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Spazio, tempo, quanti
Introduzione
In un passo celebre, Einstein ha scritto:
«[Lo scienziato] accetta con riconoscenza l’analisi concettuale epistemologica; ma
le condizioni esterne, che per lui sono date dai fatti dell’esperienza, non gli
permettono di accettare condizioni troppo restrittive, nella costruzione del suo
mondo concettuale, in base all’autorità di un sistema epistemologico. È inevitabile
quindi che appaia all’epistemologo sistematico come una specie di opportunista senza
scrupoli.
Appare come realista nella misura in cui cerca di descrivere un
mondo indipendente dagli atti di percezione, come idealista
nella misura in cui guarda ai concetti e alle teorie come libere
invenzioni dello spirito umano (non logicamente derivabili da
ciò che è empiricamente dato), come positivista nella misura in
cui considera i suoi concetti e le sue teorie giustificate soltanto in
quanto forniscono una rappresentazione logica delle relazioni
tra esperienze sensoriali. Egli può anche apparire platonista o
pitagoreo nella misura in cui considera il punto di vista della
semplicità logica come un indispensabile ed efficace strumento
di ricerca.»
Einstein, Autobiografia scientifica 1979, pp. 227-228
Ma…
Commetterebbe un grave errore chi fosse indotto a derivare da
affermazioni come queste l’idea che Einstein abbia messo in atto
una posizione in qualche modo strumentale nell’analisi delle
suggestioni filosofiche che il suo lavoro sollevava.
In stretta analogia con lo sviluppo della sua attività strettamente
scientifica, anche l’impianto filosofico ed epistemologico
einsteiniano è ispirato a una forte unità di fondo, che si
manifesta in forme simili dai primi lavori dell’inizio del
ventesimo secolo fino ai tentativi di costruire teorie di campo
unificate che senza successo impegnarono Einstein nella parte
finale della sua vita professionale.
EINSTEIN TRA SCIENZA E FILOSOFIA: UN PROBLEMA IN 3D
Implicazioni filosofiche dell’opera scientifica di Einstein
(spazio-tempo, simmetrie, causalità,
determinismo, probabilità, leggi,
realismo scientifico ...)
Influenza della filosofia
su Einstein
Rilevanza delle riflessioni
epistemologiche di Einstein
per la filosofia della scienza
Ci soffermeremo in particolare su due dimensioni:
1) Influenza della filosofia su Einstein e modalità con cui
preoccupazioni filosofiche ed epistemologiche hanno svolto un
ruolo effettivo nello sviluppo dell’opera scientifica di Einstein
L’opera scientifica di Einstein come esempio di
effettiva integrazione scienza/filosofia
L’opera scientifica contiene un’applicazione ante litteram
di posizioni epistemologiche sviluppate esplicitamente
più tardi
2) Rilevanza delle riflessioni filosofiche ed epistemologiche di
Einstein per la filosofia della scienza del XX secolo
Verso la fine del 1944 Robert A. Thornton*, un giovane fisico
alle prese con la preparazione per il suo primo corso di fisica
da docente, scriveva ad Einstein chiedendo sostegno per la sua
ferma intenzione di introdurre “quanta più filosofia della
scienza possibile” nelle sue lezioni.
La risposta di Einstein è significativa:
*[Robert Thornton è stato il primo rettore
afro-americano di un’università USA e a lui
è dedicato l’edificio del College of Science and
Engineering della San Francisco State University]
«Concordo completamente con lei sull’importanza e il valore
educativo della metodologia, della storia e della filosofia della
scienza. [...]
Una conoscenza dello sfondo storico e filosofico fornisce
proprio quella indipendenza dai pregiudizi della propria
generazione dai quali la maggior parte degli scienziati sono
afflitti. Questa indipendenza determinata dall’analisi filosofica è – a
mio giudizio – il segno di distinzione tra un semplice artigiano o
specialista e un autentico cercatore di verità.»
Questa posizione non è propria soltanto dell’ultima parte
della carriera scientifica di Einstein. Nel 1916, in un testo
preparato in occasione della morte di Ernst Mach, scriveva
Einstein:
«Concetti che si sono dimostrati utili per ordinare le cose
acquistano una tale autorità su di noi che ci dimentichiamo la
loro origine terrena e li accettiamo come dati inalterabili. Così
essi diventano ‘necessità del pensiero’, ‘dati a priori’, ecc. Il
cammino del progresso scientifico è spesso reso impossibile
per lungo tempo proprio da questi errori.
Per questa ragione, è tutt’altro che un gioco irrilevante cercare di
diventare abili nell’analizzare i concetti che per lungo tempo sono
stati un luogo comune e mettere in evidenza quelle circostanze dalle
quali dipendono la loro giustificazione e la loro utilità, mostrando
come siano emersi individualmente, a partire dai dati
dell’esperienza.»
La filosofia è un interesse di antica data per Einstein, fin dai
tempi dell’Accademia Olimpia, il nome scherzoso con cui lo
stesso Einstein egli amici Conrad Habicht e Maurice Solovine
chiamavano i loro periodici ritrovi tra il 1902 e il 1904,
impegnati in animate discussioni su temi di filosofia e di
scienza
Tra gli autori che certamente i
tre lessero e commentarono
(lo sappiamo dall’epistolario
Einstein-Solovine) vi erano
per esempio filosofi e
scienziati come Spinoza,
Galileo, Hume, Kant, Mill e
Mach
Ernst Mach e l’ambivalenza della sua eredità per
Einstein
In una lettera a Carl Seelig dell’8 aprile 1952, Einstein
rivela di aver letto la Meccanica nel suo sviluppo storico-critico
(1883) di Ernst Mach già nel 1897, su suggerimento del
suo amico Michele Besso
“Quel libro esercitò su di me una profonda e persistente
impressione, dovuta all’orientamento fisico che esso
mostrava nei confronti di leggi e concetti fondamentali”
Titolare della prima cattedra di Storia e teoria delle scienze
induttive presso l’Università di Vienna tra il 1895 e il 1901,
Ernst Mach ha occupato una posizione importante nel
panorama scientifico e filosofico europeo tra la fine dell’800
e l’inizio del ‘900
L’epistemologia di Mach, influenzata tra l’altro dalle
suggestioni dell’allora giovane teoria darwiniana, è
caratterizzata da un empirismo radicale, che avrebbe lo
scopo di guidare la costruzione e la valutazione delle teorie
scientifiche e che nel pensiero machiano si carica di una
potente spinta anti-metafisica
Mach E., Popular Scientific Lectures, Open Court,
La Salle, Illinois 1942
“la fisica è esperienza, disposta in un ordine economico”
e il suo scopo è
“la più semplice e la più economica espressione astratta
dei fatti”
L’influenza di Mach su Einstein a proposito del radicamento operativo di alcuni
concetti fondamentali dell’analisi fisica è importante
«Per descrivere il moto di un punto materiale si danno i valori delle coordinate in
funzione del tempo. Si tenga presente che una tale descrizione matematica non
ha significato fisico se prima non si è chiarito che cosa si intende per «tempo»
Einstein 1905
Ancora nell’Esposizione divulgativa, il punto è riformulato in questi termini:
«Ci imbattiamo nella stessa difficoltà in tutti gli enunciati fisici ove entra in gioco
il concetto di simultaneità. Questo concetto non esiste per il fisico fino a quando
egli non ha la possibilità di scoprire nel caso concreto se esso risulti fondato
oppure no»
Einstein 1917
Per molti altri aspetti, tuttavia, Einstein è lontano da Mach dal punto di
vista epistemologico
Il 6 aprile del 1922 si svolge presso la Societé Française de Philosophie un
incontro sulla teoria della relatività, aperta a fisici, filosofi e
matematici: erano presenti personaggi come Hadamard, Becquerel,
Perrin, Cartan, Bergson, Meyerson
A una sollecitazione di Meyerson circa la sua maggiore o minore
distanza dalle tesi di Mach, Einstein risponde:
«Non mi sembra che ci sia dal punto di vista logico una grande
relazione tra la teoria della relatività e la teoria di Mach. Per Mach,
ci sono due punti da distinguere: da un lato ci sono i dati immediati
dell’esperienza, cose che non possiamo toccare; dall’altro ci sono i
concetti che possiamo modificare. Il sistema di Mach studia le
relazioni esistenti tra i dati dell’esperienza; per Mach la scienza è la
totalità di queste relazioni. Questo punto di vista è sbagliato e, in realtà,
ciò che ha fatto Mach è un catalogo, non un sistema. Nella misura in cui
Mach è stato un importante studioso di meccanica, è stato anche un
deplorevole filosofo. La sua visione della scienza, secondo cui essa ha
a che fare con dati immediati, lo ha portato a rifiutare l’esistenza
degli atomi.»
Einstein 1923
E nell’Autobiografia scientifica Einstein scrive:
«Oggi riconosco la grandezza di Mach nel suo scetticismo incorruttibile e
nella sua indipendenza; ma negli anni giovanili rimasi influenzato molto
profondamente anche dalla sua posizione epistemologica, che oggi mi
sembra sostanzialmente insostenibile. Infatti egli non mise nella giusta luce la
componente essenzialmente costruttiva e speculativa del pensiero e più
particolarmente del pensiero scientifico; condannò quindi la teoria proprio in
quei punti in cui il suo carattere costruttivo-speculativo appare manifesto,
come ad esempio nella teoria cinetica dell’atomo.»
Lo storico della scienza I.B. Cohen, commentando l’ultima
intervista di Einstein, rilasciata allo stesso Cohen nell’aprile
del 1955 e pubblicata su Scientific American pochi mesi dopo,
scrisse che Einstein ribadì di aver sempre creduto
“che l’invenzione di concetti scientifici e l’edificazione di
teorie basate su di essi fosse una delle grandi proprietà
creative della mente umana. La sua visione era perciò
contrapposta a quella di Mach, poiché Mach assumeva che
le leggi della scienza fossero soltanto un modo economico di
descrivere una grande collezione di fatti.”
L’azione della riflessione filosofica sul lavoro
relativistico di Einstein del 1905
Di fatto, nei primi due decenni del ‘900 la natura e le
implicazioni della teoria della relatività speciale, proposta per
la prima volta nel lavoro del 1905 Sull’elettrodinamica dei corpi
in movimento, vengono attivamente discusse da Einstein con i
principali filosofi della scienza dell’epoca
Un esempio particolarmente importante in questo senso è il
dialogo di Einstein con Moritz Schlick, filosofo della scienza che
diventerà uno dei principali esponenti del c.d. Wiener Kreis (Circolo
di Vienna), cioè il nucleo originario dell’empirismo logico.
Nel 1915, infatti, Schlick aveva inviato ad Einstein un suo saggio
filosofico intitolato Il significato filosofico del principio di relatività.
Nella sua lettera di risposta, datata 14 dicembre 1915, Einstein
non soltanto manifesta la sua decisa approvazione («è tra i migliori
saggi che siano stati scritti finora sulla relatività»), ma sottolinea
esplicitamente l’impressione che la lettura di Hume aveva esercitato
su di lui:
«La sua esposizione è corretta quando dice che il positivismo ha
suggerito la teoria della relatività, senza richiederla espressamente.
Lei ha anche correttamente compreso che questa linea di
pensiero ha avuto una grande influenza sul mio pensiero: Mach,
certo, ma ancora di più Hume, il cui trattato sull’intelletto ho
studiato con interesse e ammirazione poco prima di formulare la
teoria della relatività.
È perfettamente possibile pensare che senza questi studi
filosofici non sarei arrivato alla soluzione.» (Einstein 1915).
In un passo tratto dall’Autobiografia scientifica (reperibile in Albert
Einstein, Opere scelte, Bollati Boringhieri 1988), Einstein metteva in
evidenza la matrice humiana della sua visione del rapporto tra
teoria ed esperienza:
«Hume vide chiaramente che alcuni concetti, come ad
esempio quello di causalità, non si possono dedurre con
metodi logici dai dati dell’esperienza» (Einstein 1988, p.
66).
Questa influenza viene poi documentata esplicitamente dallo
stesso Einstein in un passaggio successivo dell’Autobiografia
scientifica del 1949, relativo all’articolo del 1905 Elettrodinamica dei
corpi in movimento.
Riguardo a quel lavoro, Einstein ricorda
(1) che «l’assioma del carattere assoluto del tempo» è
un’assunzione «arbitraria», cioè di per sé un’assunzione
ipotetica e non deducibile logicamente dai fatti,
(2) che “il tipo di ragionamento critico necessario per la
scoperta di questo punto essenziale mi fu reso enormemente
più facile dalla lettura degli scritti filosofici di David Hume e
di Ernst Mach” (Einstein 1988, p. 86).
In che senso esattamente?
Nel lavoro del 1905 si mostra che i postulati
1) Indipendenza delle leggi dalla scelta del sistema di riferimento
(inerziale) – Principio di relatività
2) Costanza della velocità della luce
apparentemente in tensione tra loro, sono perfettamente
compatibili se si rimpiazzano le trasformazioni di Galilei (TG)
con le trasformazioni di Lorentz (TL)
Nelle trasformazioni di Galileo era
infatti assunta l’idea dell’uniformità
dello scorrere del tempo:
secondo queste trasformazioni, se S e S’
sono due sistemi di riferimento inerziali
(ciascuno con la propria variabile
temporale t e t’), si pone
t = t’
cioè un osservatore in S misura il tempo
t esattamente come un osservatore in S’
misura il tempo t’
La scoperta che esiste una velocità c (la velocità della luce nel
vuoto) che è invariante in ogni sistema di riferimento, implica però la
rinuncia alla validità delle trasformazioni di Galileo per i fenomeni
elettromagnetici: infatti
se c è costante in ogni sistema di riferimento inerziale S,
allora il suo valore sarà ancora c anche in un sistema di riferimento
S’ che si muova con velocità v rispetto a S
dunque
non vale l’addizione delle velocità che è una conseguenza delle
trasformazioni di Galileo.
Questo fatto empirico implica quindi anche la rinuncia all’idea che
il tempo scorra uniformemente in tutti i sistemi di riferimento
inerziali.
La formulazione della teoria della relatività speciale presuppone
dunque l’ipotesi che l’adozione delle TG non sia una necessità
‘imposta’ dai fatti di esperienza, ma soltanto un’ipotesi teorica
adatta a descrivere soltanto alcune classi di fenomeni (nel nostro
caso, fenomeni ‘a bassa velocità’).
Ecco l’influenza di David Hume: la negazione di ogni necessità nel
rapporto tra teoria ed esperienza!
La formulazione della teoria della relatività «speciale» è dunque
una dimostrazione concreta di come Einstein, anche prima di
teorizzarlo in forma filosofica, applica la sua idea di pensiero
scientifico come libera creazione, suggerita ma non imposta dai
fatti empirici.
Filosofia in azione: l’epistemologia di Einstein
Questa tesi sulla natura del pensiero scientifico, che ha svolto un
ruolo ‘operativo’ e implicito fin dagli inizi della carriera scientifica
di Einstein, è stata successivamente alla base di un certo numero di
articoli di carattere esplicitamente filosofico ed epistemologico,
come
La ricerca scientifica, 1918
Induzione e deduzione nella fisica, 1919
Cos’è la teoria della relatività, 1919
Fisica e realtà, 1936
oltre a numerose lettere (in particolare quelle a Maurice Solovine,
ai coniugi Born e a Michele Besso)
Abbiamo ricordato che fin da La ricerca scientifica (1918) Einstein
aveva sostenuto che l’intuizione è in qualche modo ‘libera’ di
scegliere gli assiomi di una teoria fisica.
Ma in che senso?
Nel lavoro Fisica e realtà (1936) Einstein si sofferma sul problema
in modo suggestivo:
«La libertà di scelta, tuttavia, è di un tipo particolare: non è affatto
simile alla libertà di uno scrittore di romanzi. Essa è piuttosto simile
a quella di chi è impegnato nella risoluzione di un ben congegnato
cruciverba. Egli può, è vero, proporre ogni volta qualsiasi parola
come soluzione; ma ogni volta è una sola parola che dà la chiave per
risolvere il cruciverba in tutte le sue parti.
L’idea che la natura, quale risulta percepibile dai nostri cinque sensi,
abbia il carattere di un cruciverba ben congegnato è frutto di un atto
di fede: ad essa, peraltro, i successi finora ottenuti dalla scienza
danno un certo credito.»
E ancora nell’Autobiografia scientifica (1949) Einstein scrive:
«Io distinguo da una parte la totalità delle esperienze sensibili, e
dall'altra la totalità dei concetti e delle proposizioni che sono
enunciati nei libri. I rapporti interni fra i diversi concetti e
proposizioni sono di natura logica, e il compito del pensiero logico
è strettamente limitato a stabilire tutte le connessioni interne fra
concetti e proposizioni secondo regole ben definite, che sono
appunto quelle della logica.
I concetti e le proposizioni acquistano “significato”, cioè
“contenuto”, solo attraverso la loro connessione con le esperienze
sensibili.
Questa connessione è puramente intuitiva, non è essa stessa di natura
logica.»
Lettera a Solovine
7 maggio 1952
«Io vedo la cosa nel modo seguente:
1) Ci sono date le E (esperienze immediate).
2) A sono gli assiomi da cui traiamo le conclusioni. Dal punto di
vista psicologico gli A poggiano sulle E. Ma non esiste alcun percorso
logico che dalle E conduca agli A; c’è solamente una connessione intuitiva
(psicologica) e sempre “fino a nuovo ordine”.
3) Dagli A si ricavano, con procedimento deduttivo, enunciati
particolari S che possono pretendere di essere veri.
4) Gli S sono messi in relazione con le E (verifica per mezzo
dell’esperienza).»
Questi brevi cenni permettono comunque di evidenziare quello
che certamente è per Einstein il problema epistemologico
cruciale:
la relazione complessa TEORIA/ESPERIENZA
[cfr. G. Holton, «Il modello di Einstein per la costruzione di una teoria
scientifica», in Einstein e la cultura scientifica del XX secolo, Il Mulino 1991]
In questo senso, la riflessione filosofica ed epistemologica di Einstein anticipa in
qualche senso – sia pure in una modalità fortemente integrata con il concreto lavoro
scientifico – la svolta della filosofia della scienza nella seconda metà del XX secolo,
legata a figure come Thomas S. Kuhn e Willard v. O. Quine e concentrata proprio
su una nuova lettura della relazione Teoria/Esperienza.
IMPORTANTE!
The Collected Papers of Albert Einstein
sono disponibili liberamente online,
grazie all’opera congiunta dell’Einstein
Papers Project (California Institute of
Technology, USA) e degli Albert Einstein
Archives (Università di Gerusalemme)
http://einsteinpapers.press.princeton.edu/
Preludio
Il mondo quantistico
e il problema delle sue interpretazioni
Le implicazioni della meccanica quantistica su un’immagine scientifica
del mondo naturale sono così profonde da indurre a difendere una vera
e propria concezione quantistica del mondo: si tratta di un’espressione densa
di questioni concettuali, oltre che con una lunga storia alle spalle (ma
vedi per esempio il numero di Frontiers in Physics di novembre 2017,
curato da E. Haven e A. Krennikov, intitolato Applications of quantum
mechanical techniques to areas outside of quantum mechanics, relativo a temi
di psicologia, economia, teoria delle decisioni, ecc.)
Nel contesto storico, teorico ed epistemologico delle origini della
meccanica quantistica, infatti, l’ipotesi che un ‘mondo quantistico’
esistesse non era un’ipotesi innocua!
C’è stato un tempo in cui non è mancato chi ha sostenuto tesi
scettiche sull’esistenza stessa di un ‘mondo’ quantistico quando non si
compiono osservazioni e misure! (cfr. il racconto di Pais in Sottile è il
Signore… sulla domanda di Einstein: «Lei crede che la Luna ci sia
quando nessuno la guarda?»)
Nasce così il problema dell’interpretazione della meccanica quantistica:
questo problema interpretativo interferisce in modo rilevante con la
fisica stessa e con un’intensità inusuale rispetto alle altre teorie fisiche
fondamentali.
Con la meccanica quantistica assistiamo a un
fenomeno raro, se non unico, nella storia della
fisica:
una forte divergenza tra l’efficacia sperimentale,
predittiva e applicativa della teoria da una parte
e l’interpretazione concettuale dall’altra.
Secondo una tradizione storica che ha visto lunghe e accese discussioni,
la meccanica quantistica è infatti la teoria fisica che – diversamente da
qualsiasi altra (inclusa la relatività) – sembra mettere in crisi non soltanto
un’ampia classe di spiegazioni cui la meccanica e l’elettromagnetismo
classici ci avevano abituato, ma anche per certi aspetti le CATEGORIE
RAZIONALI STESSE con cui il pensiero scientifico moderno aveva
analizzato il mondo fisico fino alle soglie del XX secolo.
Negli anni che hanno visto lo sviluppo del
nucleo fondamentale della teoria – dalle ipotesi di
Planck del 1900 fino alla formulazione
matematicamente rigorosa di von Neumann del 1932
– numerosi tra i protagonisti della rivoluzione quantistica hanno
contribuito al dibattito sulle implicazioni filosofiche ed epistemologiche
della meccanica quantistica, un dibattito ricco di
suggestioni e di posizioni diverse.
L’espressione interpretazione di Copenhagen (così
chiamata in omaggio al luogo di insegnamento e di
ricerca di Niels Bohr) – che indica solitamente
l’interpretazione standard della teoria consolidatasi
dagli anni Trenta in poi – è di fatto l’erede di una
collezione (non del tutto coerente!) di idee molto diverse tra loro e non
rende giustizia al pluralismo teorico di quegli anni, intensi sia
scientificamente sia filosoficamente.
La ricchezza concettuale di quegli anni si è successivamente
cristallizzata in una rappresentazione della teoria – diffusa tanto tra i
divulgatori quanto tra numerosi scienziati – che in sé conserva ben
poco di quella ricchezza!
Una delle vittime privilegiate di questa forma di ortodossia è proprio
Albert Einstein
Un esempio efficace (ma ce ne sono
numerosissimi!) è tratto da un articolo
intitolato nientemeno che The Role of
Philosophy in Physics, comparso in rete su
www.forbes.com nel maggio del 2015 a
opera del fisico Chad Orzel, professore
presso il Dipartimento di Fisica e
Astronomia dello Union College (USA) e
autore dell’imperdibile volume La fisica
spiegata al mio cane...
“Einstein è un caso interessante, perché la seconda parte della sua
carriera indica una debolezza dell’approccio filosofico alla fisica.
Mentre Einstein ha svolto un ruolo essenziale nell’avviare la
meccanica quantistica, in seguito egli respinse la teoria a causa di
controversie filosofiche.
[...] FALSO!
La reazione di Einstein nei confronti della meccanica quantistica era
in gran parte una sorta di insoddisfazione – le predizioni quantistiche
offendevano un’intuizione dura da definire su come il mondo
‘dovrebbe’ funzionare, ma non riuscì mai a formulare una solida
alternativa.”
“C’è una certa ironia in questa circostanza, naturalmente, perché pionieri della meccanica quantistica come Bohr e Heisenberg ritennero (con qualche giustificazione) che essi stavano seguendo lo stesso percorso seguito da Einstein con il suo lavoro sulla relatività. La loro insistenza sull’impossibilità di parlare sensatamente di una realtà che andasse al di là dei risultati di misura è, in un certo senso, un’estensione dell’osservazione di Einstein secondo cui parlare di eventi simultanei non ha senso se non spiega prima come si potrebbe determinare la simultaneità.*
[...]
Heisenberg e Bohr non compresero mai la divergenza
di Einstein dalla loro posizione e, ad essere onesti,
non è del tutto chiaro che egli avesse una giustificazione
filosofica meditata per questo.” (!)
* Questa pretesa ‘estensione’ è stata
negata pubblicamente da Einstein in
numerose occasioni
....PARLIAMO SERIAMENTE («as simple as possible, but not simpler»)
Gli enigmi della meccanica quantistica che emergono quando ci si interroga
sulla ‘concezione quantistica del mondo’ dipendono in modo essenziale dal
formalismo della teoria.
Un formalismo elegante e matematicamente potente, elaborato in forma
compiuta per la prima volta nel libro di J. von Neumann Die Mathematische
Grundlagen der Quantenmechanik (1932), che include in sé aspetti che si
riveleranno problematici dal punto di vista epistemologico e fondazionale.
È dunque necessario soffermarsi brevemente su questo aspetto: non occorrerà
essere particolarmente sofisticati perché i problemi nascono proprio alla
sorgente di questo formalismo.
Il testo di von Neumann del 1932 porta prima di tutto a termine un’importante processo di unificazione tra
(i) l’approccio di Born, Heisenberg, (ii) l’approccio di Schrödinger,
Jordan e altri, fondato sul formalismo fondato sul formalismo delle funzioni
delle matrici d’onda y
Fatto formale di grande interesse
per A, B matrici per A, B operatori su y
AB BA AB BA
Presupposti epistemologici significativi nel caso di Heisenberg: il superamento dei
modelli classici doveva comportare la rinuncia a qualsiasi requisito di
visualizzabilità e la teoria doveva limitarsi a quantità osservabili (nel caso delle matrici
di Heisenberg, frequenze e probabilità di transizione tra diversi livelli energetici)
«[Heisenberg] cut the Gordian Knot by means of a philosophical principle and
replaced guess-work by a mathematical rule. The principle states that concepts and
representations that do not correspond to physically observable facts are not to be used in
theoretical description. Einstein used the same principle when, in setting up his
theory of relativity, he eliminated the concepts of absolute velocity of a body and
of absolute simultaneity of two events at different places.»
M. Born, Nobel Lecture, 11 dicembre 1954
La struttura formale della teoria ha lo scopo di descrivere un certo sistema
fisico quantistico S attraverso la caratterizzazione degli stati di S
In particolare il formalismo associa al sistema S l’insieme HS dei suoi
possibili stati, chiamato lo spazio degli stati di S
Differenza fondamentale con la struttura classica, nella quale lo spazio degli
stati è lo spazio delle fasi e in cui ogni punto dello spazio codifica i valori di
posizione e velocità (cosa impossibile in MQ!)
HS è uno spazio vettoriale (spazio di Hilbert), cioè una struttura matematica
lineare i cui componenti sono vettori e possono essere sommati : se Y1 e Y2 sono
vettori, la loro somma o combinazione lineare
a Y1 + bY2
è ancora un vettore appartenente allo spazio degli stati HS (dove a e b sono
numeri complessi), definito stato di sovrapposizione degli stati Y1 e Y2; la linearità
che giustifica questo fatto è alla base delle principali questioni fondazionali
aperte nella teoria
Le quantità |𝒂|2 e |𝒃|2 soddisfano la relazione |𝒂|2 + |𝒃|2 = 1 e rappresentano
la probabilità di ottenere il risultato associato allo stato Y1 eY2 rispettivamente.
[cfr. Dirac, I princìpi della meccanica quantistica, 1930, ed. it. Bollati Boringhieri, p.
14]
Stati di sovrapposizione ed esperimenti SÌ-NO
SÌ
Sistema Apparato
NO
Stato del sistema prima della misura
1/2 Y(SÌ) + 1/2 Y(NO)
La meccanica quantistica assume che questa descrizione
dello stato del sistema S sia completa
Le probabilità | 1
2|2 = 1/2 non possono essere interpretate come misure di
‘ignoranza’ ma di effettiva ‘indeterminatezza’ !
Queste quantità denotano cioè non la probabilità che il sistema avesse una
certa proprietà Sì-No (informazione che noi, semplicemente, non eravamo
in grado di determinare per motivi contingenti), ma piuttosto la probabilità
di trovare un certo risultato qualora si esegua la relativa misura.
Interpretazione statistica dello stato quantistico:
Max Born, Zeitschrift für Physik 1926, 1927
(lavori per i quali Born ha ricevuto il Premio Nobel
nel 1954)
«Dal punto di vista della nostra meccanica quantistica non esiste alcuna
quantità che in ogni caso individuale fissa la conseguenza della collisione; ma anche
sperimentalmente non abbiamo finora alcuna ragione per credere che esistano
proprietà interne dell’atomo che condizionano un risultato definito per la collisione.
Dovremmo forse sperare di scoprire in futuro simili proprietà [...] e
determinarle in casi individuali? O dovremmo credere che l’accordo tra
teoria ed esperimento – quanto all’impossibilità di prescrivere condizioni
per un’evoluzione causale – è un’armonia prestabilita fondata sulla non
esistenza di tali condizioni? Personalmente tendo a rinunciare al
determinismo nel mondo degli atomi. Ma si tratta di una questione
filosofica per la quale gli argomenti fisici da soli sono sono decisivi.»
Max Born, 1927
«Su queste linee la meccanica quantistica è capace di ricondurre le proprietà
ondulatorie e corpuscolari della luce. Il punto essenziale sta nell’associare
ciascuno stato di traslazione di un fotone a una delle funzioni d’onda
dell’ordinaria ottica ondulatoria. La natura di questa associazione non può
essere rappresentata sulle basi della meccanica classica, ma costituisce
qualcosa di interamente nuovo. Sarebbe completamente errato raffigurarsi il
fotone e l’onda a esso associata interagenti nella maniera in cui possono
interagire nella meccanica classica particelle e onde. L’associazione può essere
interpretata solo statisticamente: la funzione d’onda ci dà informazioni sulla
probabilità che, facendo una determinazione della posizione del nostro fotone, lo si
trovi in una certa regione dello spazio.»
Dirac, I princìpi della meccanica quantistica, 1930 (ed. it. Bollati Boringhieri, p.
12)
Differenza fondamentale rispetto a una situazione ‘classica’: p. es. una scatola internamente divisa in due sezioni, ciascuna contenente una pallina di diverso colore
Supponiamo di estrarre una palla da una delle due sezioni senza guardarne il colore: lo stato della palla prima di guardare può essere descritto da un’espressione del tipo
1/2 VERDE + 1/2 ROSSA
In questo caso questa descrizione è invece considerata incompleta : lo stato della palla è comunque definito e la probabilità riflette semplicemente la nostra ignoranza!
La faccenda si complica ulteriormente nel caso di sistemi composti
Una delle principali ‘complicazioni’ emerge infatti nel trattamento
quantistico (in linea di principio) di un processo di misura, nel quale si
assume che sia il sistema sia l’apparato di misura obbediscano alle leggi della
meccanica quantistica (catena di von Neumann, amico di Wigner, gatto di
Schrödinger)
È possibile per esempio preparare un sistema in stati entangled del tipo
1/2 [YS (SÌ)YT (NO)] + 1/2 [YS (NO)YT (SÌ)]
e replicare un esperimento SI-NO per ciascuno dei due sottosistemi S e T
S T
SÌ NO
NO SÌ
Nello stato 1/2 [YS (SÌ)YT (NO)] + 1/2 [YS (NO)YT (SÌ)]
il sistema composto S T possiede proprietà bizzarre:
1) se si effettua un esperimento Sì-No su ciascuno dei sistemi S e T quando S T
è in uno stato del genere, i due sistemi risultano anticorrelati :
se S ha la proprietà-SÌ, allora T ha la proprietà-NO,
se S ha la proprietà-NO, allora T ha la proprietà-SÌ.
2) tuttavia, in uno stato del genere, prima dell’esperimento i singoli sottosistemi
non hanno singolarmente proprietà-SÌ o proprietà-NO, bensì
probabilità che S abbia la proprietà-SÌ e T abbia la proprietà-NO = 1/2
probabilità che S abbia la proprietà-NO e T abbia la proprietà-SÌ = 1/2
SÌ NO
NO SÌ
t S T
Il problema si fa ancora più serio quando:
supponiamo di separare progressivamente S e T fino a rendere i due sistemi
isolati l’uno rispetto all’altro,
eseguiamo in un tempo successivo un esperimento Sì-No su S e T
rispettivamente:
Come spiegare la proprietà di anticorrelazione?
È il problema di Einstein-Podolski-Rosen (EPR)
Einstein, la meccanica quantistica, il realismo:
i termini del problema
Ricapitoliamo!
Finora sappiamo che:
Il sistema S T al tempo t è nello stato
1/2 [YS (SÌ)YT (NO)] + 1/2 [YS (NO)YT (SÌ)]
In questo stato le probabilità per la proprietà-SÌ e la proprietà-NO sono 1/2,
ma
In un esperimento di misura le proprietà sono anti-correlate
A questo punto le opzioni sono soltanto due:
1) o sono state le procedure di misura su uno dei due sottosistemi a ‘creare’ la proprietà anti-correlata sull’altro sottosistema (NON-LOCALITÀ)
2) o NON sono state le procedure di misura su uno dei due sottosistemi a ‘creare’ la proprietà anti-correlata sull’altro sottosistema (LOCALITÀ)
EPR scelgono chiaramente la seconda opzione
Se
dunque NON sono state le procedure di misura su uno dei due sottosistemi a
‘creare’ la proprietà anti-correlata sull’altro sottosistema
allora
le proprietà anti-correlate dovevano essere già definite alla sorgente,
circostanza che la meccanica quantistica proibisce: infatti lo stato entangled
1/2 [YS (SÌ)YT (NO)] + 1/2 [YS (NO)YT (SÌ)]
è assunto come completo e assegna a quelle proprietà soltanto probabilità 1/2
Conclusione: la MQ è incompleta!
In sintesi:
la meccanica quantistica è non locale oppure è incompleta
ma
la meccanica quantistica è non locale
quindi
la meccanica quantistica è incompleta
«Mentre abbiamo in tal modo dimostrato che la funzione d’onda non fornisce una descrizione completa della realtà fisica, abbiamo lasciato aperto il problema se una descrizione siffatta esista oppure no. Noi comunque crediamo che una teoria di questo tipo sia possibile.»
EPR 1935
1964: il fisico irlandese John S. Bell dimostra che qualsiasi ‘completamento’
della meccanica quantistica deve essere comunque non locale
Ripartendo esattamente da dove EPR si erano fermati, Bell conclude dunque
proprio nel modo che «Einstein would have liked least», cioè con la
dimostrazione che il mondo quantistico è un mondo non-locale
Osservazioni conclusive (ancora intorno alle ‘leggende’):
1) L’argomento di EPR non assume la realtà delle proprietà ma la deriva a partire dalla località (e fa una bella differenza!): infatti,
se la teoria è locale
allora le proprietà di tipo SÌ-NO sono già definite alla sorgente (cioè la loro definitezza NON è un postulato)
2) Contrariamente a quanto si è a lungo sostenuto, Einstein dimostra di avere ben chiare le implicazioni della novità rappresentata dall’entanglement
Infatti
- non solo egli manifesta le sue preoccupazioni a riguardo da molti anni prima di EPR
(Cfr. D. Howard, « ‘Nicht sein kann was nicht sein darf ’: sulla preistoria di EPR, 1909-1935. Le prime preoccupazioni di Einstein sulla meccanica quantistica dei sistemi composti», in D. Howard, Anche Einstein gioca a dadi. La lunga lotta con la meccanica quantistica, Carocci 2015),
- ma addirittura dimostra in un lavoro [che poi ritirò] una sorta di teorema di Bell ante litteram !
(Cfr. D.W. Belousek, «Einstein’s 1927 Unpublished Hidden-Variable Theory: Its Background, Context and Significance», Studies in History and Philosophy of Modern Physics 27 (1996), pp. 437-461)
3) John S. Bell non dimostra che le variabili nascoste non esistono né che non
possono esistere ma dimostra invece che qualsiasi ‘completamento’ della
meccanica quantistica (con variabili nascoste o no) deve essere non locale
La tesi contraria è fondata su un fraintendimento sia dell’argomento di EPR
sia del teorema di Bell
(Cfr. F.L “Non-Local Realistic Theories and the Scope of the Bell Theorem”,
Foundations of Physics,38, 2008, pp. 1110-1132.
F.L. “The uninvited guest: ‘local realism’ and the Bell theorem” in H. De Regt, S.
Hartmann, S. Okasha (eds.), EPSA Philosophy of Science: Amsterdam 2009 , Springer
2012, pp. 137-149.
F.L. “Against the ‘no-go’ philosophy of quantum mechanics”, European Journal for
Philosophy of Science 4 (2014), pp. 1-17)