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10 Gennaio-Marzo 2016 • Vol. 46 • N. 181 • Pp. 10-24 Prospettive in Pediatria Malattie metaboliche ereditarie Il trattamento delle malattie metaboliche ereditarie: speranze, successi, delusioni Rossella Parini 1 Alessandra Brambilla 1 Cinzia Galimberti 1 Serena Gasperini 1 Attilio Rovelli 2 1 UOS Malattie Metaboliche Rare, Clinica Pediatrica, Fondazione MBBM, ASST-Monza, Monza; 2 UOS Trapianto di Midollo, Clinica Pediatrica, Fondazione MBBM, ASST-Monza, Monza With the progressive improvement of knowledge on pathophysiological mechanisms and cell manipulation, from the year 2000 many specific innovative treatments for metabolic diseases, as monotherapy or in combination, were developed that increased the activity of the defective protein or decreased the amount of the accumulated substrate. Such progress brought hope to the scientific community, patients associations and the general population. However, it soon became clear that frequently such innovative drugs were only able to attenuate the manifestations of the disease in patients, while significant burden of disease remained which severely impacts quality of life for patients and families. Herein, we focus on the available treatment options for metabolic diseases (diet therapy, haema- topoietic stem cell transplantation, enzyme replacement therapy, gene therapy, substrate reduction and substrate modification therapy, pharmacological chaperone therapy), ana- lysing the limits of their efficiency in the long-term (disappointments) after the initial hopes and achievements seen in the short-term. Summary La comprensione sempre maggiore dei meccanismi fisiopatologici e l’acquisizione di sem- pre più raffinate tecniche di manipolazione cellulare hanno dato un grande impulso, a partire dagli anni 2000, allo sviluppo di terapie specifiche per le malattie metaboliche, anche associabili in terapia combinata, che permettono di aumentare l’attività enzimatica attraverso diversi meccanismi d’azione o di detossificare o ridurre il substrato accumulato. Ciò ha portato molte speranze all’interno della comunità scientifica, delle associazioni di pazienti e della popolazione. Purtroppo ci si è poi resi conto del fatto che più frequentemen- te le manifestazioni della malattia sono solo attenuate dalla terapia innovativa, che lascia un’importante componente non risolta di malattia residua, con conseguente riduzione della qualità di vita del paziente e della famiglia. Vengono prese in considerazione in questo articolo le terapie attualmente disponibili per le malattie metaboliche (terapia dietetica, trapianto di cellule staminali ematopoietiche, terapia enzimatica sostitutiva, terapia genica, terapia di riduzione del substrato, terapia di modificazione del substrato, terapia di stabiliz- zazione enzimatica), analizzandone i limiti di cui ci si è dovuti rendere conto (delusioni) a lungo termine dopo le iniziali speranze e i successi verificati a breve termine. Riassunto Abbreviazioni ADA-SCID: Sindrome da immunodeficienza combinata da deficit congenito di adenosin-deaminasi AIFA: Agenzia Italiana Farmaco AS: Arginasi BEE: Barriera emato-encefalica BH4: Tetraidrobiopterina, cofattore della fenilalanina idrossilasi BMT: Bone marrow transplantation = trapianto di midollo CGD: Chronic granulomatous disease = malattia granulo- matosa cronica CPS: carbamilfosfato sintetasi DGJ : 1-deossigalattonojirimicina DQ: Developmental quotient = quoziente di sviluppo E-IMD: European registry and network for intoxication type metabolic diseases

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Gennaio-Marzo 2016 • Vol. 46 • N. 181 • Pp. 10-24 Prospettive in Pediatria

Malattie metaboliche ereditarie

Il trattamento delle malattie metaboliche ereditarie: speranze, successi, delusioni

Rossella Parini1 Alessandra Brambilla1

Cinzia Galimberti1 Serena Gasperini1

Attilio Rovelli2

1 UOS Malattie Metaboliche Rare, Clinica Pediatrica, Fondazione MBBM, ASST-Monza, Monza;

2 UOS Trapianto di Midollo, Clinica Pediatrica, Fondazione MBBM, ASST-Monza, Monza

With the progressive improvement of knowledge on pathophysiological mechanisms and cell manipulation, from the year 2000 many specific innovative treatments for metabolic diseases, as monotherapy or in combination, were developed that increased the activity of the defective protein or decreased the amount of the accumulated substrate. Such progress brought hope to the scientific community, patients associations and the general population. However, it soon became clear that frequently such innovative drugs were only able to attenuate the manifestations of the disease in patients, while significant burden of disease remained which severely impacts quality of life for patients and families. Herein, we focus on the available treatment options for metabolic diseases (diet therapy, haema-topoietic stem cell transplantation, enzyme replacement therapy, gene therapy, substrate reduction and substrate modification therapy, pharmacological chaperone therapy), ana-lysing the limits of their efficiency in the long-term (disappointments) after the initial hopes and achievements seen in the short-term.

Summary

La comprensione sempre maggiore dei meccanismi fisiopatologici e l’acquisizione di sem-pre più raffinate tecniche di manipolazione cellulare hanno dato un grande impulso, a partire dagli anni 2000, allo sviluppo di terapie specifiche per le malattie metaboliche, anche associabili in terapia combinata, che permettono di aumentare l’attività enzimatica attraverso diversi meccanismi d’azione o di detossificare o ridurre il substrato accumulato. Ciò ha portato molte speranze all’interno della comunità scientifica, delle associazioni di pazienti e della popolazione. Purtroppo ci si è poi resi conto del fatto che più frequentemen-te le manifestazioni della malattia sono solo attenuate dalla terapia innovativa, che lascia un’importante componente non risolta di malattia residua, con conseguente riduzione della qualità di vita del paziente e della famiglia. Vengono prese in considerazione in questo articolo le terapie attualmente disponibili per le malattie metaboliche (terapia dietetica, trapianto di cellule staminali ematopoietiche, terapia enzimatica sostitutiva, terapia genica, terapia di riduzione del substrato, terapia di modificazione del substrato, terapia di stabiliz-zazione enzimatica), analizzandone i limiti di cui ci si è dovuti rendere conto (delusioni) a lungo termine dopo le iniziali speranze e i successi verificati a breve termine.

Riassunto

AbbreviazioniADA-SCID: Sindrome da immunodeficienza combinata da deficit congenito di adenosin-deaminasiAIFA: Agenzia Italiana FarmacoAS: ArginasiBEE: Barriera emato-encefalicaBH4: Tetraidrobiopterina, cofattore della fenilalanina idrossilasi

BMT: Bone marrow transplantation = trapianto di midolloCGD: Chronic granulomatous disease = malattia granulo-matosa cronicaCPS: carbamilfosfato sintetasiDGJ : 1-deossigalattonojirimicinaDQ: Developmental quotient = quoziente di sviluppoE-IMD: European registry and network for intoxication type metabolic diseases

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Il trattamento delle malattie metaboliche ereditarie: speranze, successi, delusioni

ERT: Enzyme replacement therapy = terapia enzimatica sostitutivaGLD: Leucodistrofia a cellule globoidi (malattia di Krabbe)GSD: Glycogen storage disease = glicogenosiHSCT : Haematopoietic stem cell transplantation = trapian-to di cellule staminali ematopoieticheIVA: Isovaleric Acidemia = acidemia isovalericaMLD: Leucodistrofia metacromaticaMannosio 6P: Mannosio-6-fosfatoMMA: Methylmalonicacidemia = acidemia metilmalonicaMNGIE: Mitochondrial neurogastrointestinal encephalo-pathy = encefalopatia neuro-gastro-intestinale mitocondrialeMPS IH/H-S/S: Mucopolisaccaridosi I Hurler/Hurler-Scheie/ ScheieMPS: MucopolisaccaridosiNAGS: N-acetilglutammato sintetasiNYHA: New York Heart AssociationOTC: ornitina transcarbamilasiPKU: fenilchetonuriaPTC124: Sinonimo di AtalurenSRT: Substrate reduction therapy = terapia di riduzione del substratoTES: Terapia enzimatica sostitutiva

Metodologia della ricerca bibliografica È stata svolta una ricerca attraverso PubMed utiliz-zando termini quali “inborn errors of metabolism”, “metabolic diseases”, “genetic diseases”, “lysosomal storage disease”, “organic acidemias”, “urea cycle de-fects”, “tyrosinemia”, “alkaptonuria”, “ADA-SCID”, “tre-atment efficacy”, “treatment outcome”, “guidelines”, “recommendations”, “HSCT”, “BMT”, “substrate reduc-tion therapy”, “enzyme enhancement therapy”, “ERT”, “substrate modification”, “PTC124”, “pharmacological chaperone therapy”, anche incrociandoli tra loro, con filtro per articoli successivi al 2009. Sono stati inoltre inclusi studi noti agli autori, anche se pubblicati prima di quella data.

IntroduzioneMolto è cambiato nel campo della patologia metabolica ereditaria negli ultimi trent’anni, l’abbiamo vissuto gior-no per giorno e forse stentiamo a rendercene conto. Il cambiamento più evidente è stato sulle malattie da ac-cumulo lisosomiale, malattie che trent’anni fa avevano solo terapie palliative e ora hanno a disposizione sulla carta una serie di diversi trattamenti con diversi mecca-nismi d’azione, anche associabili tra loro. Paradossal-mente, la terapia in cui si riponevano allora le maggiori speranze, la terapia genica, solo oggi inizia a proporsi, e per un numero ancora molto limitato di malattie (leu-codistrofia metacromatica, adrenoleucodistrofia), nella realtà clinica (Aubourg, 2016).Trent’anni fa molti di noi pensavano che in un tempo ragionevole si sarebbe arrivati anche ad avere a di-sposizione una terapia risolutiva per le malattie meta-boliche da intossicazione (acidosi organiche e difetti

del ciclo dell’urea), che sarebbe potuta essere la stes-sa terapia genica, o una molecola esogena capace di metabolizzare il metabolita tossico, o un prepara-to che inibisse a monte la via metabolica bloccata. Quest’ultima evenienza si è verificata in effetti per una sola malattia, la tirosinemia tipo  I che ha visto una profonda modificazione della propria storia naturale. Nonostante gli importanti avanzamenti che comples-sivamente sono stati ottenuti nella cura delle malattie metaboliche, possiamo anche vedere chiaramente i limiti di questo cammino verso la migliore terapia pos-sibile che, non raggiungendo completamente l’obiet-tivo sperato (una “pseudo-guarigione”), porta con sé costi prima di tutto umani e sociali non indifferenti.

ObiettivoLa presente review si è posta l’obiettivo di prendere in considerazione le possibilità terapeutiche che sono attualmente disponibili per vari tipi di malattie meta-boliche rare e tentare di fare una revisione critica dei successi e delle limitazioni di ognuno sulla base della letteratura più recente.

Le malattie metaboliche rare e le terapieLe malattie metaboliche rare sono malattie genetiche monogeniche che interessano il metabolismo inter-medio degli aminoacidi, degli zuccheri o dei lipidi, il metabolismo/traffico delle molecole nei vari organelli intracellulari e altre particolari vie metaboliche che comprendono il metabolismo dei metalli, degli acidi nucleici, della sintesi dell’eme, degli acidi biliari, de-gli ormoni, dei neurotrasmettittori. Sono trasmesse nella maggior parte dei casi in maniera autosomica recessiva, alcune sono X-linked e altre riconoscono una trasmissione matri-lineare perché dovute ad alte-razioni del DNA mitocondriale. La cura per qualunque malattia metabolica può essere ideata solo quando sia ben nota la fisiopatologia e quando sia disponibile la tecnologia di supporto (ad esempio per le malattie da accumulo è stato necessario comprendere il ruolo del mannosio-6P, biomarker presente sulla maggior parte degli enzimi indirizzati al lisosoma e sviluppa-re la tecnica del DNA ricombinante). Presentiamo qui aggiornamenti e considerazioni riguardo alla maggior parte delle terapie disponibili attualmente per le ma-lattie metaboliche, seguendo un ordine temporale di introduzione nella pratica clinica.

Terapia dieteticaLa terapia dietetica rappresenta la base del tratta-mento delle malattie da difetto del catabolismo protei-co (aminoacidopatie, acidosi organiche, difetti del ci-clo dell’urea), delle glicogenosi (difetti di catabolismo del glicogeno) e dei difetti della beta ossidazione dei grassi (difetti di utilizzo dei lipidi). I principi su cui si

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R. Parini et al.

basa la terapia dietetica di questi gruppi di patologie sono stati ben definiti nella seconda metà del ’900 e sono sintetizzati nella tabella  I. Alla terapia dietetica si associano farmaci diversi nelle diverse patologie (Tab.  I) e anche per questi non si sono registrate grandi novità negli ultimi anni, salvo la disponibilità di un nuovo preparato detossificante (scavenger) per via endovenosa per le iperammoniemie che asso-cia sodio benzoato e sodio fenilacetato (Ammonul®) (Häberle et al., 2012) e l’acido carglumico (Carba-glu®), disponibile per via orale per il difetto di N-acet-lglutammato sintetasi (NAGS), un raro difetto del ciclo dell’urea e in corso di studio per le iperammoniemie secondarie delle acidosi organiche. L’acido carglumi-co è un analogo strutturale dell’N-acetilglutammato a cui si sostituisce nel difetto di NAGS per attivare la carbamilfosfato sintetasi (Häberle et al., 2012).

Aminoacidopatie/acidosi organiche/difetti del ciclo dell’ureaRilevanti negli ultimi anni per queste patologie sono stati i tentativi di sistematizzare le informazioni sulla storia naturale e la terapia con studi multicentrici in-dipendenti, soprattutto a livello europeo (se ne citano solo alcuni: Häberle et al., 2012, Huemer et al., 2015a, Huemer et al., 2015b, Huemer et al., 2016; Baumgart-ner et al., 2014). In quest’ottica è anche la creazione di un registro per le acidosi organiche e i difetti del ciclo dell’urea nel contesto di un consorzio (E-IMD)

finanziato dall’Unione Europea, che ha raccolto dati su 795 pazienti (Kölker et al., 2015a, 2015b, 2015c, Heringer et al., 2015). Questi lodevoli sforzi non han-no per il momento sortito particolari nuove indicazioni in merito al trattamento dei pazienti. Una riflessione sulla medicalizzazione eccessiva che è sempre in agguato può essere fatta leggendo due lavori del gruppo di Venditti (NIH, Bethesda, USA) sulle acidemie metilmaloniche, isolata e con omocistinuria (Manoli et al., 2015a; Manoli et al., 2015b). Questi lavori mostrano che l’uso eccessivo di miscele aminoacidi-che prive dei precursori (valina, isoleucina, treonina e metionina) determina verosimilmente uno sbilancia-mento degli apporti aminoacidici a favore della leu-cina, portando a una riduzione di valina e isoleucina plasmatiche e in ultima analisi a un deficit di accre-scimento nell’acidemia metilmalonica isolata, mentre i pazienti con acidemia metilmalonica con omocistinuria corrono un rischio ancora più grave, in quanto possono andare incontro a una carenza di metionina che può portare gravi danni allo sviluppo cerebrale (Manoli et al., 2015b). Se associamo questi dati all’informazione che la qualità di vita di questi pazienti e dei loro fami-gliari è peggiore di quella dei bambini leucemici, dei pazienti Down e di quelli con anemia falciforme e che la necessità di dieta rigida occupa un posto importante nella riduzione della qualità di vita (Fabre et al., 2013), ci rendiamo conto della necessità di fare passi avanti nella terapia di questi pazienti.

Tabella I. Terapia dietetica e farmaci associati.

Gruppo di malattie Principale obiettivo della dieta

Altri scopi

Terapie farmacologiche associate

Difetti del catabolismo degli aminoacidi

Riduzione apporto proteico

Evitare catabolismo proteico, mantenere buon accrescimento,

evitare carenze nutrizionali

B12 (MMA), B6 (omocistinuria)

Glicina (IVA)Biotina (def biotinidasi)

Carnitina (acidurie organiche)Nitisinone (tirosinemia tipo I,

Alcaptonuria?)BH4 nella PKU

Difetti del ciclo dell’urea

Riduzione apporto proteico

Evitare catabolismo proteico, mantenere buon accrescimento,

evitare carenze nutrizionali

Citrullina (per CPS e OTC), arginina (tranne che per AS),

acido carglumico (per difetto di NAGS)

Farmaci detossificanti (scavenger): sodio fenilbutirrato,

sodio benzoato, sodio fenilacetato

Difetti della degradazione o della sintesi del glicogeno

Pasti piccoli e frequenti

Diverso rapporto carboidrati/proteine/lipidi in relazione alle vie

metaboliche funzionanti, mantenere buon accrescimento, evitare

carenze nutrizionali

Sintomatici

Difetti della beta-ossidazione degli acidi grassi

Pasti piccoli e frequenti

Scarso apporto lipidico. Mantenere buon accrescimento, evitare

carenze nutrizionali

Riboflavina nelle forme sensibiliCarnitina in alcuni difetti

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Il trattamento delle malattie metaboliche ereditarie: speranze, successi, delusioni

Glicogenosi (GSD)Un’altra riflessione va fatta sul trattamento dietetico del-la GSD tipo  III che dovrebbe essere iperproteico per sfruttare la neoglucogenesi normalmente funzionante in questi pazienti e il più possibile ipoglucidico per evi-tare l’accumulo di molecole di glicogeno anormale nei muscoli, nel cuore e nel fegato (Kishnani et al., 2010). L’indicazione contemporanea a utilizzare la maizena cruda se il paziente non è in grado di mantenere la glicemia tra un pasto e l’altro diventa in qualche modo contradditoria, perché la maizena è un carboidrato e la dieta a quel punto nella pratica non può più essere ipoglucidica. Molti pazienti trattati con la dieta iperpro-teica ma non ipoglucidica, sviluppano grave ipostenia, cardiomiopatia e cirrosi. Come uscire da questo circolo vizioso? Sono stati pubblicati negli ultimi anni un certo numero di casi trattati con dieta iperlipidica, oltre che iperproteica, e tutti hanno avuto un netto miglioramen-to della cardiomiopatia e delle performance muscolari (Valayannopoulos et al., 2011; Brambilla et al., 2014; Mayorandan et al., 2014a) L’apporto di lipidi si associa-va a quello proteico per produrre energia attraverso la neoglucogenesi e i pazienti non avevano più necessità di maizena cruda per mantenere la glicemia. Questi risultati che sembrano indicare una superiorità della dieta iperproteica e iperlipidica sulla semplice dieta iperproteica nel mantenere l’omeostasi glucidica pur riducendo l’apporto di glucidi, necessitano di ulteriori conferme soprattutto sulla sicurezza di questa dieta a lungo termine.

Il trapianto di fegato Utilizzato da tempo per i difetti del ciclo dell’urea e per le acidosi organiche, il trapianto di fegato mantiene la sua importanza soprattutto per i primi (Häberle et al., 2012). È in corso un dibattito riguardo all’indicazione per l’aciduria argininosuccinica in quanto non è chiaro se un trapianto precoce possa o meno prevenire il ri-tardo mentale (Nagamani et al., 2012). Solo negli Stati Uniti dal 1987 al 2010 sono stati trapiantati di fegato 265 soggetti pediatrici e 13 adulti affetti da difetti del ciclo dell’urea con sopravvivenza a 10 anni del 87% (Yu et al., 2015).

Il trapianto di cellule staminali ematopoietiche Il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (Hae-matopoietic Stem Cell Transplantation –  HSCT) da midollo osseo o sangue cordonale è stato proposto sin dagli anni ’80 per le malattie da accumulo lisoso-miale ed è a tutt’oggi l’unica terapia con dimostrata efficacia nella protezione del sistema nervoso cen-trale (Platt e Lachmann, 2009; Shapiro et al., 2015). Il HSCT permette di trasferire da un donatore sano al malato cellule multipotenti scarsamente differen-ziate che colonizzeranno vari tessuti. Queste cellule secernono l’enzima carente nei liquidi biologici in cui

si trovano, permettendo così che le cellule del pazien-te, prive dell’enzima, possano captarlo e utilizzarlo. È stato dimostrato che, se si effettua un buon condizio-namento, le cellule trapiantate attecchiscono e passa-no la barriera ematoencefalica (BEE) diventando cel-lule della microglia; popolano così progressivamente il sistema nervoso centrale, ottenendo che l’enzima carente sia presente in concentrazioni efficaci anche al di là della BEE (Capotondo et al., 2012). Sulla base dei successi ottenuti inizialmente sulla malattia di Hurler (Hobbs et al., 1981), negli ultimi anni  ’80 e negli anni  ’90 erano sorte molte speran-ze di poter trattare con il trapianto tutta una serie di malattie lisosomiali, ma solo per poche di esse si è potuto dimostrare un chiaro beneficio soprattutto ri-guardo al sistema nervoso centrale (Orchard e Tolar, 2010; Aldenhoven et al., 2015). Molto presto si com-prese che il trapianto, nonostante fosse chiaramente efficace nella MPS I, non poteva essere la terapia di scelta per molte malattie con danno cerebrale mol-to precoce (Gaucher tipo II, forme gravi neonatali di mucolipidosi tipo II, GM 1 gangliosidosi e malattia di Krabbe a esordio precoce infantile), per la MPS  III, dove il ritardo mentale è profondo e la diagnosi è spesso tardiva perché i segni somatici sono più sfu-mati, e neppure per la MPS  II che di primo acchito poteva sembrare così simile clinicamente alla MPS I. Nella MPS I un trapianto precoce nel primo anno di vita, con quoziente di sviluppo normale, garantisce una buona protezione del sistema nervoso centrale (Aldenhoven et al., 2015), mentre non ha un effetto altrettanto brillante sulla statura e sulla struttura delle ossa che hanno verosimilmente un danno molto pre-coce e poco reversibile. Anche il trattamento associa-to ad ERT peri-trapianto, per garantire un buon livello enzimatico dal momento della diagnosi, non è stato sufficiente a modificare sostanzialmente il quadro scheletrico. La recente dimostrazione di una normale evoluzione dello scheletro nei topi MPS  I trapianta-ti in età neonatale (Pievani et al., 2015) suggerisce che il trattamento pre-sintomatico potrebbe prevenire il danno osseo. Mentre per la MPS I esiste un’espe-rienza convalidata da più di 500 casi (Aldenhoven et al., 2015), per molte altre malattie lisosomiali l’espe-rienza è molto più limitata ed è spesso difficile trarre conclusioni definitive (Platt e Lachmann, 2009; Hollak e Wijburg, 2014). Nonostante alcuni autori indichino HSCT come terapia “standard” anche per malattia di Krabbe (GLD) e leucodistrofia metacromatica (MLD) se asintomatiche o con sintomi lievissimi (Boelens et al., 2014) in realtà il ruolo di HSCT è ancora dibattuto per queste patologie e va considerato sperimentale (Boucher et al., 2015; Duffner et al., 2009). Maggiore accordo si ha nel mondo scientifico riguardo all’adre-noleucodistrofia X-linked, per la quale è stato ripor-tato che oltre il 50% dei sopravviventi trapiantati con minimi deficit neurologici e minimo interessamento alla risonanza magnetica, mantenevano stabili fun-

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R. Parini et al.

zioni neurologiche e cognitive a lungo termine dopo il trapianto (Miller et al., 2011). Un lavoro retrospettivo recente sui 5 pazienti olandesi che avevano raggiunto l’età adulta, riporta però che 3 su 5 hanno sviluppato mielopatia nella terza decade di vita, mettendo così in dubbio l’efficacia di HSCT a lungo termine (van Geel et al., 2015). Per tutte le altre malattie metaboliche, HSCT può es-sere una delle diverse opzioni terapeutiche per spe-cifici casi selezionati, o un approccio “sperimentale”, perché non sono disponibili a oggi sufficienti dimo-strazioni di efficacia o addirittura controindicato poi-ché non efficace (Tab. II).Negli anni il rischio di morbilità e mortalità di HSCT è progressivamente diminuito, come dimostrano i dati disponibili su MPS  I: overall survival 78% negli anni  ’94-2004, 95% nel decennio successivo; event free survival 40% negli anni  ’94-2004 e 90% negli anni 2004-’14 (Aldenhoven et al., 2015). La minore

attuale tossicità del trapianto ha portato: 1) al suggerimento di estendere l’indicazione a sog-

getti MPS I Hurler-Scheie, meno gravi dei pazienti Hurler, ma con lento declino del quoziente di svi-luppo (de Ru et al., 2011);

2) a riconsiderare la possibilità di riapplicare HSCT solo all’interno di protocolli sperimentali ben de-finiti, in alcune patologie che sono di fatto ancora orfane di terapia, come ad esempio la forma se-vera di malattia di Hunter (MPS II), sulla base del fatto che la letteratura disponibile sulle esperien-ze fatte in passato è scarsa, riporta spesso picco-le serie di soggetti trattati con protocolli differenti in centri diversi, spesso trapiantati da sorella por-tatrice e soprattutto in fase già sintomatica (Guf-fon et al., 2009; Tanaka et al., 2012).

Terapia enzimatica sostitutiva L’approccio terapeutico alle patologie da accumulo

Tabella II. Trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Indicazioni.

Patologia Terapia standard^

Opzionale* Sperimentale § Controindicato $ Riferimenti bibliografici

MPS I H Se il paziente ha un DQ ≥ 80.

Se malattia avanzata

Aldenhoven et al., 2015

MPS I H/S, MPS I S, MPS IIB, MPS IV, MPS VI

Da valutare su base

individuale insieme ad altre opzioni

Boelens et al., 2014

MPS III Sempre Welling et al., 2015

Adrenoleucodistrofia X-linked; MLD; GLD

Se paziente asintomatico o segni lievissimi

Se malattia avanzata

Boelens et al., 2014

Farber; Tay-Sachs; Sandhoff

Se paziente asintomatico o segni lievissimi

Se malattia avanzata

Boelens et al., 2014

Pompe Si Boelens et al., 2014

Niemann-Pick A e B Se paziente asintomatico o segni lievissimi

Boelens et al., 2014

Niemann-Pick C tipo 1 Sempre Vanier, 2010

Niemann-Pick C tipo 2 Si Vanier, 2010; Breen

et al., 2013

Deficit multiplo di solfatasi

Si Boelens et al., 2014

MNGIE Si Halter et al., 2015

^ Terapia di prima linea* È fattibile e può dare risultati ma non è la terapia di prima linea§ Non sono disponibili evidenze di efficacia sufficienti ma è possibile che sia efficace$ Quando è noto o si suppone che la malattia non possa rispondere al trapianto

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Il trattamento delle malattie metaboliche ereditarie: speranze, successi, delusioni

lisosomiale è cambiato enormemente dopo l’intro-duzione della Terapia Enzimatica Sostitutiva (TES o, termine più usato, dall’inglese ERT cioè Enzyme Replacement Therapy). Tale strategia terapeutica ha infatti rappresentato la più significativa acquisizione degli ultimi decenni nel trattamento delle patologie da accumulo lisosomiale, pur avendo a priori il grosso li-mite di non passare la BEE (Platt e Lachmann, 2009) (Tab. III).ERT si basa sulla somministrazione tramite infusioni endovenose periodiche di enzimi lisosomiali ricombi-nanti che, una volta infusi, si distribuiscono ai tessuti e vengono internalizzati dalle cellule e diretti ai lisosomi grazie alla presenza di marcatori (quali ad esempio il mannosio-6-fosfato). Nel compartimento lisosomiale questi agiscono ristabilendo l’attività dell’enzima de-ficitario. La ERT è stata introdotta in clinica nei primi anni ’90 per il trattamento della malattia di Gaucher, patolo-gia dovuta a deficit dell’enzima glucocerebrosidasi e caratterizzata dal coinvolgimento del compartimen-to macrofagico viscerale. L’impiego della ERT nella

malattia di Gaucher tipo I, la forma più comune priva di interessamento del sistema nervoso centrale, ha portato a un tale miglioramento del quadro clinico che dopo circa un decennio dalla sua introduzione, uno dei massimi esperti di malattia di Gaucher nel 2004 affermava che “senza esagerare, la terapia en-zimatica è stata una rivoluzione nella cura [dei pa-zienti con la malattia di Gaucher]” (Grabowski, 2004). Dopo l’inizio del trattamento con ERT, nei pazienti Gaucher si può osservare un miglioramento rapido di anemia, trombocitopenia ed epatosplenomegalia (alcuni mesi), mentre i cambiamenti in termini di au-mento della densità minerale ossea richiedono anche 4-8 anni (Goker-Alpan, 2011). Il successo della ERT nella malattia di Gaucher sti-molò lo sviluppo di questo approccio per il trattamento di altre malattie da accumulo come la malattia di Fa-bry, le MPS di tipo I, II, IV e VI e la malattia di Pom-pe. Per queste malattie l’effetto della ERT non si è dimostrato così dirompente come per la malattia di Gaucher, come già Grabowski aveva previsto, sulla base della patogenesi e del diverso coinvolgimento

Tabella III. Malattie per le quali è disponibile ERT e trial selezionati, ancora in corso, con ERT modificato.

Patologia ERT disponibile ERT attualmente in trial

Riferimenti bibliografici o codice identificativo in https://clinicaltrials.gov

MPS I ERT: Laronidase (Aldurazyme®) ERT intratecale associata a HSCT

Hollak e Wijburg, 2014NCT00638547

MPS II ERT: Idursulfase (Elaprase®) ERT intratecale

Hollak e Wijburg, 2014NCT02055118 e altri

MPS III A

MPS III B

ERT intratecale

ERT intratecale

NCT02716246

NCT02324049

MPS IV ERT: Elosulfase (Vimizim®) Hendriksz et al., 2014

MPS VI ERT: Galsulfase (Naglazyme®) Hollak e Wijburg, 2014

MPS VII ERT NCT02432144

Gaucher ERT: Imiglucerase (Cerezyme®)Velaglucerase alfa (Vpriv®)

Taliglucerase (Elelyso®)

Hollak and Wijburg, 2014

Fabry ERT: Agalsidasi alfa (Replagal®); Agalsidasi beta (Fabrazyme®)

El Dib et al., 2013

Pompe ERT (Myozyme®) ERT modificato + Chaperone

(ATB200/AT2221)

Kishnani et al. 2009a

NCT00976352

Niemann-Pick tipo B ERT (sfingomielinasi ricombinante)

NCT02292654

Deficit di lipasi acida lisosomiale (LAL)

ERT Sebelipase alfa NCT01757184

Alfa mannosidosi ERT alfa mannosidasi ricombinante (Lamazym®)

NCT01285700

Ceroidolipofuscinosi tipo 2

ERT intratecale (Rh Tripeptidyl peptidase

1- BMN190)

Ortolano et al., 2014

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tessutale, nell’editoriale già citato (Grabowski, 2004). Tutte le ERT che progressivamente, dal 2001 a oggi, hanno ricevuto l’“autorizzazione all’immissione in commercio”, hanno superato il vaglio dell’agenzia re-golatrice europea (EMA) e di quella italiana (AIFA), dopo che la loro efficacia era stata dimostrata dagli studi clinici di fase III previsti. Progressivamente negli anni il numero di pazienti che si consideravano ne-cessari per una buona riuscita di questo tipo di studi è aumentato fino ai 176  pazienti, che hanno parte-cipato nel 2012-2014 al trial di fase  III della terapia con elosulfase alfa per la malattia di Morquio A (MPS IVA), mentre i test richiesti per valutarne l’efficacia a breve termine sono rimasti molto simili. Nonostante il continuo miglioramento della qualità dei protocolli di studio, esistono attualmente molte perplessità sulla reale efficacia a lungo termine della ERT in queste malattie, che possono riferirsi a vari aspetti: A. prima di tutto esistono i limiti degli strumenti cor-

rentemente utilizzati, necessariamente endpoints a breve termine, per dimostrare l’efficacia di ERT nei trial clinici, spesso distanti dalla realtà clinica, dove possono essere impiegati a lungo termine solo su un numero limitato e selezionato di sog-getti – si escludono ad esempio i pazienti non col-laboranti come i bambini troppo piccoli o i pazienti con ritardo mentale e quelli che non possono per ragioni fisiche sostenere questi test (Glamuzina et al., 2011) –, richiedono tempo disponibile da parte dell’équipe medica e un’uniformità di esecuzione che non sempre può essere raggiunta. Gli stes-si test inoltre, sul lungo termine, hanno a volte ri-velato outcome differenti (Tylki-Szymanska et al., 2010; Parini et al., 2015). Da questo punto di vista risultano essere sempre più cruciali gli studi col-laborativi internazionali necessari per determinare l’efficacia a lungo termine della ERT e le nuove complicanze a distanza associate alle patologie in questione;

B. solo per pochi organi/apparati (come fegato, mil-za, tessuto muscolare cardiaco) ci si può aspettare di ottenere con l’ERT una regressione dei segni di malattia, mentre nella maggior parte dei casi l’ERT si limita a stabilizzare la situazione quo ante o rallentare la progressione. È questo il caso so-prattutto del tessuto osseo e cartilagineo, dell’oc-chio e delle valvole cardiache per le MPS, degli apparati cardio-vascolare e renale già colpiti da danno fibrotico avanzato nella malattia di Fabry, del tessuto muscolare scheletrico per la malattia di Pompe (Hollak e Wijburg, 2014). Ciò accade ve-rosimilmente per una serie di ragioni: 1. l’accumulo del substrato è molto precoce e si

hanno dimostrazioni che avvenga già durante la vita fetale (Muenzer, 2014).

2. questo provoca all’interno della cellula una se-rie di reazioni secondarie e terziarie a catena, tra le quali alterato riconoscimento dei segnali

intracellulari, attivazione di vie sintetiche pro-infiammatorie, precoce apoptosi cellulare, che determinerebbero in alcuni tessuti, come ad esempio la cartilagine di accrescimento nelle MPS, un danno irreversibile;

3. la scarsa efficacia sul tessuto osseo e quindi sulla crescita staturale sarebbe favorita anche dalla scarsa penetrazione della ERT, per la ri-dotta vascolarizzazione del tessuto osseo.

Appare chiaro ormai nelle MPS, da osservazio-ni su coppie di fratelli, che il trattamento preco-ce, quasi pre-sintomatico, permette di ottenere una migliore evoluzione della crescita e della struttura dell’osso (McGill et al., 2010, Tajima et al., 2013, Laraway et al., 2013, Leal et al., 2014, Gabrielli et al., 2016) come a dimostrare che il problema principale non sia tanto la pe-netrazione nel tessuto osseo, quanto l’impossi-bilità di intervenire su tessuti già alquanto dan-neggiati sia dall’accumulo che dalla cascata di reazioni a catena innescata dall’accumulo. Da qui l’accento che viene posto, sia dalle società scientifiche che dalle associazioni di famiglie, sulla necessità che il medico sappia ricono-scere i primi segni/sintomi di malattia (diagnosi precoce) e che i servizi sanitari pubblici pren-dano in considerazione l’attivazione dello scre-ening neonatale per le malattie da accumulo lisosomiale, che hanno una possibilità terapeu-tica (Meikle et al., 2006);

C. esiste una difficoltà nel verificare/predire i benefici della ERT in popolazioni di pazienti con quadri cli-nici molto eterogenei, sia per età che per gravità, che per diverso coinvolgimento di organi e appara-ti (Hollak e Wijburg, 2014). Tutto ciò va anche con-siderato nel contesto della rarità di queste malattie e della carenza, di cui si sta diventando consape-voli, di dati dettagliati e circostanziati riguardanti la storia naturale delle patologie da accumulo e i diversi fenotipi clinici. A questo proposito, va se-gnalato lo sforzo fatto recentemente, correlato al trial di fase III per la ERT della MPS IVa, di valu-tare per almeno due anni la storia naturale di un ampio gruppo di pazienti non trattati, utilizzando gli stessi test approvati per il trial clinico (Harmatz et al., 2015);

D. anticorpi anti-ERT vengono prodotti soprattutto dai pazienti con le forme più gravi che, non sintetiz-zando completamente la proteina, riconoscono la ERT come una molecola estranea al proprio orga-nismo. Questo effetto, cellule T-dipendente, è par-ticolarmente evidente nei pazienti con la forma in-fantile di malattia di Pompe, ma è stato segnalato anche per altre patologie (Broomfield et al., 2016).

Nella malattia di Pompe, la ERT si è dimostrata effica-ce sia nella forma classica infantile con cardiomiopa-tia (Kishnani et al., 2009a), che nella forma a esordio tardivo, dove il cuore è in genere risparmiato e si ha

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Il trattamento delle malattie metaboliche ereditarie: speranze, successi, delusioni

un interessamento selettivo del muscolo scheletrico (Toscano e Schoser, 2013). Purtroppo però, soprattut-to nelle forme più gravi di malattia di Pompe classica (CRIM negativi), come abbiamo detto, la ERT provo-ca la comparsa di anticorpi ad alto titolo che vero-similmente inibiscono gli effetti benefici della terapia (Banugaria et al., 2011). A oggi tuttavia, l’induzione profilattica di una tolleranza immunologica con l’utiliz-zo di rituximab e methotrexate sembrerebbe efficace nel ridurre l’insorgenza di tale temibile complicanza (Banugaria et al., 2013). Anche per questa malattia è auspicabile uno studio europeo indipendente che cerchi di chiarire l’impatto dei diversi regimi terapeutici sull’evoluzione della patologia. La ERT inoltre non è in grado, dato che non passa la BEE, di agire sul danno da verosimile accumulo di glicogeno nella sostanza bianca cerebrale, che si osserva ormai da alcuni anni nei lungo-sopravviventi. Inoltre, anche nei pazienti di questo gruppo che rispondono meglio alla terapia, si osserva un lento peggioramento della funzione mu-scolare negli anni (Prater et al., 2012). Al di là delle perplessità sulla reale efficacia a lun-go termine, last but not least, c’è il problema del co-sto molto elevato di questi farmaci innovativi (circa 200.000 Euro per paziente/anno in media) che causa un rapporto costo/efficacia molto alto (Hollak et al., 2015). Va detto da una parte che la collaborazione con le industrie farmaceutiche è fondamentale per lo sviluppo e la produzione di farmaci innovativi, e che le aziende, salvo eccezioni, si attengono a un codice etico molto preciso (vedi per l’Italia codice Farmindu-stria), dall’altra, che l’attività di ricerca in questa dire-zione da parte delle aziende è aumentata in maniera esponenziale a partire dall’anno 2000, quando anche l’Europa, dopo gli Stati Uniti, ha promosso leggi atte a favorire la produzione di farmaci cosiddetti “orfani” per malattie rare.Nonostante questo sia in assoluto un bene, vi sono ragioni sufficienti per proporre, come si sta facendo da parte del mondo scientifico sempre più insistente-mente (Hollak et al., 2011; Hollak e Wijburg, 2014), che il follow-up a lungo termine dell’efficacia dei farmaci nella cosiddetta fase  IV (post-commercializzazione) sia basato sulla malattia e non sul farmaco e affidato in modo esclusivo ai ricercatori per fare in modo di ottenere in breve tempo dati di alta qualità (Hollak et al., 2015). L’esempio più noto di questa difficoltà di valutare l’ef-ficacia dei farmaci è quello della malattia di Fabry. Per questa malattia sono attualmente disponibili due farmaci per ERT, agalsidasi alfa e agalsidasi beta, la cui immissione in commercio è stata autorizzata con-temporaneamente nell’Unione Europea più di 10 anni fa. Le differenze tra i due farmaci riguardano princi-palmente la struttura del radicale glucidico della glico-proteina enzimatica che, essendo specie-specifico, è differente perché agalsidasi alfa è prodotta su cellule umane in coltura, mentre agalsidasi beta su cellule di

ovaio di criceto. I due farmaci sono stati registrati con differenti indicazioni di dosaggio/kg e la posologia non è per il momento modulabile, come invece è avvenuto per la malattia di Gaucher (Kishnani et al., 2009b). Per questi due farmaci esistono due registri interna-zionali separati, supportati dalle rispettive aziende produttrici, che raccolgono le informazioni cliniche dei pazienti. Nonostante ciò, una review sistematica degli effetti dei due farmaci (El Dib et al., 2013) si conclu-de con l’indicazione che sono necessari ulteriori studi prospettici per dimostrare l’efficacia a lungo termine della terapia e per identificare eventualmente la supe-riorità di un farmaco rispetto all’altro.

Terapia genica La terapia genica è stata il sogno degli anni ’70 (Fri-edmann e Roblin, 1972), il traguardo prossimo che avrebbe rivoluzionato la cura delle malattie genetiche negli anni  ’90 (Hess, 1996) e l’obiettivo da raggiun-gere con molta cautela forse solo per alcune malat-tie genetiche negli anni 2000 (Blaese, 2007). Di fatto, come spesso accade, l’aumento delle conoscenze e le prime esperienze hanno dimostrato che la mate-ria era molto più complicata di quello che si poteva pensare 10  anni prima (Blaese, 2007). Riportiamo qui due esempi noti. I primi tentativi di terapia genica per via sistemica, non organo-mirata, in una malat-tia genetica monogenica sono stati effettuati nei pri-mi anni  ’90 su pazienti affetti da immunodeficienza combinata severa (SCID) dovuta a deficit di adeno-sin-deaminasi (Aiuti e Roncarolo, 2009). La terapia genica consisteva nell’infusione di linfociti o cellule staminali ematopoietiche del paziente dopo correzio-ne genica in vitro. Pochi anni dopo il trattamento si estese ad altre immunodeficienze congenite, come la SCID X-linked e la malattia granulomatosa croni-ca (CGD). Purtroppo un discreto numero di pazienti SCID-X linked e CGD sviluppò leucemia linfatica acu-ta a cellule T (SCID-X linked) o mielodisplasia (CGD); queste patologie ematologiche erano causate da un effetto tossico correlato al trasferimento genico: il vet-tore gamma-retrovirale con sequenze finali enhancer e promoter mantenute attive era in grado, non solo di attivare il gene terapeutico, ma anche di regolare verso l’alto l’espressione di oncogeni nelle vicinanze del sito di inserzione (mutagenesi inserzionale) (Mon-tiel-Equihua et al., 2012). Alcuni anni dopo, nel 1999, il signor Jesse Gelsinger, 18enne con forma lieve di deficit di ornitina-transcarbamilasi, un difetto del ciclo dell’urea con trasmissione X-linked, che aveva volon-tariamente partecipato al trial di terapia genica con somministrazione diretta del vettore nel tessuto epa-tico, moriva 98 ore dopo aver ricevuto il vettore, per una estesa e fulminante sindrome infiammatoria che aveva indotto insufficienza multiorgano. La vicenda andò sui mezzi di informazione di massa e fece mol-to clamore. Successivamente James Wilson (2009),

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allora direttore dell’Istituto di Terapia genica umana alla Università di Pennsylvania, descrisse la vicenda analizzando i fatti retrospettivamente e traendo alcu-ni suggerimenti utili per migliorare la preparazione di futuri trial. Tra questi anche un’interessante riflessione su come deve essere richiesto il consenso informato. Nonostante queste prime difficoltà, le ricerche sulla terapia genica negli ultimi 15  anni sono progredite: Biffi et al. (2013) hanno pubblicato i risultati favorevoli della terapia genica ex vivo per la leucodistrofia me-tacromatica ottenuti sui primi tre pazienti; sono inoltre in corso trial clinici per MPS II, MPS IIIA, MPS IIIB, MPS VI, malattie di Pompe, Gaucher, Fabry e ceroi-dolipofuscinosi neuronale (Parenti et al., 2015a). Ne-gli anni la terapia genica è diventata più sicura con l’utilizzo dei Lentivirus, ma la sua efficacia nel lungo periodo deve essere ancora documentata. A tutt’oggi nessun tipo di terapia genica è disponibile in com-mercio.

Altri approcci terapeutici con piccole molecoleOltre alla somministrazione di cellule sane che pro-ducono l’enzima carente (HSCT), alla somministra-zione per via endovenosa dello stesso enzima (ERT) e al trasferimento del gene cosiddetto wild-type cioè sano, nell’individuo affetto, esiste la possibilità di ri-durre l’accumulo del substrato inibendone la produ-zione (Terapia di riduzione del substrato, Substrate Reduction Therapy – SRT), di modificare il substrato per sottoporlo ad altri meccanismi di degradazione, di migliorare la stabilità di un enzima difettoso per fare in modo che possa passare il “controllo qualità” cellulare ed entrare nel lisosoma (utilizzando un chaperone), invece di essere degradato nel reticolo endoplasmico. I farmaci utilizzati a questo scopo sono piccole mole-cole che hanno il vantaggio di poter essere assunte oralmente, di diffondersi bene in tutti i tessuti e di non essere immunogene (Tab. IV).

Terapia di riduzione del substrato (Substrate Reduction Therapy – SRT) La SRT ha al suo attivo un grande successo con la tirosinemia tipo I (Mayorandan et al. 2014b) e risultati meno dirompenti e più controversi per le malattie da accumulo lisosomiale (Hollak e Wijburg, 2014).La tirosinemia tipo  I, grave malattia che porta molto precocemente a insufficienza epatica con elevatissi-mo rischio di degenerazione maligna e tubulopatia per la tossicità principalmente del succinilacetone, che si forma e si accumula a causa del difetto en-zimatico di fumarilacetoacetasi, è l’unico esempio di malattia da intossicazione per la quale sia stata utiliz-zata con successo una SRT. Il farmaco è il nitisinone, sostanza utilizzata in passato come erbicida (Arnoux et al., 2015), impiegato nel trattamento della tirosine-

mia tipo I, perché è in grado di inibire in modo efficien-te l’enzima 4- idrossifenilpiruvico diossigenasi, sulla via di degradazione della tirosina, alcuni passaggi a monte della fumarilacetoacetasi. I pazienti affetti da tirosinemia tipo I hanno visto ridursi in modo drastico il rischio di sviluppare tumori epatici e non sviluppano più insufficienza epatica o tubulopatia. Hanno però, per l’inibizione “alta” indotta dal nitisinone, un rischio concreto di avere un’ipertirosinemia che potrebbe es-sere la causa o la concausa del ritardo mentale ri-conosciuto in molti di questi pazienti, che ora sono diventati lungo-sopravviventi (Arnoux et al., 2015). Ne consegue che i soggetti affetti da tirosinemia tipo  I che sono trattati col nitisinone devono anche assu-mere una terapia dietetica discretamente rigida (ap-porto di proteine naturali comparabile a quello che viene somministrato nella fenilchetonuria) (de Laet et al., 2013). Ha interesse segnalare che il nitisinone po-trebbe essere efficace anche nella cura dell’alcapto-nuria, o oocronosi, la malattia delle urine scure e della cute grigio-blu da depositi di acido omogentisico. L’a-cido omogentisico, accumulato per il difetto dell’en-zima omogentisico ossidasi, che pure è sulla via di degradazione della tirosina, si deposita nelle cartila-gini articolari determinando una grave e invalidante osteoartrite nell’adulto. Sembrava evidente che il ni-tisinone avrebbe potuto agire anche su questa ma-lattia esattamente attraverso lo stesso meccanismo di inibizione del substrato, ma i trial conclusi fino ad ora non sono stati in grado di dimostrare un’efficacia clinica del farmaco (Introne et al., 2011; Arnoux et al., 2015) mentre hanno mostrato una riduzione del 95% dell’acido omogentisico in plasma e urine. Farmaco davvero inefficace o difficoltà di dimostrare l’efficacia in una malattia con progressione molto lenta? In que-sto caso si tende a pensare che lo strumento “trial clinico classico”, che in genere valuta risultati a breve termine, non sia adeguato per dimostrare l’efficacia del nitisinone nell’alcaptonuria (Arnoux et al., 2015).Più variegato è il campo delle malattie da accumulo lisosomiale, dove sono molte le malattie per le quali è o è stato proposto questo trattamento (Tab.  IV). Il primo prodotto autorizzato è stato il miglustat per la malattia di Gaucher, imino-zucchero in grado di inibire l’attività enzimatica della glucosilceramide transfera-si, che catalizza il primo passaggio della biosintesi dei glicosfingolipidi (Sechi et al., 2016). Questo farmaco si è rivelato in grado di ridurre alcune manifestazioni viscerali della malattia di Gaucher (Weinreb, 2013), pur presentando solo una modesta efficacia e deter-minando alcuni effetti collaterali soprattutto gastroin-testinali (Weinreb, 2013). Di fatto, dopo circa 10 anni dalla sua immissione in commercio il suo uso è li-mitato e molti pazienti che l’hanno sperimentato per un certo tempo sono poi ripassati alla ERT (Hollak e Wijburg, 2014). Da notare anche che, nonostante passi liberamente la BEE, il miglustat non sembra essere efficace sulle forme neuronopatiche (Weinreb,

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Il trattamento delle malattie metaboliche ereditarie: speranze, successi, delusioni

2013). È stato recentemente approvato sia negli Stati Uniti che in Europa un altro inibitore di substrato per la malattia di Gaucher (Eliglustat) che sembra avere buoni effetti viscerali, non è utile per il trattamento del Gaucher neuronopatico, perché passa la BEE ma ne viene subito estromesso e ha meno effetti collatera-li intestinali di miglustat (Sechi et al., 2016; Balwani et al., 2016). Il metabolismo del farmaco è principal-mente epatico ed è più o meno veloce in relazione al genotipo del citocromo CYP2D6, che si consiglia di testare prima di iniziare il trattamento con Eliglustat, per poter individualizzare la dose del farmaco (Sechi et al., 2016).Il Miglustat, per la sua capacità di inibire la glucosilce-ramide sintetasi, è stato proposto anche per altre ma-lattie da accumulo lisosomiale (Weinreb, 2013) con

risultati poco convincenti. Al contrario, esistono dimo-strazioni di efficacia nel trattamento della malattia di Niemann-Pick tipo  C, grave malattia neurodegene-rativa e viscerale, dovuta a un disturbo del trasporto intracellulare del colesterolo che causa secondaria-mente un accumulo di glicosfingolipidi. Numerosi la-vori hanno riportato una riduzione della progressione o una stabilizzazione delle manifestazioni neurologi-che anche in forme tardo-infantili e a esordio giova-nile (Hollak e Wijburg, 2014; Fecarotta et al., 2015). È possibile che questo farmaco sia in grado di rallentare o stabilizzare per un certo tempo la malattia, per lo meno nelle forme a esordio più tardivo (Fecarotta et al., 2015), ma non certo di arrestare definitivamente la progressione, soprattutto nelle forme infantili (Di Roc-co et al., 2015).

Tabella IV. Terapie con piccole molecole, già in uso o attualmente valutate in studi clinici.

Patologia SRT Stabilizzazione con chaperone

Altro meccanismo

Terapia associata/efficacia

Riferimenti bibliografici

Tirosinemia tipo I

Nitisinone (Orfadin®)

Dieta ipoproteica/ottima Mayorandan et al., 2014b

Cistinosi Cisteamina bitartrato

(Cystagon®)

Sintomatica/limitata Weinreb, 2013

Alcaptonuria Nitisinone trial in corso

Dieta ipoproteica Arnoux et al., 2015

Gaucher 1) Miglustat (Zavesca®)

2) Eliglustat (Cerdelga®)

1) restrizione latticini/buona viscerale e ossa, non efficace su sistema nervoso centrale, effetti

collaterali

2) -/buona viscerale e ossa, non efficace su sistema nervoso

centrale, dose individualizzata

Weinreb et al., 2013

Sechi et al., 2016

MPS III Genisteina -/in attesa di risultati del trial in corso

Piotrowska et al., 2011; Kim et

al., 2013

Niemann-Pick C

Niemnn-Pick C

Miglustat (Zavesca®)

HSP70

Ciclodestrina

Restrizione latticini/limitata

-/in attesa di risultati del trial che inizierà a breve

-/in attesa di risultati del trial che inizierà a breve

Fecarotta et al., 2015

Ingemann e Kirkegaard,

2014

Pontikis et al., 2013

Fabry DGJ- Migalastatmonoterapia o in

associazione a ERT

-/risultati preliminari incoraggianti

Germain et al., 2012; Warnock

et al., 2015

Pompe Miglustat (Zavesca®) in

associazione a ERT

-/risultati preliminari incoraggianti

Parenti et al., 2014

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R. Parini et al.

La genisteina è un flavonoide che come è stato dimo-strato (Piotrowska et al., 2006) inibisce la sintesi dei glicosaminoglicani nei fibroblasti in coltura. Ciò av-viene perché inibisce l’attività chinasica dell’epider-mal growth factor receptor, necessaria per la piena espressione di geni coinvolti nella sintesi dei glicosa-minoglicani (Piotrowska et al., 2006). La genisteina è stata somministrata inizialmente a dosi di 5 mg/kg/die (Piotrowska et al., 2011), poi 15 mg/kg/die e più re-centemente 150 mg/kg/die come genisteina aglicone (Kim et al., 2013). È in corso uno studio di fase III mo-nocentrico con genisteina aglicone ad alte dosi che forse ci aiuterà a capire se la genisteina può essere impiegata in clinica o no (Parenti et al., 2015a).In conclusione la SRT:1) si è dimostrata molto efficace nel trattamento della

tirosinemia tipo I e potrebbe esserlo per l’alcapto-nuria ma è ancora da dimostrare;

2) per le malattie da accumulo lisosomiale ha dato finora risultati limitati o controversi e per il momen-to può aver senso impiegarla in gruppi particolari di pazienti (già stabilizzati o che per qualunque ragione non possono assumere ERT) senza coin-volgimento neuronale. Potrebbe anche avere un impiego in associazione ad altri farmaci.

Modificazione del substratoPer la cistinosi è stato impiegato un farmaco che de-termina una “modificazione” del substrato. La malattia è causata dalle mutazioni di un gene che codifica una proteina di trasporto lisosomiale della cistina. La cisti-na intracellulare accumulata forma cristalli di cistina che portano ad alterazione delle funzioni cellulari e a precoce apoptosi. Il fenotipo è caratterizzato principal-mente da danno corneale per la presenza di cristalli di cistina con fotofobia e cecità e insufficienza renale grave e precoce. Il trattamento con Cisteamina bitar-trato, approvato da FDA nel 1994, penetra nei lisoso-mi e trasforma la cistina in cisteina e altri composti che escono dal lisosoma con un diverso meccanismo di trasporto. Il farmaco va assunto per os ogni 6 ore e provoca vari effetti collaterali quali odore di zolfo, alitosi, nausea, vomito e lesioni cutanee (angioen-doteliomatosi) (Weinreb, 2013). Molti pazienti hanno perciò una scarsa compliance, ma anche quando la compliance è buona, questo farmaco è solo in grado di rallentare la progressione della malattia, non di ar-restarla (Cherqui, 2012; Brodin-Sartorius et al., 2012).

La terapia di stabilizzazione enzimatica (chaperone farmacologici)Il primo impiego in clinica di un chaperone farmaco-logico è descritto nel lavoro di Frustaci e collaboratori (2001) dove un paziente affetto da malattia di Fabry con attività enzimatica residua, in seguito a trattamen-to con infusioni di galattosio a giorni alterni per oltre due anni, mostrava un importante miglioramento del-

la cardiomiopatia passando dalla classe funzionale NYHA (New York Heart Association) IV alla classe I. Il galattosio agiva legandosi come inibitore competitivo all’enzima alfa-galattosidasi A e in questo modo au-mentava o stabilizzava l’attività dell’enzima. Era allora già noto che la 1-deossigalattonojirimicina (DGJ-Mi-galastat) aumentava con lo stesso meccanismo l’atti-vità residua dell’alfa-galattosidasi A (Fan et al., 1999). A oggi dopo circa 15 anni, il farmaco è stato studiato sugli animali e in studi di fase I e II, sia in monoterapia che in associazione ad ERT (Germain et al., 2012; Warnock et al., 2015), ma non è ancora stato immes-so sul mercato: attualmente è in attesa di valutazione da parte di EMA. Altri possibili chaperone sono stati valutati per altre malattie, uno dei quali è il miglustat per la malattia di Pompe già in commercio come SRT per la malattia di Gaucher (Parenti et al., 2014).Complessivamente chaperone in monoterapia pos-sono essere utilizzati solo per certi tipi di mutazioni, cosiddette sensibili, quelle mutazioni cioè che dan-no luogo alla produzione di una proteina misfolded (cioè con una struttura tridimensionale alterata) che può essere stabilizzata da un chaperone. Vista però la loro efficacia anche nella stabilizzazione dell’enzi-ma esogeno, molecole chaperone potrebbero avere un impiego in associazione alla ERT, per aumentarne l’efficacia (Parenti et al., 2014 e 2015b).

Conclusioni Le terapie attualmente disponibili per gli errori con-geniti del metabolismo rappresentano un importante avanzamento nella cura di queste malattie, ma sono ben lungi dal controllare completamente la patologia. Esiste una difficoltà nel riconoscere con chiarezza gli effetti delle terapie a lungo termine, sia per le malat-tie da intossicazione che per le malattie da accumulo. Questa difficoltà è legata a vari fattori: si tratta di ma-lattie rare, sulle quali l’esperienza del singolo centro è sempre limitata; il fenotipo clinico è caratterizzato da un’ampia variabilità individuale; i registri di malat-tia sono spesso supportati dalle aziende che hanno impostato ottimi registri giustamente farmaco-centrici e non centrati sul paziente; per loro natura i registri spesso contengono informazioni limitate e frammen-tarie, soprattutto sul lungo periodo. Gli sforzi recenti indirizzati a costituire registri indipendenti che otten-gano dati di buona qualità potranno forse aiutare a migliorare questo aspetto.L’evoluzione clinica dei pazienti potrebbe migliorare se la diagnosi fosse più precoce, ancora in fase pre-sintomatica, come potrebbe avvenire solo in caso di famiglia con precedente caso indice o di screening neonatale. Questo porterebbe con sé la necessità di discriminare precocemente le forme gravi e lievi, per scegliere i diversi trattamenti, cosa non sempre age-vole, ma verosimilmente permetterebbe una prognosi migliore a un buon numero di pazienti.

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Il trattamento delle malattie metaboliche ereditarie: speranze, successi, delusioni

Molti sono attualmente gli sforzi al fine di migliorare le criticità ancora presenti negli approcci terapeutici finora utilizzati. Sono in corso trial di ERT intratecale (oppure intratecale + intracerebrale) per la MPS IIIA e IIIB e per la ceroidolipofuscinosi tipo  2 (Ortolano et al., 2014) (Tab.  III) e stanno per iniziare trial ba-sati su nuove strategie terapeutiche: nella malattia di Niemann-Pick tipo C con ciclodestrina, che avreb-be la proprietà di favorire l’uscita del colesterolo dal compartimento lisosomiale (Pontikis et al., 2013), e con heat-shock protein 70 (HSP70), chaperone che agisce anche come stabilizzatore delle membrane lisosomiali (Ingemann e Kirkegaard, 2014) (Tab.  IV). Secondo comunicazioni verbali dovrebbe anche ini-ziare a breve il trial per la MPS I con un’altra piccola molecola: PTC 124 (Ataluren-Translarna®), molecola già nota e utilizzata nel trattamento di altre malattie genetiche come la distrofia muscolare di Duchenne e la fibrosi cistica (Bushby et al., 2014; Shoseyov et al., 2016) che è in grado di forzare il completamento della sintesi di una proteina enzimatica sopprimen-

do un codone di stop: questo farmaco ha dunque il potenziale di essere efficace in tutte le malattie mo-nogeniche che abbiano almeno una mutazione non-senso (cioè un codone che determina un’interruzione prematura della sintesi proteica). Nuovi approcci che riguardano la ERT includono me-todi per il miglioramento della stabilità enzimatica o per ridurre la risposta anticorpale alle proteine infu-se, la produzione di enzimi modificati per aumentarne l’uptake lisosomiale o per aumentare la loro emivita, o per poter essere captati anche da cellule che non esprimono il recettore per il mannosio-6P, la produ-zione di proteine chimeriche che siano in grado di passare la BEE (Osborn et al., 2008), la produzione di enzimi modificati come ad esempio alfa-N-acetil-galactosaminidasi che agisce sullo stesso substrato dell’alfa galattosidasi nella Malattia di Fabry (Tajima et al., 2009). Di tutti questi nuovi approcci non possiamo ora dire quali si dimostreranno più efficaci e restiamo con molto interesse in attesa dei risultati dei prossimi studi clinici.

Box di orientamento

• Cosa si sapeva primaNegli ultimi 15-20 anni sono stati fatti molti passi avanti riguardo alle terapie delle malattie metaboliche che ne hanno migliorato la prognosi. Le terapie per le malattie metaboliche hanno attualmente un’effica-cia parziale e i pazienti ora hanno un’importante “malattia residua” che riduce la loro qualità di vita.

• Cosa sappiamo adessoOgni nuova acquisizione sui meccanismi regolatori della vita cellulare ha permesso di intravedere nuove possibilità terapeutiche che spesso sono state messe in pratica. Sembra verosimile che ancora per tanti anni a venire la ricerca di base ci riserverà tante sorprese e ci darà tanti nuovi strumenti per trattare in modo sempre più efficiente le malattie metaboliche.

• Quali ricadute sulla pratica clinicaSempre più critico diventa il riconoscimento precoce di queste malattie che permette l’accesso alle tera-pie innovative. I medici di libera scelta e i pediatri di famiglia sono sempre più caricati della responsabilità di saper riconoscere o almeno sospettare una malattia metabolica e inviarla tempestivamente al centro specialistico. È compito di tutta la comunità medico-scientifica garantire la diffusione delle conoscenze al suo interno. La comunicazione diagnostica deve tenere in considerazione il fatto che le possibilità tera-peutiche si stanno ampliando e modificando anche velocemente nel corso degli anni.

Bibliografia

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* Review chiara e completa su terapia genica per le immunodeficienze conge-nite.

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** Sono presentati i risultati a lungo termine del trapianto nella MPS I nella più ampia casistica finora pubblicata. Dimostra importanza di età e sviluppo psicomotorio al trapianto.

Arnoux J-B, Le Quan Sang KH, Brassier A, et al. Old treatments for new insights and strategies: proposed management in adults and children with alkaptonuria. J In-herit Metab Dis 2015;38:791-6.

* Review interessante su alcaptonuria e proposta di trattamento innovativo.

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* Sono mostrati dati sui pazienti con

22

R. Parini et al.

malattia di Pompe infantile che dimostrano una correlazione tra alto titolo anticorpale e insoddisfacente outcome e viceversa tra basso titolo e buon outcome.

Banugaria SG, Prater SN, Patel TT. Algo-rithm for the early diagnosis and treatment of patients with cross reactive immunolog-ic material-negative classic infantile pompe disease: a step towards improving the ef-ficacy of ERT. PLoS ONE 2013;8: e67052.

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* Case report di importante migliora-mento cardiaco e dei parametri biochimici in due fratelli affetti da GSD III e trattati con dieta ipoglucidica, iperproteica e iper-lipidica.

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* Review complessiva della problem-atica legata alla produzione di anticorpi nei pazienti con malattie da accumulo lisoso-miale trattati con ERT.

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* Uno dei pochi lavori di follow-up a lungo termine in due fratelli Hurler-Scheie che hanno iniziato il trattamento con ERT a età diverse. Dimostrazione di maggiore efficacia della ERT se somministrata pre-cocemente.

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* Valutazione retrospettiva di pazienti Hunter in ERT con discussione della scarsa possibilità di applicare gli end-points degli studi clinici alle valutazioni a lungo termine nella pratica clinica.

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** Commento con ampia prospettiva sui risultati raggiunti e i problemi incontrati nel trattamento della malattia di Gaucher con ERT.

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** Riporta i risultati dello studio clinico di fase III sulla terapia con ERT nella malat-tia di Morquio A.

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Il trattamento delle malattie metaboliche ereditarie: speranze, successi, delusioni

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** Insieme al lavoro su Orphanet 2011, interessante punto di vista e commento sulla necessità di una valutazione indip-endente, non mediata da registri sostenuti dalle case farmaceutiche, dell’efficacia dei farmaci a lungo termine nella fase IV.

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* Lavoro multicentrico su una casistica numerosa.

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* Lavoro multicentrico su una casistica numerosa.

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** Analisi degli effetti delle terapie diete-tiche in uso su una casistica numerosa di acidemia metilmalonica isolata. L’eccessi-va manipolazione della dieta con alimenti di sintesi può essere pericolosa.

Manoli I, Myles JG, Sloan JL, et al. A critical reappraisal of dietary practices in methylmalonic acidemia raises concerns about the safety of medical foods. Part 2: cobalamin C deficiency. Genet Med 2015b;18:396-404.

** Analisi degli effetti delle terapie diete-tiche in uso su una casistica numerosa di acidemia metilmalonica con omocistinuria. L’eccessiva manipolazione della dieta con alimenti di sintesi può essere pericolosa.

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CorrispondenzaRossella PariniUOS Malattie Metaboliche Rare, Clinica Pediatrica, Fondazione MBBM, ASST-Monza, Monza - E-mail: [email protected]

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