underground 3 - aprile/maggio

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CRISI DI NERVI E D’IDENTITA’ “La scimmia del quarto reich bal- lava la polka sopra al muro, nel mentre si arrampicava le abbiamo visti tutti il culo” Viviamo il tempo della crisi! Lo scenario è sempre più evidente. La crisi delle grandi banche e dei poteri forti, adesso arriva come preannunciavamo, anche nella quotidianità delle vite dei lavora- tori, delle cittadine e dei cittadini costretti a pagarne i costi. Questi costi sono i tagli al lavoro visibile e soprattutto quello invisibile, sono le difficoltà di arrivare a fine mese diventata un’emergenza sociale sproporzionata, sono i tagli ai servizi pubblici, alla scuo- la, all’università, alla ricerca. E’ tempo di crisi, ma non solo di crisi economica. Crisi di sistema assume un valore complesso che intreccia cultura, società, economia, che colpisce le strut- ture e le sovrastrutture globali e locali che hanno tentato per de- cenni di decidere della vita e del futuro dei popoli e che nelle loro scelte scellerate oggi dimostrano di aver ampiamente fallito in ter- di Mariano Di Palma anno 1 - num 2 segue a pagina 2 .. credits image: Valentina Calvani Costi quel che costi

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Il nuovo giornale studentesco a cura dell'Unione degli Studenti

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CRISI DI NERVI E D’IDENTITA’

“La scimmia del quarto reich bal-lava la polka sopra al muro, nel mentre si arrampicava le abbiamo visti tutti il culo”

Viviamo il tempo della crisi! Lo scenario è sempre più evidente. La crisi delle grandi banche e dei poteri forti, adesso arriva come preannunciavamo, anche nella quotidianità delle vite dei lavora-tori, delle cittadine e dei cittadini costretti a pagarne i costi. Questi costi sono i tagli al lavoro visibile e soprattutto quello invisibile, sono le difficoltà di arrivare a fine mese diventata un’emergenza sociale sproporzionata, sono i tagli ai servizi pubblici, alla scuo-la, all’università, alla ricerca. E’ tempo di crisi, ma non solo di crisi economica. Crisi di sistema assume un valore complesso che intreccia cultura, società, economia, che colpisce le strut-ture e le sovrastrutture globali e locali che hanno tentato per de-cenni di decidere della vita e del futuro dei popoli e che nelle loro scelte scellerate oggi dimostrano di aver ampiamente fallito in ter-

di Mariano Di Palma

anno 1 - num 2

segue a pagina 2 ..credits image: Valentina Calvani

Costi quel che costi

Ogni giorno noi studenti sogniamo una scuola dove possiamo essere protagonisti, dove poter arricchire liberamente il nostro percorso for-mativo, una scuola dove non sia-mo solo spettatori come davanti alla TV di casa, ma dove possi-amo rendere l’apprendimento più bello, più vicino alle nostre esigenze. Purtroppo gli strumenti che abbiamo per dire basta ad una scuola autoreferenziale sono ancora pochi, la strada e dura ma prepariamoci sfruttare al meglio ciò che abbiamo. I progetti devono avere la capacità di colmare quei vuoti che i nostri istituti hanno nei loro programmi imposti ogni giorno, devono rendere le nostre scuole più vin-cine alle esigenze e ai bisogni degli studenti. Insomma realizzare un progetto interamente pensato e programmato dagli studenti, significa partecipare al processo di apprendimento at-tivamente essere pro-tagonista sia dei conte-nuti di apprendimento, cioè di cosa impariamo che delle modalità di come ap-prendiamo, un primo passo per la realizzazione di una didattica cooperativa, dove a prescindere dal ruolo ricoperto (docente o stu-dente) ognuno mette del suo, og-nuno fa la sua parte. Il DPR 567 prevede la presentazi-one di progetti anche da gruppi di almeno 20 studenti o dalle as-sociazioni studentesche rego-larmente costituite, quindi anche dalle realtà locali dell’Unione de-gli Studenti. Aula le autogestita, cineforum, giornalino di istituto,

concerto, sportello di assistenza studentesca.....possono essere tante le idee da mettere in cam-po.Mettere mano al bilancio di isti-tuto, inoltre, significa anche pen-sare a dare a tutti gli studenti la possibilità di studiare. Sono varie le esperienze positive da replicare nelle scuole: dalla creazione di un fondo che permetta agli studenti più svantaggiati di partecipare ai

viaggi di istruzione fino alla real-izzazione, con i fondi di istituto, di servizi di comodato dei libri di testo: la scuola li compra e gli stu-denti li usano restituendoli a fine anno.Rimbocchiamoci quindi le man-iche e prepariamoci a rendere le nostre scuole veramente alla por-tata dei nostri sogni.

UN ALTRO BILANCIO NELLE NOSTRE SCUOLE E’ POSSIBILE

di Massimo Abbatino, Matera

...dalla prima

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mini di progresso ed emancipazi-one delle società. Valori come democrazia, libertà di espres-sione oggi sono in crisi, perché in crisi è la rappresentanza politica che anziché garantirli come diritti è sempre pronta ad attaccarli, an-che quando sono di denuncia o di satira. Il terremoto in Abruzzo mette in evidenza lo scenario di un sistema politico irresponsabile che ha inevitabilmente la colpa di aver causato la perdita atroce di così tante vite umane perchè negli ultimi 40 anni ha affidato ap-palti a speculatori del mattone, molte volte affiliati alla criminalità organizzata. Oggi quello stesso sistema, ancora al potere, si di-mostra ancora una volta attento alle grandi sfilate nelle tendopoli, ma incapace di dare risposte reali alla gente che le affolla. In tempo di crisi però non si può restare a guardare. I popoli hanno bisogno di percorrere una direzione di-versa, verso un altro mondo pos-sibile. Il valore della collettività, della condivisione di bisogni e disagi oggi diventano una neces-sità politica che un movimento come l’Onda ha dimostrato es-sere realizzabile e organizzabile. Il progetto di cooperazione Fare Futuro Abruzzo, che l’UdS Nazi-onale e l’UdU Roma hanno mes-so in campo, la costruzione di un tassello collettivo come la me-moria comune della Resistenza Antifascista attraverso la parte-cipazione al 25 Aprile, proprio mentre Berlusconi tenta di equi-parare repubblichini e partigiani è la dimostrazione che la nostra Organizzazione muove in quella direzione ostinata e contraria per costruire quell’opposizione, quelle pratiche, quelle lotte che portino al cambiamento reale dello stato di cose presenti.

credit image: benheine.com

Questa la concreta e giusta soluz-ione secondo Papa Benedetto XVI, in volo verso l’Angola. Mossa della Commissione eu-ropea è stata invece distribuire gratuitamente preservativi in Af-rica per venire incontro alla gente che vive la grande crisi dell’AIDS; questo è però per la Santa Sede un gesto inefficace che anzi peg-giorerebbe la situazione. Proba-bilmente, secondo il Papa, si verrebbe a creare una libertà ses-suale incontenibile e catastrofica: prendiamone atto. Il pontefice ha detto quindi ciò che ci si aspettava da lui, ha fatto il suo mestiere. Ma se parla di preservativo in quei termini a gente debole e dis-perata, lì il discorso diventa inac-cettabile. Perché a quella stessa

gente il Pontefice, che tanto pro-fetizza nel mondo la parola del Si-gnore, non parla di tutto ciò che in realtà c’è dietro l’istituzione della chiesa? Ma, come sempre, si fa finta di niente…Francia, Germania, Spagna… tutta l’Europa critica aspramente le parole del Papa; solo l’Italia ovviamente preferisce un “no-comment”: sarà che ormai siamo abituati a sentirne delle belle e non ci meraviglia più nulla?! Fatto sta, che subito dopo le sud-dette critiche viene smentito che egli abbia mai parlato di “preser-vativo”; ormai è luogo comune che sia la gente a capire male..Traiamone quindi la giusta con-clusione: l’intero popolo africa-no, morente di fame o malattia, dovrebbe essere sottoposto a

“corsi di educazione alla sessu-alità” o semplicemente smettere di avere rapporti sessuali, segu-endo la morale cattolica. Parola d’ordine? Castità. h t t p : / / b l o g . p a n o r a m a . i t /mondo/2009/04/04/la-chiesa-e-i-pre-servativi-in-africa-chiedete-e-vi-sara-dato/http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200903articoli/42029girata.asp

SOLUZIONI AIDS… “Risveglio spirituale ed umano”? di Giuliana Calìa, Matera

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“La storia siamo noi, siamo noi padri e figli, siamo noi, bella ciao, che partiamo”.

E’ questa la bellissima frase della celebre canzone di Francesco De Gregori . Ma oltre ad essere una semplice frase, è anche e soprat-tutto la verità. Una verità che trop-po spesso dimentichiamo pen-sando che la storia sia un’entità astratta, un oggetto antico, lonta-no ed estraneo a noi. Così non è, anzi, la storia ci appartiene, così come ci appartengono i fatti, le vite e le scelte degli uomini che l’hanno vissuta. Lo stesso vale per il 25 Aprile del 1945. Non solo una data, un numero, bensì un frammento di storia, un momento che segna nella storia di tutti gli italiani la linea che separa la dit-tatura dalla democrazia, la fine della guerra e l’inizio di un perio-do di pace, la fine del ventennio fascista e l’inizio della repubblica

italiana. Questa data segna la “Liberazione” del nostro popolo che assieme, organizzando una lotta di resistenza popolare mai vista prima, si è liberato dal fas-cismo decidendo di stare dalla parte giusta. Troppo spesso, pen-siamo che tutto ciò non debba in-teressarci mentre in realtà la nos-tra patria e la nostra costituzione si fondano sui valori di tutti quei partigiani che per noi hanno per-so la casa, la famiglia, e a volta la vita. Nella mia città, Verbania, la resistenza significa molto perché è stata vissuta da gran parte della popolazione e perché il nostro è territorio è teatro di molte stragi nazi-fasciste. Nella nostra pro-vincia, però, la ferocia nazista è stata bloccata per un periodo di tempo, anche prima del 25 Aprile. Infatti noi siamo testimoni di un esempio unico di cittadinanza e partecipazione di un popolo alla propria storia. Per quaranta giorni

le nostre valli hanno vissuto nel 1944 una repubblica, detta “Re-pubblica dell’Ossola”, partigiana, democratica e che si basava su di una vera costituzione repubbli-cana. Tutto ciò non può e non deve essere dimenticato, soprattutto a fronte dei tentativi di rivedere la storia da parte di alcuni gruppi neofascisti. La storia è scritta dai vinti, è vero, e alcuni errori ci sono stati anche da parte dei partigiani, ma non possiamo permettere che chi stava dalla parte sbagliata al-lora come oggi, racconti i fatti di un tempo, di un tempo passato ma che ancora ci lascia i suoi ricordi, le sue tragedie e le idee che lo hanno contraddistinto. Nei racconti dei partigiani di un tempo ritroviamo quello spirito e quella voglia di cambiare le cose e solo li possiamo guardare per capire l’importanza della resistenza e della festa della liberazione.

25 APRILE: LA STORIA SIAMO NOI di Brezza Riccardo, Verbania

Il termine proibizionismo nacque nel 1919 negli Stati Uniti. In un contesto sociale in cui la gran parte della popolazione con-sumava abitualmente alcolici, lo stato ne proibì costituzionalmente la vendita e il consumo. Questa legge fu abrogata quattordici anni dopo poiché non diminuì l’abuso di alcolici e soprattutto aumentò i traffici illegali e il contrabbando.Tralasciamo il fatto che il consu-mo di quelle che ora si chiamano sostanze stupefacenti sia, per

tradizione storica o religiosa, in-timamente legato a molte culture e società. Dagli andini agli indiani d’America, dai rastafariani ai nep-alesi, dagli afghani ai messicani, non solo in queste culture esiste il consumo tradizionale ma anche la produzione e il commercio.

Tralasciamo il fatto che alla base di questo termine ci siano concetti come “La Libertà dell’individuo” e “L’autodeterminazione”, che sono valori indiscutibili e sanciti dalla

transdelta9tetraidrocannabinolo... che paura?! di Giacomo Cattarini, Trieste

costituzione italiana. In Italia non solo è attualmente in vigore una legge che punisce indifferente-mente il consumo personale e lo spaccio, ma questa si va anche ad inserire in un contesto sociale in cui, a fianco dei recenti decreti sulla sicurezza e alle ipotesi fu-ture di revisione della legge 180, ci si trova di fronte ad un quadro di controllo e repressione sociale. In quanto un persona è additata come drogata ed emarginata, non facendo differenziazione tra tos-

sicodipendenza, spaccio e consumo occasionale, in cui il “malato di mente” viene escluso in quanto diverso e l’extracomunitario in quanto nemico. Si tende ad at-tribuire uno stigma a queste persone che ne condiziona la vita presente e futura, e soprattut-to non mira a com-battere e risolvere il problema ma a svi-arne l’attenzione.Con antiproibiz-ionismo però non si può parlare di legalizzazione in-discriminata di tutti i tipi di sostanze, è

necessario compiere una netta separazione tra le droghe che causano dipendenza e quelle che non lo fanno. Scientificamente è stato provato che tutti i derivati del Thc (transdelta9tetraidrocannabi-nolo), tra cui l’Hashish e la Mari-juana oltre a essere molto meno dannosi non causano dipenden-za fisica e. Al contrario di tutti i derivati delle pianta di Coca, de-gli oppiacei e delle anfetamine. Questi invece possono causare dipendenza fin dalle prime assun-

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zioni e provocano danni irrepara-bili all’organismo e alla psiche.Un’altra parentesi va aperta su quelle che sono le droghe legali: il fumo di tabacco e l’alcol. Queste oltre ad essere più dannose di molte droghe illegali, causando dipendenza, enormi danni ai pol-moni, al fegato ed al sistema ner-voso centrale, sono soggette al monopolio di stato. Come accadde in America or-mai ottant’anni fa, oggi in Italia e in molti altri paesi si è sviluppato un ingente commercio illegale di sostanze stupefacenti, intera-mente controllato dalle associazi-oni mafiose. Queste ottengono un notevole guadagno, oltretutto es-entasse.In conclusione si pensa che il fat-turato annuo, derivante dal com-mercio illegale di sostanze stupe-facenti, da parte di chi lo gestisce, frutti intorno a

Ci si può domandare come nello stato di diritto in cui viviamo, in cui la Costituzione e il Codice Penale prevedono norme e leggi per la repressione della criminalità or-ganizzata, sia tollerata l’esistenza di un tale business.Le possibili risposte a questa do-manda sono due: o lo Stato non è effettivamente in grado di far fron-te a questa minaccia e quindi si dovrebbe elaborare un pensiero su quali sono le vere priorità per un contesto sociale civile e dem-ocratico. O, forse, ci si dovrebbe domandare perchè, nella maggior parte dei casi, lo Stato sembri chi-udere un occhio.

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Due righe sui giornali. Un ac-cenno in TV, e non in tutti i tele-giornali. Le solite promesse dei parolai istituzionali di turno e poi il silenzio. Chi muore lavorando è un fantasma da rimuovere per la maggioranza dei media. Eppure le cifre parlano di centinaia di morti all’anno, un conto che purtroppo non tiene conto delle migliaia di infortuni sul lavoro non denunciati. Lavoratori in nero, collaboratori, famil-iari, precari, extraco-munitari: sono queste le categorie a cui la consuetudine impe-disce di denunciare l’infortunio se non a costo di perdere il reddito, il permesso di soggiorno o in alcuni casi la stessa vita. 2 morti su 3 sono lavoratori pre-cari. Le “Tragiche fatalità” che di casuale hanno poco o nulla suc-cedono in cantieri non protetti, dove vi sono macchine, misce-latori, carichi sospesi e in movi-mento, muletti, tubi. Luoghi in cui la parola produttività perde ogni suo connotato positivo e diventa il sinonimo di fretta, di superfici-alità. Proprio lì e in quei momenti dove servirebbe invece pruden-za, calma, attenzione. Dalle sto-rie di molti di quei morti, emerge il nodo cruciale e nascosto della precarietà: il ricatto. Mentre espe-rti, politici e sindacalisti continu-ano a lamentarsi della mancanza di controlli, di norme insufficienti o leggi più restrittive che nes-suno poi farà rispettare, il vero motivo delle tante morti precarie non viene minimamente toccato: la paura di perdere il lavoro. Tanti infortuni sono dettati dallapaura. Sei appena arrivato. Non sai se ti riconfermeranno. Fai il bravo. All’inizio fai finta di non

1° Maggio: precariare stanca (e uccide pure )vedere per non doverti disperare subito del nuovo lavoro che hai trovato, magari con fatica. “Vuoi disturbare?”. “Vuoi far vedere che rompi i coglioni per un difetto sulla macchina?”. “Sei una femminuc-

cia?”. “Dai su che non possiamo perdere tempo”. “Se dovessimo mettere la sicurezza ogni volta ci impiegheremmo 4 minuti invece che due a fare uno stampo”. E’ per questi motivi che è necessa-rio ribaltare i concetti che stanno alla base dei documenti di riforma del mondo del lavoro. Da Sac-coni a Boeri, da Ichino a Treu, da Morando fino a molti sindacalisti di Cisl Cgil e Uil e agli economisti liberisti che dettano le regole su tutti i media italiani. Per loro ef-ficienza, produttività, e competi-tività sono le parole magiche che ci faranno uscire dalla crisi (oggi) oppure che potranno permettere lo sviluppo del paese (domani). E’ la flessibilità che ha spezzato i legami tra i lavoratori giovani e anziani, gli unici ad avere conser-vato nella memoria gli strumenti per opporsi a quello che hanno già conosciuto un tempo e che ora torna con prepotenza. Sono loro i depositari delle ricette per

uscire dall’abbattimento prodotto dalla precarietà. Ascoltare i loro racconti, le esperienze passate, riallacciare il filo della memoria spezzato da anni di bugie liberiste, è un antidoto che può riuscire lì

dove oggi sembrano non esserci risposte. E’ la storia orale dei tanti che ci sono passati, e dei modi in cui sono riusciti ad ottenere non sussidi ma diritti, non fondi per la formazione ma aumenti di salario, la mensa e i trasporti pagati. Pro-vate a parlare della precarietà adiversi lavoratori delle generazio-ni che hanno lavorato tra 1950 al 1965. Loro si che ne sanno qual-cosa di futuro incerto, infortuni, ricatto del reddito, e totale man-canza di diritti visto che hanno provato sulla loro pelle cosa vo-gliano dire. Provate a sentire cosa vi raccontano, come la pensano. E fatevi anche dire, secondo loro, come se ne può venir fuori. Nelle loro parole non troverete teorie, nessuna disquisizione da intellet-tuali. Ma concretezza.Fatti. Azioni, le uniche luci che possano squarciare il grigiore di un futuro che fa paura, illuminan-dolo dalla speranza di un giusto riscatto.

di Tommaso Ferraro, Firenze

Onda LIBERAOnda libera, in presentazione dal 10 Aprile è l’ultimo capolavoro dei Modena City Ramblers. Il nuovo disco è l’undicesimo capitolo dis-cografico della band emiliana. Sono dodici le canzoni dell’album, che trattano di temi importanti come la legalità e la libertà, en-trambe parole troppo strumental-izzate e sulla bocca di tutti, troppo svuotate del proprio valore. Legal-ità, libertà, attualità, guerra, ques-tione Rom, la storia di un popolo che risponde al grido della libertà; concetti questi che uniti all’invito a ragionare per non cadere negli inganni dei media, e alla situazi-one politica attuale di una sinis-tra che viene troppo elogiata per aver fatto ottenere chissà quali traguardi sociali, contribuiscono a rendere l’album “onda libera” un vero e proprio capolavoro. Il disco alterna momenti di grande carica a dolci ballate, ritmi reggae e tzi-gani, valzer e sei ottavi tra Irlanda e meridione d’Italia, con sonorità che sono ormai classiche della musica targata MCR, maestri del “combat-folk”. Il disco sarà pre-sentato nel prossimo tour “Caro-vana Libera” da Foligno il 25/04 a Cinisi il 9/5 in tredici date sparse in tutta Italia in luoghi confiscati alla mafia con la partecipazione di Libera. “Ascoltiamo questa nostra terra che chiede legalità!” .

www.ramblers.itwww.libera.it

Pio La Torre, figlio della terra

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Pio La Torre nasce a Altarello di Baida, in provincia di Palermo, nel 1927. Fina da giovane matura un forte interesse per la giustizia so-ciale e si impegna a combattere per i diritti dei più deboli contro lo sfruttamento dei ricchissimi pro-prietari terrieri. Diventato depu-tato fra le fila del PCI nel 1972, propone una legge che introduce il reato di associazione mafiosa (Legge Rognoni-La Torre [2]) ed una norma che prevede la confisca dei beni ai mafiosi (scopo poi rag-giunto dall’associazione Libera, che raccolse un milione di firme al fine di presentare una proposta di legge, che si concretizzò poi nella legge 109/96). La mat-tina del 30 aprile 1982, insieme a Rosario Di Salvo, Pio La Torre stava rag-giungendo in auto (una Fiat 132) la sede del p a r t i t o . Alla mac-china si affiancarono due moto di grossa cilindrata: alcuni uomini mascherati con il casco e armati di pistole e mitragliette spararono decine di colpi contro i due uo-mini. Pio La Torre morì all’istante mentre Di Salvo ebbe il tempo per estrarre una pistola e sparare al-cuni colpi, prima di soccombere.

Dopo nove anni di indagini, nel 1991, i giudici del tribunale di Pal-ermo chiusero l’istruttoria rinvia-ndo a giudizio nove boss mafiosi aderenti alla Cupola mafiosa di Cosa Nostra. Per quanto riguarda il movente si fecero varie ipotesi, ma nessuna di queste ottenne ris-contri effettivi. Nel 1992, un ma-fioso pentito, Leonardo Messina, rivelò che Pio La Torre fu ucciso su ordine di Totò Riina, capo dei corleonesi, a causa della sua pro-posta di legge riguardante i patri-moni dei mafiosi.Il 30 aprile 2007 venne intitolato a Pio La Torre, dalla giunta di cen-trosinistra, il nuovo aeroporto di

Comiso. Nell’agosto del 2008, la nuova giunta di centrodestra de-cide di togliere l’intitolazione a La Torre per tornare a quella prec-edente

di Domenico Maisano, Cosenza

Primavera. Colori, musica e voci invadono le strade e le piazze delle nostre città; come ogni anno l’apparente piatto mondo della scuola esce dalle aule e si riversa tra la gente, riempie le “agorà” animandole di pensieri e parole, riaffermando l’importanza del ‘’lo-gos’’ anche al di fuori dell’ora di Filosofia.La giornata dell’Arte e della Cre-atività è una ricorrenza fondamen-tale dell’anno scolastico, la prova concreta che un tipo di didattica coinvolgente e autogestito è pos-sibile, che la cultura non è custo-dita nei “luoghi di formazione” ma nel confronto, nel dialogo e nelle passioni degli studenti;è sicuramente un prezioso esem-pio di cittadinanza attiva, di col-laborazione con le associazioni del territorio, un modo per svegli-are le nostre città dalla monotonia e dalla passività che le avvolge, per stimolare la partecipazione che, come diceva Gaber, è l’unica forma di libertà.Ogni scuola può organizzare la propria Giornata dell’Arte serven-dosi dei fondi per gli Studenti del D.P.R.567/96 (e le relative modi-fiche) o collaborando con la Con-sulta Provinciale Degli Studenti permetten-do ai gio-vani artisti di dipingere, suonare ed esprimersi.

L’ARTE LIBERAmente Ilaria Ruggiero, Brindisi

Fondamentale è dare un signifi-cato politico a questa giornata, al-lestendo dibattiti e luoghi di con-fronto, stand informativi su temi attuali come l’antifascismo, la lib-ertà di stampa e informazione, la legalità…Nella Provincia di Brindisi ab-biamo voluto dare spazio alla questione dell’Ambiente e delle Energie Rinnovabili, intervallando alle varie performance artistiche interventi dell’ENEA (Ente Na-zionale Energie Alternative), di associazioni come Legambiente e di raccolte firme per un nuovo modello di sviluppo sostenibile in alternativa al nucleare, vergog-nosamente impostoci dall’attuale governo.Insomma, mille modi per infor-mare, lottare e allo stesso tempo, divertire. Buon Lavoro!

E’ il 1985. Giancarlo Siani è un giovane praticante per il ‘Mat-tino’ di Torre Annunziata: sogna un contratto giornalistico e un lavoro a Napoli. Dovrebbe occu-parsi di cronaca“nera”, ma non riesce a stare lontano dai camor-

risti e porta avanti le sue inchieste con determinazione e impegno. Si mu-ove tra le istituzioni e la camorra, in un territorio nel quale le une influenzano l’altra: è la Napoli delle tangenti e del-la corruzione, della burocrazia gonfiata e della violenza dei clan. La magistratu-ra delega, la polizia non vuol sapere, ma Siani non rinuncia a cercare la verità. Si avvicina lentamente

Fortapàsc di Paolo Garofalo, Crotone

alla consapevolezza del suo ruolo e con uno stile provocatorio racco-nta al suo popolo le porcherie del ‘potere’, gli interessi personali e i traffici illeciti dei boss. La camorra che domina l’universo nel quale si muove il giornalista è più antica e se possibile più spietata di quella descritta da Roberto Saviano, dalla rigida mentalità imprendito-riale. In una scena emblematica, che richiama una delle note as-semblee comunali de ‘Le mani sulla città’, maggioranza e oppo-sizione si scambiano sterili insulti, si addossano responsabilità; e davanti a loro il popolo, silenzio-so e perplesso. Solo Giancarlo ha il coraggio di parlare, di fare i nomi e chiedere motivazioni. Per questo motivo il 23 settembre del 1985, 26 anni appena compiuti, fu ucciso sotto casa nel quartiere Vomero.

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Unione degli Studenti - il Sindacato studentescosede nazionale Via 4 Novembre 98 - 00187 Roma

tel 0669770332 [email protected] www.unionedeglistudenti.it

Aiutiamo le città invisibili: FareFuturo Abruzzo

Ore 23.50 - Campo Murata Gigo-tti, Coppito, L’Aquila

La terra che trema è passato re-moto. Io questo non potevo im-maginarlo. Per me, per noi che stiamo qua a farci il culo dodici ore al giorno, per noi stranieri in ques-ta terra che forse adesso non è più ed ancora di nessuno, per noi il terremoto è presente indicativo, al più passato prossimo. Qualcuno si spinge fino all’imperfetto, ma è solo per un’eventuale e sporadico spirito della narrazione, di giorni in fila, di cose. Per il resto, è tutto passa-to prossimo; è d’altronde quello il tempo in cui è coniugato il nostro star qui. Ma invece, per gli sfollati, per le persone di queste terre - che forse fra poco torneranno ad essere le loro terre - per loro il terremoto è passato remoto. È così che ne parlano, tanto che all’inizio non capisci, pensi che stiano parlando di qualcos’altro, qualcosa perso laggiù nella me-moria, di altri mesi e anni che non sono questi, tanto che ti vien vogli a di chiedere “Quando?”, ma poi ti viene il sospetto e poi capisci che quel passato remoto è tempo di dieci giorni fa. È così che ne par-lano, di quel che hanno passato.Non è facile capire certe cose. Non lo è nemmeno da qui, con le mani sporche di terra che las-ciano impronte sulle pagine. Con l’anima sporca di fango che lascia

assenze in fondo agli occhi.Il campo adesso ha la corrente elettrica. A giorni dovrebbero ar-rivare anche le docce, l’acqua. Sono arrivati i libri, una piccola libreria adagiata su un lato del ca-pannone bianco della colazione, della partita di calcio trasmessa alla TV, del cineforum che stenta a trovare spettatori. Ed i libri, pi-onieri temerari in questa terra di dolore, attirano sguardi incuri-ositi ma non lettori, non ancora. Per ora i libri-pionieri sono un

acqua che non riesce a bagnare il deserto del dolore. Mi viene in mente un’immagine, in un libro di Pennac è un uomo che attraversa da solo terre deserte senza piog-gia, per mesi, e la prima pioggia che dopo mesi finalmente cade non raggiunge la terra, e nemme-no la gola assetata dell’uomo solo in quella terra arida; quella piog-gia evapora a qualche metro dal suolo, vinta dalla troppa arsura. In fondo è normale che le prime gocce di quotidianità, di “vita di tutti i giorni” che cadono in questo deserto fangoso sub iscano la stessa sorte.

La terra che trema è passato re-moto ma solo perché appartiene ad un tempo che è al di là di questo oggi e del domani che ver-rà. E di questo presente nessuno vuole adesso sentirsi cittadino. Per questo non si leggono i libri della biblioteca dell’emergenza, non si vogliono libri pionieri ma i libri accanto al camino nella casa e nell’ossigeno di tutti i giorni; non questa cittadinanza di questi luoghi e di queste giornate, è un’altra quella che si vuole e sem-

plicemente si attende.Ma non su isole lontane; è su questo deserto che dovranno sbocciare i fiori.Il cielo stanotte la manda giù a dirotto, sembra proprio che si sia deciso a vincere l’arsura di questo fango e dissetare di vita e quotidi-anità le gole degli esuli in patria.Un tendone bianco, le percussioni del cielo sulla sua superficie, erba stracciata e ghiaia bianca, sedie disordinate ed uno scaffale pieno di libri che impazienti attendono, occhi stanchi di piangere e desi-derosi di vivere.

di Gianluca Torelli, Napoli