siamo fatti così... (estratto)

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estratto dall'ebook di Costantino Spagnolo (contiene 2 racconti completi).

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Page 1: Siamo fatti così... (estratto)
Page 2: Siamo fatti così... (estratto)

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Può essere liberamente distribuita, sempre e solo a titolo gratuito e nello stesso formato digitale, purché non venga

modificata in alcun modo nei testi e nelle immagini

Costantino Spagnolo - Siamo fatti così… edizione digitale © 2013 - Tutti i diritti riservati

Page 3: Siamo fatti così... (estratto)

Costantino Spagnolo

Siamo fatti così… piccole storie sulla fragilità umana

Estratto dal libro in edizione digitale Contiene due racconti completi

Page 4: Siamo fatti così... (estratto)

INDICE

Ritorno a casa

L’amico comune

Il tiranno

Lezione di catechesi

Il signor Antonio

Il diavolo e l’acqua santa

In nome di Dio

Il barbone

Ave, Maria

Risparmiare energia si può

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Siamo fatti così…

Ritorno a casa

Nascere povero, non è un castigo di Dio: è una chiamata a testimoniare il suo Amore.

Quando si sentì chiamare, comare Maria era nell’orto, dietro la casa, intenta a curare le sue verdure. Conosceva bene la voce dell’anziano postino; ogni settimana le portava la lettera del genero e, una volta al mese, anche il vaglia. Arrivò subito, asciugandosi le mani al grembiule, sorpresa di vedersi arrivare la posta a quell’ora insolita. - C’è un telegramma per voi, comare Maria, e viene da Torino. - Oh, Dio benedetto! - esclamò impressionata - E’ successo qualcosa a Cosimo?... Oh, Signore, fa che non sia nulla di grave… Leggetemelo voi, don Vincenzo, lo sapete che non so leggere… Su, fate presto, non lasciatemi sulle spine.

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Siamo fatti così… Ritorno a casa

Il postino, che conosceva già il contenuto, lesse a malincuore. Il messaggio telegrafico era indirizzato alla donna,

da parte del titolare di un’impresa edile di Torino. La si informava di un incidente sul lavoro, avvenuto nel pomeriggio del giorno prima e nel quale avevano perso la vita tre operai mentre altri erano rimasti feriti. Tra i morti era Cosimo Sarti, suo genero. Si informava inoltre che il titolare dell’impresa aveva già provveduto, tramite i suoi legali, ad occuparsi delle procedure che la Legge richiede in tali circostanze per il trasporto della salma al paese d’origine. Trasporto e funerali sarebbero stati a spese dell’Impresa e, a parte, quanto prima le avrebbero spedito le cose che appartenevano al defunto, oltre le spettanze economiche dovute secondo le Leggi contrattuali vigenti. Si esprimeva, infine, il profondo cordoglio del titolare e di tutti i dipendenti dell’Impresa.

E’ difficile descrivere l’espressione disperata della povera donna. - Vi prego, - disse tra i singhiozzi - ditemi che si tratta di uno scherzo… ditemi che non è vero… ditemi che non c’è scritto quello che mi avete letto... Non può capitarmi anche questo…

Guardò il postino, come a supplicarlo di dirle la verità, di dirle che non era vero niente. L’uomo, commosso al massimo, assentì con il capo. La povera donna si coprì il volto con le mani e si lasciò cadere sul ceppo di quercia accanto a lei, in un pianto disperato. Quel pianto fu udito dai vicini e molte donne accorsero da lei per sapere cos’era accaduto.

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Siamo fatti così… Ritorno a casa

Quando seppero, rimasero addolorate per la triste notizia. Nessuno sentì l’utilità di parlare, nessuna parola fu detta per consolare l’afflitta Maria.

Chi avrebbe potuto lenire il dolore grande che, in

un attimo e senza preavviso, le era piombato addosso? Quel dramma era tutto di comare Maria e di quella creatura, ora orfana di entrambi i genitori. Nulla avrebbe potuto fare la gente amica che le stava attorno, null’altro se non dispiacersi profondamente e sinceramente. Piangevano anche le altre donne, condividevano il dolore della loro vicina e che per loro era più che una semplice vicina. Due di loro la sorressero e l’accompagnarono dentro casa mentre altra gente vi si radunava, tra cui anche degli uomini e dei ragazzi. - Qualcuno di voi dia il telegramma a comare Maria, - disse il postino porgendo ad uno degli uomini vicino a lui il foglio che conteneva la tragedia - devo tornare in ufficio. Si avvicinò alla bicicletta, la prese senza salirvi sopra e si avviò verso il paese. Fatti pochi passi si fermò per soffiarsi il naso: aveva gli occhi pieni di lacrime.

Savio (diminutivo di Saverio) tornò in anticipo dalla scuola e si stupì di vedere tanta gente davanti casa sua; anche dentro, la stanza era piena. Le conosceva tutte, quelle persone, ma si domandava perché fossero lì tutte insieme. Quelle facce tristi, gli occhi della nonna arrossati e gonfi… Capì subito che era successo qualcosa di cattivo che lo riguardava. Nessuno dei presenti, neanche la nonna, fecero caso al fatto che il bambino fosse rientrato prima del solito.

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Siamo fatti così… Ritorno a casa

Fu egli stesso che, dopo qualche attimo, si avvicinò alla nonna. - Il maestro si è sentito male - disse - e ci hanno mandato a casa prima… Nonna, - chiese poi, preoccupato - cosa fa tutta questa gente in casa nostra?

Lo sguardo della nonna fu lungo e colmo di infinita tenerezza. Gli accarezzò il ciuffetto ribelle. - Mi sono sentita male - rispose - e queste nostre vicine mi hanno aiutato… - Ti senti ancora male?... - Non spaventarti, piccolo mio, non avere paura… sto già meglio. Ora, posa la cartella e vai pure a giocare un po’ fuori… Comare Maria si fermò. Non avrebbe potuto aggiungere altro senza rimettersi a piangere. Savio restò pensieroso per qualche minuto, poi posò la cartella in un angolo ed uscì, più per obbedire alla nonna che per altro. Di solito, appena giunto a casa dalla scuola, subito dopo aver mangiato qualcosa, gli piaceva svagarsi un’oretta; difficilmente, però, la nonna glielo permetteva... Ora, invece… C’era qualcosa che non lo convinceva. Incurante delle persone radunate davanti alla casa, fece pochi passi e, girando dal retro, si accostò ad un finestrino, con l’orecchio attento. Venne così a conoscenza dell’amara verità e fu un colpo durissimo.

E’ umanamente impossibile conoscere ciò che una tragedia così grande possa provocare nella mente e nel cuore di un bambino di sette anni. La parola “morte”, per Savio, aveva un significato molto vago, difficile da comprendere. Capiva soltanto che non avrebbe più rivisto il suo papà, così come non aveva più rivisto la sua mamma.

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Siamo fatti così… Ritorno a casa

E’ vero che non lo aveva avuto spesso vicino a lui fisicamente, ma gli scriveva tutte le settimane, gli diceva tante cose belle e dolci che solo i papà che vogliono tanto bene sanno dire... E ogni volta che veniva a casa gli portava sempre un mucchio di regali… Per lui era come se lo avesse avuto sempre vicino. Fu come se un vortice nero tentasse di inghiottirlo e scappò. Corse con tutta la forza che aveva, senza una meta precisa, solo per allontanarsi da quel nemico tremendo che lo terrorizzava tanto. Era un bambino forte, abituato alle lunghe corse attraverso i campi, lungo quei viottoli tortuosi in cui è difficile correre, anche per molti di coloro che erano del luogo. Eppure, egli si muoveva sicuro in quella specie di labirinto, tra rovi e cespugli d’ogni genere. I suoi piedi posavano, come per incanto, nel punto giusto, evitando ogni ostacolo, ogni insidia che si frapponeva a loro. Savio era, malgrado fosse ancora un bambino, un esperto conoscitore di tutta la zona circostante per un raggio di diversi chilometri; conosceva d’essa ogni sentiero, ogni cespuglio, ogni rupe, ogni crepaccio… Là dove un forestiero si sarebbe perso, lui lo percorreva ad occhi chiusi.

Ad un tratto il bambino si fermò, non per riposarsi ma per cambiare direzione. Si avviò, sempre di corsa, per il viottolo che portava in cima alla collina e non si fermò se non quando fu giunto al posto desiderato. Fissata tra alcuni enormi massi, una grande croce di legno sovrastava, maestosa ed imponente, il paese e tutta la valle sottostante. Sulla croce, il Crocifisso, espressione massima di ogni umana sofferenza, sembrava aspettare, già a conoscenza di ogni cosa che accade in ogni parte del mondo.

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Siamo fatti così… Ritorno a casa

Dopo aver ripreso fiato, Savio alzò lo sguardo verso il Cristo, inchiodato sulla croce. - Sono molto arrabbiato con te. - gli disse, con tono di forte rimprovero - Quello che hai fatto non è giusto, non è giusto, non è giustoooo… Lo gridò con tutta la voce che aveva. Salì sui massi, prese i vasi con fiori e piantine, che la gente depositava devotamente ai piedi della croce, e li scagliò lontano. - Ti credevo un amico, - continuò - uno che mi voleva bene… Ti ho sempre portato i fiori e piantine, le più belle che trovavo nel bosco… Ti ho tenuto compagnia quasi tutti i giorni… E tu che fai?... Mi porti via la mamma, ed ora anche il mio papà. La nonna non ha fatto altro che parlarmi sempre di te… Gesù è buono, preghiamolo sempre, vogliamolo bene sempre, ci aiuterà… Io l’ho fatto, ho creduto alla nonna, ho avuto fiducia in te… E Tu?... E’ così che sai essere buono? Tacque per un attimo. Solo Dio poteva conoscere la tempesta che si era scatenata nel suo piccolo cuore innocente. - Non ti voglio più bene, - gridò ancora, quasi volesse far giungere fino al cielo il suo grido - non verrò più a trovarti. Sei soltanto un pezzo di legno che non parla e non serve a niente.

Batté i pugni sul legno fino a farsi male; quindi aprì le braccia ed avvinghiò, per come gli fu possibile, la croce, cercando di scuoterla e far cadere il Cristo. Capì che non sarebbe riuscito nemmeno a farla vibrare e, non potendo scaricare così la sua disperazione e la sua rabbia, si lasciò scivolare sui ginocchi, tenendo sempre stretta la croce e scoppiando in lungo pianto. Intorno a lui, la natura, silenziosa ed amica, pareva partecipasse commossa al suo dramma.

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Ad un tratto sentì, sui capelli e sul volto pieno di lacrime, un vento leggero e dolce, come una soave carezza. Smise di piangere ed alzò gli occhi verso il Cristo. Il capo chino in avanti, su cui la corona di spine aveva aperto tante ferite, mani e piedi inchiodati al legno, lo squarcio nel costato, le macchie di sangue che scendevano giù dalle ferite, il Cristo appariva in tutta la sua intensa sofferenza. Tutto il suo soffrire sembrava fosse un’infinita compassione per quella creatura che stava ai piedi della croce; quel piccolo e devoto amico che andava a trovarlo tutti i giorni, che gli portava i fiori, gli teneva compagnia, gli raccontava i suoi piccoli segreti, gli dava i messaggi da portare alla sua mamma…

Savio continuò a guardarlo e fu come se lo vedesse per la prima volta, con una luce nuova. La nonna gli aveva detto che le immagini e le statue non parlano, ma servono agli uomini per ricordarsi di Dio, Creatore e Signore di tutte le cose. Quella statua lignea serviva a ricordare il sacrificio di Gesù, figlio di Dio, per la salvezza di tutta l’umanità. Quell’alito di vento piacevolissimo, continuava ad accarezzarlo; e il bambino, in quella carezza che riusciva a penetrare in tutto il suo essere, sentì una voce, suadente e dolcissima, che gli parlava, chiamandolo per nome: - Savio, mio piccolo e devoto amico, non sono stato io a volere la morte del tuo papà e della tua mamma. Guarda come sono stato crocifisso, per amore di tutti voi, mie creature! Io mi sono sacrificato perché gli uomini, tutti gli uomini, abbiano la vita; non certo per farli morire. Ma nel mondo in cui vivi esiste anche il male, esiste qualcuno che vuole la rovina degli uomini. Ascolta e credi in ciò che ti dico: è lo stesso qualcuno che ti ha spinto, questa mattina,

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a vendicarti del tuo maestro, a punirlo per la sua rigidità… Gli hai portato un uovo marcio e lui, nella fretta di berselo, non se n’è accorto. Per questo si è sentito male. Dimmi, Savio: a cosa potrà giovare, a te o ad altri, ciò che il male ti ha spinto a fare? Ricorda, mio piccolo amico, ricordalo sempre: il male porta alla morte, il bene alla vita. Guarda questi chiodi, ai miei piedi ed alle mie mani, guarda questa corona di spine: essi, conficcati dal male nella mia carne per togliermi la vita, hanno invece vinto per sempre la morte.

Per un attimo la voce si spense e il bambino, nel silenzio del cuore, supplicò: “parlami, ti prego, parlami ancora…”. E la risentì, dolce e chiara. - Il tuo papà non è morto, ma nato ad una vita nuova. E’andato a stare insieme alla tua mamma, per sempre; ed anche tu, un giorno, sarai insieme a loro, ai nonni ed a tutti quelli che in questo mondo avrai amato. Si, mio piccolo e devoto amico, tutti insieme e per sempre, in un mondo nuovo dove il male non esisterà più. Ora torna dalla nonna, ha bisogno di te, stalle vicino. Sii forte e non avere paura di niente, io sono con te, in ogni momento della tua giornata e dovunque tu sarai.

Savio si sentì calmo, leggero. Quella “cosa” pesante che aveva prima non c’era più, anche se tanta tristezza rimaneva nel suo piccolo cuore. Aspettò qualche minuto in silenzio… Chissà, forse Gesù aveva ancora qualcosa da dirgli. Poi si alzò e recuperò vasi, fiori e piantine che rimise delicatamente ai piedi della croce. - Mi dispiace, - disse, con tono supplichevole, rivolto al Cristo - anche per ciò che ho fatto al mio maestro. Ti prego,

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perdonami, non farò più certe cose… Fai che il maestro non muoia a causa di quell’uovo, ti prego.

Sorrise al Crocifisso ed agitò la mano aperta per dirgli “ciao”. Quindi, prese la via del ritorno, con passo svelto ma senza correre, questa volta.

* * * * * * *

Quanto tempo è passato, don Savio! Una vita, una vita intera!... Hai girato il mondo al servizio del tuo Signore ed Egli ti ha concesso di poter tornare qui, tra i ricordi tristi e dolcissimi della tua infanzia. Qui, Egli ti aspettava, desideroso della tua compagnia. Eppure siete stati insieme tutta una vita; dovunque tu sia andato Egli era con te. Ma qui è diverso. Qui ha parlato al tuo cuore di bimbo, qui hai ricevuto l’abbondanza della sua grazia e della sua forza. Ora, forse, vuole essere Lui a farti compagnia, a tenerti per mano, ad accogliere il tuo ultimo, umano respiro.

Ti hanno diagnosticato un male che ancora non si riesce a combattere e ti restano solo pochi mesi di vita ancora su questa terra. Il tuo grande “amico” Crocifisso ha voluto farti dono di qualcosa che non gli hai mai chiesto, ma che hai sempre desiderato: morire qui, nella tua Terra, nella casa dove sei nato, tra le vecchie foto dei tuoi genitori e dei nonni, in particolare di nonna Maria. Egli ti ha fatto dono di poter respirare quest’aria così pulita e leggera; ha voluto addolcire i tuoi occhi e il tuo

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cuore di tanta semplice e straordinaria bellezza, prima di condurti in quel mondo meraviglioso dove già sono riuniti tutti coloro che hai sempre portato nel cuore.

Sono tanti i ricordi, don Savio, tanti da riempire chissà quanti volumi di scritti. Ma tu hai voluto raccontarmi soltanto questo frammento della tua vita, perché fosse ricordato a testimonianza della tua vocazione. Non hai paura di ciò che ti attende; anzi l’accogli con fede e con gioia perché sai già dove andrai… …E mentre, seduto sul grosso masso ai piedi della croce, socchiudi gli occhi per ritrovare ogni ricordo di quegli anni, quell’alito di vento leggero, soave ritorna, accarezza la tua canizie e le tue membra stanche, ti ristora, ti riporta bambino, annulla ogni sofferenza fisica e rende leggero il respiro dell’anima.

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Siamo fatti così…

L’amico comune

La speranza e l’ottimismo sono la forza della povera gente: riescono a fare aprire ogni porta.

Giuseppe era giunto a Milano soltanto con una valigia ed un borsone in cui vi erano pochi indumenti e qualche cosa da mangiare (pane, salame, formaggio, uova bollite…), cose che potevano conservarsi per alcuni giorni e sopperire alle prime necessità, fino a che non avrebbe trovato un lavoro, qualunque lavoro purché onesto. Soldi? Solo alcune decine di euro, pochi per affrontare una città come Milano. D’altra parte, lo si immagina, se è stato costretto a lasciare il suo paese, la casa e la famiglia, era chiaro che le cose non gli andavano tanto bene; anzi, gli andavano malissimo.

Veniva dalla Calabria, dalla Provincia di Crotone, dove la crisi imperante da alcuni anni aveva costretto molti come lui ad emigrare. Là aveva lasciato la moglie e i quattro figli, affrontando l’avventura da solo. Dopo due

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Siamo fatti così… L’amico comune

settimane di ricerca, nel notevole disagio, nell’ansia e nelle privazioni che solo una straordinaria forza di volontà riesce a sopportare, finalmente trovò un lavoro come custode notturno presso un piccolo stabilimento, con vitto e alloggio nello stesso. Si considerò fortunato e ringraziò il Signore.

Erano soltanto venti giorni che si trovava lontano

da casa e gli sembrava di essere orfano da anni. Passava le sue notti di guardia in portineria ed ogni due ore faceva un giro d’ispezione per lo stabilimento; il resto del tempo lo passava a leggere i giornali che arrivavano già in tarda serata per la direzione. Poche, anzi pochissime, le telefonate a casa per risparmiare quei pochi euro rimasti in attesa della prima paga. Più che leggerli, i giornali, li sfogliava, tanto per ammazzare il tempo. Nei suoi pensieri c’erano sempre i suoi guai, gli stessi che lo avevano spinto a partire: rate del mutuo arretrate, interessi di mora, debiti qua e là… E poi, moglie e figli, il loro disagio. Tutto questo meditava ogni notte e non vi era momento che non sognasse un colpo di fortuna.

La pubblicità che gli scorreva sotto gli occhi leggendo i vari quotidiani era più che allettante. Una moltitudine di vari Istituti di credito offrivano prestiti e mutui a condizioni incredibilmente vantaggiose. In Calabria, ciò era un utopia, specialmente in tempi così critici; ma anche nei periodi di non crisi tutto ciò che un operaio riusciva ad ottenere come credito, previo una sfilza di documenti e garanzie, non superava i dieci milioni delle vecchie lire. Nel nord del Paese, in particolar modo a Milano, sembrava di essere in un altro mondo. Ma era vero?...

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Siamo fatti così… L’amico comune

Non era tanto facile per lui convincersi che potessero esserci simili possibilità. Eppure, tutti i giorni, su tutti i quotidiani, riviste, pagine gialle, anche distribuita con volantinaggio, quella pubblicità non lasciava dubbi. Era una speranza grande! Giuseppe aveva fatto un po’ di conti. Gli bastava un prestito di cinquanta mila euro, con rate trimestrali di mille e cinquecento euro, per risolvere tutti suoi problemi economici. Con quella somma avrebbe estinto ciò che ancora restava del mutuo della casa, avrebbe onorato altri piccoli prestiti contratti con alcuni suoi parenti e, infine, gli sarebbe rimasto quanto bastava per ripristinare la bottega da falegname del vecchio zio (chiusa da alcuni anni) e tirare avanti discretamente. Giuseppe, infatti, era un bravo artigiano ed aveva lavorato molti anni insieme allo zio.

Certo, - gli veniva di pensare - rimanendo per qualche tempo a Milano e dando ascolto a tutta quella pubblicità che gli veniva messa sotto gli occhi, c’era da arricchirsi in poco tempo. Ma egli non aveva grandi ambizioni; il suo sogno era di sistemare le sue cose, dare la possibilità ai suoi ragazzi di continuare gli studi e di avere un lavoro autonomo da consentirgli di vivere in serenità, senza troppe preoccupazioni. Ma come presentarsi a chiedere un prestito? Senza residenza, ancora al primo mese di lavoro, senza qualcuno che potesse garantire per lui… Come presentarsi? Gli annunci pubblicitari, però, lo incoraggiavano: “Avete bisogno di soldi? Concediamo prestiti e mutui a chiunque ed ovunque residenti, anche pensionati e protestati, con sola firma del contraente…”

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Siamo fatti così… L’amico comune

“Concediamo prestiti a tutti! Qualunque somma! Erogazione immediata! Presentarsi con Carta d’Identità, Codice Fiscale e ultima busta paga…” Ogni annuncio era corredato da indirizzo e numeri telefonici a cui rivolgersi… Tutto così chiaro, facile, possibilissimo… Perché non sperare?

Giuseppe volle comunque andare sul sicuro ed aspettò più di un mese. Non appena ebbe nelle mani la sua seconda busta paga cominciò a contattare tutti quegli indirizzi. Passò pomeriggi interi a viaggiare in metropolitana, a cercare vie e piazze, a visitare Istituti di credito ed Agenzie finanziarie. La sua delusione fu totale: nulla rispondeva al vero di quanto pubblicizzato. Alle sue richieste sulle possibilità di accedere ad un prestito, le risposte che otteneva erano senza speranza. “Lei non è residente in Lombardia…”. “Lei non guadagna abbastanza da poter pagare la somma che chiede in prestito…”, “Ci vogliono garanzie adeguate…”. Una serie di motivazioni logiche, è vero, ma nettamente in contrasto con quanto riportato negli annunci.

Dopo alcune settimane, profondamente scoraggiato, Giuseppe rinunciò, armandosi di santa pazienza ed aspettando tempi migliori. Una mattina, a fine turno, mentre prendeva il suo solito cappuccino con brioche per poi andare a dormire, gli si avvicinò un collega, a cui aveva confidato le sue condizioni e la necessità di poter accedere ad un prestito per porvi rimedio, ed a cui aveva chiesto di aiutarlo, dato che questi era milanese. Il collega gli portò una buona notizia che lo rimise in condizioni di riaccendere la speranza.

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- Non devi fare altro che presentarti al Dottor Nardini, direttore della Banca, ed esporre le tue necessità. E’ un carissimo amico di famiglia, disponibile nei limiti delle possibilità… Vedrai tu stesso che farà di tutto per venirti incontro. Ti aspetta domattina alle nove. Giuseppe ringraziò calorosamente e, pur non riuscendo ad essere ottimista, non poté fare a meno di sperare.

L’indomani mattina, qualche minuto prima delle nove, dopo aver faticato a trovare la Banca, era già di fronte ad una graziosa signora che gli chiedeva cosa poteva fare per lui. Giuseppe era di media età, fisico atletico e di bello aspetto, serio e dignitoso nel portamento. Anche se non molto elegante, appariva ben curato e ordinato nell’abbigliamento. - Ho appuntamento con il Dottor Nardini - rispose alla signora. - Il suo nome, prego? - Giuseppe Maroni Greco. - Avviso subito il direttore. Neanche un minuto d’attesa e dal corridoio apparve un signore sulla sessantina, barbetta grigia ed occhiali da miope, con passo affrettato e mano tesa. Sorridente e ossequioso si avvicinò a Giuseppe. - Sono Nardini, - si presentò, stringendogli la mano - l’ aspettavo, anche se, a dir la verità, l’appuntamento era per le dieci. E’ in anticipo, ma non è un problema. - Mi dispiace - si scusò Giuseppe - forse ho capito male io… Posso passare più tardi, se crede… - Ma no, per carità! Non si preoccupi affatto… Vuole seguirmi nel mio ufficio? - Certamente, grazie.

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Siamo fatti così… L’amico comune

Giuseppe si trovò in un lussuoso ufficio, seduto su una lussuosa poltrona, davanti ad una lussuosa scrivania. Di fronte a lui, nientemeno che il direttore della Banca, ossequioso e sorridente. - Sono lieto di conoscerla, signor Maroni. Il nostro comune amico mi ha parlato di lei, mi ha motivato le ragioni della sua richiesta, senza entrare troppo nei particolari, e mi ha raccomandato di venire incontro alle sue esigenze. - Beh… io, sinceramente, non so che dire… - Non deve preoccuparsi di niente: risolveremo il suo problema in pochi minuti.. Intanto, visto che è l’ora del caffè, spero vorrà gradirne uno anche lei. - Lei è molto gentile, Dottore, la ringrazio, ma… non vorrei crearle disturbo… - Ma che, scherza?... Nessun disturbo, è un piacere!

Mentre il direttore citofonava alla segretaria per ordinarle i caffè, il povero Giuseppe cominciò a navigare in un mare di pensieri. Gli sembrava strano, anzi stranissimo, ciò che gli stava accadendo... Che diamine di amico gli era capitato? Possibile che un operaio come lui avesse tanta influenza in quella Banca, anche se il direttore era amico di famiglia?... E se fosse solo uno scherzo?... Ma ormai era lì, non restava che affidarsi alla buona sorte. La voce del direttore lo scosse dai suoi pensieri. - Signor Maroni, ha con sé qualche documento di riconoscimento?... Basta la carta di identità o il passaporto e il codice fiscale. - Certo. - rispose prontamente Giuseppe - Ho con me anche altri documenti relativi alla garanzia, se le servono…

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- Ma no, si figuri… - lo interruppe - c’è il nostro comune amico che ha garantito pienamente per lei. - Ah, si?... Questo non me lo aveva detto… - Stia tranquillo: è tutto già concordato! Sappia già che il tasso di interesse è particolarmente ridotto, praticato solo nella sfera dei collaboratori.

Dopo aver gustato il caffè, furono ripresi gli affari. I moduli furono riempiti in pochi minuti e sottoposti a Giuseppe per visione e firma. - Ecco, tutto pronto! - Esclamò il direttore - Come può vedere, mancano solo le cifre: la somma che le occorre, le relative rate trimestrali e il tempo di dilazione. Mi dica solo la cifra che le occorre. Giuseppe cominciava a crederci davvero, ma il suo imbarazzo era evidente. - Le confesso, Signor Maroni, - aggiunse il direttore - che il nostro illustre e caro amico mi ha autorizzato, garantendo personalmente, a venirle incontro fino ad una certa cifra, diciamo… duecentomila. Possono bastare?... Non ci sono problemi, dal momento che il nostro amico può disporre di garanzie non indifferenti… Le dirò, - aggiunse sottovoce - che questa Banca è sua.

Giuseppe fece uno sforzo non indifferente per uscire dal suo imbarazzo. Pensò solo che quel colpo di fortuna che sognava da tempo, a meno che non stava ancora sognandolo, era giunto, anche se in modo inaspettato e misterioso… D’altra parte, i colpi di fortuna arrivano sempre così. Decise di non lasciarselo sfuggire. Essendo persona onesta, però, non volle approfittare troppo di quella fortuna.

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- Io sarò eternamente grato al nostro amico per tanta sua disponibilità e fiducia nei miei confronti, ma… accipicchia, duecentomila!... Sono troppi. Per sistemare le mie cose me ne occorrono soltanto... diciamo… settantamila. Sa, devo conciliare anche con la possibilità delle mie entrate e pagare le rate con tranquillità. - Certo, certo. Ciò dimostra che è persona equilibrata ed onesta, e non mi meraviglia che il nostro amico abbia garantito per lei. Ma è sicuro che settantamila le bastino? Facciamo centomila così potrà stare più tranquillo. Che ne dice? - Si, certo starei più tranquillo, è vero, ma dovremmo allungare il tempo di restituzione… - Nessun problema. - Allora va benissimo!

Solo qualche minuto e fu pronto anche l’assegno. Una serie di firme, dopo aver controllato le cifre riportate, e il direttore gli consegnò l’assegno unitamente alla copia del contratto stipulato. - Non dimenticherò mai la sua cordialità, Dottor Nardini - ringraziò Giuseppe - e, prima di ritornare in Calabria, avrò il piacere e l’onore di ringraziare personalmente il nostro comune amico. - E’ stato un piacere, signor Maroni. Le auguro una buona permanenza a Milano. Una stretta di mano e Giuseppe andò via.

Quando fu fuori dalla Banca, dirigendosi a piedi verso la stazione della metropolitana, si fermò spesso a guardarsi l’assegno e il contratto. Tutto regolare, tutto vero! Con la metà di quella somma avrebbe realizzato il suo progetto, con l’altra metà, che

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Siamo fatti così… L’amico comune

avrebbe depositato in una Banca della sua città, oltre a procurarsi un po’ di interessi, avrebbe potuto consentire una tranquillità economica ed una serenità per sé e per la sua famiglia. Alla fine, ce l’aveva fatta! Restava, comunque, curioso e adombrato di mistero il modo in cui gli era giunto questo aiuto. Non riusciva a spiegarsi come un collega di lavoro, operaio come lui, amico da meno di un mese, avesse così rilevante influenza in quella Banca… Addirittura, dalla confidenza del direttore, quella Banca era sua… Non riusciva a raccapezzarsi. Lo avrebbe rivisto il mattino seguente e lo avrebbe ringraziato di cuore, senza chiedergli niente di tutto quel mistero. Se aveva voluto tenerlo segreto, vuol dire che aveva le sue buone ragioni e queste andavano rispettate.

Erano passate da poco le dieci quando il telefono del Dottor Nardini squillò, lampeggiando la linea riservata. Il Direttore si affrettò a rispondere. - Si, pronto? Oh, buongiorno Cavaliere!... Si, tutto a posto. Il signor Maroni Greco è già stato qui circa un’ora fa, abbiamo risolto il suo problema ed è già andato via… No, non mi ha detto quanto si fermerà a Milano, ma ha detto che sarebbe passato da lei per ringraziarla personalmente… Ma si figuri, Cavaliere, sempre ai suoi ordini… Grazie, e buona giornata anche a lei. Appena il tempo di posare la cornetta e si vide entrare la segretaria. - Mi scusi, Dottore, ma c’è un signore che dice di avere appuntamento con lei e che viene da parte del Cavaliere. - Lo faccia pure entrare. Un attimo dopo entrò un signore di media età, elegante e di bell’aspetto.

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Siamo fatti così… L’amico comune

- Il Dottor Nardini? - Si, sono io. Si accomodi, prego. - Grazie! Mi permetta di presentarmi: sono uno stretto collaboratore del Cavaliere e faccio parte del gruppo che cura la sua sede politica in Calabria. Sono Giuseppe Maroni Greco. Mi è stato detto di presentarmi a lei alle dieci... ma non è facile muoversi comodamente, qui a Milano… Mi scuso per il ritardo, anche se leggero. Il direttore, quasi come un automa, gli strinse la mano. Cominciò a diventare pallido, a sudare e ad avere il respiro pesante. I suoi occhi si dilatarono al massimo e rischiò un colpo apoplettico. L’altro si preoccupò. - Si sente bene, Dottore?... - Si, si…, non è nulla… - il direttore inghiottì a secco - Mi scusi solo un momento… intanto si accomodi, prego. Uscì dall’ufficio ed entrò nel bagno adiacente. Aveva bisogno di riprendersi, di ritrovare la calma per poter riavere le idee chiare e trovare un modo per tirarsi fuori da quell’impiccio.

Bevve un sorso d’acqua, fece un paio di respiri lunghi e lenti, ad occhi chiusi, e cominciò a ragionarci sopra su cosa poteva fare per uscirne senza troppo danno. Avrebbe potuto annullare l’assegno, ma… il contratto? Era tutto regolare... E come avrebbe potuto giustificarsi? Che figura avrebbe fatto? E se l’altro, non volendo rinunciare al prestito, vista anche la regolarità con cui l’aveva ottenuto, e decidesse di andare per vie legali?... Sarebbe stato, comunque, uno scandalo per la Banca e sarebbe ricaduta su di lui ogni responsabilità. Conoscendo bene il Cavaliere, sapeva che avrebbe perduto il posto e non facilmente ne avrebbe trovato un altro come dirigente, almeno a Milano… Che fare, allora?

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Siamo fatti così… L’amico comune

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Non aveva molto tempo per riflettere e prese subito una decisione: per quei centomila euro avrebbe garantito lui stesso; non sarebbe stato difficile trovare una valida motivazione per la sua garanzia. Si, conveniva lasciare le cose così… In fondo, quello di prima, gli era sembrata persona onesta e questo gli procurò sollievo: quei soldi non erano persi, solo dati in prestito e ciò significava che sarebbero rientrati. Si sentì meglio e, mentalmente, si congratulò con se stesso per la lucidità e la capacità con cui era riuscito, in pochi minuti e senza danno per nessuno, a salvare capra e cavoli. Tirò un lungo respiro e rientrò nel suo ufficio, ossequioso e sorridente, pronto a risolvere le necessità del nuovo venuto.

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Siamo fatti così…

Il tiranno

Sin dalle prime origini, c’è un mestiere che l’uomo non è riuscito mai a fare bene:

quello del genitore.

Riconobbi la calligrafia: era del mio primogenito. Ciò che vi trovai scritto fu come il classico fulmine a ciel sereno. Dire che fui molto turbato è poca cosa. Lessi e rilessi, una, due, tre volte analizzando parola per parola. Mi sembrò di essere come un cieco che apre gli occhi e vede per la prima volta, ma ciò che vede gli fa desiderare di tornare ad essere cieco. Di solito non vado mai a curiosare tra le cose dei miei figli. Ho sempre avuto un certo rispetto e nutrito fiducia nei loro riguardi, per cui non mi è mai sfiorata l’idea di mettere volutamente il naso nelle loro cose personali.

Avevo notato che nella loro stanza vi erano messi libri, quaderni ed altro un po’ ovunque, alla rinfusa e, lì per lì, approfittando di un po’ di tempo libero, avevo deciso

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Siamo fatti così… Il tiranno

di dare una riordinata alla buona, e così mi era capitato nelle mani quel blocco di fogli, piegati in due e messi in un angolino, seminascosti; e fu proprio il fatto che erano stati messi lì per non essere visti che mi spinse alla curiosità di dare un’occhiata.

Ne fui letteralmente sconvolto. Improvvisamente,

tutto mi fu incredibilmente diverso. Ora si spiegava l’atteggiamento ostile di mio figlio in questi ultimi due anni… Ed io, che avevo attribuito ciò allo stress da studio, all’età, al carattere un po’ ribelle… Invece no, aveva dei motivi seri, non confidati ad alcuno tranne che alla sua penna. (continua…)

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