tesina il potere dell'immagine (2008)

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Indice

1 - Prefazione

Il Fascismo2 - Fascismo e Futurismo: amore e odio

3 - Dalla rivoluzione fascista alla presa del potere

4 - La politica del consenso

5 - Il manifesto politico nel Fascismo: Gino Boccasile

6 - Economia e ricerca nell’autarchia fascista

7 - Il Fascismo nel Ventennio: dall’ascesa al declino

Il Nazismo8 - Il Regime hitleriano: dall’ascesa al declino

9 - Indottrinamento e propaganda: il ministero di Goebbels

10 - Albert Speer, l’architetto della catastrofe

11 - The propaganda against Nazism

Conclusioni12 - Fascismo e Nazismo: dittature a confronto

13 - Bibliografia

14 - Videografia

15 - Sitografia

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Prefazione

Prefazione

Nel periodo intercorso tra le due guerre, i venti gelidi del fascismo soffiarono in molte parti d’Europa. Il fascismo era un sistema ultranazionalistico, che subordinava al massimo l’individuo agli interessi dello Stato. A tal fine i regimi fascisti eliminarono tutte le ideologie che gli si opponevano e non disdegnarono l’uso della violenza, per ottenere i propri scopi, anche con l’allontanamento, la segregazione dei più deboli e l’epurazione di massa. L’instaurazione di regimi autoritari, di tipo dittatoriale, era la fatale conseguenza della crisi post-bellica successiva al 1918, della difficile stabilizzazione, del disagio, delle spinte nazionalistiche e rivoluzionarie, delle sconvolgimento sociale, delle lotte e delle rivolte operaie e del dissesto economico: la grave situazione interna fu terreno fertile per l’offensiva delle destre, il germe dal quale scaturirono varie forme di fascismo, che, nato per la prima volta in Italia, si diffuse a macchia d’olio in molti stati, seppure con modalità non sempre univoche. In alcuni paesi dove le tradizioni liberali erano più forti la crisi del dopoguerra fu superata, altrove, come in Italia, la spinta popolare verso la democrazia entrò in crisi e cedette al fascismo: la restaurazione del sistema avvenne quindi all’ombra della dittatura e della repressione sociale. Sulla scia del Fascismo mussoliniano, retto su ideali di sopraffazione, discriminazione e repressione sistematica di ogni forma di opposizione, sorsero, a suo modello, altri sistemi totalitari, come il Nazismo in Germania. Così le larvate dittature del passato divennero un pallido ricordo e, dentro le strutture dei nuovi regimi, si cristallizzarono rapporti di subordinazione, opere di diseducazione del popolo, eliminazione, anche fisica, di coloro che volevano contrastarle, distruzione di tutte quelle istituzioni e organizzazioni attraverso le quali il popolo poteva raggiungere una consapevole

dignità civile, precludendo ogni possibilità di sviluppo e di sbocco, mediante un’orgia di propaganda che toccò ogni aspetto dell’esistenza pubblica e privata.L’impatto che il carisma dei personaggi generava, la loro arte nel proporsi e nel trasmettere il messaggio e gli intenti perseguiti, anche attraverso l’uso massiccio della propaganda, giungendo fino al grottesco e alla parodia, per avvolgere nella nebbia le dure realtà dei regimi e ottundere le coscienze, mi ha indotto ad approfondire i diversi aspetti del potere dell’immagine, inteso sia in termini iconografici e multimediali di diverso tipo, sia come fascino e personalità dei due dittatori e, quindi, della loro funzione di immagine-simbolo della nazione, giungendo fino all’identificazione della Nazione stessa nella figura dei loro Capi. Mussolini affermò in un suo discorso nel 1939:“Ognuno si ricordi che il Regime fascista quando impegna una battaglia la conduce fino in fondo e lascia dietro di sé il deserto”. Una volta tanto il Duce aveva ragione, poiché l’immagine delle due dittature lasciò dietro di sé il disastro, anzi il “nulla”. q

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Fascismo e Futurismo: amore e odio

Fascismo e Futurismo:amore e odioIn Italia un vero movimento di avanguardia e di rivoluzione, non solo letteraria, ma anche delle arti e del comportamento nella società, fu il Futurismo che ebbe risonanza e vitalità in tutta Europa. Fondato a Parigi nel 1909 da Filippo Tommaso Marinetti, con un manifesto che si scagliava contro le forme tradizionali dell’arte e della letteratura, il Futurismo assunse una portata internazionale, valorizzato e propagandato da molti altri manifesti e da conferenze e dibattiti che ne pubblicizzavano le idee sovvertitrici di ogni tradizione classica e accademica. Il nome stesso del movimento fu invenzione di Marinetti. La parola che riassumeva la battaglia dei futuristi, fu distruzione. La loro unica preoccupazione fu apparire originali, assolutamente nuovi di fronte alla saggezza del passato. Mostravano terrore per i sentimentalismi e disprezzo per i concetti morali delle età passate.La personalità di spicco del futurismo italiano fu sicuramente Filippo Tommaso Marinetti. Nacque ad Alessandria d’Egitto il 22 dicembre 1876, da una ricca famiglia di origine ligure, e qui studiò, presso i padri Gesuiti. Nel 1895 si trasferì a Parigi, dove conseguì il baccalaureato in lettere, ma poi seguendo le orme del padre avvocato, studiò legge a Pavia e a Genova, laureandosi nel 1899. Gli anni giovanili li trascorse prevalentemente a Parigi dove, in francese pubblicò le sue prime opere: Les vieux marins (1899); Destruction (1904); Roi Bombance (1905). Visse tra Parigi e Milano, dove fondò la rivista Poesia. Nel 1909 pubblicò il Manifesto del futurismo, un vero e proprio programma rivoluzionario. Nel 1912, nel Manifesto tecnico della letteratura futurista, Marinetti teorizzava i mezzi espressivi di un’arte adeguata ai tempi. La sua vita si svolse in maniera consona ai suoi programmi: fu costantemente in movimento per diffondere programmi futuristi, che spesso

erano aspramente contestati, ma che trovarono seguaci tra i fanatici della conquista della Libia, fra gli interventisti della I Guerra Mondiale e in seguito tra i fascisti. Violentemente interventista partecipò al primo conflitto mondiale. Aderì poi al Movimento fascista, dal quale ricevette, nonostante alcune incomprensioni e discordie, la nomina nel 1929 ad Accademico d’Italia. Morì a Bellagio (Como) nell’ottobre 1944, dopo aver aderito alla fascista Repubblica di Salò. Marinetti fu più un teorico che un grande artista: la sua importanza come poeta è inferiore a quella di organizzatore di cultura. Egli seppe dare una svolta all’arte, esprimendo la necessità di rinnovamento e d’impulso verso tematiche ed espressioni più adatte ai ritmi della vita moderna; additò alla letteratura, pur tra paradossi e velleità eccentriche, aspirazioni nuove, che furono condivise a livello europeo. In questo senso l’esperienza futurista, pur con la sua mancanza di profondi contenuti spirituali, ebbe un valore positivo di svecchiamento della cultura dalla retorica ottocentesca e di sprovincializzazione, con aperture verso l’Europa. Nei suoi testi più fedeli alle regole da lui stesso dettate, Marinetti presentava soluzioni paroliberiste, cioè parole in libertà senza nessi logico-sintattici, fortemente connotate dal punto di vista fono-simbolico.

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Fascismo e Futurismo: amore e odioLe sue opere di maggior interesse furono:

- Mafarka il futurista (1910), romanzo che esemplifica il programma espresso nel manifesto del 1909;

- La battaglia di Tripoli (1911), una raccolta di poesie che vogliono esaltare l’impresa di Libia;

- Zang tumb tumb (1914), poema futurista che evoca la guerra bulgaro-turca a cui Marinetti partecipò nel 1913;

- Spagna veloce e toro futurista (1931), ricordi di un viaggio in Spagna, qui la vena futurista comincia ad attenuarsi.

Le più significative produzioni letterarie di Marinetti sono state, però, i Manifesti, soprattutto il primo, con cui fondò il Futurismo.

MANIFESTO DEL FUTURISMO (1909)1. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo,

l’abitudine all’energia e alla temerarietà.2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno

elementi essenziali della nostra poesia.3. La letteratura esaltò fino a oggi l’immobilità

pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.

4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.

5. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.

6. Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, con sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.

7. Non v’è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo

8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.

9. NOI VOGLIAMO GLORIFICARE LA GUERRA – SOLA IGENE DEL MONDO – IL MILITARISMO, IL PATRIOTTISMO, IL GESTO DISTRUTTORE DEI LIBERTARI, LE BELLE IDEE PER CUI SI MUORE e il disprezzo della donna.

10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie di ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e ogni viltà opportunistica o utilitaria.

11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne, canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune eclettiche, le stazioni ingorde, divoratrici di siepi che fumano, le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti il sole con un

Le Figaro del febbraio 1909con il Manifesto del Futurismodi Filippo Tommaso Marinetti

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luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.

E’ dall’Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il “Futurismo”, perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquarii. Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato per rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagl’innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli.Musei: cimiteri!... Identici, veramente, per la sinistra promiscuità di tanti corpi che non si conoscono. Musei: dormitori pubblici in cui si riposa per sempre accanto ad esseri odiati o ignoti! Musei: assurdi macelli di pittori e scultori che vanno trucidandosi ferocemente a colpi di colore e linee, lungo le pareti contese!Che si vada in pellegrinaggio, una volta all’anno, come si va al Camposanto nel giorno dei morti…Che una volta all’anno sia deposto un omaggio di fiori davanti alla Gioconda, ve lo concedo... Ma non ammetto che si conducano quotidianamente a passeggio per i musei le nostre tristezze, il nostro fragile coraggio, la nostra morbosa inquietudine. Perché volersi avvelenare? Perché volete imputridire?E che mai si può vedere in un vecchio quadro, se non la faticosa contorsione dell’artista, che si sforzò di infrangere le insuperabili barriere opposte al desiderio di esprimere interamente il suo sogno?...Ammirare un quadro antico equivale a versare la nostra sensibilità in un’urna funeraria, invece di proiettarla lontano, in violenti getti di creazione e di azione.Volete dunque sprecare le vostre forze migliori, in questa eterna ed inutile ammirazione del passato, da cui uscite fatalmente esausti, diminuiti e calpesti?In verità io vi dichiaro che la frequentazione quotidiana dei musei, delle biblioteche e delle accademie (cimiteri di sforzi vani, calvarii di sogni crocifissi, registri di slanci troncati!...) è, per gli artisti, altrettanto dannosa che la tutela prolungata dei parenti per certi giovani ebbri del loro ingegno e della loro volontà ambiziosa. Per i moribondi, per gl’infermi, pei prigionieri, sia pure: - l’ammirabile passato è forse un balsamo ai loro mali, poiché per essi l’avvenire è sbarrato…Ma noi non vogliamo più saperne, del passato, noi, giovani e forti futuristi!E vengano dunque, gli allegri incendiarii dalle dita carbonizzate! Eccoli! Eccoli!... Suvvia! Date fuoco agli scaffali delle biblioteche!... Sviate il corso dei canali, pei inondare i musei!... Oh, la gioia di veder galleggiare alla deriva, lecere e stinte su quelle acque, le vecchie tele gloriose!... Impugnate i picconi, le scuri, i martelli e demolite, demolite senza pietà le città venerate!

In questo documento, che ha un contenuto ideologico più che artistico, si nota subito lo sconvolgimento che Marinetti intende apportare nella tradizione artistica, contrapponendo l’esaltazione della forza della fierezza all’atteggiamento meditabondo e rinunciatario dei decadenti. Il manifesto è un’esaltazione della modernità, della macchina, della tecnica, della città industriale, della folla e delle rivoluzioni urbane. Vi compare un’ideologia volta a celebrare gli istinti, i giovani, la danza, l’elemento ferino, la gioia della distruzione, l’amore per la guerra, la velocità, l’aggressività, l’azione violenta, gli atteggiamenti violenti, virili ed eroici, il disprezzo della donna e del femminismo. Sul piano culturale ed artistico, si propone provocatoriamente la distruzione della tradizione e del passato, delle accademie, delle biblioteche, dei musei, delle città antiche e “venerate”: si afferma un nuovo criterio di bellezza da ritrovare nella modernità. Il moderno è estetico: siamo di fronte all’estetizzazione che caratterizza tutta la società attraverso il disegno industriale, i cartelloni pubblicitari, la forma degli aerei, delle automobili, ecc. Lo stile è fatto di brevi frasi e di affermazioni successive, prive di sviluppo logico, martellanti sempre sugli stessi concetti. La perentorietà delle dichiarazioni mira a stupire e a scandalizzare, a provocare un effetto di shock violento. Si tratta di uno stile-azione, di una scrittura che riproduce il gesto violento ed è dunque omogenea al suo messaggio. “Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore...”. Sin dal 20 febbraio 1909 Marinetti pubblicava su Le Figaro di Parigi il Manifesto del Futurismo in cui enunciava un programma con istanze non soltanto artistico-letterarie, ma politiche, e nelle elezioni generali dello stesso anno lanciava il primo manifesto politico. L’Italia viveva in un’epoca di riassetto, quella giolittiana, nella quale non mancavano forti contrasti e dalla quale emergevano spinte colonialiste e slanci d’irredentismo: influenti strati sociali e gruppi intellettuali propugnavano imprese militari e coloniali che rendessero il paese una grande nazione, in aperto contrasto all’egemonia germanica e austro-ungarica.

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Su questa strada interventista e irredentista saranno molti i romantici seguaci al fianco di Marinetti, come Carrà, Boccioni, Balla, Piatti, Sironi, Depero e Sant’Elia. La campagna di Tripoli fu l’occasione per ribadire il bellicismo di Marinetti, che, inviato in Libia come corrispondente per i giornali francesi, pubblicava infatti “La battaglia di Tripoli”, in cui esaltava i caratteri della vittoria italiana. Da qui si accrescerà sempre di più il suo distacco dagli anarchici e il suo avvicinamento ai nazionalisti: sarà radicale il disaccordo dei futuristi russi.Alle elezioni del 1913 il Programma Politico Futurista veniva ulteriormente precisato: espansionismo coloniale, irredentismo, anticlericalismo, antisocialismo ne sono i cardini, e vengono anche esaltati il dinamismo e l’attivismo della civiltà moderna, il culto dello sport, dell’audacia e dell’eroismo, il predominio della ginnastica nell’educazione, il privilegio della tecnica, con il trionfo delle macchine e l’esautoramento dell’insegnamento accademico, il ritmo febbrile della vita e la modernizzazione violenta delle città “passatiste”. Nel 1914, si verificavano, con successione sempre più frequente, manifestazioni interventiste, che offrivano l’occasione per trascinanti campagne antiaustriache, sviluppate in forme spettacolari e retoriche. Lanciato l’11 febbraio 1918, il Manifesto del partito futurista italiano – che si era organizzato in Fasci futuristi – precisava le opinioni politiche del Futurismo: educazione patriottica del proletariato; lotta contro l’analfabetismo; scuole laiche; avversione all’insegnamento classico; educazione sportiva; trasformazione del Parlamento con partecipazione di tecnici e apertura ai giovani; anticlericalismo; divorzio; mantenimento dell’esercito fino allo smembramento dell’impero austro-ungarico, poi, diminuzione degli effettivi al minimo; preparazione della futura socializzazione delle terre; libertà di sciopero, di riunione, di organizzazione, e di stampa; abolizione della polizia politica; giustizia gratuita; massimo legale di lavoro giornaliero otto ore. Era un programma che conteneva fermenti di tutte le idee politiche allora in circolazione, tra cui quelle fasciste, anticipando sostanzialmente e nettamente

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molti punti del programma dei Fasci italiani di combattimento del 1919. Il Movimento arrivava a invocare il valore sociale della proprietà e la sua appartenenza legittima alla collettività, a proporre l’abolizione della coscrizione militare, alternando posizioni anarchiche e posizioni nazionaliste, oscillando tra militarismo e libertarismo, socialismo e umanitarismo.Il programma del Partito futurista italiano non si identificava però con quello del Fascismo:

- i futuristi aderenti o fiancheggiatori del Fascismo, allorché si resero conto che in alcuni punti gli intenti non combaciavano si ritirarono, non avendo potuto imporre alla maggioranza fascista la loro tendenza antimonarchica e anticlericale;

- alcuni futuristi non si iscrissero mai ai Fasci o furono figure di secondo piano nel periodo fascista.

Marinetti potè tuttavia affermare a pieno titolo che “il Fascismo nato dall’interventismo e dal Futurismo si nutrì di principi futuristi” (cfr. Futurismo e Fascismo, 1924); anche B.Croce ribadì che “per chi abbia il senso delle connessioni storiche, l’origine ideale del Fascismo si ritrova nel Futurismo” (La Stampa, 15 maggio 1924). Lo stesso Mussolini copiò letteralmente Marinetti nei suoi atteggiamenti oratori. Il Futurismo in Italia, ebbe proporzioni limitate: ripiegò presto sulle idee di patria, sognò una nazione potente, incitò all’azione e alla conquista e infine, attratto dalla coincidenza di alcune vedute fondamentali, si innestò nel Fascismo, che propugnava un programma socialnazionalista e aggressivo, in cui Marinetti, allora, si riconosceva pienamente. Il Fascismo, salvo alcune costanti, fu estremamente contraddittorio: attirava gruppi con ideologie diverse, futuristi, repubblicani, sindacalisti, ecc, assicurando a ciascuna corrente che i veri fascisti erano loro.Dal Futurismo il Fascismo prese molto, non solo nel campo dell’ideologia, ma anche in quello della pratica. Per perseguire il proprio scopo il futurismo si diede consapevolmente i mezzi adeguati per raggiungere ogni area culturale, sociale e politica. Fu il primo movimento artistico a fare un uso deliberato e massiccio di tutte le tecniche di propaganda pubblicitaria

che già si erano affermate nel commercio. Invece di snobbare il grosso pubblico, gli artisti lo andavano a cercare, lo attiravano, lo scandalizzavano, provocavano le sue reazioni emotive. La campagna culturale fu attuata come una campagna di propaganda: uso sistematico dei giornali, fondazione di case editrici e riviste, distribuzioni omaggio, annunci pubblicitari, volantini, organizzazione di eventi spettacolari e scandalistici: insomma un uso spregiudicato di tutte le tecniche di comunicazione di massa disponibili all’epoca. Strumento tipico di questo atteggiamento propagandistico è stata la formula del “manifesto”, che i futuristi utilizzavano in modo massiccio, facendone addirittura un nuovo genere letterario di pubblicità culturale, nel quale eccellevano: molti ritengono che proprio nei manifesti Marinetti abbia dato il meglio di sé come scrittore.Sul piano dell’immagine e della retorica Mussolini fece tesoro del Futurismo e continuò a farne uso, parlando fino all’ultimo di “rivoluzione fascista”, reclamando i diritti dell’Italia “proletaria” e ostentando il giovanilismo e lo stile dinamico, sprezzante, fiero e spregiudicato, l’amore del rischio e della sfida che i futuristi avevano proposto quando il Fascismo non esisteva. La maggior parte degli slogan utilizzati dai fascisti era di matrice futurista. Futuristi erano gli

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Marinetti con Mussolinidavanti a un banco libridi Roma

slogan “marciare non marcire” e “guerra sola igiene del mondo”, che il Fascismo fece propri. Dal Futurismo il Fascismo mutuò anche forme di comportamento, come quando Storace invitò i gerarchi a compiere il salto delle siepi nella corsa ad ostacoli, riecheggiando il film Vita futurista o come quando Mussolini prescriveva al federale di Milano di spostarsi, in città, in motocicletta e non in automobile. Non pochi dei Pensieri del federale paiono scritti da un futurista.Tuttavia, nonostante il Movimento futurista, oltre a contribuire alla nascita del Fascismo, sia stato poi fedelissimo al Regime, non si può stabilire una vera e propria corrispondenza tra le due correnti.

Il Futurismo preesistette al Fascismo per dieci anni, dal 1909 al 1919, ma la guerra, come sottolinea Libero Altomare in Incontri con Marinetti e il futurismo (1954), “fu fatale per il Futurismo nel senso che quell’avvenimento storico sarebbe stato il crogiolo nel quale, sotto l’azione rovente delle passioni politiche e sentimentali, si sarebbe dissolto il blocco dell’unità futurista, blocco eterogeneo, composto di personalità aventi ideologie antagoniste: nazionalismo esasperato o anarchico, liberalismo o socialismo, misticismo o semplice ateismo”: nel giro di pochi anni molti futuristi della prima ora si discostarono o uscirono dal movimento.

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Negli Anni Venti, con un gruppo completamente mutato e rinnovato, si accrebbero gli interessi politici con la fondazione di un vero e proprio Partito politico futurista e il fiancheggiamento, sia pure in posizione autonoma, ai Fasci, alla stregua di gruppi analoghi come gli Arditi, i Legionari fiumana e i Nazionalisti. Molti aderenti parteciparono ad azioni squadriste e alcuni fogli futuristi (Roma futurista, I nemici d’Italia, Testa di ferro) le sostennero. Dopo la Marcia su Roma, Marinetti fu deluso dal Regime per i compromessi realizzati con la monarchia, il padronato, la Chiesa, e si ritrovò emarginato e apprezzato solo a parole. Anche in campo artistico il Futurismo, così irrequieto e violento, era tornato comodo negli anni dello squadrismo, ma una volta al potere Mussolini aveva bisogno di orientamenti moderni più moderati, che s’intonassero al clima imperiale romano e alla piena riconciliazione con la tradizione: i futuristi ebbero uno spazio e anche una rinnovata stagione di attività, non determinando però l’indirizzo estetico del Regime.Dopo le clamorose defezioni, nel 1926 il Futurismo confluì nel Fascismo: fu un vero e proprio assorbimento, allo scopo di metterlo ai margini e di neutralizzarlo, con Marinetti giubilato definitivamente con la nomina ad Accademico d’Italia. Il “duce del futurismo” fu lieto di accettare la carica e rimase sempre fedele al Fascismo, che pure lo aveva deluso, anche negli anni della Repubblica di Salò, in cui, forse, ebbe l’illusione che il Movimento avesse ritrovato la sua radicalità. Il Movimento futurista continuò a tenere le posizioni di Fascismo estremista, con un Marinetti consapevole di occupare un settore ridottissimo e marginale della cultura italiana, ma erano sempre e comunque i futuristi a operare sui temi della politica fascista, per cui il crollo del Fascismo travolgerà anche il Futurismo.Non si può disconoscere che all’inizio il Futurismo fu una clamorosa e avvincente avventura, a cui parteciparono gran parte degli ingegni italiani, ma, in Italia, dove aveva avuto i suoi principali assertori, identificandosi con le manifestazioni più esterne e ciarlatanesche del Fascismo, finì per produrre una nuova sorta di banale conformismo, senza ispirare alcuna opera poeticamente valida.

Si tende a motivare col tema dell’esaltazione dell’aggressività della guerra la connessione tra Futurismo e Fascismo, ma occorre considerare alcuni punti fondamentali:

- il Futurismo ha preceduto ampiamente il Fascismo, che nella sua “fase rivoluzionaria diciannovista” ne utilizzava idee ed energie;

- il Futurismo ha considerato il Fascismo come la realizzazione minima di un programma politico futurista, che precedeva di fatto quello fascista del 1919; a

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Fascismo e Futurismo: amore e odio- il Futurismo ha sempre espresso una forte

nostalgia per il Fascismo “rivoluzionario” e “diciannovista”, contro il Fascismo regime;

- Marinetti considerava il suo programma politico più accessibile di quello culturale, troppo avanzato per strappare sufficienti consensi, per questo motivo ritenne di trovare nel nascente Partito fascista il braccio politico del Futurismo;

- il Fascismo voleva essere gerarchia, tradizione, classicismo, mentre il Futurismo è stato protesta contro la tradizione, lotta contro il classicismo e l’autorità;

- il Fascismo fu uno sforzo politico essenzialmente italiano, il Futurismo un movimento di carattere internazionale;

- il Fascismo doveva restaurare i valori che lo contrastavano e non poteva accettare il programma distruttivo del Futurismo, anzi, doveva fare in modo di assorbirlo e neutralizzarlo, reprimendolo in tutto quello che conservava ancora di rivoluzionario, di anticlassico, di indisciplinato.

L’alleanza con il Fascismo non ha giovato al Futurismo, soprattutto sul piano culturale, così si è trovato in una posizione difficile, tra due fuochi, trascurato dalla cultura “ufficiale” del Regime e avversato dalla cultura italiana, che, a mano a mano che il Fascismo si consolidava e imboccava la via della guerra, tendeva a dissociarsi, nei modi anche incerti e ambigui che le erano consentiti dalla dittatura, e quindi tendeva a negare i valori artistici del Futurismo che, a volte si identificavano col fascismo. q

Marinetti in uniformedi Accademico d’Italia nel 1929

Fascismo e Futurismo: amore e odio

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Dalla rivoluzione fascista alla presa del potere

Dalla rivoluzione fascistaalla presa del potereL’Italia usciva dalla I Guerra Mondiale con i suoi tradizionali problemi di assetto politico e di equilibrio sociale drammaticamente esasperati: la crisi post-bellica trovò una Nazione in uno stato di profonda prostrazione, dovuta alla struttura dello Stato e all’economia. La guerra aveva inciso a fondo sulla capacità produttiva e sulla situazione finanziaria.Una gran parte della popolazione nell’Italia pre-bellica era stata tenuta ai margini dello Stato, mantenuta in condizioni di inferiorità, di analfabetismo e disgregazione sociale, in particolare nel mondo rurale meridionale, ma alla vigilia della guerra era iniziata una fase di maggior consapevolezza delle masse, per effetto dei riflessi dell’emigrazione, del suffragio universale maschile e per opera di movimenti politici cattolici e socialisti. Lo sviluppo economico aveva, inoltre, esasperato i contrasti interni, aggravando lo squilibrio tra Nord e Sud.La guerra - nel corso della quale il Paese era giunto sull’orlo del tracollo, salvato soltanto dalla tenacia, dal coraggio e dallo spirito di sacrificio dei soldati - aveva dato, poi, alle masse l’occasione per una più rapida maturazione, ma aveva aggravato l’autoritarismo, accentuando il controllo governativo sull’attività politica, la censura della stampa e la vigilanza politica della polizia.I primi mesi dopo la fine della guerra furono, perciò, caratterizzati da grandi agitazioni sociali. La “questione sociale”, pur con la sua ampiezza e gravità, era un problema strettamente connesso alla ripresa economica e al posto che l’Italia doveva avere nel sistema internazionale: l’effettiva disparità dei vantaggi tratti dalle diverse potenze vittoriose dalla conclusione della guerra, contribuirono a creare nell’opinione pubblica italiana il mito della

“vittoria mutilata”, favorendo l’estremismo nazionalista, che ne fece un cavallo di battaglia, diffondendo largamente risentimento verso gli alleati e diffidenza e ostilità nei confronti del governo, che si dimostrava incapace di sostenere le ragioni della nazione.Nel 1919 si manifestarono gravi problematiche economiche, per la difficoltà di conversione delle industrie di guerra, per le tendenze inflazionistiche e la non equa ripartizione del carico fiscale, che divennero più acute ed esplosero in modo virulento nel 1921, con il rallentamento della produzione industriale e il conseguente aumento della disoccupazione.Il 1919 fu anche l’anno di fondazione del Partito popolare italiano di Don Sturzo e della creazione, a Torino, in seno al Socialismo, attorno alla rivista “Ordine nuovo”, di un movimento politico guidato da A.Gramsci, che provocò una scissione, nel 1921, al Congresso socialista di Livorno e diede vita al Partito

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Dalla rivoluzione fascista alla presa del potere

comunista d’Italia, in stretto legame con la Terza Internazionale.Sullo sfondo di queste incertezze e debolezze va collocato il processo di crescita e di affermazione del Fascismo: il 23 marzo 1919 Mussolini fondò i Fasci Italiani di combattimento, movimento che, all’origine, era relativamente ristretto e non aveva caratteri politici ben definiti.Il programma dei Fasci non brillava per originalità, era molto avanzato sul piano sociale, ma solo sulla carta, non avendo la forza necessaria per estendere la propria influenza sulle masse operaie e contadine: il Movimento conservava tracce cospicue dell’origine socialista e anarco-sindacalista, con un misto di dichiarazioni rivoluzionarie antiborghesi, repubblicane, anticlericali e di esaltazione nazionalistica, particolarmente adatto, in quel momento, ad incontrare i favori della piccola borghesia irrequieta, delusa e preoccupata dalla duplice pressione proletaria e capitalista, e degli ex combattenti che non si adattavano al rientro nella vita civile. Questa base programmatica, per quanto confusa, e il violento richiamo all’azione si saldavano perfettamente con altre iniziative combattentistiche e nazionalistiche.

Nelle elezioni del 1919 i fascisti subirono un inevitabile tracollo elettorale, reso ancor più cocente dal successo del Partito socialista, riuscendo ad ottenere solo quattromila voti. Mussolini cercò di minimizzare l’entità della sconfitta e il successo socialista, ma i mesi successivi furono movimentati da forti polemiche e situazioni difficili, che contribuirono non poco al processo di conversione a destra tra la fine del 1920 e gli inizi del 1921: la trasformazione fu suggellata al congresso nel maggio 1920 e l’involuzione provocò critiche e contestazioni. Marinetti, fra tutti, denunciò il progressivo allontanamento dei Fasci dalle masse, abbandonando subito, insieme ad altri futuristi, una simile congrega di “passatisti”. Mussolini si mosse con duttilità e spregiudicatezza, riuscendo, in meno di un anno, a ribaltare gli effetti della débacle elettorale, aiutato da contingenze favorevoli come l’atteggiamento di Giolitti e l’esplosione del Fascismo agrario.Ben presto il Fascismo, che divenne partito nel 1921, dimostrò di interpretare fondamentalmente le esigenze degli strati più reazionari e conservatori della realtà italiana, divenne il braccio secolare degli agrari della Val Padana, la parte più reazionaria del ceto economico italiano, e si saldò con il “partito dell’ordine”, ramificato in tutti i settori della borghesia: solo in un secondo momento anche la grande industria scoprì la convenienza di utilizzare questa forza crescente in funzione antioperaia e per riequilibrare la produzione, scossa dalle troppe frequenti manifestazioni dello scontro sociale nelle fabbriche.Il gruppo capeggiato da Mussolini, quindi, assunse una funzione nuova, facendosi interprete della volontà di una parte della classe dirigente di portare un attacco a fondo contro il movimento operaio e di stabilizzare la situazione economica, sociale, politica, promuovendo una reazione autoritaria. Abbandonando il generico e demagogico programma del 1919, i fascisti organizzarono delle squadre d’azione, che scatenarono una spietata guerriglia contro le organizzazioni dei lavoratori, uccidendo esponenti di sinistra e compiendo spedizioni punitive. Lo squadrismo si sviluppò inizialmente nella Regione emiliana e fu finanziato e sostenuto,

Una “squadraccia” fascista,armata di bastoni, si avvia a devastareun’organizzazione sindacale di Napoli.

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come offensiva reazionaria di interruzione dell’avanzata verso la democrazia, dagli agrari, che non erano disposti ad accettare le conquiste dei lavoratori. Il sostegno degli agrari e di una parte degli industriali e il consenso che le azioni squadriste ottennero dalla piccola borghesia non sarebbero stati sufficienti ad assicurare l’ascesa politica del Fascismo se non fosse intervenuto l’appoggio delle forze liberali, convinte che il movimento potesse essere utilizzato contro i sovversivi e successivamente messo da parte, una volta ripristinato l’ordine e spenti gli ardori rivoluzionari delle masse: i governi permisero che le spedizioni punitive si svolgessero liberamente e che, in vari casi, gli organi periferici, prefetti e capi militari, dessero allo squadrismo mezzi, concreti incoraggiamenti e protezione. Con quella convinzione le forze dirigenti italiane andarono incontro alla propria rovina.A Napoli, al Congresso del Partito, riunito il 24 ottobre 1922, nulla trapelò circa l’intenzione di passar all’azione, tantomeno dal discorso inaugurale di Mussolini, abile nel non allarmare governo e forze politiche. Il 26 ottobre si formò un quadrumvirato fascista, composto da De Bono, Balbo, De Vecchi e Bianchi, col compito di preparare il colpo di forza contro il governo, la cosiddetta Marcia su Roma: Mussolini, da Milano, si riservava l’impostazione e la direzione politica della manovra. Il quadrumvirato, da Perugia, avrebbe assunto tutti i poteri: la mobilitazione avrebbe avuto inizio il 27, mentre il 28, una volta occupate le località chiave, sarebbe iniziata la Marcia su Roma vera e propria. Le squadre di camicie nere si sarebbero concentrate a Santa Marinella, Monterotondo, Tivoli e Foligno, dotate di un mediocre armamento e piuttosto disarticolate quanto a disciplina militare: di fronte a loro, a difesa di Roma, c’era l’esercito, in grado di bloccare e di condannare al fallimento la marcia fascista. Non meno importante di quella militare fu la manovra politica tendente a provocare la caduta del governo Facta: tutto avvenne secondo gli auspici di Mussolini. Il Presidente del Consiglio propose al Re di decretare lo stato d’assedio, cioè di mandare le truppe contro i fascisti: il Re rifiutò di firmare il decreto e il 30 ottobre offrì, invece, a Mussolini,

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al di fuori di ogni meccanismo parlamentare e in seguito ad una pura prova di forza materiale, l’incarico di formare il nuovo governo.In questo compito Mussolini si mosse con abilità e opportunismo, evitando di rimanere prigioniero dei suoi e dei nazionalisti e aprendo alle “intelligenze e competenze migliori che vantasse l’Italia, senza preconcetti e ostracismi di parte”.

Nella presa del potere Mussolini e il Fascismo erano stati indubbiamente favoriti, a livello di opinione pubblica, da un generale clima di stanchezza iniziato con tre anni e mezzo di guerra, proseguito con due anni di violenze “rosse” e altri due di reazione fascista. Si era arrivati ad auspicare un periodo di pace, rimettendosi a chiunque la procurasse e in qualsiasi modo. q

Mussolini stringe la manoal Re Vittorio Emanuele III che gli da l’incarico di formare il governo

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Nessuna forma di governo, neppure una dittatura, può resistere a lungo senza essere sostenuta da un certo grado di consenso. Mussolini si occupò del consenso più volte, per esempio nel 1923 in un articolo, “Forza e consenso” apparso sulla rivista fascista “Gerarchia”, dove spiegò che per mantenere il potere bisognava avere il sostegno delle masse, ma che il consenso non bastava, perchè era mutevole “come le formazioni di sabbia in riva al mare”. Secondo il Duce nessun governo poteva rinunciare alla forza e, in un altro articolo, ricordò quanto diceva Machiavelli a proposito dei “profeti armati che possono resistere e di quelli disarmati che invece vanno inevitabilmente alla rovina”. La sola forza, però, non può bastare, perchè altrimenti sarebbe necessario mettere un poliziotto accanto ad ogni cittadino e ciò non possibile, quindi un dittatore per non perdere il potere ha bisogno della combinazione tra forza e consenso. Mussolini fu molto abile a creare intorno a se

il consenso e fu, inoltre, aiutato dagli errori commessi dagli avversari e dal declino del mito comunista. Nel 1921, poco dopo la fondazione del Partito comunista d’Italia, l’ideologia comunista perse consensi a causa di una terribile carestia, che provocò la morte di milioni di persone nelle Russia di Lenin. Il Movimento fascista, decisamente anti-comunista, trasse un grande vantaggio politico da questa tragedia: si creò infatti in Italia, dopo il 1921, una forte spinta conservatrice che pose fine al clima rivoluzionario del biennio 1919-1920. Mussolini sfruttò questa svolta conservatrice per salire al governo e, successivamente, per sostenere il suo Regime. Quando iniziò il Regime mussoliniano, il maggiore mezzo d’informazione e di propaganda era costituito dalla stampa periodica: il Duce riuscì rapidamente a esercitare un potente controllo su di essa, anche perché, essendo un ex direttore di giornale (diresse “l’Avanti” e “Il Popolo d’Italia”), sapeva bene come muoversi nel mondo dell’informazione. Il Regime fascista, è stato uno dei primi totalitarismi ad utilizzare, sistematicamente e intenzionalmente, i mezzi di comunicazione di massa che erano disponibili da poco. Nel 1925, il senatore liberale Luigi Albertini, direttore del “Corriere della sera”, che non era un fascista, fu costretto a dimettersi, e altrettanto dovettero fare i direttori dei grandi quotidiani di allora. La stampa fu “irregimentata”, continuando a ricevere istruzioni su ciò che andava messo e ciò che era proibito scrivere, così i quotidiani finirono per assomigliarsi tutti. Si arrivò persino a vietare la pubblicazione di alcune notizie di cronaca nera, cosicché, ai lettori, l’Italia, sembrava un “paradiso in terra”. Nei primi anni del Regime la radio non era diffusa, la televisione non esisteva ancora, le pellicole cinematografiche erano ancora mute, mentre il

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cinema sonoro avrebbe iniziato a diffondersi solo nel 1928: il controllo della stampa era quindi più che sufficiente.La cultura venne sottoposta ad un’attenta sorveglianza, poiché, almeno teoricamente, doveva esprimere gli aspetti profondi dello spirito fascista. Nel 1925 venne fondato l’Istituto Nazionale Fascista per la cultura sotto la presidenza di Giovanni Gentile. Nel 1931 esso contava 88 istituti nei centri di provincia e più di 100000 membri. Nelle antiche accademie parecchi studiosi non erano fascisti: per ovviare a questo problema Mussolini istituì nel 1926 l’Accademia d’Italia, con accademici di provata fede, ma essa cominciò a funzionare soltanto

nell’ottobre 1929. Ogni accademico percepiva l’allettante stipendio di 3000 lire al mese: fecero parte di questo istituto eminenti personalità, come il drammaturgo Luigi Pirandello, il fisico Enrico Fermi, il musicista Pietro Mascagni e lo scrittore futurista Filippo Tommaso Marinetti. Tra i suoi presidenti ci furono Guglielmo Marconi e Gabriele D’Annunzio: il filosofo Benedetto Croce e Roberto Bracco rifiutarono invece di farne parte. Tra gli intellettuali, quindi, dominava il consenso: gli oppositori costituivano una minoranza. La schiera intellettuale italiana, credeva al Fascismo, che, soprattutto nella fase

rivoluzionaria, aveva avuto il gradimento delle avanguardie italiane e in parte venne formato dalle stesse, come per esempio il Futurismo. Il Fascismo non possedeva una vera e propria ideologia e anche questo fu un vantaggio. Secondo il leader comunista di quel tempo Francesco Amendola la piattaforma politica del Fascismo si articolava attorno a 5 punti:

- esaltazione acritica della Nazione italiana;- richiesta di uno stato forte;- difesa dell’ordine costituito;- avversione al movimento operaio,

identificato con il Socialismo;- antiparlamentarismo.

Si trattava dunque di un’ideologia genericamente conservatrice, poco audace e non impegnativa. Le tre parole che riassumevano il credo fascista, come soleva dire Mussolini, erano: CREDERE, OBBEDIRE e COMBATTERE. Il Regime si accontentava, infatti, di un consenso superficiale a questa piattaforma politica: il Duce riteneva che un’adesione profonda avrebbe potuto danneggiarlo, perchè avrebbe potuto suscitare grandi attese difficili da soddisfare. Il Regime, prudentemente, si limitò ad esigere un’adesione di tipo cerimonialistico alle sue manifestazioni e organizzò, a ritmo continuo, adunate, riti e

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cerimonie con gagliardetti e bande musicali, dove molti assistevano indossando una divisa: il sabato mattina tutti gli studenti si recavano nelle aule vestiti da “Balilla” o da “Piccole italiane” al fine di essere già pronti per le adunate pomeridiane del “Sabato Fascista”. In mancanza di una vera e propria ideologia, il fattore unificante del Regime era dunque offerto dal culto della personalità del Duce: dal “Mussolinismo”. In Italia più che fascista il regime dittatoriale era da considerare “mussolinista”. Carlo Levi scrive nel 1932 che “il primo Fascismo si esaurisce con la presa del potere, dando luogo al Mussolinismo”. Un collaboratore di “Giustizia e libertà” (un’associazione di antifascisti esiliati), che si firmava “Eritreo” affermò che “la forza del Fascismo è costituita dagli antifascisti”. Questa affermazione può sembrare un paradosso, ma sostanzialmente non lo è. Infatti, gli Italiani dovevano avere tutti la tessera del Partito Fascista, cosicché, immettendo tutta la popolazione nel Partito, il Fascismo per uccidere l’antifascismo finì per eliminare il dibattito politico dalla realtà

italiana. Nel 1939 su una popolazione di 44 milioni di abitanti le organizzazioni del Partito fascista distribuivano ben 21 milioni e 600000 tessere: quasi tutti avevano in tasca la tessera di un’organizzazione del Regime, anche perché essa era indispensabile per trovare un lavoro. Nominalmente tutti gli Italiani furono fascisti e accettarono sostanzialmente il Fascismo: la maggior parte della popolazione non fece niente per passare dal consenso passivo a quello attivo, in questo modo tutto ciò che veniva fatto veniva accettato passivamente. Il consenso al Regime si estese anche perchè chi dissentiva rischiava di essere spedito senza processo al confino o addirittura essere ucciso, come accadde al deputato Matteotti. La repressione, duttile, paternalistica e corruttrice, fu sufficiente a garantire la solidità del Regime; il timore di perdere lo stipendio indusse molti al silenzio e all’adesione formale. La repressione svolse in Italia soprattutto la funzione di consolidare un’atmosfera di conformismo verso il Regime. Un gran numero di oppositori considerò quindi opportuno lasciare l’Italia. In tal modo, fino al

Un gruppodi antifascisti esliati,facenti parte di “Giustizia e libertà”

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1943, non esisteva nessuna forma di resistenza e opposizione organizzata. La “Mostra della Rivoluzione Fascista”, fu promossa per il decimo anniversario della Marcia su Roma nel 1932. Tutte le forme artistiche celebrarono la storia del trionfo mussoliniano. Sede prescelta fu il Palazzo delle Esposizioni di via Nazionale a Roma. La mostra restò aperta due anni raccogliendo ben 2 milioni e 800000 visitatori. Nelle 23 sale furono esposte opere d’arte secondo un motivo cronologico, dallo scoppio della Grande Guerra, alla Marcia su Roma, alla sala del Duce e al sacrario dei martiri. La mostra fu, nel suo insieme, curata piuttosto bene e rappresentò uno dei più audaci tentativi da parte del Regime di aderire all’estetica moderna. Le sezioni locali del Partito Nazionale Fascista erano i “Gruppi fascisti” e prendevano il nome dal quartiere dove risiedevano: in ogni cittadina, anche piccola, c’era una “Casa del Fascio”. Era presente, quindi, una rete capillare molto forte del Partito, che serviva ad organizzare il consenso. Mussolini voleva raggiungere non solo i fascisti convinti, ma anche gli “afascisti”, cioè quelli che non si interessavano di politica, soprattutto perché non si attendevano nulla dal Regime, a differenza dei fascisti convinti, che invece si aspettavano risposte che il Fascismo non era in grado di dare.Nel febbraio 1929, stipulando con la Chiesa Cattolica i “Patti Lateranensi”, Mussolini compì un nuovo grande passo in avanti nella costruzione del consenso: il mondo cattolico parlava del Duce come l’uomo della provvidenza arrivato a mettere pace tra lo Stato e la Chiesa.Il 24 marzo 1929 Mussolini fece svolgere le elezioni politiche, il cosiddetto “Plebiscito”. Siccome l’unico partito politico era il Fascismo, venne presentata una lista unica, in cui i deputati candidati venivano scelti dal Gran Consiglio del Fascismo, al quale gli elettori dovevano semplicemente esprimere un si o un no. Il Fascismo immaginò anche una finzione giuridica: nel caso in cui la lista in questione fosse stata bocciata, sarebbero state poi presentate delle ulteriori liste (sempre nominate dal Gran Consiglio del Fascismo), in modo da dare la parvenza dell’esistenza di un’opposizione. La Chiesa Cattolica invitò a votare per il si, perchè

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la nuova camera doveva attuare le disposizioni dei Patti del Laterano. I si raccolsero quasi il 90% dei suffragi, anche se le consultazioni elettorali in un regime totalitario non si potevano considerare indicatori reali del consenso della popolazione. Tra i vari elementi che concorrevano alla costruzione del consenso occorre ricordare il prestigio di cui godeva Mussolini in ambito internazionale e il fatto che il Duce assumeva di continuo atteggiamenti giovanili: andava a cavallo con in testa un pennacchio, si vestiva da ammiraglio, guidava automobile e bicicletta, pilotava aerei e trebbiava personalmente il grano. Dopo la conclusione della crisi Matteotti il culto del Duce venne sostenuto da un apparato propagandistico senza precedenti: i giornali erano obbligati a pubblicare in prima pagina gli articoli e i discordi di Mussolini, sulle pareti di migliaia di edifici vennero dipinti il suo nome e alcune sue frasi storiche come “è l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende”. La propaganda magnificò poi le istituzioni assistenziali del regime, come “L’opera Nazionale dopo-lavoro”, istituita nel 1925 per organizzare il tempo libero dei lavoratori, creare circoli ricreativi controllati dal Regime, diffondere la cultura fascista, lo sport, il turismo, il teatro e il cinema. Negli anni della dittatura si diffusero gli apparecchi radio, uno dei principali mezzi di propaganda. Mussolini si servì anche del cinema, fondò infatti, nel 1924, l’istituto L.U.C.E. (“L’unione cinematografia educativa”), grazie al quale il governo riuscì ad esercitare il controllo su tutta l’informazione cine-giornalistica. L’istituto LUCE nacque con lo scopo di documentare le cerimonie, le attività e le imprese militari del Fascismo. I documentari di attualità venivano rinnovati tutte le settimane e proiettati nelle sale nell’intervallo dei film, in modo che tutti quelli che si recavano al cinema le dovessero vedere per forza. L’introduzione dell’istituto LUCE fu fondamentale, in modo particolare perchè si poneva al centro la figura del Duce, facendo arrivare il messaggio che voleva trasmettere in modo semplice, facendo si che potesse raggiungere tutti, ma allo stesso tempo forte e

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deciso. Il Fascismo, come i regimi suoi coevi, impegnò le sue forze e ebbe una particolare inclinazione allo sfruttamento dei media. Gran parte della retorica e dell’iconografia del Regime si esercitava attorno al mito di Roma antica, alla sua forza e magnificenza: ai fascisti piaceva apparire come i diretti eredi degli antichi Romani, il Fascismo riuscì a rendere questo scopo attraverso la forza delle immagini e della monumentalità architettonica. Duce è una parola latina, “Dux”, che significa capo; il Fascio Littorio, simbolo del Fascismo, simboleggiava nella Roma antica il potere recato dai “Littori” che precedevano i magistrati; la principale città fondata da Mussolini nell’Agro Pontino si chiamava “Littoria” (oggi si chiama Latina); le gare culturali e sportive organizzate per gli universitari erano chiamate “Littoriali”; l’automotrice creata dalla Fiat negli anni Trenta prese il nome di “Littorina”; i fascisti cominciarono ad usare il braccio teso per salutare, il cosiddetto “Saluto Romano”, i soldati marciavano con il “Passo Romano”, i bambini delle elementari erano inquadrati nei “Figli della lupa”.Lo sport fu oggetto di grande attenzione da parte del Governo fascista, perchè in stretto rapporto con l’educazione della gioventù. Il rilievo dello sport nel Fascismo si divideva in due direzioni: una riguardante lo sport d’elite e una lo sport di

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La politica del consensobase, che venne sviluppato sotto l’ottica della creazione del “nuovo uomo italiano guerriero”, che, facendo un diretto riferimento a Roma e alla Grecia antica, doveva essere agile, forte e sportivo. Lo sport era usato anche come diversivo per distogliere gli Italiani da altri problemi riguardanti la Nazione. Attraverso lo sport si ottennerò però anche grandi successi in campo internazionale: il mito della velocità, già ventilato dai futuristi, si concretizzò nella “Millemiglia” con personaggi come Tazio Nuvolari; importante fu anche il successo dei mondiali di calcio svolti a Roma nel 1934 e delle Olimpiadi di Berlino, nel 1936, dove l’Italia conquistò parecchie medaglie. Il Regime incoraggiò anche lo sport femminile, in netto disaccordo con la Chiesa, perchè lo riteneva un motivo di miglioramento della razza. Il Fascismo utilizzò, perciò, di ogni mezzo, dai media allo sport, per ottenere in consenso della popolazione. q

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Il manifesto politico nel Fascismo: Gino Boccasile

Il manifesto politico nel Fascismo: Gino BoccasileTra gli strumenti di propaganda usati dal Fascismo ci furono anche i manifesti, originale mezzo di persuasione della gente, il cui impiego è stato maggiore durante i periodi di crisi per sostenere le iniziative del Governo fascista. I messaggi espressi risultavano a volte illusori, ma validi a persuadere la volontà dei più arditi e a stimolare l’orgoglio per la Patria. Durante tutto il Ventennio fascista, ci fu una grande emissione di manifesti politici, che si intensificò soprattutto durante la guerra e durante il breve periodo della Repubblica Sociale Italiana.I grafici della propaganda politica fascista provenivano da ambiti diversi dell’illustrazione, con una rilevante presenza di pubblicitari. E’ difficile individuare un linguaggio grafico predominante tra i manifesti politici più rappresentativi del Fascismo. Si va dal realismo alla Beltrame (uno degli illustratori editoriali più noti della prima guerra mondiale) al realismo simbolico di Boccasile; dal Déco, stile prettamente grafico, al più pittorico “Novecento”, fino alle soluzioni della seconda generazione futurista. Il Regime utilizzava linguaggi grafici diversi a seconda delle necessità comunicative, col dichiarato scopo di raggiungere ed avvicinare al “credo fascista” l’intera popolazione. Il successo dei manifesti politici fascisti è da ricollegare alla scelta di linguaggi grafici adatti a veicolare una comunicazione immeditata e, nella maggior parte dei casi, di facile decodificazione. Ma questo successo è dovuto anche alla pervasività assunta dai manifesti nella quotidianità degli italiani, nonché dall’elevato numero di grafici coinvolti nell’operazione.Uno dei grafici cartellonisti più importanti del periodo fu Gino Boccasile. Gino Boccasile nacque in un quartiere del centro di Bari il 14 luglio 1901 da Angelantonio Boccasile e da Antonia Ficarella. La giovinezza dell’artista fu

segnata da un terribile episodio, la perdita di un occhio in un cantiere dove era andato a giocare con gli amici. Dopo aver manifestato una precoce attitudine per il disegno terminò gli studi presso la scuola d’Arti e Mestieri nella città natale. Alla morte del padre, anche per evitare di pesare sulla madre, decise di lasciare Bari e si trasferì a Milano. Dopo qualche difficoltà iniziale, la sua abilità grafica lo aiutò ad essere assunto nello studio Mauzan - Morzenti, dove venne introdotto alla cartellonistica pubblicitaria da Achille Mauzan e dove iniziò a disegnare anche figurini e modelli d’abiti da donna. Boccasile riuscì subito ad imporre il suo stile personalissimo: le vetrine che esponevano i suoi lavori erano affollate dalle

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Il manifesto politico nel Fascismo: Gino Boccasilesignore, che ne decretarono successo e notorietà. Si fece conoscere anche esponendo due quadri al Salon des Indépendants di Parigi nel 1932. Ora Boccasile era abbastanza conosciuto e poteva contare su un largo pubblico di ammiratori. I suoi disegni erano riprodotti su numerose riviste specializzate come “Sovrana”, “l’Illustrazione” e “Fantasie d’Italia”, dettando legge nei gusti delle donne, ma anche illustrando attraverso le donne stesse messaggi di ogni tipo. Boccasile proponeva nei suoi disegni un tipo di donna florida e provocante, solare e mediterranea, utile all’immagine positiva che il Regime voleva propagandare. Infatti creò molto per la pubblicità, realizzando cartelloni, in cui, quasi sempre, il messaggio era affidato a formose ragazze dai vestiti aderenti. La popolarità arrivò con la signorina Grandi Firme, espressione che indica la serie di ”ragazze copertina” create per il restyling della rivista “Le Grandi Firme” di Pitigrilli. Le donne disegnate da Boccasile avevano delle caratteristiche abbastanza precise: cosce tornite erano sostenute da esilissime caviglie, glutei perfetti e giunonici coronavano vitini da vespa piccolissimi, cioè le tipiche forme che colpiscono le “valvole mascoline”, come lui

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stesso definiva gli impulsi erotici. La genialità del suo tratto e delle sue immagini, riuscivano ad attrarre il frettoloso passante e a comunicargli in un attimo il messaggio per cui erano state create: era una comunicazione visiva di pronta presa, con i personaggi che sembravano balzare, esplodere dal manifesto. L’importanza della componente figurativa nella propaganda fascista si evince dalla diffusione dei manifesti e, anche, delle cartoline, infatti Boccasile disegnò, oltre alle copertine di Le Grandi Firme, manifesti pubblicitari e cartoline per l’agricoltura, la tutela del risparmio, il lavoro e per le associazioni combattentistiche con persone di fattezze forti, gioiose e vigorose tipiche del suo stile.Con lo scoppio del conflitto, complice il Ministero della Guerra che lo designò grafico propagandista, la sua opera si orientò verso la propaganda bellica. Toccò a Gino Boccasile disegnare i combattenti italiani, le armi “potentissime” del Regime, le gesta dei soldati, dalle esaltanti vittorie iniziali alle prime dure sconfitte. Nel 1942, con le truppe italo-tedesche in marcia verso Mosca, fu pubblicata una serie di dodici cartoline di Boccasile (che si firmava Gi Bi), che descrivevano le atrocità dei bolscevichi e le sofferenze del popolo russo. oppresso dal Regime stalinista: sono le cartoline più crude dell’intera produzione di Boccasile. A Milano, dopo l’8 settembre 1943, Boccasile non

Questo manifesto di Gino Boccasile, pubblicato nel periodo iniziale della guerra, rappresenta l’unione del popolo italiano e tedesco per un fine comune: la vittoria. Lo schema comunicativo è impostato sulla dualità: lo slogan è proposto in due lingue (italiano e tedesco) e i due soldati disegnati sono uno italiano(il primo verso sinistra) e uno tedesco, come dimostrato dalla bandiera italiana presente sull’elmetto del primo soldato, dalle divise dei rispettivi eserciti delle nazioni dell’asse Roma-Berlino e dal corredo militari dei due militi. I personaggi sono in marcia con lo sguardo rivolto alla meta con la stessa postura per enfatizzare il concetto di unione per conseguire il medesimo obiettivo. Lo sfondo contestualizza ulteriormente la scena di guerra con colori porpurei.

Il manifesto politico nel Fascismo: Gino Boccasile

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esitò: aderì alla RSI ed ottenne un incarico presso l’ufficio propaganda. Venne nominato tenente delle SS italiane e continuò incessantemente a produrre manifesti, in uno studio protetto da militi armati. La guerra civile divampò, ma Boccasile non ammorbidì le sue posizioni politiche, anzi le radicalizzò. I suoi manifesti parlavano da soli: nessuna pietà per traditori e ribelli, resistenza armata all’invasore anglo-americano erano l’unico mezzo per riscattare l’onore dell’Italia, infangato dal tradimento. Sembra che fosse stato lo stesso Mussolini a volerlo al suo fianco negli anni della Repubblica Sociale Italiana. In questo periodo i suoi manifesti divennero celebri icone per l’Italia che non si era arresa e continuava a combattere.Il ruolo di grafico di propaganda bellica e politica ed il grado di ufficiale delle SS gli costarono alla fine della guerra un processo. Venne arrestato, incarcerato e processato per collaborazionismo, subendo, in seguito, l’epurazione e una sorta d’esilio editoriale. Assolto per non aver commesso reati, restò emarginato per alcuni anni: molti potenziali clienti avevano paura della sua firma. Riprese la sua attività dal 1946, soprattutto con la grafica pubblicitaria, cambiando leggermente il suo stile. Gino Boccasile morì a Milano nel maggio 1952. q

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Economia e ricerca nell’autarchia fascista

Economia e ricercanell’autarchia fascistaLa politica economica nel Regime fascista fu la naturale evoluzione della situazione italiana a partire dalla fine del XIX secolo.Nell’Ottocento in Italia si potevano rintracciare numerosi piccoli centri di ricerca legati alle università, ma non in contatto tra loro e lontani da una scienza di tipo applicativo, come invece richiedevano i settori industriali settentrionali, soprattutto per far fronte alla dipendenza dalle importazioni estere di materie prime e prodotti. Le carenze in questi settori, vennero alla luce durante il primo conflitto mondiale e il mondo scientifico italiano reagì portandosi su posizioni nazionalistiche: divenne fondamentale lavorare per lo sviluppo di una scienza sperimentale, applicata alle necessità del paese. Questo impegno, si tradusse nella volontà di valorizzare le risorse e promuovere le ricerche nazionali attraverso la nascita di organizzazioni, quali il Comitato nazionale scientifico-tecnico per lo sviluppo e l’incremento dell’industria italiana di Milano (1916) e l’Ufficio invenzioni e ricerche di Roma (1919). Terminato il conflitto, la scienza italiana si concentrò sulla risoluzione di due dei problemi fondamentali per un paese ancora ampiamente agricolo come l’Italia di quegli anni: la ricerca di nuovi fertilizzanti e il raggiungimento dell’indipendenza dai combustibili importati. Per svariati prodotti – dai coloranti alla cellulosa, dall’alcool ai laminati metallici – lo slogan dell’indipendenza produttiva divenne, però, ben presto una facciata, dietro la quale venivano giustificate tutte le scelte scientifiche e le continue richieste di interventi economici statali rivolte dagli industriali al governo. Durante gli Anni Venti le iniziative nazionalistiche vennero inizialmente accantonate in un clima di crescita economica basata su scelte di tipo liberista e sugli scambi con l’estero ma, fomentata dal Regime, rimase viva una retorica nazionalista che servì,

soprattutto al mondo economico-scientifico, per ottenere garanzie di intervento pubblico e protezione rispetto ai prodotti esteri.Nel dopoguerra si verificò una crisi economico-finanziaria, con gravi difficoltà di ripresa, dovute all’inflazione delle monete europee nei confronti del Dollaro e della Sterlina, che aumentò a dismisura i costi d’importazione, ancorati a queste monete, delle materie prime indispensabili alla crescita industriale.Gli anni 1923-1925 segnarono una congiuntura favorevole, con il rafforzamento del potere d’acquisto della lira, che secondo le idee di Mussolini sarebbe dovuto aumentare ancora attraverso la politica di “quota novanta” attuata tra il 1925 e il 1927. Lo slogan indicava una politica finanziaria volta a consolidare il valore della Lira sul mercato monetario. Nel 1925 la Sterlina, moneta di riferimento internazionale, valeva 153 lire; l’obiettivo del Duce era di abbassarne la quotazione a 90 lire attraverso una politica deflazionistica, che implicava la riduzione del credito alle imprese e della moneta circolante, e una forte contrazione salariale. Effettivamente si ottenne un ribasso dei prezzi e la Lira scese alla quota prevista nel 1927. Il Regime approfittò di questo aattuando un rilancio dell’agricoltura e opere di bonifica dell’Agro Pontino. Era intento di Mussolini creare l’immagine di un’Italia forte e progredita, degna erede dei fastigi dell’antica Roma.Nota positiva di questo periodo fu nel 1923 l’istituzione del “Consiglio nazionale delle ricerche” (CNR) che, attraverso propri comitati disciplinari, avrebbe dovuto occuparsi di indirizzare la ricerca del paese, compresa quella universitaria, verso la valorizzazione delle risorse nazionali. Il nazionalismo tecnico-scientifico riprese apertamente con la crisi economica del 1929

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che coinvolse tutti i paesi partner economici dell’Italia e successivamente anche la penisola, dove nel CNR si fece strada una linea politica definibile come pre-autarchica, che prefigurava un paese in grado di scegliere una propria via di sviluppo legata ad un’economia ancora prettamente rurale.Dopo le riduzioni che avevano seguito la crisi del 1929, stipendi e salari erano stati di nuovo aumentati per adeguarli al carovita. Nelle città le comodità della luce elettrica, dell’acqua corrente e del riscaldamento erano ora molto più diffuse e sia nelle case nuove che in quelle ristrutturate, si installavano bagni e docce. Su una popolazione di 42 milioni di abitanti si contavano in quegli anni oltre 4 milioni di biciclette e circa 200.000 motocicli e ciclomotori. Non più di 250.000 erano le vetture private che circolavano: le più diffuse erano la Balilla e la Topolino, lanciata proprio in quegli anni dalla FIAT al prezzo di 8.900 lire. Ogni luogo di ritrovo era dotato di un apparecchio radio, a cui d’altronde il Fascismo affidava buona parte della sua propaganda. Si stavano diffondendo anche gli apparecchi radiofonici di proprietà privata, i cui costi erano però elevati: una radio di tipo economico poteva costare circa 500 lire (un’esagerazione), che corrispondeva a circa un mese di paga, un ciclomotore 1800 lire, una moto di 250 cc 5500 lire e una macchina fotografica 360 lire. Per la popolazione, al di là degli entusiasmi delle piazze, delle parate e dell’orgoglio inculcato da una cultura sempre più nazionalistica e sempre meno libera, il tenore di vita quotidiano era assai modesto, con forti dislivelli sociali e talvolta al limite della sopravvivenza nelle campagne e nel meridione. Per le famiglie operaie, il cui livello di vita restava modesto, esistevano spacci aziendali o cooperativi che vendevano prodotti a prezzi contenuti. Nelle campagne dell’Italia centro-settentrionale le famiglie contadine avevano ottenuto condizioni di vita migliori, ma una buona parte delle abitazioni erano ancora prive di riscaldamento (esisteva solo un grande camino), di acqua corrente (si usava un pozzo nel cortile) e di luce elettrica.Nel Mezzogiorno e in Sicilia molte famiglie dei ceti meno abbienti continuavano a vivere

in abitazioni cadenti e potevano contare su paghe molto basse, del tutto insufficienti a garantire la sopravvivenza per tutto l’anno. Da qui l’importanza degli usi civici e delle attività complementari e integrate. Molti contadini svolgevano così in Italia diversi lavori: erano al tempo stesso braccianti, fabbri, falegnami o lavoravano alla manutenzione delle strade e delle linee ferroviarie. Nella paga giornaliera del bracciante agricolo erano spesso incluse una razione di pane e di vino.Mentre nel resto d’Europa gli stati più forti avevano avuto, negli Anni Trenta, una reale e sostanziosa ripresa economica, soprattutto grazie al New Deal americano e all’impennata della produzione industriale, la solidità economica italiana era frutto della propaganda fascista più che una realtà; ciò fu evidente quando Mussolini, per salvaguardare il prestigio italiano, nel 1940 entrò in guerra a fianco della Germania, sperando in una facile vittoria che avrebbe rafforzato il suo partito, senza tener conto delle reali risorse che aveva a disposizione.La posizione nazionalista del CNR fruttò all’istituzione l’appoggio del Fascismo che si impose per il passaggio della presidenza dalle mani di Vito Volterra, aperto oppositore del R egime, che durante il suo quadriennio di presidenza non ricevette i fondi necessari ad un adeguato sviluppo del Consiglio, a quelle di Guglielmo Marconi. Però, anche con il nuovo

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presidente, il CNR non riuscì a svincolarsi dalle università, uniche a possedere i laboratori necessari per la ricerca, e si ridusse a luogo di scontro dei gruppi accademici; inoltre non raggiunse l’obiettivo di controllare totalmente i ricercatori, che continuarono ad occuparsi di ambiti tecnologici più avanzati e più astratti quali la fisica nucleare. La via d’uscita fascista dalla crisi economica attraverso il corporativismo favorì l’affermazione del CNR come organismo in stretto contatto con la politica statale anche se gli scienziati attesero il periodo di mobilitazione per la guerra d’Africa per vedere riconosciuto il Consiglio nazionale delle ricerche nella struttura corporativa e per ricevere i contributi economici governativi.Solo a partire dal 1933-34, con lo stretto controllo dello Stato sulle importazioni, e dal 1935, anno delle sanzioni, al CNR venne affidato il fondamentale compito di risolvere il problema delle materie prime e favorire la sperimentazione e la distribuzione di surrogati utili all’impegno bellico.La necessità di fare da se con quel che si aveva, venne chiamata autarchia, dal greco “Autarkeia” (bastare a se stesso), cioè un paese che possa produrre all’interno tutto ciò di cui ha bisogno rendendosi indipendente dall’estero.L’arte secolare dell’arrangiarsi, riveduta e corretta, tornò prepotentemente di attualità. Non esportando formaggi, dal latte in esubero e quindi dalla caseina si ricavò il Lanital (un tipo di lana); dalla ginestra e dai fiocchi di canapa si ottenne un succedaneo del cotone, il Cafioc; dalla canapa si otteneva già abbondantemente fibra per sacchi e lenzuola. Il vino fu trasformato talvolta in alcool e usato come combustibile per i motori (funzionavano discretamente con questo carburante). Intanto sui giornali americani comparivano vignette satiriche e affermazioni spesso gratuite: “Sono ritornati al fuoco delle fascine, basterà ancora una spinta e torneranno ai carri con le ruote di pietra “. Non avendo petrolio, gomma, acciaio, a breve termine questa era la prospettiva comune per chi non sottostava alla loro sfida economica, sostituitasi ormai a quella coloniale. L’Italia stava quindi offrendo al mondo una immagine di miseria e di povertà di risorse a discapito di tante altre ricchezze e

virtù misconosciute. Mancando la cellulosa, si riducevano le pagine dei giornali, e perfino la carta bollata fu portata a mezzo foglio. Mancava la gomma e il cuoio, così gli italiani iniziarono a tagliare i vecchi copertoni e farne suole da scarpe. Dalla famosa suola in Vibram dei rocciatori del Montercervino scendeva il mito della scarpa tecnologica, che prendeva il nome da Vitale Bramani, l’italiano che l’aveva appunto inventata nel 1936. A casa si indossavano sempre vestaglie e camicie col collo rifatto con le parti basse, si riutilizzavano e riciclavano maglie vecchie. Le lamette da barba americane da poco arrivate in Italia, conobbero subito il tramonto: rispuntò così il rasoio che era stato messo da parte. Le ossa degli animali si raccoglievano in appositi contenitori per bollirli e saponificare. Con l’olio d’oliva non esportato si confezionavano le saponette da toilette. Poi, anche quello da bucato, in previsione della guerra fu razionato con la tessera. Il Coloniale Carcadè rimpiazzò il the, la lignite il carbone, la cicoria il caffè e il coniglio diventò pelliccia. I risultati sul piano scientifico non furono dei migliori, poiché il governo pretendeva dagli scienziati l’avallo tecnico di teorie non

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applicabili o che avrebbero necessitato di lunghe e costose sperimentazioni e quindi gli uomini di scienza ricoprirono più che altro un ruolo propagandistico, fornendo giustificazioni razionalistiche, attraverso numerosi interventi pubblici, alla politica autarchica governativa. Anche nel 1936 il Paese sentì fortemente il peso delle importazioni legate alla necessità di liquidare i debiti contratti con l’estero prima delle sanzioni e quindi il Fascismo continuò a sostenere una politica autarchica limitata alla contingenza. Solo nel 1937 Mussolini volle riorganizzare il CNR, garantendogli gestione autonoma e personalità giuridica e ponendolo sotto la sua diretta dipendenza. Ma, l’avversione del ministro dell’Educazione nazionale Giuseppe Bottai, contrario alla possibilità che il CNR creasse propri laboratori al di fuori delle università e delle organizzazioni industriali, che non volevano un controllo diretto del governo sull’ente, oltre alla scomparsa di Marconi, rallentarono l’opera del Consiglio che ritardò di un altro anno il suo impegno attivo per l’autarchia. Per il Fascismo questa era la parola d’ordine che doveva riguardare tutti i settori produttivi italiani – dai combustibili fossili, ai carburanti, dall’energia elettrica ai prodotti tessili, dai metalli ad una vasta gamma di prodotti chimici – soprattutto dopo gli scarsi risultati raggiunti nelle colonie, le quali fruttarono all’Italia solo poco

oro, pelli e caffè (utilizzato per l’esportazione contro valuta) che non riuscirono a contrastare l’enorme incidenza sui bilanci statali dei costi militari e di ricerca per la guerra. Le conquiste coloniali inoltre aggravarono i problemi del Regime costretto ad occuparsi autarchicamente – così come voleva – della sussistenza di un paese con ampi confini. Il mondo scientifico venne chiamato a lavorare per il Fascismo che mirava ad allargare il proprio impero attraverso un nuovo conflitto; dal canto loro gli scienziati traevano benefici economici e tecnici dalle spinte governative. Si innescò così un rapporto molto stretto fra scienza e autarchia e gli studiosi si trovarono spesso a condividere le posizioni degli industriali italiani, i quali, nel corso di convegni o sulle pagine dei giornali, chiedevano incessantemente di incrementare la ricerca per permettere la realizzazione dell’autarchia. Mussolini rispose alle pressioni mettendo a capo del CNR Pietro Badoglio che aveva accumulato fama e ricchezze nell’impresa coloniale e che avrebbe dovuto fare da tramite tra il mondo imprenditoriale, la ricerca e le forze armate, delle quali era capo di stato maggiore generale, indispensabili in previsione di un nuovo sforzo bellico. Anche in questo caso le aspettative furono disattese per la difficoltà di gestire finanziamenti che mutavano di giorno in giorno con gli umori del Duce e a causa dell’impossibilità di elaborare

il Duce in un campo di grano

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Economia e ricerca nell’autarchia fascistaun piano organico di interventi e di costruire laboratori alternativi a quelli universitari per sottrarre loro gli indirizzi di ricerca. L’impegno economico profuso nelle imprese del Consiglio nazionale non venne sfruttato neppure dalle forze armate per il conflitto e il CNR divenne quasi un’agenzia pubblica, di consulenza, alla quale tutti, dagli enti pubblici ai privati cittadini, si rivolgevano per avere risposte su problemi connessi all’autarchia; alla fine degli Anni Trenta gli unici risultati di rilievo furono la riorganizzazione del Comitato talassografico italiano e la nascita della rete geofisica nazionale. Con l’inizio del secondo conflitto mondiale l’attività del CNR, già minata dalle carenze nelle strutture e duramente colpita nel 1938 dalle leggi razziali che allontanarono molti dei ricercatori, andò progressivamente riducendosi fino alla paralisi definitiva del 1943. Sul piano dell’autarchia molti scienziati e tecnici italiani misero in campo tutte le loro capacità per farsi partecipi dell’attività del Consiglio nazionale giungendo a differenti risultati.Vi furono da un lato, le ricerche realizzate solo grazie all’autarchia, cui si riduce solitamente il ricordo di tutta la scienza fascista che non raggiunsero i risultati sperati (sono gli indirizzi, tutti italiani, di alcune ricerche sulle fibre tessili e sulle produzioni alternative di cellulosa o quelli di carattere più internazionale, sulla scia di Francia e Germania, dei gassogeni e del cemento armato) e da un altro ricerche importanti che non vanno dimenticate come quelle sui polimeri di Giulio Natta, che grazie all’IRI e alla Pirelli faranno dell’Italia un paese all’avanguardia nel campo delle materie plastiche nell’immediato dopoguerra; a queste, si aggiunsero gli studi industriali sull’esplosivo T4 o sullo sviluppo di brevetti stranieri, senza l’intervento dell’università, nei settori dell’idrogenazione dei combustibili e del magnesio. q

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La stabilità raggiunta dal Fascismo dopo il 1924 fu accompagnata da provvedimenti in campo economico, come le bonifiche delle zone paludose e l’assegnazione delle terre ai braccianti, ma l’intervento più imponente fu rivolto alla produzione agricola, con l’ambizioso progetto di rendere autonoma la Nazione nella produzione del grano, che rappresentava il 50% del deficit della bilancia dei pagamenti, con oltre 1/3 di importazioni.Con l’aumento della superficie coltivata del 15%, la produzione, grazie a nuove varietà, viene incrementata del 50% e si raggiunge l’autosufficienza: la “battaglia del grano” fu un successo che portò al rilancio dell’agricoltura, all’introduzione e all’utilizzo dei concimi, delle varietà selezionate, delle prime macchine agricole e dei trattori, ma nel 1927 il prezzo dei cereali sui mercati esteri crollò. La messa a cultura del grano si realizzò a scapito delle culture trainanti, specie nel Meridione, tradizionali ed esportabili.La “battaglia del grano”, giunta al suo massimo produttivo con le nuove terre dissodate, andò a saldarsi con le sanzioni “etiopiche” e l’autarchia.Quando le ristrettezze economiche aumentarono, si riscoprì l’uso del pesce di mare e il consumo del riso, autoctono e abbondante, favorendo l’impiego stagionale delle mondine.

Le aree urbane, piazze, aiuole, giardini pubblici, parchi, precedentemente destinate a verde pubblico o privato, venivano utilizzate per la coltivazione, enfatizzando, per motivi propagandistici, la trebbiatura nelle piazze principali delle città.Nelle scuole, al posto dei fiori, si seminavano chicchi di grano, mietuto alla fine con una grande festa.

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Il Fascismo nel Ventennio: dall’ascesa al declino

Il Fascismo nel Ventennio:dall’ascesa al declinoIl primo governo formato da Mussolini non rappresentava ancora una svolta radicale, ma era pronto a ristabilire l’ordine: impresse alla politica economica un orientamento diverso, lasciando libero corso alle forze imprenditoriali dell’industria, della finanza e dell’agricoltura, mentre la sconfitta delle organizzazioni sindacali e dell’opposizione della Sinistra permetteva al padronato di diminuire i salari. Su queste basi, e con l’adozione di una politica finanziaria di rivalutazione della Lira iniziò la ripresa economica. Fu una breve parentesi che servì ai fascisti per organizzarsi e presentarsi compatti e aggressivi alle successive elezioni: si procedette, così, all’instaurazione di un regime autoritario e alla concentrazione del potere nel Partito e nel suo capo, con un’opera di svuotamento delle istituzioni parlamentari e di creazione di uno Stato nuovo, dittatoriale. Per le elezioni del 1924 fu preparata una legge elettorale che assicurava la maggioranza assoluta alla lista governativa: la vittoria elettorale fu ottenuta con la ripresa delle intimidazioni e le violenze dello squadrismo, ma anche con i “brogli”. All’indomani delle elezioni, il deputato socialista Giacomo Matteotti, che aveva denunciato in Parlamento le illegalità e le violenze compiute nel corso della campagna elettorale, fu ucciso da sicari fascisti: lo sdegno che percorse l’opinione pubblica per questo crimine fece vacillare il Regime, ma la crisi fu superata con l’appoggio di Vittorio Emanuele III. Mussolini formò il nuovo governo e si presentò alle Camere con volto diverso, imponendo leggi autoritarie, le Leggi fasciste del 1925-26: il Gran Consiglio del fascismo, un’assemblea dei maggiori esponenti del partito, divenne organo di Stato ed esautorò il Parlamento; i poteri del capo del governo, responsabile solo davanti al Re, furono accresciuti; fu creata la Milizia volontaria per la Sicurezza Nazionale, corpo armato del

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Partito; furono posti limiti alle attività sindacali e politiche, dichiarando decaduti i deputati dell’opposizione, abolendo le autonomie locali, con i podestà nominati dal governo, sciogliendo i partiti, tranne quello fascista, e i sindacati, sostituiti dalle Corporazioni, dominate dal Partito; furono abolite la libertà di stampa e di associazione; fu istituito il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, organo di persecuzione contro gli antifascisti, che stroncava ogni opposizione con la forza, le epurazioni, il carcere, il confino e la morte per percosse, cosicché molti tra gli antifascisti più attivi preferirono l’esilio per continuare, in clandestinità, la resistenza attiva.Ormai il Duce non aveva più limiti al suo potere e anche il Re era praticamente relegato a una funzione soltanto rappresentativa.In Italia la crisi del 1929 rimise in discussione le scelte del Regime ed ebbe gravi ripercussioni economiche: aumentò la disoccupazione e rese più misere le condizioni dell’agricoltura che non trovava mercati adeguati, anche se l’intervento statale a sostegno delle industrie, con l’originale sistema dell’economia mista, statale e privata, permise una graduale ripresa. Mussolini, però, riuscì a consolidare ulteriormente il Regime, realizzando la Conciliazione tra lo Stato italiano e la Santa Sede mediante i Patti lateranensi. Per trovare rimedio alla depressione e per dare

prestigio alla nazione si progettarono nuove conquiste coloniali: senza una sostanziale opposizione delle potenze occidentali, anzi con indiretti appoggi diplomatici Mussolini preparò e condusse a termine nello spazio di sette mesi, fra il 1935 e il 1936, la conquista dell’Etiopia, guerra sanguinosa e crudele che entusiasmò le folle e servì a rafforzare il prestigio del Regime, anche in campo internazionale. L’attacco all’Etiopia fu contrastato, soprattutto moralmente, dalla Società delle Nazioni che comminò all’Italia sanzioni economiche, anche se poco efficaci. La guerra civile in Spagna saldò un’alleanza tra la Germania e l’Italia: Mussolini e Hitler decisero, infatti, di inviare aiuti militari all’esercito franchista. La successiva sconfitta della Spagna repubblicana modificò notevolmente il panorama politico internazionale: l’alleanza italo-tedesca, sancita nel 1936 con l’Asse Roma-Berlino, e il successivo inserimento del Giappone, Patto anti-Comintern del 1937, erano i segni di una accelerazione della spinta aggressiva che avrebbe poi portato allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, con l’uscita dell’Italia dalla Società delle Nazioni, l’emanazione di un decreto razzista nel 1938, sulla scia della campagna anti-ebraica tedesca, l’invasione dell’Albania e il Patto d’Acciaio con la Germania, nel 1939, che definì l’inseparabilità dei destini, italiano e tedesco, in caso di guerra per la conquista dello “spazio

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vitale”. Nel settembre 1939 la Germania entrò in guerra, seguita dall’Italia il 10 giugno 1940, poiché Mussolini ritenne d’intervenire, per poter condividere con la Germania i frutti della vittoria. Nel settembre 1940 anche il Giappone aderì al patto tra Italia e Germania, che si trasformo in Patto Tripartito. Per dimostrare il suo dinamismo Mussolini decise di attaccare improvvisamente la Grecia, attraverso l’Albania, convinto di ottenere un rapido successo e di trarre vantaggi territoriali facili. Il prestigio del Duce risultò gravemente compromesso, perché all’attacco corrispose una controffensiva greca che rese fallimentare la spedizione, mentre nelle colonie d’Africa si soffriva la predominanza degli Inglesi, con Addis Abeba che cadeva nel 1941: la situazione divenne sempre più grave quando ci si rese conto che il Paese non era in condizione di condurre una guerra parallela ed autonoma, senza la stretta tutela delle armate tedesche. La Grecia fu occupata dalle forze italo-tedesche, dopo una lunga resistenza, nell’aprile 1941. Nel giugno 1941 scattò l’Operazione Barbarossa e la Germania sferrò un attacco a sorpresa contro la Russia, cui si affiancarono subito truppe italiane, ma al sopraggiungere dell’inverno il piano della guerra lampo naufragò definitivamente e per le truppe italo-tedesche, nel 1943, il ripiegamento fu inevitabile e disastroso: iniziò così un’inversione di tendenza di tutta la guerra a discapito delle forze dell’Asse. Con l’entrata in guerra degli Stata Uniti si ebbe un capovolgimento degli equilibri e, quando nel luglio del 1943 gli Alleati sbarcarono in Sicilia,

lo sfacelo del Regime fascista raggiunse il culmine. Sotto l’incalzare di questi avvenimenti il 25 luglio1943 il Gran Consiglio del Fascismo votò una mozione di sfiducia a Mussolini, che fu costretto a dimettersi: il Re lo fece arrestare e affidò al generale Badoglio l’incarico di formare un nuovo governo, che a Cassabile firmò un armistizio separato con gli Alleati l’8 settembre1943. Nessuna misura era stata prevista per prevenire la reazione dei Tedeschi: il Re e il governo abbandonarono Roma e fuggirono a Brindisi, mentre tutte le forze di opposizione al Fascismo si organizzavano nel Comitato di Liberazione Nazionale, iniziando la Resistenza partigiana contro i Tedeschi, che non lasciarono il Paese, ma ne fecero territorio di occupazione e di battaglia. Pochi giorni dopo l’armistizio, Mussolini, liberato a Campo Imperatore sul Gran Sasso da paracadutisti tedeschi, ricostruì un governo fascista “fantoccio”, la RSI, a Salò, sotto la tutela tedesca. Con la liberazione del Nord, Mussolini tentò di fuggire in Svizzera, ma fu catturato a Dongo e fucilato. q

Mussolini (al centro) con il cancelliere austriaco Dolfuss (a sinistra) nel 1933. A quei tempi, il Duce non vedeva di buon occhio l’ascesa al potere di Hitler e cercava di proteggere l’Austria dalle sue mire, come avvenne nel 1934 dopo l’assassinio di Dolfuss. L’Italia era vicina alle potenze occidentali (Francia e Inghilterra) ma cambiò orientamento a partire dal 1935.

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Il regime hitleriano:dall’ascesa al declinoQuando Hitler prese il potere in Germania il 30 gennaio 1933, non lo fece come dittatore, ma attraverso un percorso, nella forma costituzionale, almeno apparentemente perfettamente democratico. L’ex artista fallito e ipnotico retore austriaco, che aveva infiammato gli animi di reduci umiliati, disoccupati e delusi dai provvedimenti seguiti alla sconfitta della Germania nella Grande Guerra, aveva ottenuto la carica di capo del governo come ogni abile politico: conquistando il favore della gente, raccogliendo voti. Le responsabilità oggettive del popolo tedesco nella scalata al potere di uno dei peggiori criminali della storia non sono quindi nulle, infatti, benché per conseguire il suo scopo Hitler avesse blandito con astuzia ogni ceto sociale, minimizzando gli aspetti estremistici del suo progetto politico, la Germania degli Anni Trenta conosceva perfettamente dove si dirigesse l’utopia del programma hitleriano, potendo acquistare facilmente in libreria una copia del Mein Kampf, il testo in cui Hitler esplicava i punti fondamentali del Nazionalsocialismo.La Germania della Repubblica di Weimar, era una nazione attraversata da continue incertezze politiche, economiche e sociali, un territorio nel quale, dopo la crisi di Wall Street del 1929, gli estremismi politici trovarano terreno fertile. Gli

scontri tra simpatizzanti comunisti e nazisti, e tra questi e le forze dell’ordine, erano cronaca quotidiana. Il vento del “Leninismo” soffiava sul continente europeo e la stessa socialdemocrazia, che governava in quel momento in Germania, ne sembrava travolta. Quello che i nazisti offrivano al popolo tedesco era ciò il popolo aspettava di sentirsi proporre: recupero dell’orgoglio nazionale, ritorno all’ordine e alla stabilità e difesa di determinati privilegi di corporazione. Non si può però definire il Nazismo solo un movimento conservatore: esso fu, soprattutto agli esordi, un incoerente miscuglio di reazione e rivoluzione. Un deliberato proposito di vaghezza ideologica caratterizzò quindi i primi passi del Partito Nazista, che intendeva così blandire il maggior numero di tedeschi. Mentre le forze politiche concorrenti rappresentavano un preciso blocco sociale e determinati interessi, i propagandisti nazisti arrivarono a modificare il proprio messaggio a seconda di chi avevano di fronte. Un aspetto che non subiva adattamenti di circostanza era però il razzismo. Nei 25 punti del programma hitleriano, infatti, questo elemento, insieme al disprezzo per la Repubblica di Weimar e a un nazionalismo intransigente, assurgeva a vero e proprio segno distintivo dalle

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altre forze politiche. Alle elezioni nazionali del 1930, i nazisti ottennero sei milioni e mezzo di voti e risultarono il partito più votato dopo i Socialdemocratici. Fu proprio nella caotica situazione politica dei primi Anni Trenta che il Nazismo riuscì a sfruttare la situazione e a raccogliere un consenso sempre maggiore nelle frequenti consultazioni elettorali.Nel 1932, il governo tedesco indisse nuove elezioni nazionali, nel tentativo di creare una maggioranza in grado di garantire una normale legislatura. In questa occasione i nazisti eseguirono un capolavoro propagandistico, bilanciando un’abile campagna di attivismo (parate e convegni) ad atti di squadrismo per zittire la voce degli avversari. Entrambi questi comportamenti diedero ai tedeschi una duplice sensazione: che i nazisti avessero uno slancio idealistico superiore agli altri attivisti (le strade erano ricoperte da manifesti e volantini e i muri erano dipinti con svastiche ovunque) e che il futuro fosse inevitabilmente loro. Pur non diventando la maggioranza assoluta, il Nazismo salì al governo, con Hitler nominato Cancelliere nel gennaio 1933 dal Presidente della Repubblica di Weimar Hindenburg.Il Führer fin da subito cominciò a creare un regime totalitario senza precedenti, sulla falsa riga di quello dell’Italia mussoliniana: ogni elemento fu strutturato, nulla fu lasciato al caso, e diversi elementi permisero a Hitler di impossessarsi del potere assoluto. Il primo passo avvenne nel febbraio 1933: il giorno 27 un anarchico olandese appicco il fuoco al Reichstag di Berlino. Questo atto servì a Hitler per sostenere che la Germania era sul punto di una rivoluzione comunista. Il giorno seguente ottenne da Hindenburg l’approvazione del decreto “Leggi per la Difesa del Popolo”, che consisteva in una sospensione “temporanea” dei diritti civili. Le formazionji S.S. e S.A. ne approfittarono subito scagliandosi contro ebrei, comunisti e oppositori in generale.A marzo dello stesso anno si tennero nuove elezioni, che diedero ai nazisti la maggioranza tanto agognata: insieme agli alleati nazionalisti ottennero il 52% dei voti. Due settimane dopo Hitler strappava, da un Reichstag obbediente, una legge che dava al Führer i poteri assoluti:

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promulgare leggi, stabilire il bilancio, firmare trattati con paesi stranieri e attuare emendamenti alla costituzione. La libertà era morta definitivamente. Il progetto di nazificazione della Germania partì senza indugi e prese il nome di Gleichschaltung (Coordinamento). Come prima cosa tutti i partiti al di fuori del Nazismo furono sciolti, così come i sindacati. Ogni istituzione, organizzazione, associazione doveva essere sotto il controllo del partito Nazista.La “rivoluzione nazista” fu il prodotto di tre elementi:- utilizzazione dell’autorità, legalmente

ottenuta, per impadronirsi delle risorse dello Stato e del suo apparato amministrativo;

- deliberata ignoranza della legge e dell’ordine;

- propaganda.Hitler, la cui autorità era assoluta, puntò alla costruzione di un sistema di potere dove qualsiasi carica avesse uno e più corrispettivi o concorrenti in altre sezioni, in modo da limitare i poteri delle altre personalità rilevanti del Nazismo, mantenendo saldo nelle sue mani il controllo dello Stato.La nazificazione della Germania continuò inarrestabile. Il 1935 si rivela un anno fondamentale sulla strada dell’edificazione totalitaria. A quel tempo risalgono infatti le “Leggi di Norimberga”, con le quali il Regime cominciava a dare una strutturazione al

progetto razzista di discriminazione prima e di annientamento poi degli ebrei e delle altre “razze inferiori”. Con queste leggi Hitler assecondava le spinte di quella frangia di partito che vedeva nell’adottamento di misure antisemite un elemento fondante della “rivoluzione nazista”. La persecuzione, quindi, venne regolamentata, e avrebbe raggiunto, durante la II Guerra Mondiale, il culmine con la “Soluzione Finale” e gli orrori delle deportazioni nei Lager, su tutti quello di Auschwitz. La nazificazione, agì con straordinaria efficacia anche nei confronti della Magistratura. Nell’amministrazione pubblica, Hitler puntò a inserire elementi fedeli al partito tra i magistrati. Oltre a loro, anche avvocati e giudici finirono nella maglie del Regime. La stessa procedura giudiziaria subì una sorta di rivoluzione ideologica: gli avvocati diventarano responsabili di ogni azione dell’assistito, i giudici che non agivano nel perfetto interesse del Partito nazista erano passibili di dimissioni coatte e il potere dei pubblici ministeri accrebbe a dismisura, usurpando molti poteri del giudice. La nazificazione dell’ordine giudiziario portò anche ad un inasprimento delle pene: se nel 1933 i reati punibili con la pena di morte erano solo tre, dieci anni dopo diventarono più di 40. Il capo del Reich decretò anche che ogni cittadino tedesco poteva essere arrestato senza processo: ciò permise ad S.S. e Gestapo di agire indisturbate nei confronti

Dopo il fallimento del colpo di stato del 1923, Hitler fu condannato a cinque anni di carcere. In prigione Hitler scrisse un libro-manifesto, il Mein Kampf (La mia lotta), dove esponeva la sua concezione del mondo e del futuro della Germania. Sviluppava volgari idee razziste e pangermaniste ed esaltava il culto dello stato e la subordinazione dell’individuo agli interessi nazionali. Affermava la necessità di appoggiare senza riserve una dittatura guidata da un capo supremo.

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Il Regime hitleriano: dall’ascesa al declino

di chi consideravano sospetto.Nacque così un apparato in cui il Führer, verso nessuno responsabile meno che a se stesso, poteva spazzare via ogni ostacolo al suo potere di agire al di fuori della legge o contro di essa. Qualcuno cercò di opporsi a questo stato di cose, ma fu una netta minoranza, a cui si opposero la convinzione da parte della maggior parte del popolo sugli ideali nazisti e la forte repressione attuata dal Regime.A proposito della posizione della Germania in campo internazionale, soprattutto europeo, coerentemente con quanto affermato nel Mein Kampf, Hitler pensava ad un disegno di destabilizzazione internazionale per riuscire a far diventare il Terzo Reich la potenza dominatrice del mondo. Fra il 1934 e il 1939 si realizzò una formidabile strategia industriale volta al riarmo dell’esercito, contrariamente al Trattato di Versailles; tanto è vero che venne ricondotta la coscrizione obbligatoria. Nel 1933 Hitler aveva abbandonato la Conferenza per il disarmo di Ginevra e la Germania era uscita dalla Società delle Nazioni, creando una definitiva frattura con Francia e Inghilterra. A partire dal 1934 il Führer cominciò un’annessione alla Germania dei popoli di lingua tedesca, l’Anschluss. Il primo e più evidente obiettivo era l’Austria.

Nel 1934, infatti, aveva fatto assassinare il cancelliere austriaco Dollfuss e aveva iniziato i preparativi per l’occupazione militare. Fu la dura opposizione di Mussolini ad impedire che questo avvenisse. La politica delle annessioni di paesi con componenti della popolazione di lingua tedesca non terminò con questo episodio. La politica di espansione della Germania nazista portò in pochi anni allo scoppio di un secondo conflitto mondiale. Il Terzo Reich si legò all’Italia fascista e al Giappone nell’Asse Roma-Berlino-Tokio, mentre Francia e Inghilterra si coalizzarono per fronteggiare la nuova minaccia alle quali in un secondo momento si unirono anche URRS e USA. Nella Guerra civile spagnola, parteciparono, a sostegno di Francisco Franco, Italia e Germania, usando il conflitto interno spagnolo quasi come teatro di prova per l’imminente guerra mondiale. Alle prime “richieste” di Hitler i governanti occidentali cedettero. Solo nel 1939 con l’invasione della striscia di Danzica (Polonia) da parte della Germania nazista, essi abbandonarono la politica remissiva e si opposero alle ambizioni naziste: a quel punto scoppiò la guerra. La guerra combattuta dai nazisti fra il 1939 e il 1945 ebbe due andamenti ben distinti e separati. A occidente combattevano una guerra “normale”, se così può mai dirsi un conflitto armato. Si trattava infatti di un conflitto fra eserciti che nel complesso rispettavano le regole essenziali della diplomazia di guerra. I governi francese e inglese erano nemici della Germania, ma “il popolo tedesco non nutriva alcun rancore verso il popolo francese e inglese”, come ricordò Hitler nella dichiarazione di guerra. A Oriente invece fu tutto diverso: qui i tre fondamentali obiettivi della guerra di Hitler, la conquista dello “spazio vitale”, la “soluzione finale” del problema ebraico e l’annientamento del popolo bolscevico si fusero, dando vita a qualcosa di inimmaginabile: l’orrore di lager nazisti, luoghi di tortura e sterminio, in cui furono eliminati milioni di ebrei, slavi, zingari e oppositori politici. q

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Indottrinamento e propaganda: il ministero Goebbels

Indottrinamento e propaganda:il ministero GoebbelsL’avvento al potere di Hitler e i suoi primi atti di governo, mostrarono all’opinione pubblica mondiale un volto del fascismo europeo per molti aspetti inedito. L’esaltazione ideologica del Nazismo, il suo richiamo a torbide esperienze pseudo-culturali (irrazionalismo, vitalismo, miti medievali, saghe nibelungiche, purezze dell’età barbarica), la sua violenza razzistica e, soprattutto, il suo ossessivo anticomunismo (idee e atteggiamenti espressi nel 1925 nel Mein Kampf) crearono in Germania un potenziale di aggressività e di spirito distruttivo rispetto all’Italia. In pochi mesi i nazisti soffocarono ogni opposizione e tutta la nazione passò sotto il controllo istituzionale e sociale di Hitler e del suo partito: lo Stato nazista prevedeva la piena identificazione fra Nazione e Nazismo, perciò essere tedeschi ed essere nazisti doveva costituire un’unica aspirazione. In seguito, si impose la consacrazione del Regime attraverso il mantenimento del potere: la riorganizzazione delle Forze Armate, la rivoluzione scolastica, l’arte della propaganda.Un settore nel quale il Regime nazista doveva consolidare il suo potere era quello dell’Esercito, per poter estendere, nel progetto dominatore del Nazismo, il proprio lebensraum (spazio vitale) e riunire tutti i popoli tedeschi. Hitler cominciò a rinforzare l’apparato della Difesa istituendo un Consiglio per la Difesa del Reich, nel quale il Ministro della Difesa si riuniva insieme a quello degli Esteri, degli Interni, delle Finanze e della Propaganda: si dava così più potere alla difesa, ma la si controllava con maggior rigidità.Prima dell’avvento al potere il Partito nazista era coadiuvato, nella propria azione politica e di propaganda, da un raggruppamento paramilitare, le Sturm-Abteilungen (S.A., “reparti d’assalto”), composto soprattutto da reduci di guerra e disoccupati figli della Grande Crisi, che Hitler

utilizzò per forzare la situazione con violenze e pestaggi. Per passare dalla parte di Hitler, le Forze Armate chiedevano l’emarginazione delle “camicie brune”, le S.A., così la Germania fu immediatamente “occupata” da formazioni militari di tipo nuovo, le S.S.(Schutz-Staffeln, reparti di difesa) che, dopo aver eliminato fisicamente, il 30 giugno 1934, nella “notte dei lunghi coltelli”, le spietate, ma autonome S.A., ne presero il posto. Nella notte in cui morì Hindenburg ogni militare dovette pronunciare sulla bandiera del proprio reggimento un solenne giuramento: “Presto davanti a Dio questo sacro giuramento, di obbedire incondizionatamente al Fuhrer del Reich e del popolo tedesco, Adolf Hitler, comandante supremo della Wehrmacht, e di essere pronto, come valoroso soldato, a rischiare la mia vita per questo giuramento”. Uomini scrupolosi, competenti e devoti come i generali e i colonnelli tedeschi ben difficilmente potevano concepire di infrangere una cosa così importante come un giuramento di tale tipo. Progressivamente e inesorabilmente Hitler mise i propri uomini nelle più alte leve dell’esercito, per averne in pugno tutti i meccanismi.Il Nazismo si pose come uno dei principali obiettivi quello dell’indottrinamento dei giovani e della “nazificazione” della cultura, assicurandosi non solo il futuro, ma anche l’interpretazione del passato: tutta la storia del popolo tedesco e dell’Europa venne rivisitata attraverso il

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messaggio “salvifico” del nazismo, unica forza in grado di sconfiggere il marxismo e l’influenza, potente e nefasta, dell’ebraismo nel mondo. I programmi e i testi per le scuole vennero riscritti: il razzismo divenne una delle colonne educative fondamentali, la ginnastica assunse una posizione predominante, il Mein Kampf divenne il punto di riferimento degli insegnanti, in maggioranza di tendenze nazionalistiche, conservatrici e spesso convinti antisemiti, costretti a iscriversi alla Lega Nazista degli Insegnanti o allontanati se d’origine ebrea, donne sposate o dissidenti. La scuola, quindi, divenne un terreno fertile per la propaganda nazista.Il fine ultimo del Nazismo consisteva, però, nel completo controllo delle giovani menti in tutto l’arco della giornata, per cui, furono istituite numerose associazioni giovanili che organizzavano campi estivi, attività sportive, feste e manifestazioni, ma il Regime intendeva, soprattutto, indottrinarli, convincendoli a ritenersi la speranza e la linfa della nazione, nonché a ritenere il Führer l’unico depositario della loro fiducia, al di sopra dei genitori, che andavano

quindi apertamente criticati e “controllati”. La principale associazione di partito fu la celebre Gioventù Hitleriana, la più grossa associazione giovanile del mondo occidentale, il cui sviluppo si dovette alla scientifica macchina della propaganda e alle capacità organizzative del suo direttore, Baldus von Schirach. Le associazioni femminili furono la Lega delle Fanciulle (10-14 anni) e delle Giovani Tedesche (14-18 anni). A dispetto di tutte le attività organizzate da queste associazioni si registrò un aumento dei disturbi fisici e psichici nei giovani e il deterioramento dei loro rapporti con i genitori. Le S.A. e le S.S., con l’aiuto del ministero dell’Istruzione, crearono collegi per i ragazzi, i Napola (Istituti per l’Educazione Politica Nazionale), in cui fiorì la dirigenza delle Waffen.SS, il ramo militarizzato delle S.S.. Nel 1937 sorsero le Scuole di Adolf Hitler, dove venivano educati i futuri dirigenti di partito.Sul piano sociale e culturale il Nazismo impose un inquadramento rigido: i lavoratori erano organizzati nel Fronte del Lavoro, i giovani nelle associazioni di partito fin dall’età scolare,

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mentre la Camera della Cultura del Reich assunse il controllo di ogni espressione artistica e intellettuale: stampa, trasmissioni radiofoniche e servizi di informazione cinematografica erano strettamente sorvegliate e incanalate.Nel campo dell’arte e della letteratura Goebbels assunse due iniziative assurde: il rogo dei libri proibiti e la celebre Mostra dell’Arte Degenerata, con cui il regime voleva illustrare al popolo gli “obrobri” di artisti ebrei e decadenti come quelli che facevano parte delle Avanguardie, come Klee, Kandisnky, Van Gogh e Picasso. Prima di vendere o distruggere alcune di queste opere, la mostra venne organizzata a Monaco nel luglio del 1937, ricca di 730 opere, collocate a caso, senza cornici e corredate di commenti denigratori. Nel giro di pochi anni, si produsse un decadimento artistico e culturale desolante, nella misura in cui le voci più autonome e creative venivano represse: persino la scienza ne subì le conseguenze, con l’allontanamento di personaggi come Einstein e Freud. L’avvento del Nazismo, il mantenimento al potere di Hitler e dei suoi fedelissimi lo si deve anche a una delle più potenti armi del Novecento, abilmente sfruttata da tutti i totalitarismi: la propaganda. Il coinvolgimento della popolazione nel pieno consenso ad un regime sanguinario e totalitario è dovuto non solo a una significativa adesione spontanea, ma al bombardamento di una propaganda basata sull’utilizzo massiccio di ogni mezzo, compresi quelli più moderni, innovativi e sofisticati di comunicazione di massa. I media (radio, cinema, tabelloni e stampe murali, pubblicistica fotografica), le “adunate”, sfruttate anche dal Fascismo italiano, che fece scuola, e le parate militari furono utilizzate ampiamente per propagandare gli slogan del Nazismo e per eccitare i sentimenti delle masse popolari. Il cinema, ma soprattutto la radio, che per la prima volta entrava in quasi tutte le case tedesche e veniva strategicamente collocata in tutti i luoghi pubblici, come “radio del popolo”, offrirono al Ministero della Propaganda un eccellente strumento per l’esaltazione del Führer e del Regime.Dietro a questa efficiente e colossale macchina c’era un geniale manovratore “Herr Doktor”, Joseph Goebbels, il più fedele ed esaltato uomo

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di Hitler, l’artista dell’uso dell’equivoco, che amava sostenere che “qualsiasi bugia, se ripetuta frequentemente, si trasformerà gradualmente in verità”. Anche se non sarebbe corretto identificare la propaganda nazista esclusivamente con Goebbels, si può affermare che “Herr Doktor” era la voce ufficiale e più vicina al dittatore, un trascinatore che sapeva esaltare le folle fino all’isterismo, anche se non possedeva il carisma del Führer. Fra i due si era creata una perfetta unione di intenti, una complessa e strana alchimia risalente sin dai tempi della vertiginosa ascesa politica della fine degli Anni Venti. Hitler faceva appello alle istanze nazionalistiche di rivincita, eccitava gli animi alla ricerca di nemici interni, gli ebrei, ed esterni, i comunisti e i capitalisti, prometteva un futuro glorioso e una rapida rinascita militare, sociale ed economica: Goebbels, con cinismo e scaltrezza, non perse tempo e si adoperò per attuare le teorie del

Nazismo, mettendo in pratica alla perfezione le tattiche hitleriane della conquista della piazza, sfruttando le armi della provocazione e della reazione degli avversari comunisti. Durante gli scontri urbani con i “rossi” Goebbels si dimostrò un abile artista della propaganda e, poiché il partito aveva bisogno di canti, eroi e martiri, creò il suo capolavoro, il celeberrimo mito di “Horst Wessel”, uno sconosciuto attivista nazista, morto in situazioni poco chiare, divenuto soggetto dell’Inno del partito Nazionalsocialista, che era anche il secondo Inno Nazionale Tedesco. Sebbene all’inizio non condividesse le teorie antisemite del Führer, si convinse che potessero divenire un utile capro espiatorio sociale, fungendo da potente arma anti-borghese e anti-capitalista e, perciò, se ne servì senza problemi. Dal suo giornale, Der Angriff (L’Attacco), il “gerarca zoppo”, lanciò il suo più celebre slogan:”Ein Volk, Ein Reich, Ein Fuhrer” (Un popolo, Un impero, Un

Rogo dei libriconsiderati sgraditidal Regime nazista

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capo): sfruttando la stampa guadagnò la fama e i consensi che lo portarono al Reichstag, nel 1928, insieme ad altri undici nazisti. Quando raggiunse la vetta del potere, benché nominato capo della propaganda in tutta la Germania, ebbe avversari come Otto Dietrich, capo della stampa nazista, e Max Amann, direttore della Eher Verlag, l’unica casa editrice nazista. Goebbels stese la sua “lunga mano” su tutti i media, radio, cinema teatro e musica, meno la stampa. L’arma principale di cui si servì Goebbels per la sua azione propagandistica fu la radio, che divenne la voce del Regime in ogni casa tedesca, e gli permise di guadagnare un carisma personale: la sua voce profonda, affascinante e ironica diffondeva teorie, proclami e incitazioni al popolo tedesco. La propaganda radiofonica non si limitò alla Germania: nel 1933 una stazione ad onde corte trasmetteva già programmi all’estero; dieci anni dopo, le stazioni erano diventate 130 e diffondevano 279 bollettini d’informazione in 53 lingue.Anche il cinema fu un eccezionale strumento di propaganda nelle mani di Goebbels, che lo improntò ad un severo moralismo, con chiaro intento educativo delle teorie del Nazismo.L’unico mezzo di comunicazione che restava fuori dal potere di “Herr Doktor” fu la stampa, così conglobò le diverse agenzie nella DBN (Ufficio Tedesco dell’Informazione), sollevò con una legge ad hoc, i giornalisti dalle loro responsabilità verso i rispettivi editori, dovendo di conseguenza risponderne allo Stato; infine adottò il metodo della “conferenza stampa quotidiana”, attraverso la quale il Ministero diceva ai direttori dei giornali di cosa e come si doveva parlare, come scrivere le notizie, quali campagne lanciare o rimandare, quale articolo di fondo era desiderato per quel giorno. Onde evitare malintesi venivano fornite, insieme alla istruzioni orali, direttive scritte giornalmente, inviate per posta o per telegrafo ai piccoli giornali periferici e ai periodici. Naturalmente i giornalisti dovevano essere di pura razza ariana. L’effetto che questo produsse fu l’unificazione delle notizie e il tono monocorde e noioso degli articoli tanto che lo stesso Goebbels chiese ai giornalisti di vivacizzare la prosa e rendere più appetibili le notizie.

Il Nazismo avvertì molto acutamente l’enorme potenziale di consenso che si sarebbe potuto ottenere tramite l’efficacia comunicativa dei canali mediatici, che vennero massicciamente “nazificati” e asserviti alla propaganda del Riech. q

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Albert Speer, l’architetto della catastrofe

Albert Speer,l’architetto della catastrofeIl grande travaglio che interessa l’Europa nella prima metà del ‘900 e che sfocia nell’instaurazione dei totalitarismi influisce sull’architettura che, avviata sulla strada del Funzionalismo, del Modernismo e del Razionalismo, viene frenata in gran parte dalle culture di regime, protese a sfruttare per fini propagandistici in modo particolare quest’arte, al fine di trasmettere alle masse un’immagine di potenza. Simbolo del Regime, interprete e mediatore del messaggio culturale e della politica imperialista di Adolf Hitler è Albert Speer, che darà vita a uno stile architettonico che ha il compito di testimoniare nel tempo la grandezza e la maestosità della Germania: il Monumentalismo classicista.L’architetto tedesco riuscì a guadagnarsi una posizione di primaria importanza al vertice della gerarchia nazista, mettendosi al servizio del suo capo incontrastato per esaudirne le idee e i desideri, guadagnandosi così l’infausto soprannome di “Architetto del diavolo”.Speer fu l’esteta e il cerimoniere del Nazionalsocialismo, la mente di imponenti opere, l’ideatore di grandi geometrie destinate ad esaltare, nei propositi di Hitler, il glorioso Reich millenario.Nato a Mannheim nel 1905 da una famiglia di architetti, seguì le orme parentali, completando gli studi con ottimi rsultati.La svolta della sua vita si ebbe nel dicembre 1930, quando, dopo aver assistito casualmente ad un comizio di Hitler, ne rimase folgorato a tal punto da decidere, pur continuando a considerarsi un tecnico lontano dai giochi della politica, di iscriversi al partito Nazionalsocialista; ma Speer era e rimaneva soprattutto un brillante e geniale architetto ed il suo spirito creativo non tardò ad affermarsi.Quando entrò a far parte del partito, all’inizio

degli anni Trenta, all’apice della depressione globale, Speer era un architetto fallito e sconosciuto. Il Führer fu la sua via d’uscita dalla sottooccupazione perpetua. Si dimostrò così bravo a soddisfare i gusti particolari del capo del Terzo Reich che diventò il primo architetto della Germania, senza nemmeno aver completato fino in fondo gli studi.In qualità di architetto, Albert Speer è famoso soprattutto per le opere pubbliche progettate per il regime nazista: fin dal 1934 gli fu affidato il compito di strutturare l’intera area di Norimberga destinata ad ospitare le manifestazioni dei congressi del Partito nazista. La costruzione centrale di quest’area avrebbe dovuto essere lo Stadio tedesco, una gigantesca struttura rivestita di granito rosso capace di accogliere fino a quattrocentomila persone.

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In occasione dell’Esposizione universale di Parigi del 1937 gli organizzatori assegnarono alla Germania un’area dirimpetto a quella sovietica. Hitler, che ravvisò in questa scelta un’oltraggiosa equiparazione fra Berlino e Mosca, avrebbe inizialmente voluto disdire la partecipazione del suo stato. Cambiò idea solo dopo che Speer, visto di nascosto il progetto sovietico, disegnò in tutta fretta il contro-progetto: un padiglione nel quale la struttura tedesca sarebbe parsa come arrestare l’assalto del gruppo di figure svettante su quello russo. Da questo episodio si può dedurre come la Germania, negli intenti della coppia Hitler-

Speer, dovesse apparire, anche in un’esposizione architettonica internazionale, più potente e più importante di qualunque altro stato.La folle smania di magnificenza di Hitler e Speer li portò, fin dal 1937, a progettare la trasformazione di Berlino in quella che secondo loro sarebbe dovuta diventare la “metropoli universale”: Ghermania. I due ignorarono completamente l’ormai da lungo tempo consolidata struttura urbana di Berlino, sconvolgendo totalmente l’assetto urbanistico della città e dando spazio a edifici protesi a glorificare la grandezza del “Reich millenario”.

Particolare del modellino che riproduce l’area di Norimberga destinata alle manifestazioni nazionali della NSDAP. In primo piano lo Stadio tedesco con l’avancorpo a colonnato; di fronte, il colle Luitpold. Sul margine destro della fotografia si scorge un tratto del Campo di Marte, a sinistra la Sala de Congressi con la zona del campo Zeppelin sullo sfondo. L’intera zona – di una superficie complessiva di 16,5 chilometri quadrati ma che si sarebbe dovuta utilizzare solo una volta all’anno – era attraversata dalla Strada Grande.

Il nucleo centrale della “nuova capitale” avrebbe dovuto essere il Palazzo della Cancelleria, l’unico degli edifici previsti a essere poi realmente costruito, edificato in tempo record, meno di un anno. Sebbene in quanto centro amministrativo esso fosse l’epicentro di Ghermania, l’intenzione era quella di dotare la città di altre strutture ancora più imponenti. Hitler in una visita a Parigi apprezzò i monumenti neoclassici della città, in particolare l’arco di trionfo, e ne volle uno tutto suo, che doveva però essere alto il doppio e quattro volte più ampio di quello della capitale francese. L’arco non venne però mai costruito per

problemi relativi al peso, infatti l’architetto del Reich e i suoi ingegneri fecero degli esperimenti che dimostrarono che il peso dell’arco (quasi due milioni e mezzo di tonnellate) lo avrebbe fatto sprofondare, in una zona paludosa come quella su cui si ergeva Berlino.Hitler e Speer non si scoraggiarono per questo fallimento, e passarono a un altro progetto, l’edificio più grande di Ghermania, la Gross Halle, coronata da una cupola (omaggio al Pantheon di Roma), così grande che si dice “avrebbe avuto le sue nuvole e le sue piogge”. Essa venne ideata inizialmente da Hitler in persona nel 1925. Speer,

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La planimetria ritrae il modello del centro di Ghermania, così come sarebbe dovuto essere radicalmente modificato. In primo piano la Stazione ferroviaria Nord, poi la gigantesca costruzione a cupola che avrebbe fatto letteralmente sparire al suo confronto il Reichstag ( il Parlamento) e la Porta di Brandeburgo. In alto a sinistra il campo di Tempelhof, nelle cui immediate vicinanze sarebbero dovuti sorgere l’Arco di Trionfo e la Stazione ferroviaria Sud. Fra quest’ultima e l’edificio a cupola, lungo la “Strada Grande”, i piani prevedevano la collocazione di numerosi edifici destinati a ospitare i ministeri, le sedi del partito e le istituzioni culturali.

partendo dallo schizzo del Führer elaborò, dodici anni dopo, una Sala dei Congressi sovrastata da una cupola che avrebbe dovuto essere otto volte più grande del Pantheon. Nel punto più alto dell’edificio sarebbe stata collocata un’aquila imperiale fra i cui artigli non ci sarebbe stata la solita svastica, ma il mondo stesso: la Gross Halle con la sua imponenza doveva rappresentare il potere universale del Führer. L’edificio era di dimensioni incommensurabili, tanto che la sua edificazione era quasi impossibile per l’epoca, anche se, secondo studi recenti eseguiti da luminari dell’architettura, avrebbe potuto trovare una realizzazione più o meno come era stata progettata da Speer. Il problema principale era rappresentato dalla condensa, causata dal respiro di centottantamila persone, che, viste le immense dimensioni della costruzione, avrebbe finito per appannare le pareti e raffreddandosi cadere come pioggia.Tutti questi lavori erano accomunati da un semplice vocabolario visivo: esterni imponenti in pietra tagliata in modo tale da lasciar intuire mura spessissime, alte finestre collocate vicino al suolo, simmetria assiale e numerose colonne.Gli imponenti edifici in pietra si rifacevano sia al patrimonio del neoclassicismo tradizionale

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prussiano, sia ai disegni dell’architettura utopica di Boullée e Ledoux , sia alle emergenti testimonianze archeologiche del mondo greco-antico. Nonostante il miscuglio di citazioni estetiche, gli echi classici e il richiamo a un vago concetto di tradizione, di stabilità del governo e delle autorità, fornivano proprio la facciata che Hitler desiderava.Il Terzo Reich avrebbe dovuto comprendere e riproporre, anche in materia di stile architettonico, tutti i grandi imperi che l’avevano preceduto. Naturalmente le uniche tracce visive lasciate da quegli imperi erano rovine massicce e misteriose, così Speer nella sua illogicità quasi sensata, intraprese la creazione di edifici che avrebbero conservato maestosità e imponenza anche ridotti in stato di rovina, illudendosi che, anche molti secoli dopo, i suoi palazzi avrebbero ricordato al mondo il grande impero germanico-nazista, così come le rovine greche e romane ci ricordano ancora oggi quelle antiche potenze. In sostanza si trattava anche di un misero pretesto, volto a nascondere il suo ripudio totale verso l’architettura modernista e, forse, persino della modernità in generale. Infatti, appare chiaro dai suoi discorsi e dai suoi saggi come Speer rifiutasse categoricamente il cemento armato,

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Albert Speer, l’architetto della catastrofeasserendo che la sua durata limitata nel tempo e la sua scarsa resistenza lo rendevano un materiale inadatto alle grandi opere pubbliche del Reich. Non era né grandioso, né classico e non avrebbe mantenuto un aspetto gradevole dopo una catastrofe. Ovviamente per tenersi al passo con il frenetico programma edilizio di Hitler, l’architetto capo del regime doveva servirsi di strumenti e tecnologie contemporanei e in seguito ammise che i rivestimenti esterni in pietra calcarea spesso non facevano che nascondere strutture in cemento armato.Speer si rivelò, però, dal punto di vista artistico più geniale come progettista di scenografie che come architetto: immaginò e attuò soluzioni rivoluzionarie per la rappresentazione visiva del potere. Il cerimoniere del Regime, nella sua liturgia della celebrazione, coordinò la scenografia delle colonne di soldati in marcia per il Congresso del Partito a Norimberga nel 1934 puntando i raggi luminosi di moltissimi riflettori della Flak verso il cielo notturno, suscitando

un’atmosfera di magica e mistica esaltazione. Questo spettacolo luminoso passò alla storia come “cattedrale di luce”, e fu riproposto sovente: gli osservatori, anche stranieri, furono talmente impressionati dall’effetto da chiudere un occhio su altri ripugnanti aspetti del regime. Celebri sono anche la scelta dello stile e la collocazione della tribuna di Hitler, la ripetizione infinita del vessillo nazista e i viali da parata percorsi da cortei di auto di uomini politici.L’architetto tedesco aveva il compito di costruire le quinte per un mondo ideale nazista, trasponendo teatralmente il controllo sociale tramite scenografie appositamente progettate. La sua opera si definisce sostanzialmente proprio per la sua teatralità, per il sacrificio della funzionalità a favore dell’estetica e del simbolismo storico, in quanto l’obbiettivo principe dell’ambiente creato dal Nazismo era la produzione di un’identità propria, che era anche l’unica accettata.La carriera dell’architetto conobbe una drastica

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Albert Speer, l’architetto della catastrofe

impennata il 7 febbraio 1942 quando, alla morte del ministro degli armamenti Todt, divenne suo successore, riuscendo, anche in questa nuova veste a non tradire le attese: la produzione bellica tedesca conobbe infatti, sotto la sua meticolosa gestione, uno sviluppo ed un incremento notevole, anche grazie alle decine di migliaia di lavoratori forzati, reclutati in tutta l’Europa occupata e mandati a morire di fatica e di stenti in Germania dallo stesso Speer, il quale era, dunque, perfettamente a conoscenza del loro terrificante destino, contrariamente a ciò che affermò ripetutamente nel processo di Norimberga nel 1946.L’architetto del Reich e ministro della Guerra testimoniò davanti al tribunale con fare tranquillo e razionale, manifestando un certo rimorso e fu uno dei pochi a dichiararsi colpevole. Fu condannato a vent’anni di reclusione a Spandau, un imponente complesso carcerario ottocentesco della Berlino ovest, dove scrisse i suoi diari.Morì a Londra il 1 settembre 1981. q

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The propaganda against Nazism

The propagandaagainst NazismThe propaganda in Germany during World War II was not only pro Nazism. Inside the country there was a little resistance to the regime, but the most significant kind of propaganda against Nazism came expecially from USA and Britain. They used so many types of media to inform particularly the Germans and also Americans and Britishs about the atrocities committed by Hitler. The most used media were posters, leaflets (dropped from planes over Germany), newspapers, films and television: but the most usefull was the radio. The first experience of propaganda against Hitler came from a film made by an international humoristic star: Charlie Chaplin. He was on a mission to warn his audience of the Nazis, whose atrocities were only peaking and not yet widely known throughout the world when he put this movie out. Indeed, it’s hard telling just what Chaplin himself knew while he was making this film. The name of the movie was “The great dictator”, it was a satire about the Fuhrer. Still, Chaplin failed his ultimate mission. In no way does this film began to get at the true ultimate monstrosity of the Third Reich. Chaplin tried very hard to express it, but his comic toolbox just didn’t have the colors and partes to do the job. No form of a pratfall, though, could ever begin to express the horrendous things that were actually happening.Allies, with the radio, the best way to do propaganda, tried to communicate to the Germans the war atrocities of Nazism and they tried to convince them to fight against Hitler’s totalitarianism. There were three kind of radio used to do propaganda in WW II: White radio, Gray radio and Black radio. For example, BBC, Lord HawHaw, were white radio: they were officialy radio, so, they were stations which clearly identified themselves. Even if a white

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propaganda. White propaganda, from Berlin or London, could distort or lie too. In fact, a case can be made that much of the information on black and gray radio was more truthful than white, because they used indirect propaganda: they did not try to convince people saying “fight Nazism and do a resistence against Hitler”, they told people about the conduct of the war and about the horrors committed by Hitler, so the Germans could know all about the bad things done by Nazism, and then decide what was the best way. There was also a somewhat different use of black radio: instrusion operation. You might call it a tactical use. Or you might call it pure black radio. It didn’t just pretend to be legitimate, official station. It became the legitimate, the official station, intruding in germans frequencies and acting to be a nazi radio.Propaganda against Nazism in World War II helped a lot the Allies to win the war. q

radio station, like BBC, were to have listeners, say in Germany, chances are they’d be anti-Nazi Germans to begin with and broadcasting to them would be preaching to the converted. Gray and black radio propaganda evolved precisely to get around this limitation of white

This poster, made by the american realist painter Ben Shahn, talk about the slaughter of Lidice, ordered by Hitler to punish Allies for the dead of the boss of nazi political police Heydrich. Featured, there is a portrait of a man with the face covered by a hood and the wrists handcuffed. He is hooded because Nazi did not mind who were the people, they deprived their identity and their dignity. In the background there is an high wall, insurmountable, that prevent him to try to escape. On the top of the poster, the blue sky means the freedom denied. The headline is “This is Nazi brutality” and the bodycopy are a long text about the news of Radio Berlin: “It is officially announced: all the men of Lidice ñ Czechoslovakia ñ have been shot: the women deported to a concentration camp: the children sent to appropriate centers. The name of the village was immediately abolished”.

The propaganda against Nazism

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Fascismo e Nazismo: dittature a confronto

Fascismo e Nazismo:dittature a confrontoPur avendo molte analogie, il Regime fascista mussoliniano e il Nazismo si differenziavano in alcuni aspetti ideologici.Dal 25 al 29 settembre del 1937 Mussolini si recò in visita ufficiale a Berlino, dove la scenografia nazista fece sfoggio di grandiosità e magnificenza: nella prima decade di maggio del 1938, in occasione del viaggio di Hitler in Italia, si allestirono, come titola il Corriere della Sera il 5 maggio, “Imponenti riti guerrieri in onore del Fuhrer e incessanti manifestazioni di popolo ai Capi delle due Rivoluzioni”. La serie di manifestazioni spettacolari, le parate, la rivista navale e le varie esercitazioni militari e civili, a fronte di un’accoglienza popolare piuttosto tiepida, che pur aveva impressionato favorevolmente i Tedeschi, avevano lo scopo di mascherare diffidenze e ostilità. Mentre Hitler sottolineava la comunanza di interessi e ideologie fra Germania e Italia e “la fatalità del destino” comune alla due razze, Mussolini parlava di “comunanza ideale” e di “collaborazione”. Nello stesso tempo Vittorio Emanuele III definiva il Fuhrer “una specie di degenerato psicofisico” e Pio XI si ritirava a Castel Gandolfo, deprecando che a Roma in quei giorni si innalzasse “l’insegna di una croce che non era la croce di Cristo”. Perplessità e incertezze minavano molti fascisti e lo stesso Mussolini che ritenevano il Nazismo un movimento che “scimmiottava” il fascismo. Hitler nutriva, invece, ammirava il Fascismo a cui si era ispirato, ne aveva imitato i rituali e sosteneva che la Marcia su Roma era stata la “svolta decisiva” che aveva sospinto la “gracile pianta” del nazionalsocialismo. Il Fuhrer, benché nutrisse una smisurata ammirazione per la personalità del Duce che lo aveva così affascinato da considerarlo come il proprio maestro, era ben consapevole delle differenze tra le due rivoluzioni: la mancata considerazione

del problema giudaico e i condizionamenti della monarchia erano elementi deterrenti del fascismo mussoliniano. L’atteggiamento dei fascisti e di Mussolini nei confronti del Nazismo era stato a lungo di scarsa considerazione, ma il successo elettorale nazionalsocialista indusse i fascisti a un tiepido avvicinamento, anche se non mutarono le opinioni sull’affidabilità del movimento e del suo capo, che Mussolini continuò, secondo R. De Felice, a considerare “un invasato, autore di un libro, il Mein Kampf, illeggibile, contornato da fanatici e omosessuali, letteralmente malato di ideologie razziste e antisemitiche, un politico di non grande statura”. Giudizio che sottovalutava pericolosamente “l’allievo”. Anche la stampa fascista, pur manovrata dal regime, in piena sintonia con l’opinione pubblica, non si entusiasmò per l’ascesa al potere di Hitler e diffidò dei propositi revanscisti, razzisti e ultranazionalisti del suo programma. Dopo il fallito “putsch” per rovesciare Dollfuss, Mussolini a Bari, con toni duri e irrisori, affermò: “Trenta secoli di storia ci permettono di guardare con sovrana pietà talune dottrine di oltr’Alpe, sostenute dalla progenie di gente che ignorava la scrittura, con la quale tramandare i documenti della propria vita, nel tempo in cui Roma aveva Cesare, Virgilio e Augusto”. Il viaggio del Duce in Germania, desiderato da Hitler, ma sempre procrastinato da Mussolini per ragioni di opportunità e per le perplessità suscitate dal Nazismo, segnò un avvicinamento tra le due dittature, dopo la crisi per l’Austria e l’isolamento dell’Italia per il conflitto etiopico: l’apparato coreografico allestito dalla propaganda nazista a Berlino impressionò Mussolini, così come le grandi manovre nel Magdeburgo e l’efficienza produttiva delle officine Krupp a Essen, che si presentò, parlando alla folla al Campo di Maggio, non solo come il

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Fascismo e Nazismo: dittature a confronto

capo del governo italiano, ma come capo di una rivoluzione che esprimeva la propria solidarietà alle “camicie brune”. Il Duce asserì, inoltre, che “Fascismo e Nazismo avevano molto in comune a livello ideologico e si distinguevano dalle democrazie capitaliste per il loro andare verso il popolo e per il sincero e totale consenso che dal popolo entrambe ricevevano”. La convinzione del Duce che la collaborazione tra i due movimenti avesse come obiettivo primario la rinascita dell’Europa e la pace tra i popoli non era condivisa dai gerarchi che temevano uno sbilanciamento troppo netto verso il regime hitleriano e l’impopolarità di un’alleanza tra i due Paesi e gli attirò il duro giudizio e gli ammonimenti di D’Annunzio “sull’imbianchino austriaco”. Altrettanto impopolare a livello di opinione pubblica e degli ambienti dello stesso regime fu l’introduzione delle leggi razziali, anche se la persecuzione fascista contro gli ebrei venne condotta piuttosto blandamente, per nascondere con un comodo alibi l’opportunismo e tacitare rimorsi di coscienza. Intanto la Germania accentuava la politica di repressione, epurazione e persecuzione interna e il carattere aggressivo della propria politica estera, che portò l’Europa, al precipitare degli eventi, sull’orlo del baratro e costrinse Mussolini a entrare inevitabilmente il guerra a fianco dei Tedeschi, in una guerra dilettantescamente preparata, incautamente dichiarata, inevitabilmente destinata alla tragica sconfitta finale.In sintesi dal confronto tra il Fascismo e il Nazismo, il Fascismo ne esce con un’immagine più umana, pacifista e conservatrice rispetto al regime hitleriano, in cui emerge che il Fascismo mussoliniano non fu solo potere calato dall’alto e tirannide, ma anche ascolto delle emozioni delle masse e potere carismatico. Pur senza nulla togliere alle responsabilità del regime fascista, per i catastrofici avvenimenti in cui trascinò e coinvolse l’Italia e che sfociarono nella guerra civile e nella lacerazione del tessuto sociale, in un “crepuscolo senza alba”, come concluse Renzo De Felice, il Nazismo fu certamente più fanatico, feroce e sanguinario, facendo leva sull’indottrinamento di massa, che addormentò la coscienza del popolo tedesco fino agli accadimenti nefasti che, dopo le persecuzioni e

le deportazioni, sfociarono nello sterminio, nel genocidio di circa sei milioni di Ebrei, la metà di questi polacchi, e di altre minoranze etniche, come gli zingari: l’olocausto rappresentò uno dei momenti più neri del periodo nazista, un delirio che portò gerarchi e dirigenti di partito al processo di Norimberga, con l’accusa di crimini di guerra, contro la pace e l’umanità.Tutto ciò risponde pienamente all’analisi del concetto di immagine e del potere insito in essa che nel corso della stesura di questa trattazione ho inteso disquisire. q

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ECONOMIA E RICERCA NELL’AUTARCHIA FASCISTA• Benito Mussolini, dalle origini al tragico epilogo, I protagonisti del XX secolo, The History

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