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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI BORGO PANIGALE FACOLTA' DI ECONOMIA CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E COMMERCIO FUSIONI E ACQUISIZIONI NEL SETTORE BANCARIO RELATORE: Prof. Carl FOGARTY CANDIDATO Ducati 749 Matricola 749999 ANNO ACCADEMICO 2007-2008 1

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI BORGO PANIGALE

FACOLTA' DI ECONOMIA

CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E COMMERCIO

FUSIONI E ACQUISIZIONI NEL SETTORE BANCARIO

RELATORE: Prof. Carl FOGARTY

CANDIDATO

Ducati 749

Matricola 749999

ANNO ACCADEMICO 2007-2008

1

la Conoscenza è Libera

2

Indice

Introduzione 4

1. Il contesto normativo 71.1 - Evoluzione della legislazione 7

1.1.1 - Le norme antitrust 8

2. Crescita e creazione di valore 122.1 - Crescita interna vs. crescita esterna 122.2 - Valutazione del valore creato 14

2.2.1 - Metodologia EVA 152.2.2 - Indicatori di natura contabile 17

2.3 - Creazione di valore e modello di gestione 192.3.1 - Modelli di gestione dei principali gruppi italiani 20

3. Effetti sugli stakeholders 233.1 - Rilevanza dei mercati finanziari 233.2 - Studio dei corsi azionari, modello di Sharpe 243.3 - Riflessi sugli azionisti delle banche coinvolte 25

3.3.1 - M&A cross border 283.4 - Effetti delle M&A sulla clientela 28

3.4.1 - Effetti delle M&A sulla disponibilità di credito 30

4. M&A in Italia e in Europa 324.1 - Origini del fenomeno 324.2 - M&A in Europa 33

4.2.1 - Modelli di consolidamento in Europa 344.3 - M&A in Italia 374.4 - Prospettive di sviluppo 39

4.4.1 - Futuro delle cross border in Europa 40

5. Il caso UBI Banca 425.1 - Panoramica del gruppo 425.2 - Principi contabili internazionali 435.3 - Il bilancio del gruppo 44

5.3.1 - Risorse umane 455.3.2 - Conto economico e indici di redditività 47

5.4 - Alcune conclusioni dall'analisi del caso UBI Banca 48

Conclusioni 50Gli obiettivi delle concentrazioni 50Lo scenario europeo 51La crisi e la vigilanza 52

Bibliografia 53

3

Introduzione

Le operazioni di crescita attuate attraverso fusioni e acquisizioni hanno

sempre costituito situazioni sporadiche ed eccezionali, essendo considerate del

tutto straordinarie dal management delle imprese. Anche nel settore del credito,

le aggregazioni fra banche erano semplicemente ritenute una via per stabilizzare

il sistema e non un’opportunità strategica da sfruttare in maniera ordinaria. In

termini generali, attraverso queste operazioni, le banche interessate tendono

all’obiettivo di massimizzare l’utile d’esercizio, espandendo la propria quota di

mercato e razionalizzando la struttura organizzativa. Al contrario di quanto

accaduto in passato, i processi di concentrazione hanno perso la natura di

eccezionalità che li caratterizzava ed hanno assunto un profilo del tutto ordinario.

Con la liberalizzazione del settore bancario, la progressiva caduta dei confini

nazionali e di qualunque altra barriera più o meno protezionistica, le operazioni

di crescita degli istituti bancari hanno subito una decisa accelerazione nel

tentativo di mantenere le banche nazionali competitive a livello europeo. Grazie

ai fattori appena citati e al progressivo diffondersi delle tecniche di Value Based

Management (VBM), l’obiettivo della crescita è divenuto di importanza primaria

anche nella gestione ordinaria delle aziende bancarie moderne. La crescita

dimensionale consente di operare con un gran numero di clienti offrendo loro

l'intera gamma di servizi di cui hanno bisogno, siano essi piccoli risparmiatori o

grandi imprese multinazionali.

Obiettivo del presente lavoro è quello di analizzare il fenomeno delle fusioni

bancarie partendo dalle motivazioni di fondo che hanno dato impulso a questa

nuova stagione economica: il radicale mutamento legislativo, l'introduzione della

moneta unica, la globalizzazione delle economie, le nuove scelte imprenditoriali.

L'insieme di questi fattori ha posto le basi per l'ingresso di banche estere in Paesi

diversi dal proprio con conseguente aumento della concorrenza. Le banche

4

“domestiche”, allarmate da tali cambiamenti, hanno quindi avviato processi di

ristrutturazione allo scopo di recuperare efficienza e produttività.

Il lavoro si articola in 5 capitoli che analizzano, sebbene in maniera non

esaustiva, gli aspetti più significativi del fenomeno delle concentrazioni bancarie.

Nel primo breve capitolo si è cercato di ripercorrere sinteticamente le tappe

storiche che, dal 1936 ad oggi, hanno trasformato il mercato del credito

traghettandolo da una condizione di “pubblico interesse” a una condizione di

impresa vera e propria in grado di essere efficiente, competitiva e soprattutto

libera da interferenze statali. Particolarmente rilevante per le operazioni di

aggregazione è stata l'introduzione della disciplina antitrust per l'individuazione e

la rimozione delle cosiddette “posizioni dominanti”. Anche questo aspetto verrà

brevemente analizzato alla fine della presente introduzione.

Il secondo capitolo è dedicato ai meccanismi di crescita dimensionale degli

istituti di credito ed alle diverse strategie di sviluppo adottate sulla base di precise

scelte manageriali con lo scopo di mantenere e se possibile aumentare la propria

competitività. Verranno messi a confronto i modelli di crescita interna ed esterna,

nonché gli strumenti contabili che consentono di misurare il valore creato

dall'operazione. In particolare le aziende bancarie, attraverso il ricorso ad indici

sempre più precisi e affidabili, possono indirizzare ogni strategia verso la

creazione di valore e stimolare nei propri manager la formazione di una mentalità

tesa al raggiungimento di tale obiettivo. Il capitolo si conclude con un accenno al

modello di business adottato dai due principali gruppi creditizi italiani.

Il terzo capitolo concentra l'attenzione su un aspetto che le banche tengono in

grande considerazione quale la reazione degli investitori all'annuncio di

un'operazione di aggregazione. Attraverso la tecnica degli event studies si cerca

di verificare se la variazione dei prezzi azionari di una banca sia da considerarsi

anomala rispetto all'andamento generale del mercato. Il ricorso a tale

metodologia consente di individuare le determinanti del successo di

5

un'integrazione o di porre a confronto la reazione di diversi mercati azionari o,

ancora, di valutare il rischio assunto dalle banche interessate da fusioni cross

border. Si cercherà inoltre di verificare se esistano ripercussioni positive o

negative sulla clientela suddividendo l'analisi tra privati e imprese. I primi sono

interessati dalle variazioni di tasso sui depositi, variazioni che possono essere

influenzate da diversi fattori: efficienza, dimensioni, rischiosità degli istituti di

credito e scelte strategiche dei concorrenti in merito all'apertura di nuovi sportelli

o a operazioni di fusione. Le imprese sono invece interessate agli effetti prodotti

da operazioni di ristrutturazione sulla disponibilità di credito.

Il quarto capitolo si concentra sul fenomeno delle fusioni avvenute all'interno

del nostro continente dopo un breve accenno alle vicende statunitensi. Verrà

evidenziato come in Europa si sia con il tempo proceduto al consolidamento dei

mercati domestici, per poi definire mosse strategiche oltre i confini nazionali, in

particolare verso i paesi dell'Est Europa. La seconda parte del capitolo è dedicata

alla situazione del nostro paese e alla sua più recente evoluzione. In chiusura

seguono alcune considerazioni sulle prospettive future delle operazioni cross

border in Europa.

Il quinto capitolo è interamente dedicato all'analisi del bilancio 2007 di UBI

Banca, quarto gruppo creditizio italiano di recente costituzione. Lo studio prende

in considerazione le linee strategiche alla base dell'operazione di aggregazione

inevitabilmente connesse ai risultati aziendali.

6

1. Il contesto normativo

1.1 – Evoluzione della legislazione

In Italia, il fenomeno delle concentrazioni bancarie, si è manifestato con un

certo ritardo rispetto a quanto avvenuto negli altri paesi europei. Il nostro sistema

era ancorato a un quadro legislativo obsoleto legato alla legge bancaria del 1936

e solo l'intensificarsi della concorrenza internazionale all'interno del mercato del

credito ha dato la giusta spinta alla modernizzazione del contesto normativo

italiano. Con la progressiva creazione di un mercato comune europeo, i maggiori

istituti del nostro paese si trovavano ad affrontare una situazione di svantaggio

competitivo nei confronti delle banche estere strutturate per operare in maniera

efficiente e concorrenziale. Le più grandi banche italiane, la cui natura era

pubblica, erano invece abituate ad un mercato fortemente regolamentato che non

dava spunto a iniziative private volte a conseguire obiettivi di efficienza e

produttività.

Gravata dal pesante retaggio storico della crisi economica del 1929 e del

clima politico di quegli anni, la legge bancaria del '36 si basava sul principio

secondo il quale la raccolta del risparmio e l'esercizio del credito fossero funzioni

di interesse pubblico. In particolare la norma prevedeva:

➢ la proprietà pubblica delle imprese bancarie attraverso l'IRI

➢ la rigida separazione fra settore industriale e settore creditizio

➢ la specializzazione temporale e settoriale del sistema bancario

➢ la funzione di vigilanza attribuita alla Banca d'Italia, alla quale veniva

affidato il compito di autorizzare la costituzione di nuove aziende di credito,

l'apertura di nuovi sportelli e le fusioni fra banche.

Tuttavia, già all'uscita dal secondo conflitto mondiale, la legge del 1936 si

rivela inadatta allo scenario industriale venutosi a creare. La rigida separazione

fra esercizio del credito a breve termine e a medio-lungo termine non consente di

7

rispondere pienamente alle reali esigenze delle imprese impegnate nella

ricostruzione post-bellica. Nonostante la legge vietasse l'erogazione del credito a

lungo termine agli istituti di tipo ordinario, il settore industriale italiano

continuava ad appoggiarsi a tali banche per far fronte alle proprie esigenze di

finanziamento; fenomeno mitigato solo in parte dalla costituzione di

Mediobanca, istituto destinato al raccordo fra credito ordinario e credito

finanziario, il cui capitale era detenuto dalle tre banche di interesse nazionale.

Tutto il sistema bancario europeo, per il completamento del mercato unico,

necessitava di provvedimenti unitari atti a facilitare la concorrenza tramite

l'insediamento di filiali all'estero. Il processo di armonizzazione dei sistemi

legislativi in ambito europeo, attuato attraverso l'emanazione di alcune direttive

comunitarie, dà il giusto impulso al rinnovamento dell'obsoleta normativa del '36

definitivamente superata solo con la legge Amato del 19901 e con il Testo Unico

del 1993. Punti cardine delle nuove leggi sono: il riconoscimento dell'attività

bancaria come attività imprenditoriale (con questa logica vengono emanati

decreti che creano il presupposto per la privatizzazione degli istituti pubblici), la

possibilità di operare fusioni fra istituti di credito tali da dare alle banche italiane

dimensioni competitive a livello europeo e il definitivo abbandono della

specializzazione introdotta nel 1936.

1.1.1 – Le norme antitrust

Riguardo al tema della concorrenza, fino ad allora fortemente osteggiata a

causa di una visione pubblicistica dell'attività bancaria, essa raggiunge il pieno

riconoscimento solo con la legge 287 del 10 ottobre 1990 nota come legge

Antitrust. Questa legge istituisce l'Autorità garante della concorrenza e del

mercato (Antitrust) quale organo preposto all'applicazione della legge, alla tutela

della concorrenza e alla promozione della stessa. Per quanto riguarda il settore

del credito tali attività vengono svolte in collaborazione con la Banca d'Italia al

1. Legge n. 218 del 30 luglio 1990.

8

fine di agevolare l'esercizio delle rispettive funzioni, come previsto dal protocollo

d'intesa sottoscritto nell'aprile 2007 tra le due Autorità. Nello specifico, all'avvio

di un'istruttoria da parte dell'Autorità garante, la Banca d'Italia provvederà a

comunicare informazioni in ordine alla composizione del portafoglio e alle quote

di mercato delle banche interessate.

La disciplina antitrust individua quattro tipologie di operazioni

potenzialmente lesive della concorrenza: le intese, l'abuso di posizione

dominante, le operazioni di concentrazione e le barriere legali2.

Le intese riguardano gli accordi tra imprese operanti sullo stesso mercato o

aventi in comune lo stesso processo produttivo, oppure accordi mirati ad

esercitare un controllo su imprese indipendenti attive su mercati contigui. Sono

oggetto di divieto sia le intese in grado di alterare il mercato nazionale, sia quelle

che derivano da una semplice dichiarazione di intenti (senza obbligatorietà

giuridica).

La posizione dominante in sé non è vietata, ma sono proibite le azioni

intraprese al fine di sfruttare il predominio economico su un mercato, come ad

esempio l'imposizione di prezzi o condizioni contrattuali ingiustificatamente

gravose a danno dei consumatori. Nel caso venga individuata una posizione

dominante, si rende opportuno accertare se di conseguenza esista anche un abuso.

In questo caso l'Autorità provvede alla diffida ed eventualmente all'applicazione

di sanzioni nei confronti delle imprese responsabili. In realtà, la possibilità che si

realizzi una posizione dominante nel settore del credito è puramente teorica.

In merito alle operazioni di concentrazione, è necessario stabilire se tale

posizione eliminerà o ridurrà in modo considerevole la concorrenza sul mercato.

Per operazioni di concentrazione si intendono: fusioni fra imprese, acquisizioni

del controllo di imprese e creazione di un'impresa comune. Se vengono ravvisati

gli estremi di una violazione della legge antitrust, le operazioni possono essere

vietate se non sono ancora state poste in essere, ma se le stesse sono già concluse

2. Legge n. 287 del 10 ottobre 1990.

9

l'Autorità può prescrivere le misure necessarie al ripristino delle condizioni di

concorrenza effettiva. Se le operazioni non si dimostrano lesive della

concorrenza, le Autorità chiudono l'istruttoria e provvedono a darne

comunicazione sia alle imprese che al Ministero competente.

L'operazione preliminare a ogni indagine posta in essere dalle autorità è

l'individuazione del cosiddetto “mercato rilevante”. La definizione di mercato

rilevante è uno degli strumenti per identificare e definire lo scenario nel quale si

svolge il rapporto di concorrenza fra imprese. Tale definizione permette di

stabilire la struttura all'interno della quale i principi di politica di concorrenza

sono applicati dalle autorità, di identificare i vincoli competitivi con cui le

banche interessate si devono confrontare e di calcolare le quote di mercato che

consentono l'identificazione di una posizione dominante. Il mercato viene

definito sia geograficamente che in base al prodotto. Un mercato di prodotto

rilevante contiene prodotti o servizi considerati intercambiabili e sostituibili in

base alle caratteristiche e ai prezzi. L'applicazione di questo concetto all'attività

creditizia presenta non poche difficoltà in quanto le banche sono caratterizzate da

una realtà multiprodotto.

Il mercato geografico rilevante identifica l'ambito territoriale in cui le

imprese o banche interessate sono attive nell'offerta di prodotti e servizi e in cui

le condizioni della concorrenza sono sufficientemente omogenee. Il mercato della

raccolta viene valutato, ai fini della legge antitrust, su base provinciale, il

mercato degli impieghi su base regionale. Il primo è infatti dedicato al segmento

famiglie caratterizzato da scarsa mobilità territoriale, mentre le imprese,

caratterizzate da maggiore mobilità, sono destinatarie del mercato degli impieghi.

Questa suddivisione è più complessa nei casi di banche che operano nei mercati

dell'intermediazione mobiliare, del leasing, del factoring e delle attività

esattoriali. In tali casi, spesso le autorità effettuano le loro valutazioni su base

nazionale.

10

Dopo aver individuato il mercato rilevante, le Autorità procedono ad

analizzare eventuali violazioni della legge antitrust in base al superamento di una

soglia di attenzione (25%) costituita dalla quota di mercato detenuta

congiuntamente dalle banche interessate relativa allo specifico prodotto e al

mercato geografico di riferimento.

Da uno studio eseguito sui singoli casi esaminati dalle Autorità antitrust nel

decennio successivo all'entrata in vigore della legge 287/90 è emerso che le 520

concentrazioni comunicate alla Banca d'Italia non sono state ritenute lesive della

concorrenza3. Nella maggioranza dei casi nessuna istruttoria è stata avviata in

considerazione sia della limitata sovrapposizione in termini geografici, che della

presenza su tali mercati di altri istituti con quote di mercato superiori e in grado

di garantire il mantenimento di un adeguato livello di concorrenza.

Il limitato numero di istruttorie avviate non ha comunque prodotto divieti in

nessun caso di concentrazione, in quanto la presenza di potenziali concorrenti ha

“mitigato” il pericolo di costituzione o rafforzamento di una posizione dominante

(esempio: concentrazione tra Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo con Cassa

di Risparmio di Venezia). Nei pochi casi in cui tale pericolo è stato ritenuto più

concreto, la Banca d'Italia ha imposto la cessione di alcuni sportelli e il divieto di

aprirne di nuovi per un certo periodo (concentrazione tra Banca Intesa e Banca

Commerciale Italiana).

Infine, in rarissimi casi sono state autorizzate operazioni di concentrazione

che comportavano la costituzione di un posizione dominante. Si è trattato

dell'acquisizione del controllo di banche in stato di crisi con lo scopo di eseguire

un salvataggio delle stesse (Cassa di Risparmio di Prato acquisita da Monte dei

Paschi di Siena).

3. Gino GANDOLFI (2002) elaborazione su bollettini dell'Autorità Garante della concorrenza e delmercato e della Banca d'Italia in: La Concorrenza nel Settore Bancario Italiano, p. 102, BancariaEditrice, Roma.

11

2. Crescita e creazione di valore

2.1 – Crescita interna vs. crescita esterna

Quando si parla di crescita dimensionale nel settore bancario, si pensa

immediatamente alle operazioni di fusione o acquisizione. In effetti, i processi di

crescita cosiddetta “esterna” costituiscono la quota predominante fra le scelte di

espansione nel mercato del credito e questo a causa del ruolo fondamentale che la

“relazione con il cliente” svolge nel successo di un istituto bancario.

La crescita interna, invece, comporta l’apertura di nuove filiali in zone non

raggiunte dalla rete di distribuzione, nel tentativo di sottrarre clienti alle banche

già presenti sul territorio. Nonostante le vantaggiose offerte rivolte alla clientela,

specie in periodi promozionali, molto probabilmente non sarà possibile sottrarre

significative quote di mercato ai concorrenti, soprattutto nel breve periodo. I

fattori che decretano l’insuccesso di operazioni di questo tipo si possono

ricondurre alle strette relazioni che i competitors hanno intrecciato nel corso

degli anni con la clientela, rendendo all’apparenza sconveniente il passaggio da

una banca all’altra. A questo si aggiungono le dimensioni del mercato di

riferimento, la scarsa conoscenza del territorio da parte della nuova banca e la

forza del marchio degli istituti già presenti nella zona.

L’alternativa all’espansione interna è rappresentata dalla conclusione di

un’operazione di fusione o acquisizione. La fusione consiste nell'unione di due o

più banche dalla quale emerge un nuovo ente creditizio; l'acquisizione di una

banca da parte di un'altra comporta invece, generalmente, la scomparsa

dell'acquisita come entità autonoma. Sono considerate acquisizioni anche le

operazioni in cui la banca acquisita conserva la sua identità.

Queste strategie hanno il vantaggio di riflettersi immediatamente sui risultati

di bilancio della banca acquirente, dato che accorpando un istituto già esistente si

incorpora anche il portafoglio clienti dell’istituto stesso. Non si pongono

12

problemi di conoscenza del territorio e non è necessario mettere in atto politiche

concorrenziali aggressive per espandere la propria quota di mercato.

La crescita esterna comporta però numerosi problemi legati alla possibilità di

incorporare portafogli particolarmente rischiosi, alla scarsa conoscenza dei nuovi

mercati, al conseguente superamento delle barriere culturali e all'unificazione dei

sistemi informativi. Questi ultimi hanno infatti assunto un peso sempre maggiore

all'interno dell'attività bancaria con la conseguenza di aver reso un eventuale

cambiamento particolarmente oneroso sia in termini economici che di tempi di

formazione del personale.

La crescita può essere lo strumento adatto a massimizzare la redditività nel

lungo periodo ed è strettamente correlata ai concetti di economie di scala e di

scopo, potere di mercato e diversificazione del rischio. Per quanto attiene alla

riduzione dei costi, essa viene conseguita attraverso l'eliminazione di filiali e il

taglio del personale in esubero, in modo particolare in alcune aree specifiche in

cui si verificano sovrapposizioni di ruoli (risk management, uffici di direzioni

centrali,...). La recente formazione dei grandi gruppi bancari nel nostro paese ha

prodotto migliaia di esuberi. Il costo del lavoro viene infatti considerato come il

principale elemento che contrasta la crescita produttiva e che incide in modo

negativo sui livelli di redditività. Il suo abbattimento risulta quindi essere la via

più agevole per ridurre i costi e recuperare competitività, obiettivi comuni di ogni

operazione di fusione.

Maggiore è la scala di attività della banca, maggiore è la possibilità di entrare

in contatto con le più grandi aziende per supportarle anche nelle complesse

operazioni internazionali nonché di operare con grandi clienti di diversi settori,

oltre che con una foltissima schiera di clientela privata, aumentando i margini di

raccolta e determinando una notevole diversificazione del portafoglio. Questo

consente di ridurre i rischi di credito e liquidità sopportati complessivamente. Il

minor rischio di liquidità permette di ridurre il peso delle riserve monetarie con

effetti positivi sul rendimento medio degli assets. Per quanto attiene invece il

13

rischio di credito, la diversificazione su base settoriale e geografica consente di

effettuare un minor accantonamento ai fondi patrimoniali di copertura dei rischi.

Le dimensioni di un istituto bancario e la sua reputazione costituiscono punti

di forza anche nel campo del collocamento titoli, nel grado di rischio percepito

dai depositanti e nella possibilità di ottenere condizioni migliori sul mercato

interbancario internazionale. In particolare, il fattore dimensionale consente di

sopportare i costi fissi derivanti dall'apertura di uffici di rappresentanza nelle

principali piazze mondiali, a tutto vantaggio della reputazione.

2.2 - Valutazione del valore creato

Il moltiplicarsi delle operazioni di fusione e acquisizione ha dato l'impulso

alla nascita di nuove figure professionali particolarmente specializzate nel campo

delle M&A, capaci di coinvolgere attivamente tutte le strutture interessate e in

grado di comunicare gli obiettivi intermedi e finali con grande precisione.

Proprio tali figure hanno fatto da volano alle aggregazioni stesse, consentendo

una sempre più rapida realizzazione e una più efficace gestione del processo di

fusione.

Perché l'operazione avvenga con successo, è fondamentale stabilire con

chiarezza e sin dall'inizio i criteri e le strategie da seguire con particolare

riguardo alla scelta del timing più appropriato, all'analisi dei concorrenti e delle

normative fiscali. E' inoltre indispensabile valutare preventivamente le possibili

reazioni dei mercati e le ripercussioni dell'aggregazione sul corso dei titoli degli

istituti coinvolti, in quanto si tratta di importanti indici del gradimento

dell'operazione di fusione da parte degli azionisti di minoranza. Al fine di

valutare il successo di una M&A, l'analisi dei corsi azionari post-fusione non può

prescindere dalla disamina di ulteriori fattori, a cominciare da un accurato esame

degli indicatori economici e patrimoniali di bilancio.

Ad oggi sempre più aziende e banche italiane utilizzano nuovi e sofisticati

metodi come strumenti operativi per valutare la bontà dell'allocazione delle

14

risorse tra diverse alternative di investimento. Questi metodi costituiscono

strumenti efficaci di organizzazione aziendale a livello operativo e finanziario,

incentivano i manager ad assumere una mentalità tesa all'incremento del valore e

si propongono di indirizzare ogni strategia o scelta verso la creazione di valore.

In generale, perché un’impresa crei valore è necessario che il reddito

prodotto sia tale da superare il costo del capitale. Anche le banche non si

sottraggono a queste linee di gestione e il Value Based Management è ormai una

tecnica che si sta diffondendo anche nel settore bancario. La specificità

dell'attività di intermediazione impone però l'utilizzo di tecniche di misurazione

diverse da quelle adottate dalle altre imprese. Il VBM è un metodo di gestione

che consente di trasformare gli obiettivi aziendali in obiettivi specifici per i

singoli centri di responsabilità, attraverso una procedura di tipo top down. Di

conseguenza, verranno individuate le strategie volte al conseguimento dei singoli

obiettivi che rappresentano la suddivisione di quello aziendale. L'adozione di

questo stile di gestione presenta per le banche alcune difficoltà legate

principalmente all'organizzazione interna, ai sistemi informativi e all'accettazione

da parte del management.

2.2.1 - Metodologia EVA

La misurazione del valore creato è di importanza cruciale e per effettuarla

possono essere scelti indicatori legati ai flussi di cassa o a grandezze contabili.

L’Economic Value Added4 (EVA) è uno dei principali strumenti di misurazione

del valore creato basato sul concetto dei flussi finanziari. Caratteristica peculiare

di queste misure è il non tenere conto della divisione in esercizi della gestione

aziendale e del principio di competenza basilari nell'approccio contabile. In altre

parole, il flusso di cassa netto in un periodo è pari alla differenza tra flussi

monetari in entrata e in uscita. Altro aspetto distintivo di questa tecnica è il

concetto di capitale investito, completamente diverso dal capitale proprio e dal

4. La metodologia EVA™ è stata proposta dalla società Stern Stewart. Si tratta di un marchio registrato.

15

patrimonio. Da sottolineare il fatto che questa metodologia sia stata sviluppata

per un impiego nelle imprese industriali e che l'applicazione in ambito bancario

abbia richiesto alcuni adattamenti. In primo luogo il cash flow presenta tempi

tipici particolarmente lunghi che male si adattano ai tempi di gestione della

tesoreria imposti dai mercati monetari. Inoltre i bilanci delle banche presentano

caratteristiche totalmente differenti dalle altre imprese. L'importanza delle voci di

debito e la minore rilevanza delle attività materiali impongono l'esigenza di

individuare il metodo più corretto per trattare le passività ai fini della

determinazione del NOPAT e del capitale investito5. Il fatto che l'attività di

intermediazione sia incentrata sulla gestione di debiti e rischi rende inoltre poco

significativa la distinzione fra gestione caratteristica e gestione finanziaria,

basilare per la metodologia EVA.

EVAt = NOPAT – WACC * CI

L’EVA al tempo t è una misura di reddito, pari alla differenza fra due

grandezze: il NOPAT (Risultato operativo al netto delle imposte) e il costo medio

ponderato del capitale investito (WACC*CI). La prima è un indicatore

economico rettificato per depurare l’utile netto dalle politiche di bilancio e dalle

convenzioni contabili, la seconda rappresenta la media ponderata fra il costo

figurativo del capitale proprio e il costo del capitale di finanziamento (titoli e

debiti subordinati), tenendo conto dei benefici fiscali connessi al pagamento degli

oneri finanziari.

Il calcolo dell'EVA è difficilmente applicabile alle diverse business unit,

infatti il calcolo del NOPAT e del costo del capitale investito deve avere le

grandezze di bilancio come riferimento. Pertanto, le tecniche basate sui flussi

5. Per Capitale Investito si intende la somma algebrica di: capitale, riserve, prestiti subordinati erettifiche di poste contabili (fondo TFR, fondo imposte e tasse, valutazione crediti e costituzione fondi di svalutazione degli stessi), escludendo l'insieme delle passività nei confronti della clientela.

16

finanziari trovano ampio spazio nella pianificazione a livello aziendale, ma non

con riferimento ai singoli centri di responsabilità.

2.2.2 - Indicatori di natura contabile

Un altro indice molto utilizzato a livello aziendale è il Return on Equity

(ROE) dato dal rapporto fra utile netto d'esercizio e patrimonio netto di bilancio.

Grazie alla semplicità di calcolo, il ROE rappresenta un utile strumento di

controllo della redditività aziendale e di confronto con altre banche concorrenti.

In un'ottica di benchmarking, il ROE viene utilizzato come mezzo di

comparazione rispetto a un gruppo di confronto costituito da banche che, per

dimensioni e operatività, siano simili fra loro. Finalità di tale analisi è individuare

le determinanti del risultato economico e le aree di intervento per un

miglioramento della performance.

ROE =

L'utile netto considerato nella formula indica l'ammontare complessivo dei

dividenti per gli azionisti ed è quindi immediata espressione della redditività.

Indica inoltre il tasso di crescita potenziale del patrimonio netto in un esercizio

ovvero la capacità di autofinanziamento dell'impresa. La redditività complessiva

di una banca, e quindi il valore del ROE, è strettamente correlata al grado di

produttività, alle possibili economie di scala legate all'aumento delle dimensioni

e al livello di concorrenza dei mercati in cui la banca opera. Un ruolo chiave è

rivestito dall'imposizione fiscale in grado di influenzare pesantemente il risultato

economico d'esercizio.

L'utilizzo del ROE, soprattutto nel settore del credito, presenta due

problematiche principali: trascura l'aspetto del rischio gravante sul patrimonio

della banca, cioè fornisce un'indicazione della redditività senza tenere conto dei

rischi assunti con la gestione e non consente di definire obiettivi per le singole

17

Ut ile n et t o

Pa t rim on io n et t o

business unit. Queste ultime caratterizzano una gestione orientata alla creazione

di valore nel settore bancario, risulta infatti più semplice l’assegnazione di un

obiettivo ad ogni unità operativa rispetto alla gestione accentrata di tutto il

business aziendale. Le BU sono strutture teoricamente separabili dal resto della

struttura operativa, hanno una propria clientela, un proprio capitale e una discreta

autonomia per quanto riguarda la gestione ordinaria. Il numero di BU presenti

all’interno della struttura organizzativa varia a seconda della complessità e del

livello di diversificazione della singola banca. In ogni caso, non vengono mai

decentrate le funzioni di tesoreria. La suddivisione dell’attività bancaria in

singole business unit, presuppone che a queste sia possibile assegnare un

obiettivo e un capitale, indispensabile per il funzionamento delle BU stesse. La

contabilità analitica deve quindi essere in grado di misurare il reddito prodotto

dalle singole aree operative e il livello di rischio associato ad ogni operazione.

Le misure RAPM (Risk Adjusted Performance Measures), che possono

essere pensate come varianti del ROE, vedono la banca come la sommatoria delle

sue singole BU e consentono di disaggregare il risultato aziendale per le varie

aree di business. Tali misure di performance si discostano dalle voci di bilancio e

introducono una componente soggettiva riferendosi a valori in parte stimati.

Consentendo di valutare la redditività e la rischiosità delle singole BU, questi

indicatori sono in grado di indirizzare le scelte strategiche volte allo sviluppo

delle aree di business più redditizie, nonché di valutare singole transazioni.

Matematicamente, questi indicatori si costruiscono ponendo al numeratore

una misura dell’utile prodotto dalla BU e al denominatore il capitale allocato;

numeratore o denominatore (o entrambi) dovranno essere opportunamente

ponderati per il rischio. Il capitale a rischio viene calcolato attraverso la

metodologia del valore a rischio VAR, cioè la massima perdita probabile su un

certo orizzonte temporale con un dato livello di confidenza. Naturalmente, il

VAR globale deve tenere conto di tutti i rischi ai quali è esposta la banca che

18

sono classificabili in tre gradi categorie: rischi di credito, rischi di mercato e

rischi operativi. La scelta fra le varie tipologie di misurazione dipende dalle

caratteristiche del sistema informativo interno e dalle scelte del management,

tanto che ogni singola banca potrebbe trovare conveniente elaborare proprie

varianti delle misure RAPM.

2.3 - Creazione di valore e modello di gestione

Il discorso relativo alla creazione di valore comporta un doveroso accenno al

modello di gestione adottato. Esiste infatti una stretta correlazione tra la scelta

del modello di business da parte di una banca e la sua capacità di creare valore

per gli azionisti. Come già accennato, alcuni tra i maggiori gruppi internazionali

hanno abbandonato il modello di banca universale per orientarsi verso strutture

caratterizzate da forte specializzazione e autonomia decisionale delle varie unità

di business. Vengono quindi adottate strutture basate su un modello decentrato di

aree di business autonome che, proprio grazie alla specializzazione, sono in

grado di identificare i prodotti più adatti a soddisfare le reali esigenze della

clientela, abbandonando eventualmente le combinazioni prodotto-segmento

ritenute non remunerative.

Le nuove strutture si basano su due concetti:

➢ unicità del comando che lascia però autonomie organizzative e strategiche

alle singole business unit

➢ semplificazione delle aree di responsabilità adottando soluzioni di

divisionalizzazione. Per ciascuna divisione vengono declinati e articolati

responsabilità, progetti da attivare e concludere, tempistiche, obiettivi da

conseguire, livelli di qualità, redditività e utilizzo del capitale. Gli obiettivi e

i relativi piani di azione vengono condivisi con i singoli responsabili di

business e fanno parte integrante del loro sistema incentivante.

19

Le strutture organizzative fondate sulla presenza di più business unit

specializzate e dotate di ampia autonomia gestionale sono le più redditizie e

apprezzate dal mercato, grazie alla capacità di gestire velocemente e con

flessibilità i singoli business in funzione dei risultati aziendali. Questa tendenza

conferma quanto rilevato dallo studio di Masala e Roccia condotto nel 2002 su

un campione di 30 grandi istituti europei ed americani6. Già allora erano state

rilevate sostanziali differenze nella performance a vantaggio delle banche

caratterizzate da un modello multispecialistico basato su BU rispetto alle

concorrenti gestite secondo il modello tradizionale. Le differenze rilevate si

intendono in termini di redditività, efficienza e valore di mercato in borsa.

2.3.1 – Modelli di gestione dei principali gruppi italiani

I modelli organizzativi adottati dalle banche sono il risultato di strategie di

crescita recenti e di interventi a volte ancora in fase di completamento. Inoltre,

nel settore creditizio, la strategia aziendale e la conseguente scelta della struttura

organizzativa sono state fortemente influenzate dalla normativa che, soprattutto

in Italia, ha contribuito a modificare le aree di business e i confini dei mercati.

Tutti i più grandi gruppi creditizi del nostro paese hanno operato interventi

organizzativi a seguito delle aggregazioni avvenute negli ultimi anni con

l'obiettivo di migliorare la combinazione tra rendimento e rischio in relazione alle

nuove dimensioni raggiunte. A titolo di esempio, si riportano i modelli

organizzativi dei due maggiori istituti italiani, i quali hanno adottato un approccio

divisionale per aree di business con un diverso grado di articolazione.

Unicredit Group gestisce in maniera accentrata quasi tutte le attività bancarie

tradizionali, avvalendosi solo in alcuni casi di società prodotto. Nell'ambito del

mercato Retail, fatta eccezione per le divisioni dedicate alle filiali in Europa

centrale (dove le banche del gruppo manterranno, per il momento, la loro

6. Francesco MASALA, Massimo ROCCIA “Modelli di organizzazione e coordinamento dei diversibusiness bancari” in: Francesco CESARINI (2003) Le Strategie delle Grandi Banche in Europa,Bancaria Editrice, Roma.

20

precedente denominazione), Unicredit ha deciso di riunire sotto il proprio

marchio tutti gli istituti controllati con l'intento di dare massima visibilità al

nome del gruppo sul territorio nazionale. Alcune denominazioni storiche sono

state comunque mantenute al centro Italia e al Sud, affiancate però dal marchio

Unicredit Group.

Figura 1 – Schema del modello organizzativo di Unicredit Group7

Intesa Sanpaolo, con la divisione Banca dei Territori svolge tutte le attività di

Retail destinate ai privati e alle PMI avvalendosi di una complessa struttura

all'interno della quale convivono numerosi marchi differenti. Banca dei Territori,

che include le banche italiane controllate, si basa su un modello che prevede il

mantenimento e la valorizzazione dei marchi regionali, il potenziamento del

presidio commerciale locale e il rafforzamento delle relazioni con i privati e le

PMI. Rispetto alla concorrente Unicredit, Intesa Sanpaolo ha infatti deciso di

lasciare agli istituti acquisiti la propria denominazione. Anche per quanto

riguarda il mercato estero, Intesa Sanpaolo ha scelto di mantenere i marchi

originali creando una specifica divisione denominata Banche Estere. La presenza

di società controllate garantisce poi l'operatività in tutti gli altri settori quali:

public finance, comparto assicurativo e risparmio gestito.

7. UNICREDIT GROUP (2007) Bilancio consolidato.

21

UNICREDIT GROUP

Markets & Investment

Banking

Asset Management

PrivateBanking

GlobalBankingServices

Central EasternEurope

Poland'sMarket

CorporateRetail

Figura 2 – Schema del modello organizzativo del gruppo Intesa Sanpaolo8

Nonostante i maggiori gruppi italiani abbiano adottato strategie di

diversificazione territoriale anche attraverso consistenti investimenti nei paesi

dell'Europa dell'Est o in ambiti esterni all'area europea, l'attività di

intermediazione resta stabilmente concentrata sul mercato domestico. Può quindi

ritenesti giustificata la scelta di mantenere i marchi tradizionali delle banche

storicamente presenti nei territori.

8. INTESA SANPAOLO (2007) Bilancio consolidato.

22

Banca deiTerritori

BancheEstere

Retail &Private

Corporate & Investment

Banking

EurizonCapital

BancaFideuram

BancaIIS

INTESA SANPAOLO

3. Effetti sugli stakeholders

3.1 – Rilevanza dei mercati finanziari

Come già accennato nel capitolo precedente, ogni scelta aziendale è orientata

a perseguire la creazione di valore come obiettivo primario della gestione. Solo

quando crea ricchezza l'impresa è in grado di offrire prodotti migliori, innovativi

e convenienti, di creare nuove opportunità di occupazione e di valorizzare le

competenze. Una qualunque impresa, quindi, riesce ad accrescere il proprio

valore di mercato se attraverso le operazioni di gestione ordinaria e straordinaria

crea valore per tutti gli stakeholders dell’impresa stessa. Per l'impresa bancaria, i

portatori di interessi si identificano con una pluralità di soggetti: azionisti,

dipendenti, depositanti e obbligazionisti che traggono beneficio dalla sua attività.

Purtroppo, il valore creato per gli stakeholders è difficilmente misurabile; al

contrario, la soddisfazione degli azionisti è efficacemente approssimabile con la

crescita del prezzo delle azioni della società. Proprio per questo, nell’ottica del

management, gli azionisti hanno assunto una posizione di privilegio, a volte

anche a discapito di altre categorie di soggetti che hanno interessi verso la

società. Le scelte strategiche risultano infatti fortemente indirizzate alla

massimizzazione del valore creato per gli investitori. La rilevanza di tale

categoria risulta differente in relazione ai singoli paesi considerati. Negli Stati

Uniti, tradizionalmente legati al mercato, la soddisfazione degli azionisti prevale

sugli interessi degli altri stakeholders. In paesi europei come la Germania, invece,

gli azionisti e il mercato in generale assumono un ruolo di secondo piano, anche

a causa di un quadro economico legato agli intermediari piuttosto che al mercato.

Negli ultimi anni l'obiettivo della creazione di valore per gli azionisti si sta

peraltro diffondendo rapidamente anche al di fuori dei paesi anglosassoni.

Proprio per il legame diretto fra le scelte strategiche e la soddisfazione degli

azionisti, i corsi azionari meritano particolare attenzione soprattutto alla luce

23

delle sempre più frequenti operazioni di M&A che interessano gli istituti bancari.

La reazione dei mercati finanziari all'annuncio di nuove fusioni rappresenta il

risultato dei comportamenti degli investitori che esprimono un giudizio sugli

avvenimenti passati nonché sugli sviluppi futuri delle imprese coinvolte.

3.2 – Studio dei corsi azionari, modello di Sharpe

La tecnica degli event studies è una tecnica econometrica comunemente

utilizzata per valutare se la variazione dei prezzi azionari di una banca all'interno

di una certa finestra temporale sia da considerare anomala rispetto all'andamento

generale del mercato. Tale analisi comporta il calcolo di una misura di

extrarendimento anomalo cumulato (CAR) dato dalla somma di tutti gli

extrarendimenti anomali registrati nel periodo considerato. Se extrarendimenti

giornalieri positivi e negativi tendono a compensarsi, il CAR è all'incirca nullo.

Se invece l'evento ha un impatto preciso sui rendimenti, amplificandoli o

riducendoli, il CAR tenderà ad essere significativamente diverso da zero.

Per valutare gli extrarendimenti anomali è necessario individuare gli

extrarendimenti normali. Per fare ciò si utilizza il modello di Sharpe9 (il

cosiddetto market model, che rappresenta una formulazione più generale del

CAPM).

rit = αi + βi (Rmt – Rft) + εit

con rit = Rit – Rft per i = 1 ... N t = 1 ... T

rit indica gli extrarendimenti del titolo al giorno t. Rit e Rmt indicano rispettivamente il rendimento atteso sul titoli i e il rendimento atteso dal mercato nel suo complesso alla stessa data.Rft rappresenta il tasso corrisposto dalle attività prive di rischio al giorno t.αi è una costante.βi è il coefficiente di sensibilità che indica le caratteristiche del titolo i.εit rappresenta un errore casuale con distribuzione normale, media nulla e varianza σi

2 costante nel tempo.

9. William SHARPE (1963) “A simplified model for portfolio analysis” in: Management Science,January, pp. 277-293.

24

Nell'ipotesi che l'equazione riesca a spiegare i rendimenti normali del titolo

considerato, diventa possibile individuare le fasi di mercato in cui essa fallisce e

misurare l'impatto dell'evento indagato attraverso il raffronto tra extrarendimento

conseguito e extrarendimento atteso. L'extrarendimento anomalo viene dunque a

coincidere con l'errore di regressione εit del modello di mercato.

Presupposto dell'analisi è la scelta dell'intervallo temporale di riferimento

all'interno del quale si valuterà il CAR del titolo in questione. Una finestra troppo

ampia rischia di rendere meno leggibili i risultati dell'esperimento in quanto

sarebbero influenzati da altri eventi aziendali indipendenti dall'operazione di

fusione. Al contrario, una finestra troppo ristretta potrebbe impedire di valutare la

reazione del mercato nella sua interezza, escludendo dall'analisi eventuali

correzioni e finendo per fraintendere le reali intenzioni degli investitori. E'

consigliabile inoltre che la finestra includa anche alcuni giorni antecedenti

l'annuncio della fusione in modo da valutare pienamente i non trascurabili effetti

delle fughe di notizie.

3.3 – Riflessi sugli azionisti delle banche coinvolte

La previsione delle reazioni del mercato costituisce l'oggetto di importanti ed

approfonditi studi condotti applicando la tecnica degli event studies a un vasto

campione di operazioni. Tale previsione può consentire alla banca acquirente di

scegliere la strategia più appropriata al fine di generare valore per gli azionisti,

soddisfacendone quindi le aspettative. Un recente studio di Resti e Galbiati10

analizza un campione di M&A europee e americane per decifrare l'opinione del

mercato sulla loro validità. Il campione comprende 221 annunci di M&A ripartito

fra Stati Uniti ed Europa, avvenute nel periodo dal 1991 al 2003. Ciascuna

aggregazione esaminata vede coinvolta almeno una banca quotata. E' interessante

10. Lucia GALBIATI, Alessandro RESTI, “Competitività e M&A: le aggregazioni bancarie creanovalore? Il punto di vista del mercato” in: Giampio BRACCHI, Donato MASCIANDARO (2004) Lacompetitività dell'industria bancaria – Nono rapporto sul sistema finanziario italiano, Edibank,Milano.

25

notare come nei primi anni '90 le aggregazioni fossero quasi esclusivamente

statunitensi, mentre negli anni più recenti si sia assistito a un maggiore equilibrio

tra Europa e Stati Uniti. Fra le aggregazioni considerate, 24 hanno natura cross

border, di queste soltanto una coinvolge una banca italiana (in veste di acquisita);

la maggior parte è tra controparti europee, mentre solo tre rappresentano

un'aggregazione fra una banca europea e una statunitense.

L'inizio della event window è fissato a 10 giorni prima dell'annuncio della

fusione, mentre il termine a 10 giorni successivi l'annuncio formale. L'analisi ha

rivelato che espandendo la finestra di analisi oltre quest'ultimo termine i CAR

tendono ad assumere un valore medio statisticamente nullo. In questo arco

temporale, le banche acquisite evidenziano in media un rendimento anomalo

particolarmente positivo (15%) che tende a permanere nel tempo. Per contro, le

banche acquirenti presentano CAR negativi a causa del premio per il controllo

pagato agli azionisti della banca target. Con il passare delle settimane il mercato

tende però a correggere le opinioni espresse sui titoli della banca acquirente,

riportandole su livelli meno penalizzanti. Probabilmente, il management della

banca bidder riesce col tempo a fornire al mercato informazioni credibili sui

vantaggi che potranno derivare dall'operazione. Tale sforzo di comunicazione ha

prodotto, soprattutto negli ultimi anni, una maggior fiducia da parte degli

azionisti circa la possibilità di creare valore dalla fusione.

Particolarmente significativa è l'analisi dei riflessi prodotti dalle dimensioni

dell'acquista sul premio pagato dalla banca acquirente. Infatti, l'acquisizione di

una banca di modeste dimensioni dovrebbe risultare più agevole, sia dal punto di

vista finanziario che dell'integrazione vera e propria. Resti e Galbiati individuano

due criteri guida per l'analisi delle banche acquisite: dimensione assoluta e

quoziente fra i total assets dell'acquista e dell'acquirente, giungendo alla

conclusione che il premio unitario pagato in occasione di M&A sbilanciate risulta

mediamente più consistente rispetto all'acquisizione di banche di dimensioni

simili alla bidder. Il management di quest'ultima è disposto a offerte più generose

26

sia per il limitato esborso totale, che per il limitato rischio legato all'integrazione

con una banca di dimensioni ridotte. In ogni caso, la perdita di valore evidenziata

dall'acquirente risulta tanto più contenuta quanto più ridotte sono le dimensioni

dell'acquisita.

Resti e Galbiati individuano le 5 variabili in grado di spiegare i CAR delle

banche acquisite: due sono relative alle caratteristiche di redditività ed efficienza

dell'acquisita, una alle disponibilità patrimoniali della bidder, una alle dimensioni

relative delle due banche coinvolte e un'altra all'umore del mercato. Il premio

pagato cresce con la redditività della banca acquisita, ma anche con i margini di

inefficienza che possono essere messi a profitto dalla bidder; è meno generoso

quando l'acquirente ha limitate disponibilità patrimoniali o quando le banche

coinvolte sono di dimensioni simili; è particolarmente elevato in un contesto di

mercato depresso, quando cioè le offerte avvengono in un contesto di indici

generali calanti.

E' interessante notare come le fluttuazioni dei corsi azionari siano piuttosto

nette (+13,7% nel CAR delle acquisite, -2,5% per le acquirenti), mentre gli effetti

di una M&A sulle poste di bilancio delle banche coinvolte non siano altrettanto

significativi perlomeno nel breve periodo. Infatti, se la diversificazione del

portafoglio clienti e l'ampliamento della gamma dei servizi offerti producono

generalmente maggiori ricavi, i riflessi di un'aggregazione sul fronte della

riduzione dei costi sono piuttosto controversi11. Pertanto, le variazioni di prezzo

dei titoli non sembrano completamente legate alle caratteristiche dell'operazione

di M&A in atto. Come dimostrato dallo studio di Resti e Galbiati, solo il 40%

delle fluttuazioni di borsa è spiegabile attraverso modelli statistici, il restante

60% è frutto di manovre speculative degli investitori che nulla hanno a che

vedere con la natura della M&A e con le prospettive di crescita della banca

nascente.

11. Riccardo FERRETTI, Paola VEZZANI “I processi di crescita e le strutture organizzative” in: Marco ONADO (2004) La Banca come Impresa, il Mulino.

27

Il lavoro di Resti e Galbiati evidenzia il differente atteggiamento degli

investitori italiani rispetto agli investitori europei di fronte a un'operazione di

M&A. Il giudizio dei nostri mercati è apparso particolarmente severo a causa

della scarsa fiducia verso gruppi manageriali guidati più da finalità finanziarie

“difensive”, che da una reale volontà di creare valore. In effetti, il mercato

italiano sembra punire le banche acquirenti con CAR negativi e persistenti.

3.3.1 – M&A cross border

Le operazioni di natura cross border rappresentano un fenomeno piuttosto

recente che negli ultimi anni ha conosciuto un sensibile aumento12. L'espansione

geografica comporta benefici per le banche coinvolte in quanto consente di

ridurre i rischi, ma amplifica i costi di informazione a causa delle barriere

culturali e linguistiche e della distanza.

E' significativo notare come nelle operazioni transfrontaliere, si assista a un

maggior trasferimento di valore tra gli azionisti della banca acquirente e quelli

dell'acquisita. Il CAR medio delle acquisite nelle operazioni cross border risulta

essere quasi doppio rispetto alle operazioni domestiche (25% contro 14%). Al

contrario, il CAR delle acquirenti non sembra risentire in negativo dell'elevato

premio per il controllo pagato agli azionisti esteri, in quanto giustificato

dall'importanza strategica di stabilire un primo punto di contatto con il nuovo

mercato.

3.4 – Effetti delle M&A sulla clientela

Come accennato all'inizio del capitolo, gli effetti di una fusione si

manifestano non solo sugli azionisti, la cui opinione è in grado di influenzare

tutta l'operazione, ma anche su una vasta platea di portatori di interessi e in

particolare su consumatori e imprese. A seguito di un'operazione di aggregazione,

i piani d'impresa che vengono approntati prevedono molteplici progetti da

12. FINMONITOR (2006) Rapporto Semestrale su Fusioni e Aggregazioni tra gli IntermediariFinanziari in Europa, Luglio, n. 6.

28

realizzare, quali: la crescita dimensionale anche al fine di evitare scalate ostili,

l'acquisizione di nuove quote di mercato, la diversificazione del portafoglio

clienti e il miglioramento del servizio alla clientela attraverso la rapida

unificazione dei sistemi informativi, la formazione del personale e la

riorganizzazione delle strutture di rete.

Portare a termine un'operazione di fusione rende possibile reperire maggiori

informazioni da impiegare nella realizzazione di un nuovo portafoglio prodotti.

L'innovazione di prodotto può essere una strategia del nuovo gruppo che deve

essere perseguita senza perdere di vista i destinatari finali, cioè i clienti. Dal

punto di vista della clientela, diventa quindi interessante verificare gli effetti delle

M&A sui costi per i depositanti o sui tassi dei prestiti per le imprese.

Le conseguenze di una fusione tra istituti bancari non si possono determinare

in anticipo in quanto potrebbero essere realizzate economie di scala e

miglioramenti nella gestione dell'attivo con conseguente contenimento dei costi e

dei prezzi. L'aggregazione potrebbe anche portare un incremento del potere di

mercato e, conseguentemente, un aumento dei prezzi. Uno studio condotto su

questo tema13 prende in esame il mercato italiano (dato il gran numero di

aggregazioni verificatesi negli ultimi anni) distinguendo gli effetti temporanei

(periodo di transizione: anno del deal e i 2 successivi) da quelli permanenti (anni

successivi al periodo di transizione). Nel periodo di transizione le banche

interessate da operazioni di fusione mostrano una riduzione del tasso pagato sui

depositi di 13,5 punti base rispetto ad altre banche “non aggregate”, mentre nel

periodo successivo lo stesso tasso subisce un incremento pari a 12,6 punti. E'

interessante notare come tale incremento di tasso potrebbe essere spiegato da un

peggioramento della qualità del servizio a causa delle difficoltà di integrazione

tra strutture diverse. L'aumento del tasso diviene quindi strumento di

compensazione per la perdita di qualità con il solo scopo di mantenere la

13. Dario FOCARELLI, Fabio PANETTA (2003) “Are Mergers Beneficial to Consumers? Evidence fromthe Market for Bank Deposits” in: The American Economic Review, n. 93, vol. 4, pp. 1152-1172.

29

clientela. Inoltre i tassi sui depositi sono più bassi per le banche meno efficienti e

per quelle di dimensioni più elevate, mentre sono più alti per quelle che

presentano maggiore rischiosità. L'apertura di nuovi sportelli di banche

concorrenti su una stessa piazza comporta tassi vantaggiosi per la clientela e le

scelte strategiche di banche interessate da operazioni di fusione possono

influenzare le politiche di prezzo delle banche rivali anche all'interno della

provincia. Infine, anche in caso di operazioni di M&A con controparti esterne

alla provincia di riferimento, si possono osservare, nel lungo periodo, incrementi

di tasso sui depositi di 11,2 punti base.

Volendo considerare le variazioni di tasso prendendo come riferimento le

dimensioni dei depositi, si può osservare che, nel breve periodo, la riduzione di

tasso è più evidente sui depositi inferiori ai 25.000 euro rispetto a quelli di

ammontare più elevato. La spiegazione può risiedere nel fatto che i clienti con

depositi più bassi potrebbero non ritenere conveniente procedere all'apertura di

un nuovo conto corrente preso la concorrenza a causa dei risvolti burocratici e

degli switching cost legati al trasferimento dei servizi. A queste motivazioni va

aggiunto il rapporto fiduciario e spesso confidenziale che si instaura nel tempo

fra il cliente e i dipendenti di una filiale. I clienti con depositi elevati invece, in

caso di riduzione di tasso, trasferirebbero sicuramente i loro conti presso altre

banche riuscendo a contrattare condizioni migliori.

Tutto ciò nel breve periodo. Se invece l'osservazione viene protratta oltre il

periodo di transizione, si può notare che sia i depositi più bassi, sia i depositi più

elevati possono beneficiare di vantaggi simili. In definitiva quindi, devono essere

presi in considerazione intervalli di tempo più lunghi in quanto i benefici che

possono derivare da un'aggregazione non si manifestano nel breve periodo.

3.4.1 – Effetti delle M&A sulla disponibilità di credito

Per quanto riguarda le imprese è utile stabilire se i cambiamenti prodotti dai

processi di concentrazione possono avere ripercussioni sulla disponibilità di

30

credito. Diversi studi sugli effetti delle fusioni14 hanno dimostrato che le banche

coinvolte tendono a ridurre l'erogazione di credito alle imprese a causa di

processi di ristrutturazione, di cambiamenti nella propensione al rischio o per

l'adozione di nuove procedure di selezione dei clienti. Alcuni fattori producono

effetti permanenti, altri solo transitori, ma in media le imprese non subiscono

ripercussioni negative dalle fusioni tra banche. Le aziende più grandi, con fonti di

finanziamento ben diversificate fra più istituti, tendono a ricevere più credito se

una delle loro banche viene acquisita da altre. L'espansione del credito che si

registra in questi casi dimostra che quando una banca entra a far parte di un

gruppo creditizio aumenta la sua capacità di offerta.

Spostando l'attenzione sulle imprese più vulnerabili e cioè sulle piccole

imprese, su quelle che intrattengono rapporti con un minor numero di banche e su

quelle finanziariamente più fragili, si devono fare altre considerazioni. Le piccole

imprese tendono a stabilire relazioni con banche attive nei mercati locali e sono

per questo particolarmente esposte alle variazioni dell'offerta di credito. Allo

stesso modo le imprese con poche relazioni potrebbero essere penalizzate da

eventuali restrizioni del credito non potendo diversificare le loro fonti di

finanziamento. Le imprese più rischiose, infine, potrebbero essere colpite da

cambiamenti nelle politiche volte a innalzare la qualità dei portafogli.

Analizzando il credito erogato a queste tipologie di imprese in un arco temporale

relativamente lungo, gli studi eseguiti hanno potuto dimostrare che nessuna

“variazione al ribasso” è stata registrata a causa di operazioni di concentrazione

tra banche.

In generale quindi, si può concludere che i clienti delle banche che entrano a

far parte di un gruppo creditizio non subiscono una riduzione del credito

disponibile e, nel caso delle imprese più grandi e affidabili, la disponibilità di

credito sale del 6% rispetto ad altre imprese.

14. Si veda per tutti: Emilia BONACCORSI DI PATTI, Giorgio GOBBI “Gli effetti delle fusioni bancariesulla disponibilità di credito per le imprese italiane” in: BANCA D'ITALIA (2003) Temi diDiscussione, n. 479.

31

4. M&A in Italia e in Europa

4.1 – Origini del fenomeno

La prima grande ondata di operazioni di M&A ha avuto luogo negli Stati

Uniti a partire dagli anni '80, quando le particolari condizioni del mercato del

credito americano hanno consentito l'avvio di un processo di concentrazione

senza precedenti dando luogo a quasi 8.000 fusioni in meno di venti anni15. Le

cause di questo improvviso boom sono da ricercare in vari fattori che, in maniera

diversa, hanno reso convenienti queste aggregazioni. In primo luogo dobbiamo

considerare i vantaggi derivanti dall’aumento delle dimensioni dell’impresa

bancaria, ovvero le economie di scala e di scopo. La spinta più importante a

questo epocale cambiamento nel sistema bancario americano è stata però data

sicuramente dalle novità legislative in ambito creditizio.

In particolare, la legislazione americana impediva alle banche di aprire filiali

in Stati diversi rispetto a quello della capogruppo e sanciva il divieto per gli

istituti di credito di possedere quote del capitale di aziende non bancarie, come le

assicurazioni. A partire dalla seconda metà degli anni ’80 è iniziata una profonda

revisione degli aspetti legislativi che si riteneva potessero porre le banche

statunitensi in una condizione di svantaggio rispetto agli istituti europei. Tale

cambiamento ha aperto un nuovo scenario economico per le banche americane.

Da un lato, gli istituti più dinamici e competitivi hanno guadagnato importanti

quote di mercato attuando politiche aggressive. Dall'altro, le banche incapaci di

qualsiasi rinnovamento e destinate a scomparire, hanno potuto colmare il loro

ritardo attraverso la fusione in altri istituti.

Con riferimento alla natura delle società acquirenti si può osservare che la

quasi totalità (91%) delle aggregazioni avvenute nel periodo 1980-1998 è stata

portata a termine da holding bancarie. Inoltre, il taglio medio delle operazioni è

15. Stephen A. RHOADES “Bank Mergers and Banking Structure in the United States” in: Board ofGovernors of the Federal Reserve System (2000) Staff Study, n. 174.

32

aumentato nel tempo vedendo sempre più protagoniste le banche maggiori.

Questo trova conferma nella crescente importanza del FRB (Federal Reserve

Board), organo chiamato ad autorizzare le operazioni di importo più consistente.

Per quanto riguarda gli istituti di minor dimensione, sono stati individuati

alcuni fattori in grado di incidere sulla probabilità di essere acquisiti16, a

cominciare dalla redditività misurata attraverso il Return On Assets ROA.

Chiaramente una società con un ROA basso rappresenta una preda più appetibile

grazie alle grandi potenzialità di crescita. Altri fattori da prendere in

considerazione sono il rapporto fra capitale e totale attivo, il tasso di crescita

dell'istituto (misurato dalla variazione annuale del totale attivo), e la quota di

mercato. A riguardo di quest'ultimo fattore, è interessante notare come il tentativo

di acquisire una banca di piccole dimensioni non comporti generalmente

l'intervento delle autorità Antitrust (in quanto sono minori i pericoli di

concentrazione del mercato) rendendo l'operazione più agevole.

4.2 – M&A in Europa

Pur con un certo ritardo rispetto agli Stati Uniti, anche l’Europa ha

conosciuto una fase di impressionante accelerazione nei processi di fusione e

acquisizione nel settore creditizio, soprattutto dal 1995. Attualmente, con

riferimento alle concentrazioni domestiche, esiste un vasto gruppo di paesi

(Belgio, Svezia, Austria, Irlanda e Grecia) che ha sostanzialmente completato tale

processo, un gruppo più limitato di grandi paesi, come Germania e Italia, in piena

attività di aggregazione.

Dal 1995 al 2000 si è verificato un intenso periodo di ristrutturazioni che ha

condotto alla crescita di alcune banche inizialmente all'interno dei mercati

domestici e, solo in alcuni casi, ha prodotto fusioni cross border. A questo

proposito ricordiamo gli istituti bancari del Benelux e della Scandinavia che

16. Robert R. MOORE (1996) Banking Merger Fervor: Survival of the Fittest?, Financial IndustriesStudies, Federal Reserve Bank of Dallas.

33

hanno fatto da pionieri negli anni '90, spinti dalla necessità di uscire da mercati

troppo ristretti o colpiti da crisi finanziarie. A tale proposito, uno studio della

BCE del 2000 conferma: “Nel corso del periodo osservato (1995-1999) ci sono

poche prove di un trend verso M&A cross border all'interno dell'Area

Economica Europea (...). Sembra che, in molti paesi, i gruppi bancari abbiano

dapprima cercato di consolidare le proprie posizioni all'interno dei confini

nazionali prima di definire mosse strategiche per favorire la creazione di un

singolo mercato e l'introduzione della moneta unica”.17

Dal 2000 ad oggi, sono state sempre più le fusioni transfrontaliere a occupare

lo scenario economico europeo grazie all'integrazione monetaria e finanziaria. E'

prevedibile che tale fenomeno continuerà a svilupparsi e ad espandersi forse fino

alla definizione di un unico sistema bancario e finanziario. I più recenti dati

raccolti dalla BCE confermano tale ipotesi: a partire dal 2003, infatti, le fusioni

cross border hanno subito una fortissima accelerazione a scapito di quelle

domestiche, sia in termini numerici che di controvalore, divenendo il fenomeno

predominante nello scenario europeo18. A conferma del rafforzamento del sistema

bancario nel suo complesso appare interessante sottolineare come, nonostante il

numero di banche stia diminuendo in tutta Europa, il totale attivo dell'intero

settore stia aumentando sensibilmente.

4.2.1 – Modelli di consolidamento in Europa

L'attività di aggregazione nel nostro continente si è sviluppata secondo tre

principali modelli:

➢ il modello della concentrazione/ristrutturazione (Danimarca, Svezia,

Finlandia) adottato negli Stati in cui il settore bancario era particolarmente

frammentato in istituti di piccole dimensioni poco competitivi anche a livello

17. EUROPEAN CENTRAL BANK (2000) Mergers and Acquisitions Involving the EU BankingIndustry, Facts and Implications, ECB Reports.

18. EUROPEAN CENTRAL BANK (2008) EU Banking Structures, ECB Reports.

34

nazionale. Il ricorso alle M&A ha consentito quindi la nascita di banche

competitive a livello europeo

➢ il modello della privatizzazione legato alla decisione dei governi europei

(come ad esempio quello italiano) di procedere alla vendita delle quote di

controllo di molti istituti bancari, aprendo la strada al fenomeno delle

aggregazioni

➢ il modello di espansione verso i mercati dei paesi emergenti come il Sud-Est

Asiatico, l'Europa dell'Est e America Latina adottato soprattutto da quelle

nazioni tradizionalmente legate a queste aree (Spagna e Portogallo in

particolare).

Per quanto riguarda la ristrutturazione di mercati frammentati, è emblematico

il caso di Nordea costituita dalla fusione tra i gruppi Merita (Finlandia) e

Nordbanken (Svezia) a cui nel tempo si sono aggiunte la danese Unidanmark, la

norvegese Christianabank e la svedese Postgirot Bank. Attualmente Nordea,

nonostante l'esiguo numero di filiali (circa 1.300), può essere considerata un

istituto di primaria importanza nei mercati scandinavi e baltici caratterizzati da

dimensioni esigue e da elevata concentrazione.

La costituzione di Nordea è strettamente legata a una gestione poco

prudenziale degli istituti scandinavi che ha generato nel 1991 una pesante crisi

sui mercati del Nord Europa per certi versi simile all'attuale situazione

statunitense. Il governo svedese ha quindi deciso di intervenire direttamente sul

mercato assumendo il controllo di numerosi istituti coinvolti per riunirli sotto il

nuovo marchio. A tutt'oggi il Governo svedese detiene la quota di maggioranza di

Nordea con il 20% delle azioni.

L'analisi delle crisi finanziarie che ciclicamente scuotono i sistemi bancari

evidenzia il diverso approccio dei Governi degli Stati coinvolti. Mentre per i

paesi scandinavi nel 1991 e in Islanda attualmente è stata intrapresa la strada

della nazionalizzazione di quasi tutti gli istituti, gli Stati Uniti hanno scelto di

35

finanziare alcune banche in crisi attraverso l'acquisto di azioni privilegiate (senza

diritto di voto) e di abbandonarne altre al fallimento. Una terza via è stata invece

seguita dai paesi UE dove gli Stati, nel tentativo di ridare fiducia al sistema

economico, si sono limitati a svolgere il ruolo di garanti per i conti correnti dei

risparmiatori e i prestiti interbancari fra gli istituti.

Con riferimento al modello di espansione verso i paesi emergenti, i nuovi

mercati dell'Europa dell'Est sono divenuti particolarmente allettanti per le banche

occidentali in cerca di nuove opportunità di investimento. Grazie anche

all'allargamento dell'Unione Europea avvenuto nel maggio 2004, si è assistito a

un considerevole aumento delle operazioni di aggregazione con banche dell'Est

Europa. In questi paesi, prima della riforma del mercato creditizio avvenuta alla

fine degli anni '80, non era consentito l'ingresso di banche straniere nei mercati

locali, dove l'unica banca esistente aveva, oltre ai normali compiti di raccolta e

impieghi, anche quello di emettere banconote. Il sistema di questi paesi era

fortemente caratterizzato da decisioni politiche e anche l'attività degli istituti

bancari era condizionata e orientata da tali scelte. Alla caduta del regimi politici,

nei paesi dell'Est ha preso avvio una radicale riforma finanziaria con la creazione

di un nuovo sistema dove, a una banca centrale, venivano affiancati altri istituti

(privati o statali) con compiti di attività bancaria di tipo “ordinario”. Le nuove

banche però non avevano né l'esperienza né la necessaria competenza per

affrontare il nuovo scenario economico. I governi hanno quindi deciso di

consentire l'accesso alle banche straniere che, oltre a portare il necessario

bagaglio di conoscenza, hanno aumentato la competitività all'interno del sistema.

Dal punto di vista delle banche occidentali, la possibilità di varcare i confini

dell'Europa dell'Est significava non solo accogliere la sfida di affrontare mercati

diversi dal proprio, ma anche ampliare le prospettive di crescita dei ricavi e

soddisfare nel contempo le ambizioni del management.

36

Purtroppo, nell'affrontare operazioni di fusione con banche di paesi dell'Est,

oltre ad incontrare i normali problemi di un'operazione cross border, si dovevano

(e si devono tuttora) affrontare altre problematiche di ordine economico e

culturale tipiche di questi paesi, oltre ai rischi operativi, strategici e legali. I primi

dipendono dalla difficoltà di integrare i sistemi di contabilità e di controllo,

nonché di eseguire la copertura dei rischi di mercato, di credito, di liquidità e

tasso. I rischi strategici e legali sono legati alla complessità nell'interpretare

contesti operativi, normativi e fiscali così diversi da quelli domestici da parte del

management. Nei paesi dell'Est mancano inoltre adeguate norme in grado di

regolare i mercati finanziari e tutelare gli interessi dei consumatori.

Le forti differenze culturali e politiche rispetto ai paesi occidentali hanno

inoltre portato i risparmiatori a sviluppare mentalità in campo finanziario

completamente diverse dagli altri stati europei. Proprio questa caratteristica ha

comportato grandi difficoltà e un ampliamento dei rischi per le banche estere

nella gestione di un portafoglio divenuto improvvisamente più ampio, articolato e

composto da clientela sconosciuta.

Dal punto di vista delle aggregazioni internazionali, quindi, lo scenario sin

qui descritto è in piena evoluzione. I nuovi mercati emergenti, con particolare

riferimento ai paesi dell'Est europeo, rappresentano le prospettive di crescita per i

gruppi bancari, anche del nostro paese, che hanno raggiunto ragguardevoli

dimensioni all'interno dei confini nazionali.

4.3 – M&A in Italia

Nel nostro paese, dal 1990 ad oggi sono state intraprese operazioni di M&A

che hanno portato a una contrazione del numero degli istituti bancari. Negli

ultimi 17 anni il numero delle banche si è ridotto di circa 350 unità, passando

dalle 1.156 attive nel 1990 alle 806 nel 200719; il numero di gruppi bancari è

invece rimasto sostanzialmente stabile, riducendosi di sole 5 unità dal 1997 ad

19. BANCA D'ITALIA (1997-2007) Relazioni annuali.

37

oggi (da 87 a 82). Alla riduzione degli intermediari creditizi ha corrisposto,

peraltro, un aumento degli sportelli bancari sul territorio. La Banca d'Italia ha

liberalizzato la loro apertura nel tentativo di sviluppare la concorrenza all'interno

del sistema: dai 17.000 sportelli di inizio anni '90, si è arrivati agli oltre 33.000

attuali. Da ciò risulta evidente come ogni istituto cerchi di presidiare aree

territoriali dapprima scoperte.

Il seguente grafico riassume l'andamento delle operazioni di fusione e

acquisizione avvenute in Italia nell'arco temporale di riferimento.

Le operazioni più significative hanno portato alla nascita dei quattro

maggiori gruppi italiani: Unicredit Group, Intesa Sanpaolo, Monte dei Paschi e

UBI Banca. I primi due gruppi presentano una forte vocazione internazionale, in

particolare Unicredit (nato dall'originaria fusione dei gruppi Credito Italiano e

Unicredito nel 1998) che ha fin da subito iniziato una campagna di espansione

verso l'Europa dell'Est. Con l'acquisizione della polacca Bank Pekao (1999),

della tedesca HVB e dell'austriaca Creditanstalt (2005), Unicredit rappresenta in

questi mercati una delle maggiori realtà creditizie. Ultima in ordine di tempo, la

fusione per incorporazione di Capitalia Spa del 2007 consente a Unicredit di

rafforzare la sua posizione anche in campo domestico.

38

1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 20060

10

20

30

40

50

60

70

80Figura 3 – Numero di aggregazioni bancarie in Italia dal 1990 al 2006

Maggiore concorrente italiana del gruppo Unicredit, Intesa Sanpaolo è nata

nel 2007 dalla fusione tra i gruppi Banca Intesa (Banco Ambroveneto, Cariplo e

Banca Commerciale Italiana) e Sanpaolo IMI (Istituto bancario San Paolo di

Torino, IMI, Banco di Napoli e Gruppo Cardine). Anche questo istituto ha rivolto

la sua attenzione verso i paesi dell'Est in fase di crescita; in particolare la zona

balcanica, la Slovacchia, l'Ungheria, la Romania e la Russia. L'operazione di

fusione fra Banca Intesa e Sanpaolo IMI ha visto l'intervento dell'Autorità

Antitrust che ha imposto la cessione di 193 sportelli di Banca Intesa e di alcune

banche italiane controllate alla francese Crédit Agricole.

Il terzo e il quarto gruppo bancario italiano, MPS e UBI Banca, pur non

essendo competitivi a livello europeo, hanno raggiunto ragguardevoli dimensioni

all'interno del mercato nazionale attraverso l'incorporazione di innumerevoli

banche locali.

4.4 – Prospettive di sviluppo

Nonostante i primi quattro gruppi creditizi italiani detengano ben il 50%

delle filiali presenti sul territorio, il grado di concentrazione del mercato misurato

dall'indice di Herfindahl dimostra che siamo ancora lontani dai livelli raggiunti

nel resto d'Europa. Tale indice è pari a 628 per l'Unione Europea, valore molto

elevato rispetto a quanto si registra in Italia (330), Germania (183), Regno Unito

(449) e Spagna (459)20. Proprio in questi paesi, caratterizzati da mercati ancora

molto frammentati, si sta realizzando il maggior numero di fusioni fra istituti di

credito. Il massimo grado di concentrazione si registra invece in paesi come

Finlandia, Belgio, Paesi Bassi e Paesi dell'Est fondamentalmente per ragioni

demografiche, territoriali o legate al recente passato politico.

Nonostante l'eterogeneità dei dati relativi ai sistemi bancari delle varie

nazioni, è possibile individuare dei trend ben definiti a livello europeo. Negli

20. L'indice di Herfindahl misura il livello di concentrazione all'interno di un mercato. Valori più elevatiindicano maggiore concentrazione. Nella versione qui proposta, l'indice può assumere valori da 0 a10.000.

39

ultimi 5 anni, la concentrazione del mercato è cresciuta del 15% (media EU27) a

causa della riduzione del numero di istituti operanti sul territorio (-8%) e della

modifica degli equilibri concorrenziali. Così come avvenuto in Italia, la

diminuzione del numero di banche si è accompagnata a un forte aumento nel

numero di sportelli, passati da circa 207.000 nel 2003 ai 234.000 odierni. Ad

eccezione della Francia (+53% di filiali sul territorio), la maggiore espansione si

sta verificando nei paesi in via di sviluppo recentemente entrati a far parte

dell'Unione.

Anomali i casi di Regno Unito e Germania che vedono ridursi sia il numero

di banche sia il numero di sportelli. Se per la Germania tale riduzione appare

giustificata dall'elevatissimo numero di banche operanti (oltre 2.000), nel Regno

Unito la situazione è probabilmente legata a caratteristiche strutturali del mercato

interno.

In generale, l'aumento del numero di sportelli può essere visto come

conseguenza di una politica volta a presidiare al massimo il territorio. Gli istituti

di credito intendono così mantenere una prossimità fisica alla clientela più

tradizionale attraverso scelte mirate alla valorizzazione dei singoli marchi. Il

rapporto di fiducia con i risparmiatori viene infatti rafforzato da una presenza

capillare in grado anche di esprimere il prestigio di una banca, aspetto

fondamentale dell'attività creditizia.

4.4.1 – Futuro delle cross border in Europa

Allargando l'analisi del fenomeno oltre i confini dei singoli paesi, è corretto

affermare che in Europa ci troviamo in una fase di crescente integrazione su base

transfrontaliera, così come evidenziato da vari studi condotti dalla BCE.

Le operazioni di M&A cross border sono in sensibile aumento soprattutto

dall'anno 2005 in termini sia numerici che di controvalore21. Solo nella prima

metà del 2008 si sono raggiunti gli 80 miliardi di euro per le aggregazioni

21. EUROPEAN CENTRAL BANK (2008) “Cross Border Bank Mergers & Acquisitions andInstitutional Investors“ in: ECB Monthly Bulletin, October.

40

nell'area euro, contro i circa 20 miliardi delle M&A domestiche. L'aumento delle

M&A cross border si accompagna al fenomeno che vede gli investitori

istituzionali (fondi d'investimento, fondi pensione e compagnie assicurative)

divenire shareholders delle banche. La loro crescente presenza come importanti

azionisti influenza la corporate governance in generale e l'attività di M&A in

particolare. Inoltre, la presenza di investitori istituzionali stranieri nel capitale

degli istituti di credito facilita l'attività di aggregazione cross border.

E' prevedibile che il sistema bancario e, più in generale tutto il sistema

economico, beneficeranno degli effetti positivi dell'integrazione tra banche di

paesi differenti. Un sistema bancario integrato a livello internazionale migliora le

capacità di recupero dalle conseguenze di una crisi. Infatti, banche molto grandi e

diversificate affrontano meglio i rischi e sono sicuramente più adatte ad assorbire

gli shock economici.

Per contro, banche con attività internazionale o coinvolte in operazioni cross

border potrebbero veicolare eventuali crisi da un paese all'altro a causa

dell'esposizione a nuovi rischi strategici, di business e operativi. L'attività

bancaria cross border apre infatti canali di trasmissione delle instabilità oltre i

confini nazionali sia mediante esposizioni legate all'attività bancaria in senso

stretto, sia mediante ricadute sugli azionisti.

Le possibili instabilità di cui sopra rendono i rischi sistemici più frequenti e

complessi. Questo implica anche che, ai fini della salvaguardia della stabilità

finanziaria, in un mercato particolarmente integrato è importante assicurare che i

rischi cross border vengano adeguatamente monitorati e gestiti. Proprio per

questo esiste un notevole impegno per aumentare la coerenza delle regole e della

vigilanza nei paesi membri e per accrescere il coordinamento tra le autorità di

controllo nazionali.

Infine, sono da considerare gli eventuali effetti negativi sulla concorrenza

delle M&A cross border. Nell'area Euro, però, considerato il relativamente scarso

livello di integrazione, questo rischio appare ancora piuttosto remoto.

41

5. Il caso UBI Banca

5.1 – Panoramica del gruppo

Il gruppo UBI Banca, considerato il quarto gruppo italiano per dimensioni,

nasce il 28 marzo 2007 dalla fusione per incorporazione di Banca Lombarda e

Piemontese Spa (BLP) in Banche Popolari Unite Scpa. Quest'ultima era a sua

volta nata da una precedente operazione di aggregazione fra Banca Popolare di

Bergamo e Banca Popolare Commercio e Industria.

Risulta interessante la scelta strategica di UBI Banca che ha deciso di

aggiungere l'acronimo “UBI” ai marchi storici delle varie banche incorporate, in

modo da assicurare una continuità delle stesse a livello locale. Attualmente il

gruppo detiene il 6% del mercato nazionale in termini di raccolta e di numero di

sportelli22. Le 1.908 filiali italiane sono dislocate in modo disomogeneo lungo la

penisola. Il gruppo si compone infatti di numerose banche locali con il risultato

di una poco uniforme distribuzione degli sportelli sul territorio nazionale: accanto

a regioni, come Lombardia e Piemonte, nelle quali la presenza di UBI è capillare,

esistono zone come il Nord-Est, le isole, Emilia Romagna e Toscana dove il

gruppo è scarsamente presente. UBI Banca conta inoltre 8 filiali estere in

Svizzera, Francia, Germania e Lussemburgo. Da notare come, a seguito

dell'operazione di fusione, l'Antitrust abbia imposto la cessione di 76 sportelli

localizzati prevalentemente nelle provincie di Bergamo e Brescia, nell'intento di

ristabilire le normali condizioni di concorrenza.

Come gli altri grandi gruppi italiani, anche UBI può contare su una fitta rete

di società controllate per le attività non strettamente bancarie, quali: B@nca 24-7

per l'attività di credito al consumo, UBI Banca Private Investment per la

promozione finanziaria, UBI Pramerica per la gestione del risparmio. In campo

assicurativo sono presenti UBI Assicurazioni Spa per il ramo danni e UBI

22. I dati del capitolo derivano dal bilancio d'esercizio consolidato 2007 di UBI Banca dove nondiversamente specificato.

42

Assicurazioni Vita Spa per il ramo vita. Quest'ultima è stata ceduta nel gennaio

2008 ad Aviva Italia Holding Spa, società comunque controllata al 50% dallo

stesso gruppo UBI.

5.2 – Principi contabili internazionali

Gli schemi di bilancio di UBI Banca hanno risentito, così come quelli di altri

gruppi bancari, dell'introduzione delle nuove norme contabili internazionali. Tali

norme (IAS/IFRS), entrate in vigore nel 2005, riguardano la valutazione delle

attività di bilancio e delle aggregazioni con altre imprese quotate.

Gli IAS (International Accounting Standards) sono principi internazionali

emanati nel tentativo di uniformare le regole contabili a livello mondiale e di

garantire maggiore trasparenza ai bilanci aziendali. Gli IAS si concentrano sulla

valorizzazione delle immobilizzazioni materiali e immateriali, degli strumenti

finanziari detenuti e dell'avviamento.

Per il momento, in coesistenza con gli IAS si trovano gli IFRS (International

Financial Reporting Standards), norme di recente emanazione destinate con il

tempo a sostituire le precedenti. I principi contabili denominati IFRS

comprendono un campo molto vasto di operatività aziendale. Per gli istituti

bancari, riveste grande importanza IFRS 3 relativo alla contabilizzazione delle

aggregazioni aziendali. Tali operazioni devono essere rilevate nel bilancio

dell'acquirente attraverso il purchase method. Questo metodo rivoluziona il

concetto di avviamento: esso non sarà più soggetto ad ammortamento, ma

rimarrà iscritto in bilancio e sarà semplicemente sottoposto a revisione annuale

attraverso un impairment test (IAS 36). L'eliminazione della quota di

ammortamento annuale produrrà effetti positivi e immediati sul conto economico

d'esercizio. Per contro, un elevato ammontare di avviamento e di altre

immobilizzazioni immateriali a vita utile indefinita (quindi soggetti a

impairment) comporteranno una possibile maggiore volatilità nei risultati di

43

bilancio; gli utili fluttueranno più che in passato e, con essi, anche alcuni

indicatori di performance.

L'applicazione del purchase method è particolarmente onerosa e complessa,

ma consente di ottenere informazioni sull'effettiva consistenza del patrimonio

delle società acquisite valorizzato al fair value alla data di scambio dei pacchetti

azionari. I nuovi principi contabili costituiscono un passo positivo nella direzione

della trasparenza delle operazioni di aggregazione aziendale, costringendo il

management ad una gestione più efficiente delle attività immateriali rispetto al

passato.

5.3 – Il bilancio del gruppo

I primi risultati della fusione fra Banca Lombarda e BPU si sono manifestati

già alla chiusura dell'esercizio 2007. Da un raffronto fra il bilancio post-fusione e

i bilanci redatti dalle singole banche nel 2006 risulta infatti evidente l'incremento

degli asset. Il totale attivo di UBI Banca ha raggiunto, a fine 2007, l'ammontare

di 121 miliardi di euro contro i 74 miliardi di BPU e i 40 miliardi di Banca

Lombarda nel 2006. Ai fini di una più agevole comparazione UBI Banca ha

redatto, per gli esercizi 2006 e 2007, un bilancio consolidato “pro forma”

comprensivo dei dati relativi a BLP anche per i mesi antecedenti la data della

fusione. Pur considerando i dati pro-forma, sono evidenti gli effetti positivi

dell'operazione in termini di solidità patrimoniale: gli asset sono aumentati di

circa il 3% passando da 118 a 121 miliardi di euro, situazione confermata anche

dall'incremento di circa l'1,5% del patrimonio netto da 10,6 a quasi 11 miliardi di

euro.

In termini di TIER I ratio23 si registrano miglioramenti: l'indice è cresciuto di

0,5 punti toccando ora il valore del 7,4% in linea con la media del sistema

bancario italiano e significativamente superiore al 6,5% fatto registrare dai

23. Il TIER I ratio indica il rapporto fra (capitale azionario + riserve) e attività ponderate per il rischio.

44

maggiori gruppi nazionali24. Il Total Capital ratio25 si attesta per l'esercizio 2007

al 10,2% rispetto alla media italiana del 10,9% e alla media delle più grandi

banche del 9,5%. I maggiori gruppi, forti di sistemi informativi e gestionali

adeguati, possono permettersi di adottare i modelli di valutazione interna dei

rischi previsti da Basilea II. Tali metodologie risultano ovviamente essere più

complesse ma anche più convenienti, consentendo di accedere a trattamenti più

favorevoli in termini di requisiti patrimoniali. I dati storici della Banca d'Italia

confermano infatti questa ipotesi, evidenziando un avvicinamento del Total

Capital Ratio ai livelli minimi previsti dall'accordo.

Gli indicatori strutturali di cui sopra confermano comunque i principi teorici

secondo i quali l'incremento della consistenza patrimoniale sia uno dei principali

obiettivi che spingono il management a intraprendere un'operazione di

aggregazione. L'aumento degli asset si traduce nell'immediata possibilità di

espandersi sul mercato con l'acquisizione di nuovi istituti e di tutelarsi rispetto a

tentativi di scalate ostili. Inoltre, la fusione fra istituti di credito porta

inevitabilmente a un maggior presidio territoriale grazie all'integrazione di reti

distributive prima separate. Anche quest'ultimo aspetto deve essere considerato

una delle motivazioni classiche alla base di un'aggregazione. Nel caso del gruppo

BPU, le filiali italiane sono passate da 1.178 nel 2006 a 1.908 dopo la fusione

con Banca Lombarda, facendo registrare un significativo incremento pari al 62%.

Forte dei risultati ottenuti sul piano nazionale, il gruppo UBI Banca sta ora

approntando una strategia di internazionalizzazione attraverso l'apertura di nuove

filiali e rappresentanze in Spagna, Russia, Cina e India.

5.3.1 – Risorse umane

Denominatore comune di ogni operazione di aggregazione è il taglio dei costi

attraverso la riduzione del personale. Eliminare le duplicazioni soprattutto nei

24. BANCA D'ITALIA (2007) Relazione Annuale.25. Il Total Capital ratio indica il rapporto fra capitale di vigilanza e attività ponderate per il rischio.

Secondo l'accordo di Basilea II tale indice deve essere sempre superiore all'8%.

45

centri di responsabilità, unitamente al rafforzamento della solidità patrimoniale,

rappresenta un obiettivo fondamentale per il management. Gli esuberi del

personale vengono individuati fra le risorse con maggiore anzianità: i dipendenti

più vicini alla finestra pensionistica vengono incentivati a lasciare il lavoro

attraverso l'accesso al Fondo di Solidarietà per il Credito. Anche la cessione degli

sportelli meno produttivi, operata con la vendita di filiali e del relativo personale,

contribuisce alla riduzione degli organici.

Gli effetti sui costi derivanti dalle incentivazioni all'esodo, data la gradualità

delle uscite, si ripercuotono su più esercizi, limitando di fatto l'impatto sui bilanci

nel breve periodo. Mentre l'uscita del personale dichiarato in esubero produce

solo una lieve riduzione dei costi amministrativi, la vendita degli sportelli ha

effetti sostanziosi e diretti sull'utile d'esercizio, sia grazie al taglio immediato dei

dipendenti ceduti, sia grazie ai flussi di denaro in entrata generati dal pagamento

dell'acquirente.

Con riferimento alla riduzione del personale attraverso l'attivazione del

Fondo di Solidarietà e l'incentivazione alla quiescenza, UBI Banca ha siglato

nell'agosto 2007 un accordo con le organizzazioni sindacali che prevede le

seguenti uscite:

➢ 735 risorse in uscita nell'anno 2008

➢ 127 risorse in uscita nel 2009

➢ 90 risorse in uscita nel 2010.

Nonostante la riduzione dell'organico, le spese per il personale hanno subito

un aumento nella misura dello 0,5% (pari a circa 7 milioni di euro) dal 2006 al

2007. Tale aumento è da ricondurre principalmente ai rinnovi contrattuali e alla

normale dinamica delle retribuzioni oltre che all'utilizzo di lavoratori interinali

durante le fasi più delicate dell'integrazione fra BPU e Banca Lombarda.

L'incremento dei costi è stato parzialmente compensato dalla riduzione del

46

personale dipendente che ha portato un beneficio stimato dagli amministratori in

20 milioni di euro.

Da sottolineare come gli indici di efficienza operativa siano comunque

migliorati: il rapporto fra spese per il personale e proventi operativi è passato dal

35,8% del 2006 al 34,5% del 2007.

5.3.2 – Conto economico e indici di redditività

Altro punto cardine di ogni operazione di fusione è la soddisfazione degli

azionisti conseguita con l'incremento di redditività di cui saranno i diretti

beneficiari attraverso la distribuzione degli utili d'esercizio. UBI Banca, grazie

alla strategia di crescita adottata, ha conseguito un utile netto pari a 880 milioni

di euro contro i 641 milioni realizzati da BPU nel 2006. A titolo di confronto, i

dati pro-forma relativi al biennio 2006-2007 evidenziano un incremento nell'utile

dell'intero gruppo bancario pari a circa 89 milioni di euro (da 852 a 941 milioni),

e un aumento del ROE da 8,0% a 8,7%. Confrontando questi valori con quelli

fatti registrare da Banca Lombarda (12,2% nel 2006) risulta evidente come BLP

fosse caratterizzata da una minor capitalizzazione rispetto all'attuale gruppo UBI.

Il calcolo degli indici di redditività prevede infatti il rapporto fra una voce di

conto economico e una misura patrimoniale: una società poco capitalizzata godrà

quindi di indici particolarmente elevati per il solo effetto del calcolo matematico.

I dati relativi al ROE di UBI Banca fanno inoltre registrare un forte distacco

rispetto alla media nazionale: i valori diffusi dalla Banca d'Italia si attestano quasi

al 13% per il settore bancario nel suo complesso e intorno al 15% per i maggiori

gruppi nazionali. Le motivazioni si possono ricondurre agli oneri straordinari

sostenuti dal gruppo UBI relativamente alla fusione: i dati più negativi sono

legati ai costi di incentivazione all'esodo (118 milioni), all'unificazione dei

sistemi informativi (39 milioni) e alla contabilizzazione in conto economico dei

crediti deteriorati (+107 milioni rispetto al 2006). Gli oneri straordinari risultano

tuttavia parzialmente compensati dai proventi derivanti dalla cessione degli

47

sportelli (325 milioni). La legge finanziaria 2008 ha inoltre previsto un

abbattimento delle aliquote IRES e IRAP che ha inciso positivamente sul conto

economico consolidato.

Significativo il miglioramento del rapporto cost/income, passato dal 59% al

57%, pienamente il linea con la media del settore bancario italiano26. Segnali

positivi si registrano anche sul piano del ROA (da 0,72% a 0,77%) e del margine

d'interesse (+11%), il cui miglioramento non si riflette pienamente sui proventi

operativi in quanto fortemente penalizzati dall'attività di negoziazione di

strumenti finanziari (-141 milioni di euro rispetto al 2006). Sul risultato negativo

dell'attività di trading ha inciso la perdita di 21 milioni di euro generata dalle

forti oscillazioni che hanno interessato i mercati finanziari nella seconda metà del

2007. La valutazione dell'attività di negoziazione 2007 rispetto all'anno

precedente risulta inoltre influenzata dalla vendita una tantum di crediti e

partecipazioni avvenuta nel 2006 che ha comportato l'iscrizione in bilancio di un

valore particolarmente elevato e non confrontabile con l'esercizio successivo.

5.4 – Alcune conclusioni dall'analisi del caso UBI Banca

Essendo l'analisi stata condotta su un'aggregazione conclusa nel corso del

2007, risulta evidente come i dati esposti nei prospetti di bilancio esaminati non

possano essere considerati pienamente significativi, né i risultati raggiunti

definitivi. Gli schemi pro-forma diffusi da UBI Banca costituiscono un

importante strumento di analisi, ma non possono essere considerati esaustivi.

Soprattutto l'aspetto reddituale risulta fortemente influenzato da proventi e

oneri straordinari che hanno inevitabilmente inciso sull'utile netto 2007. Una più

attendibile verifica sugli indici di redditività potrà essere condotta attraverso

l'analisi dei bilanci dei prossimi esercizi, quando il gruppo bancario avrà una

struttura e un'operatività pienamente consolidate. L'analisi è stata ulteriormente

complicata dalla crisi finanziaria che si è abbattuta a metà 2007 sul sistema

26. I dati del paragrafo derivano dai prospetti pro-forma dove non diversamente specificato.

48

economico mondiale e che ha comportato forti perdite di valore dei titoli in

portafoglio. Purtroppo, gli effetti della crisi perdureranno nel tempo influenzando

verosimilmente anche i bilanci dei prossimi esercizi e compromettendo una

corretta e definitiva valutazione sulla bontà dell'aggregazione intrapresa da UBI

Banca.

Per il momento si possono trarre prime conclusioni solo dall'analisi degli

indici strutturali, da cui appare chiaro come UBI si sia inserita tra i maggiori

gruppi bancari nazionali. Ci troviamo infatti di fronte a un istituto formato da

quasi 2.000 filiali e da 20.000 dipendenti e con un totale attivo di oltre 120

miliardi di euro, che è riuscito a superare i confini locali delle banche che hanno

contribuito alla sua formazione. UBI Banca rimane tuttavia ancora scarsamente

presente in alcune aree del paese; dovrà pertanto impegnarsi in scelte strategiche,

senza escludere altre fusioni, per migliorare il proprio posizionamento sul

territorio nazionale, indispensabile base di partenza per una successiva ed

eventuale espansione all'estero.

49

Conclusioni

Gli obiettivi delle concentrazioni

Per spiegare il fenomeno delle concentrazioni bancarie dobbiamo

necessariamente partire dalle motivazioni di fondo che spingono il management a

intraprendere tali operazioni. L'ampliamento della base di clientela può essere

considerato il motivo principale da cui derivano direttamente i risultati

economici. L'acquisizione di un gran numero di nuovi clienti significa aumento

di raccolta e impieghi con effetti positivi sui ricavi in conto economico e maggior

diversificazione, tale da consentire un accantonamento patrimoniale inferiore a

copertura dei rischi di credito. I risultati d'esercizio beneficiano inoltre delle

economie di scala, realizzate anche attraverso i tagli al personale e la cessione di

filiali. Tutto ciò a vantaggio di maggiori utili e dividendi da distribuire agli

azionisti, veri proprietari delle società coinvolte in grado di esprimere il proprio

giudizio sull'operazione attraverso i mercati finanziari. L'aumento della clientela

comporta anche l'esigenza di soddisfare bisogni e richieste sempre diversi ma,

proprio grazie alla fusione e all'unificazione delle reti, un istituto di credito potrà

disporre di una più ampia gamma di prodotti e servizi da offrire ai propri clienti.

Altro obiettivo di un'operazione di M&A è rappresentato dalla solidità

patrimoniale. Quest'ultima si esprime agli occhi della clientela attraverso la forza

del marchio e la diffusione capillare degli sportelli. La maggiore consistenza

dell'attivo consente inoltre di meglio affrontare le crisi, di difendersi da scalate

ostili e di intraprendere nuove fusioni anche oltre i confini nazionali.

Un ultimo aspetto, secondario ma non trascurabile, è costituito dal tentativo

del management di ottenere maggiore visibilità e prestigio attraverso nuove

acquisizioni per realizzare gruppi creditizi sempre più grandi. La crescita

dimensionale presenta però un aspetto negativo evidenziato dalla recente crisi

finanziaria: se in passato un grande istituto poteva essere considerato “troppo

50

grande per essere lasciato fallire”, ora al contrario viene pericolosamente definito

“troppo grande per essere salvato”. I maggiori gruppi hanno infatti raggiunto

dimensioni tali da non consentire ai governi nazionali di intraprendere tentativi di

salvataggio. Si veda in proposito il recente caso dell'Islanda dove l'intervento del

governo, teso a nazionalizzare le banche in difficoltà, ha portato al dissesto dei

conti pubblici nazionali.

Lo scenario europeo

Analizzando i dati pubblicati periodicamente dalla BCE si può affermare che

l'Europa vede al suo interno una situazione piuttosto eterogenea: a fianco di paesi

nei quali le operazioni di aggregazione domestica si possono ritenere concluse, si

trovano numerosi casi di nazioni, come Italia e Germania, in cui le fusioni hanno

preso avvio da pochi anni. I sistemi creditizi di questi paesi, caratterizzati da

un'elevata frammentazione e da istituti di dimensioni medio piccole, saranno

probabilmente lo scenario di numerose operazioni di fusione interna per

rafforzare il sistema in vista di future espansioni all'estero.

Esiste infine un terzo gruppo di paesi con mercati molto concentrati e

banche di piccole dimensioni, che vedranno i propri istituti interessati da

acquisizioni da parte di gruppi stranieri. E' questo il caso dei paesi dell'Est

Europa, come Lettonia, Lituania, Polonia e Slovacchia, la cui arretratezza

economica li pone in una situazione di svantaggio anche in campo creditizio. I

primi beneficiari di queste nuove opportunità di crescita saranno gli istituti

dell'Europa occidentale che hanno ormai raggiunto dimensioni tali da non poter

più espandersi se non oltre i confini nazionali. Francia, Belgio e Regno Unito si

trovano infatti in questa condizione: mercati interni concentrati e maturi nei quali

le autorità antitrust non consentirebbero ulteriori aggregazioni. E' dunque

possibile affermare che le operazioni cross border costituiranno il futuro delle

M&A bancarie.

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La crisi e la vigilanza

L'integrazione europea e internazionale dei sistemi bancari e finanziari è un

processo in rapida accelerazione che richiede però l'armonizzazione di regole e

attività di vigilanza. Proprio a causa dell'integrazione, infatti, eventuali crisi

possono facilmente essere veicolate da un paese all'altro attraverso l'attività

bancaria cross border. L'attuale crisi ha evidenziato l'inadeguatezza dei sistemi di

controllo attuali, mettendo nel contempo in luce la forza del sistema di vigilanza

europeo rispetto agli altri paesi colpiti dalla crisi stessa. Il coordinamento delle

autorità di vigilanza riveste quindi importanza fondamentale in un mercato che

ha dimostrato di non essere in grado di regolarsi autonomamente.

Oltre che in ambito normativo, l'attuale crisi finanziaria deve portare a un

ripensamento di strategie e comportamenti degli istituti di credito stessi. Tutte le

banche sono state colpite dalla crisi senza alcuna eccezione, ma una parte di

queste, governate da politiche più aggressive, ne sono uscite maggiormente

indebolite. Sono pertanto cambiati i rapporti di forza all'interno del mercato

creditizio: soprattutto le banche di medie dimensioni, meno esposte alla crisi

internazionale, potranno beneficiare di nuove e inattese prospettive di crescita a

svantaggio della concorrenza, se sapranno cogliere l'occasione per rinnovarsi in

modo da rispondere tempestivamente alle mutate esigenze del mercato.

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Bibliografia

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