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8 - Avventure nel mondo 2 | 2014 01 RACCONTI DI VIAGGIO | Etiopia L ’Africa lascia il segno, una volta che ci vai non puoi più farne a meno, devi tornarci. Quest’anno la voglia di Africa si è tradotta in un viaggio particolare, lungo la Rift Valley, fra le tribù che vivono ai bordi dell’OMO River, a Sud dell’Etiopia. Arriviamo con l’aereo a Addis Abeba, la capitale, situata su un altopiano di 2300 metri; le strade principali sono in rifacimento, stanno costruendo un metrò leggero, la gente, tranquilla, cammina con naturalezza lungo queste strade tra camion e sassi. Partiamo con tre jeep verso Sud, il tempo è bello, la temperatura piacevole sui 20 gradi (se penso che a casa mia è sottozero!). Prima tappa Adadi Maryam, una chiesa Copta scavata in un’enorme pietra infossata; alcune donne pregano rannicchiate per terra lungo i piccoli corridoi interni, sono avvolte nei loro scialli di tela bianca, arrotolate come bozzoli; al centro della struttura ci sono due saloncini dove la gente si raduna intorno al prete durante le funzioni, è tutto semplice ed essenziale. Altre donne stanno arrivando, scendono a fatica gli alti gradini delle scale esterne scavate nella pietra e si siedono a terra a pregare, il culto di Maryam è molto sentito. Nel giardino esterno alcuni bimbi hanno organizzato un piccolo teatrino subito fuori dalla cancellata d’ingresso, sono piccoli ma ben organizzati, cantano e ballano, l’obiettivo è quello di raccogliere un po’ di soldi. Ripartiamo alla volta di Tiya dove visitiamo un interessante sito di stele funerarie, poi ci fermiamo a Butajira, sul lago Ziway, a 1846 mt di altezza, per fare uno spuntino e passeggiare sulle rive del lago tra pescatori che sfilettano il pescato e marabù, pellicani e ibis che si disputano gli avanzi. Il nostro viaggio continua sulla strada che attraversa campi di tef, è il periodo del raccolto; Derege, il nostro capo driver, comincia a raccontarci qualcosa della vita degli etiopi e impariamo quanto è importante questo cereale per loro perchè con il tef si prepara l’injera, una piadina grande e spugnosa che viene utilizzata come pane, alimento base nella dieta quotidiana. I campi sono pieni di persone al lavoro e di asinelli caricati al limite della sopportabilità, tutti poi si riversano sulla strada, per la maggior parte sterrata, che ci porta fino al Lago Langano dove assistiamo al nostro primo tramonto africano: i colori sono tenui, azzurro e rosa si mischiano all’orizzonte con l’acqua del lago ed è subito buio. Prendiamo possesso dei nostri accoglienti bungalows in cima al promontorio e ceniamo al ristorante in riva al lago, pesce o carne con riso e verdure; nell’assoluto silenzio che ci circonda si odono i grilli cantare, l’aria è piacevolmente calda, le stelle brillano nel cielo nero senza Luna, è un peccato andare a dormire, per cui decidiamo di festeggiare il compleanno di Piero intaccando i viveri portati dall’Italia per il Capodanno. La mattina seguente sveglia alle 6,00, colazione e partenza; percorriamo una strada sterrata per un paio d’ore e arriviamo sul Lago Awasa. Sul piazzale in riva al lago c’è tanta gente che si reca alle piccole barche ormeggiate, qui alcuni uomini riempiono le ceste con la parte di pesce da portare al mercato ufficiale, in un grande magazzino vicino, quello che avanza lo possono vendere lì al mercato nero. Le trattative sono piuttosto vivaci, ognuno vuole far valere le proprie ragioni urlando ma tutto finisce bene, un paio di pesci se ne vanno con il compratore e gli altri restano nel fondo della barca mentre i pescatori rimettono in ordine le reti. Intorno girano i grossi marabù che approfittano di ogni attimo di distrazione per arraffare qualche avanzo. Tutto intorno al piazzale ci sono delle baracche dove si friggono pesci che la gente si può fermare a mangiare, dietro al mercato coperto c’è anche un circolo dove servono il sushi ma per noi è impossibile assaggiare qualcosa, sono solo le 10 di mattina! Donna Borana Sulle tracce dell'OMO Da un OMO RIVER SOFT gruppo Bondioni Testo e foto di Angela Bondioni

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8 - Avventure nel mondo 2 | 2014

01

RACCONTI DI VIAGGIO | EtiopiaRACCONTI DI VIAGGIO | Etiopia

L’Africa lascia il segno, una volta che ci vai non puoi più farne a meno, devi tornarci.Quest’anno la voglia di Africa si è tradotta in

un viaggio particolare, lungo la Rift Valley, fra le tribù che vivono ai bordi dell’OMO River, a Sud dell’Etiopia.Arriviamo con l’aereo a Addis Abeba, la capitale, situata su un altopiano di 2300 metri; le strade principali sono in rifacimento, stanno costruendo un metrò leggero, la gente, tranquilla, cammina con naturalezza lungo queste strade tra camion e sassi. Partiamo con tre jeep verso Sud, il tempo è bello, la temperatura piacevole sui 20 gradi (se penso che a casa mia è sottozero!).Prima tappa Adadi Maryam, una chiesa Copta scavata in un’enorme pietra infossata; alcune donne pregano rannicchiate per terra lungo i piccoli corridoi interni, sono avvolte nei loro scialli di tela bianca, arrotolate come bozzoli; al centro della struttura ci sono due saloncini dove la gente si raduna intorno al prete durante le funzioni, è tutto semplice ed essenziale. Altre donne stanno arrivando, scendono a fatica gli alti gradini delle scale esterne scavate nella pietra e si siedono a terra a pregare, il culto di Maryam è molto sentito.Nel giardino esterno alcuni bimbi hanno organizzato un piccolo teatrino subito fuori dalla cancellata d’ingresso, sono piccoli ma ben organizzati, cantano e ballano, l’obiettivo è quello di raccogliere un po’ di soldi.Ripartiamo alla volta di Tiya dove visitiamo un interessante sito di stele funerarie, poi ci fermiamo a Butajira, sul lago Ziway, a 1846 mt di altezza, per fare uno spuntino e passeggiare sulle rive del lago tra pescatori che sfilettano il pescato e marabù, pellicani e ibis che si disputano gli avanzi.Il nostro viaggio continua sulla strada che attraversa campi di tef, è il periodo del raccolto; Derege, il nostro capo driver, comincia a raccontarci qualcosa della vita degli etiopi e

impariamo quanto è importante questo cereale per loro perchè con il tef si prepara l’injera, una piadina grande e spugnosa che viene utilizzata come pane, alimento base nella dieta quotidiana.I campi sono pieni di persone al lavoro e di asinelli caricati al limite della sopportabilità, tutti poi si riversano sulla strada, per la maggior parte sterrata, che ci porta fino al Lago Langano dove assistiamo al nostro primo tramonto africano: i colori sono tenui, azzurro e rosa si mischiano all’orizzonte con l’acqua del lago ed è subito buio.Prendiamo possesso dei nostri accoglienti bungalows in cima al promontorio e ceniamo al ristorante in riva al lago, pesce o carne con riso e verdure; nell’assoluto silenzio che ci circonda si odono i grilli cantare, l’aria è piacevolmente calda, le stelle brillano nel cielo nero senza Luna, è un peccato andare a dormire, per cui decidiamo di festeggiare il compleanno di Piero intaccando i viveri portati dall’Italia per il Capodanno.La mattina seguente sveglia alle 6,00, colazione e partenza; percorriamo una strada sterrata per un paio d’ore e arriviamo sul Lago Awasa. Sul piazzale in riva al lago c’è tanta gente che si reca alle piccole barche ormeggiate, qui alcuni uomini riempiono le ceste con la parte di pesce da portare al mercato ufficiale, in un grande magazzino vicino, quello che avanza lo possono vendere lì al mercato nero. Le trattative sono piuttosto vivaci, ognuno vuole far valere le proprie ragioni urlando ma tutto finisce bene, un paio di pesci se ne vanno con il compratore e gli altri restano nel fondo della barca mentre i pescatori rimettono in ordine le reti. Intorno girano i grossi marabù che approfittano di ogni attimo di distrazione per arraffare qualche avanzo. Tutto intorno al piazzale ci sono delle baracche dove si friggono pesci che la gente si può fermare a mangiare, dietro al mercato coperto c’è anche un circolo dove servono il sushi ma per noi è impossibile assaggiare qualcosa, sono solo le 10 di mattina!

Donna Borana

Sulle traccedell'OMO

Da un OMO RIVER SOFTgruppo BondioniTesto e foto di Angela Bondioni

Avventure nel mondo 2 | 2014 - 9

01

Riprendiamo il cammino e attraversiamo coltivazioni di caffè, ananas, falsi banani (enset); ci fermiamo a Sidama, un piccolissimo villaggio, visitiamo le capanne di paglia, parliamo con i contadini, ci mostrano i loro campi coltivati, sono meravigliati del nostro interesse per le loro piccole attività. Continuiamo a salire in quota e arriviamo a Tutu Fella, dove ci sono antichissime stele funerarie di forma fallica; sono tante, molto ravvicinate, in un campetto cintato in cima alla collina. Per arrivarci percorriamo un sentiero che attraversa alcuni villaggi, mano a mano che passiamo si aggiunge a noi un codazzo di bimbi di tutte le età, alcuni camminano appena, altri sono già grandini, i capetti, ma tutti hanno imparato ad allungare la mano e a chiedere “money”. Quando ce ne andiamo dal sito è già pomeriggio, la strada per Yabelo è tremenda, tutta buche, la jeep N^ 3 buca una gomma e perdiamo un’oretta, intanto viene buio, siamo al Lodge alle 21,00, piuttosto stanchi ma questa sera è il 31 Dicembre e vogliamo festeggiare il capodanno. Ci facciamo mettere in giardino con un grande tavolo sotto gli alberi, lì possiamo mangiare con tranquillità e restare a far festa fin tardi: panettone, torrone e champagne, auguri! Gli autisti sono stanchi e vanno a dormire presto, loro non festeggiano il capodanno. Il 1^ Gennaio ci alziamo sempre presto, manca la corrente e non fanno nemmeno il caffè ma non ha importanza, lo prenderemo strada facendo; alle 9,00 siamo a El Sod, sul bordo del cono del vulcano. Ci corrono incontro adulti e bambini, l’autista tratta il compenso con una guida che ci accompagna in fondo al cratere dove c’è un piccolo lago nero. Qui un ragazzo si tuffa e torna a riva con un grosso blocco di sale nero, lo estraggono e lo commerciano, lo portano su in paese con dei piccoli asinelli, è buono per gli animali. La salita risulta più faticosa, il sole picchia sulla testa e per arrivare alle jeep ci vuole più tempo, ovviamente all’arrivo ognuno di noi deve dare una mancia extra ai bambini che lo hanno scortato nell’arrampicata, pena lo sfinimento.Via di lì andiamo ai pozzi cantanti, un buco nella terra in mezzo al nulla, ci si arriva da una stradina, in fondo si sente cantare, sono i ragazzi che portano l’acqua dal pozzo fin su in superfice, cantando si danno il giusto ritmo, è una piccola catena umana che solleva l’acqua in taniche di plastica gialla tagliate a metà, l’ultimo la versa nel grande abbeveratoio vicino a noi. A turno le mandrie di mucche, capre e pecore arrivano di corsa per bere, dobbiamo fare attenzione a non essere travolti; l’acqua fresca e limpida viene bevuta con avidità sia dagli animali che dai pastori.Questa è la zona della Tribù Borana, dedita alla pastorizia, c’è pochissima agricoltura perché c’è poca acqua, la stagione delle piogge va da Maggio ad Agosto, negli altri mesi quasi niente; quando scavano un pozzo se va bene dura 2/3 anni, poi si secca. Nel pomeriggio si va verso Konso, il panorama cambia, le montagne sono aride, solo qualche coltivazione in fondo alla valle, dove un rigagnolo d’acqua dà la possibilità di irrigare; sulle montagne si cominciano a vedere gli alberi

a bottiglia, piccoli e grandi, con i loro coloratissimi fiori rosa. Ci fermiamo per fotografarli e dal nulla appaiono alcuni bambini con degli adulti, i colori delle vesti sono cambiati, qui sono più vivaci ma sempre estremamente poveri; abbiamo della frutta comperata la mattina, ananas e avocado, glieli diamo ma la signora li guarda esterrefatta, scruta l’ananas e non sa cosa farsene, cerco di spiegarle che per mangiarlo bisogna tagliarlo e togliere la buccia ma lei è diffidente, credo sia la prima volta che ne vede uno e, dall’espressione che fa, capisco che non lo mangerà mai.Arriviamo a Konso per cena, nel bel Kanta Lodge, cena a buffet e caffè tradizionale, servito in terrazza con le erbe profumate e l’incenso che ne esalta l’aroma; si sta benissimo, l’aria è calda e profumata, direi che come primo giorno dell’anno è perfetto. La mattina del 2 Gennaio andiamo a Gesergio, qui chiamato anche New York, dove ci sono delle formazioni rocciose di colore rosa/arancio che ricordano tanti grattacieli, poi a Gamore visitiamo un villaggio della tribù Konso. Il villaggio appare ben strutturato, con sentieri che si snodano tra le palizzate di recinzione delle capanne, ogni tanto c’è un piccolo varco da cui si accede al cortiletto delle varie abitazioni di paglia rotonde, con un alto palo centrale che le sostiene. Ne visitiamo una all’interno sul pavimento di terra battuta non c’è niente, solo qualche straccio in un angolo e due pietre dall’altra parte in mezzo alle quali si accende un piccolo fuoco per cucinare. Una vecchia signora sta filando la lana e un uomo ci mostra come la si lavora con un piccolo telaio. Nel cortiletto c’è anche un piccolo spazio dove seppelliscono i morti, si può riconoscere perché sopra, in segno di omaggio, ci sono dei totem, Waga, intagliati nel legno; in un altro angolo ci sono delle piccole capanne rialzate un metro da terra, sono le stie dove si rinchiudono i polli. Tornando verso le nostre jeep incontriamo un gruppo al lavoro, stanno costruendo una nuova grande capanna, donne e bambini contribuiscono portando fasci di paglia sulla testa mentre gli uomini piantano i pali di sostegno; più avanti altri uomini stanno scavando una grande fossa che servirà da latrina per il villaggio, è molto profonda, 15 metri, e dovrà essere sufficiente per molti anni. Vicino alle nostre jeep c’è un piccolo market, alcuni bambini vendono ricordini intagliati nel legno, si sono ingegnati molto, vendono cosine originali e graziose: piccole TV dove all’interno ci sono immagini della vita della tribù, statuette di uomini e donne Konso stilizzate ecc., bravi!Riprendiamo la strada che ci porta al Sud, scendiamo verso le pianure, attraversiamo campi di cotone, fa sempre più caldo; alle 12 siamo a Key Afar, importante città dove oggi si tiene un grande mercato. Ci dirigiamo al piazzale dove si radunano tutti per vendere/scambiare le merci e cominciamo a vedere persone agghindate in vario modo, la guida ferma qualche signora per mostrarci i vari tipi di abbigliamento e la differenza tra una donna Banna che porta una gonna di capra a rettangolo con bastoncino sulla parte posteriore e una donna

Xamai che porta una gonna di capra a triangolo più corta, tra le varie acconciature che identificano se è sposata (a caschetto) o nubile (rasata). E’ tutto molto interessante ma capire le differenze non è così facile, a prima vista mi sembrano tutte uguali!Giriamo per il mercato, fotografiamo quando è possibile, sempre pagando i soggetti prescelti, funziona così, ognuno vende quello che ha e la gente qui può vendere solo la propria originalità.Pranziamo sotto un enorme albero di mango: qualche specialità del luogo, un po’ di riso e un paio di fette di dolcissimo mango, rinfrescati da una piacevole arietta. Il resto della giornata lo passiamo in auto per arrivare a Turmi, una cittadina al crocevia per il Kenya; la temperatura è al massimo, 38 gradi, la strada polverosa, le case basse e povere, il nostro lodge è appena dopo il fiume, ora in secca. I bungalows sono accoglienti, letti grandi e comodi dotati di zanzariere, la sala da pranzo del ristorante è una grande terrazza col tetto di paglia dove l’aria può circolare liberamente, la cuoca è una ragazza etiope molto brava e questo ci consola perché resteremo qui qualche giorno.Il 3 Gennaio andiamo di prima mattina ad Arbore, villaggio di una tribù simile ai Borana, percorrendo una lunga strada sterrata in pessime condizioni. Quando arriviamo ci viene incontro la delegazione al completo dei capi, a loro si uniscono altri uomini e donne, facciamo una foto del gruppone dichiarandoci disponibili a pagare un prezzo globale ma loro non vogliono sentire ragioni, ognuno reclama i suoi soldi da tutti noi mentre decine di bambini ci saltano intorno tirandoci da ogni parte, difficile trovare un punto di incontro anche perché sono piuttosto aggressivi, decidiamo di andarcene senza fotografarli più.Ritorniamo a Turmi e andiamo con una guida a fare un giro nella campagna intorno seguendo dapprima il letto del fiume in secca; ogni tanto si vede qualcuno che scava per cercare l’acqua e quando la trova riempie, aiutandosi con mezza zucca vuota, la tanica gialla che si è portato (questo è il lavoro quotidiano di donne e bambini, a volte percorrono anche chilometri per trovarla, chi è più benestante va a prenderla con gli asinelli).Dopo aver camminato un’oretta vediamo alcune capanne sparse, dei bambini ci corrono incontro, questo significa che il villaggio è vicino; qui risiede una la tribù Hamer, vivono di pastorizia. Dalle capanne escono solo donne e bambini, gli uomini sono lontani con le bestie, alla ricerca dell’acqua, perché ora è stagione secca.Anche qui concordiamo una tariffa per fotografare le persone, sono gentili e soprattutto non troppo invadenti, i bambini sono bellissimi, paffuti e con grandi occhioni neri, tutti con bei sorrisi; in uno spiazzo c’è allestito anche un piccolo mercatino con i loro ninnoli: collane, bracciali, zucche vuote decorate, pelli di capra ecc., intanto il sole sta tramontando e decidiamo di tornare al nostro albergo; questa sera la nostra cuoca ha preparato pizza, cotta in forno a legna, troppo brava!!!Oggi 4 Gennaio è Sabato e ci rechiamo a Dimeka perché è giorno di mercato, sulla strada vediamo le persone delle varie tribù vicine che arrivano a

RACCONTI DI VIAGGIO | Etiopia

10 - Avventure nel mondo 2 | 2014

piedi, con qualche cosa da vendere; fanno anche 15 chilometri per venire ad un mercato così importante. Arrivati in paese ci dirigiamo verso il fiume, tante persone percorrono il letto del fiume in secca, il letto è sabbioso, mano a mano che la gente arriva si ferma in un angolo e comincia a scavare per trovare un po’ di acqua, stanchi e impolverati, poi si fermano nella pozza a bere e a rinfrescarsi. Alcuni sostano con le bestie all’ombra delle grandi piante, un paio di bambini giocano in una piccola pozza, saltano felici e si spruzzano mentre una mucca sta bevendo, noi osserviamo questo lento passaggio.Con la guida facciamo visita al mercato, la zona delle zucche, quella del legno, della terracotta, delle granaglie, delle poche verdure, c’è tanta gente, alcuni contrattano, altri guardano; continuiamo dopo il paese per raggiungere il mercato del bestiame, capre e mucche, c’è anche una guardia armata che controlla che le transazioni vengano effettuate dentro il recinto, per via delle tasse da pagare. Le capre, una volta raggiunto l’accordo tra le parti, vengono pesate appendendole con una corda legata alla pancia, per le mucche vanno a occhio, poi ognuno se ne va con il suo acquisto, tenendolo con una cordina. Davanti a noi una mucca che non voleva seguire il suo nuovo padrone scappa tra un fuggi fuggi generale ma, fortunatamente, riescono a riprenderla prima che abbia fatto danni.Oggi fa molto caldo, il sole scotta, ci fermiamo a mangiare una pasta asciutta che ha preparato il nostro cuoco, buona; questa sera saremo a dormire in tenda al villaggio della tribù Karo, proprio sul fiume OMO dove non ci sono strutture a cui appoggiarci quindi portiamo il cuoco con noi per un paio di giorni. La strada per arrivarci è lunga e malmessa, ad un guado in secca troviamo una jeep ferma, cerchiamo di aiutarli ma non si riesce a riavviare il motore, il nostro capodriver è inquieto, dice che è tardi a dobbiamo andare. Siamo al villaggio verso le 5,00, giusto il tempo di montare le tende e fare un giro tra le capanne. Ci sono poche persone, donne e bambini, gli uomini sono in giro con il bestiame, noi siamo sulla cima di un costone, 100 metri circa sopra un’ansa del fiume OMO, un paesaggio meraviglioso: la terra rossa, il verde delle piante, il giallo delle coltivazioni di granoturco e sorgo, le nostre tendine blu e noi a rimirare il tutto. In fondo al paese c’è anche una scuola, i maestri stanno dipingendo sui muri esterni delle scritte, le aule sono spaziose, lasciamo un po’ di materiale di cancelleria e ritorniamo a fotografare, sempre dopo aver concordato il prezzo, un guerriero Karo che sta passando di lì, tutto dipinto con del gesso bianco. La sera ceniamo a lume di candela al tavolo che hanno allestito i drivers per noi, il cuoco è bravo, ha preparato della zuppa, carne stufata con riso e un po’ di frutta (noi cerchiamo di finire anche i dolci portati per il capodanno) poi sentiamo una musica risuonare nel villaggio, andiamo a vedere e in una capanna dalla luce fioca rimbomba una musica pop, qualche ragazzo balla, da un grosso frigo escono delle birre, ci fanno accomodare su piccoli sgabelli, restiamo un po’ e poi a nanna.

La notte passa tranquilla, al caldo, con una stellata meravigliosa; la mattina apriamo la porta della tenda e davanti a noi scorre placido il fiume OMO, vediamo sorgere il sole, subito arriva un bimbetto con una copertina addosso che si siede su uno sperone di roccia lì vicino, ci osserva, ci studia e aspetta che qualcosa arrivi (penna, caramella, maglietta…….insomma gli va bene qualunque cosa).Colazione in riva all’OMO, cosa si può volere di più? Passeggiata tra le coltivazioni, giretto tra le capanne dove i Karo si stanno truccando nell’attesa di altri turisti e si riparte.Anche oggi la strada è malmessa, il cuoco suggerisce una scorciatoia per Omorate ma ci dobbiamo fermare davanti ad un punto molto scosceso, rischiamo di rompere la jeep, già la N^3 continua a forare le gomme, meglio non rischiare, torniamo indietro! Arriviamo a Omorate alla una, andiamo alla dogana a chiedere i permessi per entrare in Kenya, mangiamo qualcosa e poi andiamo dall’altra parte del fiume OMO a visitare la tribù Daasanach. Il traghetto è a dir poco ”pittoresco”: tre grossi tronchi scavati! Ci sediamo nei tronchi mentre un ragazzo manovra la “barca” con un lungo palo che punta sul fondo del fiume, l’acqua è marrone e la corrente non molto forte, alcuni bambini ci seguono a nuoto, attaccandosi ogni tanto ad una corda tirata da una riva all’altra; un chilometro più a valle si vede un ponte in costruzione ma non si sa quando sarà pronto.Arrivati dall’altra parte ci dirigiamo verso il villaggio, qui le capanne non sono di paglia ma di pezzi di vecchie lamiere arrugginite tenute insieme da legni, paletti e corde, l’interno è di fuoco, possono entrarci solo la notte mentre di giorno stanno all’ombra di qualche verde tettoia. Anche dai Daasanach si contratta per fotografare, la gente è agghindata in modi molto particolari, alcuni hanno spille da balia in testa, altri tappini di metallo della birra, le donne si mettono in posa con i bambini sulla schiena, sono quasi tutte incinta; i ragazzini si mettono in mostra, ognuno cerca di attirare l’attenzione su di sé per avere qualche foto, il posto è spoglio e mi sembrano ancora più poveri delle tribù viste finora.La gente di questa tribù è alta e magra ma i bambini paffuti, la guida ci dice che se hanno gli animali mangiano tutti i giorni il latte mischiato con qualche cereale, la carne non si mangia quasi mai. Le donne hanno una media di 15/20 figli durante la loro vita, crescono i bambini, vanno a prendere l’acqua, vanno ai mercati (a piedi) a vendere e a comperare trasportando la loro merce di scambio, vanno a prendere la legna (per poter cucinare); gli uomini seguono il bestiame con i figli più grandini.Gli uomini possono prendere in sposa anche quattro o cinque mogli se sono benestanti, cioè se hanno tante mucche, pecore, capre e arnie. Ogni volta che uno si sposa deve dare ai genitori della moglie 10 mucche, 10 capre e 10 arnie.Le arnie si vedono lungo le strade in cima agli alberi, sono piccoli tronchi cavi, lunghi circa 60 cm., il miele mischiato alla cera viene poi messo in piccoli vasi di terracotta e venduto ai mercati.Lasciamo il villaggio e ritorniamo alle nostre jeep

con il solito “traghetto”, ci dirigiamo a Sud verso il Lago Turkana, in Kenya; la strada è polverosa, i villaggi sempre più poveri, la gente sempre più magra; arriviamo al confine, l’aria è bollente e polverosa, dalla dogana un uomo ci viene incontro per verificare i documenti, chiama un altro che si infila la giacca da poliziotto e sale in macchina con noi, poi solleva la barriera, cioè una corda con qualche bottiglia di plastica vuota legata intorno e ci fa passare. Sulla piccola strada che percorriamo incontriamo alcuni villaggi, qualche capanna, i bambini corrono a salutarci, gridano you, you, e ci chiedono money, money, addosso ormai non hanno neanche più le magliette sdrucite, nemmeno le ciabatte di copertone, sono tutti nudi, è vero che ci sono 39 gradi……La guida ci spiega che la tribù è sempre Daasanach ma in Kenya non sono più dediti alla pastorizia, qui vivono di pesca; dopo oltre 1 ora di auto arriviamo sul Lago Turkana. Il posto è paludoso, qui c’è la foce del fiume Omo, una barca si avvicina alla riva dove un camion la sta aspettando per caricare del pesce secco. Il pesce viene stivato da un paio di ragazzi che lo schiacciano camminandoci sopra per farcene stare il più possibile, intanto arrivano un po’ di bambini, ragazzini, e tutti ci chiedono foto e money, Silvana intanto si dà da fare e organizza con loro un corso di ginnastica aerobica, quando mi giro li vedo tutti ballare.La strada del ritorno è lunga anche per le solite forature della jeep N^ 3, arriviamo a Turmi la sera alle 9,30, nel lodge tengono acceso il generatore fino alle 10 e mezza per permetterci di mangiare.Il 6 Gennaio è Lunedì e ci rechiamo al mercato di Turmi; il sole scotta anche oggi, la gente che espone qualcosa da vendere è tutta rintanata negli angoli all’ombra; compero delle palle di incenso, Silvio e Luigi prendono dei sandaletti di copertone per qualche bambino che li indossa subito e salta felice. In un angolo vedo una fila di donne Hamer in attesa e vado a vedere di cosa si tratta: è un mulino e le donne sono in attesa del loro turno per far macinare le granaglie che hanno comperato al mercato, le pesano prima e dopo, sono attente e diffidenti nei miei confronti, le lascio tranquille.Continuiamo il giro al mercato di Turmi nella parte più turistica, recintata; all’interno zucche decorate, statuette di legno, la collana della prima moglie più grossa con prolungamento centrale, quella della seconda più semplice, bracciali ecc. Facciamo qualche acquisto con trattative laboriose poi a piedi fino al lodge con bambini che ci seguono e ci chiedono sempre money.Nel pomeriggio abbiamo un appuntamento

Ai pozzi cantanti

RACCONTI DI VIAGGIO | Etiopia

Avventure nel mondo 2 | 2014 - 11Gr. Bondioni sul fiume OMO

imperdibile: IL SALTO DEL TORO, cerimonia tipica delle tribù di questa zona necessaria per passare da ragazzo a “uomo”. Il giovane all’età di 17/18 anni circa, per dimostrare di essere in grado di prendere moglie, deve saltare alcuni tori messi vicini, il tutto dura una giornata. Dal mattino la tribù del ragazzo festeggia l’avvenimento accompagnandolo in un luogo vicino al fiume dove le donne giovani con la madre danzano e cantano, divise per famiglie, mentre i giovani uomini che in passato hanno già superato questa prova si dipingono i volti e i corpi con resine colorate. Il clima si surriscalda fino a quando, verso le 4 del pomeriggio, decidono di andare tutti sulla cima di una collina dall’altra parte del fiume. Lungo la strada si incontra la mandria che viene accompagnata anch’essa in cima al colle affinché si possa compiere il salto.Quando tutti sono arrivati in cima, le ragazze si offrono ai ragazzi che con dei frustini di legno tenero le sferzano di frustate così da vedere quali sono le donne più forti, in questo modo le madri dei ragazzi sanno chi scegliere come prima moglie per i loro figlioli (la seconda moglie potrà sceglierla lui).Mentre le ragazze sanguinano per le frustate ricevute i tori vengono messi al centro dello spiazzo, tenuti fermi per le corna e per la coda, altre donne girano cantando e ballando; il nostro giovane cerca di concentrarsi, ha i capelli rasati tranne un grosso ciuffo in cima alla testa ed è completamente nudo; è alto e sottile, come tutti gli uomini di qui ha un portamento eretto e fiero.Quando i tori prescelti sono immobilizzati tutti si fermano e il nostro giovane salta con grande abilità sulla schiena del primo toro e poi sugli altri scendendo dall’altra parte; ripete il salto altre cinque volte e poi tra gli applausi generali viene acclamato vincitore, ha superato la sua prova!Tutta la sua gente si raduna intorno a lui, gli viene messa al collo una pettorina in pelle di capra decorata, gli tagliano un pezzetto di ciuffo e gli danno una tela colorata per vestirsi, la avvolge intorno al bacino e poi, lentamente, tutti scendono verso il fiume: i turisti a raggiungere le jeep, gli Hamer a raggiungere il loro villaggio. Siamo tutti piuttosto stanchi ma la cerimonia è bellissima e, soprattutto, non è turistica, anche se vengono ammessi i turisti a pagamento, il tutto viene fatto per usanze tribali.Il 7 Gennaio è il Natale Copto, in questa zona le tribù sono animiste ma nelle città ci sono anche tanti cristiani. A Jinka troviamo tutto chiuso, non c’è nemmeno il mercato perché oggi è festa nazionale, inoltre anche qui stanno rifacendo la strada, da quando è stato eletto il nuovo presidente, originario del Sud, in ogni città fervono lavori di ammodernamento. Cerchiamo una guida e andiamo al Mago Park per incontrare i Mursi, la famosa tribù dove le donne hanno un piattello nel labbro inferiore e un altro nei lobi delle orecchie. Arrivati all’ingresso del parco ci fermiamo per pagare il biglietto e far salire con noi una guardia armata. La strada per arrivare ai villaggi Mursi è lunga e piena di buche, ci mettiamo più di un’ora; il villaggio che si può visitare è solo uno, la guida ci dice di fare attenzione alle borse e di contrattare

bene prima di fotografare per evitare spiacevoli discussioni. Quando scendiamo dalle auto siamo assaliti dai Mursi che ci hanno visti arrivare, alcune donne ci fanno vedere come mettono e tolgono il piattello dalla bocca, le ragazze vengono abituate dall’età di 15 anni, il buco viene allargato sempre più fino ad arrivare alla dimensione di un piattello di 7/8 cm di diametro, per poterlo incastrare bene vengono tolti gli incisivi inferiori, logicamente gli incisivi superiori si spostano in avanti per permettere alla bocca di chiudersi; ai lobi delle orecchie viene inserito un piattello al massimo di 3/4 cm di diametro. Anche qui avere le cicatrici è segno di distinzione e alcune ragazze ci mostrano con orgoglio le decorazioni sul petto fatte con cicatrici ancora rosse di sangue. Tutti gli uomini sono armati, hanno un fucile o un grosso machete, anche loro hanno le braccia decorate con le cicatrici, il viso dipinto, la testa intorno rasata con un ciuffo centrale raccolto e una piuma infilata sopra. Sia le donne che gli uomini sono alti con bei fisici e bei visi anche se quelli delle donne in parte sono deformati dai piattelli. Ognuno di noi sceglie chi fotografare, sempre dopo attenta trattativa, ma quando abbiamo finito, loro non si rassegnano a non guadagnare più niente e cominciano a pressarci, a chiedere le foto e money, sembra brutto rifiutare, la guida ci consiglia di ritornare in auto, meglio lasciarci in armonia.Torniamo a Jinka, mentre mangiamo qualcosa i nostri drivers vanno al Camping e ci montano le tende, poi ne prendiamo possesso; oggi è festa per tutto il paese, il camp è pieno di ragazzi e ragazze che si divertono, alcuni di noi vanno in città a fare un giretto, altri si rilassano all’ombra delle piante osservando i giovani del camp vestiti con jeans e magliette che girano tranquillamente senza considerarci.La mattina seguente andiamo a vedere il villaggio Ari, la gente è molto ospitale, le capanne sono in muratura con il tetto in paglia, è tutto molto ordinato, ci mostrano come si fa l’injera, come si cuoce, come si lavora l’argilla, come fanno i piatti e le caffettiere, tutto a mano; c’è anche un fabbro che lavora i metalli, lo vediamo fare un coltello, con pazienza e fatica , è tutto molto interessante.Via di lì andiamo a visitare il piccolo museo di Jinka, sulle tribù della bassa valle dell’OMO, in pratica una sintesi di tutto quello che abbiamo visto in questa settimana, ben organizzato; vicino al museo c’è anche una bella biblioteca, con tanti libri, tanti banchi e una grande stuoia per chi preferisce leggere seduto per terra. Riprendiamo la strada per Konso dove ci fermiamo per uno spuntino e a sera siamo ad Arba Minch, la strada è stata più lunga del previsto, anche per le forature della jeep N^ 3, arriviamo appena in tempo per fare un giretto nel mercatino locale, frutta, verdura, legna, accompagnati da un corteo di bambini che sono carini ma un po’ troppo pressanti e un po’ aggressivi. Arba Minch è una grossa città situata sulla punta di uno sperone che dà sui Laghi Chamo e Abaya, i laghi sono divisi dal ”ponte di Dio”, un lembo di terra montuosa che fa da divisorio; in città vediamo tanti studenti perché c’è una grande

Università in cui si è laureato anche il Presidente attuale dell’Etiopia. Cena nel bel Swaynes lodge con panorama sui laghi Chamo e Abaya.La mattina del 12 Gennaio andiamo al Nechisar N.P, con la guida e una barchetta giriamo per il lago Chamo alla ricerca di coccodrilli e ippopotami; non fatichiamo a trovarli, ce ne sono parecchi, alcuni prendono il sole, altri ci nuotano intorno, ci sono anche tanti uccelli: pellicani, aironi cinerini. Più avanti alcuni pescatori sono immersi nell’acqua e tirano le reti, certo che con tutti quei coccodrilli….infatti la guida ci dice che ne hanno mangiati già sei o sette; poveretti, che vita difficile!Mentre torniamo in città chiediamo al ragazzo che ci guida di portarci in una scuola e lui ci accompagna all’asilo che frequentava da piccolo, sostenuto dalla chiesa copta: ci sono una trentina di bimbi dai 3 ai 6 anni, maschi e femmine, tutti ben vestiti ed educati, quelli che possono pagano la retta, gli altri sono sovvenzionati dalla chiesa. La maestra è una signora di cinquant’anni che insegna lì da venti, è gentile e molto educata, ci mostra la classe, sui muri ci sono le lettere dell’alfabeto amharico e inglese per insegnare a leggere e a scrivere nelle due lingue. Nel frattempo i bimbi che sono nella pausa pranzo sono andati sotto un bersò rotondo con un muretto di cinta, si sono disposti ordinatamente tutto intorno, hanno una bottiglietta d’acqua e il pranzo portato da casa. Mangiano in silenzio con tranquillità e ci salutano tutti insieme quando ce ne andiamo. Lasciamo un po’ di materiale scolastico anche a loro e siamo contenti di aver visto anche un altro aspetto dei bambini di questa zona dell’Etiopia.Il pomeriggio è dedicato al villaggio Chencha,

RACCONTI DI VIAGGIO | Etiopia

12 - Avventure nel mondo 2 | 2014

abitato dalla tribù Dorzè, a 2500 mt di altezza; qui le capanne sono particolarmente alte, i pali di sostegno sono molto lunghi e si accorciano negli anni per via delle termiti, l’interno è ampio e diviso in zone; sono le capanne più accoglienti tra quelle viste finora.Nel cortile ci sono tante piante di enset, ne piantano uno ogni anno, quando arrivano a 5/6 anni le tagliano e ne utilizzano ogni parte, dalla polpa per il pane, alle fibre per le corde, alle foglie per contenere il pane mentre cuoce. Quando un figlio si sposa costruisce una casetta più piccola nello stesso cortiletto, la forma è la stessa e ricorda un elefante.Oggi chi ha i soldi si costruisce una casa in mattoni, ormai le capanne di paglia restano solo per i poveri.Ci viene anche offerta una grappa locale con injera e miele, facciamo un brindisi per sancire l’amicizia tra Italia ed Etiopia, poi veniamo allo shopping: sciarpe bianche di tela leggera, quelle usate dalle donne locali.Scendendo la strada principale arriviamo ad un grande mercato che si tiene il Giovedì, pieno di gente e di articoli locali, la cosa che mi ha sorpreso di più è stata una bancarella che vendeva scarpe di plastica singole; sì, si poteva comperare anche una sola scarpa, in effetti in giro si vedono persone con scarpe diverse, è già una fortuna averle!Il 10 Gennaio facciamo una visita alle 40 sorgenti nel Nechisar Park, un’oasi di frescura in mezzo ad alberi centenari, da qui si incanala l’acqua per la città di Arba Minch, poi cominciamo la via del ritorno, verso il Lago Shala; lungo la strada riconosciamo le varie tribù viste all’andata, i colori degli abiti, la forma delle case. Passiamo da Sodo dove c’è la tribù Welayta, poi da Shone con la tribù Kembata, da Langano con la tribù Oromia, da Awasa con la tribù Sidamo e infine siamo al National Park Shala. Entriamo verso le 5, vediamo subito dei grossi struzzi, impala e facoceri, poi andiamo sul Lago dove la riva è completamente rosa, piena di flamingos, è uno spettacolo. Restiamo a vedere il tramonto in silenzio e poi ritorniamo ma la jeep N^ 2 scivola su un costone di sabbia e resta incastrata, con la parte sinistra infossata nella sabbia. Subito accorrono uomini e bambini del villaggio vicino, è un turbinio di attività, proponiamo di svuotare la macchina ma non ci danno ascolto, restiamo due ore a cercare di spostarla ma inutilmente, poi Derege ci carica sulle altre jeep per accompagnarci al Borati Lodge ma, come per incanto, l’auto alleggerita dai bagagli riesce, in un ultimo disperato tentativo di Silvio, a spostarsi e, felicissimi, ritorniamo in albergo al completo.Oggi è l’11 Gennaio, l’ultimo giorno della nostra vacanza in Etiopia, la mattina andiamo di nuovo al Lago Shala per vedere i soffioni caldi, questa è una zona vulcanica, l’acqua esce a 80 gradi; fuori di lì andiamo verso Addis Abeba. La strada è lunga e piena di traffico, di gente, di animali, insomma la strada è di tutti.Arriviamo alle 4 del pomeriggio alla Cattedrale SS Trinità, dove ci sono le tombe di Hailé Selassié e della moglie, poi andiamo al Museo Nazionale

dove, il pezzo principale da vedere è Lucy, o meglio i resti fossili di Lucy, una femmina di australopiteco vissuta circa 3,2 milioni di anni fa, riportati alla luce nel 1974. Direi che così abbiamo completato il programma, adesso ci dobbiamo solo preparare per la notte che passeremo in aereo per tornare in Italia ma prima ci aspetta un ultimo interessante e divertente appuntamento: cena in un bel locale folkloristico dove ballano e cantano oltre a farci assaggiare le specialità etiopi.La serata ci è offerta dall’agenzia che ci ha seguito nel viaggio, una serata allegra, piena di gente giovane e meno giovane ma tutti hanno voglia di divertirsi, un altro aspetto di questo paese che vale la pena di vedere.Alle 11 di sera ci accompagnano in aeroporto, un saluto ai drivers e all’Etiopia, un paese lontano e dimenticato ma che non si può dimenticare. forature della jeep N^ 3, arriviamo a Turmi la sera alle 9,30, nel lodge tengono acceso il generatore fino alle 10 e mezza per permetterci di mangiare.Il 6 Gennaio è Lunedì e ci rechiamo al mercato di Turmi; il sole scotta anche oggi, la gente che espone qualcosa da vendere è tutta rintanata negli angoli all’ombra; compero delle palle di incenso, Silvio e Luigi prendono dei sandaletti di copertone per qualche bambino che li indossa subito e salta felice. In un angolo vedo una fila di donne Hamer in attesa e vado a vedere di cosa si tratta: è un mulino e le donne sono in attesa del loro turno per far macinare le granaglie che hanno comperato al mercato, le pesano prima e dopo, sono attente e diffidenti nei miei confronti, le lascio tranquille.Continuiamo il giro al mercato di Turmi nella parte più turistica, recintata; all’interno zucche decorate, statuette di legno, la collana della prima moglie più grossa con prolungamento centrale, quella della seconda più semplice, bracciali ecc. Facciamo qualche acquisto con trattative laboriose poi a piedi fino al lodge con bambini che ci seguono e ci chiedono sempre money.Nel pomeriggio abbiamo un appuntamento imperdibile: IL SALTO DEL TORO, cerimonia tipica delle tribù di questa zona necessaria per passare da ragazzo a “uomo”. Il giovane all’età di 17/18 anni circa, per dimostrare di essere in grado di prendere moglie, deve saltare alcuni tori messi vicini, il tutto dura una giornata. Dal mattino la tribù del ragazzo festeggia l’avvenimento accompagnandolo in un luogo vicino al fiume dove le donne giovani con la madre danzano e cantano, divise per famiglie, mentre i giovani uomini che in passato hanno già superato questa prova si dipingono i volti e i corpi con resine colorate. Il clima si surriscalda fino a quando, verso le 4 del pomeriggio, decidono di andare tutti sulla cima di una collina dall’altra parte del fiume. Lungo la strada si incontra la mandria che viene accompagnata anch’essa in cima al colle affinché si possa compiere il salto.Quando tutti sono arrivati in cima, le ragazze si offrono ai ragazzi che con dei frustini di legno tenero le sferzano di frustate così da vedere quali sono le donne più forti, in questo modo le madri dei ragazzi sanno chi scegliere come prima moglie per i loro figlioli (la seconda moglie potrà sceglierla lui).

Mentre le ragazze sanguinano per le frustate ricevute i tori vengono messi al centro dello spiazzo, tenuti fermi per le corna e per la coda, altre donne girano cantando e ballando; il nostro giovane cerca di concentrarsi, ha i capelli rasati tranne un grosso ciuffo in cima alla testa ed è completamente nudo; è alto e sottile, come tutti gli uomini di qui ha un portamento eretto e fiero.Quando i tori prescelti sono immobilizzati tutti si fermano e il nostro giovane salta con grande abilità sulla schiena del primo toro e poi sugli altri scendendo dall’altra parte; ripete il salto altre cinque volte e poi tra gli applausi generali viene acclamato vincitore, ha superato la sua prova!Tutta la sua gente si raduna intorno a lui, gli viene messa al collo una pettorina in pelle di capra decorata, gli tagliano un pezzetto di ciuffo e gli danno una tela colorata per vestirsi, la avvolge intorno al bacino e poi, lentamente, tutti scendono verso il fiume: i turisti a raggiungere le jeep, gli Hamer a raggiungere il loro villaggio. Siamo tutti piuttosto stanchi ma la cerimonia è bellissima e, soprattutto, non è turistica, anche se vengono ammessi i turisti a pagamento, il tutto viene fatto

Salto del toro

RACCONTI DI VIAGGIO | Etiopia

Viaggiare sicuri, adesso si può.

Ricerca italiana per il progresso

www.sigma-tau.it/malaria

Dall’impegno alla realtà: un nuovo farmaco per la cura della Malaria.

Per chi, già da tempo, si “avventura nel mondo” possono risultare oziose le raccomandazioni di adottare precauzioni importanti e consapevoli così da minimizzare i rischi per la salute: è l’abc del no-stro viaggiatore. Ma anche l’abc, a volte, non è suf-ficiente. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) fonda la protezione dalla malaria su alcuni principi noti come “L’ABCD della malaria” [WHO 2012] e se non bastasse, aggiunge anche un suc-cessivo punto “E”, per “stand-by Emergency treat-ment” (trattamento presuntivo di Emergenza).

Cos’è la malaria. La malaria è una malattia pro-vocata da un parassita, un protozoo del genere Pla-smodium. Sono cinque le specie di Plasmodium che provocano la malattia nell’uomo. Il più pericoloso è il Plasmodium falciparum, con il più alto tasso di mortalità fra i soggetti infettati. Il ciclo vitale dei plasmodi si compie tra le zanza-re del genere Anopheles – l’uomo – e, di nuovo, le zanzare. Le anofele inoculano i plasmodi (presenti nelle loro ghiandole salivari) quando ci pungono, durante il loro pasto di sangue. Gli individui infettati costituiscono quindi il ser-batoio dal quale altre zanzare anofele a loro volta si infetteranno, perpetuando il ciclo di trasmissione. I plasmodi si insediano nei globuli rossi, nutrendo-si della loro emoglobina. In questi si moltiplicano fino a quando li fanno scoppiare liberando parassiti che andranno ad infettare altri globuli rossi.

Dov’è Diffusa. La malaria è la più diffusa fra tutte le parassitosi: soprattutto l’Africa, ma anche l’Asia e, in minor misura il Centro e Sud America sono le regioni dove è presente in forma endemica. Nei Paesi dove è stata eradicata negli ultimi 70 anni, come in Europa e America del Nord, è pre-sente sporadicamente nei viaggiatori di ritorno che hanno contratto l’infezione durante i loro viaggi per turismo, affari o per visitare parenti o amici.

Quanto Ci riguarDa. Ogni anno circa 10.000-15.000 viaggiatori europei e americani si amma-lano di malaria contratta durante viaggi in zone

endemiche. I casi italiani di malaria d’importazione variano da circa 700 a 900 ogni anno. In circa il 60% dei viaggiatori è causata dal Plasmodium falci-parum e il 38% dal Plasmodium vivax.

ma torniamo all’aBC…DE

a. awarnEss (ConsapEvolEzza). Il punto più im-portante è costituito dalla lettera A, ossia la consa-pevolezza di soggiornare o di aver soggiornato in una zona dove la malaria è presente.

B. BitE prEvEntion (prEvEnzionE DEllE punturE

Di zanzara). Chi viaggia o soggiorna, anche per brevi periodi, in zone endemiche deve 1) proteggersi dalle punture quando si trascorrano all’aperto ore notturne e crepuscolari. Le anofele, infatti, non pungono durante il giorno; 2) Dotarsi di barriere chimiche (repellenti, inset-ticidi piretroidi) o meccaniche (reti o zanzariere); 3) Ancora meglio le barriere meccanico-chimiche, mediante l’impregnazione degli abiti e delle zanza-riere con insetticidi o repellenti.

C. ChEmioprofilassi. L’assunzione, cioè, di far-maci a scopo profilattico che sono raccomandati dalle varie linee guida nazionali ed internazionali quando ci si rechi in aree ad alta intensità di tra-smissione e nelle stagioni a più alta densità di ano-fele. Nello stesso tempo l’OMS ricorda che nessun regime di chemioprofilassi è in grado di offrire una protezione del 100%. Non si tratta infatti di una vaccinazione.

D. Diagnosi. I viaggiatori che manifestano segni o sintomi compatibili con una malaria (in primis, la febbre) devono essere visitati da un medico nel più breve tempo possibile, e comunque entro un mas-simo di 24 ore dall’insorgenza degli stessi.

E. sBEt. Stand by Emergency treatment. Nelle indi-cazioni per la profilassi antimalarica nei viaggiatori in area endemica della Società Italiana di Medicina Tropicale (SIMET, 2013), si legge che “Il trat-tamento di emergenza rappresenta una possibile

alternativa alla chemioprofilassi per i viaggiatori diretti in paesi a rischio malarico basso o molto basso. In questi casi, e sempre laddove sussista l’im-possibilità di essere opportunamente valutati da un medico entro le 24 ore dalla comparsa della febbre, la terapia di emergenza può essere assunta pura-mente su base presuntiva. L’autotrattamento pre-suntivo di emergenza è da considerare sempre solo una misura temporanea e, pertanto, si deve rac-comandare ai viaggiatori di farsi valutare nel più breve tempo possibile. Viaggiatori diretti in zone remote, pur assumendo un’adeguata chemioprofi-lassi, possono portare con sé un farmaco approva-to per la terapia della malaria in dose sufficiente a coprire un ciclo di trattamento, sia nel caso in cui venisse loro diagnosticata una malaria, sia in caso di episodio febbrile non spiegato altrimenti; dal momento che la chemioprofilassi non fornisce una protezione assoluta, avrebbero così la certezza dell’immediata disponibilità di un farmaco effica-ce che, essendo stato acquistato nel loro paese d’ori-gine, non sarebbe esposto ai rischi di contraffazione presenti in molti paesi endemici. Attualmente tre regimi sono considerati le opzioni preferibili per l’autotrattamento malarico: diidroartemisinina-piperachina, atovaquone-proguanil e artemether-lumefantrina”..

Il who, l’organizzazione mondiale della sanità, indica le Artemisinin-based Combination The-rapy (dette ACT), cioè le combinazioni a base di artemisinina, come i farmaci di prima linea per la cura della malaria. Tra le ACT, la combinazione di diidroartemisinina e piperachina è risultata quella più efficace nella prevenzione di possibili nuove infezioni in quanto concentrazioni efficaci per-mangono nel sangue per circa 40 giorni.

Dott. Gaetano ScifoDirettore uOC malattie infettive Osp. “umberto I” - Siracusa

VIAGGIArE ALL’AVVENTurA. IL TurISMO NELLE ZONE A rISChIO ENDEMICO DI MALArIA

L’ “ABC” DEL VIAGGIATOrE…? NON BASTA!

14 - Avventure nel mondo 2 | 2014

per usanze tribali. Il 7 Gennaio è il Natale Copto, in questa zona le tribù sono animiste ma nelle città ci sono anche tanti cristiani. A Jinka troviamo tutto chiuso, non c’è nemmeno il mercato perché oggi è festa nazionale, inoltre anche qui stanno rifacendo la strada, da quando è stato eletto il nuovo presidente, originario del Sud, in ogni città fervono lavori di ammodernamento. Cerchiamo una guida e andiamo al Mago Park per incontrare i Mursi, la famosa tribù dove le donne hanno un piattello nel labbro inferiore e un altro nei lobi delle orecchie. Arrivati all’ingresso del parco ci fermiamo per pagare il biglietto e far salire con noi una guardia armata. La strada per arrivare ai villaggi Mursi è lunga e piena di buche, ci mettiamo più di un’ora; il villaggio che si può visitare è solo uno, la guida ci dice di fare attenzione alle borse e di contrattare bene prima di fotografare per evitare spiacevoli discussioni.Quando scendiamo dalle auto siamo assaliti dai Mursi che ci hanno visti arrivare, alcune donne ci fanno vedere come mettono e tolgono il piattello dalla bocca, le ragazze vengono abituate dall’età di 15 anni, il buco viene allargato sempre più fino ad arrivare alla dimensione di un piattello di 7/8 cm di diametro, per poterlo incastrare bene vengono tolti gli incisivi inferiori, logicamente gli incisivi superiori si spostano in avanti per permettere alla bocca di chiudersi; ai lobi delle orecchie viene inserito un piattello al massimo di 3/4 cm di diametro. Anche qui avere le cicatrici è segno di distinzione e alcune ragazze ci mostrano con orgoglio le decorazioni sul petto fatte con cicatrici ancora rosse di sangue. Tutti gli uomini sono armati, hanno un fucile o un grosso machete, anche loro hanno le braccia decorate con le cicatrici, il viso dipinto, la testa intorno rasata con un ciuffo centrale raccolto e una piuma infilata sopra. Sia le donne che gli uomini sono alti con bei fisici e bei visi anche se quelli delle donne in parte sono deformati dai piattelli. Ognuno di noi sceglie chi fotografare, sempre dopo attenta trattativa, ma quando abbiamo finito, loro non si rassegnano a non guadagnare più niente e cominciano a pressarci, a chiedere le foto e money, sembra brutto rifiutare, la guida ci consiglia di ritornare in auto, meglio lasciarci in armonia.Torniamo a Jinka, mentre mangiamo qualcosa i nostri drivers vanno al Camping e ci montano le tende, poi ne prendiamo possesso; oggi è festa per tutto il paese, il camp è pieno di ragazzi e ragazze che si divertono, alcuni di noi vanno in città a fare un giretto, altri si rilassano all’ombra delle piante osservando i giovani del camp vestiti con jeans e magliette che girano tranquillamente senza considerarci.La mattina seguente andiamo a vedere il villaggio Ari, la gente è molto ospitale, le capanne sono in muratura con il tetto in paglia, è tutto molto ordinato, ci mostrano come si fa l’injera, come si cuoce, come si lavora l’argilla, come fanno i piatti e le caffettiere, tutto a mano; c’è anche un fabbro che lavora i metalli, lo vediamo fare un coltello, con pazienza e fatica , è tutto molto interessante. Via di lì andiamo a visitare il piccolo museo di Jinka, sulle tribù della bassa valle dell’OMO, in pratica una sintesi di tutto quello che abbiamo

visto in questa settimana, ben organizzato; vicino al museo c’è anche una bella biblioteca, con tanti libri, tanti banchi e una grande stuoia per chi preferisce leggere seduto per terra. Riprendiamo la strada per Konso dove ci fermiamo per uno spuntino e a sera siamo ad Arba Minch, la strada è stata più lunga del previsto, anche per le forature della jeep N^ 3, arriviamo appena in tempo per fare un giretto nel mercatino locale, frutta, verdura, legna, accompagnati da un corteo di bambini che sono carini ma un po’ troppo pressanti e un po’ aggressivi. Arba Minch è una grossa città situata sulla punta di uno sperone che dà sui Laghi Chamo e Abaya, i laghi sono divisi dal ”ponte di Dio”, un lembo di terra montuosa che fa da divisorio; in città vediamo tanti studenti perché c’è una grande Università in cui si è laureato anche il Presidente attuale dell’Etiopia. Cena nel bel Swaynes lodge con panorama sui laghi Chamo e Abaya.La mattina del 12 Gennaio andiamo al Nechisar N.P, con la guida e una barchetta giriamo per il lago Chamo alla ricerca di coccodrilli e ippopotami; non fatichiamo a trovarli, ce ne sono parecchi, alcuni prendono il sole, altri ci nuotano intorno, ci sono anche tanti uccelli: pellicani, aironi cinerini.Più avanti alcuni pescatori sono immersi nell’acqua e tirano le reti, certo che con tutti quei coccodrilli….infatti la guida ci dice che ne hanno mangiati già sei o sette; poveretti, che vita difficile!Mentre torniamo in città chiediamo al ragazzo che ci guida di portarci in una scuola e lui ci accompagna all’asilo che frequentava da piccolo, sostenuto dalla chiesa copta: ci sono una trentina di bimbi dai 3 ai 6 anni, maschi e femmine, tutti ben vestiti ed educati, quelli che possono pagano la retta, gli altri sono sovvenzionati dalla chiesa. La maestra è una signora di cinquant’anni che insegna lì da venti, è gentile e molto educata, ci mostra la classe, sui muri ci sono le lettere dell’alfabeto amharico e inglese per insegnare a leggere e a scrivere nelle due lingue. Nel frattempo i bimbi che sono nella pausa pranzo sono andati sotto un bersò rotondo con un muretto di cinta, si sono disposti ordinatamente tutto intorno, hanno una bottiglietta d’acqua e il pranzo portato da casa. Mangiano in silenzio con tranquillità e ci salutano tutti insieme quando ce ne andiamo. Lasciamo un po’ di materiale scolastico anche a loro e siamo contenti di aver visto anche un altro aspetto dei bambini di questa zona dell’Etiopia. Il pomeriggio è dedicato al villaggio Chencha, abitato dalla tribù Dorzè, a 2500 mt di altezza; qui le capanne sono particolarmente alte, i pali di sostegno sono molto lunghi e si accorciano negli anni per via delle termiti, l’interno è ampio e diviso in zone; sono le capanne più accoglienti tra quelle viste finora. Nel cortile ci sono tante piante di enset, ne piantano uno ogni anno, quando arrivano a 5/6 anni le tagliano e ne utilizzano ogni parte, dalla polpa per il pane, alle fibre per le corde, alle foglie per contenere il pane mentre cuoce. Quando un figlio si sposa costruisce una casetta più piccola nello stesso cortiletto, la forma è la stessa e ricorda un elefante. Oggi chi ha i soldi si costruisce una casa in mattoni, ormai le capanne di paglia restano solo per i poveri. Ci viene anche offerta una grappa

locale con injera e miele, facciamo un brindisi per sancire l’amicizia tra Italia ed Etiopia, poi veniamo allo shopping: sciarpe bianche di tela leggera, quelle usate dalle donne locali. Scendendo la strada principale arriviamo ad un grande mercato che si tiene il Giovedì, pieno di gente e di articoli locali, la cosa che mi ha sorpreso di più è stata una bancarella che vendeva scarpe di plastica singole; sì, si poteva comperare anche una sola scarpa, in effetti in giro si vedono persone con scarpe diverse, è già una fortuna averle!Il 10 Gennaio facciamo una visita alle 40 sorgenti nel Nechisar Park, un’oasi di frescura in mezzo ad alberi centenari, da qui si incanala l’acqua per la città di Arba Minch, poi cominciamo la via del ritorno, verso il Lago Shala; lungo la strada riconosciamo le varie tribù viste all’andata, i colori degli abiti, la forma delle case. Passiamo da Sodo dove c’è la tribù Welayta, poi da Shone con la tribù Kembata, da Langano con la tribù Oromia, da Awasa con la tribù Sidamo e infine siamo al National Park Shala. Entriamo verso le 5, vediamo subito dei grossi struzzi, impala e facoceri, poi andiamo sul Lago dove la riva è completamente rosa, piena di flamingos, è uno spettacolo. Restiamo a vedere il tramonto in silenzio e poi ritorniamo ma la jeep N^ 2 scivola su un costone di sabbia e resta incastrata, con la parte sinistra infossata nella sabbia. Subito accorrono uomini e bambini del villaggio vicino, è un turbinio di attività, proponiamo di svuotare la macchina ma non ci danno ascolto, restiamo due ore a cercare di spostarla ma inutilmente, poi Derege ci carica sulle altre jeep per accompagnarci al Borati Lodge ma, come per incanto, l’auto alleggerita dai bagagli riesce, in un ultimo disperato tentativo di Silvio, a spostarsi e, felicissimi, ritorniamo in albergo al completo.Oggi è l’11 Gennaio, l’ultimo giorno della nostra vacanza in Etiopia, la mattina andiamo di nuovo al Lago Shala per vedere i soffioni caldi, questa è una zona vulcanica, l’acqua esce a 80 gradi; fuori di lì andiamo verso Addis Abeba. La strada è lunga e piena di traffico, di gente, di animali, insomma la strada è di tutti. Arriviamo alle 4 del pomeriggio alla Cattedrale SS Trinità, dove ci sono le tombe di Hailé Selassié e della moglie, poi andiamo al Museo Nazionale dove, il pezzo principale da vedere è Lucy, o meglio i resti fossili di Lucy, una femmina di australopiteco vissuta circa 3,2 milioni di anni fa, riportati alla luce nel 1974. Direi che così abbiamo completato il programma, adesso ci dobbiamo solo preparare per la notte che passeremo in aereo per tornare in Italia ma prima ci aspetta un ultimo interessante e divertente appuntamento: cena in un bel locale folkloristico dove ballano e cantano oltre a farci assaggiare le specialità etiopi. La serata ci è offerta dall’agenzia che ci ha seguito nel viaggio, una serata allegra, piena di gente giovane e meno giovane ma tutti hanno voglia di divertirsi, un altro aspetto di questo paese che vale la pena di vedere.Alle 11 di sera ci accompagnano in aeroporto, un saluto ai drivers e all’Etiopia, un paese lontano e dimenticato ma che non si può dimenticare.

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