’Ecclesiaste, per esempio, potrebbero essere meno soggetti alle illusioni e alle conseguenti delusioni, concentrandosi così su obiettivi concreti e realizzabili.

A. Tutto è vanità, perciò… godiamoci il benessere, se possibile.

Il libro comincia col dichiarare la vanità di tutte le cose (1:2) e questo concetto permea tutto il libro (1:14,17;

2:1,11,23; 3:19; 4:4,7,16; 6:9,12; 7:15; 8:10,14; 9:9), essendo poi ribadito dalle ultime parole dell’autore (12:10). Prima di quelle ultime parole, c’è però il più bel messaggio che la Bibbia rivolge ai giovani: «Rallegrati pure, o giovane, durante la tua adolescenza, e gioisca pure il tuo cuore durante i giorni della tua giovinezza; cammina pure nelle vie dove ti conduce il cuore e seguendo gli sguardi dei tuoi occhi; ma sappi che, per tutte queste cose, Dio ti chiamerà in giudizio! Bandisci dal tuo cuore la tristezza e allontana la tua carne dalla sofferenza […] ma ricordati del tuo creatore […] prima che […] giungano gli anni dei quali dirai: “Io non ci ho più alcun piacere”» (12:1-3).

Anche questo invito a gioire permea di sé tutto il libro (2:24; 3:12-13; 3:22; 5:18-20; 8:15; 9:7-10; 11:8 a 12:1-9), facendo da contrappunto alla dichiarazione che tutto è vanità.

I Proverbi hanno allora due “ritornelli”, che sembrerebbero inconciliabili; sono però posti in un ordine preciso e in un’esposizione che è circolare, come spesso abbiamo visto nella Bibbia, cioè che ritorna ripetutamente sugli stessi temi, per coglierne qualche aspetto in più o per vederli in un’altra ottica, come ora preciseremo meglio.

B. La struttura del libro in sette cicli. Ci sembrano chiaramente individuabili sette cicli, che costituiscono la struttura del libro e che terminano

ciascuno proprio con un invito a godere il benessere, se Dio ce lo dà. Autore. 1:1. Primo ciclo. 1:2 a 2:26.

1:2 a 2:16. Vanità di tutte le cose. 2:17-23. Odio per la vita. 2:24-26. Godere il benessere, se Dio ce lo dà.

Secondo ciclo. 3:1-15.

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3:1-10. C’è un tempo per ogni cosa e nell’affaticarsi non c’è profitto. 3:11-15. Godere il benessere, se Dio ce lo dà.

Terzo ciclo. 3:16-22. 3:16-21. Un giorno Dio giudicherà, ma ora nei tribunali non c’è giustizia. Chi sa se il soffio dell’uomo sale in

alto e della bestia in basso? 3:22. Non c’è di meglio che rallegrarsi compiendo il proprio lavoro.

Quarto ciclo. 4:1 a 5:20. 4:1-3. In certe circostanze, i morti son più felici dei vivi. 4:4 a 5:17. Considerazioni varie. 5:18-20. Godere il benessere, se Dio ce lo dà.

Quinto ciclo. 6:1 a 9:1. 6:1-12. Considerazioni varie. 7:1-4. Il giorno della morte val più di quello della nascita. 7:5 a 8:14. Considerazioni varie. 8:15 a 9:1. L’unico bene è mangiare, bere e gioire, se Dio ce li dà.

Sesto ciclo. 9:2-10. 9:2-6. Tutto succede a tutti, giusto e empio hanno la medesima sorte. 9:7-10. Godi la vita con la moglie che ami, tutti giorni che Dio ti dà.

Settimo ciclo. 9:11 a 12:9. 9:11 a 11:7. Considerazioni varie. 11:8 a 12:9. Rallegrati, o giovane, va’ dove ti porta il cuore. Bandisci dal tuo cuore la tristezza, ma ricordati del

tuo Creatore. Chiusura dell’Ecclesiaste. 12:10.

Viene ribadito che tutto è vanità. Conclusione redazionale. 12:11-16.

Temi Dio e osserva i suoi comandamenti: è questo il tutto per l’uomo.

C. Non nascondere l’amarezza. L’Ecclesiaste e Giobbe si assomigliano, perché ci aiutano ad esprimere l’amarezza che c’è in noi: non per

esserne soffocati, ma per riemergerne. È significativo, per esempio, che i tre brani dell’Ecclesiaste più radicalmente pessimisti (2:17-23; 4:1-3; 7:1-4)

non siano alla fine dei rispettivi cicli, ma costituiscano una specie di discesa nel punto più basso, dal quale poi risalire. Insomma è come se, dopo averci aiutato ad esprimere tutta la nostra inquietudine, ci dicesse: «Visto che non c’è da aspettarsi granché, se ti capita di gioire insieme alla famiglia o agli amici, perché rinunciarci?».

Anche a conclusione del penultimo e sesto ciclo, infatti, c’è uno splendido “inno alla vita”: «Va’, mangia il tuo pane con gioia e bevi il tuo vino con cuore allegro, perché Dio ha già gradito le tue opere […] Godi la vita con la moglie che ami, per tutti i giorni della vita della tua vanità, che Dio ti ha data sotto il sole […] poiché questa è la tua parte […] Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze» (9:7-10). D. Un profeta travestito da filosofo?

Un’altra espressione che permea tutto il libro è «sotto il sole» (1:3,9,13; 2:11,19-22; 3:1,16; 4:1,3,7; 5:13,18;

6:1,12; 8:9; 9:3,6,9,11,13; 10:5); sembra così che l’Ecclesiaste voglia usare la ragione, esaminando ciò che può essere visto con i nostri occhi e traendone le dovute conclusioni.

Ciò che c’è “sopra il sole”, infatti, non poteva essere oggetto di riflessione umana, ma solo il frutto di una speciale rivelazione che Dio poteva dare ai profeti, ruolo quest’ultimo che l’Ecclesiaste sembra escludere per se stesso. Col suo farsi “filosofo fra i filosofi”, però, l’Ecclesiaste sembra proporsi il classico obiettivo dei profeti, che è quello di riavvicinare l’uomo a Dio, come cercheremo di far vedere.

Da un esame dei passi dove compare l’espressione “sotto il sole”, se ne ricava un quadro poco incoraggiante: dalla vita non se ne trae profitto (1:3; 2:11); tutto si ripete in modo monotono, cioè non c’è niente di nuovo (1:9); ciò che si fa è un’occupazione penosa (1:13); senza nessuna speranza (2:19-22; 9:3,6); senza nessuna certezza, perché tutto è possibile (3:1; 6:12; 9:11); la giustizia è tutt’altro che garantita (3:16); in un mondo permeato dalla malvagità e con l’amicizia corrosa dall’invidia (4:1-4; 8:9); con un affaticarsi che a volte non ha senso (4:7-8); anche le ricchezze possono essere una sventura (5:13; 6:1-2); non si riesce a trovare una spiegazione su ciò che succede (8:17); se sei povero, anche la tua saggezza è disprezzata (9:13-16), mentre la stoltezza può occupare posti altissimi (10:5-6). “Sotto il sole” c’è una sola nota positiva: «Buona e bella cosa è per l’uomo mangiare, bere,

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godere del benessere in mezzo a tutta la fatica che egli sostiene sotto il sole, tutti i giorni di vita che Dio gli ha dati; poiché questa è la sua parte» (5:18).

Se escludiamo ciò che c’è “sopra il sole”, cioè se escludiamo Dio, insomma, l’osservazione della realtà “sotto il sole” – ed il nostro ragionarci sopra – ci portano solo al nulla. La conclusione è che una filosofia senza Dio finisce per distruggerci. Secondo l’Ecclesiaste, perciò, con la sola ragione non si arriva alla fede, ma alla perdita di ogni speranza: la ragione è un vicolo cieco che è utile percorrere, ma solo per renderci conto che non porta da nessuna parte.

Anche iniziando da un fondamento di fede, il nostro ragionare può condurci solo fino ad un certo punto, perché la piena comprensione di ciò che Dio fa e di ciò che Dio è, resta fuori dalla portata umana (1:17; 2:15; 7:23-24; 8:17; 9:11-12; 11:5). Fede e ragione, insomma, non sono assolutamente da disprezzare, ma l’Ecclesiaste mette in campo anche qualcos’altro.

E. La fede come incontro fra rivelazione innata e rivelazione scritta.

C’è un versetto che ci sembra funzioni da bussola: «Dio ha fatto ogni cosa bella al suo tempo: egli ha perfino

messo nei cuori degli uomini il pensiero dell’eternità» (3:11). Che Dio abbia fatto «ogni cosa bella al suo tempo» è un chiaro riferimento a ciò che è scritto alla fine del

racconto sulla creazione (Genesi 1:31) ed è un concetto al quale poi l’Ecclesiaste fa di nuovo cenno in 7:29. A questa rivelazione scritta ed esterna all’uomo, però, si accompagna un “pensiero dell’eternità” che è radicato

nel cuore – cioè innato – e che fa dell’uomo “un animale religioso”. Mentre infatti gli animali non hanno il senso del trascendente, nei bambini esso è accentuato naturalmente, non frutto dell’educazione; l’educazione semmai riguarda il modo di relazionarsi col trascendente, per questo ad un giovane occorre molta elaborazione mentale per arrivare all’ateismo.

In ogni caso, l’Ecclesiaste non intende andare al di fuori della fede ebraica rivelata e perciò della legge di Mosè, come chiaramente e più volte ribadisce: sia con vari riferimenti ad un Dio Creatore e Signore che prima o poi giudicherà gli uomini (2:24-26; 3:11-17; 5:2-8; 5:18 a 6:2; 7:13-14,29; 8:2,5-6; 11:5; 12:1,9,15-16); sia con l’affermare che è sempre meglio temere Dio che essere peccatori, nonostante che tutto possa succedere a tutti e che tutti muoiano (2:13; 7:19,25; 8:1,12-13; 9:1,16-18; 10:3-4,12-15). Di rapporti dell’Ecclesiaste con altre parti della Bibbia, però, ce ne sono altri.

5. L’ECCLESIASTE NEL CONTESTO DI TUTTA LA BIBBIA

L’Ecclesiaste può apparire come un testo a sé, ma riflettendoci si trovano connessioni che lo fanno vedere come

una tappa essenziale della rivelazione biblica. Cominciamo con la relazione più stretta, quella con i Proverbi.

A. Assonanze dell’Ecclesiaste con i Proverbi. Riporteremo ora, in sintesi telegrafica, alcuni passi dell’Ecclesiaste, indicandone la corrispondenza con i

Proverbi. Eccl 1:8 e 4:8. Gli occhi sono insaziabili; cfr. Pro 27:20. Eccl 2:13. La saggezza ha un vantaggio sulla stoltezza; cfr. Pro 14:8. Eccl 2:26a. È Dio che dà la sapienza; cfr. Pro 2:6. Eccl 2:26b. Le ricchezze del peccatore finiscono al giusto; cfr. Pro 28:8. Eccl 4:5. Incrociando le braccia, lo stolto si consuma; cfr. Pro 6:9-11. Eccl 4:6. Meglio meno con riposo, che più con travaglio; cfr. Pro 15:16. Eccl 5:1. Dio non gradisce i sacrifici offerti dagli stolti; cfr. Pro 15:8. Eccl 5:2-3. Con le molte parole vengono le insensatezze; cfr. Pro 10:19. Eccl 5:4-6. Meglio non far voti, se poi non si adempiono; cfr. Pro 20:25. Eccl 5:14. Le ricchezze possono essere tutte perdute; cfr. Pro 23:4-5. Eccl 7:1a. La buona reputazione ha un gran valore; cfr. Pro 22:1. Eccl 7:5. La riprensione del saggio è meglio della canzone degli stolti; cfr. Pro 13:18; 15:32. Eccl 7:8-9. Pazienti, non alteri e irritabili; cfr. Pro 14:29; 16:18-19. Eccl 7:11. La saggezza vale più di un’eredità; cfr. Pro 3:13-16. Eccl 7:12. La saggezza offre riparo e fa vivere; cfr. Pro 3:18; 4:6. Eccl 7:17; Lo stolto muore prima del tempo; cfr. Pro 10:27. Eccl 7:19. La saggezza dà una grande forza; cfr. Pro 21:22. Eccl 7:26. Certe donne sono peggio della morte; cfr. Pro 5:3-5; 22:14. Eccl 8:2. Obbedire al re è cosa sacra; cfr. Pro 24:21. Eccl 8:5. Chi osserva la legge non conosce disgrazia; cfr. Pro 12:21.

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Eccl 8:7. Non possiamo sapere ciò che avverrà; cfr. Pro 27:1. Eccl 9:9. Godi la vita con la moglie che ami; cfr. Pro 5:18. Eccl 10:3. Anche camminando lo stolto fa capire chi è; cfr. Pro 13:16. Eccl 10:4. Contrastare l’ira del re con la dolcezza; cfr. Pro 25:15. Eccl 10:8. Chi scava una fossa vi cadrà; cfr. Pro 26:27. Eccl 10:12. Le labbra dello stolto sono la sua rovina; cfr. Pro 10:8b. Eccl 10:18. La pigrizia manda in malore la casa; cfr. Pro 6:9-11. Eccl 11:1-2. Far parte ad altri del proprio pane; cfr. Pro 11:24-25. Eccl 11:4. Chi guarda alle nuvole non semina e non miete; cfr. Pro 20:4. Eccl 12:1. Rallègrati ma senza peccare; cfr. Pro 29:6.

La quantità e la qualità delle assonanze soprastanti non dovrebbero lasciar dubbi sul fatto che l’Ecclesiaste scriva dopo aver ben assorbito i Proverbi.

B. La storia da Abramo ai Proverbi subisce una svolta.

Nel riassumere i Proverbi abbiamo visto come essi si connettano ad Abramo e Mosè (cap. 1/4), nel senso che

promettono benedizioni di Dio per i giusti e maledizioni per gli ingiusti. Poco sopra abbiamo pure visto come l’Ecclesiaste accetti tutto ciò, dato che continua a credere nella sovranità di un Dio Creatore, che prima o poi Dio farà giustizia (par. 4/E).

L’Ecclesiaste non considera però trascurabile che i malvagi e gli oppressori possano sul momento prevalere (4:1-3; 8:9-11; 10:5-6), affrontando poi un’altra questione ben nota a tutti, ma che nessuno prima di lui aveva avuto l’ardire di porla in primo piano e con tale forza: quella della morte che, da Adamo in poi, grava su TUTTA l’umanità, savia o stolta che sia, giusta o ingiusta che sia (4:14-17; 9:1-3).

Le benedizioni di Dio su questa vita, insomma, non vanno disprezzate, ma sono incerte e comunque rappresentano una piccola consolazione in confronto alla grande maledizione della morte.

Chi legge oggi l’Ecclesiaste non si rende spesso conto che è solo successivamente, cioè con Daniele, che è rivelata in modo inequivocabile una “seconda vita”, che inizierà con una risurrezione finale e che non finirà più con la morte, per questo detta “vita eterna” (Daniele 12:2,13). Prima di Daniele e perciò anche per l’Ecclesiaste, la morte segnava la fine della vita e l’ingresso in un vago mondo di ombre (Isaia 38:9-19; Ecclesiaste 9:4-6), come abbiamo visto a suo tempo (Terza Parte, Approfondimento n. 1, “L’oltretomba fra Antico e Nuovo Testamento”).

C’è un modo di vivere la fede che cerca di ignorare i problemi, oppure privilegia una sopportazione ed una rassegnazione che non sono certo da disprezzare; nei capitoli centrali del libro di Giobbe e in tutto l’Ecclesiaste, però, non ci si trattiene dall’esprimere l’amarezza che cova dentro l’uomo: sia per le sofferenze personali (Giobbe), sia per il male che permea il mondo e per il fatto che ogni vita finisce con la morte (Ecclesiaste).

In genere chi è religioso non considera lecito parlare come Giobbe e come l’Ecclesiaste, ma il fatto che questi due libri siano messi nella Bibbia in un contesto di approvazione, significa che Dio preferisce di gran lunga un’amarezza sincera, piuttosto che una mielosità ipocrita. C. Un ponte fra Abramo e l’Apocalisse.

Come al solito, quelli che nella Bibbia appaiono come “modernizzatori”, in realtà guardano molto alle origini.

La maledizione della morte in Genesi 3 ed il fatto che il primo a subirla sia il giusto Abele (Genesi 4), sono una cornice data per scontata dentro la quale si svolge la storia successiva, fino ai Proverbi di Salomone.

Abbiamo a suo tempo visto che, attraverso Davide, Dio ha dato l’avvio ad un’altra fase del suo progetto di salvezza (Ottava Parte, Davide e i Salmi, par. 2). Poi, col “Figlio di Davide” Salomone, Dio porta a compimento la storia di benedizioni che va da Abramo a Mosè (vedere Cap. 1, par. 4); mentre con un altro “Figlio di Davide”, cioè l’Ecclesiaste, Dio annuncia che è giunta l’ora di rimettere mano a quella distorta cornice e perciò anche al quadro, che si era delineato a partire da Abramo.

Se, dopo aver letto i Proverbi, passiamo subito ad Isaia ed a Daniele, percepiamo un cambiamento improvviso e radicale, che si comprende molto meglio se prima prendiamo atto della necessità di un “nuovo mondo”, che è implicita nell’Ecclesiaste.

Il percorso che tracciano i profeti è perciò una specie di risposta alle questioni poste dall’Ecclesiaste: Isaia annuncia un futuro “Figlio di Davide” che farà trionfare la giustizia ed eliminerà gli empi, con il lupo che abiterà con l’agnello e nel quale la conoscenza del Signore riempirà la terra (Isaia 11:1-9); Daniele invece annuncia la sconfitta finale degli imperi pagani ed il conseguente avvento del Regno di Dio, con il superamento della più grande delle maledizioni, quella della morte, che sarà sconfitta con la risurrezione alla fine dei tempi (Daniele 12:2,13).

Abbiamo visto che i Vangeli si collegano a Daniele (Quarta Parte, cap. 8) ed è noto che il riferimento principale dell’Apocalisse sia ancora Daniele. Perciò l’Ecclesiaste non è un “corpo estraneo” capitato per caso nella

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Bibbia, ma un punto di arrivo della rivelazione precedente e un punto di partenza per la rivelazione a lui posteriore: anche se non è facile accorgersene, allora, proprio l’Ecclesiaste è uno degli snodi centrali di tutta la Bibbia.

D. Concetti dell’Ecclesiaste richiamati dal Nuovo Testamento. Il collegamento fra Ecclesiaste e Nuovo Testamento è per lo più indiretto, perché passa soprattutto attraverso i

profeti; da ciò deriva che le assonanze dirette fra Nuovo Testamento ed Ecclesiaste, rispetto a quelle con i Proverbi, siano sensibilmente più ridotte, ma comunque significative. 1:2. Vanità di questo mondo; Rom 8:20. 3:4. C’è un tempo per piangere ed uno per ridere; Gio 16:22; Mat 9:15. 3:11. L’uomo non può comprendere pienamente Dio; Rom 11:33. 3:17. Un giorno sarà giudicato tutto; Mat 16:27; Rom 2:6-8; Ap 17:31; 20:12. 3:22. Rallegrarsi nella semplicità; Fil 4:4. 4:9-10. Meglio essere in due, perché se uno cade… ; Mar 6:7; Lu 10:1. 5:2-3. Pregare con poche parole; Mat 6:7-8. 5:5. Meglio non far voti, che poi non mantenerli; Mat 5:36. 5:8. Su un’autorità locale ce n’è un’altra e su tutti l’Altissimo; Gio 19:11. 5:10-12. Non amare le ricchezze e sapersi accontentare; 1Tim 6:8-10. 5:15. Si entra nel mondo nudi e nudi se ne esce; 1Tim 6:7. 5:18-19. Godere del benessere che Dio ci dà; 1Tim 6:17b. 6:2. Dio può non farci godere le nostre ricchezze; Lu 12:19-20. 7:1. Il giorno della morte è meglio del giorno della nascita; Ap 14:13. 7:4. Il saggio va dove c’è sofferenza; Gia 1:27. 7:8b. Lo spirito paziente vale più dell’altero; Gia 5:11. 7:9. Non irritarsi facilmente; Gia 1:19. 7:14. Godere la prosperità quando c’è e riflettere nell’avversità; Gia 5:13. 7:16. Non essere troppo giusto; Lu 16:8. 7:20. Non c’è nessun giusto; Rom 3:9; 1Gio 1:8. 7:22. Spesso malediciamo gli altri; Gia 3:9. 7:23-24. La saggezza completa è irraggiungibile; 1Cor 1:20; 8:2. 7:29. L’uomo è stato fatto retto, ma poi… Rom 1:21. 8:2. L’obbedienza al re è sacra; Rom 13:1-7. 8:12-13. L’empio può prosperare, ma Dio lo giudicherà; Rom 2:3-10. 8:14. Ci sono giusti trattati male ed empi trattati bene; Lu 16:19-22. 9:12. Non sappiamo quando può venire una disgrazia; Lu 12:20; 1Tes 5:3. 9:16. La saggezza del povero è disprezzata; Mar 6:2-3. 9:17. I saggi insegnano nella tranquillità; Gia 3:17-18. 10:12. Lo stolto è rovinato dalle sue parole;Mat 12:36-37; Lu 19:22; Col 4:6. 11:1-2. Condividere il proprio pane con altri; Lu 6:35-36; Gal 6:10. 11:5. Dio opera misteriosamente come il vento; Gio 3:8. 12:9. Lo spirito torna a Dio; At 7:59; Lu 23:46.

Nel soprastante elenco ci sono 33 passi dell’Ecclesiaste che sono richiamati da 44 del Nuovo Testamento, che ora suddividiamo per autore. Paolo, 16 richiami (Romani 8, 1Timoteo 3, altri 5) Luca, 8 richiami (Vangelo 7, Atti 1) Giovanni 7 richiami (Vangelo 3, Apocalisse 3, 1Giovanni 1) Giacomo 6 richiami Matteo 5 richiami Marco 2 richiami TOTALE 44 richiami

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CAP. 3 CANTICO DEI CANTICI:

IMPORTANZA DELL’AMORE FRA GLI SPOSI

1. INTRODUZIONE Il testo del Cantico dei Cantici presenta difficoltà interpretative particolari, perché appare come una specie di

rappresentazione teatrale a più voci, ma nell’originale non è reso chiaro dove parla l’uno e dove l’altro. Anche lo svolgersi del racconto non è del tutto evidente e, in effetti, più che lo sviluppo di una trama, c’è la rielaborazione delle stesse emozioni ed è facilmente individuabile una struttura di tipo ciclico, come abbiamo spesso constatato in altre parti della Bibbia.

Il significato delle varie frasi è per lo più comprensibile, ma qua e là è facile smarrire il senso del discorso. Alcune traduzioni, come la TILC e la Concordata, introducono nel testo anche la loro valutazione su chi stia parlando e ciò ne rende più facile la comprensione; fra queste due traduzioni abbiamo scelto di prendere a base la TILC, perché è più reperibile nelle librerie ed è meno costosa, usa poi un linguaggio che privilegia la comprensibilità (che in questo caso è particolarmente utile).

Desideriamo comunque concentrarci su ciò che è più chiaro, senza andare alla ricerca di un senso originario che era evidente ai primi lettori, ma che oggi non è pienamente recuperabile. Non vogliamo badare troppo a ciò che è incerto, insomma, col rischio di trascurare ciò che è evidente.

Cominciamo con qualche considerazione sull’autore, per poi riportare la struttura del libro. A seguire faremo una sintesi di ciò che ci sembra più significativo, cogliendo infine i collegamenti con le altre parti della Bibbia.

2. “DI” SALOMONE O “A” SALOMONE?

Seguendo la traduzione TILC, sull’autore sembra che non ci siano dubbi, dato che comincia con «Cantico dei

Cantici di Salomone»; il contenuto del libro, però, fa sorgere qualche dubbio: 1. Il Cantico esalta un amore esclusivo fra lei e lui, che si donano l’un l’altro totalmente; Salomone visse invece

l’opposto, dato che si fece un harem di 1000 donne, le quali finirono per corromperlo (1Re 11:3). 2. Dopo aver considerato Salomone come autore principale dei Proverbi, è difficile assegnargli anche il Cantico,

data la diversità di stile e contenuti. 3. L’originale ebraico può essere tradotto in due modi: cioè che l’opera è di Salomone; oppure che l’opera è

dedicata a Salomone, secondo uno schema presente per esempio in Isaia 5:1. La Concordata, non a caso, traduce così l’inizio: «Cantico dei cantici che io canto al Re Pacifico» (“Salomone” significa “Pacifico”).

4. Salomone appare una prima volta nella parte centrale del Cantico, in una specie di breve parentesi nella quale viene ammirato, ma non entra in relazione diretta con i protagonisti della storia (3:7-11).

5. L’elemento più problematico, però, è l’esplicito contrasto con Salomone che è presente nella parte finale del Cantico, quasi a caratterizzare l’opera proprio come una contestazione a Salomone (6:8-10; 8:11-12). Qui e nel punto precedente, insomma, si parla di Salomone e ciò fa pensare che non sia stato lui a scrivere il Cantico. Forse a scrivere il Cantico è stata un’autrice, dato che la voce preponderante è quella di una donna, che poi è

chiamata Sulamita (7:1, un nome che sembra indicare il luogo di provenienza). Il Cantico si apre con la voce di lei, poi è soprattutto lei che manifesta il suo amore per lui e ne va in cerca (1:1-7), è lei che continua ad essere la più attiva (3:1ss; 5:1ss), è con la sua voce che cominciano le varie sezioni (1:2; 2:8; 3:6; 5:2; 8:5) e infine è ancora lei a chiudere l’opera (8:14); lui sembra invece avere il ruolo di chi si lascia piuttosto coinvolgere da quell’amore. Anche il contenuto ben si addice ad una sensibilità femminile, che più facilmente vede nell’amore un coinvolgimento totale di anima e corpo, mentre l’uomo cade spesso nella trappola di sottolineare troppo l’aspetto fisico della relazione.

Significativi potrebbero essere i precedenti di Debora, profetessa e giudice d’Israele, e di Anna, madre di Samuele, le quali avevano già composto un cantico (Giudici 5; 1Samuele 2:1-10), in circostanze nelle quali gli uomini risultarono inadeguati (Giudici 5:7; 1Samuele 3:1). Nel caso del Cantico dei cantici, ad essere inadeguato fu Salomone che, pur raggiungendo delle vette eccelse sotto molti aspetti (1Re 10:23-24), fallì miseramente nel rapportarsi con l’altro sesso (1Re 11:3). Da questo punto di vista, allora, il Cantico si rivela come una “educazione all’amore” scritta per quei tempi, ma sempre necessaria.

L’ipotesi di un’autrice si potrebbe associare bene al non dichiararsi pubblicamente, in modo da facilitarne la lettura proprio a quegli uomini che hanno poca stima del contributo che possono dare le donne.

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In ogni caso, non vogliamo dare un’eccessiva importanza alla questione di chi abbia scritto l’opera, perché al centro del nostro interesse c’è il contenuto del Cantico e come si relaziona con le altre parti della Bibbia.

3. LINGUAGGIO SIMBOLICO ANTICIPATO DAI PROVERBI

Anche se sull’autore del Cantico c’è qualche divergenza, si ritiene che l’epoca della sua composizione sia

posteriore a quella dei Proverbi e dell’Ecclesiaste. Nel riassumere i Proverbi, abbiamo visto come ripetutamente sconsiglino i rapporti con donne corrotte (cap.

1/7/G), avvertendo della loro pericolosità distruttiva e contrapponendo a questi ammonimenti un solo invito in positivo: «Bevi l’acqua della tua cisterna, l’acqua viva del tuo pozzo […] i tuoi ruscelli devono forse scorrere per le strade? […] Sia benedetta la tua fonte e vivi lieto con la sposa della tua gioventù. Cerva d’amore, capriola di grazia, le sue mammelle t’inebrino in ogni tempo e sii sempre rapito nell’affetto suo» (Proverbi 5:15-19).

Il Cantico riprende quanto scritto nel soprastante passo dei Proverbi, sia come sostanza che come forma: come sostanza perché prospetta un rapporto “inebriante” (cioè “ubriacante”) con la propria sposa; come forma perché questo rapporto è adombrato attraverso allusive immagini tratte dalla natura e che, prese alla lettera, non avrebbero senso. Dal testo e dal contesto del capitolo dei Proverbi, infatti, evidente come “l’acqua” per dissetarsi sia in realtà la sposa, indicata anche come “cerva” e “capriola”, mentre non far scorrere i propri “ruscelli” per le strade è in realtà un invito a evitare le prostitute.

Il Cantico è pieno di allusioni di questo tipo, perciò può essere considerato come uno sviluppo di quanto già scritto in Proverbi 5:15-19. Certe espressioni del Cantico, già abbastanza chiare, diventano così inequivocabili; come, per esempio, quando lei dice che lui è “un melo”, del quale vuol gustare “i frutti” (2:3). Lui invece la vede come “una palma”, con i seni di lei che sembrano “grappoli di datteri”; poi afferma: «Voglio salire sulla palma e raccogliere i suoi frutti» (7:8-9). Non ci può essere equivoco, per fare un ultimo esempio, quando un’innamorata dice: «Lui mi desidera. Vieni, amore, andiamo nei campi, passiamo la notte fra i fiori […] laggiù ti darò il mio amore» (7:11-13).

Si potrebbe continuare a lungo, ma questi esempi sono sufficienti per farci entrare nella simbologia del Cantico fin dai primi versetti e così comprendere meglio quello che vuole trasmetterci: cioè la bellezza di un amore che coinvolge tutto il nostro essere, fatto di sentimenti e di fisicità.

4. STRUTTURA DEL LIBRO

Si possono individuare QUATTRO CICLI, ognuno dei quali comincia col desiderarsi e col cercarsi, per poi

finire con l’incontro. La chiusura di due cicli è fatta con le stesse parole ed è contenuta in una coppia di versetti: la indicheremo come chiusura “formale”. La chiusura di un altro ciclo contiene solo il secondo versetto e perciò la indicheremo come “semi-formale”. C’è infine una chiusura che usa altre parole e perciò la chiameremo “informale”. Siccome “la fine” di un racconto tende ad esserne “il fine”, cioè l’obiettivo che si vuol raggiungere, allora è bene vedere queste chiusure più da vicino.

Le chiusure “formali” si trovano alla fine del primo e dell’ultimo ciclo, cioè in 2:6-7 e in 8:3-4; la TILC traduce così le parole di lei: «Il suo braccio sinistro è intorno al mio collo e con il destro mi abbraccia. Ragazze di Gerusalemme […] non risvegliate il nostro amore, non provocatelo prima del tempo». In sintesi, c’è un abbraccio forte (“con il destro”) e poi un sonno dei due da non disturbare.

Il braccio sinistro “intorno al collo” fa pensare ad uno stare in piedi l’uno di fronte all’altro, ma in altre importanti versioni (Concordata, Riveduta, CEI) il braccio sinistro è più precisamente “sotto il capo” e ciò fa pensare non tanto al collo, ma che lei descriva una sua posizione supina, dopo la quale cade in quel sonno dal quale non deve essere risvegliata. La traduzione Concordata è in questo senso la più esplicita, facendo dire a lei: «La sua sinistra sta sotto il mio capo e la sua destra mi stringe all’amplesso»; dopo di che lui dice alle figlie di Gerusalemme: «Non risvegliate l’amata, prima che essa lo voglia».

La chiusura “semi-formale” si trova alla fine del secondo ciclo, cioè nei versetti 3:4-5, dove solo il versetto 5 è uguale al secondo di quelle “formali” (cioè quello dove si invitano le “figlie di Gerusalemme” a non risvegliare chi dorme); in quello precedente, cioè nel v. 4, c’è però comunque l’abbraccio, anche se è lei a farlo: «L’ho stretto forte a me e non lo lascerò più».

La chiusura “informale” si trova alla fine del terzo ciclo e comprende da 4:16 a 5:1; vengono usate parole diverse rispetto alle altre chiusure, ma che il ciclo si chiuda è evidente perché, dopo aver descritto il desiderio, è lì che è riportato l’incontro. La controprova è nei versetti successivi, dove lei va di nuovo alla ricerca dell’amato, iniziando così il quarto e ultimo ciclo. La conclusione dei vari cicli, insomma, è del tipo “e vissero felici e contenti”.

Nella struttura del libro che propone la TILC, allora, abbiamo ritenuto opportuno inserire anche la suddetta divisione in quattro cicli.

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INTESTAZIONE. 1:1. PRIMO CICLO. 1:2 a 2:7. Lei. 1:2-7. (Pastori). 2:8. Lui. 1:9-11. Lei. 1:12-14. Lui. 1:15. Lei. 1:16 a 2:1. Lui. 2:2. Lei. 2:3-7. SECONDO CICLO. 2:8 a 3:5. Lei. 2:8-10a. Lui. 2:10b-14. Lei. 2:15 a 3:5. TERZO CICLO. 3:6 a 5:1. Lei. 3:6-11. Lui. 4:1-15. Lei. 4:16. Lui. 5:1a. (Poeta). 5:1b QUARTO CICLO. 5:2 a 8:4. Lei. 5:2-8. (Ragazze). 5:9. Lei. 5:10-16. (Ragazze). 6:1 Lei. 6:2-3. Lui. 6:4-12. (Amici). 7:1a. Lui. 7:1b-10a. Lei. 7:10b a 8:4. CHIUSURA. 8:5-14. (Ragazze). 8:5a. Lei. 8:5b-7. (Fratelli). 8:8-9. Lei. 8:10. Lui. 8:11-13. Lei. 8:14.

5. SINTESI DELLE ESPRESSIONI PIÙ SIGNIFICATIVE

Il riassunto è in caratteri normali, eventuali commenti sono in corsivo.

INTESTAZIONE. 1:1. Cantico dei cantici di Salomone (TILC), oppure Cantico dei cantici che io canto al Re

Pacifico (Concordata). “Cantico dei cantici” è un rafforzativo del tipo “meraviglie delle meraviglie”. Sull’incertezza riguardo

all’autore, vedere il par. 2.

PRIMO CICLO LEI. 1:2-7. Che lui mi baci con i baci della sua bocca. Portami nella tua stanza, o mio re. Godiamo insieme, siamo

felici. Il tuo amore è più dolce del vino. Non state a guardare se sono scura, bruciata dal sole. I miei fratelli si sono adirati con me; mi hanno messa a guardia delle vigne, ma la mia vigna io l’ho trascurata. Dimmi, amore mio, dove vai a pascolare il tuo gregge, a mezzogiorno dove lo fai riposare?

Il pastore non può distrarsi quando le pecore pascolano, perché deve controllare che nessuna si perda e che non arrivi il lupo. Nelle ore calde del giorno, invece, le pecore si riposano e il pastore cerca di farle

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sostare all’ombra, portandole all’inizio di un bosco che in genere comincia a chiazze, lasciando nel suo mezzo delle radure. È proprio dove e quando le pecore si riposano, dunque, che l’innamorata può avere la desiderata piena attenzione dell’amato.

LUI. 1:9-11. Amica mia, sei come una puledra che fa impazzire i cavalli. LEI. 1:12-14. Il mio re è qui nel suo giardino. Amore mio, sei come un sacchetto di mirra, di notte riposi fra i miei

seni. LUI. 1:15. Quanto sei bella, amica mia, quanto sei bella. LEI. 1:16 a 2:1. Anche tu, amore mio, quanto sei bello, meraviglioso sei. Un prato d’erbe è il nostro letto, rami di

cedro sono le travi della nostra casa, rami di pino il suo soffitto. Trovandosi insieme durante il riposo delle pecore, gli sposi possono stare con tranquillità in quelle radure

del bosco alle quali abbiamo poco sopra accennato; sono radure erbose sulle quali sporgono i rami degli alberi che stanno al suo bordo: un ambiente ideale per due innamorati desiderosi di proteggersi da sguardi esterni.

Tutte queste descrizioni trasudano una precisa conoscenza ed esperienza “sul terreno”, sono cioè tutt’altro che esercizi di una fantasia dettata da vaghi sentimenti.

LUI. 2:2. Un giglio tra le spine è l’amica mia tra le altre ragazze. LEI. 2:3-5. Un melo tra alberi selvatici è il mio amore tra gli altri ragazzi! Mi piace sedermi alla sua ombra e

gustare le delizie dei suoi frutti. Mi ha portato in una sala di banchetti. Presto; portate dolci d’uva che mi restituiscano forza, perché sono malata d’amore!

LEI. 2:6-7. Il suo braccio sinistro è intorno al mio collo e con il destro mi abbraccia. Ragazze di Gerusalemme, non risvegliate il nostro amore, non provocatelo prima del tempo.

Abbiamo sottolineato la sintesi di questi due versetti, sui quali ci siamo soffermati nel paragrafo 4, perché sono una specie di ritornello che chiude il ciclo. Fin qui abbiamo visto che i due innamorati si desiderano, si cercano e infine si trovano: temi che poi vengono ripresi ad ogni ciclo, come si potrà constatare.

SECONDO CICLO

LEI. 2:8-10a. Sento la voce del mio amore, eccolo, arriva! Ora il mio amore mi parla. LUI. 2:10b-14. Amica mia, mia bella, vieni. Già spuntano i fiori nei campi, la stagione del canto ritorna. Fammi

vedere il tuo viso, fammi ascoltare la tua voce; perché la tua voce è soave, il tuo viso è grazioso. LEI. 2:15 a 3:5. Il mio amore è mio come io sono sua. Ritorna, amore mio. Di notte, nel mio letto, ho cercato il mio

amore. L’ho cercato ma non l’ho trovato. Mi alzerò, farò il giro della città! Ho trovato il mio amore. L’ho stretto forte a me e non lo lascerò più. Lo porterò in casa mia nella stanza dove mia madre mi ha concepita. Ragazze di Gerusalemme, non risvegliate il nostro amore, non provocatelo prima del tempo.

L’amore vero non può che essere un reciproco e completo dono di sé. L’innamorata vuol portare il suo amore dove lei fu concepita da sua madre, lasciando così intravedere il desiderio di voler anche lei partorire un figlio all’amato. Le ultime parole sottolineate chiudono questo secondo ciclo.

TERZO CICLO

LEI. 3:6-11. Viene descritto l’arrivo del re Salomone, con l’invito alle ragazze di Sion di andarlo a vedere. LUI. 4:1-15. Quanto sei bella, amica mia, quanto sei bella! I tuoi occhi, dietro il velo, sono come colombe. I tuoi

capelli ondeggiano come un gregge. Un nastro di porpora sono le tue labbra! Com’è bella la tua bocca! Sei bellissima, amica mia, sei perfetta. Vieni con me, mia sposa. Il tuo amore, sorella mia, mia sposa, è così bello, molto più dolce del vino! Il tuo profumo è più gradevole di tutti gli aromi. Le tue labbra sanno di miele, la tua lingua ha il sapore del miele e del latte. Sei come un giardino recintato e chiuso, come una sorgente inaccessibile. Le tue nascoste bellezze sono un giardino di melograni, dai frutti squisiti.

LEI. 4:16. Amore mio, vieni nel tuo giardino, gusta i suoi frutti squisiti. Lui dice: «Sei come un giardino». Lei risponde: «Vieni nel tuo giardino». Un altro caso di simbologia

molto evidente. LUI. 5:1. Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, mia sposa. Mangio il miele del mio favo, bevo il mio latte e il

mio vino. Qui il parallelo con Proverbi 5:15-18 è molto stretto. Questo appagante incontro chiude un altro ciclo;

infatti a partire da 5:2 gli innamorati si perdono di nuovo, per poi ancora ritrovarsi.

QUARTO CICLO LEI. 5:2:8. Mi sono addormentata, ma resta sveglio il mio cuore. Sento qualcosa: è il mio amore che bussa! Che

chiede: «Aprimi, amica mia! Ho il capo bagnato di rugiada, i miei riccioli stillano le gocce della notte». Mi sono appena spogliata, dovrei rivestirmi? Mi sono appena lavata i piedi, perché dovrei sporcarli di nuovo? Il mio amore cerca di aprire la porta: che tuffo al cuore! Salto in piedi per aprire al mio amore. Le mie dita e le mie mani gocciolano olio di mirra quando alzo il chiavistello. Ho aperto al mio amore, ma è partito, non c’è

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più. È partito e io ne sono sconvolta. Lo cerco, ma non riesco a trovarlo. Lo chiamo, ma lui non risponde. Mi incontrano le guardie, mi picchiano, mi strappano lo scialle. Ragazze di Gerusalemme, vi supplico, se trovate il mio amore, ditegli che io sono malata d’amore.

Allora le porte non avevano le chiavi e, in ogni caso, la notte venivano chiuse dall’interno col chiavistello; perciò nemmeno un famigliare poteva entrare, se non gli veniva aperto dall’interno.

(RAGAZZE). 5:9. Puoi dirci, tu che sei la più bella, cos’ha il tuo amore di diverso dagli altri? LEI. 5:10-16. Il mio amore è bello e forte, lo si riconosce fra mille. Il suo volto è come l’oro più puro, i suoi capelli

sono forti e ricciuti. Ha l’aspetto delle montagne del Libano, è magnifico come gli alberi di cedro. La sua bocca è dolcissima; tutto, in lui, risveglia il mio desiderio.

LEI. 6:2-3. Il mio amore è venuto a godersi il suo giardino, a raccogliere gigli tra aiuole di piante profumate. Io sono del mio amore e il mio amore è mio.

LUI. 6:4-10. Amica mia, sei bella, splendida come Gerusalemme, affascinante come un miraggio. Allontana il tuo sguardo da me, il tuo sguardo mi turba. Il re abbia pure sessanta regine, ottanta altre donne e ragazze quante ne vuole! Per me c’è solo lei, la mia stupenda colomba. Anche le regine e le concubine la lodano e si domandano: «Chi è mai questa ragazza amabile come l’aurora, bella come la luna, splendente come il sole, affascinante come un miraggio?»

LUI. 7:1b-10a. È bella la Sulamita. Le curve dei suoi fianchi sono davvero un’opera d’arte. Lì c’è una coppa rotonda: che non manchi mai di vino profumato! Il tuo ventre è come un mucchio di grano circondato di gigli. Quanto sei bella, come sei graziosa, amore mio, delizia mia. Sei slanciata come una palma, i tuoi seni sembrano grappoli di datteri. Voglio salire sulla palma e raccogliere i suoi frutti. I tuoi seni siano per me come grappoli d’uva; il profumo del tuo respiro come l’odore delle mele e la tua bocca come il buon vino…!

LEI. 7:10b a 8:4. …Sì, un buon vino, tutto per il mio amore, scivoli sulle nostre labbra addormentate! Io sono del mio amore e lui mi desidera. Vieni, amore, andiamo nei campi, passiamo la notte tra i fiori. Laggiù ti darò il mio amore.

Il suo braccio sinistro è intorno al mio collo e con il destro mi abbraccia. Ragazze di Gerusalemme, non risvegliate il nostro amore, non provocatelo prima del tempo.

CHIUSURA

LEI. 8:5-7. Ti ho svegliato sotto il melo, lì dove tua madre ti ha concepito. Mettimi come un sigillo nel tuo cuore, come un sigillo nel tuo braccio. Perché l’amore è forte come la morte, la passione è irresistibile come il mondo dei morti. È una fiamma ardente come il fulmine. Non basterebbe l’acqua degli oceani a spegnere l’amore. Neppure i fiumi lo potrebbero sommergere. Se qualcuno provasse a comprare l’amore con le sue ricchezze otterrebbe solo il disprezzo.

LUI. 8:11-13. Tieni pure i tuoi mille pezzi d’argento, Salomone. La mia piccola vigna è qui ed è tutta per me. Bella mia, i miei amici cercano di ascoltare quel che stai dicendo. Fai sentire anche a me!

LEI. 8:14. Corri, amore, veloce come una gazzella sui monti profumati.

RIEPILOGO. Il tipo di rapporto che trapela dal Cantico si può schematizzare in alcuni punti essenziali.

1. È un rapporto esclusivo di lui con lei e viceversa. 2. È un donarsi all’altro e riceverlo in dono: «Io sono sua e il mio amato è mio» (2:16; 6:3; 8:12). 3. C’è un coinvolgimento totale, cioè sia dei sentimenti che del corpo. 4. Andare insieme dove lei e lui sono stati concepiti (3:4; 8:5b) fa pensare ad un voler essere anche loro genitori. 5. “Per sempre” è evidentemente implicito. 6. Per lui, il rapporto esclusivo con l’amata è più appagante che avere un harem; lei, possedendo questo amore

esclusivo, è invidiata anche dalle regine (6:8-10; 8:11-12).

6. NEGARE IL FATTO ED ESALTARNE IL SIGNIFICATO? Guardando al testo in sé, non c’è dubbio che il Cantico si riferisca a due sposi innamorati. I problemi vengono

quando ci si chiede: «Cosa ci fa un libro così nella Bibbia, dato che è tutto dedicato a descrivere un amore terreno, senza nominare mai né Dio e né il suo popolo?».

Si è pensato di risolvere il problema negando l’evidenza ed affermando che, in realtà, il Cantico parli d’altro. Con lo sposo, insomma, si dovrebbe intendere Dio e con la sposa il popolo di Dio (Israele e/o la Chiesa).

Nella traduzione Concordata (1968), l’Introduzione che precede il Cantico avverte che «L’interpretazione legittima resta quella della tradizione giudeo-cristiana che vede in esso un’artistica e bellissima allegoria nuziale riferita a Dio e a Sion, intrecciata con altre gentili metafore già ricorrenti nella Bibbia. L’interpretazione naturalistica, che vede nei due protagonisti due persone umane e reali, occupate nelle loro espansioni affettive fu condannata dal Concilio Ecumenico Costantinopolitano II (553 d.C.)».

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Nella sezione da 3:6 a 5:1, per esempio, la medesima Concordata vede il seguente significato: «Esultanza per il rientro a Sion della prima carovana di reduci, quasi corteo trionfale del Germoglio davidico-salomonico (nella persona di Zorobabele); e poi le consolanti parole divine a promessa di nuove benedizioni». Se consideriamo che, in ebraico, “parola” e “cosa” si dicono allo stesso modo (cioè “dabar”), chi ha conservato il senso di concretezza che è tipico della Bibbia, dopo aver letto la soprastante interpretazione credo che rimanga a bocca aperta, o gli venga da ridere.

Anche se c’è poco da ridere, perché la negazione della concretezza del Cantico è una specie di tappa finale di un processo di “smaterializzazione” dell’opera di Dio, che invece ha creato questo concreto mondo, con uomo e donna in carne ed ossa che sono la sua immagine: “disincarnare” i protagonisti del Cantico è il culmine del disprezzo per la concretezza di questa vita, concretezza che invece trasuda da ogni pagina della Bibbia.

È vero che altrove Dio si definisce come “marito” di Israele (per es. Osea 2:2), ma ciò non significa che quando la Bibbia parla di matrimonio debba necessariamente essere inteso in senso simbolico; certamente non fu simbolico, per esempio, l’incontro fra Isacco e Rebecca (Genesi 24).

Per inciso, Dio si definisce “marito” del popolo d’Israele nel suo insieme, non nel rapportarsi con i singoli; per esempio, la sintonia con Abramo e con Mosè è descritta come amicizia (Es 33:11; Is 41:8).

Tornando alla comprensione del Cantico, come si può esaltare il significato di un racconto se si comincia negando la realtà di quel racconto? Se qualcuno ci fa una carezza, potremmo riflettere sul significato della carezza cominciando col dire che in realtà non c’è stata?

Dato che ci siamo prefissi di fare un riassunto, certe “capriole interpretative” avremmo voluto ignorarle; ne abbiamo accennato solo per la loro universale diffusione, volendo però riprendere subito a privilegiare il testo in sé e come si inserisce nell’insieme della rivelazione Biblica.

7. IL CANTICO E GLI ALTRI LIBRI DELLA BIBBIA

A. Cominciare ad illuminare una Scrittura con quella precedente.

Quando Israele riceveva un nuovo messaggio da Dio, non poteva certo comprenderlo alla luce di quello

successivo che ancora non c’era, avendo invece il dovere di usare quanto Dio aveva già insegnato: è una logica elementare, eppure spesso disattesa! È vero che i nuovi messaggi possono contenere certe parti meglio comprensibili in seguito, ma la successiva e migliore comprensione non sostituisce la precedente, bensì la arricchisce; sarebbe infatti molto strano che Dio facesse comprendere sul momento una cosa sbagliata, per poi cancellare quella comprensione e sostituirla con quella vera, rendendo così insicura e provvisoria ogni sua parola!

Il Cantico, perciò, va prima di tutto compreso alla luce della Parola di Dio precedente, non di quella successiva (i profeti); anche se nei profeti trovassimo elementi che ci facessero meglio comprendere il Cantico, bisognerebbe comunque vedere prima i profeti alla luce del Cantico, poi semmai viceversa.

B. Il Cantico rilancia l’importanza della coppia descritta in Genesi 1-2.

a) È la coppia maschio-femmina ad essere immagine di Dio.

Un contributo significativo alla comprensione del Cantico può venire da un’attenta lettura dei primi due capitoli

della Genesi. Adamo era inizialmente immagine di Dio come singolo (Genesi 1:26); Eva non arrivò come qualcosa che si aggiunse ad Adamo, dato che si originò dalla famosa “costola” che venne tolta ad Adamo (Genesi 2:22). Dopo la creazione di Eva, dunque, in Adamo sopravvenne un’incompletezza e così, ad essere immagine di Dio, non fu più il solo Adamo, ma la coppia Adamo-Eva: «Dio creò l’uomo [nel senso di “genere umano”] a sua immagine; lo creò ad immagine di Dio, li creò maschio e femmina» (Genesi 1:27).

Quando le incompletezze del maschio e della femmina si ritrovano insieme è come quando si unisce il polo positivo di un filo elettrico col suo polo negativo: si accende una luce particolare e lo sperimentò subito Adamo: «Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne. Ella sarà chiamata donna [“isha”, cioè “uoma”] perché è stata tratta dall’uomo [ish]» (Genesi 2:23). Il Cantico, allora, può essere visto come un maggior dispiegamento di questo stupore iniziale di Adamo; al quale mancava, prima del Cantico, il corrispondente stupore di lei.

In tutte le culture le famiglie tendono ad essere “patriarcali”, cioè con i figli che restano nell’orbita dei genitori anche dopo il matrimonio. Se ci rendiamo conto di questo, allora Genesi 2:24 ci apparirà in tutta la sua straordinarietà: «L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne». È un comandamento dato all’inizio, perciò sta a fondamento dell’umanità; con esso sembra che Dio voglia preservare la sua immagine, che non è data da un clan patriarcale, ma da una unione di maschio e femmina, che così diventano “testimoni di Dio nel mondo”. Se consideriamo questa funzione della coppia di sposi, allora è più facile capire la necessità del Cantico.

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b) L’amore degli sposi è il motore del mondo.

Quando i bambini diventano adolescenti e scoprono l’innamoramento, si scatenano in loro tante e tali energie

che divengono tutt’altro; sono quelle energie che consentono a loro di tuffarsi nell’ardua impresa di costruire una famiglia e mettere al mondo dei figli. «Siate fecondi e moltiplicatevi» (Genesi 1:28): i comandamenti di Dio esprimono i suoi desideri ed anche ciò che è il meglio per i suoi figli. Forse non riflettiamo sul fatto che Dio è contento (e si dispone ad aiutarli!) quando vede due giovani che si mettono insieme per progettare il futuro e perpetuare la vita.

Senza l’amore che sorge in una coppia, l’umanità finirebbe presto; se l’amore di una coppia di sposi è il motore del mondo, allora non è strano che Dio, con il Cantico, lo voglia esaltare e preservare.

c) Uno specchio da ripulire.

La bellezza di una coppia di sposi si è andata deteriorando fin dall’inizio, dato che Adamo ed Eva divennero

complici nel peccato, per poi accusarsi a vicenda e provare disagio di fronte a Dio (Genesi 3). Adamo ed Eva, così, divennero un’immagine di Dio difettosa ed il rapporto uomo-donna continuò a presentarsi spesso corrotto, fino a Salomone compreso (1Re 11:1-13).

Sotto questo aspetto, allora, il Cantico vuole insegnare di nuovo la bellezza e la santità di un rapporto fra gli sposi che si rifaccia alla coppia Adamo-Eva prima della caduta, in modo che rifletta meglio il suo essere “immagine di Dio”: lo “specchio” rappresentato dal matrimonio, insomma, si era andato sempre più sporcando e allora, col Cantico, è come se Dio gli desse una bella ripulita.

C. Luci sul Cantico da Proverbi ed Ecclesiaste.

L’orientamento più comune è che il Cantico sia posteriore ai Proverbi e, dato il collegamento dell’Ecclesiaste

con i Proverbi (vedi Cap. 2, par. 2 e 5), si può considerare il Cantico come posteriore anche all’Ecclesiaste. In ogni caso, la supposta “successione temporale” fra i tre libri influisce limitatamente sulla comprensione del Cantico.

Sul cruciale rapporto fra Cantico e Proverbi rimandiamo a quanto osservato a proposito del linguaggio simbolico anticipato dai Proverbi, linguaggio che indica significati molto concreti e terrestri (par. 3).

Come nei Proverbi, anche nell’Ecclesiaste c’è l’invito a guardarsi dalla donna corrotta (7:26), mentre il gioire con la propria sposa è così espresso: «Godi la vita con la moglie che ami, per tutti i giorni della tua vanità […] poiché questa è la tua parte nella vita, in mezzo a tutta la fatica che sostieni sotto il sole» (9:9). Gioire con la propria moglie, per l’Ecclesiaste, non è una gioia, ma la gioia più grande che Dio ha data all’uomo. Una fonte di consolazione che però spesso l’uomo distorce, facendone un’ulteriore motivo di sofferenza e sciupando così tutta la sua vita.

Da questo punto di vista, allora, il Cantico è un invito di Dio a difendere e sviluppare il più prezioso ed esclusivo dono che ci ha dato.

D. Cantico e Profeti.

Abbiamo in precedenza visto che il Cantico riprende temi che erano già stati abbozzati nella parte di Bibbia

precedente, mentre poi i profeti utilizzeranno il Cantico per ulteriori sviluppi. Dato che, prima del Cantico, Dio non si era definito mai Sposo (come già notato nel Par. 6), allora quando poi nei profeti si definisce come Sposo, è evidente che il riferimento è allo sposo del Cantico: uno sposo totalmente affidabile e che ama con tutto se stesso. Parallelamente, il rimprovero ad Israele di non essere una sposa fedele, risalta proprio in confronto alla sposa splendente del Cantico.

Per non dilungarci, segnaliamo solamente i più importanti passi dei profeti nei quali Dio è visto come lo Sposo e Israele come la Sposa; una sposa però spesso infedele e perciò vista soprattutto come adultera o prostituta (Isaia 1:21; 50:1; 54:5-10; 62:4-5; Geremia 2:2,32; 3:1-13; 13:27; Ezechiele capp. 16 e 23; Osea 2:2 a 3:1; 9:1).

Da questo punto di vista, allora, mentre non consideriamo accettabile che nel Cantico si parli di Dio e del suo popolo, è però evidente che il Cantico anticipi la base sulla quale poi i profeti costruiranno la loro simbologia.

E. Cantico e Nuovo Testamento.

Il Nuovo Testamento non cita direttamente il Cantico, ma l’infedeltà a Dio continua ad essere vista come

“adulterio” (Matteo 12:39; Giacomo 4:4); il tema di Gesù “Sposo della Chiesa”, poi, è di grande rilievo ed è messo in evidenza sia dagli apostoli che da Gesù stesso (Matteo 9:15; 22:1-14; 25:1-3; Giovanni 3:29; Efesini 5:25-32; 2Corinzi 11:2; Apocalisse 21:2,9; 22:17).

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