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Gianni Balugani, Cecilia Della Casa, Enrica Maselli, Francesco Scaringella, Dario Tazzioli MATERIALI, STRUMENTI E COMPETENZE DELLA TRADIZIONE Studio delle finiture architettoniche tipiche dell’Appennino modenese

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  • Gianni Balugani, Cecilia Della Casa, Enrica Maselli,

    Francesco Scaringella, Dario Tazzioli

    MATERIALI, STRUMENTI E

    COMPETENZE DELLA TRADIZIONE

    Studio delle finiture architettoniche tipiche

    dellAppennino modenese

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    Questa ricerca lesito di un progetto co-finanziato dalla Provincia di Mo-dena e dal Fondo Sociale Europeo, allinterno della complessa attivit Labor a-torio Appennino Modenese (Rif. P.A. 2002/588/Mo approvato con delibera di Giunta Provinciale n. 355 del 10/09/2002) dal titolo Gli apparati di finitura del patrimonio architettonico per la valorizzazione dellarredo urbano.

    Laboratorio Appennino Modenese un articolato programma di attivit

    formative, ricerche ed indagini, di durata pluriennale rivolto a tutto il territorio dellAppennino modenese.

    Lesperienza di Laboratorio Appennino Modenese (in parte pubblicizzata sul sito www.vallidelcimone.it/laboratorioappennino), resa possibile grazie al fi-nanziamento della Provincia di Modena, Assessorato Formazione Professionale e del Fondo Socia le Europeo nellambito del programma operativo Obiettivo 3 e realizzata in collaborazione con Consorzio Valli del Cimone, Comunit Monta-na Modena Est, Comunit Montana del Frignano e Comunit Montana Modena Ovest, stata gestita da unAssociazione Temporanea dImpresa (ATI), formata da 5 enti di formazione (IAL EMILIA ROMAGNA come mandatario, MODENA FORMAZIONE, CNI ECIPAR, IRECOOP E ISCOM FORMA-ZIONE) nel periodo temporale novembre 2002-luglio 2004.

    Gli enti hanno raccolto varie istanze, aspettative e fabbisogni presenti nel territorio, anche grazie ai consolidati rapporti da essi intrattenuti con i principali soggetti istituzionali, economici e sociali della montagna modenese. Le richieste e le sollecitazioni indicate dagli attori locali sono state ricondotte a sintesi in una iniziativa comune, resa possibile dalla condivisione di obiettivi, da una proget-tazione integrata, da una pianificazione operativa congiunta, da un perseguito continuo confronto e raccordo con le istituzioni, gli operatori e gli abitanti dellarea. Ne emerso un programma di corsi di formazione, seminari formati-vi, indagini e ricerche con lobiettivo di dare impulso allo sviluppo economico e sociale dellAppennino, incentrato sul rafforzamento delle competenze dei gio-vani e degli operatori di diversi settori del territorio quali ad esempio il turismo, lambiente, la cultura, lartigianato, i servizi, lenogastronomia nel rispetto delle caratteristiche locali, delle diverse vocazioni e identit, ma comunque in logica di sistema e di integrazione.

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    La presente pubblicazione rappresenta uno degli esiti del progetto approvato con delibera della Giunta Provinciale n. 355 del 10/09/2002 (Rif. PA. 2002-0588/Mo) dal titolo La valorizzazione delle risorse del territorio per migliorare la qualit dellofferta turistica dellAppennino modenese nellambito dellAsse D, Misura D1, dellOb. 3 del Fondo Sociale Europeo. In particolare costituisce il report finale della seconda fase del progetto Gli apparati di finitura del patri-monio architettonico per la valorizzazione dellarredo urbano.

    La ricerca frutto di un lavoro di quipe e di costante confronto tra i suoi au-

    tori Gianni Balugani, Cecilia Della Casa, Enrica Maselli, Francesco Scaringella, Dario Tazzioli.

    La premessa stata elaborata da Gianni Balugani ed Enrica Maselli con il supporto di Francesco Scaringella; il capitolo 1. il frutto del lavoro di ricerca documentale realizzato da Cecilia Della Casa; il capitolo 2. stato redatto da Dario Tazzioli in collaborazione con Cecilia Della Casa; ai capitoli 3. e 5. hanno lavorato Gianni Balugani, Enrica Maselli e Francesco Scaringella; il capitolo 4. si deve alla collaborazione tra tutti gli autori del report, in particolare Dario Tazzioli ha realizzato la ricerca sul campo dei cinque siti analizzati ed autore di tutti i disegni riprodotti e Gianni Balugani ha raccolto la maggior parte del materiale fotografico allegato.

    Lorena Turrini ha collaborato con gli autori nella prima fase di impostazione del lavoro di ricerca.

    Si ringraziano i sindaci ed i tecnici dei Comuni di Polinago, Riolunato, Fras-

    sinoro, Guiglia, Zocca, Montese, Pavullo, Fiumalbo, Montefiorino, Fanano per il contributo rispetto allindicazione delle priorit dintervento nei rispettivi ter-ritori, per i contributi tecnici, per la disponibilit nellinterfaccia con gli attori dellarea, nella descrizione delle emergenze della zona e di alcune buone prassi realizzate.

    Un grazie sentito anche alle maestranze intervistate che, con la paziente te-stimonianza e la dimostrazione della loro professionalit, hanno contribuito allindividuazione dei processi di lavoro e delle relative competenze tecniche necessarie per la realizzazione degli apparati di finitura, secondo modalit stori-che e tradizionali.

    Lediting finale della pubblicazione stato impostato da Marina Zanfi.

    Copyright 2004, by Provincia di Modena. Stampa: Grafiche Jolly, Modena maggio 2004.

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    INDICE

    PREMESSA METODOLOGICA 9 1. Contesto e motivazioni dellindagine 9 2. Il concetto di apparato di finitura architettonico 15 3. La struttura della ricerca e della pubblicazione 17

    CAPITOLO 1. I MATERIALI STORICI TRADIZIONALI E LA LORO REPERIBILIT 21

    1.1. Introduzione 21 1.2. Pietra 24

    1.2.1. Fonti storiche 27 1.3. Mattone 29

    1.3.1. Fonti storiche 29 1.4. Malte 30

    1.4.1. Fonti storiche 30 1.5. Legno 31 1.6. Ferro 32

    1.6.1. Fonti storiche 32 1.7. Madonica, edilizia rurale nellAppennino estense 33 1.8. Reperibilit dei materiali tradizionali 34

    CAPITOLO 2. LE TECNICHE DI FINITURA E GLI STRUMENTI STORICI E TRADIZIONALI 41

    2.1. Introduzione 41 2.2. Strumenti ad asta 43

    2.2.1. La subbia 43 2.2.2. Lo scalpello 49 2.2.3. La gradina 50 2.2.4. Il ferrotondo 52 2.2.5. Lunghietto 53 2.2.6. Il raschietto 54 2.2.7. Lo scapezzatore o scapezzino 55 2.2.8. Cunei o punciotti 57

    2.3. Strumenti a manico 58 2.3.1. I martelli 58

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    2.3.2. Le mazze 61 2.3.3. Le martelline 65 2.3.4. La bocciarda 66

    2.4. I trapani 67 2.4.1. La menaruola 68 2.4.2. Il trapano ad asta 71 2.4.3. Il trapano ad arco 72 2.4.4. Le saette 73

    2.5. Altri strumenti di supporto 74 2.5.1. La riga 74 2.5.2. La squadra 75 2.5.3. I compassi 75 2.5.4. Larcipendolo 76 2.5.5. Il filo a piombo 76 2.5.6. Il quartabono 77 2.5.7. Il graffietto 77 2.5.8. Pali di ferro, leve o palanchini 78

    2.6. Le sostanze abrasive 78 2.7. Strumenti e sostanze per laffilatura 80 2.8. Strumenti per la carpenteria lignea 81

    2.8.1. Lascia 81 2.8.2. La scure 82 2.8.3. Lascia per squadrare i tronchi 82 2.8.4. Lascia a lama trasversale 83 2.8.5. Le seghe 85 2.8.6. Le pialle 88

    2.9. Strumenti per la fabbricazione dei ferri 91 2.9.1. La fucina e la sua struttura 93 2.9.2. Gli acciai 94 2.9.3. Lacqua 95 2.9.4. Strumenti ed operazioni per la forgiatura 96 2.9.5. Strumenti ed operazioni per la tempra 97

    2.10. La fabbricazione della calce nei territori di montagna 99 2.11. Comparabilit tra strumenti ed operazioni tradiziona-

    li e moderne 102

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    CAPITOLO 3. ATTIVIT, COMPETENZE E PROFESSIONALIT PER LE FINITURE DEL PATRIMONIO ARCHITETTONICO 107

    3.1. Introduzione 107 3.2. Definizione ed utilit della categoria di competenza

    professionale 108 3.2.1. Due definizioni significative di competenza 113 3.2.2. Cinque modi per utilizzare le competenze 116

    3.3. Il contesto di analisi nel percorso di ricerca 121 3.4. Le mappe di competenza 125

    CAPITOLO 4. APPARATI DI FINITURA: IL RESOCONTO DI UNA ANALISI SUL CAMPO 161

    4.1. Introduzione 161 4.2. Metodologia 162

    4.2.1. Mappatura dei siti e rilevazione di informazioni esistenti 162

    4.2.2. Scelta dei siti da analizzare 174 4.3. I risultati dellanalisi sul campo dei 5 siti 178

    4.3.1. Riolunato gli affreschi e la pietra scolpita nel paese 179

    4.3.2. Fanano la torre dellorologio 195 4.3.3. Gombola il selciato 207 4.3.4. Guiglia il castello 227 4.3.5. Vitriola Case Forti 237

    CAPITOLO 5. RISULTATI, RIFLESSIONI E LINEE FUTURE 267

    5.1. Risultati e riflessioni 267 5.2. Piste di approfondimento e di spendibilit 273

    APPENDICE BIBBLIOGRAFICA 285

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    PREMESSA METODOLOGICA

    1. Contesto e motivazioni dellindagine

    Questa pubblicazione il risultato del progetto Gli apparati di finitu-ra del patrimonio architettonico per la valorizzazione dellarredo urbano (Rif P.A. 2002-0588/Mo), un lavoro di ricerca che ha visto coinvolti stu-diosi e tecnici professionisti per pi di un anno (da novembre 2002 ad aprile 2004) e che ha avuto come area territoriale di riferimento, in sin-tonia con gli obiettivi di Laboratorio Appennino Modenese, lintero territorio appenninico della provincia di Modena.

    Il contesto territoriale di riferimento, quindi, ha compreso tutti i 18 Comuni della fascia appenninica modenese1, riuniti per alcune specifiche competenze amministrative negli enti Comunit Montana Modena Est, Comunit Montana del Frignano e Comunit Montana Modena Ovest, che hanno fattivamente collaborato alla realizzazione dellintera indagine.

    In un contesto da sempre attento alle esigenze locali, tanto che tra le

    finalit poste anche nei Piani di azione locale delle Comunit Montane annovera quale obiettivo globale la valorizzazione e la fruizione delle risorse ambientali, culturali e storiche tip iche dellAppennino, il lavoro stato finalizzato a rispondere ad alcuni macro-obiettivi che possiamo sintetizzare nelle seguenti priorit: promuovere il valore culturale, artistico, storico, architettonico e pae-

    saggistico dellintero Appennino Modenese; valorizzare il patrimonio artistico-architettonico degli apparati di fini-

    tura tipici del territorio considerato; indicare a titolo esemplificativo, alcune possibili strategie dintervento

    per il recupero di apparati di finitura ritenuti di particolare interesse attraverso lo studio e lindividuazione dei materiali, delle tecniche e degli strumenti utilizzati tradizionalmente nellAppennino modenese;

    sensibilizzare tecnici pubblici e privati, amministratori pubblici, ad-detti ai lavori, cittadini rispetto al valore del recupero e del restauro

    1 Comuni di Fanano, Fiumalbo, Frassinoro, Guiglia, Lama Mocogno, Marano sul Pa-

    naro, Montefiorino, Montecreto, Montese, Palagano, Pavullo nel Frignano, Pievepelago, Polinago, Prignano sulla Secchia; Riolunato, Sestola, Serramazzoni, Zocca.

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    conservativo realizzato secondo criteri e tecniche volti alla salvaguar-dia ed al rispetto delloriginalit del bene recuperato, nonch ad azioni sistematiche di conservazione programmata2;

    recuperare e valorizzare alcune professionalit artigianali, spesso a rischio di scomparsa, che utilizzando tecniche e strumenti tradizionali, mantengono viva una tradizione culturale ed artistica tipica del territo-rio appenninico, per molti aspetti unica, sempre pi sostituita da modi di lavorare standardizzati e spesso industriali.

    Il quadro valoriale e strategico nel quale sono stati definiti i suddetti

    obiettivi, scaturisce dallevolversi delle condizioni socio-economiche e culturali degli ultimi decenni. In una societ che tende a poggiare su e-lementi di valore via via pi intangibili e meno materiali, la visione del territorio e il suo conseguente utilizzo (a partire dalle attivit di pro-grammazione) puntano alla valorizzazione degli assets (elementi) imma-teriali dello stesso, piuttosto che di quelli materiali interpretati sempre pi come pre-requisiti da tutelare e da potenziare, hardware strutturale nei confronti del quale il software dei servizi, dellimmateriale, del capi-tale sociale gioca un peso molto pi decisivo.

    In questottica, quindi, la valorizzazione delle risorse immateriali co-me la cultura e la capacit di evidenziarne le caratteristiche quali elemen-ti costitutivi delle policies programmatorie degli enti pubblici, rappresen-tano temi strategici per lo sviluppo complessivo della societ che ne portatrice.

    Nel contesto solo sommariamente delineato, la ricerca ha approcciato il tema, molto specifico, degli apparati di finitura architettonici, privile-giando le dirette connessioni con gli aspetti relativi alla valorizzazione del territorio e della fruibilit turistica. In altri termini, beni architettoni-

    2 La modalit di intervento denominata conservazione programmata, avviata in

    forma sperimentale da Giovanni Urbani nel 1976 con il Piano di Conservazione Pro-grammata dei Beni Culturali dellUmbria e sviluppata successivamente dallIstituto Cen-trale del Restauro con la Carta del Rischio del Patrimonio Culturale, stata oggetto di numerose ricerche e sperimentazioni in diverse Regioni italiane ed europee. Si tratta di un determinante passaggio da una modalit di intervento sul costruito ex-post, a danno avvenuto, ad un approccio ex-ante di carattere preventivo, fondato su una approfondita conoscenza del manufatto nelle sue relazioni con lambiente circostante, su una precisa programmazione degli interventi di monitoraggio estesi ad ampia scala, su interventi, ove necessario, leggeri a carattere manutentivo. Per un bibliografia essenziale si veda Della Torre S. (a cura di), La Conservazione Programmata del patrimonio storico-architettonico. Linee guida per il piano di manutenzione e il consuntivo scientifico, Mi-lano, Regione Lombardia- Irer, 2003.

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    ci quali rocche, torri, pievi, chiese, ponti, mulini, strade, ma anche edifici di architettura civile dei secoli scorsi, devono essere interpretati come indicatori forti e diffusi sul territorio della cultura di cui quella societ che vi insiste permeata. Parimenti si potrebbe dire di altri aspetti del paesaggio, come lo sviluppo di ambienti forestali ed arborei, la confor-mazione dei campi coltivati, etc., che, non essendo oggetto specifico di questo lavoro, non verranno presi in considerazione, ma che concorrono a costruire il paesaggio nel suo complesso.

    Conseguentemente, condurre una ricerca sugli apparati di finitura, cio su tutto ci che rappresenta il tegumento dellimmobile (dai tetti ai muri, dallintonaco al selciato, dai serramenti alle componenti in ferro), significa investigare su alcune componenti del territorio, componenti e-stetiche che hanno una loro rilevanza rispetto alle percezioni visive di coloro che ci vivono o che lo visitano, ma soprattutto culturali perch sono diretta espressione del modo di vivere, di lavorare della gente del posto, dei materiali reperibili ed utilizzabili in quel determinato luogo, delle capacit artistiche degli abitanti di quel paese e della loro storia.

    Investigare con lo scopo, tra gli altri, di fornire agli addetti ai lavori ulteriori strumenti, con i quali proseguire nella loro azione (non solo programmatoria, ma anche gestionale ed operativa) di tutela dei beni ar-chitettonici e di connessione con finalit di valorizzazione urbana pi complessiva.

    Parallelamente, da un punto di vista della fruibilit turistica, condurre una ricerca su questi apparati di finitura significa interrogarsi rispetto al-la loro intrinseca funzione di trasmissione di cultura e di identit, sulle caratteristiche e le forme attraverso le quali tale funzione si trasforma in un bene fruibile dalle persone e specificatamente dai turisti.

    Per quanto attiene le caratteristiche degli apparati di finitura che pos-sono consentire una fruibilit turistica dei beni architettonici, importan-te sottolineare la necessit che tali elementi decorativi siano presenti in maniera diffusa e non snaturante il carattere storico-architettonico dei beni in oggetto, riuscendo ad esempio nellimpresa non scontata di inter-pretare correttamente le propriet architettoniche dei beni che, diversa-mente da altri, avranno lopportunit di essere conservati e restaurati. in questa fase della ricerca che sinscrivono gli obiettivi di analisi dei cri-teri, delle metodologie e delle tecniche storiche, volti alla salvaguardia ed al rispetto delloriginalit del bene recuperato, nonch dello studio e dellindividuazione dei materiali, delle tecniche e degli strumenti utiliz-zati tradizionalmente nellAppennino modenese.

  • 12

    Il lavoro sulle caratteristiche degli apparati di finitura si collega im-prescindibilmente con le forme con cui si pu cercare di preservare il ca-rattere diffuso e originale di tali apparati: presenza di strumenti di pro-grammazione pubblica coerenti, reperibilit in loco di materiali tradizio-nali, presenza di figure professionali capaci di costruire e/o recuperare finiture con utilizzo di tecniche e metodologie coerenti con quanto utiliz-zato in passato. In questa fase della ricerca si perseguito perci, da una parte lobiettivo di sensibilizzare tecnici pubblici e privati, amministrato-ri pubblici, addetti ai lavori, cittadini rispetto al valore del recupero e del restauro conservativo realizzato secondo criteri, metodologie e tecniche storiche, dallaltra lobiettivo di favorire il recupero e la valorizzazione di alcune professionalit artigianali, spesso a rischio di scomparsa, che utilizzando tecniche e strumenti antiche, mantengono viva una tradizione culturale ed artistica tipica del territorio appenninico.

    Il lavoro su caratteristiche e forme applicabili agli apparati di finitura,

    come gi detto, trova nella fruizione turistica uno dei principali sbocchi per perpetuare il loro sostanziale portato culturale. Basti pensare, infatti, alla connotazione immateriale del fenomeno turistico, che inoltre in co-stante accentuazione (dal turismo tradizionale al turismo culturale e delle emozioni3), per giustificarne il ruolo di importante vettore che ha tra le sue peculiarit quella di generare domanda in grado di trasformare pa-trimoni culturali in beni culturali. In altri termini, il turismo culturale di-venta unimportante occasione per fruire di quel patrimonio culturale che rappresenta un vero e proprio capitale intangibile, su cui sempre pi le societ avanzate baseranno il loro sviluppo. La ricerca, a tal proposito, ha come obiettivo quello di promuovere il valore culturale, artistico, sto-rico, architettonico e paesaggistico dellintera area montana, nonch di valorizzarne le tipiche sue espressioni ritrovabili negli apparati di finitu-ra, anche con lindividuazione di buone prassi, rappresentate da efficaci progetti di valorizzazione e di gestione dei beni architettonici.

    Ulteriore variabile da prendere in esame quella territoriale, in quan-to imprescindibilmente connessa alla dimensione del capitale culturale di una societ. Da questo punto di vista, la ricerca ha permesso di verificare quanti siano i punti di contatto e di omogeneit tra i vari territori appen-ninici, piuttosto che amplificarne le specificit, pur presenti e rilevate:

    3 Si veda Provincia di Modena, Il turismo creativo. Esempi di innovazione del pro-

    dotto turistico Atti del convegno, Modena, 2002

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    langolo prospettico dal quale si studiato il fenomeno degli apparati di finitura, va ribadito, quello di un distretto culturale turisticamente o-mogeneo4. A tal proposito, basti pensare alla ricchezza diffusa di borghi, beni architettonici e opere darte, non sempre adeguatamente tutelati e ancor meno valorizzati. Una continua alternanza di vuoti e pieni, di ambiente naturale e ordine del costruito5, che va a comporre una trama reticolare, a descrivere un ambiente antropizzato specifico, nel quale i beni architettonici fungono da testimoni e nodi, fenomeni tangibili di un patrimonio culturale trasformabile, come gi detto, in beni culturali. In altri termini, il paesaggio dellAppennino pu essere interpretato come il risultato di un connubio completo tra elementi naturali ed elementi cul-turali, rappresentando quindi di per s un capitale soft che dovr, nei prossimi anni, essere valorizzato e promosso quale prodotto turistico so-stenibile. Suggestivo, a questo punto del ragionamento, quindi intro-durre il concetto di paradigmi minimi a cui attenersi, da parte del suddet-to futuribile prodotto turistico. La presente ricerca vuol dare un contri-buto che pu essere letto anche in unottica di individuazione di questi standard minimi, per quanto attiene gli apparati di finitura architettonici: norme di tutela delle Soprintendenze, documenti di programmazione ter-ritoriali e settoriali, Piani Regolatori Comunali e dei Parchi, regolamenti edilizi, sono strumenti cogenti che possono, in linea teorica, recepire al-cune delle logiche e dei contenuti presentati nei seguenti capitoli, al fine di completare ed omogeneizzare criteri di regolazione del fenomeno ar-chitettonico in oggetto, oltre che preservare le specificit del paesaggio appenninico.

    perci coerente con la visione di fondo di questo studio lidea per cui la tutela e la salvaguardia di beni architettonici pu, anzi deve, essere condotta in modo coerente con le necessit di sviluppo del territorio nel suo complesso.

    Gli obiettivi della ricerca, perseguibili come potenzianti alcune tra le caratteristiche dellAppennino da promuovere, si trovano a confrontarsi con dati di realt che presentano tinte chiaro-scuro.

    Attraverso la presente indagine, stato possibile render conto, anche se solo a titolo di testimonianza, dellimpegno delle Pubbliche Ammini-

    4 Ci vero, in particolare, per quanto riguarda la stagione turistica estiva, per defi-

    nizione pi variegata ed articolata di quella invernale. 5 Fucili D., Pandolci A., Il Montefeltro, in Valentino P.A., Musacchio A., Perego

    F. (a cura di), La Storia al futuro, Firenze, Giunti Editore, 1999.

  • 14

    strazioni davanti ad un compito oggettivamente impari, come quello di preservare le risorse architettoniche e paesaggistiche da un lato, nonch di promuoverle in unottica di potenziali bacini di valorizzazione del territorio. Compito tanto ampio da dover annotare, purtroppo, anche esempi di insuccesso, rappresentati da casi di deperimento e di estrema compromissione di alcuni dei beni che partecipano alla costruzione del valore del patrimonio culturale, artistico e ambientale dellAppennino Modenese.

    Il contesto in cui si sviluppato il lavoro che verr presentato nelle pagine successive, non presenta per un panorama fatto esclusivamente di zone dombra. Ormai rappresenta un dato di fatto assodato limporsi di una sensibilit comune a diversi livelli (pubblici, ma anche nelle di-namiche del mercato privato), che reputa di estrema importanza il patri-monio dei beni architettonici presente sul territorio, e nel nostro caso ap-penninico. Numerosi e qualificati sono gli indicatori di tale visione diffu-sa e complessivamente omogenea, di questa sensibilit che si pu riscon-trare in molti operatori del settore. Si pensi ad esempio alla crescente attenzione al tema, presente negli

    indirizzi e nelle politiche di valorizzazione e conservazione fissate da-gli strumenti pubblici di programmazione territoriale a diversi livelli: a partire dalle Soprintendenze, vocate per natura alla difesa dei sud-detti beni, passando per il Piano Territoriale di Coordinamento Pro-vinciale e gli altri piani di settore (turistico, culturale, delle attivit e-strattive, delle aree montane, etc.) di livello provinciale, ai piani di sviluppo socio-economico delle Comunit Montane, ai Piani regolato-ri generali dei Comuni, per arrivare a esempi di promozione pubblica di recupero e restauro di immobili o beni architettonici attuati con modalit coerenti con le metodologie, i materiali e le tecniche tradi-zionali6. La stessa recente Legge per la montagna approvata dal Consiglio regionale dellEmilia Romagna il 15/01/2004, che definisce il ruolo degli Enti Locali (in particolare delle Comunit Montane) e degli altri attori pubblici e privati del territorio per la promozione de l-lo sviluppo sostenibile dellarea sancendo limportanza a questo fine della programmazione negoziata, dedica grande attenzione ai temi de l-la salvaguardia e valorizzazione del patrimonio culturale (art. 19) e della tutela e valorizzazione del patrimonio ambientale e paesaggisti-

    6 Si vedano casi di fondi pubblici per sostenere (in conto capitale, o in conto interes-

    si) iniziative private di restauro di immobili.

  • 15

    co (art. 20), che diventano prioritari obiettivi territoriali affidati alla responsabilit delle Comunit Montane.

    Si consideri inoltre lattenzione posta da operatori di diversa natura nei confronti della difesa e promozione di competenze e modalit ope-rative specifiche relative alla realizzazione, manutenzione e recupero di beni e manufatti tradizionali anche nellarea ambito di indagine: corsi di riqualificazione professionale per edili e picchiarini, corsi per la formazione di tecnici rispetto alle tecniche costruttive storiche da una parte e eco-compatibili dallaltra, tentativi faticosi, ma a volte ef-ficaci, di apertura di cave di materiali edili tradizionali (ad esempio, cave per lestrazione di pietra da taglio, per la produzione di piagne7).

    Altro esempio di buona prassi rappresentato dal costante, anche se lento, recupero di beni architettonici, connessi a precisi percorsi di successiva valorizzazione o di esperienze gestionali a sfondo impren-ditoriale, che rappresentano lungimiranti tentativi di rivitalizzazione del bene e allo stesso tempo del territorio circostante. Citiamo, solo a titolo di esempio, il restauro e attuale utilizzo della Podesteria di Gombola a fini turistico-ricettivi e culturali; il restauro di mulini a fini didattici, come il caso del mulino di Mamino a Montese; il restauro di beni architettonici di pubblica propriet, connesso a complessi e strut-turati percorsi di gestione, anche in collaborazione con attori privati, come nel caso del Castello di Montecuccolo e, tanto per uscire dai confini dellAppennino, del Parco di Villa Sorra, a Castelfranco Emi-lia (MO).

    2. Il concetto di apparato di finitura architettonico

    Entrando nel merito delle azioni specifiche della ricerca, bene evi-denziare come il successivo approfondimento degli aspetti metodologici, degli strumenti, delle fasi e dei risultati dellindagine non possa prescin-dere dalla definizione del concetto di apparato di finitura.

    Diversi approcci tecnici e consuetudini di lunga durata non permetto-no di individuare una definizione univoca di apparato di finitura archi-

    7 Le piagne sono lastre di arenaria usate principalmente per la copertura di tetti degli

    edifici ed in alcuni casi per la posa di selciati, cfr . anche infra par. 1.2.1. e par. 3.4.

  • 16

    tettonico8; la definizione pi sintetica9 indica come elementi costitutivi di tale concetto: i lavori di intonacatura; la tinteggiatura; la decorazione.

    Una definizione pi ampia della stessa locuzione, invece, aggiunge anche: la messa in opera di telai e scuri delle finestre e delle porte; i rivestimenti esterni.

    Nella prassi costruttiva, poi, vengono indicate ulteriori opere di finitu-ra: disposizione con modalit decorativa di pietre e laterizi (elementi

    strutturali della costruzione) e relative stuccature; grondaie; sporti del tetto (in legno e non); manto di copertura (coppi e piagne); davanzali e cornici di porte e finestre in pietra (regge e portali); marciapiedi e selciati.

    Da questa iniziale elencazione di possibili esempi di apparati di fin i-

    tura architettonici, lo staff di ricerca ha poi operato un accorpamento, ri-sultato come segue: 1. apparati di finitura muraria (i lavori di intonacatura, tinteggiatura, de-

    corazione); 2. disposizione con finiture decorative di pietre e laterizi; 3. cornici (sporti del tetto, davanzali, cornici di porte e finestre, marca-

    piano e marcadavanzale);

    8 Vista la finalit della ricerca, volta a ragionare di apparati che abbiano anche valore

    di arredo urbano, eliminiamo fin dal principio lambito di riflessione connesso alle possi-bili opere di finitura interne allabitazione.

    9 Bibliografia dalla quale si estrapolata questa definizione di apparati di finitura ar-chitettonica: - La grande Enciclopedia Treccani, Roma, Treccani, 2003; - Manuale di progettazione edilizia (Fondamenti, strumenti, norme), Milano, Hoepli 1995; - Architettura pratica,Torino, UTET, 1980; - Semerani L., Dizionario critico illustrato delle voci pi utili allarchitetto moderno, Faenza, C.E.L.I.,1993; - Il recupero. Metodi e modi, Milano, BE-MA,1990.

  • 17

    4. arredo urbano, nel caso in cui siano parte integrante del sito in oggetto (marciapiedi, sagrati, portici, pavimentazioni, fontane, etc.);

    5. infissi e balconi e parti metalliche (ringhiere, inferriate). Tali categorie della classificazione hanno indicato quindi il potenziale

    campo di indagine della ricerca.

    3. La struttura della ricerca e della pubblicazione

    La presente pubblicazione, volendo essere uno strumento il pi possi-bile operativo rivolto a tutti coloro che sono in qualche modo interessati o coinvolti nel recupero e nella valorizzazione degli apparati di finitura architettonici dellAppennino modenese, segue un percorso esplicativo-logico che si sostanzia nei 5 diversi capitoli del testo, e pu accompagna-re il lettore anche attraverso le diverse fasi dellindagine specificate infra in tab. 1.

    Nel primo capitolo si inteso analizzare i materiali storici tradiziona-

    li pi utilizzati nelledilizia del territorio, sia come materiali costruttivi che per gli apparati di finitura, approfondendo le caratteristiche dei mate-riali, la loro origine o provenienza e il loro uso pi comune in Appenni-no. A tal fine sono state utilizzate sia metodologie desk (ricerca biblio-grafica delle fonti storiche disponibili) sia field (ricerca sul campo con sopralluoghi sui siti di maggiore interesse). In particolare, i materiali a-nalizzati, tenuto conto della definizione condivisa in questo lavoro di apparati di finitura architettonici sono stati: la pietra, il mattone, le malte, il legno ed il ferro. Interessante in questo contesto la citazione di un documento del 1852, utilizzato per la costruzione di un edificio ad uso del corpo forestale estense, per la conduzione dei territori dello stato Estense a Madonica, nellAppennino reggiano. La vicinanza territoriale e lappartenenza allo stesso Ducato, ne fanno un documento di estremo in-teresse, per capire quali fossero le modalit costruttive e le caratteristiche delledilizia di fine 800 utilizzate anche nellAppennino modenese. Il capitolo si chiude con un passaggio relativo alla reperibilit attuale dei materiali storici e tradizionali, utilizzati per gli apparati di finitura archi-tettonici individuati. In particolare, in seguito ad un lavoro di analisi sul campo e di studio di documenti in esito a precedenti ricerche, si propone un quadro riassuntivo relativo alla presenza di cave nella montagna mo-denese, alla relativa possibilit di utilizzo ed al materiale estraibile.

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    Il secondo capitolo dedicato allo studio ed alla descrizione di alcune tecniche tradizionali utilizzate per la lavorazione dei materiali descritti nel precedente capitolo ed alla descrizione dei relativi strumenti di lavo-ro. La ricostruzione, ottenuta grazie al contributo diretto di esperti in ma-teria, verte in maniera preponderante sulle tecniche e sugli strumenti re-lativi alla lavorazione della pietra e del legno, quali materie prime prin-cipali degli apparati di finitura. La sezione del capitolo raccoglie anche numerose immagini (tavole, disegni, fotografie) che mirano a presentare sic et simpliciter gli strumenti un tempo utilizzati. Si propone quindi una approfondita comparazione tra metodologie e strumenti di ieri e di oggi, esplicitando la sottolineatura dei principali punti di divergenza e vicever-sa di somiglianza delle modalit realizzative, che consente di far luce su come si siano evoluti e/o standardizzati alcuni elementi che rendevano il manufatto speciale e unico.

    Nel terzo capitolo si sono analizzati alcuni dei processi lavorativi e

    delle relative competenze necessarie per lo svolgimento di attivit pro-fessionali ed operazioni di lavoro direttamente connesse con la realizza-zione e/o il recupero degli apparati di finitura individuati. La descrizione delle competenze tecniche, rilevate attraverso la realizzazione di una se-rie di incontri di lunga durata (in cui, oltre a diverse interviste in profon-dit stato possibile osservare gli interlocutori direttamente sul lavoro) con maestri muratori, falegnami, scalpellini, fabbri e lattonieri, ripor-tata attraverso una descrizione schematica delle fasi della lavorazione e dei relativi saperi, al fine di consentire una lettura pi immediata dei ri-sultati raggiunti. A corredo di questattivit di mappatura, sono state di-sposte numerose testimonianze fotografiche, anchesse utili a chiarire i contenuti del capitolo.

    Il quarto capitolo riporta il complesso lavoro di ricerca realizzato per

    la individuazione di alcuni siti dellAppennino modenese ritenuti di par-ticolare rilevanza dal punto di vista di una analisi idealtipica a carattere storico-tecnico di alcuni apparati di finitura architettonici, per cui si ritenuto opportuno approfondirne lanalisi. In questa parte della pubbli-cazione vengono esplicitate le varie fasi di ricerca ed i criteri con cui si effettuata la scelta dei siti stessi. Dallindividuazione e dalla schedatu-ra di oltre 20 emergenze sul territorio, si arrivati allapprofondimento dellanalisi rispetto a 5 siti ritenuti, per diversi motivi caratteristiche, tipologia, tecniche e materiali utilizzati, ciascuno secondo le proprie spe-

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    cificit esemplari e utili, anche per la descrizione/conoscenza di altre realt del nostro territorio montano. Fondamentale in questa fase stato lausilio di amministratori pubblici (sindaci, assessori alla cultura, asses-sori allurbanistica), di tecnici comunali e di operatori privati (tecnici, imprenditori e rappresentanti di associazioni culturali e turistiche) con comprovata esperienza sul tema oggetto di studio ed approfondita cono-scenza del territorio e delle sue emergenze storiche e culturali. Tali in-contri (oltre 30) hanno inteso coinvolgere lintero territorio montano. Nello studio approfondito dei siti (Case Forti o Case Torri di Vitriola, selciato di Gombola, intonaci e pietra scolpita del centro storico di Rio-lunato, torre dellorologio di Fanano, castello e torre di Guiglia), effet-tuato tramite unosservazione diretta sul campo e la presentazione di numerose immagini aggiornate dei siti stessi, possibile poi rintracciare nella realt tutti quegli elementi descritti e analizzati nei capitoli prece-denti, attraverso un lavoro di sperimentazione, compendio e sistematiz-zazione applicativa.

    Infine, la pubblicazione dedica una sezione (quinto capitolo) alla ri-

    flessione conclusiva ed alla esplicitazione di alcuni possibili suggerimen-ti rispetto a nuove opportunit, piste da percorrere, idee e sviluppi rispet-to a quanto emerso dallindagine svolta in ordine allo sviluppo socio-economico territoriale ed al connesso investimento professionale sulle risorse umane.

    La seguente tab. 1. raccorda ed integra, in modo schematico, i capitoli

    in cui si articola la pubblicazione (esplicitati ante) con le fasi del proget-to, le metodologie utilizzate ed i risultati ottenuti.

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    Tab. 1. Fasi del progetto, capitoli della pubblicazione, metodologie, risultati raggiunti nella ricerca

    Fasi del progetto Capitoli Metodologie Risultati/outputs

    Premessa Analisi documentale Definizione del concetto di apparati di finitura oggetto di analisi A1) I siti pi significativi

    del patrimonio architetto-nico della montagna

    cap. 4

    Analisi documentale Rilevazioni sul campo Interviste a testimoni significativi

    Identificazione ed analisi di oltre 20 siti di partico-lare interesse Selezione e studio in pro-fondit di 5 siti

    A2) I materiali storici e tradizionali A3) Le amalgame e gli impasti storici e tradizio-nali

    cap. 1 Analisi documentale Descrizione dei materiali tradizionali utilizzati in Appennino

    A4) Le tecniche di finitu-ra e gli attrezzi storici e tradizionali

    cap. 2

    Analisi documentale Interviste a maestri scalpellini, falegnami, muratori, etc.

    Comparazione tra tecni-che/strumenti antichi e moderni

    A5) Reperibilit dei ma-teriali tradizionali cap. 1

    Analisi documentale Ricerca sul campo Ricerca su internet

    Ricerca sulle antiche cave Ricerca per individuazio-ne imprese dedite allescavazione e alla la-vorazione del materiale da cava

    A6) Le competenze per la valorizzazione del patri-monio architettonico

    cap. 3 Analisi documentale Interviste a testimoni si-gnificativi

    Analisi di alcuni processi lavorativi e delle relative competenze ritenute ne-cessarie per lo svolgimen-to di quelle attivit pro-fessionali

    A7) La comparabilit tra materiali e tecniche anti-che e moderne

    cap. 2 Analisi documentale Interviste ad esperti ad hoc

    Comparazione tra tecni-che/strumenti antichi e moderni

    A8) Articolazione di un Piano d'azione per la va-lorizzazione dellarredo urbano dellAppennino modenese

    cap. 5 Incontri con decisori ed amministratori locali Conclusioni e proposte

    Fonte: relazione tra progetto di ricerca e pubblicazione finale

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    CAPITOLO 1.

    I MATERIALI STORICI TRADIZIONALI E LA LORO REPERIBILIT

    1.1. Introduzione

    Questo capitolo analizza i materiali storici tradizionali utilizzati nelledilizia dellAppennino modenese, sia come materiali costruttivi che per gli apparati di finitura, anche se il primo punto sembra esulare dallarea di interesse del presente lavoro. Nelledificato storico, infatti, questa divisione tra parti strutturali e parti di riempimento molto me-no definibile rispetto alloggi: una differenziazione introdotta dalluso del cemento, e dalla conseguente modifica delle tecniche di costruzione ed il motivo per cui si parla, anche nel presente lavoro, di materiali sto-rici tradizionali, facendo riferimento allepoca moderna prima della ri-voluzione industriale . Un esempio significativo di questa ambiguit mo-derna sono i cantonali dei muri, ossia gli angoli delle costruzioni, che sovente risultano evidenziati rispetto al resto della tessitura muraria, con una maggiore regolarizzazione dei blocchi di pietra o con diverse dimen-sioni e disposizione dei conci: leffetto estetico che ne risulta allocchio moderno, nellepoca della costruzione era indissolubilmente intrecciato con lesigenza funzionale di rinforzo delle parti sottoposte a carichi allinterno della costruzione.

    La definizione degli apparati di finitura, cos come considerati da questa ricerca, stata data in altra sede (cfr. Premessa Metodologica); preme tuttavia sottolineare, a questo punto, che la difficolt di effettuare una separazione netta tra parti decorative e parti struttura-li/funzionali ha origine anche dalle caratteristiche dellinsediamento storico dellarea considerata. LAppennino, e le zone montuose in gene-re, se pur popolate a partire dallepoca preistorica, sono caratterizzate da un tipo di insediamento sparso, funzionale alle attivit agricole, o in pic-coli centri, senza conoscere un insediamento urbano; ci signif ica che linvestimento sulla residenza, anche in situazioni di relativa stabilit so-ciale ed economica (a partire dalla met del 400) non raggiunge mai i

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    livelli dei centri medio-grandi di pianura. Di conseguenza linvestimento sugli apparati decorativi delledificato, legato a ragioni di prestigio so-ciale, un fenomeno che in Appennino riscontrabile solo in alcuni cen-tri e in alcuni edifici.

    Esiste inoltre lo scarto temporale di qualsiasi analisi storica, per cui il giudizio contemporaneo modifica certi valori rispetto al passato. Un esempio sono i fori da colombaia, le aperture per i colombi nelle parti alte delle abitazioni: lo studioso contemporaneo ne fa unanalisi anche formale, o quantomeno tipologica, mentre essi nascono con una valenza fondamentalmente funzionale.

    Lanalisi dei materiali, della loro origine e provenienza, e del loro

    uso, stata condotta principalmente a livello bibliografico, costantemen-te verificata con ricognizioni dirette sul campo e con lanalisi sui siti. Esiste infatti una bibliografia consistente e consolidata su questo tema, a partire dalle prime ricerche condotte dallIstituto Beni Culturali dellEmilia Romagna allinizio degli anni 70, e ancora prima, dai filoni di studi sulledilizia rurale dal secondo dopoguerra, che possono essere raggruppati in questo modo: il filone urbanistico-ambientale, che si occupato dellindividuazione di tipologie edilizie e di aree omogenee, con lobiettivo di ricostruire il legame tra prassi costruttiva e fattori am-bientali, geografic i, sociali ed economici, in particolare dove questo le-game appare stretto e vincolante, la casa contadina; il filone che ha effet-tuato i rilevamenti delle case, condotti con i metodi propri dellindagine archeologica; la fase di censimento e analisi dei tipi edilizi, che inizia negli anni 60, a partire da metodologie sperimentate in alcuni centri sto-rici, opportunamente modificata in relazione al diverso tipo di insedia-mento della montagna, insediamento sparso, non stabile, sino al 400 realizzato con tecniche non durature, ad eccezione dei centri o dellarchitettura religiosa. Lanalisi tipologica sullAppennino apparsa possibile solo in situazioni di investimento di capitale urbano, nella pia-nificazione e gestione dei fondi agricoli (normalmente la fascia di media collina) con abitazione.

    Appare significativo riportare per esteso una citazione da uno dei testi pi significativi, citazione che conserva tutta la sua validit nonostante il tempo trascorso, anche rispetto alla presente ricerca: un quadro cos complesso [Appennino come ambiente antropizzato, ndr.] rischia di per-dere la stessa riconoscibilit con la rarefazione delle testimonianze e la sostituzione dei ruoli, conseguenze del progressivo abbandono prima e di una riappropriazione turistica

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    inconsapevole []. Gli elementi raccolti [catalogazione beni, ndr.] spesso irripetibili, vanno consegnati al pi presto [] alle comunit locali perch ne utilizzino in primo luogo la potenzialit didattica, per costruire una coscienza della tutela ambientale e cultu-rale che la prima strada praticabile per la conservazione non impositiva di un patrimo-nio che non potrebbe considerarsi salvato con la sola sopravvivenza di alcuni aspetti este-riori.1

    Linsediamento appenninico stato a volte considerato spontaneo, o privo di caratteristiche specifiche; in realt esso, nelle forme stabili e conservate, nasce da maestranze edili qualificate, ed un tipo di inse-diamento fortemente vincolato da parametri ambientali, climatici, e di reperibilit dei materiali. Tutto lAppennino tosco-emiliano costituito geologicamente da arenaria (nota anche come macigno) e argille sca-gliose, che inglobano calcare, arenarie e rocce verdi, le ofioliti (associa-zioni di rocce di origine magmatica, basalti, gabbri, serpentini e diaspri, e altri minerali), cfr. anche par. 2.6.

    La vegetazione, prevalentemente frutto delle colture degli abitanti, nella fascia submontana, ossia fino a 900 metri di altitudine circa, co-stituita da boschi di querce, rovere e roverella, e sottobosco di arbusti; nella zona montana, fino a 1500 metri di altitudine circa, i boschi sono costituiti da cerri, faggi e castagni.

    Pietra e legno sono stati i materiali fondamentali per le costruzioni, assieme, ma in misura molto minore, al mattone, e alle malte di connes-sione e finitura, sia per pietra che per mattone. I materiali dovevano es-sere reperibili localmente, dati gli alti costi di trasporto, e le difficolt dovute ad una viabilit storica (dal 200 le testimonianze documentarie) di crinale e di costa, raramente di fondovalle, costituita da una fitta rete di sentieri e mulattiere, percorsi sostanzialmente non rotabili. Le strade di crinale non richiedevano lavori di sterro, ed evitavano i salti dei tor-renti. I passi appenninici sono stati a lungo problematic i, sia in inverno, ma anche in primavera per il disgelo. I viaggi erano comunque difficol-tosi (Lazzaro Spallanzani, una delle fonti storiche utilizzate, nei suoi viaggi esplorativi alla met del 700 utilizza il cavallo o addirittura si sposta a piedi). Le grandi opere viarie volute dagli Estensi nel 700 (Pas-so del Cerreto, Via Vandelli, Via Giardini) modificarono profondamente la percorribilit del territorio, ma in ogni caso trasportare materiale da costruzione per tragitti anche medi era comunque unoperazione costosa.

    1 Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia Romagna, Istituto per lo sviluppo

    economico dellAppennino, La fabbrica dellAppennino. Architettura, struttura e ornato, Bologna, Grafis, 1988, p. 13.

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    Nei paragrafi che seguono, per ogni materiale individuato, (pietra, mattone, malte, legno e ferro) viene data in forma sintetica una descri-zione degli usi, nelle tecniche costruttive e di finitura; sono inoltre ripor-tate, per ogni materia le, alcune fonti storiche: lopera di Ricci, studioso e funzionario dello stato estense, nel 700; i viaggi di studio di Lazzaro Spallanzani, sempre alla met del 700; un testo della fine dell800 sullAppennino.

    Queste fonti sono state scelte poich trattano lAppennino nel suo complesso, non si riferiscono ad un sito o un luogo specifico, quindi so-no in linea con questo lavoro. Inoltre sono fonti accreditate, ossia, pur con tutte le cautele delluso delle fonti storiche, sono ampiamente citate e riportate dalla bibliografia di riferimento, anche perch nascono con intenti di studio, classificazione e descrizione. Appartengono ad epoche (dal secolo XVIII) in cui non solo esiste un edificato permanente in ma-teriali durevoli, ma questo edificato presenta anche dei caratteri di tipiz-zazione, o di consuetudine costruttiva assestata.

    Ultimo motivo, le fonti sono state selezionate anche per la chiarezza e comprensibilit del linguaggio utilizzato, come primo esempio di ricer-che ulteriori e di strade percorribili in termini di approfondimenti.

    1.2. Pietra

    Tutta la tradizione costruttiva dellAppennino identificabile con lutilizzo della pietra, le cui caratteristiche variano a seconda delle zone appenniniche, e a seconda delle stratificazioni geologiche (affioramenti di arenarie, calcari, calcareniti, rocce di origine vulcanica, gessi). La pre-senza e la diffusione sul territorio, e la disponibilit (rocce da affiora-mento, ciottoli fluviali, oltre che attivit di cava vera e propria) della pie-tra, la rendeva il materiale da costruzione, a livello di strutture e di finitu-ra, predominante.

    Il modo pi semplice per ottenere materiale lapideo era la raccolta di ciottoli fluviali, resistenti perch selezionati dagli agenti atmosferici e dalle acque correnti.

    Le tecniche di estrazione dalle cave, consolidatesi attraverso una pra-

    tica secolare, permettevano di identificare, estrarre, e poi utilizzare, i vari filoni di arenaria, di granulometria variabile a seconda dei filoni tra 2 mm e 0,006 mm, di costituzione variabile (i granuli possono essere di

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    quarzo, con feldspati, miche, etc.) e a cemento variabile (carbonatico, ar-gilloso, siliceo). Il cappellaccio la parte pi superficiale dello strato, la pi degradata, da cui si pu ricavare ghiaia e pietrisco; i tre faldoni sono i banchi da cui si ottengono le prime boz-ze; lo strato matto, gi abbastanza spesso, consente la formazione di conci per muri e opere di contenimento; la pietra gentile, di grana fine, particolarmente adatta per ope-re di finitura come architravi, spalle, mensole e cornici; il nodo uno strato di roccia variamente cementato ottimo per cordonature e gradini ma di pi difficile lavorabilit; la cotenna posta nella parte basamentale del filone roccioso, ha uno spessore discontinuo e una granulometria difforme che mal si presta agli usi costruttivi. Caratteristica comune ad ogni singola falda il sostanziale parallelismo fra la superficie superiore e quella infe-riore: ci significa una disponibilit naturale ad essere staccata e suddivisa in forme abbastanza regolari mediante lausilio di cunei, mazze e scalpelli.2

    Un tipo particolare di arenaria, chiamata macigno o pietra macigno, diffuso in vaste zone della parte pi alta dellAppennino tra Bologna e Parma. unarenaria di colore grigio, a granulometria variabile, costitui-ta da quarzo e feldspato cementato da calcare e argilla.

    Il macigno utilizzato per bugnature decorative, cornici di porte e fi-nestre, gradini, pietre per pavimentazioni, volte dei ponti. NellAp-pennino modenese cave di macigno furono aperte a Fiumalbo, Montecre-to, Sestola, Fanano, e luso del macigno come pietra per finiture pre-sente gi in edifici rinascimentali3.

    Le diverse lavorazioni, secondo le tecniche artigianali degli scalpelli-ni, sono in relazione da una parte al tipo di pietra, dallaltra al suo futuro utilizzo (cfr. cap. 2.): esistono lavorazioni seriali, per pezzi omogenei (sbozzatura, subbiatura, scalpellatura e levigatura), e lavorazioni specia-li, per diverse finiture e decorazioni (bugnatura, punteggiatura, martelli-natura, zigrinatura e bocciardatura)4.

    2 Conti G., La pietra nelle esperienze costruttive dellAppennino, in Le pietre

    nellarchitettura: struttura e superfici, Atti del convegno di studi, Bressanone, 25-28 giu-gno 1991, Padova, Libreria Progetto, 1991.

    3 Cultura popolare in Emilia Romagna. Mestieri della terra e delle acque, Bologna, Silvana, 1979. In particolare, Reggiani A., Cave di pietra e scalpellini, ivi.

    4 La sbozzatura lattivit che serve a conferire alla massa di materia una forma sommariamente preparatoria (di norma per abbozzare il masso in forma squadrata). La subbiatura loperazione di sgrossatura delle pietre a colpi di subbia (cfr. par. 2.2.1.). Pi semplici da comprendere sono le azioni di scalpellatura (lavoro di scalpello, cfr. par. 2.2.2.) e di levigatura del materiale.

    La bugnatura invece loperazione volta a realizzare rivestimenti ornamentali archi-tettonici costituiti da bugne (parte sporgente, variamente sbozzata lasciata ad arte nella parete esterna di alcuni conci in pietra per accentuare il contrasto chiaroscurale, le forme

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    Le ofioliti, rocce di origine vulcanica di colore verde, erano utilizzate per parti decorative, come la balaustra della chiesa di Pavullo, in ofiolite proveniente da Renno, oppure come inerte per opere di difesa fluviale, massicciate stradali, macine da mulino. comunque un tipo di roccia che mal si presta alla costruzione, per la difficolt dellestrazione.

    Le calcareniti, rocce costituite prevalentemente da carbonato di cal-

    cio, sono presenti in tutto lAppennino; nellarea emiliana prendono il nome di alberesi, e sono stati usati non solo per ottenere la calce ma an-che come materiale da costruzione.

    Le murature in pietra da taglio sono costruite con conci sbozzati in

    modo regolare, disposti a corsi rettilinei. Spesso si usa la muratura a sac-co, quindi molta attenzione posta nei cantonali5, che chiudono lopera e forniscono il filo per i corsi del paramento; in questi punti si trovano i conci pi massicci e regolari, con decorazioni geometriche, religiose e apotropaiche.

    Nei secoli XIII e XIV la muratura in pietra regolare rifinita con una stuccatura di malta e stilata, ossia viene evidenziata la trama muraria con uno stilo, che segna la malta di stuccatura. In periodi successivi, luso di materiale non squadrato rende necessaria lintonacatura.

    I ciottoli fluviali, abbondanti nelle zone di fondovalle, sono messi in opera disposti a spina di pesce, oppure spaccati e messi in opera con la faccia piana in vista, con un effetto alveolare, interrotto da due o tre mani di mattoni, che servono a ristabilire il livello orizzontale e a formare i cantonali, a volte con immorsature (cfr. infra, par. 3.4.).

    ed il valore plastico). La punteggiatura, come richiama anche la parola, lazione di rifi-nitura volta a conferire alla pietra una quantit di punti pi o meno fitti ad effetto decora-tivo. La martellinatura rappresenta invece loperazione di rifinitura volta a mettere in vista i granuli di pietra ed a conferire allapparato superficiale un caratteristico aspetto a piccole sfaccettature irregolari. La zigrinatura serve ad arrecare un aspetto ruvido e gra-nuloso alla superficie lavorata, di norma attraverso limpressione di fitte serie di righine parallele; mentre la bocciardatura loperazione di finitura ottenuta attraverso lutilizzo della bocciarda (cfr. par. 2.3.4.), che serve usualmente a zigrinare e rendere ruvide le su-perfici in pietra.

    Per ulteriori specifiche informazioni sulle operazioni di finitura, cfr. anche il cap. 2. relativo agli strumenti utilizzati in queste (ed altre) attivit e il par. 3.4. che riporta lanalisi delle competenze tecniche ad esse sottese.

    5 Il cantonale lo spigolo tra due pareti ad angolo retto.

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    1.2.1. Fonti storiche

    a) Lodovico Ricci, Corografia dei territori di Modena, Reggio e degli altri stati gi appartenenti alla casa dEste, Modena, 17386 Andrea Pelago in questo Comune, lungo le rive del torrente dragone sono abbondan-ti miniere di sasso saponario, che tagliato in tavolette, e fatto in polvere, opportuno a molti usi nelle arti. Denzano Sopra il Castello di questo Comune alla faccia dellOspitaletto trovasi ab-bondante cava di pietra docile allo scalpello e a molti usi opportuna. In un Rio vicino si scoprono pietre di vivo colore, in luogo detto Sassolosco, simili al diaspro fiorito o Affri-cano [sic]. Montecorone Quivi trovansi agate di color di latte serpeggiate e variate di durezza poco minore alle orientali e pi dure certamente delle agate di Boemia e di Sassonia, on-de ricevono bellissimo pulimento. Monterastello Quivi alla sinistra di un Rio trovasi Cava di pietre molari, e veggonsi strati di calcedonio. Rocca Malatina Quivi veggonsi altissimi scogli, o massi piramidali di pietra arenaria, che mostrano la giacitura degli strati obliqua, entro aquali sono scavate a scalpelli Ca-mere e Grotte [] Dalle pi salde vene di questi sassi furono cavati molti ornamenti di Palagi della Citt di Modena, che per la qualit della pietra non reggono al gelo.

    b) Lazzaro Spallanzani, Viaggio nellAppennino modenese e reggia-

    no7 Sappiate adunque che lAlpi di San Pellegrino dalla loro sommit sino alle opposte ra-dici situate al nord, e a mezzod, non sono che un aggregato di pietra arenaria, contando io per nulla alcuni brevissimi e sottilissimi strati di ardesia argillosa, che rade volte vi si trovano dentro. Che anzi la massima parte di quei montani villaggi, di quelle chiese, di quelle capanne non daltro fabbricata che di tal pietra.8 Trovo che i sassi, adoperati per la strada, sono pure di pietra arenaria [] che quella pietra di cui si sono serviti, e si servono, per piccole colonne nelle case, per i contorni delle finestre di alcune case proprie, per limpellicciatura della chiesa di San Pellegrino, per due altari dentro la chiesa.9

    6 Ricci L., Corografia dei territori di Modena, Reggio e degli altri stati gi apparte-

    nenti alla casa dEste, Ristampa anastatica, Milano, Insubria, 1978. Il testo costruito come un elenco in ordine alfabetico dei nuclei urbani del territorio estense, per ognuno dei quali sono riportate informazioni ambientali e storiche; nel report sono riportate quel-le relative a comuni montani, attualmente parte dellAppennino modenese, con informa-zioni sui materiali storici.

    7 Di Pietro P. (a cura di), Lazzaro Spallanzani. Viaggio nellAppennino Modenese e Reggiano, Bologna, Boni, 1985. Il volume raccoglie i resoconti di diversi viaggi effettua-ti da L. Spallanzani nella prima met del 1700.

    8 Nelledizione della nota precedente, pp. 39-40. 9 Ibidem, p. 46.

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    Ho parlato delle pietre schistose, di cui si servono quelli di Fanano, e daltri siti con vicini per coprire i tetti. 10

    c) LAppennino modenese descritto e illustrato11

    Buonissimo materiale da costruzione e che si presta egregiamente a qualunque lavoro di taglio il macigno eocenico dellalto Appennino, specialmente quando i cavatori si im-battono in variet che niente o ben poco soffrono per lazione del gelo. La vetta del Ci-mone costituita da questa roccia, ed precisamente dalla vetta che stato cavato tutto il materiale per la costruzione della Torre Osservatorio, in questi ultimi tempi compiuta. [] Di queste arenarie non vi sono cave grandiose, solendo ordinariamente i cavatori usufruire ed esaurire i grossi blocchi che le frane hanno trascinato sui fianchi dei monti o tagliarle superficialmente dagli affioramenti prossimi al luogo dove debbono essere usa-te, tanta labbondanza di questo materiale da costruzione in tutta la regione dellalta montagna. Se il sistema economico, non fornisce sempre le migliori qualit di materiale ostacolando la scelta del migliore; cos non raro vedere nelle costruzioni, che special-mente risalgono ad un certo tempo, pietre corrose dal gelo accanto a quelle tuttora intatte. Nella stessa regione ove cos comune il macigno eocenico si trovano facilmente ottime arenarie schistose che naturalmente separate in lamine (chiamate nella regione piagne), senza raggiungere la qualit delle vere ardesie, servono in tutta la montagna, le pi sottili per la copertura dei fabbricati, le pi grosse per pavimenti e per tramezzi murari. Final-mente appartengono sempre a questo tipo di rocce alcune arenarie (in montagna le chia-mano selci) separabili in falde di uno spessore compreso tra 10 e 20 centimetri, natural-mente piane, utilissime per gradini, pavimenti di cortile e di marciapiedi, balconi di case ecc. La principale cava di questa arenaria schistosa fra Sestola e Roncoscaglia, ottima per gradini di scale, ed i gradini gi tagliati vengono esportati a grande distanza. special-mente utile nella regione di pianura, perch se per il suo colore non riesce vaga allocchio, ha il vantaggio di mantenere una superficie scabra e di non coprirsi mai nelle giornate umide di quel velo dacqua di cui si copre cos facilmente la pietra pi bella e bianca di Verona, rendendone non scevro di pericolo il passaggio. Arenarie calcarifere sufficientemente resistenti al gelo si trovano nella media montagna e provengono dal miocene medio ed inferiore. Pavullo, Gasato, Guiglia, Montagnana, Prignano, Roccamalatina, ecc. forniscono questo materiale, che se non ottimo, cer-tamente usufruibile. I calcari delle argille scagliose rappresentano un materiale da costru-zione molto infido, essendo quasi impossibile di decidere appena cavato se sar resistente o se lazione del tempo lo trasformer pi o meno rapidamente in poltiglia. Se per per questo materiale sarebbe cattivo consiglio toglierlo dalle cave, non lo stesso quando si raccolga nei fiumi. La scelta naturale prodotta dal torrente, dove il cattivo si distrugge e il buono si conserva, fornisce in molti casi un ottimo materiale da costruzione.

    10 Ibidem, p. 105. 11 LAppennino modenese descritto e illustrato, Rocca San Casciano, Cappelli, 1895.

    Il volume un insieme di contributi di autori diversi; per la parte citata, Mineralogia e litologia, lautore T. Bentivoglio (pp. 37-46).

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    Piccole cave di travertino (tufo [nota nel testo originario: nellItalia superiore la parola tufo impiegata per i calcari spugnosi o compatti derivati dalla deposizione del carbona-to di calce prodotta dalle sorgenti che lo contengono] o anche pietra spugna) si trovano in diverse localit, cio a Renno, Varana, Montese, Montefestino, S. Andrea a Pelago, ecc. Pochissimo usato, e con ragione, il serpentino o le rocce ad esso collegate. Non facile trovarne saldezze tali da servire come pietra da taglio, ed anche quando ci fosse, il taglio offre troppe difficolt perch possa essere facilmente utilizzato. Alcuni gabbri rossi ed alcune oficalci potrebbero essere utilmente impiegate come materiale ornamentario; cos i gabbri rossi di Vesale hanno fornito tavole stupende per vaghezza e bizzarria di colori, e quelli di Renno sono stati usati nella balaustrata della chiesa di Pavullo. Una massa abbastanza grandiosa di conglomerato serpentinoso lungo Scotenna presso Renno ha fornito le colonne del cimitero di San Cataldo in Modena; lesempio per non ha avuto imitatori, la natura stessa della roccia di origine frammentaria e risultante da un impasto di materiali gi alterati prima della loro cementazione, ha fatto riconoscere che questo materiale non utilmente usufruibile allaria; potrebbe per essere impiegato con vantaggio fuori del contatto degli agenti atmosferici se a questo non facesse ostacolo il suo colore verde-nero che abbisogna di una piena luce per mostrarsi in tutta la sua va-ghezza, tanto pi che non suscettibile di ricevere un buon pulimento.

    1.3. Mattone

    Luso del mattone, e del laterizio in genere, storicamente minore ri-spetto alla pietra, poich questultima era di immediata reperibilit, men-tre il laterizio richiedeva comunque una tecnologia di lavorazione. La fonte riportata di seguito illustra con chiarezza i motivi del mancato svi-luppo di una produzione locale consistente del laterizio, e del suo impie-go minore in edilizia, motivi consistenti nella diversa qualit delle argille nella fascia pedemontana, e di economicit di produzione e trasporto.

    Sono presenti in Appennino diversi esempi di utilizzo del mattone in parti di finitura, da cornici di aperture a cornici marcapiano, utilizzo nei fori di colombaia, sottotetti e sottogronda, comignoli.

    1.3.1. Fonti storiche

    a) LAppennino modenese descritto e illustrato. Le argille da laterizi e di ottima qualit sono fornite dalle pi basse colline plioceniche della regione montana. Sarebbero capaci di fornire ottimi materiali da costruzione e mol-te piccole fornaci sono sparse nella stretta zona del Pliocene da Sassuolo a Savignano; un largo impiego di questo materiale ostacolato dallabbondanza di un materiale similare, e per certi usi di qualit superiore, sparso in tutto quel primo tratto di pianura immedia-tamente contiguo alla base delle colline. La naturale miscela della sabbia e dellargilla

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    nei giacimenti della pianura, e le minori spese di trasporto, hanno dato vita a colossali opifici per laterizi che non permettono ai minori della collina di assumere una maggiore importanza.12 Il comune di Lama ha nella frazione di Barigazzo una fornace per la fabbrica dei matto-ni. A Fiorano abbiamo le fornaci per la fabbrica dei materiali da costruzione, quali i mat-toni di diverse dimensioni, le tegole, le pianelle per pavimenti e molti altri. Questi pro-dotti si esportano nella pianura o vengono anche introdotti su per lAppennino. [Altre fornaci segnalate: Marano, Pavullo, Polinago].13

    1.4. Malte

    Nelledilizia montana appenninica si riscontra un largo uso di malte a base di calce e inerti, per le murature, le stuccature dei paramenti, come intonaci e come base per decorazione (affresco): la disponibilit del ma-teriale base, pietra arenaria ad alto contenuto calcareo, o altre calcareniti, permetteva di ottenere con facilit malte per usi costruttivi (cfr. anche par. 2.10.).

    Su ogni muratura esterna, anche in pietra, uno strato di intonaco a calce, permetteva di proteggere la pietra da fenomeni di erosione idrica o eolica, a cui larenaria, per caratteristiche litologiche, particolarmente vulnerabile.

    Per quanto riguarda informazioni sui pigmenti utilizzati per colora-zioni delle malte in impasto, o tinteggi, non sono state recuperate fonti specifiche, tranne le prescrizioni per Madonica (vedi infra); si segnala tuttavia la presenza, nellAppennino modenese, della lavorazione della canapa e della lana, che comportava anche la tintura; molti pigmenti uti-lizzati per la tintura delle stoffe sono i medesimi per le malte e gli infissi (in particolare la gamma delle terre). Altri pigmenti erano ricavati diret-tamente dalle essenze vegetali (il tannino dai castagni, per esempio).

    1.4.1. Fonti storiche

    a) Lodovico Ricci, Corografia dei territori di Modena, Reggio e degli altri stati gi appartenenti alla casa dEste, Modena, 1738

    12 Bentivoglio T., Mineralogia e litologia, in LAppennino modenese descritto e il-

    lustrato, Rocca San Casciano, Cappelli, 1895, pp. 37-46. 13 Tonelli A., Industria e commercio, in LAppennino modenese descritto e illu-

    strato, Rocca San Casciano, Cappelli, 1895, pp. 827-845.

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    Levizzano Alle falde del colle di Puglianella si trovano abbondanti cave di gesso in luogo detto il Rio. Vignola Ivi a mezzo miglio a Ponente trovansi abbondanti cave di gesso.

    b) Lazzaro Spallanzani, Viaggio nellAppennino modenese e reggia-

    no. Feci spezzare pi massi, senza per trovarvi mai altre sostanze forestiere, che petrosi carbonati calcari, a Fananesi troppo cogniti, valendosene per fare calcina.

    c) LAppennino modenese descritto e illustrato

    I calcari frammisti alle argille scagliose forniscono la pietra da calce, la quale contenen-do naturalmente elementi argillosi sempre una buona calce idraulica e in molti casi pu servire alla confezione di ottimi cementi. Fra questi i cementi a rapida presa sono quelli che pi facilmente possono essere preparati. [] Per la ricerca della pietra da calce si ricorre ordinariamente ai massi trascinati nellalveo dei fiumi, e senza essere queste calci soverchiamente idrauliche, sono in moli casi le migliori. Spesso anche si tolgono diret-tamente dalle piccole cave locali quando luso ne accenna la necessit. In generale sono piccoli forni discontinui che servono alla preparazione della calce; costruiti nel momento del bisogno, si abbandonano dopo che hanno servito. Veri e propri opifici per la cottura della calce si trovano nei dintorni di Vignola e Marano.14 La fabbrica della calce si fa in generale in tutti quei luoghi dove si trova la pietra adatta, il calcare alberese.15

    1.5. Legno

    Il legno nella costruzione in pietra usato fondamentalmente per car-penterie orizzontali, ossia tetti, solai, balchi, mensole di balconate, spor-genze di copertura, fatte con essenze molto resistenti e poco elastiche (rovere, castagno, carpino), utili anche per realizzare gli incastri incavati (cfr. anche par. 2.8. e 3.4.).

    Inoltre il legno usato negli infissi di porte e finestre, spesso non car-dinati, ma costituiti da tavolati fermati da stanghe inserite trasversalmen-te nel muro, e nei serramenti: si usava il castagno e altre essenze.

    14 Bentivoglio T., Mineralogia e litologia, in LAppennino modenese descritto e il-

    lustrato, Rocca San Casciano, Cappelli, 1895, pp. 37-46. 15 Tonelli A., Industria e commercio, in LAppennino modenese descritto e illu-

    strato, Rocca San Casciano, Cappelli, 1895, pp. 827-845.

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    Gi dal secolo XVIII i documenti attestano la scarsit di piante di grandi dimensioni per coperture di ampi spazi, tant vero che gi allora si ricorreva allimportazione, e il patrimonio forestale estense era oggetto di protezione.

    La lavorazione del legno parte dal taglio dellalbero, poi c la scor-tecciatura, i vari tagli e lavorazioni in relazione alluso (pilastri e travi, ponteggiature e centine, volte incannicciate e pareti a graticcio, sporti, infissi, coperture a tetto, solai), cfr. in particolare il par. 3.4.

    Per questo materiale non si riportano fonti storiche specifiche, in quanto il legno , ed era, materiale di uso cos comune, e di reperibilit cos immediata, che le fonti, appunto, in qualche misura lo considerano scontato; al contrario, gli altri materiali considerati richiedevano forme pi o meno complesse di tecnologia di lavorazione, e informazioni sulla loro reperibilit.

    1.6. Ferro

    La presenza di minerali di rame e ferro era utilizzata per la fabbrica-zione di attrezzi di lavoro e chiodi, e parti di finitura e rinforzo delle co-struzioni, come catenature, serrature, cardini, inferriate. Esistevano mi-niere di pirite tra Palavano (oggi Palagano) e Boccasuolo, mentre dal se-colo XIV il rame veniva estratto a Montefiorino, Toggiano e Boccasuolo. Dal 700, sfruttate sino allinizio dell800, le miniere di Vesale, Renno, zona a sud di Pavullo.

    Lacido solforico, comunemente noto come vetriolo e spesso associa-to alla presenza di miniere di rame, di cui si riporta una fonte, era utiliz-zato in campo tessile come fissativo per le tinture.

    1.6.1. Fonti storiche

    a) Lodovico Ricci, Corografia dei territori di Modena, Reggio e degli altri stati gi appartenenti alla casa dEste, Modena, 1738 Vitriola Quivi sono i celebri fonti, le cui acque sebbene limpide tingono in nero ogni genere di panni che vi si immolla, e scorrono macchiando la terra e le erbe di un colore livido, e giallastro. Di queste acque usano gli abitanti a tingere lini, canape, e lane, me-scolandovi solo alcuni Juli detti volgarmente gatti o fior di castagno, e fango di quelle fontane, onde renderne pi scuro il colore.

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    1.7. Madonica, edilizia rurale nellAppennino estense

    A conclusione, si riporta una fonte relativa alla costruzione di un edi-ficio forestale necessario per la gestione dei territori nello stato Estense. Il documento, del 1852, prescrive dettagliatamente la corretta esecuzione dei lavori delledificio, un corpo centrale e due laterali come stalle.16 De fondamenti. Le fondamenta saranno costrutte coi sassi e calce mescolata con sabbia nella proporzione di 1,3; dovranno essere della profondit non minore di metri 2, ma do-vranno esserlo anche di pi, se si riscontra il bisogno. La loro larghezza a fior di terra non sar minore m. 0,50 e tale larghezza andr crescendo di mano in mano che discende-r in profondit. Saranno fatti gli opportuni saggi per piantare le fondamenta sopra terre-no solido e sicuro, ma se poi sul posto che sar per scegliersi dopo i detti saggi si riscon-trasse qualche punto lavinoso e malfermo, star ad intiero carico del cottimista lassodarlo a dovere giusta la prescrizione che gli verrebbe data nel caso pratico. Dei muri. Li muri esterni fino allaltezza del piano nobile saranno di teste 3 ossia di cen-timetri 45. Gli interni poi saranno di teste due quelli che debbono alzarsi fino al tetto, e di una testa tutti gli altri. Dal piano nobile al tetto saranno di teste due gli esterni e gli inter-ni; si potr per sostituire una parte in coltello a que muri interni che non andranno pro-tratti fino al tetto e che non sono destinati a portare il peso dei tasselli sopraposti. Tutti i suddetti muri saranno costrutti con sassi intermediati ad ogni mezzometro di cordonate di pietre. La proporzione della calce e sabbia pei medesimi in ragione di 2 a 5. Gli angoli esterni saranno formati con sole pietre, come pure i contorni, le spallature degli usci, por-te e finestre. Dei selciati. Nel pianterreno andranno selciati con pietre in piano gli ambienti destinati a studio, ingresso, corridoio, sottoscala e stalle formando per gli opportuni rizzoli con pie-tre in taglio nelle poste delle stalle medesime. Sotto li suddetti schiatti in piano dovr es-sere formato uno schiatto matto in sassi portato a quel livello sopra terra prescritto su luogo. Nel piano nobile si dovranno coprire i volti e tasselli di lambrecchi17 di cui in qua appresso tavelle con uno schiato formato di pietra o tavole. Tutti gli suddetti schiati do-vranno essere costrutti come suol dirsi a spina ed orsati e levigati a dovere. Dei tasselli e volti. La cucina e lo studio ed i corridoi, a pianterreno, dovranno essere co-strutti a volta in piano detto a vela assicurati debitamente con catene di ferro. Sopra gli altri ambienti del pianterreno si formeranno tasselli con legni e lambrecchi usando travi e travetti o di rovere o quercia oppure dabeti di ottima qualit. Il piano nobile poi sar co-perto da semplice tassello darelle e legni senza formarvi alcun piano sopra di lambrenchi n di pietre, avutosi in vista essere migliore partito che sia lambrecchiato il tetto potendo-si poi in seguito ove occorresse crescervi un piano con sassi onde renderlo praticabile.

    16 Rombaldi O., Cenci A., Le montagne del duca, Reggio Emilia, Antiche porte,

    1997. Madonica si trova nellAppennino reggiano, ma abbiamo ritenuto interessante ripor-

    tare questa relazione sulle tecniche costruttive, che possiamo ritenere affini a quelle usate nellattuale territorio modenese, poich durante il dominio estense, i due territori erano uniti. Le note nel testo trascritto sono le note degli autori.

    17 Mattoni.

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    Del tetto. Il tetto del corpo principale del casino sar a quattro acque: i legnami che le costituiranno saranno di ottima qualit; quelli che dovranno fornirsi dal cottimista saran-no dabeti. I contovili avranno la dimensione di larghezza grossezza di onci modenesi 8x6 ossia centimetri 35x27, berzole comuni 22x18 e di comuni 9x11. Nei fabbricati late-rali si metteranno in opera i legnami ricavabili dalla demolizione del vecchio fabbricato, aggiungendovi per tutti quei legnami grossi che potessero occorrere; i legnami minuti poi tanto nel Casino che nei corpi di servizio saranno somministrati dallAmministrazione boschiva. Il tetto del primo sar lambrecchiato; quello dei secondi sar tempiato. Dei serramenti. Tutte le finestre, usci e porte dovranno essere di legno dabete dotate di cardini e piane proporzionate alla quantit delle serrande stesse, ed alluso cui devono servire saranno pure tutte colorite a due mani di cenerino ad olio. Le finestre saranno al massimo di m. 1,50 per 0,80 ed i loro scuri muniti di catenaccio a mano saranno a due partite: i loro telai pure saranno a due partite con doppio catenacciuolo. Gli usci delle camere saranno forniti di marlette, in una partita alti m. 1,75, larghi m. 1,90; quelli ester-ni di legnara, cantine, stalle, rimesse saranno in due partite larghi m. 1,50, alti m. 2,50 e saranno forniti i robusto catenaccio a chiave, oltre due catenacciuoli interni, rampone18 e merletta. 19 Le porte poi che saranno pure in due partite, avranno catenaccio interno robu-sto, due catenacciuoli e serrature esternamente. Le spalle, e volti di tutte le suddette aper-ture saranno formate come si disse in pietra, ed i loro battenti saranno forniti a spigolo vivo e non altrimenti, saranno pure in materiale cotto i bancaletti20 delle finestre. Delle ferriate. Le finestre al piano terreno saranno munite di ferriate di ferro, saranno pure le sopraporte dei tre ingressi al casino e degli usci delle stalle. Tali ferriate a sopra-porte saranno della forma pi semplice possibile, formate per con bastoni non meno grezzi di millimetri 14. Della scala. Partir questa dal pianterreno e terminer al piano nobile. La sua larghezza e forma risulta dal tipo a corredo sar issata sopra volti e coperto ciascun gradino da pez-zetti di oncie 8 sporgenti dal gradino stesso in modo da formarvi nel labbro superiore un cordone. Il parapetto della medesima sar di legno costruito con tutta robustezza e colori-to in nero ad olio. Degli intonachi ed imbianchi. Tutto il casino e servizi, sia allesterno che allinterno, do-vranno essere intonacati con calce e sabbia nella ragione di 1 a 3, saranno poi imbiancati tutti gli ambienti, eccettuato la legnara, cantina, rimessa, stalle, porcili e pollaio. Se si esigeranno poi squadrature, cornici, fasce e coloriti diversi nelle stanze, si fisser apposi-to contratto pei lavori stessi.

    1.8. Reperibilit dei materiali tradizionali

    Questa fase di ricerca ha avuto lobiettivo di individuare, almeno in termini teorici, la possibilit di reperire in loco, e quindi di utilizzare, i materiali tradizionalmente usati nelledilizia a livello di finiture architet-

    18 Gancio interno blocca ante. 19 Saliscendi. 20 Davanzali.

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    toniche, per interventi di restauro (su siti vincolati e protetti, ma anche su edifici non vincolati) e per nuove costruzioni.

    La questione non va letta in termini di imitazione dellantico, o peg-gio di falso rustico, ma al contrario di continuit col passato e di con-servazione delle caratteristiche peculiari del territorio . Come la citazio-ne riportata allinizio del capitolo evidenzia, lAppennino un territorio antropizzato, ossia modificato e definito nei suoi caratteri dalla costante presenza e attivit umana. Il mantenimento di quei caratteri, tra cui senzaltro rientrano i materiali e le tecniche di finitura architettoniche, se da un lato funzionale alla conservazione del paesaggio dal punto di vi-sta estetico, dallaltro risponde alla conservazione di usi che, consoli-datisi nel tempo, si sono decantati come funzionali al clima, alla natura del suolo, alle funzioni.

    La citazione sottolinea giustamente il pericolo di uno snaturamento di queste caratteristiche provocato da un consumo turistico non meditato, e/o da uno spopolamento dei territori; si aggiunge anche la considera-zione che la perdita o la non conoscenza, da parte delle maestranze e delle imprese, dei progettisti, dei responsabili pubblici degli interventi, oltre che della committenza, dei materiali e delle tecniche tradizionali, possono portare ad un impoverimento e ad una alterazione dei luoghi e del paesaggio in generale.

    Il territorio appenninico si configura come unarea non segnata da siti di eccellenza, ma le cui caratteristiche sono diffuse su tutto il territorio, e si intersecano (per fare un esempio, le forme dei fori di colombaia sono le stesse degli stampi tipici per le crescentine, le tigelle).

    Di seguito si riportano i dati di uno studio condotto dalla Provincia di

    Modena, Settore difesa del suolo e tutela dellambiente, relativo alle an-tiche cave di pietra e miniere storiche21; poi viene analizzato il Piano In-fraregionale per le Attivit Estrattive della Provincia di Modena, relati-vamente allestrazione di pietra da taglio ; infine si verificata, attraver-so ricerche sul web, la presenza sul territorio appenninico di ditte che ef-fettuano attivit di cava e di lavorazione di pietra e sabbie.

    Lattenzione, in questo paragrafo, predominante alla pietra, motiva-ta dal fatto che essa sicuramente il materiale pi utilizzato nelledificato storico; inoltre il materiale la cui estrazione ha un impat-

    21 Bertolani M. (a cura di), Le antiche cave di pietra da taglio e le miniere storiche

    dellAppennino modenese, Modena, Provincia di Modena, 1998.

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    to ambientale maggiore, e il cui trasporto costi maggiori; infine, il ma-teriale, tra quelli individuati nei paragrafi precedenti, che richiede com-petenze relative alla lavorazione specifiche e caratteristiche, che saranno oggetto di analisi in altra sede (cfr. cap. 3.): si intende dire che le compe-tenze necessarie per la messa in opera di mattoni, o di intonaci di finitura (o interventi di restauro su entrambi), non sono competenze professionali specifiche per lAppennino, ma specifica la conoscenza delle caratteri-stiche del materiale.

    Anche la lavorazione del legno per opere di carpenteria o infissi non riproponibile in termini manuali, ma sicuramente riproponibile il ri-spetto delluso di essenze locali, e il restauro, quando possibile, delle parti lignee del costruito; analogo rispetto e verifica di compatibilit si deve avere per gli inerti e i leganti delle malte di connessione e finitura, che risultano prodotti nel territorio appenninico.

    Un discorso a parte meriterebbe la lavorazione del ferro per serrature, cardini, eccetera. Se esiste un artigianato artistico del ferro in Appenni-no, competenze specifiche per il restauro di lavorati in ferro per edilizia non sembrano essere attualmente presenti nel territorio considerato.

    La seguente tabella 1.1. propone in forma sintetica i dati ottenuti dal-

    la ricerca sul campo, e da precedenti ricerche, relativa allesistenza di cave di pietra da taglio. Nella prima colonna indicato lambito territo-riale amministrativo; nella seconda, le cave rintracciate, con toponimi relativi alla localit, e tra parentesi, il materiale. Nella terza colonna ri-portato il giudizio sulla possibilit di recuperare la cava oggi per attiv it estrattive, o anche per il semplice recupero del materiale rimasto in su-perficie.

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    Tab. 1.1. Cave di pietra da taglio. Dislocazione e possibilit di utilizzo22.

    Comune Cave Possibilit di utilizzo

    Serramazzoni Montagnana (Calcare arenaceo) Torre della Bastiglia (Calcare arena-ceo)

    Recuperabile Non recuperabile

    Pavullo - Ren-no

    Miceno (Calcare arenaceo) Torricella (Calcare arenaceo) Cava presso campo sportivo (Calcare arenaceo) Montorso (Calcare arenaceo) Castagneto (biocalcarenite) Renno (tufo calcareo) Cava del sasso Cerparo (Serpentino)

    Recuperabile Non recuperabile Recuperabile Non recuperabile Recuperabile Non recuperabile Recuperabile

    Montefiorino Macognano (arenaria)

    Frassinoro Rio muschioso (arenaria) San Pellegrino (arenaria) Recuperabile Recuperabile

    Pievepelago Ponte Modino (arenaria) Recuperabile

    Fanano

    Torrente Ospitale (calcare arenaceo e arenaria calcarea) Valle del torrente Fellicarolo - C M arconi (arenaria) C dei Frati (stilite arenacea e arena-rie)

    Recuperabile Recuperabile Recuperabile

    Fiumalbo

    Cava Castellare (arenaria) La Fiancata (arenaria) Localit Casalino (arenaria) Alpicella (siltite arenacea) Pozzo del Montone (arenaria)

    Non recuperabile Recuperabile Recuperabile Recuperabile Recuperabile

    Montese Pietra paesina Recuperabile

    Fonte: Elaborazione dati da Le antiche cave di pietra da taglio e le miniere storiche dellAppennino modenese, op. cit.

    22 Con la Variante Parziale al Piano Infraregionale delle Attivit Estrattive

    (P.I.A.E.) della Provincia di Modena, approvata il 7 aprile 2004 dal Consiglio Provin-ciale, si segnalano aggiornamenti importanti a quanto indicato da Le antiche cave di pie-tra da taglio e le miniere storiche dellAppennino modenese, Modena, Provincia di Mo-dena, 1998: tale variante indica come attive o attivabili le cave di Torrente Ospitale, Val-le del torrente Fellicarolo C Marconi, C dei Frati (stilite arenacea e arenarie) a Fana-no, nonch di La Fiancata a Fiumalbo. A queste vengono aggiunte le previsione di inse-rimento nel PAE comunale della cava di Castelvecchio a Pavullo (arenaria) e di possibili-t di recupero della cava di Fosso Crolello, come gi previsto dal PIAE vigente.

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    La ricerca sulle antiche cave, di cui si sono riportati i risultati, evi-denzia come il numero complessivo non sia elevato, rispetto alla diffu-sione della pietra come materiale da costruzione nellAppennino; ma ri-badisce in primo luogo lutilizzo di pietra affiorante, ciottoli fluviali e materiali derivanti dallo spietramento dei campi (cave vere e proprie e-rano aperte con finalit precise, costruzioni di ponti, ferrovie o centrali elettriche) per le costruzioni.

    I materiali sono: macigno e arenarie locali per le zone di Fanano, Sestola, Fiumalbo,

    Pievepelago; arenarie calcaree o calcari arenacei per la media montagna; breccia ofiolitica nella zona di Frassinoro, usata anche per macine da

    mulino; tufo calcareo nella zona di Pavullo e Renno.

    La ricerca ha effettuato anche analisi di laboratorio su 13 campioni

    provenienti dalle cave antiche: le prove effettuate, resistenza alla com-pressione, resistenza alla flessione, resistenza al gelo, hanno dato primi risultati variabili a seconda dei campioni, e la conclusione che lutilizzo per restauro richiede prove specifiche di compatibilit con i materiali antichi.

    La pianificazione infraregionale delle attivit estrattive nella Provin-

    cia di Modena ha considerato, allinterno della programmazione delle cave di pietra da taglio, un polo estrattivo sovracomunale, per soddisfare le esigenze del territorio provinciale, il polo 3 Varana nel Comune di Serramazzoni, e 14 aree di estrazione per fabbisogni locali nei comuni montani. Gi nel 1993 si era posta lesigenza di un rilancio del settore, poich la maggior parte delle cave aveva cessato lattivit a partire dagli anni 70, per scarsa resa economica rispetto alle spese di progettazione e gestione.

    Le programmazioni del Piano Infraregionale delle Attivit Estrattive (1996) sono state confermate, o ampliate, nella varianti al Piano adottate nel 1998 e nel 2004, nel solco del recupero delle cave antiche per inter-venti di restauro; sono stati inoltre previsti contributi per i Comuni che prevedessero, nei propri Piani Regolatori Generali, specifiche norme per il restauro di edifici vincolati con lutilizzo di materiale di provenienza locale.

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    La previsione di inserimento delle antiche cave (della cui ricerca si dato conto nella parte precedente) nel Piano Infraregionale delle Attivit estrattive, si scontrata con una serie di problemi, o perch le aree di ca-va sono state, dalla loro chiusura o cessazione di attivit, vincolate in termini ambientali, o perch lo stato di abbandono e di rinaturalizzazione sconsiglia la ripresa delle attivit estrattive.

    In ogni caso, i Piani comunali recepiscono, o sono in fase di recepire, le indicazioni sulla riattivazione delle cave antiche, indicate nella tabella precedente, come previsto dal Piano Provinciale. Alcuni Comuni hanno anche inserito nei propri Piani Regolatori, lindicazione delluso, per in-terventi di restauro, di pietra di provenienza locale.23

    Per quanto riguarda la presenza sul territorio di imprese dedite allescavazione e alla lavorazione del materiale da cava, si effettuata una prima ricerca sul web, procedendo in questo modo: si rintracciata la categoria specifica di classificazione dellattivit, secondo la classif i-cazione ATECO 2002, in base alla quale si richiamato, sul sito www.infoimprese.it (Archivio delle Camere di Commercio) la categoria 14 altre industrie estrattive, che comprende pietre ornamentali e da co-struzione, pietra per calce, gesso e creta, ardesia.

    Nella provincia di Modena risultano 50 imprese, di cui 16 con sede legale nel territorio appenninico, concentrate prevalentemente nei Co-muni di Pavullo, Fiorano, Montese, Savignano. A ulteriori approfondi-menti rimandata la verifica pi dettagliata del tipo di materiale estratto e lavorato, e della possibilit di utilizzarlo in restauri.

    La ricognizione bibliografica su alcune fonti storiche ci permette di concludere con una verifica sui materiali pi consueti utilizzati nella prassi costruttiva dellAppennino emiliano, e in particolare la parte del territorio modenese. Come gi anticipato, i materiali sono prevalente-mente materiali di reperibilit locale, e il problema del loro facile recu-pero condiziona luso che ne viene fatto. Nelle parti seguenti, gli usi dei materiali locali sono esemplificati attraverso la ricognizione dei siti; il motivo per cui nella parte finale di questo capitolo ci siamo occupati del-la reperibilit dei materiali di cava, la necessit, quando si procede ad un restauro scientifico di un edificio, di utilizzare materiali affini ai ma-teriali originari per composizione e comportamenti chimico-fisici.

    23 Secondo il piano del 1998, i Comuni sono Fanano, Riolunato, Frassinoro.

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    CAPITOLO 2.

    LE TECNICHE DI FINITURA E GLI STRUMENTI STORICI E TRADIZIONALI

    2.1. Introduzione

    Lestrazione del ferro, che vide la luce nellAsia Minore ittita nel II millennio a: C., segn la nascita degli strumenti moderni. Dalla Grecia classica in poi, in base alle opere in cui si evincono i segni della lavora-zione, non notiamo grosse alterazioni nella forma generale degli utensili.

    Rimandando alla sezione relativa alla forgiatura dellacciaio (par. 2.9.) alcune precisazioni sullestrazione e lavorazione del ferro nellanti-chit, ci basti indicare che gli artefici, bench la resistenza del metallo fosse garanzia di durevolezza dello strumento, disponevano di unattrez-zatura composta da pi arnesi della stessa specie. Questo soprattutto quando il materiale da scolpire era abrasivo come larenaria.

    Il lapicida in generale disponeva quindi di un repertorio abbastanza ampio di subbie e scalpelli (cfr. infra); quando la loro tempra era consu-mata per il continuo attrito con la pietra o per la raffilatura, il lapicida cambiava strumento, riservandosi spesso di riforgiare personalmente i ferri una volta esaurita la scorta. Cos uno scultore romanico disponeva di circa quaranta o cinquanta ceselli (venti scalpelli, dieci gradine e sub-bie, unghietti e denti di cane) con laggiunta del mazzuolo in ferro. Tutti questi ad eccezione del mazzuolo erano fabbricati dallo scultore. Osser-vando una cassetta degli