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UNIVERSITA' DI PISA DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT Corso di Laurea in Marketing e Ricerche di mercato Origini e vitalità del commercio ambulante in Italia: I risultati di un’indagine empirica mirata CANDIDATO: Elena Cantini RELATORE: Prof. Roberto Sbrana Anno Accademico 2012-2013

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UNIVERSITA' DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea in Marketing e Ricerche di mercato

Origini e vitalità del commercio ambulante in Italia:

I risultati di un’indagine empirica mirata

CANDIDATO: Elena Cantini

RELATORE: Prof. Roberto Sbrana

Anno Accademico 2012-2013

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Ai miei genitori

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Indice

Introduzione 3

Capitolo 1: Cenni storici sulle origini del commercio ambulante 6

1.1- Il commercio al minuto tra il XVIII ed il XIX secolo 6

1.2- Il contrastato affermarsi del negozio fisso e le battaglie

contro l’ambulantato tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo 9

1.3- Genesi e sviluppo del commercio ambulante in Toscana 11

Capitolo 2: Evoluzione legislativa del commercio su area pubblica 19

2.1- Legge 5 febbraio 1934, n. 327 e regolamento di attuazione n.2255/1939 20

2.2- Legge 19 maggio 1976, n.398 22

2.3- Legge 29 marzo 1991, n.112 36

2.4- Decreto legislativo 31 marzo 1998, n.114 41

2.5- Legge regionale Toscana 7 febbraio 2005, n° 28 49

2.6- Modifiche al d.lgs. n°114/1998 50

Capitolo 3: Una panoramica nazionale degli operatori e dei consumatori 52

3.1- Le caratteristiche delle imprese ambulanti e su area pubblica 52

3.2- Il profilo ed il comportamento del consumatore al mercato 64

Capitolo 4: Le caratteristiche degli operatori ambulanti ed il

comportamento dei consumatori che si recano al mercato: una ricerca empirica 74

4.1- Obiettivi della ricerca 74

4.2- Metodo di lavoro e difficoltà incontrate 75

4.3- Risultati ottenuti dalla ricerca 82

4.4- Relazioni tra variabili dei questionari tramite modelli statistici

di regressione 134

4.5- Conclusioni 150

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Allegati 152

Bibliografia e risorse web 158

Ringraziamenti 160

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Introduzione

La ragione principale che mi ha spinto ad occuparmi del settore del commercio

ambulante è dovuta all’interesse suscitatomi da questo argomento durante il corso di

Storia dei consumi. Nonostante durante questo corso ne sia stato fatto solo un breve

cenno, sono rimasta colpita dal fatto che questo settore ricopre un discreto peso tra i

canali di acquisto dei consumatori, peraltro in aumento in questo periodo di crisi

economica. Infatti, il peso degli ambulanti sul totale del canale distributivo non

alimentare è cresciuto dal 1996 al 2011 dal 13,3% al 15,3%, mentre quello relativo al

canale distributivo alimentare è cresciuto dal 9,2% al 10%1. A conferma

dell’importanza di questo settore vi è il fatto che ogni settimana si recano al mercato dai

23 ai 25 milioni di consumatori che effettuano almeno un acquisto per un giro d’affari

che oscilla tra i 25 e i 26 miliardi di euro pari all’1,65% del prodotto interno lordo2. Ma

l’importanza del commercio ambulante non è solo economica, infatti il mercato svolge

una funzione di prossimità nei centri minori, dove grazie alla loro presenza i

consumatori evitano di percorrere lunghe distanze per recarsi al più vicino supermercato

o centro commerciale e acquistano ciò che desiderano grazie alla varietà dell’offerta da

questi fornita. Inoltre, il mercato, sia nei centri minori ed in parte anche nelle città,

svolge un’importante funzione sociale e rappresenta un notevole elemento di vitalità. I

consumatori non si recano al mercato solo ed esclusivamente per acquistare i prodotti

ma anche per svagarsi o per fare una passeggiata; inoltre, i consumatori instaurano con i

venditori un rapporto che va al di là della semplice contrattazione pre-acquisto. Il

commercio ambulante, quindi, è un settore che riveste una notevole importanza e resiste

nel tempo a scapito di chi affermava che sarebbe stato superato da forme distributive

più evolute. La mia trattazione si apre con le origini storiche del commercio ambulante

focalizzandosi in particolare su diciottesimo, diciannovesimo e ventesimo secolo. In

questa prima parte viene descritta in breve la storia del commercio al minuto con

particolare riferimento al ruolo svolto in questo periodo dalle botteghe, dai bazar, il

ruolo ricoperto da ambulanti e girovaghi nonché i contrasti che sorsero tra questi due

canali distributivi. Successivamente è riportata la genesi e lo sviluppo del commercio

ambulante in Toscana, dato che la mia ricerca personale, oggetto dell’ultimo capitolo

della tesi, è stata svolta nell’ambito della Provincia di Pisa. Il secondo capitolo della tesi

1 Dati contenuti in: Slide n°43 - corso Storia dei consumi Parte II a.a. 2012/2013 2 http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp

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riguarda l’evoluzione legislativa del settore partendo dalla prima legge emanata per

regolarlo del 5 febbraio 1934, n° 327 fino a quella attualmente in vigore rappresentata

dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n° 114 e successive modifiche. Il terzo capitolo è

basato su uno studio della Fiva (Federazione Italiana Venditori Ambulanti e su area

pubblica) Confcommercio relativo al quadriennio 2008-2012 e condotto su tutto il

territorio nazionale che mette in evidenza l’importanza rivestita dal settore. Nella prima

parte viene descritta l’offerta merceologica delle imprese operanti nel commercio su

area pubblica, la loro forma giuridica, il peso rivestito dagli operatori extra-comunitari

sul totale delle imprese del settore ed alcune considerazioni relative al numero delle

imprese europee facenti parti del commercio su area pubblica. Nella seconda parte,

invece, viene evidenziato il profilo ed il comportamento del consumatore: perché va al

mercato, cosa compra e quanto spende. Per la stesura dei primi tre capitoli della mia

trattazione ho utilizzato una metodologia di tipo compilativo, cioè ho utilizzato fonti

bibliografiche e ricerche già note e le ho rielaborate per la scrittura dei capitoli. Ho

effettuato la ricerca bibliografica avvalendomi del sito internet della biblioteca

dell’Università di Pisa (http://www.sba.unipi.it/) e attraverso tale sito ho anche

effettuato una ricerca sulle banche dati economiche e storiche attinenti l’oggetto della

mia trattazione. Oltre a servirmi del motore di ricerca Google che mi ha consentito di

reperire fonti come le Gazzette Ufficiali del Regno d’Italia, il BURT (Bollettino

Ufficiale della Regione Toscana) e le modifiche al decreto legislativo 31 marzo 1998,

n°114 reperite su di un sito specializzato in informazione giuridica

(http://www.diritto.it/). Per quanto riguarda la stesura del terzo capitolo ho trovato lo

studio condotto dalla Fiva grazie al sito web della Federazione, trovato a sua volta

grazie all’utilizzo del motore di ricerca Google. La parte più originale della tesi,

tuttavia, nonostante non siano da trascurare gli altri tre capitoli, è rappresentata dal

capitolo conclusivo, il quarto. Questo è stato costruito effettuando una ricerca empirica

su consumatori ed operatori ambulanti al fine di evidenziarne, rispettivamente, opinioni,

comportamenti d’acquisto e caratteristiche. La ricerca è stata svolta dapprima

costruendo due questionari da somministrare rispettivamente, ai venditori ambulanti per

conoscerne le principali caratteristiche, e ai consumatori per mettere in evidenza le loro

opinioni relative al mercato e il loro comportamento d’acquisto. Per quanto riguarda gli

operatori ho deciso di effettuare le interviste nell’ambito del Comune di Pisa data la

vicinanza rispetto alla mia abitazione che comportava costi minori. La

somministrazione dei questionari in questo caso è avvenuta esclusivamente faccia a

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faccia cercando di intervistare tutti gli operatori presenti al mercato di Via Paparelli. Per

quanto riguarda i consumatori ho deciso di effettuare le interviste sempre nell’ambito

della Provincia di Pisa ma, in questo caso, non potendo per limiti temporali e monetari

intervistare tutti i residenti della provincia ho dovuto effettuare un campionamento per

quote in base alla distribuzione per età e sesso dei residenti nella stessa. In questo caso

per la somministrazione dei questionari ho utilizzato due differenti tipologie: invio del

questionario relativo ai consumatori via web pubblicandone il link ai miei contatti

Facebook che appartenevano alla fascia d’età 15-34 anni mentre per quanto riguarda le

altre fasce d’età ho effettuato le interviste faccia a faccia sia al mercato che in uno

studio medico per avere più probabilità di risposta, ovviamente accertandomi prima che

le persone rappresentassero il target della mia ricerca. Dai risultati di questa ricerca è

emerso come il mercato sia un punto di riferimento fondamentale negli acquisti dei

consumatori, soprattutto per alcune categorie come pensionati, operai, casalinghe e

impiegati. Viene apprezzata non solo la convenienza economica ma anche la varietà

dell’offerta presente nel mercato, il rapporto umano che s’instaura con gli ambulanti e la

qualità dei prodotti venduti, sia alimentari che non. Inoltre, grazie alle risposte fornite

da operatori e consumatori, sono stati evidenziati problemi che l’amministrazione

comunale e le forze dell’ordine devono assolutamente risolvere come abusivismo,

sicurezza e problemi di parcheggio e accesso al mercato.

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Capitolo 1: Cenni storici sulle origini del commercio ambulante

Il mercato locale, cellula elementare dello scambio e prima forma della distribuzione al

minuto, al di sotto della quale si collocavano forme inferiori e più irregolari dello

scambio, confuse con meccanismi di autoconsumo, dimostra nei secoli una notevole

capacità di resistenza3. Centro principale del suo svolgimento erano le città italiane del

XIII secolo nelle quali confluivano il commercio internazionale, inter-locale e locale. In

questo quadro trovano posto gli ambulanti che, come ha affermato Braudel4 stimolano,

tengono vivo e diffondono lo scambio. In questo periodo avevano un ruolo che potrebbe

essere definito inverso rispetto a quello del contadino che va in città perché

rappresentavano per la campagna una fonte di approvvigionamento di prodotti che

altrimenti non vi sarebbero arrivati, come cappelli, scarpe, chiodi, camicie e ferramenta.

1.1- Il commercio al minuto tra il XVIII ed il XIX secolo

Commercio al minuto può essere definita l’operazione di scambio mediante la quale

uno dei contraenti acquista una merce destinata all’uso proprio o della propria famiglia

da una controparte che esercita normalmente l’attività mercantile. Il commercio al

minuto può dirsi praticato in ogni momento della storia italiana ed in ogni contrada

della penisola, ma certamente con diverse conformazioni strutturali5. Le botteghe che si

ritrovavano un po’ ovunque nei centri rurali di una qualche consistenza, risentivano

delle esigenze particolari dell’ambiente in cui erano inserite. Infatti, man mano che si

allontanavano dai borghi più importanti della pianura o del fondo valle, andavano

punteggiando campagne disperse o piccoli agglomerati di montagna ed offrivano un

punto prezioso di riferimento per i contadini o gli alpigiani che in esse vi potevano

reperire in qualunque stagione dell’anno alcuni fondamentali prodotti di provenienza

lontana, come il sale, il tabacco, qualche granaglia, oggetti di chincaglieria e semplici

arnesi, vi erano ammassati i più svariati generi merceologici. Le botteghe di villaggio

avevano un orizzonte merceologico ridotto e per molti generi, che interessavano la

gente, stentavano a tenere quel contatto continuato con il commercio urbano, dal quale

pure il loro dipendeva. A questa necessità rispondevano meglio le fiere e i mercati che

3 Mercati e consumi: organizzazione e qualificazione del commercio in Italia dal XII secolo al XX secolo; AA.VV.;

1986; pag.570-571. 4 Mercati e consumi: organizzazione e qualificazione del commercio in Italia dal XII secolo al XX secolo; AA.VV.;

1986; pag.578. 5 Mercati e consumi: organizzazione e qualificazione del commercio in Italia dal XII secolo al XX secolo; AA.VV.;

1986; pag.583.

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apparivano molto attivi in quasi tutta Italia fino dalla metà dell’Ottocento. La

distinzione tra mercato e fiera era concettualmente netta. Il mercato aveva una

periodicità assai più frequente, poteva essere anche settimanale o bisettimanale,

esercitava un’attrazione mercantile spazialmente ristretta, metteva a contatto diretto

produttori e consumatori; la fiera, nell’accezione storica, era invece luogo d’incontro di

mercanti che giungevano da paesi anche lontani con il loro carico di prodotti, e mercanti

compratori, locali o forestieri, che ripartivano a fiera chiusa portando con sé le

mercanzie acquistate. Tuttavia la distinzione tra mercato e fiera andò offuscandosi tra la

fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento quando le differenze tra le due

istituzioni diminuirono. In parecchi mercati si negoziavano bestiame, cereali, sementi,

formaggi e, quindi, il mercato di borgo costituiva un mezzo per avviare le eccedenze

agricole ai canali della concentrazione e della distribuzione cittadina. Per quanto

riguarda le fiere, l’esempio più importante del panorama italiano è costituito da quella

di Senigallia6, presente a partire dal XIV secolo, che era un luogo d’incontro tra

mercanti all’ingrosso e sensali giunti per terra o per mare da tutti i paesi dell’Adriatico,

dello Ionio, dell’Egeo, dall’Italia, dalla Svizzera, dalla Francia, dalla Germania. Le

grandi case commerciali di Ancona portavano a Senigallia il pepe, il cacao, lo zucchero,

la cannella, il tè e i prodotti del Levante; i veneziani il vetro di Murano; l’Oriente turco

l’olio, la frutta secca. Senigallia era in questo senso una vera fiera a dimensione

internazionale; ma poi è noto che, accanto a un numero cospicuo di grossisti che davano

tono alla fiera, operavano a Senigallia schiere ancor più fitte di piccoli mercanti ai quali

faceva capo la strabocchevole folla dei minuti clienti7.

1.1.1- Il ruolo degli ambulanti e dei girovaghi

Gli ambulanti potevano vantare una tradizione antichissima e qualche benemerenza per

le prestazioni che in epoche perigliose avevano reso alla società rurale. Ancora

nell’Ottocento gli ambulanti potevano dirsi i protagonisti di un’attività commerciale che

le incerte comunicazioni e le generali carenze strutturali del sistema mercantile

rendevano quasi insostituibile. Il mercante ambulante aveva una capacità di raccogliere

ed esaudire le richieste dei rurali, di prevenirne persino i bisogni, che faceva invece

6 L’Italia dei consumi: dalla Belle Époque al nuovo millennio; Emanuela Scarpellini; GLF editori Laterza; 2008; pag.

76-77. 7 Mercati e consumi: organizzazione e qualificazione del commercio in Italia dal XII secolo al XX secolo; AA.VV.;

1986; pag.588-589.

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difetto ai bottegai di paese, distolti da altre occupazioni e opportunità di guadagno.

Molti piccoli problemi dell’esistenza degli individui, legati alla disponibilità tempestiva

di questo o di quell’oggetto, erano risolti dagli ambulanti che per questo ricevevano

benevola accoglienza specie dalle donne sulle cui spalle la società di quel tempo

scaricava molte incombenze. Il commercio svolto per strada poteva essere diviso in due

settori: quello propriamente ambulante e quello girovago. L’ambulante aveva una

clientela in un certo senso fissa con la quale intratteneva relazioni vecchie e

consuetudinarie. Abitava in un borgo di una qualche importanza ove aveva

l’opportunità di fare il proprio carico presso grossisti o fabbricanti o intermediari

maggiori, frequentava a data fissa le fiere e i mercati della contrada e nei giorni liberi da

questi impegni girava per le campagne o risaliva le vallate collocandosi nella piazzetta

di fronte alla chiesa e visitando anche la clientela a domicilio. A volte viaggiava con

barroccio a cavallo, a volte a piedi, con carretto spinto a mano, se il genere trattato e la

lunghezza degli itinerari lo consentivano. V’era l’ambulante specializzato, quello per

esempio, che vendeva e affilava coltelli e forbici, v’era il venditore di aringhe e generi

quaresimali, ma sopra ogni altro doveva essere popolare l’ambulante merciaio che

portava con sé nastri, elastici, ditali, aghi, fili e tante altre cose del genere. La

disponibilità umana ad affrontare grandi distanze, a sopportare ogni disagio, a superare

ostacoli geografici, linguistici e politici d’ogni sorta, ad attraversare confini sbarrati, a

eludere qualsiasi divieto, pur di raggiungere con il proprio fagotto una clientela lontana,

è nel nostro paese antichissima. Se l’ambulante rifaceva continuamente gli stessi

itinerari e non s’allontanava molto da casa, il girovago guardava assai più lontano.

L’ambulante conosceva bene le esigenze della sua clientela, alla quale offriva un

servizio di collegamento con un mercato più grande; il girovago giocava piuttosto sulla

novità e l’interesse che le sue offerte suscitavano presso le popolazioni maggiormente

segregate dal mondo. A vari fattori naturali e storici va riportata la particolare vocazione

di alcune regioni italiane ad alimentare determinate correnti di commercio girovago.

Terra classica di migrazioni stagionali era la vasta fascia alpina e pedemontana che dal

Mar Ligure giungeva fino alla Carnia. La povertà di quelle contrade, la sproporzione

manifesta tra popolazione e risorse, furono gli incentivi che indussero le prime fughe

sulle vie del mondo. La specialità merceologica scelta dai girovaghi era spesso legata a

una tradizione locale. I marronai piemontesi e toscani portavano con sé le castagne dei

loro monti; i coltellinari e forbiciari di Valsassina erano legati alle piccole fucine della

loro valle; la zona del lago Maggiore era operosa nella fabbricazione di ombrelli e i suoi

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abitanti andavano a venderli un po’ dappertutto, integrando lo smercio di ombrelli con

quello di cesti, setacci, gabbie e trappole per topi. Le manifatture stesse si servivano del

commercio girovago per il collocamento delle loro produzioni. Come caso esemplare si

può citare quello dei Remondini di Bassano Veneto, nel diciottesimo secolo. I

Remondini erano allora la maggior impresa industriale della Repubblica di Venezia e

contavano una maestranza di oltre mille unità. La loro attività era la tipografia:

stampavano libri di ogni specie, almanacchi, carte da parati, incisioni su rame o legno di

soggetti profani o religiosi, ritratti di santi. La diffusione dei libri era affidata dai

Remondini alle loro botteghe: quella di Bassano, l’altra più fiorente a Venezia e ai

corrispondenti che la stamperia aveva in molte città d’Europa. Ma per la vendita

dell’iconografia religiosa, protratta su scala così estesa da assicurare alla tipografia di

Bassano un primato europeo, i Remondini preferirono legare a sé una vasta schiera di

girovaghi che crearono nel mondo un fitto reticolato di vendite capillari8. Un esempio

analogo, riferito agli stessi anni, lasciò Antonibon che a Nove Vicentina produceva

ceramiche e porcellane di un certo pregio e, pur avendo negozi propri a Venezia,

Verona e Padova, faceva percorrere le campagne da una squadra di 52 ambulanti, i quali

all’occasione varcavano il confine verso il Trentino e il Tirolo meridionale9.

1.2- Il contrastato affermarsi del negozio fisso e le battaglie contro

l’ambulantato tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo

Nell’evoluzione del negozio fisso tra la fine dell’Ottocento e il Novecento si manifestò

una tensione tra il sistema della specializzazione e quello dell’ampio assortimento. La

specializzazione permetteva economie gestionali e maggiore competenza, ma rendeva il

negozio più vulnerabile a crisi settoriali e meno appetibile da parte dei clienti con poco

tempo a disposizione per visitare molti negozi. Inoltre, era naturalmente inadatto a

piccoli paesi. L’ampio assortimento aveva caratteristiche opposte. La combinazione dei

vantaggi di ambedue i sistemi si era già affermata all’estero con la diffusione dei grandi

magazzini, ma in Italia, non riscosse una grande affermazione. Convissero a lungo i

bazar, botteghe nelle quali si poteva trovare un po’ di tutto dai generi alimentari più

svariati alle scope, coloniali, ceramiche da tavola e generi di merceria, con i negozi

8 I Remondini di Bassano: stampa e industria nel Veneto del Settecento; Mario Infelise; Ghedina e Tassotti edizioni;

1990; pag.118. 9 Mercati e consumi: organizzazione e qualificazione del commercio in Italia dal XII secolo al XX secolo; AA.VV.;

1986; pag.590-592.

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specializzati. Mentre, però, nei bazar la merce era sparsa alla rinfusa e senza nessuna

cura dell’aspetto estetico, nei negozi specializzati si registrarono alcuni miglioramenti

come l’innalzamento degli standard di pulizia e arredamento. Inoltre, i servizi offerti da

questi negozi spesso comprendevano la produzione di specialità della casa che si

sviluppavano qualche volta in marche commerciali a carattere locale; qualche volta

esisteva anche una contabilità aziendale più moderna ed un rapporto più efficiente con i

clienti e i fornitori. Infine, la pratica defatigante della contrattazione sul prezzo lasciò

progressivamente il posto al prezzo fisso, che si affermò definitivamente tra la I guerra

mondiale e gli anni ’20, senza tuttavia eliminare l’uso degli sconti e delle svendite. Un

cenno particolare merita la diffusione della pubblicità. La pubblicità modernamente

intesa decollò in Italia soltanto nel primo decennio del XX secolo, per opera

principalmente di industriali e dei pochi grandi magazzini esistenti in Italia (Mele e

Bocconi, prima, poi Rinascente). Spiccavano nella pubblicità le bevande alcoliche e/o

medicinali (Cinzano, Campari, Bisleri) e i prodotti della nuova tecnologia (automobili,

biciclette, macchine da cucire). Nascevano le prime organizzazioni pubblicitarie (IGAP,

Impresa generale diffusione pubblicità) e i primi studi specialistici sulla funzione della

pubblicità. Fra i vari strumenti pubblicitari i commercianti adoperavano principalmente

i giornali locali o forme quali lotterie e buoni premio che tendevano a legare la clientela

al negozio e venivano amministrate direttamente dal piccolo commerciante. Con il

miglioramento dei trasporti, il diffondersi dell’urbanesimo e l’innalzamento del tenore

di vita sembrava che il commercio ambulante dovesse perdere notevolmente terreno

rispetto a quello fisso e restare confinato alle zone rurali più povere. Fu quindi con

sorpresa e disappunto che i negozianti si accorsero che l’ambulantato tendeva a

trasferirsi in città cominciando anche nei grandi centri a fare concorrenza effettiva al

commercio stabile con grande vantaggio dei consumatori e dei produttori. Iniziò quindi

una lunga lotta per la regolamentazione del commercio ambulante. Gli si rimproverava

di non pagare le tasse, di frodare, di usare mezzi di persuasione all’acquisto illeciti e/o

lesivi della libertà, di poter fare concorrenza sleale ai negozi fissi. C’era però chi

osservava che i “commercianti girovaghi sono nella massima parte sventurati proletari,

privi dei più comuni conforti di famiglia, senza letto e senza tetto” e che “nessuno dei

commercianti girovaghi può designarsi che abbia accumulato le fortune, comperato i

palazzi ed i poderi di cui non di rado si confortano i commercianti stabili”10

. Tuttavia,

10 Atti del III Congresso delle Camere di Commercio etc; cit.; pag 164-165.

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anche parte del commercio ambulante si specializzava e si ammodernava a tal punto da

costituire il chiodo fisso delle lamentele e delle richieste di regolamentazione da parte

dei negozianti. Nel V congresso dei commercianti tenutosi a Milano nel 1906 si

approvò un ordine del giorno in cui si chiedeva di estendere agli ambulanti il pagamento

di una tassa d’esercizio. Ma nessuna decisione venne presa fino agli anni ’30 quando la

concorrenza dell’ambulantato aumentò in seguito al boom registrato dal settore. Nel

1934 venne introdotto l’obbligo della licenza e gli ambulanti vennero inquadrati nella

confederazione del commercio. A ciò fecero seguito accordi con i rappresentanti del

commercio stabile11

.

1.3- Genesi e sviluppo del commercio ambulante in Toscana

Dagli inizi del XIX secolo le trasformazioni del lavoro agricolo nella pianura Padana

spinsero la popolazione della montagna toscana, in particolare della Lunigiana, ad

abbandonare la secolare consuetudine di lavorare come braccianti per dedicarsi ad

attività che potevano consentire maggiori opportunità di guadagno. Da quel momento

apparvero i primi commercianti ambulanti, destinati ad inaugurare una professione che

sarebbe proseguita a lungo durante l’età contemporanea e che rappresentava un caso

specifico rispetto alla maggioranza dei mestieri svolti dagli emigranti. L’emigrazione

stagionale nella pianura Padana si concentrava in alcune attività da svolgere nel periodo

primaverile ed estivo, tra cui la raccolta delle foglie del gelso per nutrire i bachi da seta.

I contadini lunigianesi per consuetudine ormai secolare partivano per la provincia di

Brescia nelle prime settimane di Maggio dove offrivano la loro manodopera anche gli

abitanti della montagna lucchese12

. Vivendo ogni anno per alcuni mesi presso le

comunità della pianura Padana, questi emigranti ebbero modo di imparare le abitudini di

vita della popolazione che li ospitava. Il bracciante, infatti, riusciva a raggiungere un

soddisfacente livello di integrazione. Era un attento e discreto osservatore, che si limitò

ad utilizzare le informazioni ottenute solo allo scopo di essere accettato fino a quando

rimase un lavoratore agricolo, ma successivamente seppe fare tesoro delle conoscenze

acquisite sul comportamento della popolazione bresciana per intraprendere attività

11 Mercati e consumi: organizzazione e qualificazione del commercio in Italia dal XII secolo al XX secolo; AA.VV.;

1986; pag.610-611. 12 Pietro Leopoldo D’Asburgo Lorena. Relazioni sul governo della Toscana; A.Salvestrini; Olschki editore; 1969;

Volume I pag. 30 e volume III pag. 159.

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commerciali di vario genere, spingendosi nelle aree più isolate13

. In comunità rurali

impossibilitate a stabilire contatti costanti con i centri urbani a causa delle difficoltà di

spostamento dalle campagne alle città il venditore toscano che viaggiava a piedi o per

mezzo di carri era l’unico contatto con l’esterno. Da lui le famiglie contadine

acquistavano vari oggetti indispensabili per il lavoro nei campi o per le abitazioni, oltre

ad avere informazioni sulla vita che si conduceva nelle zone che l’ambulante aveva

attraversato per raggiungere le aree dove offriva la sua merce. I movimenti migratori

dalla Lunigiana nell’Italia Settentrionale e, in particolare, nella provincia di Brescia,

avevano due origini: una prima area di partenza da Montereggio e Parana e in generale

dagli attuali comuni di Pontremoli e Mulazzo, e una seconda zona costituita dal comune

di Bagnone e dai territori vicini da cui provenivano i commercianti che si dirigevano

nell’area geografica al tempo nota come Barsana (all’interno della provincia di Brescia),

specializzati nella vendita di maglieria e chincaglieria. Dal primo territorio, invece,

partivano i braccianti agricoli che si dedicavano al commercio dei libri, i cosiddetti

librai progenitori dei fondatori del premio Bancarella, che si impegnarono nella vendita

ambulante alcuni anni prima dei bagnolesi, mossi dalla crisi della gelsicoltura avvenuta

durante gli anni ’30 del 1800. E’ proprio in questo periodo che comparirono i primi

girovaghi con libri e selci (pietre per affilare le lame), mentre i venditori di chincaglieria

e maglieria apparvero fra gli anni ’40 e ’50 dello stesso secolo. Sono rari i documenti

che permettono di ricostruire i movimenti interni alla penisola dei venditori ambulanti

nel periodo compreso tra gli ultimi trent’anni dell’Ottocento e l’inizio del Novecento,

poiché vengono a mancare i passaporti per calcolare l’aspetto quantitativo del

fenomeno. Infatti, con l’istituzione del Regno d’Italia gli ambulanti non erano più

costretti a chiedere il permesso per allontanarsi dal comune di origine. La crescita fu

dimostrata successivamente dai dati resi noti dal regime fascista: il 1923 fu l’anno in cui

le migrazioni interne subirono il primo incremento, fino al 1.500.000 di spostamenti a

livello nazionale del 1937 dalla media annua di 600.000 iscrizioni a nuovi comuni di

inizio Novecento14

. L’aumento delle partenze dei commercianti girovaghi nella prima

metà del XX secolo si manifestò anche nei movimenti migratori diretti oltralpe e negli

Stati Uniti. Fino al secondo conflitto mondiale i venditori si indirizzarono

prevalentemente in Francia e in minor parte in California; le altre mete, tra cui la

13 La montagna mediterranea: una fabbrica di uomini? Mobilità e migrazioni in una prospettiva comparata; Dionigi Albera e Paola Corti; Gribaudo edizioni; 2000; pag. 156-157. 14 Le migrazioni interne in età fascista. Politica e realtà demografica; A.Treves; Einaudi edizioni; 1976; pag. 16-32.

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13

Svizzera e la Germania, furono prese in considerazione solo dalla metà del Novecento,

quando furono aperte le frontiere commerciali nell’Europa centrale. Tra il 1921 e il

1924 i dati sulle destinazioni estere confermavano quanto detto: 649 partenze, pari al

67,82% del totale, erano indirizzate in Francia, a cui seguivano 227 richieste di espatrio

per l’America pari al 23,72% e per le altre località europee solo l’8,1%. La situazione

nel periodo compreso tra il 1931 e il 1936 appariva simile, a dimostrazione

dell’esistenza di una consuetudine migratoria: 134 emigranti si erano spostati in

Francia, 102 erano partiti per il Nord America e solo 19 avevano scelto di dirigersi in

America Latina. Le condizioni del commercio ambulante migliorarono verso la metà

del Novecento, quando lo sviluppo economico, che con il passare del tempo interessò

anche le famiglie rurali, fece aumentare la richiesta di generi di ogni tipo, consentendo

il passaggio da venditori girovaghi in proprietari di esercizi commerciali al minuto e

all’ingrosso. Il salto di qualità fu favorito dalle notevoli possibilità di credito offerte agli

emigranti di rifornirsi della merce senza l’obbligo di pagare alla consegna, ma solo

dopo aver venduto buona parte del materiale. Un altro fattore che giocò a favore dello

sviluppo delle attività ambulanti furono i costi minori sostenuti rispetto ad un esercizio

fisso che venivano sostenuti dai girovaghi, essendo la loro organizzazione commerciale

estremamente semplice, vantaggio che permise alle bancarelle di offrire la merce a

prezzi contenuti. Attraverso vendite elevate fu così possibile agli emigranti risparmiare

il denaro necessario ad acquistare una casa nei luoghi dove erano solito spostarsi, fino

ad aprire un magazzino o un negozio. Questo ampio movimento commerciale ebbe

effetti positivi anche su alcuni settori produttivi come quello tessile che almeno fino al

pieno Novecento non aveva canali ufficiali di diffusione. Un esempio è costituito dagli

ambulanti bagnonesi, specializzati nella vendita dei prodotti di maglieria, che

rappresentarono un mezzo di distribuzione non ufficiale ma efficiente e totalmente

gratuito15

.

1.3.1- Le fonti iconografiche

Dallo studio di alcune fonti iconografiche risalenti agli ultimi anni dell’Ottocento viene

evidenziato come il commercio girovago in questi anni si trovasse nella prima fase di

espansione e, a causa dei mezzi di trasporto rudimentali, spostarsi per paesi e città

15 Sulle strade del commercio ambulante. L’emigrazione toscana nella prima metà del XX secolo; Giampaolo

Giampaoli; Erreci edizioni; 2011; pag. 7-15.

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14

risultava molto difficoltoso, poiché non si poteva fare affidamento sulle automobili e sui

camion di piccola portata, troppo costosi per le scarse finanze degli emigranti. Inoltre,

questi documenti dimostrano come nel commercio ambulante all’iniziativa individuale

prevalesse l’attività di una famiglia o di più famiglie tra loro unite, che decidevano di

stabilirsi in una specifica area geografica per trarre il beneficio maggiore dal proprio

lavoro; alla base di questo comportamento c’era il fenomeno delle catene migratorie,

che consentivano alla popolazione di una località di montagna posta sulle Alpi o

sull’Appennino di concentrarsi in una città o in una zona extraurbana all’estero16

.

1.3.2- I librai inconsapevoli promotori di lettura

I venditori ambulanti di libri in maggioranza erano originari dell’area geografica

compresa tra i comuni di Pontremoli e Mulazzo situati nella zona nord-ovest del

territorio della Lunigiana. Il bracciantato, nel momento in cui le aziende agricole

ridussero la richiesta di manodopera stagionale, iniziò a sfruttare la necessità delle

famiglie contadine per l’acquisto di prodotti di alcuni generi di utilizzo quotidiano. Tra

questi ultimi c’erano pietre per affilare le lame, indispensabili agli agricoltori bresciani

che dovevano tagliare le foglie del gelso per alimentare i bachi da seta, a cui si

aggiungevano altri articoli commerciali: dai lunari, per sapere in quale momento

seminare le varie culture, a pochi oggetti e pubblicazioni per la famiglia rurale. Durante

la seconda metà dell’Ottocento la quantità di carta stampata tra la merce di questi

emigranti iniziò ad aumentare, consentendo con il passare del tempo a gran parte di loro

di specializzarsi nella vendita di libri. Furono le esigenze delle popolazioni residenti

nelle località in cui questi emigranti erano soliti recarsi a determinare il loro definitivo

passaggio alla vendita del libro, una scelta non certo dettata dalla volontà di partecipare

alla diffusione della lettura e dello sviluppo dell’editoria, anche perché si deve

considerare che la maggior parte dei lunigianesi era analfabeta. Tutti i librai della

seconda metà del Novecento proprietari di negozi e magazzini in Italia e all’estero non

si facevano scrupoli nel confessare lo scarso livello di istruzione dei loro genitori e dei

loro nonni, che riuscivano a riconoscere i volumi solo dal colore della copertina. La

libreria Dante Alighieri, di proprietà G.Fogola e figli fu uno dei maggiori esercizi aperti

dai lunigianesi nel nord Italia. Oltre al commercio, i librai iniziarono a svolgere fin dal

16 Sulle strade del commercio ambulante. L’emigrazione toscana nella prima metà del XX secolo; Giampaolo

Giampaoli; Erreci edizioni; 2011; pag. 17-19.

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15

primo Novecento anche attività tipografica, mettendo a disposizione dei lettori

pubblicazioni tra loro diverse sia per argomento che per caratteristiche grafiche17

. Tra i

librai lunigianesi, furono i Maucci gli unici a concepire l’editoria come un investimento

di capitali a livello internazionale, incrementando con continuità la loro attività durante

la prima metà del Novecento. Il pioniere della famiglia fu Emanuele, che si trasferì nel

1872 in Argentina allo scopo di lavorare nel commercio ambulante del libro, riuscendo

dopo un primo periodo di intenso lavoro a fondare una tipografia nella capitale. In circa

venti anni divenne uno degli editori più produttivi legati al mondo di cultura spagnola.

La possibilità di commerciare il libro in modo talmente vasto da coinvolgere tutto il

mondo di lingua spagnola fu il risultato del costante impegno dei fratelli Maucci nella

diffusione della lettura presso la popolazione colta, partecipando al fenomeno in modo

pienamente consapevole a differenza della maggior parte dei librai ancora analfabeti. I

tipografi avevano compreso non solo la notevole importanza economica che l’editoria

stava assumendo negli anni a cavallo tra l’Ottocento e Novecento, ma anche il ruolo

della lettura come strumento per consentire un innalzamento del livello socio-culturale

della popolazione e, di conseguenza, del grado di civiltà18

.

1.3.3- Aspetti sociali ed economici dell’emigrazione dei figurinai

Provenienti dalla montagna lucchese, i figurinai per originalità e durata nel tempo

dell’attività praticata all’estero non risultano di minore interesse rispetto ai librai e

dimostrano che il commercio ambulante sulla montagna toscana non era una

professione esclusiva della Lunigiana. Considerevole fu la loro capacità di offrire a

popolazioni di varie località poste tra America, Europa e in alcuni casi estremi fino

all’Asia e Oceania, una produzione singolare nei soggetti e ricercata nelle tecniche di

fabbricazione; la statuina in gesso, scultura quasi sempre di piccole dimensioni

utilizzata come souvenir o oggetto sacro raffigurante personaggi religiosi, era

apprezzata perché realizzata con precisione nei particolari anatomici. Oltre al tema

religioso questi emigranti ampliarono spesso il loro repertorio attraverso i personaggi

storici, dagli eroi del Risorgimento come Carlo Alberto, Pio IX, Garibaldi, Mazzini,

Cavour e Napoleone III, ai grandi uomini del passato realizzati in figura intera o come

piccoli busti romani, tra cui Socrate, Pericle, Alessandro Magno, Cesare, Dante e

17 Quaderni dell’emigrazione toscana; AA.VV.; Pagnini e Martinelli editori; 2000; pag. 14-18. 18 Sulle strade del commercio ambulante. L’emigrazione toscana nella prima metà del XX secolo; Giampaolo

Giampaoli; Erreci edizioni; 2011; pag. 23-31.

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16

Petrarca: presenti con minore frequenza nei loro cataloghi erano, invece, le statuine di

animali domestici. Per quanto riguarda la durata nel tempo, l’emigrazione dei figurinai

ebbe inizio nei primi secoli dell’età moderna e si prolungò con continuità fino alla metà

dell’Ottocento, quando anche tali artigiani divennero più numerosi con l’incremento

demografico e poterono usufruire dei miglioramenti conseguiti nel campo della

navigazione oceanica19

. Di conseguenza negli anni delle partenze di massa alcuni di

loro poterono raggiungere gli angoli estremi del globo terrestre, come la Siberia, da cui

poi si spinsero fino all’interno del continente asiatico. Le campagne dei figurinai (così

venivano chiamate le prolungate permanenze all’estero) erano organizzate dai capi del

gruppo, lavoratori esperti a cui facevano seguito alcuni garzoni di giovane età, che

svolgevano ruoli di diversa importanza: dai ragazzi il cui compito era quello di spostarsi

nelle città o nelle campagne per la vendita, ai loro coetanei che cercavano anche di

imparare il lavoro in laboratorio. Fare la stampa (procedimento con cui il modello

realizzato dallo scultore veniva ricoperto di caucciù che, una volta vulcanizzato, ne

prendeva le forme) era il compito di maggiore complessità, mentre la fase successiva,

che consisteva nel gettare il gesso dentro la stampa stessa, era più facile da apprendere.

La carriera del figurinaio prevedeva alcuni fondamentali avanzamenti: dopo

l’apprendistato, in cui il giovane garzone sottoposto se dimostrava una buona

predisposizione apprendeva il lavoro di laboratorio, alcuni tentavano di allestire una

propria attività, assumendo dei garzoni e provando una prima campagna diretta verso

una località non troppo distante dal luogo di origine. Anno dopo anno, se si proseguiva

nel mestiere, si cercava di raggiungere mete sempre più distanti allo scopo di diffondere

il commercio della figurina dove ancora era sconosciuto. Le campagne potevano avere

durata di alcune settimane ma anche di mesi o anni a seconda dell’ubicazione

geografica della località di arrivo e non erano finalizzate solo alla vendita delle statuine

ma anche alla loro produzione. Laboratori della statuina in gesso tra Ottocento e

Novecento sorsero nelle maggiori città del mondo, da Parigi, Roma, Berlino e New

York, fino alle aree più distanti da raggiungere partendo dall’Italia come Melbourne,

Calcutta e Singapore, permettendo ai figurinai non solo di far conoscere ovunque la loro

arte, ma anche di radunare discreti patrimoni. Il materiale iconografico ritrovato attesta

come i figurinai fossero conosciuti in tutte le aree geografiche interessate dai movimenti

migratori di massa, notorietà rivelata anche dalle loro immagini pubblicate su riviste o

19 Storia di Barga; B.Sereni; Notiziario Filatelico Numismatico; anno XXV n° 3; ottobre 1985.

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17

manifesti di larga diffusione in cui alcune volte emerge in modo più o meno palese la

disapprovazione degli autoctoni nei confronti dei girovaghi. Come si deduce da

un’illustrazione tratta da “La Domenica del Corriere” dove un garzone viene preso a

calci dai passanti a Parigi. Non sempre, però, il venditore di statuine rappresentava un

fattore di disturbo; lo si deduce da alcune illustrazioni dove viene rappresentato negli

aspetti specifici che lo contraddistinguono, come le ceste colme di merci o le galere

(grossi vassoi da trasportare sulla testa, sostituiti nel Novecento da tavole munite di

staffe da posizionare sulla spalla, su cui venivano poste le figurine). I figurinai

ispirarono anche poeti di vario livello letterario, che descrissero in versi i loro costumi.

In un componimento del 1849 sulla Prima Guerra d’Indipendenza di Antonio

Guadagnoli, poeta di origine aretina, nelle due strofe introduttive l’attenzione

dell’autore viene richiamata dal grido di un venditore ambulante: “… le belle figure?”20

.

Successivamente, l’autore descrive gli aspetti specifici della vita del figurinaio

emigrante, mettendo in evidenza come il mestiere, anche se richiede pochi strumenti da

lavoro di cui ci si può facilmente munire e scarso capitale, possa dare la possibilità di

conseguire consistenti risultati economici: “ Era un lucchese, uno di quei lucchesi che

con un po’ di gesso e due stampini / girando innumerevoli paesi stampan santi, testiere,

burattini, / Pii Noni, Carli Alberti e Leopoldi, / e ritornano a casa con de’ soldi”21

. Gino

Caster De Nobili, poeta di origine lucchese, ricorda come gli artigiani del gesso dove

emigravano dimostravano una particolare capacità di adattamento ad ogni circostanza e

non temevano di esporre la loro mercanzia nelle piazze delle maggiori città: “Per lù /

unni tera ’he treppia è tera amìa, / tutto ’r mondo ’he batte eglie paeze. / Va dinchè tira

’r vento … e duve trucca / e pol posacci la su’ mercanzia / Qui son a casa. Qui c’è

Lucca”22

. Durante gli anni cinquanta e sessanta del Novecento alcuni figurinai fecero

definitivamente ritorno ai loro paesi della Media Valle Del Serchio, con l’ambizione di

mettere a frutto il denaro guadagnato durante le lunghe campagne all’estero al fine di

aprire aziende per una produzione industriale delle figurine, preservando per quanto era

possibile i metodi della lavorazione artigianale. Un esempio di tal genere è costituito

dalla ditta di Emanuele Fontanini che si specializzò nella produzione di statuine dei

personaggi del presepe, esportate negli anni cinquanta negli Stati Uniti in elevate

20 Poesia inserita in: Coreglia Antelminelli patria del figurinaio; P. Tagliasacchi; pag. 115-125. 21 Poesia inserita in: Coreglia Antelminelli patria del figurinaio; P. Tagliasacchi; pag. 115-125. 22 Componimento inserito in: Le poesie di Geppe, nella parlata della pianura lucchese; Antonio Cordani editore;

1928.

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18

quantità; nei registri dell’azienda si riporta una produzione annua di circa un milione di

pezzi, da cui si ricavava un utile di cento milioni di lire. Fontanini ad inizio Novecento

aveva lavorato in molte grandi città del Nord Europa, in Egitto e in Palestina, ma fu a

Bruxelles che nel 1907 ideò lo strumento capace di migliorare a tal punto la sua

produzione, da costituire la fortuna della ditta che solo molti anni dopo riuscì ad aprire a

Bagni di Lucca. Si trattava del ragnetto, uno strumento dotato di zampette di ottone che

consentiva di rifinire con precisione particolari anatomici; inoltre rappresentò il simbolo

della filosofia con cui Emanuele e i figli gestirono per circa venti anni la loro impresa,

prediligendo sempre all’aspetto quantitativo quello qualitativo23

.

23 Sulle strade del commercio ambulante. L’emigrazione toscana nella prima metà del XX secolo; Giampaolo Giampaoli; Erreci edizioni; 2011; pag. 33-48.

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Capitolo 2: Evoluzione legislativa del commercio su area pubblica

La prima disciplina organica introdotta nell’ordinamento per il commercio su aree

pubbliche è avvenuta ad opera della legge 5 febbraio 1934, n. 327 e del relativo

regolamento di esecuzione approvato con r.d. 29 dicembre 1939, n. 2255.

Successivamente è nel 1976 che la disciplina del commercio ambulante è stata

radicalmente innovata con la legge 19 maggio 1976, n. 398 e con il relativo

regolamento di esecuzione approvato con d. m. 15 gennaio 1977. Quindi, a periodi

relativamente ravvicinati, cioè nel 1991, ad innovare il settore è stata la legge 29 marzo

1991, n. 112. Le innovazioni portate dalla suddetta normativa sono state sia

nominalistiche che operative. Nominalisticamente il commercio da “ambulante” è stato

rinominato “commercio su aree pubbliche” e da commercio al “minuto” a commercio

“al dettaglio” mentre le modifiche operative sono state innumerevoli, tra cui: le

autorizzazioni che rilasciava il sindaco del Comune di residenza, sono state elevate a tre

definite di tipo “A”, “B” e “C”, delle quali quella di tipo “A” veniva rilasciata dal

Comune sede del mercato di durata settimanale o al minimo per 5 giorni alla settimana,

mentre quelle di tipo “B” e di tipo “C” venivano rilasciate dalla Regione ed abilitavano

rispettivamente, quelle di tipo “A” a svolgere l’attività nei posteggi mercatali dati in

concessione per più anni e quelle di tipo “C” per svolgere l’attività in forma itinerante.

Con la conseguente “beffa” che in applicazione dell’art.118 della Costituzione, le

Regioni hanno delegato ai Comuni la competenza a rilasciare le autorizzazioni di tipo

“B” e “C”, con l’instaurazione di procedure differenziate da Regione a Regione e con

burocrazia in molti casi esasperata. La predetta normativa si è rivelata irrazionale ed

inefficiente tant’è che la legge 112/1991 è stata modificata con le leggi n. 480/1995 e

n.77/1997. E’ da aggiungere che a seguito delle predette modifiche ed integrazioni la

irrazionalità generalizzata non è stata rimossa e la competenza ad attribuire alle Regioni

il rilascio delle due autorizzazioni all’esercizio del commercio si è sempre e

maggiormente rivelata un fondamentale errore. Nel 1998 con il decreto legislativo 31

marzo 1998, n. 114 il commercio al dettaglio su aree pubbliche è stato disciplinato per

principi ed in applicazione del principio federalistico, alle Regioni è stata devoluta la

competenza ad “emanare le norme relative alle modalità di esercizio del commercio su

aree pubbliche” nonché “ i criteri e le procedure per il rilascio, la revoca e la

sospensione” delle autorizzazioni relative e comunque di disciplinare l’attività in

generale, mentre la competenza a rilasciare le autorizzazioni è stata restituita ai Comuni;

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il numero delle autorizzazioni all’esercizio dell’attività è stato ridotto da tre a due: “una

per ciascun posteggio mercatale” che viene rilasciata dal Comune sede del posteggio e

l’altra per il “commercio in forma itinerante” che viene rilasciata dal Comune di

residenza o di sede del richiedente24

.

2.1- Legge 5 febbraio 1934, n. 327 e regolamento di attuazione n.2255/1939

Questa legge è stata la prima a disciplinare il commercio ambulante. Si apriva con la

definizione di venditore ambulante che “era colui il quale vendeva a domicilio dei

compratori ovvero su aree pubbliche, purché la vendita non si effettuasse su mercati

all’ingrosso o su banchi fissi di mercati al minuto coperti, ovvero in chioschi, baracche

e simili fissati stabilmente al suolo”. Tra i presupposti per l’esercizio del commercio

ambulante vi era la concessione di una licenza, fino ad allora non necessaria, rilasciata

su domanda dell’interessato dal podestà su conforme parere di una Commissione

comunale presieduta dal podestà stesso, da due rappresentati della Federazione

provinciale del commercio e da due rappresentanti dell’Unione dei sindacati fascisti del

commercio. La licenza era soggetta alla fine di ogni anno al visto da parte del podestà,

che si pronunciava sentito il parere della Commissione, e dava diritto ad esercitare il

commercio nell’ambito della Provincia di origine (dimora abituale) e su richiesta

dell’interessato anche in altre cinque province confinanti. I Consigli provinciali

dell’economia nel mese di novembre di ciascun anno, comunicavano alle Commissioni

comunali le direttive generali da seguirsi nel rilascio delle licenze di vendita ambulante

per l’anno successivo. Nella legge erano indicati anche coloro che non erano tenuti a

fornirsi della licenza per la vendita ambulante ed erano “le persone che curavano la

consegna a domicilio dei compratori, per conto di ditte esercenti il commercio in sede

stabile. Parimenti non erano soggetti all’osservanza della legge sul commercio

ambulante i piazzisti e i rappresentanti che vendevano ad altri rivenditori per conto delle

case da essi rappresentate.” Il rilascio della licenza era sottoposto al versamento di un

deposito cauzionale non necessario per agricoltori e artigiani. Nel caso in cui

l’ambulante decideva di trasferire la propria dimora abituale in un altro Comune della

stessa provincia conservava diritto alla titolarità della licenza, ma doveva comunicare

all’Autorità del Comune che decideva di abbandonare e a quella in cui si trasferiva il

24 Le attività commerciali: commercio in locali privati, commercio su aree pubbliche, somministrazione di alimenti e

bevande, rivendita di giornali e riviste; Rocco Orlando Di Stilo; Maggioli edizioni; 2003; pag. 201

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suo cambiamento di residenza. Il commercio ambulante poteva essere esercitato dal

titolare della licenza con il solo aiuto di familiari ed in caso di morte la licenza poteva

essere trasmessa solo ai discendenti e collaterali dei venditori fino al quarto grado. Non

erano, quindi, ammessi dipendenti addetti alla vendita al pubblico; per comprovate

esigenze il podestà poteva consentire che il titolare si facesse temporaneamente

sostituire nella vendita al pubblico da una persona familiare. La licenza per l’esercizio

della vendita ambulante s’intendeva concessa per un tempo illimitato. In base alla

presente legge le Commissioni comunali avevano le seguenti competenze:

- esprimere il proprio parere sulle domande di nuove concessioni di licenze

indicando all’Autorità comunale la decisione da adottare;

- esprimere il parere per l’apposizione del visto annuale;

- proporre i vari provvedimenti occorrenti per il funzionamento dei mercati

ambulanti, per stabilire gli orari di vendita consentiti agli ambulanti e per ogni

altra questione riguardante l’esercizio della loro attività;

- promuovere tutte quelle iniziative atte a favorire l’esercizio del commercio

ambulante;

- esprimere, su richiesta del podestà, il parere sulla revoca, o ritiro della licenza e

su ogni altra questione che egli credesse di sottoporre alla Commissione.

Per quanto riguarda le limitazioni all’esercizio dell’attività, nel regolamento di

attuazione si affermava che “i Comuni non potevano limitare l’afflusso degli ambulanti

né stabilire per essi termini di permanenza nel territorio comunale, tranne che per

ragioni di ordine pubblico, di polizia stradale o per motivi eccezionali di polizia”. La

vendita ambulante era soggetta alle limitazioni che le Autorità locali, in applicazioni di

leggi e regolamenti di carattere sanitario, avessero creduto di stabilire. Al venditore

ambulante che contravveniva alle disposizioni contenute nella seguente legge poteva

essere temporaneamente ritirata la licenza, e nei casi di recidiva, revocata. Contro il

provvedimento di diniego, di ritiro temporaneo o di revoca della licenza di esercizio

l’interessato poteva ricorrere entro 15 giorni dalla notifica del provvedimento al

prefetto25

.

25 http://augusto.digitpa.gov.it/: Gazzetta ufficiale del Regno D’Italia del 12 marzo 1934 n° 60; pag.1278-1280.

Gazzetta ufficiale del Regno D’Italia del 20 luglio 1940 n° 169; pag.2698-2703.

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2.2- Legge 19 maggio 1976, n.398

2.2.1- Norme costituzionali

L’esercizio del commercio, in epoche storiche più o meno recenti, è stato sottoposto ad

un’attenta disciplina e controllo da parte delle autorità che hanno cercato di regolarlo in

modo da ricavarne i maggiori benefici possibili. La delicatezza di questa materia non è

sfuggita al costituente il quale, nello stabilire che l’iniziativa economica privata è libera,

ha tenuto precisare che non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da

recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana (art. 41 della Costituzione).

Con la stessa disposizione è stato ulteriormente precisato che la legge ordinaria può

determinare i programmi e i controlli affinché l’attività economica sia indirizzata e

coordinata a fini sociali. Nell’attuazione pratica delle disposizioni legislative non è

tuttavia semplice individuare i limiti che l’attività economica non può valicare senza

incorrere nell’illegittimità. Uno dei più importanti compiti dell’autorità amministrativa

consiste quindi nel dare applicazione alle leggi che regolano la materia, con

un’interpretazione attenta e avvalendosi degli indirizzi che la Corte Costituzionale e il

Consiglio di Stato hanno espresso in proposito. La Corte Costituzionale ha definito

innegabile l’opportunità che le attività commerciali siano soggette a controllo, onde

evitare forme di concorrenza sleale a danno degli acquirenti. La stessa Corte

occupandosi del commercio ambulante, con riferimento alla legge 5 febbraio 1934 n.

327, ha ritenuto che la limitazione della validità della licenza per l’esercizio del

commercio ambulante soltanto nell’ambito di alcune Province non è illegittima poiché

tende a garantire che lo svolgimento del commercio ambulante si ripartisca in modo

equilibrato tra le varie zone del territorio nazionale, in modo da impedire il verificarsi di

un disordinato afflusso di venditori ambulanti di ogni provenienza nello stesso luogo.

Anche il Consiglio di Stato ha affermato che la libertà di commercio non può essere

legittimamente limitata se non siano espressamente determinate le condizioni che vi si

oppongono. Ha inoltre aggiunto che il diniego della licenza commerciale è legittimo

solo se il suo rilascio determini una situazione di crisi dannosa per l’economia locale o

generale di cui si deve dare adeguata dimostrazione in base ad elementi concreti.

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2.2.2- Piani di sviluppo e di adeguamento

2.2.2.1-Premessa

Fino all’entrata in vigore delle leggi n. 426 del 1971 (Disciplina del commercio) e n.398

del 1976 il rilascio delle licenze di commercio non era disciplinato da alcuno strumento

programmatorio e pertanto i Comuni, nell’esame delle richieste di nuove autorizzazioni,

erano portati a valutare situazione economiche più che ad impostare un vero e proprio

piano in grado di conciliare la libertà d’iniziativa privata, garantita dalla Costituzione,

con l’interesse pubblico generale. I criteri maggiormente seguiti per la valutazione

dell’opportunità del rilascio delle licenze sono stati indicati dal Ministero dell’Industria,

Commercio e Artigianato con circolare n.2006/C e sono intesi ad impedire ogni

fenomeno di polverizzazione dell’apparato distributivo, al fine non solo di evitare un

pregiudizio degli interessi delle aziende commerciali, ma anche una maggiore onerosità

del servizio per il pubblico dei consumatori. Oltre ai criteri indicati, è stata

particolarmente seguita anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato, costante

nell’affermare che la sufficienza degli esercizi commerciali già esistenti non è una

ragione valida per giustificare il diniego della licenza, se non quando sia in atto o venga

a determinarsi una situazione di crisi dannosa all’economia locale o generale. Tali

indirizzi, se pur autorevoli, non sono stati però di costante applicazione, per cui si può

ben comprendere la situazione di incertezza in cui versavano non soltanto coloro che

intendevano intraprendere una qualsiasi attività commerciale, ma le stesse Commissioni

comunali. Per ovviare a tale stato di cose, la legge n.426 del 1971 ha introdotto

l’obbligo per i Comuni di dotarsi di un piano di sviluppo e adeguamento della rete di

vendita. La legge n. 398 del 1976 ha stabilito, inoltre, che detto piano deve essere

integrato con norme e direttive concernenti il commercio ambulante.

2.2.2.2-Scopo dei piani

Lo scopo dei piani era di favorire una più razionale evoluzione dell’apparato

distributivo e assicurare la migliore funzionalità e produttività del servizio da rendere al

consumatore. Il legislatore si era inoltre preoccupato del fatto che spesso gli esercizi

commerciali erano sorti con dimensioni tali da non consentire la prestazione di un

servizio di buona qualità e aveva perciò disposto che i piani dovevano tendere al

graduale conseguimento di una più ampia dimensione media degli esercizi, anche

attraverso l’imposizione di limiti minimi di superficie di vendita. Tra gli scopi

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perseguiti dal piano rientrava anche un adeguato equilibrio tra commercio in sede fissa e

commercio ambulante, tenuto conto della sua entità e del prevedibile sviluppo. Alcuni

piani si erano dimostrati di scarsa utilità perché più che contenere un vero e proprio

programma, si erano limitati a recepire un certo sorpassato modo d’intendere l’attività

commerciale, senza indicare le linee lungo cui doveva muoversi lo sviluppo dei vari tipi

di commercio. Ma chi forse aveva mancato di più erano state le Regioni, in quanto

avevano trascurato di formulare le informazioni necessarie (caratteristiche economiche

del territorio, densità della rete distributiva, presumibile capacità di domanda della

popolazione residente e fluttuante) da trasmettere ai Comuni per la formazione dei

piani, così come avevano trascurato di predisporre le direttive generali per il rilascio

delle autorizzazioni.

2.2.2.3-Contenuto

Il piano doveva determinare il limite massimo, in termini di superficie globale, della

rete di vendita per i beni di largo e generale consumo. Fra gli altri principi che dovevano

caratterizzare il piano ricordiamo:

- il rispetto della concorrenza;

- l’adeguato equilibrio tra le varie forme distributive;

- l’utilizzazione delle disponibilità che si determinano nel tempo a seguito della

cessazione di esercizi esistenti.

Per la parte che riguardava più da vicino il commercio ambulante l’art. 7 della legge

stabiliva che il piano doveva dettare norme per quanto riguardava le seguenti

competenze:

- l’istituzione, il funzionamento, la soppressione e gli spostamenti dei mercati,

nonché per le altre manifestazioni delle attività economiche di vendita in forma

ambulante delimitate nello spazio e nel tempo;

- fissare i criteri per il rilascio delle autorizzazioni;

- fissare i criteri per la regolamentazione delle aree e delle soste;

- determinare le modalità della presenza degli operatori al di fuori dei mercati.

E’ di tutta evidenza l’opportunità che il piano cercasse le soluzioni ottimali, al fine di

consentire la massima concentrazione dei mercati ambulanti in luoghi predeterminati,

possibilmente forniti delle principali infrastrutture. E’ da tenere presente che le

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limitazioni al commercio ambulante senza posto fisso potevano essere poste solo per

motivi di polizia annonaria, di polizia stradale e di carattere igienico-sanitario. Inoltre, è

opportuno che nel piano fossero inserite apposite norme per disciplinare la concessione

del posteggio per l’esercizio del commercio a posto fisso. Avrebbero dovuto in

particolare essere regolamentati:

- il modo di concessione a turno, quando gli spazi disponibili non fossero stati

sufficienti ad accogliere tutte le domande;

- il periodo di tempo trascorso il quale la concessione doveva intendersi decaduta

se non utilizzata dal concessionario;

- gli spazi da riservare agli agricoltori per la vendita dei loro prodotti;

- il periodo di validità della concessione;

- le modalità per il rinnovo.

2.2.2.4-Piani commerciali e strumenti urbanistici

Gli artt. 13 e 14 della legge n.426 del 1971 stabilivano che i piani regolatori generali e i

programmi di fabbricazione dovevano dettare norme per l’insediamento di attività

commerciali ed indicare la quantità minime di spazi per parcheggi in funzione delle

caratteristiche dei punti di vendita. Va ricordato infine che i piani commerciali

dovevano osservare le norme dei piani regolatori generali e particolareggiati, dei piani

regolatori intercomunali, dei piani territoriali di coordinamento e assetto del territorio.

2.2.2.5-Formazione e approvazione del piano

La formazione del piano doveva essere preceduta da un’apposita indagine statistica per

la rilevazione di tutti gli esercizi ed attività commerciali esistenti nel Comune. Il piano

doveva essere sottoposto al parere delle Commissioni comunali ed entro otto giorni

dalla data di adozione della delibera del Consiglio comunale doveva essere depositato

nella segreteria comunale a disposizione del pubblico per 20 giorni consecutivi. Una

volta approvato, il piano veniva trasmesso alla Giunta regionale. Dell’avvenuta

approvazione doveva essere inoltre data notizia nel bollettino ufficiale della Regione.

2.2.2.6-Validità e revisioni

Il piano approvato doveva essere sottoposto a revisione ogni 4 anni. Qualora, in

situazioni particolari, si fossero determinati gravi ostacoli alla concorrenza o condizioni

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di privilegio per singoli esercizi, o per gruppi di esercizi di alcune zone, il piano poteva

essere variato prima dei 4 anni.

2.2.3- Nozione di commercio ambulante

L’art. 1 della legge 398/1976 definiva come commercio ambulante “quello esercitato da

colui che vendeva merci al minuto o somministrava al pubblico alimenti e bevande con

la sola collaborazione dei familiari e di non più di due dipendenti, presso il domicilio

dei compratori, o su spazi o aree pubbliche, purché non si adoperassero impianti fissati

permanentemente al suolo”. Analizzando la definizione occorre chiedersi che cosa

dovesse intendersi per commercio al minuto. Dalla lettura dell’art. 1 della legge

n.426/1971 apprendiamo che il commercio al minuto consisteva nell’acquistare merci a

nome e per conto proprio e averle rivendute direttamente al consumatore finale,

conseguentemente il commercio all’ingrosso non poteva essere esercitato in forma

ambulante. Riprendendo la definizione rileviamo che non potevano essere considerati

commercianti ambulanti coloro che non acquistavano merci per rivenderle, ma

vendevano merci da loro prodotte come, ad esempio, i coltivatori diretti, ai quali non si

applicavano le norme della legge 398. E’ bene inoltre tenere presente che il commercio

ambulante di alcuni prodotti poteva essere vietato da norme particolari. Tra queste

ultime ricordiamo il divieto di vendere:

- carni fresche e conservate;

- bevande alcoliche di qualsiasi gradazione;

- pane;

- medicinali.

Ulteriore elemento per la qualificazione del commercio ambulante era costituito dal

fatto che esso non poteva essere svolto con la collaborazione di altre persone che non

fossero familiari e con più di due dipendenti. Questa disposizione rappresentava una

novità rispetto a quella contenuta nell’abrogata legge 327 del 1934, la quale stabiliva

che il commercio ambulante poteva essere esercitato direttamente dal titolare della

licenza con il solo aiuto dei familiari.

2.2.4- Commercio a posto fisso

Commercio a posto fisso era quello esercitato soltanto sulla parte di suolo pubblico a

tale uso destinato dal Comune, ovvero in aree pubbliche attrezzate, o in mercati anche

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coperti, esclusi i mercati all’ingrosso. Il commercio ambulante rimaneva tale anche se il

posto veniva assegnato a turno tra i vari richiedenti. Inoltre, poteva essere esercitato

solo dopo aver ottenuto la concessione per l’occupazione di suolo pubblico da parte del

Comune, il quale la rilasciava, previo parere della Commissione comunale per il

commercio, in conformità del piano approvato.

2.2.5- Posteggi

Sia la legge che il regolamento si occupavano in modo specifico della concessione dei

posteggi per stabilire che i provvedimenti comunali riguardanti l’istituzione, il

funzionamento, la soppressione, gli spostamenti dei mercati ambulanti potessero essere

emanati soltanto dopo aver sentito il parere della Commissione comunale. I criteri per

l’assegnazione dei posteggi, le tasse relative e l’eventuale appalto per la riscossione

dovevano essere deliberati dal Consiglio comunale su proposta della Commissione del

commercio. La concessione di posteggio non poteva essere ceduta a nessun titolo,

neppure temporaneamente, non poteva avere durata superiore a tre anni ed era

rinnovabile. E’ da tenere inoltre presente che si applicavano le seguenti limitazioni:

- il posteggio doveva essere gestito soltanto dal titolare dell’autorizzazione

commerciale o dal rappresentante regolarmente autorizzato;

- la concessione veniva revocata nel caso che il posteggio non venisse utilizzato

per periodi di tempo complessivamente superiori a 3 mesi in ciascun anno

solare;

- ciascun commerciante non poteva ottenere più di un posteggio;

- la concessione del posteggio per posto assegnato a turno era valida soltanto per i

periodi indicati dal Comune.

2.2.6- Commercio itinerante

Commercio ambulante senza posto fisso era quello esercitato presso il domicilio dei

compratori o su qualsiasi area pubblica purché in modo itinerante con mezzi motorizzati

o altro. Tale forma di commercio poteva svolgersi mediante la diretta vendita in

abitazioni, aziende,ecc, senza alcuna limitazione particolare.

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2.2.7- Il registro degli ambulanti

Prima dell’entrata in vigore della legge n.398 per l’esercizio del commercio ambulante

era indispensabile ottenere l’iscrizione nel registro dei mestieri ambulanti. Per

l’iscrizione era sufficiente saper leggere e scrivere, essere maggiorenni o minorenni

emancipati, non aver riportato condanne superiori a tre anni e non essere sottoposti a

misure di pubblica sicurezza. L’art. 14 della legge 398 aveva abrogato l’obbligo

d’iscrizione nel registro di pubblica sicurezza, mentre l’art. 2 della stessa legge aveva

stabilito che l’esercizio del commercio ambulante era subordinato all’iscrizione in una

speciale sezione del registro degli esercenti il commercio istituito con la legge n.426 del

1971. Il registro degli esercenti il commercio era istituito presso ogni Camera di

Commercio ed aveva carattere pubblico. Per ottenere l’iscrizione nel registro era

necessario presentare domanda alla Camera di commercio della Provincia in cui

l’interessato aveva la residenza. Per ottenere l’iscrizione nel registro occorrevano i

seguenti requisiti generali e morali:

- aver raggiunto la maggiore età o essere minore emancipato con possibilità di

effettuare l’attività commerciale;

- aver assolto gli obblighi scolastici riferiti al periodo di frequenza del richiedente;

- non essere stati dichiarati falliti;

- non essere stati condannati a qualsiasi pena per uno dei seguenti delitti:

commercio di sostanze alimentari contraffatte; commercio di sostanze alimentari

nocive; turbata libertà dell’industria e del commercio; frode nell’esercizio del

commercio; vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine; vendita

di prodotti industriali con segni mendaci;

- non essere sottoposti a misure di prevenzione ai sensi della legge 27 dicembre

1956, n.1423 (sorveglianza speciale, libertà vigilata, divieto di soggiorno,ecc.);

- non essere stati dichiarati delinquenti abituali.

Oltre ai requisiti generali e morali erano necessari anche i requisiti professionali per

poter ottenere l’iscrizione nel Registro. Questi erano accertati mediante un esame,

oppure mediante idonea documentazione comprovante l’espletamento di pratica

commerciale o la frequenza di corsi professionali. La cancellazione dal registro poteva

avvenire per:

- morte;

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- perdita dei requisiti prescritti per l’iscrizione;

- condanna con sentenza passata in giudicato;

- fallimento;

- sottoposizione a misure di prevenzione.

La cancellazione avveniva a cura della Camera di commercio e doveva essere portata

immediatamente a conoscenza dei Comuni che avevano rilasciato le autorizzazioni

amministrative per i provvedimenti di loro competenza. Contro i provvedimenti che

negavano l’iscrizione o disponevano la cancellazione dal registro, gli interessati

potevano proporre autorizzazioni amministrative per i provvedimenti di loro

competenza.

2.2.8- La disciplina prevista per industriali, agricoltori, pescatori, cacciatori

L’art. 9 dell’abrogata legge n.327/1934 imponeva l’obbligo della licenza per il

commercio ambulante anche ad agricoltori e artigiani che intendevano vendere al

minuto direttamente i loro prodotti al domicilio dei compratori o sui mercati. La legge

398 aveva notevolmente innovato la materia dettando apposita disciplina per industriali,

artigiani, coltivatori diretti, mezzadri e coloni.

2.2.8.1-Industriali e artigiani

Per esercitare il commercio ambulante dei loro prodotti gli industriali e gli artigiani

erano assoggettati alle normali disposizioni della legge 398 e dovevano perciò iscriversi

nella sezione speciale del registro per gli ambulanti e munirsi di autorizzazione

comunale.

2.2.8.2-Agricoltori

Non erano invece tenuti a provvedere ad alcuna iscrizione, né a munirsi di alcuna

autorizzazione i coltivatori diretti, i mezzadri e i coloni che intendano vendere i propri

prodotti nei limiti di cui all’art. 2135 del codice civile. La qualità di agricoltore era

provata mediante un certificato in carta libera rilasciato dal sindaco del Comune di

residenza dell’interessato. Nel certificato doveva essere anche attestata l’ampiezza della

superficie destinata all’allevamento o alla coltivazione dei prodotti posti in vendita. E’

bene inoltre tenere presente che la vendita dei prodotti ottenuti nei propri fondi era

disciplinata anche dalla legge 9 febbraio 1963 n. 59, la quale stabiliva all’art. 1 che non

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erano tenuti a munirsi di licenza di commercio i produttori agricoli, singoli o associati,

per la vendita al dettaglio nell’ambito del proprio Comune o dei Comuni viciniori. Di

tale tipo di vendita si occupava anche l’art. 16 del regolamento 15 gennaio 1977 per

stabilire che i Comuni avevano l’obbligo di riservare a coloro che intendevano

esercitarla, una parte delle superfici destinate al commercio ambulante a posto fisso su

suolo pubblico. Coloro che intendevano esercitare la vendita ai sensi della legge

59/1963, anche se non erano tenuti a munirsi di autorizzazione commerciale, dovevano

tuttavia essere autorizzati. A tal fine dovevano presentare domanda al sindaco del

Comune in cui intendevano effettuare la vendita corredandola con il certificato penale

generale. Da rilevare, inoltre, che la legge 59/1963 trovava applicazione soltanto per la

vendita al dettaglio dei prodotti ottenuti nei propri fondi, ma non poteva applicarsi

allorché l’agricoltore ponesse in vendita non solo prodotti propri, ma anche altri generi

estranei al proprio ciclo produttivo, acquistati da terzi.

2.2.8.3-Cacciatori e pescatori

Le disposizioni sul commercio ambulante non si applicavano ai pescatori e cacciatori.

Costoro non erano tenuti a munirsi di alcuna licenza per la vendita ambulante della

cacciagione e dei prodotti ittici, purché gli stessi provenissero in modo esclusivo

dall’esercizio della loro attività. Erano, però, obbligati, ad osservare tutte le disposizioni

dettate dalla legge o dai piani commerciali, in merito alla concessione dei posteggi nei

mercati e all’occupazione di aree e spazi pubblici.

2.2.9- Vendite a domicilio

Coloro che provvedevano a consegnare al domicilio dei compratori, merci vendute per

conto di ditte esercenti l’attività commerciale in sede stabile, non avevano alcun obbligo

d’iscrizione nel registro, né di alcuna autorizzazione. Allo stesso modo non erano

soggetti ad alcuna autorizzazione i rappresentanti e i piazzisti che vendevano merci

trasportate per conto di ditte da essi rappresentate, a soggetti diversi dai consumatori.

L’altro caso al quale non si applicava la legge sul commercio ambulante era costituito

dalla vendita per corrispondenza, su catalogo a domicilio del consumatore, purché

esercitata non direttamente ma tramite persone appositamente incaricate.

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2.2.10- Orari di vendita

La disciplina dell’orario di vendita era contenuta nella legge 28 luglio 1971 n. 558, la

quale disponeva che le Regioni fossero delegate, ai sensi dell’art.118 della Costituzione,

a determinare l’orario di apertura e di chiusura dei negozi e delle altre attività esercenti

la vendita al dettaglio. Del commercio ambulante si occupava l’art. 2 della legge, per

stabilire che le Regioni potevano autorizzare lo svolgimento dei mercati nei giorni

domenicali e festivi nei Comuni ove tradizionalmente si svolgevano attività di

commercio ambulante non girovago. Con l’entrata in vigore del D.P.R 616/1977 la

regolamentazione dei mercati per il commercio al minuto e gli orari di apertura e

chiusura dei negozi e dei pubblici esercizi di vendita e di consumo di alimenti e bevande

erano stati attribuiti ai Comuni. La formulazione delle disposizioni poteva portare a

credere che il commercio ambulante girovago, al di fuori del divieto festivo, non fosse

soggetto ad alcuna limitazione di orario e potesse svolgersi in qualsiasi momento della

giornata. Una più attenta interpretazione della normativa ci porta invece a concludere

che anche l’orario per la vendita ambulante potesse essere sottoposto a particolare

regolamentazione. Riteniamo, pertanto, che le disposizioni della legge 558 dovevano

essere interpretate nel senso che, mentre per la vendita nei negozi la determinazione

dell’orario giornaliero era obbligatoria, per il commercio ambulante l’opportunità di

un’apposita disciplina era demandata alla valutazione dell’amministrazione comunale.

Per completare l’argomento, rammentiamo che le Regioni nel dettare le disposizioni per

gli orari, dovevano tenere conto delle esigenze dei consumatori, del loro tempo libero e

dovevano previamente sentire il parere dei Comuni, delle Camere di commercio, delle

organizzazioni sindacali dei commercianti, dei lavoratori addetti al commercio e dei

venditori ambulanti.

2.2.11- Commissione comunale per il commercio

La composizione delle Commissioni comunali per il commercio ambulante differiva a

seconda che si trattasse di Comuni con popolazione inferiore o superiore a 5.000

abitanti. La commissione doveva essere rinnovata quando la popolazione del Comune

superava o diventava inferiore alle 5.000 unità. Per i Comuni con popolazione superiore

a 5.000 abitanti la commissione era composta nel modo seguente:

- sindaco o suo delegato;

- due rappresentanti del consiglio comunale, di cui uno di minoranza;

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- tre rappresentanti dei commercianti ambulanti designati dalle organizzazioni

sindacali di categoria;

- due rappresentanti dei commercianti in sede fissa designati dalle organizzazioni

sindacali di carattere generale dei commercianti;

- un rappresentante dei coltivatori agricoli produttori diretti designato dalle

organizzazioni sindacali.

Per i Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti la commissione era composta

dagli stessi membri presenti nei Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, ma

i rappresentanti dei commercianti ambulanti passavano da tre membri a due e quelli dei

commercianti in sede fissa passavano da due rappresentanti a uno. Sia per i Comuni con

popolazione superiore a 5.000 abitanti che per i Comuni con popolazione inferiore, la

Commissione poteva essere integrata da un esperto di traffico, viabilità o urbanistica

designato dalla Giunta municipale che aveva parere solo consultivo. La Commissione

comunale per il commercio era chiamata ad esprimere il proprio parere in merito alle

integrazioni al piano per il commercio e al rilascio, sospensione o revoca delle

autorizzazioni commerciali. Circa la natura del parere riteniamo di poter affermare che,

in linea generale, esso era obbligatorio, ma non vincolante. La Commissione doveva

essere convocata almeno una volta al mese. Tale obbligo non sussisteva quando non ci

fosse stata alcuna domanda di autorizzazione da esaminare o altre questioni per le quali

fosse richiesto il parere. I membri che per tre volte consecutive non partecipavano alle

riunioni, senza alcuna giustificazione, dovevano essere sostituiti. Per la validità delle

sedute la legge non precisava quale dovesse essere il numero minimo dei presenti; si

riteneva però che questo non dovesse essere inferiore alla metà più uno dei componenti.

La Commissione durava in carica 5 anni e doveva essere rinnovata entro un mese dalla

scadenza. Per concludere l’argomento facciamo rilevare che la Commissione era tenuta

ad indicare i criteri di massima che intendeva seguire per respingere le domande di

autorizzazione e che tale indicazione era condizione di validità delle deliberazioni di

diniego, in tutti i casi in cui il parere della Commissione era vincolante.

2.2.12- L’autorizzazione amministrativa

Per ottenere l’autorizzazione commerciale l’interessato doveva presentare domanda al

sindaco del Comune di residenza. A norma dell’art. 6 della legge n. 398

l’autorizzazione dava la facoltà di esplicare l’attività di vendita nel territorio di 6

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Province compresa quella cui apparteneva il Comune di residenza del richiedente. Nel

caso in cui il commerciante ambulante trasferisse la propria residenza al di fuori delle

province per le quali era stato autorizzato l’esercizio della propria attività, doveva

chiedere una nuova autorizzazione. Non era invece richiesta alcuna autorizzazione per

esercitare il commercio ambulante fuori dalle province indicate nell’autorizzazione,

allorché si trattasse di partecipazione a fiere regionali e nazionali. L’autorizzazione per

l’esercizio del commercio ambulante era rilasciata dal sindaco del Comune ove il

richiedente risiedeva ed effettivamente dimorava. Il rilascio dell’autorizzazione era

subordinato al parere della Commissione comunale, obbligatorio, ma non vincolante.

Nel caso in cui il parere del sindaco si discostava da quello della Commissione, questo

doveva essere adeguatamente motivato con l’indicazione delle ragioni che stavano alla

base delle decisioni adottate. Per il rilascio dell’autorizzazione non occorreva alcuna

particolare motivazione del provvedimento; per il diniego invece la motivazione doveva

essere puntuale e rigorosa poiché la libertà d’iniziativa economica, sancita dall’art. 41

della Costituzione, può trovare un limite solo nell’utilità sociale di non arrecare danno

alla generalità dei consumatori. L’autorizzazione al commercio ambulante doveva

essere rilasciata soltanto a persone fisiche senza possibilità di deroga. Inoltre non poteva

essere generica, ma doveva essere rilasciata soltanto per le voci merceologiche per le

quali il richiedente aveva ottenuto l’iscrizione nel registro. L’autorizzazione doveva

essere rilasciata nel termine di 90 giorni dalla presentazione della relativa domanda.

Qualora entro tale termine il sindaco non avesse adottato alcuna determinazione, la

domanda si intendeva respinta e l’interessato poteva proporre ricorso. L’autorizzazione

doveva essere esibita ad ogni richiesta degli organi di vigilanza. L’autorizzazione

all’esercizio del commercio ambulante era rilasciata senza limiti temporali; tuttavia,

doveva essere sottoposta al visto annuale da parte del sindaco. Ai sensi della’art. 4 della

legge 398 l’autorizzazione per l’esercizio del commercio ambulante era trasmissibile

soltanto a:

- coniuge;

- parenti entro il terzo grado;

- affini entro il secondo grado.

La trasmissione poteva avvenire per atto tra vivi o per causa di morte a condizione però

che la persona cui l’autorizzazione fosse trasferita, fosse iscritta nella sezione speciale

del registro tenuto presso la Camera di commercio e a condizione che, insieme con

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l’autorizzazione fosse trasferita anche la proprietà dell’azienda. Il trasferimento

dell’autorizzazione comportava anche il trasferimento dell’eventuale concessione di

posteggio. La cessione dell’autorizzazione a persone diverse dal coniuge, parenti e

affini era consentita soltanto da parte di ambulanti che:

- avessero acquisito il diritto alla pensione di invalidità o di vecchiaia;

- avessero esercitato l’attività per almeno 15 anni consecutivi.

La rappresentanza nell’esercizio del commercio ambulante era consentita soltanto in

caso di comprovata necessità. Quali potessero essere i casi di comprovata necessità non

era specificato da alcuna disposizione. Il sindaco poteva ritenere certamente validi per

giustificare la rappresentanza, gli impedimenti fisici o altre cause indipendenti dalla

volontà dell’ambulante e che da questi non potevano essere rimossi. Per esercitare il

diritto di farsi rappresentare da altre persone l’ambulante doveva comunicare al sindaco

la causa che gli impediva di esercitare direttamente l’attività. Il rappresentante non era

da considerarsi persona preposta all’esercizio dell’impresa né preposta alla gestione dei

punti vendita. Egli operava in nome e per conto del titolare dell’autorizzazione e non era

dunque tenuto ad iscriversi nello speciale elenco del registro degli esercenti il

commercio. La sospensione dell’autorizzazione era un provvedimento punitivo nei

confronti di colui che violava le norme che regolavano il commercio ambulante. Esso si

applicava nei casi di particolare gravità e veniva disposto dal sindaco per un periodo

massimo di 60 giorni, sentito il parere, obbligatorio ma non vincolante, della

Commissione per il commercio. La revoca dell’autorizzazione poteva essere disposta,

oltre che per reiterate infrazioni di particolare gravità anche nei seguenti casi:

- quando il visto non veniva apposto per due anni consecutivi;

- quando il titolare non iniziava l’attività entro sei mesi dalla data di rilascio

dell’autorizzazione;

- quando il titolare dell’autorizzazione veniva cancellato dal registro degli

esercenti il commercio26

.

26 Il commercio ambulante; Leonardo Mele; La nuova Italia scientifica edizioni; 1981; pag. 7-85.

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2.2.13- Sanzioni per la violazione delle norme

Le violazioni delle norme che disciplinavano il commercio ambulante erano punite in

modo diverso a seconda che si trattasse di violazioni alle legge n. 398/1976 e ai piani

commerciali, oppure di esercizio abusivo del commercio. Le relative sanzioni potevano

essere distinte in penali e amministrative. Per le sanzioni penali si faceva riferimento

all’art. 669 del codice penale che puniva con l’arresto fino a due mesi o con l’ammenda

da lire 2.000 a lire 40.000 chiunque esercitasse un mestiere girovago senza la licenza

d’autorità o senza osservare le altre prescrizioni stabilite dalla legge. I casi in cui il

commercio ambulante doveva ritenersi abusivo erano indicati nell’art. 20 del

regolamento 15 gennaio 1977 e potevano essere raggruppati nel modo seguente:

- esercizio dell’attività senza autorizzazione;

- vendita di prodotti non inclusi nelle tabelle merceologiche autorizzate;

- esercizio dell’attività fuori dal territorio delle province indicate

nell’autorizzazione;

- esercizio dell’attività senza iscrizione nell’apposito registro del commercio.

Nei casi indicati ai primi tre punti precedenti si applicava una sanzione pecuniaria da

lire 50.000 a lire 500.000 e l’immediata confisca degli impianti di vendita e della merce.

L’esercizio dell’attività senza l’iscrizione nel registro era punita con la sanzione

pecuniaria da lire 20.000 a lire 5.000.000 ed era disposta l’immediata confisca degli

impianti e della merce. Quando il commercio veniva esercitato con autoveicoli, oltre

all’applicazione delle sanzioni pecuniarie si provvedeva al ritiro della licenza per

l’autotrasporto in conto proprio. La legge 19 maggio 1976, n. 398 aveva espressamente

abrogato le disposizioni della precedente legge 5 febbraio 1934, n. 327. Dunque non era

più esperibile il ricorso amministrativo al prefetto contro i provvedimenti del sindaco

previsto dall’art.15 dell’ultima citata legge. Successivamente all’entrata in vigore della

legge n. 398/1976 tutti i ricorsi andavano, quindi, proposti immediatamente in via

giurisdizionale dinanzi al tribunale amministrativo regionale27

.

27 La disciplina dell’attività commerciale: commercio a posto fisso, ambulante ed esercizi pubblici; Vittorio

Ragonesi; Giuffrè edizioni; 1981; pag. 392-395.

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2.3- Legge 29 marzo 1991, n.112

Analizzando l’art. 1 della seguente legge osserviamo che la definizione di commercio

ambulante risultava modificata, rispetto alla precedente, come segue: “Per commercio

su aree pubbliche si intende la vendita di merci al dettaglio e la somministrazione al

pubblico di alimenti e bevande effettuate su aree pubbliche, comprese quelle del

demanio marittimo, o su aree private delle quali il comune avesse la disponibilità,

attrezzate o meno, scoperte o coperte. Il commercio su aree pubbliche poteva essere

svolto:

- su aree date in concessione per un periodo di tempo pluriennale per

essere utilizzate quotidianamente dagli stessi soggetti durante tutta la

settimana;

- su aree date in concessione per un periodo di tempo pluriennale per essere

utilizzate solo in uno o più giorni della settimana indicati dall'interessato;

- su qualsiasi area, purché in forma itinerante.”

Questa nuova formulazione aveva introdotto, quindi, tre tipi di autorizzazioni: “A”, “B”

e “C” le cui caratteristiche sono state descritte nell’introduzione di questo capitolo al

quale rimando per un eventuale approfondimento su questo aspetto.

2.3.1- Il rilascio e la revoca delle autorizzazioni

L’ambulante che intendeva ottenere il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio della

propria attività doveva presentare domanda agli organi competenti e tale domanda

doveva contenere, oltre alle generalità dell’interessato, gli estremi d’iscrizione al REC

nonché le tabelle merceologiche oggetto di richiesta. L’organo che rilasciava

l’autorizzazione era competente anche a revocarla. Nessuna autorizzazione per

l’esercizio del commercio su area pubblica poteva essere rilasciata se non esistevano

posteggi disponibili per tale attività, così come non poteva essere legittimamente negata

in tutti i casi in cui detti posteggi fossero liberi e disponibili per l’assegnazione.

L’autorizzazione poteva essere rilasciata soltanto per un posteggio in una stessa fiera o

mercato. Il rilascio dell’autorizzazione dava diritto ad avere la concessione del

posteggio richiesto. Le autorizzazioni per l’esercizio del commercio su area pubblica

potevano essere rilasciate anche per una durata “stagionale” oppure “temporanea” o

“giornaliera”. Uno stesso soggetto poteva essere titolare contemporaneamente di più

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autorizzazioni: comunali, regionali e comunali e regionali. Ogni esercente aveva

l’obbligo di esibire agli organi di vigilanza, a richiesta, l’autorizzazione di cui era

titolare. Le autorizzazioni erano rilasciate, indifferentemente, a cittadini italiani o

stranieri appartenenti a Stati membri della CEE e in possesso dei prescritti requisiti

soggettivi: iscrizione al REC per le tabelle/categorie merceologiche richieste.

2.3.2- Individuazione delle aree per l’esercizio del commercio

Nell’indicare le aree sulle quali poteva essere autorizzato l’esercizio del commercio il

Consiglio comunale doveva indicare la superficie complessiva dell’area e, all’interno

della stessa, quella riservata ai singoli posteggi. Nel prevedere la dislocazione dei

posteggi all’interno di detta area, si doveva tener conto delle diverse merceologie

trattate dagli operatori, della necessità di allacciamento alla rete dei servizi, dei diversi

spazi di cui necessitavano gli operatori in relazione ai prodotti venduti, in modo da

assicurare il rispetto delle disposizioni igienico-sanitarie. Era prevista la possibilità che

uno o più soggetti mettessero a disposizione del Comune, un’area privata, attrezzata o

meno, per l’esercizio del commercio. Se questo si verificava, chi metteva a disposizione

l’area aveva diritto di concorrere alla concessione dei posteggi posti sulla stessa. Nei

mercati e nelle fiere “specializzati” poteva essere stabilito che, in aree determinate e

ben individuate, potesse svolgersi soltanto il commercio di determinati prodotti.

Nell’assegnare posteggi in occasione di fiere o mercati, non si potevano fare

discriminazioni o creare preferenze in relazione alla nazionalità o alla residenza

dell’interessato. Il posteggio doveva avere una dimensione tale da poter ospitare

adeguatamente anche l’autoveicolo utilizzato come struttura di vendita. Per facilitare le

operazioni di scelta dell’area da parte dell’interessato, il sindaco e il presidente della

Giunta regionale dovevano tenere a disposizione degli aventi diritto una planimetria,

aggiornata, delle aree di mercato, con indicata l’ubicazione e la dimensione dei

posteggi. Se, in una fiera o in un mercato, esistevano posteggi temporaneamente liberi

venivano assegnati, con priorità, agli itineranti e fra questi, nell’ordine a chi avesse il

più alto numero di presenze ed a chi avesse iniziato prima l’attività. Si decadeva dalla

concessione del posteggio in tutti i casi in cui si violavano disposizioni della legge

112/1991 e/o del relativo regolamento di esecuzione approvato con d.m n.248 del 4

giugno 2003, del regolamento di polizia urbana e del decreto del Ministro per i beni

culturali e ambientali, emanate a salvaguardia di particolari valori storico-ambientali,

urbanistici o culturali della città. Per poter avere la concessione di un posteggio,

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l’esercente doveva impegnarsi a tenerlo libero e pulito da ogni ingombro o rifiuto. Il

mancato rispetto dell’impegno comportava la decadenza dalla concessione. Si decadeva

dalla concessione anche se non lo si utilizzava per un periodo complessivo superiore a

tre mesi.

2.3.3- Le Commissioni: comunale, provinciale e regionale

La Commissione comunale era formata da 12 membri, elevati a 13 nei Comuni

capoluogo di provincia o con più di 50.000 abitanti; quella provinciale da 10 e quella

regionale da 13 membri. Presidente della Commissione comunale era un rappresentante

del Comune competente per materia; di quella provinciale era il direttore dell’UPICA

(Ufficio provinciale industria, commercio e artigianato); di quella regionale era un

rappresentante della Regione competente per materia. Rappresentanti comuni a tutte e

tre le Commissioni erano:

- due rappresentanti delle organizzazioni del commercio su aree pubbliche;

- due rappresentanti delle organizzazioni a carattere generale del commercio al

dettaglio.

- due esperti, uno per la viabilità e traffico ed uno per l’urbanistica e territorio;

- la rappresentanza delle organizzazioni della cooperazione, che era presente nella

Commissione comunale con un rappresentante ed in quella regionale con due;

- il direttore dell’UPICA o altro funzionario dallo stesso delegato.

Per la validità delle sedute era necessaria la maggioranza assoluta dei componenti e le

decisioni erano adottate a maggioranza assoluta dei presenti. Tutte le suddette

Commissioni duravano in carica 5 anni. L’assenza dei membri effettivi, protratta per tre

riunioni consecutive della Commissione senza che intervenissero, in loro sostituzione, i

rispettivi supplenti, comportava l’obbligo di pronunciare la loro decadenza e di

sostituirli nell’incarico. L’intervento consultivo delle Commissioni doveva essere

limitato ai soli casi previsti dalla legge.

2.3.4- Il sub ingresso

Il sub ingresso nella titolarità di un’autorizzazione per il commercio su aree pubbliche

era disciplinato dalla stessa normativa che regolava i subentri nelle aziende commerciali

al dettaglio di cui alle legge n.426/1971.

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2.3.5- Limitazioni e divieti per l’esercizio dell’attività

Le limitazioni e i divieti che il Comune poteva stabilire per motivi di polizia stradale,

igienico-sanitari, o, comunque, di pubblico interesse, riguardavano tutte le forme di

commercio su area pubblica.

2.3.6- L’orario di attività

L’orario per l’esercizio del commercio su area pubblica poteva coincidere o essere

diverso da quello stabilito per il commercio al dettaglio tradizionale di cui alla legge n.

426/1971. Limitazioni d’orario potevano essere previste per tutti i casi in cui un’area

pubblica non era utilizzabile per l’esercizio del commercio per motivi di polizia

stradale, igienico-sanitari o di interesse pubblico. In occasione dello svolgimento di

fiere e mercati su area pubblica, nei giorni domenicali e festivi, i negozianti tradizionali

avevano la facoltà di tenere aperti i loro esercizi con lo stesso orario e per tutta la durata

di svolgimento di dette iniziative. L’orario della fiera o del mercato stabilito dal sindaco

era unico per tutti gli operatori.

2.3.7- Sfera di applicazione della legge

La legge si applicava anche agli industriali ed agli artigiani che intendevano vendere, su

aree pubbliche, i beni da loro prodotti. Si applicava, inoltre, a tutti coloro che

vendevano, sulle stesse aree opere di pittura, scultura, grafica, oggetti di antichità o di

interesse storico od archeologico. Chi voleva dimostrare di essere agricoltore-produttore

diretto, doveva documentarlo con un certificato che rilasciava il sindaco del Comune

dove era ubicato il terreno sul quale venivano allevati gli animali o dal quale venivano

ricavati i prodotti posti in vendita. Il certificato doveva evidenziare le dimensioni del

terreno ed il tipo delle colture o dell’allevamento. Doveva essere rinnovato ogni anno

alla scadenza.

2.3.8- Consistenza degli esercizi

Allo scopo di dar vita ad un sistema di raccolta e di diffusione continua dei dati relativi

alla rete distributiva al dettaglio, ogni provvedimento di rilascio e revoca

dell’autorizzazione per l’esercizio del commercio su area pubblica doveva essere

inviato, dall’ente che lo emetteva alla Camera di commercio territorialmente

competente, al termine di ogni trimestre.

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2.3.9- Normativa igienico-sanitaria

Il commercio al dettaglio su area pubblica doveva essere effettuato nel rispetto della

normativa igienico-sanitaria. Stessa regola valeva per la somministrazione di alimenti e

bevande. Il commercio di prodotti alimentari doveva avvenire in modo tale da evitare

possibilità di contaminazione dei prodotti posti in vendita in attrezzature adeguate a

mantenere inalterate le qualità organolettiche ed alimentari. Il commercio di carni

fresche, compresi i prodotti ittici, era vietato in tutte le aree nelle quali non esistesse la

possibilità di collegamento alla rete idrica, fognaria ed elettrica ed era vietato, altresì, in

forma itinerante. Il commercio di animali vivi doveva essere esercitato nel rispetto della

normativa di polizia veterinaria e di tutela del benessere degli animali e non poteva

essere esercitato nello stesso posteggio nel quale venivano posti in vendita i prodotti

alimentari.

2.3.10- Le sanzioni

L’esercizio dell’attività fuori dal posteggio indicato nell’autorizzazione equivaleva ad

esercizio dell’attività fuori dal territorio per il quale l’autorizzazione era valida ed era

punito con una sanzione che andava da lire 500.000 a lire 5.000.000 e con la confisca

delle attrezzature e delle merci poste in vendita. Se nell’esercizio del commercio su area

pubblica venivano violate disposizioni di cui alla legge 426/1971, applicabili a detto

tipo di commercio, si era assoggettati alle sanzioni previste dalla stessa legge 426/1971.

La valutazione della particolare gravità e della recidiva erano valutate dall’UPICA

competente per territorio. L’agricoltore produttore diretto che vendeva i propri prodotti

su area pubblica, senza essere in possesso del certificato attestante tale sua qualità, era

punito con una sanzione amministrativa che andava da lire 200.000 a lire 600.000. Chi

ometteva di fornire, a chi di dovere, i dati o le notizie previste dalla legge 112/1991 o

dal relativo regolamento di esecuzione, così come chi forniva dati o notizie non

veritiere, era assoggettato alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma

che andava da lire 200.000 a lire 600.000. Alla stessa sanzione era assoggettato chi, a

richiesta dei competenti organi di vigilanza e controllo, non esibiva l’autorizzazione per

il commercio su area pubblica, della quale era titolare28

.

28 Il commercio su aree pubbliche:commento al d. m. 4 giugno 1993, n° 248 e regolamento di esecuzione della legge

112/1991; Gianfranco Cardosi; Maggioli edizioni; 1993; pag. 15-36.

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2.4- Decreto legislativo 31 marzo 1998, n.114

Questo decreto costituisce una vera innovazione non solo per quanto riguarda la

disciplina del commercio su area pubblica ma quella del commercio in generale, in

quanto abroga la precedente normativa n. 426/1971. Il decreto si apre con una serie di

definizioni relative all’attività commerciale delle quali riporto soltanto quelle oggetto

della mia trattazione e precisamente quella di commerciante al dettaglio e di commercio

su aree pubbliche. In base alla prima “è commerciante al dettaglio chiunque

professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende direttamente

al consumatore finale”; mentre in base alla seconda per commercio su aree pubbliche

s’intende “l’attività di vendita di merci al dettaglio e la somministrazione di alimenti e

bevande effettuate su aree pubbliche, comprese quelle del demanio marittimo o sulle

aree private delle quali il Comune abbia la disponibilità, attrezzate o meno, scoperte o

coperte”.

2.4.1- I settori merceologici del commercio su aree pubbliche

Il decreto legislativo 114/1998, che disciplina ex-novo il settore del commercio, con

l’art.26 ha abrogato le precedenti norme che regolavano il settore e le 14 tabelle

merceologiche previgenti ed in sostitutiva con l’art. 5 stabilisce che l’attività

commerciale può essere esercitata con riferimento ai settori merceologici “alimentare” e

“non alimentare”. Ne consegue che tutti gli esercenti a posto fisso e su aree pubbliche

con l’abrogazione delle tabelle merceologiche sono stati autorizzati a porre in vendita

tutti i prodotti del settore merceologico alimentare o non alimentare o entrambi, sulla

base delle autorizzazioni possedute.

2.4.2- La competenza normativa e di indirizzo attribuita alle Regioni a statuto ordinario

Dall’art. 28 del d.lgs. 114/1998 alle Regioni è stata attribuita la competenza di emanare

“norme relative alle modalità di esercizio del commercio su aree pubbliche; i criteri e le

procedure per il rilascio, la revoca e la sospensione delle autorizzazioni commerciali,

nonché la re intestazione dell’autorizzazione in caso di cessione dell’attività per atto tra

vivi o per causa di morte; i criteri per l’assegnazione dei posteggi; la determinazione

degli indirizzi che i sindaci dovranno osservare nello stabilire gli orari di svolgimento

dell’attività di vendita, tanto nei mercati, che in forma itinerante e/o al domicilio dei

compratori.

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2.4.3- La competenza attribuita ai Comuni a rilasciare i due tipi di autorizzazione per il

commercio su aree pubbliche

Con il presente decreto ai Comuni è stata ripristinata la competenza a rilasciare le

autorizzazioni per svolgere l’attività di commercio al dettaglio sulle aree pubbliche. Il

numero delle autorizzazioni da tre, che erano state introdotte dalla legge 112/1991, sono

state ridotte a due:

- autorizzazione di tipo “A” per il commercio al dettaglio su aree pubbliche con

posteggi dati in concessione per 10 anni, “autorizzazione rilasciata a persone

fisiche o a società di persone rilasciata in base alla normativa emanata dalla

Regione, dal sindaco del Comune sede del posteggio ed abilita anche

all’esercizio dell’attività in forma itinerante nell’ambito del territorio regionale”;

- autorizzazione di tipo “B” per il commercio al dettaglio esclusivamente in forma

itinerante: “è rilasciata, in base alla normativa emanata dalla Regione, dal

Comune nel quale il richiedente ha la residenza, se persona fisica, o la sede

legale se società di persone”. Non avendo stabilito il decreto se questo tipo di

licenza valeva per la Regione in cui l’interessato aveva la residenza o per tutto il

territorio nazionale si venne a creare una notevole confusione e fu così che il

Ministero dell’Industria con la circolare n.3506 del 16 gennaio 2001 ha previsto

che la stessa ha validità su tutto il territorio nazionale.

Entrambe le autorizzazione di tipo “A” e “B” sono idonee e abilitano alla partecipazione

alle fiere che si svolgono su tutto il territorio nazionale.

2.4.4- Possibilità per i Comuni di rilasciare autorizzazioni stagionali e temporanee

Ai Comuni con il d.lgs. 114/1998 è stata restituita la competenza a rilasciare le

autorizzazioni per l’esercizio del commercio su aree pubbliche, competenza che in

precedenza, dalla legge 112/1991 era stata attribuita al Presidente della Giunta

regionale. Nessun cenno invece la normativa nazionale contiene relativamente alla

possibilità di rilasciare le autorizzazione temporanee o stagionali, ma nonostante questo

è possibile affermare che è ammesso, a carattere generale, il rilascio delle suddette

autorizzazioni.

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2.4.5- Requisiti morali e professionali che devono possedere gli aspiranti commercianti

su aree pubbliche

Gli aspiranti commercianti su aree pubbliche devono possedere i seguenti requisiti:

Morali-Sono quelli previsti dall’art. 5 del d.lgs. 114/1998, e precisamente:

- non essere stati dichiarati falliti (salvo riabilitazione giudiziale);

- non aver subito alcuna condanna di quelle previste dall’art. 5.

Professionali-(solo per il settore merceologico alimentare)-Il soggetto che aspira ad

ottenere il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio del commercio al dettaglio su aree

pubbliche di prodotti del settore alimentare deve essere in possesso di uno dei seguenti

requisiti professionali:

- avere frequentato, con esito positivo, un corso professionale per il commercio di

prodotti alimentari, istituito o riconosciuto dalla Regione;

- avere esercitato in proprio, in qualsiasi forma, un’attività di vendita, all’ingrosso

o al dettaglio, di prodotti alimentari, per almeno due anni nell’ultimo

quinquennio, in proprio, o presso imprese esercenti l’attività nel settore

alimentare, comprovata dall’iscrizione all’INPS;

- essere stato, nell’ultimo quinquennio, iscritto al registro degli esercenti il

commercio (REC) per uno dei gruppi merceologici (a), (b) o (c) dell’art. 12 del

d. m. n.375/1988.

Requisiti ulteriori sono richiesti per coloro che non soltanto si limitano a vendere i

prodotti del settore alimentare, ma chiedono di poter somministrare sulle aree pubbliche

alimenti e bevande. In tal caso il soggetto deve dichiarare di essere iscritto al REC per la

somministrazione di alimenti e bevande al pubblico di cui all’art. 2 della legge 25

agosto 1991, n. 287.

2.4.6- Residenza per ottenere il rilascio dell’autorizzazione per l’esercizio del

commercio su aree pubbliche

A differenza di quanto prescriveva l’abrogata legge n. 398/1976, sulla disciplina del

commercio ambulante, per il rilascio dell’autorizzazione per l’esercizio del commercio

al dettaglio su aree pubbliche con posteggio, non è richiesta la residenza o l’effettiva

dimora, né nel territorio del Comune sede del posteggio, né in qualsiasi Comune

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ricadente nella delimitazione territoriale della Regione. Per contro assume rilevanza e

valore per il rilascio delle autorizzazioni all’esercizio del commercio al dettaglio su aree

pubbliche in forma itinerante.

2.4.7- Procedura per il rilascio delle autorizzazioni del commercio su aree pubbliche

Per il rilascio delle autorizzazioni all’esercizio del commercio al dettaglio su aree

pubbliche con posteggio date in concessione per 10 anni, il d.lgs. 114/1998 all’art. 28

stabilisce che: “L’autorizzazione all’esercizio dell’attività di vendita sulle aree

pubbliche mediante l’utilizzo di un posteggio è rilasciata, in base alla normativa

emanata dalla Regione, dal Comune sede del posteggio ed abilita anche all’esercizio in

forma itinerante nell’ambito del territorio regionale”. Il rilascio di queste autorizzazioni

(una per ogni posteggio) è alquanto elaborato e complesso, tant’è che le Regioni, nelle

loro leggi prescrivono l’iter procedurale che i Comuni devono seguire per il loro

rilascio. Scaduti i termini di presentazione delle domande il Comune avvia il

procedimento di formazione della graduatoria sino a giungere, nel termine stabilito, che

non può mai essere superiore a 90 giorni, al rilascio delle autorizzazioni con posteggio.

La competenza a rilasciare le autorizzazioni, a carattere generale, è attribuita ai dirigenti

e ai Comuni privi di personale con qualifica dirigenziale ai responsabili del servizio o

degli uffici, nominati dai Sindaci, e comunque non ai Sindaci. Le autorizzazioni devono

essere rilasciate “una per ogni singolo posteggio e per ogni singola giornata”, per cui se

nel medesimo posteggio hanno luogo più mercati in giorni differenti, per ogni giorno

deve essere rilasciata una distinta autorizzazione. Se, per contro, lo stesso mercato si

svolge tutti i giorni della settimana viene rilasciata soltanto un’autorizzazione per tutti i

giorni in cui si svolge il mercato.

2.4.8- Spuntisti: assegnazione dei posteggi temporaneamente disponibili

Così come stabilivano le abrogate norme legislative e regolamentari, l’art. 28 del d.lgs.

114/1998 stabilisce che: “ I posteggi, temporaneamente non occupati dai titolari della

relativa concessione in un mercato, sono assegnati giornalmente, durante il periodo di

non utilizzazione da parte del titolare, ai soggetti legittimati ad esercitare il commercio

su aree pubbliche, che vantino il più alto numero di presenze nel mercato di cui trattasi”.

Le Regioni hanno ribadito che tali posteggi sono assegnati giornalmente, entro l’orario

stabilito dal regolamento comunale, ai soggetti legittimati ad esercitare il commercio su

aree pubbliche che vantino il più alto numero di presenze nel mercato di cui trattasi

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riferibili all’autorizzazione. Qualche Regione completa le prescrizioni affermando che i

Comuni devono approntare la graduatoria dei c.d. spuntisti, cioè dei commercianti che

pur essendo titolari di autorizzazione per il commercio su aree pubbliche non sono

concessionari di posteggio nel mercato e si presentano, appunto, nei giorni di mercato

nell’intento di ottenere l’assegnazione provvisoria. In ogni caso per la formazione della

suddetta graduatoria occorre osservare l’anzianità maturata del soggetto, anzianità che è

stata maturata con l’essersi presentato alla spunta nei periodi pregressi,

indipendentemente dall’aver ottenuto o meno l’assegnazione temporanea del posteggio.

2.4.9- Divieto o limitazione dell’attività commerciale su aree pubbliche nelle zone

aventi valore archeologico, storico, artistico, ambientale da individuare dai

Comuni

Le Regioni prevedono “per centri storici, aree, o edifici aventi valore storico,

archeologico, artistico o ambientale, l’attribuzione di maggiori poteri ai Comuni

relativamente alla localizzazione e all’apertura degli esercizi di vendita …”. I Comuni

nella deliberazione con la quale disciplinano il commercio al dettaglio su aree

pubbliche, individuano altresì: “le aree aventi valore archeologico, storico, artistico e

ambientale nelle quali l’esercizio del commercio al dettaglio su aree pubbliche è vietato

o sottoposto a condizioni particolari ai fini della salvaguardia delle aree predette”.

2.4.10- Limitazioni e divieti all’attività itinerante su aree pubbliche

Similmente a quanto prevedevano le norme giuridiche e regolamentari previgenti, l’art.

28 del d.lgs. 114/1998 stabilisce che dai Comuni possono essere stabiliti divieti e

limitazioni all’esercizio delle attività su aree pubbliche anche per motivi di viabilità, di

carattere igienico-sanitario o per altri motivi di pubblico interesse.

2.4.11- Disciplina delle soste e dello spostamento dei commercianti su area pubblica in

forma itinerante

Il previgente regolamento di esecuzione dell’abrogata legge 112/1991 prevedeva

esplicitamente che gli esercenti il commercio in forma itinerante ed anche gli agricoltori

che vendevano il loro prodotto in forma itinerante non potevano “sostare nello stesso

punto per più di un’ora”, nell’intesa che “per punto vendita s’intende la superficie

occupata durante la sosta” ed altresì che “le soste possono essere fatte solo in punti che

distino tra loro almeno 500 metri”. La nuova disciplina del commercio nulla prevede in

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materia di sosta degli esercenti in forma itinerante, ma alcune Regioni le hanno

regolarmente previste, tant’è che qualche Regione ha puntualizzato che tanto i

commercianti quanto i produttori agricoli che esercitano la vendita al dettaglio in forma

itinerante possono sostare in uno stesso punto di vendita il tempo strettamente

necessario per servire il cliente e quindi devono spostarsi da un punto all’altro distante

almeno 300 metri.

2.4.12- Merci che non possono essere vendute sulle aree mercatali

L’art. 30 del decreto 114/1998 stabilisce che “E’ abolito ogni precedente divieto di

vendita di merci ivi incluso quello della vendita del pane nei mercati scoperti, fatto

salvo il rispetto dei requisiti igienico-sanitari”. Conseguentemente, fatta eccezione per i

tre prodotti sotto elencati, ora nei mercati si può vendere ogni sorta di merce alla

condizione che per i prodotti alimentari, anche per quelli in cui era vietata la vendita su

aree pubbliche e nei mercati coperti e scoperti, vengano osservate le prescrizioni

igienico-sanitarie. Restano in vigore i divieti di vendere sulle aree pubbliche i seguenti

prodotti:

- bevande alcoliche di qualsiasi gradazione diverse da quelle poste in vendita in

recipienti chiusi nei limiti e con le modalità di cui all’art. 176 del regolamento

per l’esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con

r.d. 6 maggio 1940, n. 635;

- armi ed esplosivi;

- oggetti preziosi.

2.4.13- Sostituzione del titolare dell’autorizzazione nelle attività di vendita e numero di

dipendenti del commerciante su aree pubbliche

Nei casi in cui il titolare dell’esercizio commerciale o dell’autorizzazione all’esercizio

dell’attività su area pubblica sia una persona fisica non occorre la nomina di alcun

preposto o addetto alle vendite, ben potendo il titolare demandare l’incombenza ad un

familiare, dipendente, amico, ecc, alla condizione che se trattasi di vendita di prodotti

alimentari il soggetto debba essere munito di libretto sanitario personale. A tal fine si

deve rilevare che alcune Regioni hanno previsto delle limitazioni alla sostituzione

temporanea del titolare dell’autorizzazione nell’attività di vendita. Nessuna limitazione,

delle vigenti norme nazionali e regionali, è attualmente prevista relativamente al

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numero dei dipendenti dalle aziende del commercio al dettaglio su aree pubbliche;

conseguentemente ogni azienda è libera di assumere quanti dipendenti crede opportuno.

2.4.14- Sub ingresso nell’azienda commerciale su aree pubbliche

Il d.lgs. 114/1998 non disciplina in via diretta e immediata il sub ingresso nell’azienda

commerciale, totale o parziale, di vendita su area pubblica ma si limita a stabilire all’art.

28 che “le Regioni emanano le norme relative alle modalità … e le procedure per il

rilascio, la revoca e la sospensione … nonché la re intestazione dell’autorizzazione in

caso di cessione dell’attività per atto tra vivi o in caso di morte …” da cui consegue che,

a carattere generale, è prevista la possibilità di subentrare nella gestione o nella

proprietà dell’azienda commerciale di vendita al dettaglio su aree pubbliche, ma che

occorre osservare le prescrizioni emanate dalle singole Regioni.

2.4.15-Vendite al domicilio dei compratori

Gli artt. 19 e 20 del d.lgs. 114/1998 similmente al contenuto della previgente normativa,

stabiliscono che la vendita al dettaglio, la raccolta di ordini e la propaganda a fini

commerciali, presso il domicilio dei compratori, è soggetta alla previa comunicazione al

Comune, può essere iniziata dopo 30 giorni, il richiedente deve essere in possesso dei

requisiti prescritti dall’art. 5 e se si avvale di incaricati è necessario che faccia denuncia

all’autorità di pubblica sicurezza e quindi munisca gli incaricati di apposito tesserino di

riconoscimento. A sua volta l’art. 28 del presente decreto similmente al previgente art. 4

l.112/1991 stabilisce che l’autorizzazione all’esercizio del commercio in forma

itinerante “abilita anche alla vendita al domicilio del consumatore nonché nei locali in

cui questi si trovi per motivi di lavoro, di studio, di cura, di intrattenimento o svago”.

Unica differenza rispetto alla normativa previgente è che anche il commerciante su aree

pubbliche per vendere al domicilio del consumatore deve munirsi del cartellino di

identificazione.

2.4.16- Orario di svolgimento delle attività commerciali su aree pubbliche

Per quanto riguarda gli orari di vendita al dettaglio sulle aree pubbliche (fiere e mercati

compresi) l’art. 28 del presente decreto stabilisce che “le Regioni determinano altresì gli

indirizzi in materia di orari ferma restando la competenza in capo al Sindaco a fissare i

medesimi”. Nella quasi generalità le Regioni hanno lasciato ampia facoltà ai Comuni di

disciplinare gli orari nel migliore dei modi, in rapporto alle necessità locali, con

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48

possibilità di uniformare gli orari del commercio su aree pubbliche a quelli degli

esercizi del commercio su aree private (commercio fisso), ed anche di differenziarli nel

caso in cui si ravvisi tale opportunità.

2.4.17- Norme igienico-sanitarie per il commercio su aree pubbliche di prodotti

alimentari

I soggetti addetti, nelle aree pubbliche, alla vendita di prodotti alimentari, anche se sono

soltanto aiutanti occasionali, alla pari di tutti gli addetti allo stesso commercio nei

negozi, devono essere muniti del libretto sanitario personale, valevole per l’anno in

corso. Relativamente alle attrezzature destinate alla vendita di prodotti alimentari, il

Ministro della sanità con l’ordinanza 2 marzo 2000, ha stabilito i “Requisiti igienico-

sanitari per il commercio dei prodotti alimentari su area pubblica”.

2.4.18- Pubblicità dei prezzi delle merci collocate sui banchi

In modo chiaro ed inequivocabile l’art. 14 del presente decreto stabilisce che “ I prodotti

esposti per la vendita al dettaglio … su aree pubbliche o sui banchi di vendita, ovunque

collocati, debbono indicare in modo chiaro e ben leggibile, il prezzo di vendita al

pubblico, mediante l’uso di un cartello o con altre modalità idonee allo scopo”.

2.4.19- La disciplina prevista per gli imprenditori agricoli

L’art. 30 del d.lgs. 114/1998 stabilisce che la disciplina relativa al commercio su aree

pubbliche “non si applica ai coltivatori diretti, ai mezzadri e ai coloni i quali esercitino

su aree pubbliche la vendita dei propri prodotti ai sensi della legge 9 febbraio 1963, n.

59. Relativamente a quest’ultima disposizione normativa occorre precisare che è ora

superata e di fatto abrogata dal d.lgs. n. 228/2001 che ha modificato la figura

dell’imprenditore agricolo mediante l’introduzione di un nuovo articolo 2135 del codice

civile e contestualmente ha stabilito che alla vendita al pubblico in forma itinerante o

mediante l’utilizzo di un posteggio si deve procedere rispettivamente mediante

comunicazione al Comune e mediante la previa comunicazione al Comune contenente

la richiesta di assegnazione del posteggio.

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2.4.20- Revoca delle autorizzazioni al commercio su aree pubbliche

L’art. 29 del presente decreto stabilisce che l’autorizzazione è revocata:

- nel caso in cui il titolare non inizia l’attività entro sei mesi dalla data

dell’avvenuto rilascio, salvo proroga in caso di comprovata necessità;

- nel caso di decadenza dalla concessione del posteggio per mancato utilizzo del

medesimo in ciascun anno solare per un periodo di tempo complessivamente

superiore a quattro mesi;

- nel caso in cui il titolare non risulti più provvisto dei requisiti morali previsti

dall’art. 5 del d.lgs. 114/1998.

2.4.21- Sanzioni per le violazioni della disciplina del commercio su aree pubbliche

Il medesimo art. 29 sulla disciplina del commercio su aree pubbliche stabilisce che:

- chiunque eserciti il commercio sulle aree pubbliche senza la prescritta

autorizzazione o fuori dal territorio previsto dall’autorizzazione stessa è punito

con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 5.000.000 a

lire 30.000.000 (da 2.582 € a 15.493 €) e con la confisca delle attrezzature e

della merce;

- chiunque violi le limitazioni e i divieti stabiliti per l’esercizio del commercio su

aree pubbliche della deliberazione del Comune di cui all’art. 28 è punito con la

sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 1.000.000 a lire

6.000.000 (da 516 € a 3.098 €)29

.

2.5- Legge regionale Toscana 7 febbraio 2005, n° 28

Attualmente la legge regionale di riferimento per l’esercizio del commercio su area

pubblica, relativamente all’oggetto della mia trattazione che riguarda la provincia di

Pisa è la n° 28 del 2005 della Regione Toscana (artt. dal 29 al 40 e alcuni artt. seguenti)

che è stata emanata con riferimento alle disposizioni contenute nel d.lgs. n° 114/1998.

29 Le attività commerciali: commercio in locali privati, commercio su aree pubbliche, somministrazione di alimenti e

bevande, rivendita di giornali e riviste; Rocco Orlando Di Stilo; Maggioli edizioni; 2003; pag. 202-238.

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Dato che presenta molte analogie con il decreto legislativo n° 114/1998 rimando alla

lettura degli articoli sopra citati per un eventuale approfondimento30

.

2.6- Modifiche al d.lgs. n°114/1998

Concludendo la trattazione sull’evoluzione legislativa del commercio su area pubblica

merita segnalare due importanti modifiche apportate al decreto legislativo n° 114/1998.

La prima è avvenuta ad opera della legge n. 102/2009 che aveva aggiunto un comma

all’art. 28 del d.lgs. 114/98, ai sensi del quale si subordinava il rilascio

dell’autorizzazione all’esercizio del commercio su aree pubbliche alla presentazione del

documento unico di regolarità contabile (DURC). Tuttavia questa nuova disciplina ha

suscitato molte reazioni negative dato che sarebbe stato problematico oltre che

irrazionale chiedere ad una ditta che non avesse ancora intrapreso l’attività di essere in

regola con i contributi. Inoltre, l’obbligo di presentazione del DURC era limitato agli

operatori del commercio su aree pubbliche e questo significava disparità di trattamento

in ordine ai requisiti di accesso e di esercizio rispetto agli operatori dello stesso genere

di attività nel settore degli esercizi pubblici, dell’ingrosso e del dettaglio. Così il

legislatore con legge 191/2009 (la finanziaria 2010) ha sostituito quel comma con uno

nuovo il quale stabilisce che è facoltà delle Regioni stabilire che l’autorizzazione

all’esercizio del commercio possa essere assoggettata all’obbligo di presentazione del

DURC da parte del richiedente, rimandando al Comune la verifica della regolarità

contributiva. L’altra importante modifica del d.lgs. 114/1998 è avvenuta ad opera del

decreto legislativo 59/2010 di recepimento della direttiva c.d. Bolkestein (direttiva UE

2006/13) che interviene a normare qualsivoglia attività economica, di carattere

imprenditoriale o professionale, svolta senza vincolo di subordinazione e diretta allo

scambio di beni o servizi, nonché a dare un assetto organico attraverso l'istituto dello

sportello unico, davanti al quale confluiscono tutti i procedimenti relativi alle attività

produttive. Una novità assoluta, sempre in tema comunitario è, inoltre, costituita dalla

previsione dell’ingresso nel commercio su aree pubbliche delle società di capitali: srl,

spa e cooperative, sino ad oggi escluse: ebbene, quando gli effetti di tale modifica si

faranno avvertire, le logiche del mercato rionale, nel bene come nel male, saranno

quelle del mercato inteso in senso tecnico, cioè economico e finanziario, in quanto il

30 http://www.regione.toscana.it/burt: Bollettino ufficiale della regione Toscana del 10 febbraio 2005 n°11; pag.13-

16.

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singolo operatore dovrà “mutare pelle” ed agire in un'ottica non più soltanto individuale

e meno che mai individualistica31

.

31 http://processo_esecuzione.diritto.it/docs/29884-la-metamorfosi-del-commercio-su-aree-pubbliche-come-hanno-

inciso-la-direttiva-sui-servizi-ed-il-mercatino-del-biologico

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Capitolo 3: Una panoramica nazionale degli operatori e dei consumatori

In questo capitolo illustrerò uno studio a livello nazionale effettuato dalla Fiva

(Federazione italiana venditori ambulanti e su aree pubbliche), riferito al quadriennio

2008-2012 e presentato al XV Congresso Fiva Confcommercio svoltosi a Venezia il 18

novembre 201232

. In questa ricerca viene evidenziato come il settore del commercio

ambulante nel corso degli anni sia cresciuto costantemente rappresentando anche una

sorta di ammortizzatore sociale che ha consentito a molti di avviare un’attività

commerciale altrimenti impraticabile. Inoltre, rappresenta un punto di riferimento

importante per i consumi degli individui, dato che almeno una volta a settimana circa 26

milioni di persone che frequentano i mercati italiani effettuano almeno un acquisto. Ma

a differenza degli acquisti effettuati presso la grande distribuzione organizzata o nei

negozi tradizionali, in questo caso il consumatore trova anche una dimensione di

socialità con l’ambulante e vi instaura un rapporto umano vero e proprio. Nella prima

parte vengono illustrate le caratteristiche delle imprese che operano nel settore: la loro

offerta merceologica, la loro forma giuridica, l’incidenza degli operatori extra-

comunitari ed alcune considerazioni relative al commercio ambulante in Europa; nella

seconda parte, invece, viene evidenziato il profilo ed il comportamento del

consumatore: perché va al mercato, cosa compra e quanto spende.

3.1- Le caratteristiche delle imprese ambulanti e su area pubblica

3.1.1- La rete delle imprese ambulanti

Dopo un periodo di sostanziale e progressiva contrazione, culminata con l’anno 1999, il

numero delle imprese di commercio su aree pubbliche ha ripreso una tendenza di forte

espansione. Dal 2000 al 2012 il totale delle imprese attive passa dalle 124.324 unità

censite al 30 giugno 2000 alle 175.128 del 30 giugno 2012, aumentando di circa 50.000

unità con un tasso del 41%. Il settore presenta dunque dinamiche molto attive e si

mostra come una realtà vivace e capace di assorbire occupazione. Nell’intero periodo, la

crescita complessiva è stata abbastanza costante e per lo più attribuibile all’aumento del

numero di ditte esercenti l’attività su posteggi mobili oppure in forma esclusivamente

itinerante. Fino al 2004 anche la tipologia di imprese a posteggio fisso ha marcato una

32 http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp

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crescita significativa sia in valori assoluti sia in valori relativi. Dal 2005 al 2009 si sono

registrati saldi negativi per poi ritornare a crescere a partire dal 2010. Attualmente il

sistema delle imprese operanti nel settore è piuttosto complesso, dato che nella maggior

parte dei casi l’attività d’impresa si esplica attraverso una forma mista: sia nei mercati,

che in forma itinerante, nelle fiere e nelle sagre. Quindi risulta più difficile classificare

statisticamente le due tipologie. Allo stato attuale la stima della ripartizione corrente è

del 58-60% per le imprese a posteggio fisso e del 40-42% per quelle a posteggio mobile

o itineranti. Se teniamo conto degli esercizi commerciali della rete distributiva al

dettaglio in forma fissa (che, secondo le stime del Ministero dello Sviluppo Economico

e della Confcommercio, ammontavano a 780.000 punti vendita nel 2010) il commercio

ambulante copre poco più di 1/5 dell’intero dettaglio e precisamente il 22%. In termini

d’incidenza di singole aree geografiche sul totale del Paese, è interessante notare che,

complessivamente, le aree settentrionali del Paese, che già nell’intero periodo 1998-

2008 riducevano il loro peso sul totale delle imprese italiane passando dal 38% al

35,73%, tra il 2008 ed il 2012 riducono ancora di un punto percentuale il loro peso. Di

seguito una tabella che illustra le dinamiche per area geografica delle imprese del

settore.

Tabella 1: Consistenza imprese commercio su area pubblica

Dati per area geografica

2004 % su ITALIA 2008 % su ITALIA 2012 % su ITALIA var. assoluta var %

Nordovest 33.396 22,27 35.677 21,99 38.011 21,70 4.615 13,82

Nordest 20.314 13,54 22.297 13,74 22.871 13,06 2.557 12,59

Centro 26.251 17,50 30.131 18,57 34.027 19,43 7.776 29,62

Mezzogiorno 47.082 31,39 48.829 30,09 53.219 30,39 6.137 13,03

Isole 22.935 15,29 25.335 15,61 27.000 15,42 4.065 17,72

Italia 149.978 100 162.269 100 175.128 100 25.150 16,77

Elaborazioni Fiva Confcommercio su dati Unioncamere e Minindustria-novembre 2012

Il settore progressivamente registra meno imprese al Nord e nel Mezzogiorno e più

imprese nel Centro e nelle Isole. Scendendo nel dettaglio delle regioni, la Campania

conferma la prima posizione di regione italiana per numero d’imprese, prevalendo sulla

Sicilia e sulla Lombardia. Al quarto e quinto posto troviamo la Puglia e il Lazio. In

termini di densità di imprese, il dato nazionale si attesta a 2,89 imprese ogni mille

abitanti con il dato più alto per la Calabria (4,39) e più basso per il Trentino Alto Adige

(1,18). A livello di clientela teoricamente disponibile il dato nazionale parla di 346

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abitanti per impresa contro i 464 presenti nel 2000, con livelli minimi in Calabria (228)

e massimi in Trentino Alto Adige (851). Questi dati evidenziano come nel Meridione il

settore, probabilmente più che altrove, funge da ammortizzatore sociale e assorbe più

forza lavoro rispetto alle altre aree ed una qualche razionalizzazione che riequilibri la

situazione pare auspicabile. Di seguito il grafico che evidenzia la ripartizione territoriale

delle imprese di commercio su area pubblica.

3.1.2- L’offerta merceologica

In questo paragrafo vengono messe in evidenza le dinamiche relative alle seguenti

categorie di prodotti: alimentari e bevande (ortofrutta, pesce,carni e altri alimentari);

vestiario e abbigliamento (tessuti, confezioni, maglieria, intimo, biancheria e calzature)

e merci varie (articoli per uso domestico, articoli d’occasione nuovi e usati, altre merci

non classificate altrove). Inoltre è stata presa in considerazione una categoria d’imprese

a merceologia indefinita, cioè della quale il contenuto merceologico dell’attività non è

stato identificato.

3.1.2.1- Il comparto alimentari e bevande

Le imprese del comparto alimentare rappresentano poco più di un quinto del settore e

manifestano un costante e progressivo calo. Già nel 2004 facevano registrare una

perdita secca di poco meno del 6% rispetto al quadriennio precedente. Questa tendenza,

confermata nel 2008, si acuisce nel 2012 a fronte di un calo secco di oltre duemila unità,

di cinque punti percentuali e di 2,87 punti di peso rispetto al 2008. La circostanza è

21,70%

13,06%

19,43%

30,39%

15,42%

Grafico 1: Ripartizione territoriale delle imprese di commercio su

aree pubbliche-giugno 2012 (eleborazioni Fiva Confcommercio)

Nordovest

Nordest

Centro

Mezzogiorno

Isole

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attribuibile quasi per intero alla diminuzione delle imprese a posteggio fisso che

scendono ancora, per toccare nel 2009 una quota di dieci punti percentuali in meno

rispetto al 2000. Dal 2008 al 2012 la contrazione è stata sensibile nell’area meridionale

e insulare con quasi 700 imprese in meno rispetto al 2008. Cali significativi anche nel

Nordest. Nel Nordovest il calo è appena meno accentuato al contrario del Centro dove il

decremento si manifesta di lieve entità. In termini di specializzazioni merceologiche, le

imprese di vendita dei prodotti ortofrutticoli confermano la loro caduta verticale dal

2008 al 2012. A partire dal 2000 il segmento ha perso quasi 4.000 unità. Tale calo

probabilmente è dovuto alla contrazione dei consumi avvenuta in seguito alla crisi che

ha portato i consumatori a risparmiare anche sull’alimentare ed a indirizzare le loro

scelte verso prodotti di bassa qualità offerti dai discount e hard discount33

. La prima

regione italiana con il maggior numero di imprese del comparto alimentare è la

Lombardia con 4.450 unità; seguono Puglia con 4.180 unità e Sicilia con 3.882 unità.

Per quanto riguarda l’incidenza del comparto alimentare sul totale del settore, la

provincia con il dato più elevato è Enna con il 42% circa e l’ultima è Pisa con il 10%

circa. A livello di densità di imprese la media nazionale è di 0,60 imprese per 1.000

abitanti contro lo 0,64 del 2008. A livello di clientela teoricamente disponibile il dato

nazionale è 1.681 abitanti per impresa contro i 1.552 del 2008, con valori minimi nel

Mezzogiorno (1.319 abitanti). Di seguito un grafico che illustra la composizione

percentuale delle imprese del comparto.

33http://www.wakeupnews.eu/consumi-alimentari-in-calo-lallarme-della-coldiretti/

36%

10%

2%

12%

40%

Grafico 2: composizione percentuale interna del comparto

alimentare (elaborazioni Fiva Confcommercio)

Ortofrutta

Prodotti ittici

Prodotti carnei

Salumi e formaggi

Despecializzati

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31%

62%

7%

Grafico 3: Composizione percentuale interna del comparto del

vestiario (elaborazioni Fiva Confcommercio)

Prodotti tessili

Tessuti, abbigliamento

Calzature e pelletterie

3.1.2.2-Il comparto abbigliamento e vestiario

Le imprese di questo comparto continuano a marcare una crescita numerica consistente,

costante e progressiva, passando dalle 68.455 unità del 2008 alle 75.480 del 2012, con

un saldo quadriennale positivo di 7.025 unità ed una variazione di circa 10 punti

percentuali. La loro incidenza sul totale delle imprese dell’intero settore sale dal 42,19%

del 2008 al 43,03% del 2012. Aumento probabilmente da attribuirsi ancora una volta

alla contrazione dei consumi degli italiani che si indirizzano verso forme distributive

dell’abbigliamento meno costose come i mercati34

. A livello di ripartizione territoriale,

il trend di crescita dell’intero comparto mostra un andamento uniforme su tutto il

territorio nazionale salvo che nell’area insulare del Paese. La prima regione per numero

di imprese del comparto è la Lombardia seguita dalla Campania e dalla Toscana. A

livello di province, Napoli è quella con il maggior numero di imprese (3.956 unità),

seguita da Torino (3.209 unità) e da Roma (2.909). Massa Carrara è la provincia che

presenta la maggior incidenza del comparto sul totale delle imprese (67,07%). La media

nazionale indica una densità di imprese per comparto per 1000 abitanti pari a 1,25

contro 1,16 del 2008. I valori più bassi sono nelle aree settentrionali del Paese e più alti

in quelle centromeridionali con una punta massima di 1,5 nell’area insulare. Al

contrario, il numero di abitanti per impresa scende dagli 864 del 2008 agli 803 del 2012.

Di seguito il grafico che indica la composizione percentuale delle imprese del settore

abbigliamento e vestiario.

34 http://www.banchedati.ilsole24ore.com/doc.get?uid=sole-SS20130524041CAA

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3.1.2.3-Il comparto merci varie

Questo comparto costituisce il “colore” dei mercati, delle fiere ed in generale

dell’attività di commercio su aree pubbliche e non solo perché comprende una

categoria, come quella dei fiori, di per sé coloratissima. Vi sono infatti inclusi articoli

che richiamano la tradizione dei primi mercati paesani (materiali e attrezzature per

l’agricoltura, cosmetici e saponi, arredamenti e articoli casalinghi, ma anche bigiotteria,

chincaglieria, giocattoli, oggetti in ferro) e che rappresentano l’aspetto ludico dei

mercati e delle fiere in integrazione alle merci più propriamente annonarie. Tra il 2004 e

il 2008 le imprese su area pubblica operanti in questo settore sono aumentate del 12,5%

passando dalle 34.648 unità alle 38.993 unità. Nel successivo quadriennio hanno avuto

un ulteriore aumento del 24,63% passando da 38.993 unità a 48.596 unità. Il comparto

ha superato nel 2009 quello alimentare ed è diventato la seconda componente dell’intero

settore. Anche l’aumento dei venditori ambulanti di questo settore probabilmente è da

attribuirsi alla contrazione dei consumi degli individui che si rivolgono a forme

distributive più economiche, rispetto ai negozi tradizionali, per l’acquisto di fiori e

merci varie35

. In termini di singole voci merceologiche si registra un forte aumento dei

punti di vendita despecializzati ed una crescita modesta ma diffusa di mobili,

elettrodomestici, chincaglieria e bigiotteria e delle imprese di vendita di fiori, piante,

profumi, detersivi e saponi. La regione con il più alto numero d’imprese operanti in

questo settore è la Sicilia con 7.682 imprese, seguita dalla Campania con 7.333 imprese

e dalla Puglia con 5.004 imprese. Fra le province Palermo ha la prima posizione sia per

valori assoluti che per incidenza sul totale delle imprese del settore. In termini di

densità, il comparto fa registrare un valore di 0,81 imprese per mille abitanti. A livello

di clientela teoricamente disponibile il dato nazionale si attesta a 1.248 abitanti per

impresa, con l’area insulare che registra il minor numero di abitanti (930 unità).

3.1.2.4-Il comparto merceologia indefinita o mista

In questa classificazione rientrano quelle imprese di commercio al dettaglio ambulante

di qualsiasi prodotto, un certo numero di imprese che, per comodità, si definiscono

come settore a merceologia mista o indefinita. In realtà è assai probabile che, soprattutto

35 http://www.banchedati.ilsole24ore.com/doc.get?uid=sole-SS20130524041CAA

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negli anni passati e al momento dell’iscrizione al Registro delle Imprese, non si sia

specificato correttamente il comparato merceologico di attività. Si tratta di imprese delle

quali si conosce per certo la tipologia di esercizio, ma che possono avere anche una

gamma merceologica mista per quanto riguarda l’attività principale. Questo settore è

residuale rispetto agli altri e, quindi, non è possibile compiere analisi approfondite su di

esso. Le imprese su aree pubbliche appartenenti a questo settore erano 14.984 unità nel

2012. Per concludere sul tema dell’offerta merceologica e dei suoi dati statistici viene

proposto un grafico che rappresenta una visione d’insieme della ripartizione

merceologica delle imprese in proporzione all’intero settore.

3.1.3- I dati di flusso

A partire dal 2007 i dati di flusso facevano pensare ad un rallentamento della crescita

del numero di imprese in considerazione del saldo negativo relativo allo stesso anno e a

quello precedente. Circostanza quasi sicuramente dovuta all’emergere ed al progressivo

consolidarsi della crisi economica mondiale. Va ricordato che fino agli anni 2004-2005 i

saldi finali del settore riportavano cifre consistenti dal momento che le aperture

superavano le cessazioni. Nel 2009 non si conoscono i dati a causa di una nuova

classificazione delle imprese da parte del Ministero dello Sviluppo Economico. A

partire dal 2010 si registrano saldi positivi tra aperture e cessazioni. Il Mezzogiorno fa

registrare in assoluto il maggior numero di nuove imprese, il Nordovest il maggior

numero di chiusure. Fra le regioni la Lombardia guida la classifica delle nuove aperture

seguita dalla Campania e dalla Sicilia. Curiosamente Lombardia e Sicilia sono le due

regioni che registrano il maggior numero di chiusure.

43%

28%

21%

8%

Grafico 4:Incidenza dei diversi comparti merceologici sul totale delle

imprese di settore (elaborazioni Fiva Confcommercio)

Abbigliamento e vestiario

Merci varie

Alimentari e bevande

Merceologia indefinita o

mista

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3.1.4- La forma giuridica delle imprese

Fino all’entrata in vigore della Direttiva servizi (d.lgs. 59/2010) le imprese di

commercio ambulante e su aree pubbliche dovevano essere costituite nella forma di

impresa individuale, o in alternativa, in quella di società di persone regolarmente

costituite (società in accomandita, società in nome collettivo). Nel settore non potevano

dunque operare né le società di fatto né, a maggior ragione, le società di capitale, anche

quelle a responsabilità limitata. Questa disposizione è stata abrogata con il Decreto di

recepimento della Direttiva UE 2006/13, meglio conosciuta come “Direttiva

Bolkestein” relativa al mercato interno e che vieta le discriminazioni fondate sulla

natura giuridica dell’impresa. Gli effetti della Direttiva non si sono manifestati appieno

nel settore. Ancora nel 2008 le imprese costituite in forma di s.r.l. rappresentavano lo

0,09% del settore mentre la somma di imprese costituite in forma di s.a.s o società di

persone arrivava al 4,33%. La tabella che segue riporta la consistenza delle imprese

attive al 30 giugno 2012 secondo la forma giuridica assunta dall’azienda, secondo i dati

dell’Osservatorio del Commercio presso il Ministero dello Sviluppo Economico.

Tabella 2:Forma giuridica delle imprese di commercio ambulante e su area pubblica

Imprese individuali Società di persone Società di capitale Altre forme Non specificato Totale

Totali 170.077 7.626 435 131 3 178.272

Totali percentuali 95,40 4,28 0,24 0,07 0,00 100

Fonte: Ministero dello Sviluppo Economico-Osservatorio del commercio-giugno 2012

Appare evidente che, pur restando ferma e salda la vocazione ad esercitare l’attività in

forma individuale, cresce la propensione verso forme associative che consentono di

poter lavorare in luoghi diversi nello stesso momento. La quasi totalità delle imprese

ambulanti e su aree pubbliche sono costituite sotto forma di impresa individuale e si

caratterizzano per il forte apporto dei familiari nella conduzione dell’impresa.

3.1.5- Le imprese extracomunitarie

Per tanti anni il commercio ambulante e su aree pubbliche è stato considerato dagli

italiani come un settore rifugio. Eppure negli ultimi cinque anni, al suo interno, ha preso

forma una piccola rivoluzione. Le imprese a conduzione extracomunitaria hanno

raggiunto una consistenza assai elevata, raddoppiando le quote d’incidenza rispetto

all’anno 1999. Nel 2008 il numero di queste imprese è lievitato toccando quota 53.095

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unità. Dal 2008 al 2012 la tendenza ha assunto caratteri più marcati. Gli ultimi dati

disponibili al 31 dicembre 2011 fanno registrare ben 70.543 imprese a conduzione

extracomunitaria pari al 46,14% su un totale di 152.885 imprese di settore. Si registra

dunque una crescita generale dell’incidenza extracomunitaria, salvo che nel comparto

alimentazione. La regione con il maggior numero d’imprese a titolarità extracomunitaria

è la Campania con 9.529 unità. A livello di tipologia di esercizio, le imprese

extracomunitarie si concentrano soprattutto nel commercio itinerante, sia in relazione ai

valori assoluti che in proporzione alla tipologia di esercizio. In sostanza a livello

merceologico, la presenza della titolarità extracomunitaria è fortissima nei comparti

dell’abbigliamento e del vestiario (55,35%) e delle merci varie e diverse (59,55%).

Appena apprezzabile la presenza nel comparto alimentari e bevande con il 6%.

Circostanza probabilmente dovuta al fatto che gli italiani sono più propensi ad

acquistare dai venditori extracomunitari prodotti come abbigliamento e merci varie

mentre per i prodotti alimentari restano legati alla loro cucina. Le principali nazionalità

extracomunitarie sono attribuibili all’area nordafricana con marocchini e senegalesi in

prima fila e un buon numero di egiziani. Seguono le nazionalità di area asiatica (cinesi e

bengalesi) e, infine, le nazionalità provenienti dall’area latino-americana (in particolare

peruviana). Nel comparto alimentare sono attivi i bengalesi e gli egiziani. Marocchini,

senegalesi, nigeriani, cinesi e latino americani sono attivi soprattutto nel settore

dell’abbigliamento e delle merci varie e diverse. Questo dato provoca e introduce più di

una riflessione sul futuro del settore. Se le tendenze saranno confermate nel prossimo

periodo avremo una forma di commercio riservata sempre più alle imprese

extracomunitarie, almeno nei comparti dell’abbigliamento e delle merci varie. Come

influirà questa circostanza sul futuro del settore? E’ evidente un rischio di progressiva

marginalizzazione e comunque di un settore che può trasformarsi sempre di più in

qualcosa più vicino al suk che al mercato tradizionale. Sono interrogativi che al

momento non hanno una risposta precisa, ma che segnalano alle organizzazioni di

riferimento sindacale la necessità di un approccio nuovo e diverso con questa realtà; che

prefigurano all’orizzonte, specialmente sotto il profilo della merceologia, di avere tanti

mercati tutti con gli stessi articoli, privi cioè di quel richiamo dato loro dall’integrazione

dell’offerta che essi sono, o sono stati finora, capaci di attivare. Di seguito un grafico

che evidenza la suddivisione percentuale tra imprese italiane, imprese appartenenti

all’Unione Europea ed imprese extracomunitarie sul totale delle imprese del settore.

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3.1.6- Il commercio ambulante in rosa

In questo paragrafo vengono evidenziati alcuni aspetti del commercio in rosa, cioè il

segmento delle imprese a conduzione femminile, che dal 2008 al 2012 salgono a 28.827

unità (il 18,56% del totale delle imprese del settore). Il quadriennio mostra

un’inversione di tendenza rispetto al dato del 2007, che vedeva attive 24.743 unità, pari

al 15,6% del totale con un calo di 4 punti rispetto al 2003. La crescita appare

generalizzata con particolare rilievo nei comparti dell’abbigliamento e del vestiario. Fra

le merci varie, si segnala che la merceologia nella quale opera il maggior numero di

imprenditrici è quella dei fiori. Le imprenditrici extracomunitarie rappresentano il

32,66% del totale delle imprese “rosa”. A livello di territorio, il maggior numero di

imprese al femminile si trova nel Nordovest, il minore nell’area insulare. Fra le regioni

la classifica è guidata dalla Lombardia che scavalca il Piemonte, sia per numero di

imprese in rosa che per la loro incidenza sul totale delle imprese. A livello di

prospettiva, la sensazione è quella di un complessivo incremento delle donne titolari.

3.1.7- Il commercio ambulante europeo

E’ difficile dare un’informazione completa sui dati di consistenza del commercio

ambulante e su aree pubbliche europeo: le statistiche Eurostat non sono né complete né

aggiornate; tuttavia, soltanto per dare un’idea del panorama europeo, sono stati elaborati

i dati numerici delle imprese classificate sotto i codici NACE 2007 per l’alimentazione,

per l’abbigliamento e il vestiario e per le merci varie. Il totale delle imprese ambulanti

52,57%

1,29%

46,14%

Grafico 5: Nazionalità delle imprese di commercio su

aree pubbliche-30 giugno 2012(elaborazioni Fiva

Confcommercio)

Italiani

Ue

Extracomunitari

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europee si attesta intorno alle 700.000 unità. Di seguito vengono riportati i dati relativi a

8 paesi europei: Italia 175.000 unità; Francia 150.000 unità; Regno Unito 15.000 unità;

Germania 32.000 unità; Olanda 18.000 unità; Austria 10.000 unità; Belgio 8.000 unità;

Spagna 80.000 unità.

3.1.8- I luoghi del commercio ambulante

E’ difficile trovare un comune o una frazione senza vedere un mercato, un chiosco, un

venditore itinerante. Per definizione, gli ambulanti aprono la strada agli insediamenti

commerciali o esercitano nei loro confronti una funzione surrogatoria e suppletiva.

Nelle grandi città e nei capoluoghi di provincia, ma spesso anche nei comuni di medie

dimensioni, sono in genere attivi i mercati rionali quotidiani, su area coperta o

impropria. Nelle stesse città, e soprattutto nei centri turistici e nei luoghi d’arte sono

presenti numerosi posteggi isolati. Nei centri minori, invece, è il mercato settimanale o

periodico ad essere la manifestazione principe del commercio ambulante. Non c’è

praticamente comune a non avere una piazza o via del Mercato o anche una piazza delle

Erbe. Le memorie storiche si tramandano anche a livello di toponomastica. Appaiono

immediate le differenze tra mercati quotidiani e mercati periodici. Nei primi l’offerta è

prevalentemente alimentare (60,75% compresi i posteggi riservati agli agricoltori

produttori diretti); mentre nei mercati periodici (settimanali o bisettimanali) il comparto

non alimentare rappresenta oltre il 74% della merceologia. E’ interessante notare che

l’incidenza dei posteggi riservati agli agricoltori diretti è pari al 7,67% dei posteggi e al

12,67% del comparto alimentare nella tipologia dei mercati quotidiani; mentre nei

mercati periodici essa tocca il 3,86% del totale dei posteggi e il 15,45% del comparto

alimentare. La stima dei posteggi esistenti sul territorio nazionale è pari a circa 400.000

per settimana, esclusi quelli dei mercati quotidiani. La media dei posteggi disponibili ad

operatore è di 2,69 con medie più alte nelle aree settentrionali e più basse nelle aree

meridionali e insulari. Completano il quadro dei luoghi la miriade di fiere e sagre

tradizionali. Nei soli capoluoghi di provincia ve ne sono circa 145 per un totale di quasi

28.000 posteggi. E’ ipotizzabile, largamente in difetto, una stima di oltre 5.000 fiere su

tutto il territorio nazionale per un totale di oltre 100.000 posteggi l’anno. Il commercio

ambulante spesso assomiglia ad un happening dove si trova di tutto e di più: si tratta di

una dimensione del tutto coerente con lo sviluppo del territorio che vive sulle piazze e

nei centri storici portando non solo il servizio commerciale, ma anche cultura e

tradizione.

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3.1.9- Considerazioni conclusive

Il settore si conferma un canale importante per il sistema distributivo e per i

consumatori dato che ogni settimana passano sui mercati dai 23 ai 25 milioni di persone

che fanno almeno un acquisto. Il giro d’affari che ogni anno si realizza in mercati e fiere

è pari a circa 25-26 miliardi di euro, che costituisce l’1,65% del prodotto interno lordo.

Non male per un’attività che si vorrebbe superata dalla cosiddetta “modernità” e in

tempi di crisi dei consumi. Rispetto ad altri settori del commercio al dettaglio in cui i

punti vendita sono crollati, il commercio su area pubblica ha registrato in questi anni un

avanzamento ed un’indubbia tenuta. Tuttavia, emergono una serie di questioni su cui è

necessario riflettere:

- la contrazione delle ditte esercenti l’attività su posteggi fissi, in particolare nel

comparto alimentare, induce a ritenere da un lato che le aree mercatali siano

ormai sature o che comunque esista una certa difficoltà nell’individuazione ed

assegnazione di nuovi posteggi;

- la presenza sempre più massiccia delle imprese extracomunitarie, se da un lato

marca ancora una volta il carattere sociale e aperto del settore, rischia di

evolversi in senso negativo, se non sarà assicurata anche un’ampia integrazione

delle merci ed una maggiore qualificazione professionale, vitale in un momento

nel quale aumentano le esigenze di tracciabilità e le informazioni da rendere ai

consumatori sulle caratteristiche del prodotto;

- il proliferare indisturbato di mercatini non professionali e l’utilizzo del suolo

pubblico per iniziative fieristiche campionarie concorre a dare un’immagine

distorta del servizio reale che coinvolge la categoria e contribuisce a dare

un’immagine di marginalità e residualità del settore.

In ogni caso il commercio ambulante si sostanzia come un settore in pieno movimento e

complessivamente in crescita che rafforza la sua estrema flessibilità aziendale ed anzi è

in grado di rimodulare la sua strutturazione in tempo reale. L’organizzazione

dell’impresa è in funzione dello spazio disponibile e della domanda del consumatore.

Non è facile trovare caratteristiche analoghe in altri settori economici. Il settore assolve

in generale la funzione di copertura del canale distributivo sul territorio, ma svolge

anche un’importante funzione di supplenza e d’alternativa rispetto agli altri canali

soprattutto laddove la distribuzione moderna non arriva, cioè nella rete dei comuni

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minori. Tra i punti deboli del settore vi è la propensione degli operatori a ragionare più

in termini di banco che in funzione oggettiva dell’intero mercato e questo pone a rischio

il rapporto con il consumatore che si indirizza verso altri canali distributivi. Manca

anche una cultura a livello d’immagine: gli ambulanti sono bravissimi a promuovere il

loro prodotto e il loro banco ma sono invece fortemente restii o del tutto disinteressati

alla promozione complessiva del mercato, alla messa in opera di campagne

promozionali, ad investire parte delle risorse nell’ammodernamento dei servizi. Difetti a

parte, il settore appare ancora capace di stare sul mercato e lo sarà ancora a lungo.

L’ipotesi è confortata dai dati statistici sul volume d’affari e sulla presenza dei

consumatori sul mercato che dimostrano che il commercio su aree pubbliche è vivo e

rappresenta una componente fondamentale della distribuzione.

3.2- Il profilo ed il comportamento del consumatore al mercato

3.2.1- Il mercato

Il giudizio dei consumatori sul mercato è sostanzialmente positivo, perché è vissuto non

solo come fattore economico, ma anche come luogo e momento di scambio sociale che

si vive anche con una caratteristica ludica. Questi sono due aspetti importanti e decisivi

che costituiscono i fattori di forza dei mercati e ne sottolineano, anche in una fase di

crisi dei consumi, le forti potenzialità nell’immediato futuro. Da questa indagine36

emerge che almeno una volta a settimana circa 26 milioni di persone frequentano i

mercati italiani effettuando almeno un acquisto. Il dato peraltro è in crescita, uniforme e

costante, su tutte le aree del territorio nazionale, salvo qualche difficoltà accusata dai

mercati quotidiani nell’area settentrionale del Paese. Sotto questo profilo, anche

concedendo l’ipotesi che la maggior affluenza sia determinata da emergenze legate al

caro-vita, è indubbio che le capacità di attrazione del sistema mercati siano

estremamente elevate, con un flusso di visitatori, che in proporzione al breve arco

temporale in cui si realizza, equivale e spesso supera quello della distribuzione

organizzata e moderna. L’attività dei mercati rappresenta qualcosa di significativo

nell’ambito della distribuzione moderna: la quota d’incidenza sul totale dei consumi

delle famiglie che sono commercializzati nel dettaglio oscilla dal 13 al 15 per cento.

L’indagine mette anche in risalto i punti di forza e di debolezza del sistema: fra i primi,

36 http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp

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il mercato rappresenta il luogo tipico dove si trova, oltre alla normale spesa quotidiana,

tutta un’altra serie di prodotti il cui acquisto è considerato uno “svago”, dove il servizio

aggiunto è quello delle vendita assistita unita alla possibilità di confronti immediati e

diretti fra i diversi prezzi e facilitata da una possibile contrattazione della vendita; tra i

fattori di debolezza pesano quelli legati alla poca trasparenza dei prezzi e alla

progressiva omologazione dell’offerta, ma anche il sistema degli orari e alcuni ritardi

nell’innovazione tecnologica (pensiamo alla carenza dei moderni sistemi di pagamento,

all’assenza di politiche promozionali e pubblicitarie) contribuiscono a frenare la crescita

dei mercati, con il rischio di trasformarli sempre più in un servizio di vicinato. Altro

punto debole dei mercati è rappresentato dal fenomeno della microcriminalità e del

caos, che si registrano sui mercati, ma anche dei problemi del traffico e dei parcheggi

che chiamano in causa non solo le istituzioni pubbliche e fanno anche pensare ad una

questione generale che è quella del rapporto mercati-città che appare cruciale per lo

sviluppo del settore. Rimane da aggiungere, in questa sintesi iniziale, qualcosa su un

altro importante dato economico. Dalle dichiarazioni dei consumatori la spesa media

effettuata sul mercato, che consiste nella classificazione di quella derivante da almeno

un acquisto settimanale, rapportata all’anno equivale più o meno a 25-26 miliardi di

euro. Ovviamente in questa cifra d’affari non rientra quella realizzata dal commercio

itinerante e dalle fiere e sagre, mentre, se teniamo conto anche di questo segmento,

arriviamo ad una cifra totale annua non inferiore a 30 miliardi di euro. In conclusione, il

quadro che emerge è quello di sistema saldamente radicato nella realtà del Paese. Se

non ci fossero i mercati più della metà dei consumatori sarebbe in una qualche difficoltà

per effettuare gli acquisti.

3.2.2- Chi compra al mercato

Qual è il profilo dei consumatori che frequentano il mercato? Certamente le donne

(70%) frequentano il mercato più degli uomini (30%) anche se in flessione rispetto al

2008. Per quanto riguarda fasce d’età e professione lavorativa dei frequentatori è

possibile affermare che nel mercato si riproduce uno “spaccato” dell’Italia: infatti, il

mercato è frequentato oltre che da pensionati (18%) e casalinghe, in calo rispetto al

2008 rispettivamente di 10 e 3 punti percentuali, anche da dirigenti e professionisti

(oltre il 3%), insegnanti e docenti (oltre il 5%), operai (7%), lavoratori autonomi (10%),

disoccupati e persone in attesa di occupazione (6%), studenti (5%). Dal punto di vista

delle fasce d’età dei consumatori il dato nazionale vede la prevalenza delle classi dai 51

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ai 60 anni (24%), seguita dalla classe 41-50 anni (22,5%); al terzo posto si collocano gli

over 60 (18%). Tuttavia non mancano gli under 30 (16%) e gli under 18 (5%). Sono

numerosi i single (17%), ma in generale va al mercato soprattutto chi ha un carico

familiare di 3-4 persone (52%). Dalla lettura di questo quadro di riferimento è possibile

affermare che vi è la sensazione che la clientela dei mercati stia lentamente cambiando,

anche se rimangono forti caratterizzazioni rispetto alla natura dei mercati. Il 60% dei

consumatori dichiara di frequentare mercati che si collocano ad una distanza massima di

1000-1500 metri rispetto al luogo di residenza o di lavoro. Il richiamo del mercato sul

territorio circostante o limitrofo è scarso nei comuni metropolitani, ma è assai forte nei

mercati periodici e nei centri minori. Rispetto agli anni passati l’uso dell’auto per

recarsi al mercato subisce un vero e proprio ridimensionamento pari al 15%, del quale

beneficiano la visita a piedi e l’utilizzo di mezzi alternativi come la bicicletta. L’uso del

mezzo pubblico appare stabile intorno al 25% degli utenti-mercato. Evidentemente, in

questi anni, gli ovvi problemi di parcheggio e di traffico, soprattutto negli orari di punta

che per i mercati sono collocati tra le 9:30 e le 12:30, hanno influito sulle abitudini dei

consumatori. Combinando i dati ISTAT con quelli dell’indagine e valutandoli insieme

alla luce delle classi di frequenza delle visite ai mercati e con quelle degli acquisti,

emerge una stima che colloca intorno a 25-26 milioni il numero di persone che

frequentano i mercati almeno una volta a settimana. Il dato della frequenza media

settimanale è in costante aumento rispetto al 1998 ed in misura abbastanza uniforme su

tutto il territorio nazionale ad eccezione dei mercati quotidiani, che invece fanno

segnare una stasi, se non un regresso a livello di presenze, salvo che nell’area insulare

del Paese. Il dato negativo dei mercati quotidiani è dovuto alla carenza di servizi

accessori ed alla mancanza di politiche aggressive sul fronte dei prezzi.

3.2.3-Le abitudini dei consumatori

Il sistema dei mercati è piuttosto variegato. Al suo interno convivono sia i mercati

rionali sia i mercati periodici settimanali o bisettimanali che investono una porzione

specifica del territorio urbano. Gli acquisti avvengono per la maggior parte delle volte

tra le 9.30 e le 11.00 (42,88%) e, subito dopo, nella fascia che va dalle 8.00 alle 9.30

(27,37%). Meno rilevante la frequenza della fascia che va dalle 11 alle 12.30 (17%) e

scarsamente significativa quella tra mezzogiorno e le 14 (8%). Se questa è la media

nazionale, ad una lettura più attenta dei dati balzano con evidenza tendenze

assolutamente diverse tra loro. Sostanzialmente due consumatori su tre, specialmente

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nel Nordest, effettuano i loro acquisti prima delle 11 mentre soltanto uno su dieci, con

tendenze massime al Sud nelle Isole, privilegia la fascia che va dalle 12 in poi.

Relativamente alla tipologia dei mercati, in quelli quotidiani trova la massima

espressione la prima fascia di frequenza (dalle 8 alle 9.30), con punte massime nel

Centro (33,81%); mentre nei mercati periodici sale di peso la fascia oraria che va dalle

9.30 alle 11. La diversa temporalizzazione degli acquisti è peraltro da porre in diretto

collegamento con l’uso dei mezzi utilizzati per andare al mercato. Nei capoluoghi di

provincia, dove l’utilizzo del mezzo pubblico è prevalente rispetto a quello privato,

specialmente nel segmento dei mercati fissi, la distribuzione degli orari appare più

diluita nel tempo. Relativamente alla frequenza di partecipazione occorre ricordare che

la diversa cadenza di svolgimento di ogni mercato comporta atteggiamenti diversi nel

consumatore. In generale il grado di fedeltà è abbastanza elevato: circa il 75% dei

consumatori va al mercato quasi ogni giorno nei mercati quotidiani e quasi ogni volta in

quelli periodici. Dall’indagine emerge che i consumatori italiani alternano abbastanza i

loro acquisti ricorrendo in misura più o meno accentuata a tutte le forme distributive,

dai negozi tradizionali (56%) e specializzati (36%), al supermercato (70%) e ancora

all’ipermercato e al centro commerciale (68%) per finire anche ai canali alternativi

(13% per il commercio elettronico, 6,5% per la vendita per corrispondenza, 9,7% per la

cooperazione di consumo). Il consumatore che frequenta il mercato, dunque, non è uno

sprovveduto, ma, utilizzando regolarmente altri canali, dimostra di essere capace e di

valutare e apprezzare i lati positivi che il mercato può offrire. A livello di panoramica

italiana, nelle aree centrosettentrionali del Paese il principale canale alternativo è

rappresentato dai centri commerciali e dai supermercati mentre nel Sud e nelle Isole si

privilegiano gli acquisti nei negozi tradizionali.

3.2.4- Al mercato: perché e per comprare cosa

Al mercato non si va solo per comprare. Questo aspetto viene evidenziato nella ricerca

dove i consumatori dichiarano che al mercato si va anche per socializzare (31%) o per la

vicinanza e la comodità rispetto al luogo della propria abitazione o del proprio lavoro

(40%), ma anche per godere della vivacità del mercato stesso e delle bancarelle o per il

puro piacere di stare all’aria aperta e passeggiare tra i banchi (26%). Ulteriore buon

motivo è costituito dalla freschezza e qualità dei prodotti (30%). Non mancano anche

coloro che, esprimendo altre motivazioni, parlano di “possibilità di trovare prodotti

altrove non disponibili”; “servizi qualificati”; “simpatia e cortesia del personale di

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vendita”; “attenzione e cura del cliente”. L’aumento delle motivazioni non economiche

segnala anche un apprezzamento della funzione sociale dei mercati. Ma i motivi più

forti di richiamo sono certamente la convenienza dei prezzi (57,8%, dato di dieci punti

in crescita rispetto al 2008) e l’assortimento dell’offerta (45%). A riprova che un

mercato è tanto più vivo quanto più esprime una buona politica dei prezzi ed un’offerta

integrata. In dettaglio, mentre l’assortimento delle merci è il fattore di richiamo più

sentito prevalentemente in tutte le aree e in tutti i segmenti, con particolare peso nei

mercati periodici e nei centri minori, la convenienza dei prezzi è il fattore più rilevante

percepito nel segmento dei mercati quotidiani. I consumatori indicano con chiarezza che

queste sono le due strade per esaltare la funzione dei mercati. Insieme alle motivazioni

relative alla frequenza dei mercati vengono anche indicate le ragioni per le quali i

consumatori preferiscono non frequentare il mercato o lo frequentano di malavoglia. Il

35% degli intervistati trova che sui mercati i prezzi siano cari e che il commerciante non

osservi l’obbligo della pubblicità e la trasparenza dei prezzi stessi e chiede politiche più

garantiste sul fronte dei prezzi. Circa il 30% ritiene che sui mercati vi sia troppa

confusione unita spesso a episodi di microcriminalità. Vale la pena annotare che nel

2008 questo dato si collocava intorno al 20%: è evidente che in due anni la percezione

di un complessivo disordine sia aumentata ed intesa maggiormente come una

motivazione che non favorisce l’affluenza ai mercati. Il 5% dei consumatori lamenta

difficoltà di traffico e parcheggio. Significativa è anche una quota di intervistati

(27,74%) che rimprovera ai commercianti o all’insieme del mercato poca cura

nell’igiene personale e nelle misure di protezione degli alimenti o comunque condizioni

igieniche precarie. Il 32% dei consumatori ritiene che il mercato sia poco fruibile e

chiede più servizi accessori e strutturali. Il 25% vorrebbe trovare una maggiore qualità

sui mercati ed il 37% degli intervistati imputa al mercato una scarsa attrattiva e ritiene

che i mercati espongano tutti la stessa merce. I consumatori avvertono dunque come un

pericolo la progressiva omologazione che sta caratterizzando i mercati. Nei mercati del

Nord e del Sud del Paese sono assai sentite le questioni della correttezza commerciale e

dell’igiene mentre nei mercati periodici e nei centri minori viene avvertita la scarsa

attrattività dei mercati e quindi la necessità di un maggiore diversificazione e qualità dei

prodotti. Sulla base di questi risultati c’è da evidenziare che gli operatori possono fare

ben poco per ridurre i problemi della mobilità cittadina o della microcriminalità, ma ben

più possono e devono fare per agire in direzione di una maggiore professionalità non

solo in ottemperanza delle leggi vigenti ma cercando di adottare comportamenti che

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costituiscono un aumento dei valori di qualità. Nelle grandi città e nei mercati

quotidiani l’acquisto di alimentari è assolutamente prevalente rispetto al non food (la

percentuale di chi acquista frutta è del 90% nel Nordest, dell’86% nel Centro e dell’84%

nel Nordovest) mentre nei mercati periodici e nei centri minori gli acquisti sono più

equilibrati: permangono alte le quote dell’alimentare, ma l’offerta privilegia soprattutto

il settore non alimentare, in modo piuttosto uniforme in tutte le aree del Paese. Al di là

delle singole quote o della prevalenza del genere di acquisti, l’indagine conferma che il

mercato è tale se l’offerta è integrata, cioè se è presente la gamma completa degli

articoli.

3.2.5- L’economicità del mercato

In questo paragrafo viene descritta la percezione dei consumatori intervistati sulla

convenienza economica del mercato rispetto ad altre forme distributive. Il giudizio

finale è che:

- circa il 50% lo giudica più conveniente ed economico in senso assoluto rispetto

ad altre forme distributive,

- il 20% lo ritiene il canale più vantaggioso per alcuni articoli, segnatamente

l’ortofrutta e l’abbigliamento in generale;

- il 40% lo giudica poco conveniente;

- oltre il 20% pensa invece che non sia in alcun modo conveniente ed economico

e che quindi gli acquisti migliori si fanno presso altre forme distributive come

gli ipermercati ed i centri commerciali.

Questi dati possono avere una duplice interpretazione e possono quindi essere letti in

due modi: uno pessimista secondo il quale l’equivalenza tra risparmio e grande

distribuzione è ormai un dato assodato e non più incontrovertibile; uno ottimista che

invece dà prospettive, spazio e possibilità ad un recupero di posizioni. La tendenza

dell’opinione pubblica è quindi orientata a considerare il canale della grande

distribuzione come quello più economico e vantaggioso, ma certamente non a

svantaggio del mercato, semmai a scapito del negozio tradizionale. In termini più

generali il mercato gode ancora di buona fama. L’indagine chiede anche ai soggetti

intervistati un loro giudizio sul rapporto qualità/prezzo dei prodotti acquistati al

mercato: la risposta è largamente positiva, poiché l’80% del campione giudica positivo

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in senso assoluto tale rapporto, con una distribuzione equilibrata e in misura abbastanza

uniforme su tutto il territorio nazionale.

3.2.6- La spesa dei consumatori sui mercati

E’ piuttosto difficile stabilire esattamente quale sia la cifra reale che gli italiani

spendono sui mercati ambulanti e su aree pubbliche. Tuttavia è possibile arrivare a delle

stime attendibili, sia sulla base degli elementi scaturiti dall’indagine, sia tenendo conto

dei dati ISTAT relativi alla popolazione. Tra il 2010 ed il 2012 le famiglie italiane

hanno speso e continuano ancora a spendere con grande cautela e comunque di meno

mentre i consumi stentano a mantenere quote significative. In questo senso non aiuta

certamente la situazione economica complessiva del Paese. I rapporti ISTAT sui redditi

dimostrano che le famiglie italiane sono ancora in una situazione insoddisfacente che

registrano variazioni negative sul versante dei redditi reali. Il che significa meno fondi

per gli acquisti o quanto meno una loro severa selezione. Ciò premesso, dall’indagine

emergono i seguenti dati:

Mentre nel Sud prevale la classe minima di spesa, nel Nordest e nel Nordovest si

registrano i valori più significativi per la classe di spesa massima. Circostanza da

attribuirsi probabilmente alle maggiori disponibilità di reddito degli italiani residenti nel

Nord del Paese. Dai dati delle classi di frequenza sopra illustrati si rileva che più di sette

consumatori su dieci sono presenti sul mercato comunque almeno una volta alla

settimana e la loro presenza corrisponde ad almeno un acquisto, seppur minimo, almeno

in otto casi su dieci. Se si combinano i dati sulla condizione professionale, sul grado di

frequenza e sulle classi di spesa suddette e se si fanno le proiezioni tendenziali in valori

medi e con tutte le cautele del caso, si può ragionevolmente stimare che i consumatori

italiani acquistano complessivamente ogni settimana sul sistema mercati merci e

Tabella 3: Quanto si spende al mercato

Italia Classe di spesa media Nordovest Nordest Centro Mezzogiorno Isole

5,59% 0/non risponde 3,50% 5,76% 2,67% 7,86% 11,77%

21,85% fino a 10 euro 20,18% 12,12% 23,28% 41,92% 26,47%

35,72% da 11 a 20 euro 35,53% 34,62% 42,37% 32,75% 31,37%

24,46% da 21 a 40 euro 25,44% 30,19% 24,81% 12,23% 19,61%

12,38% oltre 40 euro 15,35% 17,31% 6,87% 5,24% 10,78%

100,00% 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% 100,00%

Elaborazioni FivaConfcommercio-novembre 2012

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prodotti da un minimo di circa 496 milioni di euro fino a 560 milioni di euro. Il calcolo

annuo è presto fatto e oscilla da 24,8 a 29,1 miliardi di euro a valori correnti, con punte

massime intorno ai 31 miliardi di euro. I dati dei mercati non comprendono le cifre

d’affari degli itineranti, dei posteggi isolati, delle fiere, feste e sagre annuali che pure

realizzano quote significative specialmente nel comparto alimenti e bevande. Se si

calcolano queste aliquote il commercio su aree pubbliche incide, quindi, come canale di

spesa, da un minimo del 13,3% ad un massimo del 16% sul totale dei consumi totali

commercializzabili dalla rete pari ad una quota oscillante da 1,57 a 1,84 punti di PIL.

Sicuramente qualcosa in meno rispetto a qualche anno fa, ma tuttavia la quota dei

consumi resta estremamente significativa. Ci sono per la verità un paio di

controindicazioni:

- la prima è che in realtà la redditività dei mercati ancora non riesce più a

raggiungere quota 1998 per una serie di ragioni che attengono in parte alle

politiche economiche, fiscali e tributarie in parte al mutamento delle abitudini

dei consumatori e in parte alla vita dei mercati stessi;

- la seconda spiegazione è da porre in diretto riferimento a quanto più sopra si

diceva in merito al carovita e alla conseguente contrazione dei consumi. Come

da altre parti sui mercati si spende meno in termini di valori monetari ma si

spende di più in termini temporali. In altri termini i consumatori frequentano

maggiormente i mercati ma l’acquisto medio è diminuito di valore e quantità.

3.2.7- Il fenomeno dell’abusivismo

In questo paragrafo viene messa in evidenza la percezione dei consumatori in merito al

fenomeno dell’abusivismo e dei prodotti contraffatti. Di seguito viene illustrato un

grafico che descrive l’opinione dei consumatori sulla presenza degli abusivi sul

mercato.

8,13%

24,67%

29,31%

37,81%

Grafico 6: Percezione dell'abusivismo-Elaborazioni Fiva

Confcommercio-novembre 2012

Non risponde

Con molto fastidio

Con fastidio

Con scarso poco

fastidio

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La maggioranza dei consumatori avverte con scarso o poco fastidio la presenza degli

abusivi. Sembra quasi che essi siano entrati nel panorama usuale del mercato. Nel Nord

e soprattutto nella tipologia dei mercati dei centri minori è maggiore il grado

d’insofferenza (molto fastidio). Una riprova di questa circostanza è data dal fatto che

più di un quarto dei consumatori acquista merci dagli abusivi (in particolare

abbigliamento e pelletteria, entrambi i generi sopra il 60%). La più alta percentuale di

acquirenti si registra nei mercati periodici con un dato medio del 35% e punte superiori

al Centro. La più bassa si registra nei centri minori (17,65%) con punte minime nel

Nordest. I dati relativi alle categorie sono in elaborazione, ma si ha la sensazione che le

percentuali più alte di acquirenti riguardino soprattutto le fasce più giovani e la

categorie di studenti, impiegati e disoccupati.

3.2.8- Conclusioni

Un primo elemento che emerge da quest’indagine non attiene a fattori economici ma

non può essere non evidenziato: si tratta del forte legame che unisce i consumatori ai

mercati. Immaginare una città senza mercati diventa qualcosa di impossibile per come

siamo abituati e per come le città sono organizzate. Sul piano più propriamente

economico e strutturale, il sistema mercati conferma le sue ben note caratteristiche di

supplenza delle carenze della rete e di servizio verso precise fasce di consumatori,

specialmente verso quelle più deboli. E’ chiaro che anche sui mercati vige ormai quasi

sempre il sistema dei prezzi fissi, ma la possibilità di contrattazione, di scelta e di

selezione sono ancora ampie e certamente superiori rispetto ad altre forme distributive.

Un altro elemento che si sostanzia con estrema evidenza è che i mercati hanno una

grande vitalità data dal grande numero di consumatori che li frequentano e dalla

flessibilità delle imprese che vi operano. Concentrando al massimo la razionalità del

tempo della spesa con l’integrazione più ampia dell’offerta merceologica, in realtà il

mercato modifica la qualità della spesa stessa che non è più soltanto una faticosa

incombenza ma anche nello stesso tempo un momento di piacevole socializzazione e di

possibile “premio”, qualora si riesca ad acquistare articoli e generi non di prima

necessità in modo vantaggioso. Infine non si può trascurare un elemento di

competitività: sui mercati si possono trovare insieme articoli di pregio, prodotti

alimentari doc, prodotti altrove non facilmente reperibili. Il trovarli in un unico posto in

un tempo determinato rappresenta certamente un grande vantaggio per il consumatore,

che per di più, ha la possibilità di scegliere il tipo di spesa secondo le proprie possibilità

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economiche. Certamente i mercati hanno i loro difetti ed altrettanto certamente,

specialmente negli ultimi tempi, l’offerta merceologica sta assumendo contorni più

ordinari così come si sta perdendo una certa tipicità diretta conseguenza della cosiddetta

globalizzazione. Se il rischio immediato è dato vedere, esso attiene all’allocazione dei

mercati, stretti dalla necessità di avere spazi ed aree funzionali e l’esigenza di avere una

città più vivibile e meno inquinata dai gas di scarico del traffico. Ma il semplice

spostamento del mercato dal centro alla periferia non risolve i problemi, anzi, secondo

molti consumatori, li aggrava. La soluzione in questo senso pare quella di dotare i

mercati di maggiori servizi, a partire dai parcheggi.

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Capitolo 4: Le caratteristiche degli operatori ambulanti ed il comportamento dei

consumatori che si recano al mercato: una ricerca empirica.

4.1- Obiettivi della ricerca

La presente ricerca ha come obiettivo generale quello di analizzare il settore del

commercio ambulante dal punto di vista dei consumatori e degli operatori che ne fanno

parte. Scendendo nel dettaglio si propone di individuare il comportamento d’acquisto

dei consumatori con riferimento alla frequenza con cui si recano ai vari mercati, le

ragioni che li spingono a frequentarli, gli aspetti positivi e negativi che ritengono il

mercato possa avere, quali prodotti acquistano, il grado d’importanza che riveste

ciascun prodotto acquistato, le motivazioni inerenti al non acquisto, la percezione della

concorrenza rispetto ai mercati ed i miglioramenti che vi apporterebbero. Ovviamente

tali aspetti saranno analizzati mettendone in evidenza la rilevanza e cercando di spiegare

le motivazioni sottostanti ad ogni risultato ottenuto dalla ricerca. I risultati saranno

spiegati tenendo conto delle principali variabili socio- demografiche dei consumatori:

sesso, età, professione. Queste variabili molto spesso costituiscono una forte

discriminante nello spiegare i comportamenti individuali, tuttavia, possono non essere le

sole in grado di farlo e la ricerca si propone anche di andare a verificare questo aspetto

cercando di capire se determinati comportamenti siano indipendenti da queste variabili.

Come sopra accennato la ricerca non si limita a studiare il comportamento dei

consumatori, ma esamina anche il lato degli operatori che svolgono un’attività di

commercio su area pubblica. In questo caso la ricerca esamina le caratteristiche

personali e lavorative dei venditori ambulanti ed oltre alle classiche variabili

demografiche relative a età, sesso e titolo di studio sono state fatte anche alcune

domande relative alla professione: come i luoghi frequentati dagli operatori per svolgere

la loro attività, per andare ad analizzare l’intensità degli spostamenti che effettuano, cioè

se limitati all’ambito della provincia di appartenenza o anche a provincie più lontane, il

numero di anni di svolgimento dell’attività, le motivazioni che hanno portato i suddetti

operatori a decidere di intraprendere l’attività, per cercare di comprendere se sia un

settore prevalentemente rifugio o nel quale il mestiere si tramanda di padre in figlio,

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75

come affermato anche dallo studio della Fiva Confcommercio37

, o se vi siano anche

altre motivazioni che hanno spinto gli ambulanti a svolgerlo.

La successiva parte della ricerca relativa agli operatori si propone di analizzare la

tendenza del settore, cioè se la clientela del commercio ambulante sia in diminuzione o

meno e quanto la stessa dimostri fedeltà al mercato. Inoltre, in questa parte della ricerca

viene effettuato un confronto tra operatori e consumatori per individuare i punti di

accordo o disaccordo rispetto alle questioni della percezione della concorrenza, degli

aspetti positivi e negativi del mercato e degli eventuali miglioramenti da apportarvi. La

scelta di porre alcune domande identiche, relative alle questioni sopra dette, ai

consumatori e ai venditori, è stata fatta per verificare se il pensiero degli operatori sia in

sintonia con quello dei consumatori e quindi se i venditori sappiano realmente ciò che i

consumatori desiderano. Nel mettere in evidenza le caratteristiche dei venditori

verranno fornite anche spiegazioni del perché abbiamo dato determinate risposte e se

questo, come nel caso dei consumatori, dipenda esclusivamente da variabili

demografiche o anche da altre variabili.

4.2- Metodo di lavoro e difficoltà incontrate

La presente ricerca è stata effettuata nell’ambito del Comune e della Provincia di Pisa.

Ho deciso di scegliere questa zona data la vicinanza rispetto al luogo della mia

abitazione, anch’essa in provincia di Pisa, perché questo mi avrebbe consentito di

ridurre i costi per gli spostamenti in auto e soprattutto condurre la ricerca in tempi

relativamente brevi. Il primo step della ricerca è stato quello di predisporre due

questionari da somministrare a venditori e consumatori. Ho scelto di utilizzare questo

metodo di analisi quantitativa per i vantaggi che comporta: il questionario infatti è lo

strumento migliore per tradurre il fabbisogno informativo del ricercatore, nel mio caso

gli obiettivi della ricerca, in un insieme di domande che devono essere strutturate in

modo che il rispondente abbia la volontà e la possibilità di rispondere. Inoltre, deve

stimolare, motivare e coinvolgere il rispondente per spingerlo a collaborare durante

l’intervista38

. Come è possibile osservare dai questionari in allegato credo che quelli che

ho somministrato rispondano a queste caratteristiche dato che presentano domande

semplici, non contenenti lessico specifico del marketing, e quindi facilmente

37

http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp 38 Dati contenuti in: slide n°6-Le ricerche quantitative corso Analisi e ricerche di marketing a.a 2012/2013

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comprensibili da consumatori e operatori. Nell’ambito del Comune di Pisa non potendo

per ragioni monetarie e temporali intervistare tutti i venditori su area pubblica

appartenenti allo stesso, ho deciso di scegliere il mercato di via Paparelli che è il più

grande e quello che presenta la più variegata offerta merceologica. Di seguito ne

fornisco una descrizione per completezza di trattazione. Il mercato di via Alberto

Paparelli è formato in totale da 233 posteggi così suddivisi:

Tabella 4:Dettaglio posteggi operatori italiani

Valori assoluti Valori %

abbigliamento e accessori 167 76,61

calzature 19 8,72

tessuti 6 2,75

articoli per la casa 11 5,05

merce varia 10 4,59

Totale non alimentare 213 97,71

rosticceria 2 0,92

coldiretti, campagna amica 3 1,38

Totale alimentare 5 2,29

Totale generale 218 100

Fonte: censimento effettuato personalmente al mercato di

Via Paparelli e http://www.comune.pisa.it/it/ufficio-

scheda/6834/Mercato.html

Tabella 5: Dettaglio posteggi operatori extra-Ue

Valori assoluti Valori %

abbigliamento e accessori 8 53,33

merce varia 7 46,67

Totale generale 15 100

Fonte: censimento effettuato personalmente al mercato di

Via Paparelli e http://www.comune.pisa.it/it/ufficio-

scheda/6834/Mercato.html

Come è possibile osservare dalla tabella n.4 il mercato di via Paparelli è composto in

prevalenza da posteggi appartenenti al comparto non alimentare. Sempre analizzando le

due tabelle soprastanti si nota come la presenza degli operatori extra-comunitari

costituisca il 6,44% del totale dei posteggi. Una percentuale alquanto modesta, tuttavia

da non trascurare perché stando alle dichiarazioni spontanee degli operatori italiani

intervistati, è emerso che i consumatori si indirizzano favorevolmente ai prodotti da

questi forniti, preferendo beni scadenti, secondo l’opinione dei venditori nostrani,

rispetto al made in Italy. Tuttavia questo non rappresenta il pensiero dominante perché

altri venditori sostengono che l’abbassamento di qualità è dovuto in generale al tipo di

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politica di prodotto scelta dal venditore e non alla nazionalità dello stesso.

Dall’osservazione diretta che ho potuto effettuare durante il periodo che ho trascorso

per la compilazione dei questionari, posso ipotizzare che sia quest’ultima l’opinione che

debba prevalere, perché la merce di bassa qualità viene venduta indistintamente sia da

italiani che stranieri per il semplice fatto che riscuote successo tra i consumatori che

preferiscono spendere poco per acquistare un articolo di abbigliamento o calzature in

questo periodo di crisi economica. Per quanto riguarda le nazionalità degli operatori

stranieri di seguito riporto una tabella che le mette in evidenza:

Tabella 6: Dettaglio nazionalità operatori extracomunitari

abbigliamento merce varia Totale

Marocco 5 1 6

Cina 3 2 5

Pakistan 3 3

Senegal 1 1

Totale 8 7 15

Fonte: censimento effettuato personalmente al mercato di via Paparelli

Dall’analisi di questa tabella risulta confermato ciò che viene evidenziato nella ricerca

condotta dalla Fiva Confcommercio39

. Infatti la nazionalità prevalente è quella

marocchina seguita dai cinesi e pakistani, inoltre, questi venditori operano nei settori

dell’abbigliamento e delle merci varie, mentre risultano assenti nel settore alimentare,

probabilmente perché i consumatori italiani continuano a preferire alimenti nostrani

caratterizzati da determinate peculiarità piuttosto che provare cibi commercializzati da

cittadini che non sono loro connazionali. Mentre per quanto riguarda i due settori

merceologici citati gli acquirenti italiani non disdegnano l’offerta straniera trovandola

molto conveniente anche se talvolta di medio-bassa qualità. Per quanto riguarda il

mercato di via Paparelli di cui ho fornito la descrizione, il mio obiettivo iniziale era

quello di somministrare faccia a faccia, attraverso la lettura delle domande, il

questionario a tutti gli operatori, tuttavia non ho ottenuto 233 risposte ma 100 a causa

del rifiuto di rispondere alle domande del questionario di molti operatori sia italiani che

stranieri. Le motivazioni della mancata partecipazione sono state legate al fatto che

alcuni operatori erano impegnati nella vendita e non disponibili ad effettuare l’intervista

39

http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp

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per mancanza di tempo e altri erano diffidenti nei riguardi dell’intervista. In particolare

per gli operatori stranieri si è presentato anche il problema della mancata capacità di

comprensione della lingua italiana: la conoscenza della stessa è limitata alle frasi ed al

lessico relativo alla vendita, questo dipende dal fatto che magari alcuni operatori

stranieri risiedono nel nostro Paese da poco tempo oppure hanno sviluppato un lessico

di base per la loro attività e la loro vita sociale esterna al lavoro è relegata all’ambito dei

connazionali40

. Le nazionalità dei cittadini stranieri le ho dedotte dai loro tratti somatici,

nonostante non volessero partecipare all’intervista, e dall’indicazione di altri venditori.

In seguito alla raccolta dei 100 questionari dei venditori su area pubblica, ho trascritto le

risposte sul medesimo questionario caricato on-line attraverso il software Joomla che, al

termine degli inserimenti, mi avrebbe consentito di editare il database per l’elaborazione

dei dati. Per quanto riguarda i questionari da somministrare ai consumatori ho deciso di

effettuare un campionamento per quote, dato che un censimento degli abitanti della

provincia di Pisa, per quanto maggiormente attendibile, sarebbe stato impraticabile per

ragioni di tempo e denaro necessario per effettuare i vari spostamenti. Il campionamento

per quote è usato spesso nelle ricerche di mercato, nei sondaggi d’opinione e nelle

inchieste a livello nazionale41

. La popolazione viene suddivisa in strati sulla base di

alcune variabili come sesso, età e professione. Successivamente per ciascuno strato

vengono fissate le quote, cioè il numero di unità da intervistare in ciascuno strato. La

scelta del numero di unità da estrarre per ciascuno strato avviene considerando una

quota proporzionale al numero di unità dello strato42

. Questo metodo di campionamento

potrebbe sembrare simile al campionamento stratificato, tuttavia, la principale

differenza è che la scelta delle unità da intervistare in ciascuno strato non avviene

casualmente ma è demandata al libero arbitrio dell’intervistatore. Infatti uno dei

principali problemi che si potrebbero presentare è dovuto al fatto che l’intervistatore

scelga persone a lui vicine come amici, parenti che hanno determinate caratteristiche e

40 Quest’ultimo punto in particolar modo è stato evidenziato da un’operatrice italiana che parlando degli operatori

cinesi affermava che non vogliono socializzare o comunque avere alcun tipo di rapporto con gli operatori italiani,

riportandomi un esempio relativo a sua figlia che giocava con i figli dei venditori cinesi. Fino a che il rapporto si limitava al gioco tra i rispettivi bambini, i genitori dei bambini cinesi tolleravano la situazione anche se di

malavoglia, nel momento in cui i bambini cinesi andavano al posteggio dei genitori italiani e questi offrivano loro la

merenda, i genitori dei bambini cinesi li intimavano di far ritorno al loro posteggio. Probabilmente questi cittadini

cinesi possono aver vissuto episodi di razzismo o commenti poco graditi in passato e adesso sono più diffidenti o semplicemente fanno fatica ad integrarsi con la nostra cultura, di certo c’è che la strada per l’integrazione è lunga e

difficile specie nei momenti di crisi economica dove purtroppo lo straniero, molto spesso, viene considerato come un

“ladro” di lavoro da parte dei nativi del Paese di destinazione che versano anch’essi in difficili condizioni

economiche. 41 Sample survey: principles and methods; Vic Barnett; Edizioni Arnold, 2002; pag.125 42 Definizione campionamento per quote contenuta in: http://www.treccani.it/.

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questo potrebbe condurre a stime non corrette. Nel mio caso questo problema non si è

presentato perché nonostante abbia scelto personalmente le persone da intervistare, e

non abbia effettuato un’estrazione casuale, queste erano persone a me sconosciute o che

comunque avevano caratteristiche coerenti con le variabili da studiare. Un vantaggio

rappresentato dal campionamento per quote è dato dall’economicità con cui può essere

effettuato, infatti non richiede dispendiose ricerche sulla stima della varianza o sulla

ricerca delle liste da cui estrarre i soggetti da intervistare. Proprio a causa di

quest’ultimo motivo, cioè la mancata disposizione della stima della varianza relativa al

fenomeno oggetto del mio studio, non potrò effettuare un’inferenza all’intera

popolazione di riferimento, rappresentata dagli abitanti della provincia di Pisa e dagli

operatori ambulanti, ma potrò inferire i miei risultati soltanto ai due campioni di

riferimento. Tuttavia, esistono alcuni metodi attraverso i quali è possibile effettuare

inferenza da campioni non probabilistici come il campionamento per quote. Il primo è

un adattamento della regola di Neyman che prevede di prendere nh (numero di quote del

campione) proporzionale a Nh (numero di strati in cui è suddivisa la popolazione)*σh, se

σ1,…, σh sono valori assunti per la deviazione standard della variabile y (variabile oggetto

di studio) relativa alle unità della popolazione. Il secondo metodo consiste nel

combinare tecniche probabilistiche e non probabilistiche, ad esempio selezionando le

unità primarie (come isolati della città o distretti) attraverso uno schema di tipo

probabilistico e selezionare successivamente le unità in essi contenute attraverso il

metodo del campionamento per quote43

. Adesso illustrerò come ho formato il campione

dei consumatori con il metodo delle quote. Ho deciso di scegliere come popolazione di

riferimento il numero di abitanti facenti parte della provincia di Pisa, dato che anche per

gli operatori ambulanti avevo scelto questa città ed anche in questo caso la scelta era

dovuta alla mancata disposizione di risorse monetarie e vincoli temporali necessari per

effettuare un’intervista su larga scala come poteva essere un’ intervista nazionale. Per

quanto riguarda il numero di soggetti da intervistare ho deciso di contattare 100

consumatori perché la maggior parte delle mie interviste è stata effettuata attraverso la

lettura faccia a faccia delle domande del questionario e un numero superiore di

interviste sarebbe stato di difficile realizzazione. Successivamente ho deciso di

suddividere la popolazione in quote sulla base di sesso ed età dei residenti della

43 Model assisted survey sampling; Carl-Erik Sarndal, Bengt Swensson, JanWretman;Edizioni Springer;1992;pag-

530-531.

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provincia di Pisa. Per quanto riguarda le fasce d’età ho ritenuto opportuno costruire un

campione avente quattro fasce d’età: 15-34 anni; 35-54 anni; 55-65 anni; più di 65 anni.

Ho scelto queste specifiche fasce d’età perché pensavo vi potesse essere una differenza

di comportamento di consumo relativamente alla frequentazione al mercato. Per

individuare il numero esatto di persone residenti nella provincia di Pisa, e

successivamente effettuare una proporzione con i 100 individui che volevo intervistare,

mi sono collegata al sito internet dell’Istat (http://demo.istat.it/pop2012/index.html) e

con le informazioni ottenute ho costruito la seguente tabella:

Tabella 7: Residenti provincia di Pisa suddivisi per sesso e fasce d'età all'01/01/2012

Fasce

d'età

Sesso Sesso

Maschi

(valori

assoluti)

Femmine

(valori

assoluti)

Totali

(valori

assoluti)

Maschi

(valori %)

Femmine

(valori %)

Totali

(valori

%)

15-34

anni

42.321 41.157 83.478 12 11 23

35-54

anni

63.511 63.948 127.459 18 18 36

55-65

anni

27.751 30.181 57.932 7 8 15

più di

65 anni

37.210 50.913 88.123 11 15 26

Totali 170.793 186.199 356.992 48 52 100

Fonte: elaborazione dei dati contenuti in http://demo.istat.it/pop2012/index.html

In seguito alla stesura della precedente tabella ho utilizzato i valori percentuali contenuti

nelle colonne percentuali dei maschi e delle femmine e li ho rapportati al numero totale

di persone che avevo deciso di intervistare, che era pari a 100, ottenendo il seguente

prospetto espresso in soggetti da intervistare:

Tabella 8: numero soggetti da intervistare suddivisi per sesso e fasce d'età

Fasce d'età Sesso

Maschi Femmine Totali

15-34 anni 12 11 23

35-54 anni 18 18 36

55-65 anni 7 8 15

più di 65 anni 11 15 26

Totali 48 52 100

Fonte: elaborazione personale dei dati contenuti in tabella 7

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Una volta stabilito il numero di soggetti da intervistare ho deciso di somministrare il

questionario rivolto ai consumatori attraverso due differenti modalità:

- per la fascia d’età 15-34 anni ho somministrato il questionario on-line attraverso

il social network Facebook dopo averlo caricato on-line con il programma

Joomla. I consumatori cliccavano il link che rimandava alla compilazione del

questionario e contestualmente le risposte venivano immagazzinate in un

database Excel, che avrei utilizzato al termine degli inserimenti delle risposte,

per l’elaborazione dei risultati;

- per le restanti fasce d’età la somministrazione è avvenuta faccia a faccia

leggendo le domande del questionario agli intervistati. In questo caso per la

somministrazione ho scelto due differenti luoghi: il mercato di via Paparelli e

uno studio medico della Provincia di Pisa, in quest’ultimo caso prima mi sono

accertata che i rispondenti corrispondessero al target della ricerca e cioè che

fossero frequentatori del mercato. Ho deciso di andare anche allo studio medico

perché avevo maggiori probabilità di risposte visto che al mercato i consumatori

erano impegnati a fare la spesa o volevano rilassarsi e fare un giro tra i banchi e

talvolta non volevano partecipare all’intervista. Successivamente ho inserito

personalmente le risposte, attraverso il link del questionario on-line, che poi mi

avrebbero consentito di costruire il database per l’elaborazione dei dati.

Dato che parte della somministrazione dei questionari dei consumatori è avvenuta on-

line ho ottenuto più risposte rispetto a quelle necessarie; infatti mi sono pervenuti 192

questionari compilati, tuttavia le risposte complete, che potevano essere utilizzate per

l’elaborazione dei dati, erano 175 dato che le restanti erano incomplete e quindi da

scartare. Delle 175 risposte ottenute ho dovuto riportare il campione a 100 individui

dato che le risposte in più erano tutte appartenenti alla fascia d’età 15-34 anni e se le

avessi utilizzate per l’elaborazione avrei commesso un errore perché non avrei rispettato

la proporzione delle quote dei residenti della provincia di Pisa. Per questa fascia d’età

ho quindi effettuato un’estrazione casuale per selezionare i maschi e le femmine da

inserire nel database. Ho scelto questo metodo perché altrimenti se avessi scelto

personalmente gli individui da inserire nel database avrei potuto inficiare i risultati

perché potevo farmi influenzare da alcune risposte. Per quanto riguarda le donne di età

compresa tra i 15 e i 34 anni avevo ottenuto 80 risposte e per effettuare l’estrazione

casuale delle 11 (numero corrispondente alla proporzione delle donne tra i 15 e 34 anni

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della popolazione della provincia di Pisa) necessarie per costruire il database ho

utilizzato la funzione di Excel “Analisi dati” “Generazione di un numero casuale”.

Ho selezionato gli 80 identificativi questionari appartenenti alle donne tra i 15 e i 34

anni e li ho copiati in un nuovo foglio di lavoro. A questo punto richiamando la

funzione suddetta si è aperta una finestra nella quale ho inserito in “Numero di

variabili” il valore 1, in “Numero di numeri casuali” il valore 80, poi ho selezionato

distribuzione uniforme e valori compresi tra 0 e 1. Ho così ottenuto 80 numeri casuali,

tutti diversi, compresi tra 0 e 1 e li ho editati accanto alla colonna degli identificativi

questionari. Successivamente ho selezionato le due colonne e le ho ordinate in ordine

crescente per numero casuale; poi ho selezionato i primi undici identificativi questionari

e dato che non erano ordinati li ho ordinati in ordine crescente, quindi ho selezionato nel

database dei 175 individui questi identificativi ed ho iniziato a costruire il database

necessario per l’elaborazione. Per quanto riguarda i maschi dai 15 ai 34 anni ho ottenuto

18 risposte e quindi per selezionare le 12 (numero corrispondente alla proporzione degli

uomini tra i 15 e i 34 anni della popolazione della provincia di Pisa) necessarie per la

costruzione del database ho ripetuto il medesimo procedimento effettuato per le donne.

Relativamente alle restanti fasce d’età non c’è stato alcun bisogno di effettuare

l’estrazione casuale perché dato che la somministrazione dei questionari è avvenuta

faccia a faccia con lettura delle domande agli intervistati ho deciso di fermarmi nel

momento in cui raggiungevo il numero di unità totali facenti parte di ciascuna quota.

Infine per quanto riguarda le tempistiche necessarie ad effettuare le interviste ho

impiegato 2 mesi per ottenere le 100 interviste degli operatori effettuate tra i mesi di

Maggio e Giugno 2013 e nello stesso mese di Giugno ho raccolto le interviste on-line e

cartacee relative ai consumatori.

4.3- Risultati ottenuti dalla ricerca

Nell’esporre i risultati ottenuti dalla somministrazione dei due questionari, inizierò con

quelli relativi alle caratteristiche demografiche e lavorative appartenenti al campione dei

100 operatori intervistati, ricordando che si tratta di un censimento relativo ai suddetti

operatori e che i risultati non possono essere estesi al di fuori del medesimo campione,

causa mancanza della stima della varianza. Successivamente metterò in evidenza il

pensiero degli operatori relativamente agli aspetti positivi e negativi che attribuiscono al

mercato di via Paparelli, cercando di spiegare le motivazioni sottostanti alle risposte che

mi sono pervenute, ed infine utilizzerò la stessa metodologia per descrivere i

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83

43%

57%

Grafico 7: Composizione percentuale degli operatori

ambulanti in base al sesso

femmina;

maschio;

miglioramenti che gli operatori apporterebbero al mercato. Nella seconda parte della

trattazione relativa ai risultati ottenuti dalla ricerca mi occuperò di analizzare il

comportamento dei consumatori che si recano al mercato cercando di mettere in

evidenza le motivazioni sottostanti a determinati comportamenti o opinioni espresse.

Anche in questo caso tengo a ricordare che non potrò estendere i risultati della ricerca

all’intera provincia di Pisa, ma solo al campione intervistato non disponendo di una

stima della varianza. Nell’ultima parte della trattazione effettuerò un confronto tra

consumatori e operatori sulle questioni relative ad aspetti positivi e negativi del

mercato, percezione della concorrenza e tipologia di miglioramenti da apportarvi, per

vedere se il pensiero di entrambi sia concorde o meno e quindi se gli operatori siano

realmente a conoscenza di ciò che i consumatori desiderano.

4.3.1- Le caratteristiche demografiche e lavorative dei venditori su area pubblica

4.3.1.1-Caratteristiche demografiche

4.3.1.1.1-Sesso

Come possiamo notare dal grafico la maggior parte della titolarità dei banchi appartiene

agli uomini, con uno scarto di 14 punti percentuali in più rispetto alle donne. La ragione

di questa situazione potrebbe essere spiegata dal minor impiego occupazionale delle

donne rispetto agli uomini valido in tutti i settori lavorativi, tuttavia c’è da notare che la

quasi totalità degli individui intervistati aveva un collaboratore che l’aiutava nello

svolgimento dell’attività lavorativa e che era costituito dal rispettivo partner. E’ quindi

possibile affermare che, finalmente sottolineerei, le donne sono entrate a pieno regime

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84

7%

67%

22%

4%

Grafico 8: Composizione percentuale degli operatori ambulanti in

base all'età

18-34 anni;

35-54 anni;

55-65 anni;

più di 65 anni

a far parte del mondo lavorativo anche se ancora risultano essere impiegate a livelli

inferiori rispetto agli uomini, tuttavia le distanze si stanno progressivamente

accorciando ed infatti tornando al settore del commercio ambulante ben il 43% di esse,

con riferimento al totale degli intervistati, è titolare di un banco.

4.3.1.1.2-Età

Dalla lettura del grafico notiamo che il 67% dei venditori su area pubblica ha un’età

compresa tra 35 e 54 anni e a debita distanza questa classe d’età è seguita da quella che

va dai 55 ai 65 anni. Le altre due classi d’età, quelle relative ai giovani ed alle persone

anziane risultano essere residuali per ovvie ragioni. Nel primo caso perché per avviare

un’attività di commercio ambulante bisognerebbe avere un minimo di esperienza

commerciale alle spalle e un under 34 è difficile che abbia tale esperienza dato che

molti giovani proseguono il loro percorso di studi dopo il conseguimento del diploma e

fino ai 25 anni d’età sono impegnati con gli studi e non hanno tempo di dedicarsi ad

un’esperienza lavorativa a tempo pieno ed importante come potrebbe essere quella del

commercio ambulante. Per quanto riguarda la classe d’età degli over 65, il

ragionamento è inverso, dato che queste persone dovrebbero essere in età da

pensionamento, tuttavia possono continuare a svolgere una qualsivoglia attività

lavorativa, se lo desiderano, ma come vediamo il loro numero è veramente esiguo.

Appare quindi del tutto fisiologico che la classe d’età che rappresenta la stragrande

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85

3% 3%

47% 47%

Grafico 9: Composizione percentuale degli operatori ambulanti in

base al titolo di studio

laurea

specialistica/magistrale;

licenza elementare;

licenza media inferiore;

licenza media superiore;

maggioranza degli operatori ambulanti sia rappresentata da quella che va dai 35 ai 54

anni.

4.3.1.1.3-Titolo di studio

Come possiamo notare dal grafico il campione degli intervistati presenta un livello

d’istruzione medio-basso. Infatti quasi la metà degli intervistati ha una licenza media

inferiore (47%), l’altra metà ha una licenza media superiore. Questo può spiegarsi con il

fatto che questo tipo di mestiere non richiede un’alta formazione culturale né tantomeno

l’aver frequentato un determinato tipo di scuola superiore, come invece potrebbe esser

richiesto a chi per esempio fa il cameriere, che per quanto non sia un mestiere

altamente qualificato può richiedere la frequentazione di scuole alberghiere. Per questo

motivo chiunque sia in possesso dei requisiti morali e professionali previsti dall’art. 5

del d.lgs. 114/1998 può svolgere un’attività di commercio su area pubblica. Infatti dalle

dichiarazioni spontanee di alcuni venditori è emerso il fatto che la bassa istruzione è

stata la causa dell’aver intrapreso questo tipo di attività. Nel momento in cui richiedevo

il livello d’istruzione della persona intervistata molti venditori affermavano: “Terza

media, che titolo d’istruzione vuoi che abbia?” oppure “ Eh le medie, d’altronde non

avevo voglia di studiare, mio padre aveva il banco ed ho fatto questo!!!”. C’è da dire

però che anche un livello d’istruzione elevato è indice di settore rifugio perché del 3%

dei laureati del campione se andiamo ad analizzare le motivazioni che li hanno spinti ad

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intraprendere il mestiere troviamo la mancanza di alternative e il fatto che il mestiere

fosse svolto precedentemente dai genitori. Concludendo è possibile affermare che il

livello d’istruzione medio-basso è dovuto sia alle caratteristiche intrinseche del settore,

per le quali non è necessario avere titoli di studio elevati, sia al fatto che si tratta di un

settore rifugio dove le persone che hanno mancanza di elevate qualifiche possono

cimentarsi.

4.3.1.1.4-Nazionalità

Tabella 9: Nazionalità operatori

italiana 96

marocchina 3

senegalese 1

Come riporta la tabella n. 9 la maggior parte degli intervistati appartenenti al campione

risulta essere di nazionalità italiana e questo è dovuto al fatto che, come ho già

ampiamente spiegato nella sezione “metodo di lavoro e difficoltà incontrate” di questo

capitolo, la maggior parte degli operatori extra-comunitari ha mostrato reticenze a

partecipare all’intervista sia a causa della mancata comprensione della lingua italiana

che per diffidenza nei riguardi della stessa.

4.3.1.2-Caratteristiche lavorative

4.3.1.2.1-Giorni lavorativi

Tabella 10: Percentuali relative al numero di giorni lavorativi in cui gli operatori

esercitano la loro attività

2-3 giorni 8

4-5 giorni 64

6 giorni 28

Totale complessivo 100

Come è possibile osservare dalla tabella, il 64% dei venditori su area pubblica lavora

dai 4 ai 5 giorni e un 28% lavora 6 giorni su 7. Solo l’8% lavora meno di 4 giorni a

settimana e questo è dovuto quasi sicuramente al fatto che questi operatori svolgono

anche altre attività lavorative. E’ interessante notare che tra coloro che hanno risposto

che lavorano dai 4 ai 5 giorni lavorativi il 23% ha risposto che frequenta 3 mercati.

Infatti successivamente al numero di giorni lavorativi veniva richiesto agli operatori

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quanti mercati frequentavano durante la settimana, intendendo i luoghi in cui veniva

svolto il mercato, per andare a vedere se il venditore concentrasse la sua attività su 2 o 3

mercati o se invece cambiasse mercato ogni giorno. Dall’analisi delle risposte posso

affermare come quest’ultima ipotesi debba prevalere, cioè gli operatori preferiscono

frequentare pochi mercati ma buoni, cioè mercati nei quali hanno una clientela

probabilmente più fedele o semplicemente più redditizi perché frequentati da molte

persone o da persone che effettuano spese più elevate piuttosto che cambiare mercato

ogni giorno.

4.3.1.2.2-Altri mercati frequentati dai venditori ambulanti di via Paparelli

Tabella 11: Altri mercati frequentati dai venditori ambulanti di via Paparelli

Mercati frequentati Percentuali

Livorno 52

Cascina 32

Viareggio 32

Navacchio 25

Marina di Pisa 17

Tirrenia 16

Rosignano 12

Pontedera 11

Cecina 10

Vecchiano 9

Massa 8

Lido di Camaiore 7

La Spezia 6

Collesalvetti 6

Come risulta dalla lettura della tabella n.11, il 52% degli operatori ambulanti frequenta

Livorno come altro mercato in cui svolgere la propria attività lavorativa. Seguono, con

una distanza di ben venti punti percentuali, Cascina e Viareggio, entrambi con il 32%.

Degni di nota per gli ambulanti appartenenti al campione intervistato risultano essere

anche i mercati di Navacchio con il 25% e quelli appartenenti al litorale pisano come

Marina di Pisa e Tirrenia con il 17% e il 16%. La netta predominanza della

frequentazione della città di Livorno potrebbe spiegarsi con le caratteristiche che

presenta questo mercato. Infatti è uno dei più grandi mercati coperti d’Europa44

con una

44 http://www.laportadeltirreno.it/rubriche-aziende/il-mercato-centrale-di-livorno

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88

grande varietà merceologica e conseguentemente frequentato da molti consumatori.

Un’altra spiegazione della sua frequentazione potrebbe essere data dalla residenza degli

intervistati, infatti nonostante non sia stata espressamente richiesta, dalle risposte fornite

a questa domanda è chiaro che risulta essere appartenente, per la maggior parte del

campione intervistato, alle province di Pisa o di Livorno. Come possiamo notare infatti i

luoghi maggiormente frequentati dai venditori ambulanti intervistati risultano

appartenere alle suddette province ad eccezione di Viareggio che appartiene alla

provincia di Lucca, che però non è molto distante da Pisa. Il fatto che Viareggio si trovi

in seconda posizione come mercato più frequentato dopo Livorno è dovuto alle

caratteristiche dello stesso. Dalle dichiarazioni spontanee di alcuni venditori risulta

essere un mercato ben organizzato e situato in una posizione che può definirsi un

“centro commerciale naturale”, infatti si trova sulla passeggiata, luogo molto

frequentato da coloro che intendono recarsi a fare shopping o semplicemente a fare un

giro per le vetrine, ma anche in quest’ultimo caso è difficile tornare a casa a mani vuote.

Per quanto riguarda le percentuali relative a Navacchio, Marina di Pisa e Tirrenia

probabilmente sono dovute alla vicinanza rispetto alla residenza degli operatori

intervistati ed alle caratteristiche che presentano. Il mercato di Navacchio è infatti

composto da 130 posteggi di cui 12 riservati al comparto alimentare, quindi presenta

un’offerta abbastanza variegata per essere un mercato periodico dato che si svolge il

lunedì45

. Discorso in parte analogo vale per i mercati di Tirrenia e Marina di Pisa, anche

se sono di dimensioni più ridotte rispetto ai mercati che occupano le prime posizioni

della classifica riportata in tabella 11. Il mercato estivo di Tirrenia è infatti composto da

96 posteggi di cui 5 alimentari e 91 non alimentari, ma la sua attrattiva dipende dal fatto

che in periodo estivo, da Maggio a Settembre, è frequentato da molti bagnanti e quindi

fonte di redditività per i venditori su area pubblica46

. Per Marina di Pisa il ragionamento

sottostante alla sua frequentazione è identico a quello illustrato per Tirrenia. Il mercato

è infatti leggermente più piccolo essendo composto da 92 posteggi di cui 5 riservati al

comparto alimentare e quindi anch’esso a prevalenza non alimentare47

, ma risulta

fortemente attrattivo perché molto frequentato dai consumatori durante il periodo estivo.

Per quanto riguarda le altre posizioni della classifica vediamo che risultano di un certo

interesse le città della Versilia come Massa e Lido di Camaiore, molto probabilmente

45 Informazioni a cura di: Ufficio Attività produttive Comune di Cascina 46 http://www.comune.pisa.it/it/ufficio-scheda/6834/Mercato.html 47 http://www.comune.pisa.it/it/ufficio-scheda/6834/Mercato.html

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per l’alta concentrazione di consumatori che frequenta i suddetti mercati, ed anche altre

città delle province di Pisa e Livorno come Pontedera, Rosignano e Cecina per ragioni

probabilmente legate alle loro caratteristiche intrinseche. Il mercato di Pontedera è

composto da 237 posteggi di cui 25 legati al comparto alimentare48

, quindi molto

frequentato dai consumatori, ed alla vicinanza rispetto alla residenza degli intervistati.

Concludendo è possibile affermare che i venditori su area pubblica intervistati al

mercato di via Paparelli a Pisa non effettuano notevoli spostamenti rispetto a questa

città, muovendosi in un raggio che non supera i 30-35 km, tuttavia frequentano mercati

redditizi caratterizzati da un notevole flusso di clientela.

4.3.1.2.3-Anni di svolgimento dell’attività lavorativa

Tabella 12: Percentuali relative al numero di anni lavorativi svolti dai venditori ambulanti

intervistati

Anni lavorativi Percentuali

10 anni lavorativi o meno 23

tra 11 e 20 anni lavorativi 25

tra 21 e 30 anni lavorativi 20

più di 30 anni lavorativi 32

Come è possibile osservare dalla tabella n.12 il mestiere del venditore ambulante risulta

essere di lungo svolgimento una volta che una persona decide d’intraprenderlo. Il 52%

del campione intervistato svolge l’attività da più di 20 anni. Infatti, nonostante risulti

essere un settore rifugio o nel quale il mestiere si tramanda di padre in figlio, una volta

che si è deciso di intraprenderlo si porta avanti per tutta la carriera lavorativa. Poi nel

caso in cui sia stato intrapreso per una motivazione di tipo generazionale, cioè perché

svolto da genitori o nonni c’è l’aspetto della tradizione che coloro che successivamente

lo intraprendono probabilmente sono fieri e desiderosi di portare avanti.

48 Informazioni a cura di: Ufficio Attività produttive Comune di Cascina

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90

4.3.1.2.4-Motivazioni che hanno portato i venditori ambulanti ad intraprendere questo

mestiere

Tabella 13: Percentuali relative alle ragioni che hanno portato gli ambulanti a svolgere

questo mestiere

Motivazioni mestiere Percentuali

Genitori 37

Non c’erano altre alternative 15

Più libertà 14

Speravo di avere maggiori possibilità di

guadagno

12

Passione 9

Licenziati da lavori precedenti 8

Dalla lettura della tabella n.13 risulta essere confermato, per gli operatori intervistati,

ciò che viene affermato nella ricerca condotta dalla Fiva Confcommercio49

e cioè che il

mestiere di venditore su area pubblica è prevalentemente un mestiere che si tramanda di

padre in figlio (37%) o un mestiere al quale si dedica chi non ha avuto altra alternativa o

chi è stato licenziato da precedenti lavori. Queste ultime due motivazioni possono essere

fatte rientrare nel settore rifugio e danno una percentuale del 23%. Infatti, a differenza

di altri lavori autonomi, questo mestiere presenta rischi relativamente modesti, come un

basso impiego di capitale, dato che non sono necessari investimenti come affitti di fondi

per poter svolgere la propria attività o pagamento di utenze come luce, gas, acqua.

Questo consente di praticare prezzi più bassi, pur vendendo lo stesso articolo che può

essere trovato in un negozio tradizionale a tutto vantaggio del consumatore che potrà

preferire questo tipo d’offerta rispetto a quella del negozio. Ecco perché chi non trova

altri tipi di impieghi o ha subito un licenziamento può provare ad intraprendere questo

tipo di attività senza troppi problemi. Da non trascurare le motivazioni legate alla

possibilità di avere maggiore libertà (14%) rispetto sia ad un lavoro dipendente che ad

un lavoro d’ufficio o in fabbrica; infatti dalle dichiarazioni spontanee dei venditori è

emerso che, grazie a questo tipo di mestiere, possono “stare all’aria aperta” e questo dà

loro un gradevole senso di libertà. Da non sottovalutare il 12% del campione

intervistato che, tra le motivazioni che l’hanno portato ad intraprendere il mestiere ha

risposto che sperava di avere maggiori probabilità di guadagno sempre rispetto ad un

lavoro dipendente o ad un lavoro autonomo del medesimo settore come l’aprire un

49

http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp

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91

47

33

20

Grafico 10: Numero di intervistati che indicano le percentuali di

clientela abituale che frequenta il mercato di via Paparelli

maggiore o uguale al

60%

pari al 50%

inferiore o uguale al

40%

negozio tradizionale. Questi venditori, a causa del calo generalizzato dei consumi,

avvertono un calo delle vendite, che però negli altri settori si è fatto sentire di più,

specie per quanto riguarda i negozi tradizionali. Infine da non trascurare il 9% di coloro

che hanno risposto che hanno intrapreso questo mestiere per passione. Probabilmente

sono persone che hanno una tradizione alle spalle di vendita ambulante perché il

mestiere era svolto da genitori o nonni che li hanno fatti appassionare allo stesso oppure

semplicemente perché amano il contatto con le persone ed il folklore che si vede nei

mercati e se svolgono il loro mestiere con passione, nonostante il momento di crisi, non

potranno che avere buoni risultati in futuro.

4.3.2- Le caratteristiche del settore del commercio su area pubblica

In questo paragrafo metterò in evidenza alcune caratteristiche relative al settore del

commercio ambulante di via Paparelli riportando le considerazioni espresse dagli

operatori intervistati. Mi concentrerò in particolare sulle percentuali di clientela abituale

e occasionale che frequenta il mercato, sull’andamento della clientela e cioè se sia

diminuita, aumentata o rimasta pressoché invariata e sulla percezione della concorrenza

che hanno i venditori su area pubblica del mercato di Pisa.

4.3.2.1-Clientela abituale e occasionale

Il grafico soprastante mostra il numero di operatori che indicano la tipologia di

composizione della clientela e come possiamo osservare essa è per più del 60% di tipo

abituale, dato che viene dichiarato da 47 intervistati su 100. Trentatre intervistati su 100

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92

20

33

47

Grafico 11:Numero di intervistati che indicano le percentuali di

clientela occasionale che frequenta il mercato di via Paparelli

maggiore o uguale al 60%

pari al 50%

inferiore o uguale al 40%

affermano invece che la tipologia di clientela sia esattamente spaccata a metà, mentre 20

intervistati su 100 affermano che la clientela sia più occasionale che abituale. Una

situazione che sicuramente può definirsi positiva dato che un cliente abituale è più

redditizio di un cliente occasionale e spende di più nel tempo data la sua fedeltà rispetto

all’insegna o alla marca, in questo caso al mercato ed ai suoi venditori e soprattutto è

meno ricettivo alle offerte della concorrenza. La situazione relativa al mercato di via

Paparelli di Pisa trova conferma anche nella ricerca condotta dalla Fiva Confcommercio

nella quale si afferma che sia i consumatori dei mercati giornalieri che quelli dei mercati

periodici sono abbastanza fedeli rispetto ai mercati che frequentano50

. La fedeltà

probabilmente è dovuta alle caratteristiche che ciascun mercato presenta, come la

convenienza economica, la simpatia di determinati venditori, la varietà dell’offerta o la

qualità dei prodotti. Di seguito, per completezza di trattazione, riporto il grafico della

clientela occasionale che, secondo i venditori su area pubblica intervistati, frequenta il

mercato di via Paparelli di Pisa. Per quanto riguarda il commento al grafico, questo

risulta essere il medesimo appena riportato, visto che la maggior parte della clientela

che frequenta il mercato di via Paparelli è abituale.

50

http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp

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4.3.2.2-Andamento della clientela

Tabella 14: Andamento clientela del mercato di via Paparelli

Tipologia di andamento Percentuali

aumentata 1

diminuita 87

rimasta pressoché invariata 12

Totale complessivo 100

In questo paragrafo viene messo in evidenza l’andamento della clientela del mercato di

via Paparelli con riferimento agli ultimi due anni e cioè dal 2011 al 2013. Come si può

notare ben l’87% del campione degli operatori intervistati afferma come la stessa sia

diminuita e solo il 12% afferma che è rimasta pressoché invariata. L’1% che ha risposto

che la clientela è in aumento molto probabilmente fa riferimento al suo specifico banco

o al particolare tipo di prodotto venduto, ma non al mercato nel suo insieme. La

situazione è da attribuirsi quasi esclusivamente al periodo di crisi economica che il

Paese sta attraversando e che ha ridotto drasticamente i consumi degli italiani o

comunque ne ha modificato la consistenza. Tuttavia c’è da dire che la crisi oltre a

ridurre i consumi e la loro consistenza ne ha modificato la tipologia. Infatti come

affermato in un recente articolo de “Il Sole 24 ore” mentre crollano le vendite nei

negozi tradizionali, aumentano quelle delle bancarelle, dei discount e dei

supermercati51

. C’è da dire che sicuramente lo scontrino medio rispetto al periodo

precedente alla crisi si è abbassato, ma la frequentazione dei mercati rimane un punto

saldo nella tipologia di consumi degli italiani.

4.3.2.3-I concorrenti del mercato

Tabella 15: Percezione della concorrenza degli operatori ambulanti intervistati

Concorrenti Percentuali

Centri commerciali 58

Altri mercati ambulanti 24

Altro (dettaglio specificato nel commento alla tabella) 19

Outlet (per l'abbigliamento e accessori) 16

Supermercati 13

Negozi tradizionali 3

Discount 1

51

http://www.banchedati.ilsole24ore.com/doc.get?uid=sole-SS20130524041CAA

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La tabella n.15 mostra l’opinione dei venditori su area pubblica rispetto alla percezione

della concorrenza del mercato. Come vediamo il 58% del campione ritiene che il

principale concorrente del mercato sia rappresentato dal centro commerciale e se

pensiamo alle caratteristiche che il centro commerciale presenta la risposta è facilmente

comprensibile. Infatti il centro commerciale racchiude al suo interno una vasta gamma

di articoli tra cui il consumatore non deve far altro che scegliere. Nel centro

commerciale il consumatore ha una possibilità di scelta che va dai beni alimentari ai

negozi di abbigliamento, di elettronica e così via. Ma non solo, perché all’interno del

centro commerciale i consumatori molto spesso vanno per passare un pomeriggio o

semplicemente per fare un giro, insomma per soddisfare non solo bisogni materiali ma

anche esperienziali; infatti all’interno del centro commerciale vi sono bar, ristoranti,

sale giochi oltre ai classici negozi e queste attività commerciali vengono impiantate

proprio per far vivere al consumatore l’esperienza di consumo nella sua totalità. Quindi

anche per queste ragioni oltre alla classica convenienza dei prezzi il centro commerciale

può essere considerato diretto concorrente del mercato ambulante, con la differenza,

secondo molti venditori, che il centro commerciale è al coperto e, quindi, quando vi

sono le intemperie i consumatori preferiscono recarvisi piuttosto che andare al mercato.

Personalmente ritengo che per quanto centro commerciale e mercato possano avere

notevoli similitudini, in termini di esperienza di consumo il mercato presenta un profilo

di genuina autenticità che lo contraddistingue e non rappresenta una costruzione

artificiale come il centro commerciale. Inoltre il centro commerciale dà la sensazione di

alienare il consumatore che non si rende talvolta conto neanche di dove si trova da

quanto è sovrastato da beni di consumo e pubblicità annesse, mentre il mercato non

sovrasta il consumatore ma rende la sua esperienza di consumo piacevole, grazie alle

simpatiche grida dei venditori e al modo con cui sono esposte le merci che non lo

soffocano. In seconda posizione anche se a distanza di ben 34 punti percentuali rispetto

ai centri commerciali troviamo i mercati ambulanti come diretti concorrenti rispetto al

mercato di via Paparelli. La spiegazione di questa risposta appare del tutto fisiologica ed

infatti è naturale che un certo numero di operatori risponda che il diretto concorrente di

un mercato sicuramente sarà un altro mercato e questo perché le caratteristiche delle due

tipologie di attività sono identiche e probabilmente anche la clientela che le frequenta.

Interessante notare come al terzo posto della tabella dei concorrenti del mercato vi sia la

categoria residuale “altro”. Questa è composta per il 10% da operatori che hanno

risposto che secondo loro il mercato non ha alcun concorrente diretto, sicuramente

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pensando alle sue caratteristiche presenta un’offerta unica per il consumatore sia in

termini di beni che, aggiungo io, di esperienza di consumo e quindi per questi operatori

non ha alcun diretto concorrente. Tra le altre motivazioni vi sono coloro che affermano

che i diretti concorrenti del mercato siano le catene di abbigliamento a basso costo come

H&M o Zara, oppure ambulanti abusivi che riescono a praticare prezzi ancora più bassi

degli ambulanti in regola, sottraendo loro clientela. In quarta posizione, con il 16% delle

risposte, troviamo l’outlet come concorrente diretto del mercato per coloro che vendono

abbigliamento e accessori. Dato che l’outlet presenta beni di marca a costi ridotti perché

offre articoli di abbigliamento al termine del periodo di durata della collezione è

naturale che i venditori di articoli d’abbigliamento lo ritengano un loro diretto

concorrente, specialmente chi vende articoli di abbigliamento di marca. In quinta

posizione con il 13% delle risposte troviamo il supermercato. Molto probabilmente gli

operatori che hanno fornito questa risposta vendono alimentari o articoli per la casa

perché il supermercato può essere considerato un concorrente rispetto a queste tipologie

di articolo e comunque solo sul lato della convenienza economica e non in termini di

esperienza di consumo che le persone possono vivere nel momento in cui si recano al

mercato. Alle ultime posizioni della classifica troviamo i negozi tradizionali e i discount

rispettivamente con il 3% e l’1% delle risposte. Dalle dichiarazioni spontanee di molti

venditori è infatti emerso che sia il negozio tradizionale che il discount non possono

essere considerati concorrenti del mercato, i primi perché, secondo gli operatori, sono

meno frequentati dai consumatori rispetto al mercato ed i secondi perché hanno

un’immagine soltanto legata alla convenienza economica e non alla qualità. Infine per

quanto riguarda differenze sostanziali di risposte degli operatori ambulanti suddivisi per

fasce d’età e sesso, segnalo che non vi sono predominanze di una specifica categoria e

che quindi le motivazioni sottostanti alle risposte date non presumo che dipendano dalle

loro caratteristiche demografiche.

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4.3.3- Gli aspetti positivi del mercato

Tabella 16: Aspetti positivi che il mercato possiede nell'opinione dei venditori

intervistati

Aspetti positivi Percentuali

Convenienza economica 62

Il rapporto umano che si instaura con l'ambulante 59

La possibilità di toccare la merce 45

La possibilità di avere un'offerta variegata 33

Qualità dell'offerta 31

Freschezza e genuinità dei prodotti alimentari 9

Altro (dettaglio specificato nel commento alla tabella) 5

Come possiamo osservare dalla tabella n.16 l’aspetto positivo principale che il mercato

riveste nell’opinione dei venditori su area pubblica è rappresentato dalla convenienza

economica. Questo risultato poteva essere facilmente previsto dato che il mercato

rappresenta l’emblema della convenienza, visto che i prezzi della merce che vengono ivi

praticati sono tra i più bassi se paragonati ad altre forme distributive. In seconda

posizione a distanza di soli tre punti percentuali rispetto alla convenienza economica

troviamo che il secondo aspetto positivo del mercato per importanza è dato dal rapporto

umano che i venditori riescono ad instaurare con i consumatori. Sicuramente questo

risulta essere un elemento che caratterizza fortemente i mercati e soprattutto li

differenzia rispetto ad altre forme distributive dove i venditori si limitano a proporre la

merce e difficilmente hanno con i consumatori un atteggiamento scherzoso o comunque

molto piacevole che va al di là dell’offerta del prodotto posto in vendita. In terza

posizione troviamo la possibilità di toccare la merce. Al mercato vi è libertà maggiore

rispetto ad un negozio tradizionale, ma anche ad un supermercato o centro commerciale

di toccare i prodotti posti in vendita, soprattutto per quanto riguarda il comparto non

alimentare, questo emerge anche dalle dichiarazioni spontanee rilasciate da alcuni

venditori: “ Come la toccano qui la merce non la toccano da nessuna parte!” oppure

“Più la gente tocca la merce più è contenta!” ed effettivamente la possibilità di poter

toccare con mano ciò che andremo o meno ad acquistare ci dà la sensazione di andare a

colpo sicuro nel nostro acquisto o nel nostro non acquisto perché grazie a questo gesto

possiamo renderci conto dei difetti che la merce può avere oppure sentire di che tessuto,

nel caso di un vestito, è fatta, in sintesi il consumatore diventa protagonista attivo della

sua esperienza di consumo. Al mercato però vi è anche maggior libertà di toccare i

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prodotti alimentari come frutta e verdura ed anche questo rende il consumatore

partecipe del suo probabile acquisto; può controllare se il venditore ha posto la merce

dalla parte non ammaccata (pur magari essendolo) oppure può tastare la consistenza di

un frutto. In quarta posizione troviamo la possibilità di avere un’offerta variegata con il

33%. Questo aspetto risulta essere una caratteristica positiva del mercato perché in un

solo luogo il consumatore trova tutto ciò di cui ha bisogno e gli operatori ambulanti

proprio per questa ragione devono cercare di differenziare il più possibile la loro offerta,

soprattutto coloro che vendono la stessa tipologia di articolo, per non cadere

nell’omologazione che non verrebbe ben vista dal consumatore che si indirizzerebbe

verso altre forme distributive. In quinta posizione troviamo la qualità dell’offerta con il

31%. E’ interessante notare come in questo caso, per quanto 31 operatori su 100

affermino che il mercato sia contraddistinto da un buon rapporto qualità-prezzo, dalle

dichiarazioni spontanee di alcuni venditori questo aspetto risulta essere del tutto

disatteso, infatti affermano che vi sono operatori ambulanti che abbassano la qualità del

mercato perché pongono in vendita merce scadente. Riporto una dichiarazione che mi

ha molto colpito e che mi è stata riportata mentre elencavo gli aspetti positivi che il

mercato poteva avere nell’opinione dei venditori su area pubblica: “ Ma la qualità come

aspetto positivo? Non direi proprio, sì c’è chi vende roba buona ma c’è chi vende anche

tante schifezze!!!”. Al sesto posto, con il 9% delle risposte, troviamo la freschezza e

genuinità dei prodotti alimentari. Probabilmente tale percentuale è dovuta al fatto che

molti degli intervistati siano appartenenti al comparto non alimentare e quindi

considerano meno questo tipo di aspetto. In ultima posizione vi è la categoria residuale

“altro” con il 5% delle risposte. Dato spiegabile con il fatto che molto spesso gli

intervistati preferiscono scegliere tra le opzioni proposte piuttosto che pensarne di

diverse. Tuttavia tra gli aspetti positivi elencati spontaneamente dagli operatori

intervistati vi sono: la possibilità di cambiare la merce più facilmente rispetto ad altre

forme distributive, ed in effetti al mercato vi sono vincoli temporali meno stringenti ed

anche più disponibilità di effettuare cambi di merce da parte degli operatori stessi; la

possibilità di stare all’aria aperta ed anche questo aspetto può essere considerato un

elemento positivo caratterizzante il mercato dato che sia consumatori che operatori nel

momento in cui, rispettivamente, passeggiano tra i banchi o cercano di vendere la merce

esposta avvertono un maggior senso di libertà rispetto ad altri luoghi di consumo.

Legata al maggior senso di libertà vi è anche la motivazione di poter cambiare luoghi

diversi grazie a questo lavoro e quindi di poter entrare in contatto con diverse realtà. Da

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notare che nessun operatore ha risposto che il mercato non ha alcun aspetto positivo e

non poteva essere altrimenti visto che costituisce il loro lavoro. A livello di differenze

nelle risposte in base al sesso e alla fascia d’età degli intervistati si notano delle

differenze nella possibilità di toccare la merce, aspetto riconosciuto dal 30% degli

uomini e dal 15% delle donne; questo perché probabilmente le venditrici donne sono

più restie a far toccare la merce per paura che possa rovinarsi o macchiarsi, nel caso di

un articolo d’abbigliamento, rispetto agli uomini. Anche la convenienza economica

come aspetto positivo risulta essere più sentito dagli uomini con il 38% che dalle donne

con il 24%, probabilmente perché le venditrici donne sono più attente alla qualità che

non al prezzo, aspetto da legarsi al maggior senso estetico che caratterizza le donne. Per

quanto riguarda differenze nelle fasce d’età e nelle altre risposte non ho da segnalare

alcuna particolarità dovuta alle variabili demografiche che contraddistinguono gli

operatori ambulanti intervistati.

4.3.4- Gli aspetti negativi del mercato

Tabella 17: Aspetti negativi che il mercato possiede nell'opinione dei venditori

intervistati

Aspetti negativi Percentuali

Ci sono ambulanti abusivi 52

C'è poca sicurezza (per esempio furti) 43

Difficoltà nel trovare parcheggio/di accesso al mercato 36

Altro (dettaglio specificato nel commento alla tabella) 10

L'offerta non è di qualità 8

Non ha alcun aspetto negativo 6

L'offerta non è molto variegata 4

C'è troppa confusione 1

Poca convenienza economica 1

La tabella n.17 mostra gli aspetti negativi che il mercato possiede nell’opinione degli

operatori ambulanti. Come possiamo notare in prima posizione, con il 52% delle

risposte, vi è il fatto che al mercato siano presenti ambulanti abusivi. Questa risposta si

trova in prima posizione probabilmente perché i venditori ambulanti con regolare

licenza sentono di più questo aspetto come negativo rispetto ad un consumatore ed è

anche fisiologico che questa risposta ricopra la prima posizione nell’opinione degli

operatori. In effetti si tratta di una grave forma di concorrenza sleale dato che i

commercianti ambulanti abusivi non pagano né le imposte, né la concessione di suolo

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pubblico e quindi possono praticare prezzi notevolmente inferiori ai consumatori. Per

risolvere questo problema i commercianti ambulanti possono solo denunciare gli

abusivi alle forze dell’ordine ma per risolvere il problema sono queste ultime che

dovrebbero intervenire oltre all’amministrazione pubblica. Dalle dichiarazioni

spontanee dei venditori intervistati è emerso che i controlli sono pressoché assenti.

Infatti i vigili urbani si presentano la mattina all’orario di apertura del mercato per

assegnare i posteggi disponibili agli spuntisti, cioè a coloro che non hanno il posteggio

fisso e lo ottengono per presenze maturate, e poi non effettuano alcun altro tipo di

controllo durante il giorno. Effettivamente devo confermare che queste dichiarazioni

sono del tutto veritiere dato che durante il mio periodo di permanenza al mercato i vigili

urbani mettevano in atto proprio questo tipo di comportamento. L’amministrazione

comunale dovrebbe adottare tutti i provvedimenti necessari per combattere la piaga

dell’abusivismo che va a danno degli operatori per i motivi sopra illustrati, ma potrebbe

andare anche a danno dei consumatori che potrebbero anche acquistare merce di

provenienza illecita senza saperlo. Al secondo posto con il 43% delle risposte si trova la

poca sicurezza che il mercato presenta nell’opinione dei venditori. Per molti venditori la

mancanza di sicurezza non è solo relativa ai furti che avvengono a danno dei

consumatori ma soprattutto a danno della merce da loro messa in vendita. Anche in

questo caso i venditori ambulanti lamentano la mancanza di controlli da parte delle

forze dell’ordine ed infatti alcuni di loro hanno risolto personalmente il problema con

l’installazione di telecamere sul furgone. Anche in questo caso ritengo che

l’amministrazione comunale dovrebbe intervenire al più presto impiegando i vigili non

solo per assegnare i posteggi la mattina; sarebbe meglio, secondo me, impiegarli per

fare più controlli di questo genere piuttosto che andare a vedere se un ticket di un

parcheggio a pagamento è scaduto da 5 minuti o in alternativa fare pressione su

carabinieri e polizia affinché svolgano giri di ricognizione. D’altronde gli operatori

ambulanti versano all’amministrazione comunale un importo per la concessione di

suolo pubblico ed è giusto che vengano tutelati il più possibile sia dalla concorrenza

sleale che dai furti. Al terzo posto troviamo con il 36% delle risposte la difficoltà nel

trovare parcheggio o di accesso al mercato. Il mercato di via Paparelli presenta un

parcheggio a pagamento che si trova affianco ad esso che però si riempie facilmente nei

giorni di mercato e così molte persone lasciano le proprie auto lungo la strada che

fiancheggia il supermercato Carrefour intralciando anche il traffico. Certamente in

questo caso la soluzione di costruire altri parcheggi in quella zona appare difficilmente

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praticabile, secondo me, forse sarebbe auspicabile un potenziamento delle corse degli

autobus. Interessante notare come il 10% degli operatori abbia fornito risposte non

appartenenti a quelle da me predisposte nel questionario. Tra queste vi rientrano: le

intemperie con il 5% delle risposte, per gli operatori che hanno dato questa risposta il

maltempo risulta essere il vero grande nemico del mercato perché “Quando piove la

gente va al centro commerciale” secondo l’opinione di questi venditori ed affermano

che l’amministrazione comunale dovrebbe montare coperture per consentire ai

consumatori di poter venire al mercato anche durante i giorni di pioggia; gli orari in cui

svolgere l’attività di vendita troppo ristretti, secondo l’opinione di questi venditori poter

lavorare solo dalle 7:30 alle 13:30 è fortemente limitante perché è difficile reggere la

concorrenza con i centri commerciali che hanno orari di apertura molto più lunghi e il

consumatore può recarsi quando vuole a fare acquisti. L’8% dei venditori afferma che

tra gli aspetti negativi del mercato vi sia la mancata qualità dell’offerta e come già ho

affermato nel commento delle risposte agli aspetti positivi questi operatori pensano che

vi siano dei loro colleghi che vendono merce scadente e questo dà un’immagine di

bassa qualità del mercato, tuttavia come vediamo questo pensiero non è dominante

anche se ovviamente va tenuto in considerazione, ma in generale è possibile affermare

che una buona parte degli operatori intervistati (il 31%) pensa che il mercato sia

caratterizzato dalla qualità dei prodotti posti in vendita. Il 6% del campione afferma che

il mercato non ha alcun aspetto negativo. Questa percentuale anche se non elevata va

considerata positivamente perché significa che il mercato ha caratteristiche tali che,

nell’opinione di questi venditori, non ci sia niente da modificare o di cui lamentarsi.

Riporto a tal proposito una dichiarazione spontanea di un venditore che mi ha molto

colpito: “Il mercato di via Paparelli a Pisa è uno dei migliori d’Italia non c’è niente che

vada modificato!”. Secondo me qualcosa da migliorare c’è, in primis maggiori controlli

da parte delle forze dell’ordine e una migliore organizzazione logistica per l’accesso al

mercato, tuttavia può essere considerato un buon mercato in termini di qualità e varietà

dell’offerta. Con il 4% delle risposte troviamo come aspetto negativo del mercato il

fatto che l’offerta non sia molto variegata. Questa opinione caratterizza, tuttavia, pochi

operatori che ritengono che il mercato stia subendo una progressiva omologazione della

merce posta in vendita. Le ultime posizioni della classifica degli aspetti negativi del

mercato sono ricoperte dalla poca convenienza economica e dalla troppa confusione che

caratterizza il mercato. Tuttavia queste posizioni sono del tutto marginali dato che

hanno entrambe una percentuale dell’1% e quindi è possibile affermare che non

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costituiscano aspetti negativi del mercato nell’opinione dei venditori. Per completezza

di trattazione riporto il fatto che nessun operatore ambulante abbia indicato tra gli

aspetti negativi del mercato il fatto di essere troppo dispersivo, che costituiva una delle

opzioni della domanda relativa ai suddetti aspetti. Per quanto riguarda differenze nelle

risposte derivanti dalle diverse caratteristiche demografiche, costituite da sesso e fasce

d’età, degli appartenenti al campione intervistato rilevo che non vi siano differenze

degne di nota da riportare nella trattazione in esame.

4.3.5- I miglioramenti da apportare al mercato

In questo paragrafo vengono descritte le tipologie di eventuali miglioramenti che gli

operatori ambulanti intervistati apporterebbero al mercato. Parlo di eventuali

miglioramenti perché prima di chiedere che tipo di miglioramenti i venditori

apporterebbero al mercato ho chiesto se, secondo la loro opinione, il mercato avesse

avuto bisogno di essere migliorato o meno. Di seguito riporto la tabella che indica come

gli operatori hanno risposto a questa prima domanda.

Tabella 18: opinione degli operatori intervistati in merito all'apporto di miglioramenti

al mercato

Apporterebbe miglioramenti? Percentuali

Sì 88

No 12

Totale 100

Come possiamo osservare l’88% degli operatori del mercato di via Paparelli

apporterebbero miglioramenti allo stesso mentre il restante 12% afferma che il mercato

va bene così com’è. Molto probabilmente questa risposta è dovuta al fatto che il

miglioramento deve far parte di ogni aspetto della vita delle persone, cioè qualunque

cosa si faccia per quanto sia fatta bene può sempre essere migliorata. In effetti pensando

in generale ai mercati c’è da dire che vi sono soprattutto dei problemi organizzativi e

non solo che li contraddistinguono e che prima o poi andrebbero risolti, come i

parcheggi in primis, l’installazione di coperture e il praticare maggiori controlli da parte

dei vigili urbani o delle forze dell’ordine per garantire maggior sicurezza e combattere

l’abusivismo. Di seguito riporto una tabella che illustra le principali tipologie di

miglioramenti che i venditori apporterebbero al mercato di via Paparelli.

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Tabella 19: Principali tipologie di miglioramenti che gli operatori intervistati

apporterebbero al mercato

Tipologia miglioramenti Percentuali

Parcheggio gratuito 23

Ampliamento parcheggi 22

Lotta all'abusivismo 19

Più controlli 16

Più promozione 16

Più sicurezza 15

Coperture con pannelli solari 12

Cambiare zona al mercato 9

Più promozione made in Italy 4

Più corse autobus 4

Come possiamo notare dalla tabella i miglioramenti principali da apportare al mercato

riguardano i parcheggi. Il 23% degli intervistati si auspicherebbe che l’attuale

parcheggio a pagamento situato a fianco al mercato sia posto gratuito almeno nei due

giorni di mercato e cioè il mercoledì e il sabato perché, secondo le dichiarazioni

spontanee degli intervistati, il parcheggio a pagamento scoraggia i consumatori a recarsi

al mercato ad acquistare. Potrebbe effettivamente essere una soluzione, ma sono

convinta che se il parcheggio venisse offerto gratuitamente nei giorni di mercato un

qualsiasi consumatore potrebbe parcheggiare la macchina per tutta la mattina solo per

fare pochi acquisti, mentre invece in questo modo più consumatori accedono al mercato

anche se per minor tempo. C’è da dire che effettivamente se l’amministrazione

comunale fosse d’accordo potrebbe provare a praticare questa soluzione nei giorni di

mercato e così i venditori potrebbero verificare se questo favorisca un aumento di

clientela o di scontrino medio, dovuto al fatto che se i consumatori hanno l’opportunità

di trascorre più tempo al mercato potrebbero acquistare più prodotti, oppure no. Legata

sempre alla questione parcheggi vi è la seconda tipologia di miglioramenti che i

venditori apporterebbero e cioè l’ampliamento degli stessi per consentire ad un maggior

numero di consumatori di poter venire al mercato o a coloro che attualmente lo

frequentano di poter parcheggiare la macchina in sicurezza e non in posti non consentiti

come il parcheggiare le auto nella strada che fiancheggia il mercato. Ritengo tuttavia

che questo tipo di miglioramento sia difficilmente praticabile nella zona in questione

dato che non vi è alcun posto disponibile per costruire ulteriori parcheggi, la soluzione

potrebbe essere quella di impiegare un maggior numero di autobus che si recano al

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mercato. In terza posizione troviamo la lotta all’abusivismo che secondo i venditori

intervistati dovrebbe essere più dura, ma soprattutto dovrebbe venir fatta come si deve.

Infatti come ho già ampliamente spiegato nel commento agli aspetti negativi del

mercato gli operatori lamentano l’assenza dei vigili urbani in tema di controlli tra

operatori ambulanti. Ritengo che l’amministrazione comunale debba prendere

seriamente in considerazione questo problema perché l’abusivismo non costituisce solo

un danno agli operatori regolari che devono sottostare alla concorrenza sleale praticata

dai venditori non titolari di licenza o con licenze non in regola, ma anche ai consumatori

che potrebbero acquistare merce di provenienza illecita o contraffatta senza saperlo. Gli

operatori dal canto loro non devono arrendersi e devono continuare a far presente la

situazione sia ai vigili urbani che all’amministrazione comunale. Sempre legata alla

questione della lotta all’abusivismo, tra i miglioramenti da apportare, nell’opinione dei

venditori ambulanti intervistati, vi è con il 16% il fatto che i vigili urbani mettano in atto

più controlli. I controlli che dovrebbero effettuare, nell’opinione degli operatori

intervistati, non sono solo legati all’accertamento di venditori abusivi, ma anche di

venditori che non sono in posizioni regolari come chi vende merce usata e non appone

alcun cartello che lo indichi e spaccia la merce come nuova. Altro miglioramento da

apportare al mercato è il fatto di renderlo più sicuro dai furti che si perpetuano non solo

a danno dei consumatori, ma anche a danno degli operatori. Come ho già spiegato nel

commento alla tabella sugli aspetti negativi, in questo caso sono le forze dell’ordine che

dovrebbero essere più presenti e l’amministrazione comunale dovrebbe fare pressione

affinché vengano effettuati giri di perlustrazione tra i banchi. Ci sono degli operatori

che si sono dotati di un sistema di videosorveglianza installato sui furgoni per prevenire

i furti o sgominare i ladri ed il mio parere è proprio quello di agire in questo senso se i

venditori riscontrano che nonostante le lamentele venga fatto ben poco. Con il 16%

delle risposte vi è la maggiore promozione del mercato stesso che, nell’opinione dei

venditori su area pubblica, l’amministrazione comunale dovrebbe effettuare. Secondo

questi venditori, dato che versano al Comune un importo per la concessione del suolo

pubblico, l’amministrazione comunale si dovrebbe far carico di una parte della

promozione del mercato stesso. Io ritengo che se in parte questa opinione può essere

accolta rimane il fatto che i maggior promotori del mercato dovrebbero essere i

venditori stessi. I mercati in generale peccano di una politica di marketing sia a livello

di mercato nel suo complesso che a livello di singolo banco. In quest’ultimo caso se

molti venditori sanno come promuovere il loro articolo esponendo i prezzi bene in vista,

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merce in modo ordinato e prevedendo la possibilità di effettuare pagamenti con i

moderni sistemi di pagamento come le carte di credito, altri hanno banchi che

presentano merce alla rinfusa oppure non disposta in modo ordinato e soprattutto

qualcuno sembra disinteressarsi del consumatore come se questo dovesse venire ad

acquistare per fargli un piacere e magari se ne stanno seduti a leggere il giornale.

Fortunatamente di questi ultimi casi ne ho visti pochi; certo è che ciascun venditore

dovrebbe adottare una buona politica di marketing per fidelizzare i suoi clienti ed inoltre

tutti gli operatori dovrebbero mettere a punto delle politiche per promuovere il mercato

nel suo insieme. In sesta posizione con il 12% delle risposte troviamo l’introduzione di

coperture con pannelli solari. Personalmente trovo che questa sia veramente una buona

idea; risolverebbe contemporaneamente il problema delle intemperie alquanto fastidiose

sia per i consumatori, che possono decidere di non recarsi addirittura al mercato o se vi

si recano comprano solo lo stretto necessario e se ne vanno, che per gli operatori, che

sono costretti ad andarsene se l’acqua rovina loro la merce oppure a lavorare in pessime

condizioni, ma soprattutto fornirebbe energia all’amministrazione comunale che

potrebbe utilizzarla a sua volta per gli operatori che necessitano del collegamento alla

rete elettrica oppure per altri scopi. Inoltre, costruire coperture con pannelli solari

avrebbe un costo ridotto per l’amministrazione comunale rispetto alla costruzione di

altri tipi di coperture. Sicuramente questa è una proposta che i commercianti ambulanti

dovrebbero fare all’amministrazione comunale. Al settimo posto con il 9% delle

risposte troviamo il cambiamento di zona in cui svolgere il mercato. Gli operatori che

hanno risposto in questo modo sostengono che il mercato si trova in una zona dove i

consumatori devono recarsi di proposito per venire ad acquistare e dati i problemi di

parcheggio che si riscontrano spesso rinunciano alla sua frequentazione. Sostengono che

il mercato dovrebbe tornare dove si trovava prima e cioè nella zona vicina alla Torre

pendente oppure spostarsi in Corso Italia perché, a detta di questi operatori, risultano

essere zone d’interesse turistico e quindi più frequentate non solo dai residenti ma anche

da turisti. Personalmente ritengo che se il mercato venisse spostato in centro città

probabilmente si verrebbe a creare una situazione di traffico insostenibile, la soluzione

sarebbe quella di potenziare le corse degli autobus ma soprattutto di creare punti di

collegamento tra il mercato e i siti turistici, per esempio pubblicizzando nelle guide la

possibilità di effettuare un giro al mercato nei giorni stabiliti, come è stato suggerito, tra

l’altro, da alcuni venditori ambulanti. Tra le ultime posizioni con il 4% delle risposte

troviamo una maggiore promozione del made in Italy e la possibilità per i consumatori

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di avere più corse degli autobus che si recano al mercato. Per quanto riguarda la

promozione del made in Italy come ho già commentato per la maggiore promozione

generale da effettuarsi nei riguardi del mercato, ritengo che siano i venditori a dover

fare principalmente la loro parte cercando di promuovere sia il mercato nel suo

complesso che i prodotti da loro posti in vendita e per quanto riguarda l’introduzione di

un numero maggiore di corse dell’autobus ritengo che sia una buona soluzione che

andrebbe a risolvere anche il problema della mancanza di sufficienti parcheggi. Per

completezza di trattazione citerò alcuni miglioramenti che il mercato dovrebbe avere

nell’opinione dei venditori ambulanti intervistati e che non ho riportato in tabella sia

perché presentavano percentuali inferiori al 4% sia perché rientravano parzialmente nei

miglioramenti già messi in evidenza. Tra i miglioramenti che presentano una

percentuale inferiore al 4% vi sono: un mantenimento migliore del piazzale dove si

svolge il mercato; gli operatori che hanno dato questa risposta lamentano un

collegamento ai servizi, come acqua, luce, rete fognaria, non sempre funzionante o

provvisorio; altro miglioramento da apportare è costituito da un migliore mantenimento

dei bagni pubblici che non sempre funzionano; poi vi è chi sostiene di introdurre servizi

di ristoro per i consumatori come bar, in questo modo secondo me si andrebbe

parzialmente a ricreare l’esperienza di consumo che i consumatori vivono nel momento

in cui decidono di recarsi ad un centro commerciale dato che anche qui vi sono punti di

ristoro come bar, ristoranti e sale gioco che fanno vivere al consumatore l’esperienza di

consumo nella sua totalità. Vi è inoltre chi sostiene che sia necessaria una maggiore

superficie di vendita per esporre i prodotti anche se ritengo che quest’ultimo

miglioramento sia poco auspicabile perché se questo venisse consentito sarebbero

necessari spazi veramente enormi per poter svolgere un mercato e ritengo che quello di

via Paparelli, in termini di spazi di vendita attribuiti ad ogni venditore, vada bene così

com’è; poi c’è chi sostiene che alcuni venditori debbano promuovere la merce in modo

migliore oppure chi afferma che sarebbe necessaria l’introduzione di una connessione

wi-fi in modo che i consumatori possano navigare in internet liberamente,

provvedimento necessario da parte dell’amministrazione comunale e che tra qualche

mese pare venga effettuato, dato che mi sono informata personalmente perché se vi

fosse stata questa possibilità avrei probabilmente effettuato le interviste con un IPad.

Infine, per quanto riguarda la differenza per sesso ed età delle risposte fornite non rilevo

aspetti degni di nota da segnalare.

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4.3.6- Il comportamento dei consumatori nel settore del commercio ambulante

4.3.6.1-Frequenza

In questo paragrafo viene evidenziato il numero di volte in cui i consumatori

appartenenti al campione intervistato si recano al mercato, andando ad evidenziare le

varie differenze tra sesso e fasce d’età e le professioni principali svolte dai consumatori

che lo frequentano.

Tabella 20: Percentuali relative al numero di volte in cui i consumatori si recano al

mercato

Frequenza mercato Percentuali

1-2 volte al mese 27

3-4 volte al mese 30

5-6 volte al mese 4

7-8 volte al mese 1

meno di una volta al mese 36

più di 8 volte al mese 2

Totale complessivo 100

Come possiamo notare dall’osservazione della tabella n.20, il mercato risulta essere un

canale distributivo importante per i consumatori visto che ben il 57% di essi vi si reca

dalle 1-2 volte al mese alle 3-4 volte al mese ed è un dato importante vista la periodicità

con cui si svolge. La percentuale di consumatori che si reca al mercato più di una volta

al mese sale inoltre al 64% se consideriamo anche coloro che si recano al mercato più di

5 volte al mese e molto probabilmente si tratta di persone che frequentano più di un

mercato a carattere periodico e che questi rappresentano la forma distributiva pressoché

esclusiva dei loro acquisti. Da notare che vi è anche un 36% appartenente al campione

intervistato che dichiara di recarsi al mercato meno di una volta al mese. Quest’ultima

percentuale è composta in prevalenza (30%) da persone di età compresa tra i 15 e i 34

anni e tra i 35 ei 54 anni suddivisi equamente tra uomini e donne. Quindi è una

differenza che non dipende né dal genere né dall’età ma molto probabilmente dal fatto

che le persone appartenenti a questo gruppo preferiscono scegliere altre forme

distributive per i loro acquisti piuttosto che recarsi al mercato. Infatti dalle dichiarazioni

spontanee degli intervistati è emersa proprio quest’ultima motivazione: “Vado poco al

mercato perché preferisco andare a fare acquisti nei negozi” oppure “Vado poco al

mercato perché per i miei acquisti mi reco al supermercato o al centro commerciale”.

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Andando ad analizzare le altre percentuali di frequentazione del mercato appartenenti al

campione intervistato, suddiviso per sesso e fasce d’età, si osservano i seguenti risultati:

del 27% che frequenta il mercato 1-2 volte al mese il 15% sono donne ed il 12%

uomini, quindi anche in questo caso non si riscontrano differenze sostanziali di genere.

C’è da dire che del 12% degli uomini che frequentano il mercato 1-2 volte al mese il 6%

è costituito da over 65 e questo perché gli uomini frequentano in generale il mercato

meno delle donne ma nel momento in cui vanno in pensione, visto che hanno più tempo

libero a disposizione e meno reddito spendibile, decidono di recarvisi. Il 30% del

campione intervistato che ha risposto che si reca al mercato 3-4 volte al mese è

composto pressoché equamente sia da donne (17%) che da uomini (13%) con una

leggera prevalenza delle donne visto che frequentano il mercato più degli uomini, e da

persone appartenenti alle classi d’età 35-54 anni, 55-65 anni e over 65. Per queste

persone il mercato rappresenta sicuramente un valido luogo in cui effettuare gli acquisti

dato che vi si recano dalle 3 alle 4 volte al mese. Il 4% del campione che ha risposto che

si reca al mercato dalle 5 alle 6 volte al mese è composto per il 2% da donne over 65 e

per il restante 2% da uomini appartenenti alla stessa fascia d’età. Circostanza che molto

probabilmente si spiega con il fatto che la categoria dei pensionati sia per motivazioni di

reddito che di maggior tempo libero a disposizione si reca maggiormente al mercato

rispetto ad altre categorie di persone. Infine una considerazione in merito alla classe

d’età 15-34 anni appartenente al campione intervistato. Tale classe d’età rappresenta

una quota del 23% sul totale del campione e ben il 15% degli appartenenti a questa

classe ha dichiarato che si reca al mercato meno di una volta al mese. Molto

probabilmente i giovani non si recano spesso al mercato per motivi di studio o di lavoro,

ma anche durante il tempo libero preferiscono svolgere altri tipi di attività piuttosto che

fare un giro al mercato anche solo per andare a curiosare o a trascorrere il tempo. Le

donne sono più favorevoli a trascorre una giornata in centro nei negozi piuttosto che

andare al mercato, perché più attratte, secondo me, dalle politiche di prodotto e di marca

messe in atto dalle aziende di abbigliamento anche se non di alta marca, come Zara o

H&M. Queste aziende infatti si ispirano alle passerelle delle grandi marche per creare le

loro collezioni o creano con queste collaborazioni temporanee ma soprattutto

propongono abiti e accessori al pubblico a costi contenuti. Per gli operatori ambulanti

diventa quindi essenziale adottare strategie di marketing che riescano ad attrarre queste

consumatrici che a parità di prezzo scelgono la grande catena piuttosto che il banco del

mercato. I venditori su area pubblica potrebbero creare “un giornale del mercato” in cui

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ciascuno pubblicizza il prodotto messo in vendita e distribuirlo al mercato ai vari

consumatori. Ma ovviamente non basta solo fare pubblicità; gli operatori dovrebbero far

capire al consumatore che cosa caratterizza il prodotto da loro posto in vendita. Ad

esempio un venditore che vende scarpe caratterizzate da un’alta qualità perché

realizzate a mano in vero cuoio o vera pelle o con un buon sistema di traspirazione

dovrebbe enfatizzare quest’aspetto e magari evidenziare che anche se non è una scarpa

di marca la sua qualità è buona e che marca non sempre è sinonimo di qualità. Quindi

per i venditori diventa essenziale sia impostare un’adeguata politica di marketing a

livello singolo ma soprattutto a livello globale perché questo potrebbe essere un modo

per cercare di contrastare la concorrenza delle grandi catene. Per gli uomini vale in parte

lo stesso discorso fatto per le donne, anche se meno interessati in generale

all’abbigliamento rispetto alle donne, se devono acquistare un capo di abbigliamento

raramente si recano al mercato, visto che lo frequentano ancor meno delle donne, quindi

gli operatori dovrebbero tentare di attirare anche questa fascia di consumatori.

4.3.6.2-Tipologie di consumatori che si recano al mercato

Nella tabella che segue metterò in evidenza le principali professioni svolte dai

consumatori che frequentano il mercato andando anche ad analizzare se la professione

svolta incida sulla sua frequentazione.

Tabella 21: Percentuali relative alla tipologia di lavoro svolto dai consumatori che

frequentano il mercato

Professione Percentuali

Pensionato/a 25

Studente/studentessa 18

Operaio/a 14

Casalinga 12

Impiegato/a 12

Insegnante 5

Altro (dettaglio specificato nel commento alla tabella) 5

In cerca di occupazione 3

Artigiano/a 2

Commerciante 2

Libero professionista 2

Totale 100

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109

Dalla lettura della tabella n.21 è possibile affermare che, come evidenziato anche dalla

ricerca svolta a livello nazionale dalla Fiva Confcommercio52

, al mercato si riproduce

uno spaccato d’Italia ed infatti viene frequentato da un insieme di persone che va dal

libero professionista al pensionato o all’operaio. Tuttavia è ancora oggetto principale di

frequentazione da parte di alcune categorie. Relativamente al campione intervistato la

principale categoria che frequenta il mercato è costituita dai pensionati. Questo molto

probabilmente è dovuto al fatto che sono le persone con maggior tempo libero e dato

che molti mercati, specie nei centri minori, hanno una cadenza infrasettimanale è

normale che le persone appartenenti a questa categoria siano più presenti delle altre.

Inoltre i pensionati sono anche le persone che dispongono di meno reddito e quindi

trovano più conveniente recarsi al mercato rispetto ad altri e per finire molti di loro

hanno ridotte capacità di guida o addirittura viene tolta loro la patente e quindi sono

quasi obbligati a recarsi al mercato per i loro acquisti. In seconda posizione troviamo gli

studenti con il 18% degli appartenenti al campione intervistato. Tuttavia c’è da dire che

questa percentuale va ridimensionata perché l’11% di essi frequenta il mercato meno di

una volta al mese e questo è dovuto, come ho già ampiamente spiegato nel paragrafo

precedente, al fatto che molti di essi sono impegnati durante la settimana in attività di

studio e quindi se i mercati si svolgono in giorni infrasettimanali non possono

frequentarli, ma anche al fatto che risultano più attratti dalle politiche di marca e di

prodotto delle catene a basso costo piuttosto che dal mercato. Al terzo posto troviamo la

categoria degli operai con il 14% delle persone appartenenti al campione. Questa

posizione è dovuta al fatto che gli operai così come i pensionati sono le persone che

avendo un reddito medio-basso effettuano i loro acquisti presso forme distributive

caratterizzate dalla convenienza economica, tra le quali rientrano anche i mercati. C’è

da dire che grazie ai mercati anche le categorie sociali meno abbienti possono rendere i

loro acquisti caratterizzati oltre che dalla convenienza anche dalla qualità perché al

mercato si trovano non di rado beni caratterizzati da un buon rapporto qualità-prezzo.

Al quarto posto troviamo casalinghe e impiegati entrambi con il 12% degli appartenenti

al campione intervistato. Per quanto riguarda le casalinghe il loro recarsi al mercato è

dovuto come per i pensionati alla notevole quantità di tempo libero che hanno a

disposizione e al minor reddito che hanno a disposizione rispetto ad altre categorie di

lavoratori. Anzi nel caso delle casalinghe il reddito che hanno a disposizione deriva da

52

http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp

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quello che lascia loro il marito per effettuare gli acquisti e specialmente se hanno figli a

carico il mercato risulta essere la forma distributiva principale in cui effettuare gli

acquisti. Per quanto riguarda la categoria degli impiegati vale il discorso effettuato in

parte per gli operai e cioè trattasi di una categoria che presenta un reddito non elevato e

quindi il mercato rappresenta una delle forme distributive principali in cui effettuare gli

acquisti. In quinta posizione troviamo gli insegnanti con il 5% e la categoria residuale

altro anch’essa caratterizzata dalla medesima percentuale di appartenenti al campione

intervistato. Per quanto riguarda gli insegnanti, notiamo che per quanto non disdegnino

il mercato si rivolgano senza dubbio anche ad altre forme distributive, la categoria

“altro” invece presenta una percentuale del 5% solo perché è composta da mestieri non

presenti tra quelli previsti e non perché vi sia una prevalenza di un determinato

mestiere. Tra le professioni presenti in questa categoria rientrano: collaboratrice

domestica, infermiera, coltivatrice diretta, strumentista di sala operatoria e tecnico

industriale. Con posizioni inferiori al 5% degli appartenenti al campione intervistato

abbiamo coloro che sono in cerca di occupazione, gli artigiani, i commercianti e i liberi

professionisti. Hanno percentuali irrisorie perché nel caso di coloro che sono in cerca di

occupazione probabilmente la loro giornata si svolge cercando un lavoro più che

gironzolando per fare acquisti o una passeggiata, mentre nel caso delle ultime tre

categorie probabilmente la minor frequentazione del mercato è dovuta alla preferenza di

altre forme distributive. Per quanto riguarda differenze di minore o maggiore

frequentazione del mercato dovute alla professione svolta, l’unica categoria che

presenta un’elevata percentuale (11%) di bassa frequenza del mercato e cioè lo

frequenta meno di una volta al mese è rappresentata dagli studenti che nonostante

costituiscano il 18% del campione intervistato non possono considerarsi assidui

frequentatori per i motivi già ampiamente evidenziati.

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111

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

per fare acquisti

mirati

per curiosare e se

c'è qualcosa che

le piace

acquistare

per

svagarsi/passare il

tempo

altro (dettaglio

specificato nel

commento al

grafico)

per socializzare

Grafico 12: Percentuali relative alle motivazioni di frequenza del

mercato

4.3.6.3-Perché i consumatori si recano al mercato

Come è possibile osservare dal grafico, le motivazioni principali che portano i

consumatori a recarsi al mercato rispettivamente con il 53% ed il 49% delle risposte

sono costituite dall’effettuare acquisti mirati e dal curiosare tra i banchi e se c’è

qualcosa che piace acquistarlo. Molto probabilmente coloro che si recano al mercato

partono sicuramente con l’intenzione di effettuare determinati tipi di acquisti

specialmente quelli di tipo alimentare come frutta e verdura, ma una volta che sono al

mercato molto probabilmente acquisteranno anche qualcosa che non avevano

programmato come una borsa a buon prezzo per esempio. Al terzo posto troviamo con il

29% delle risposte coloro che si recano al mercato per svagarsi o passare il tempo.

Come evidenziato anche nella ricerca della Fiva Confcommercio53

il mercato non è solo

un luogo in cui acquistare ma anche un luogo piacevole in cui si può trascorrere una

giornata all’aria aperta ed in allegria grazie alle simpatiche grida dei venditori e girando

qua e là tra i banchi. L’8% del campione mette in risalto altre motivazioni rispetto a

quelle da me previste nel questionario. Interessante notare che di questo 8%, il 7% è

composto da persone che hanno risposto che si recano al mercato per risparmiare.

Quindi la convenienza economica, oltre ad essere uno dei principali aspetti positivi che

caratterizza il mercato è anche una motivazione che spinge alla sua frequentazione. Solo

53

http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp

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112

il 4% dei consumatori intervistati afferma che si reca al mercato per socializzare ed è

costituito da persone oltre i 65 anni, che probabilmente vanno al mercato per incontrare

loro coetanei e trascorre qualche ora in compagnia visto che possono effettuare solo

brevi spostamenti a causa della mancanza di patente di guida, perché magari è stata loro

tolta, o perché non se la sentono di effettuare lunghi spostamenti per andare a fare gite

fuori porta sempre a causa delle carenze fisiche dovute all’età. Per quanto riguarda

differenze nelle risposte dovute al sesso e alle fasce d’età dei consumatori merita

segnalare che la percentuale del 53% relativa al recarsi al mercato per effettuare acquisti

mirati è rappresentata per il 23% da donne e per il 30% da uomini entrambi suddivisi

pressoché equamente per fasce d’età. Questo è dovuto al fatto che probabilmente gli

uomini in generale sono meno predisposti agli acquisti non programmati rispetto alle

donne e se si recano al mercato lo fanno per acquistare prodotti ben precisi e pianificati

già prima della partenza. Per quanto riguarda differenze nelle risposte in base alla

professione non si segnalano particolarità.

4.3.6.4-Gli aspetti positivi del mercato

Tabella 22: Aspetti positivi che il mercato possiede nell'opinione dei consumatori

intervistati

Aspetti positivi Percentuali

La convenienza economica 64

La possibilità di avere un'offerta variegata 48

Freschezza e genuinità dei prodotti alimentari 42

Qualità dell'offerta 28

Il rapporto umano che si instaura con l'ambulante 17

La possibilità di toccare la merce 14

Altro (dettaglio specificato nel commento alla tabella) 1

Non ha alcun aspetto positivo 1

In questo paragrafo vengono evidenziati gli aspetti positivi che i consumatori pensano il

mercato possa avere. Come vediamo, al primo posto si trova la convenienza economica,

risultato pressoché fisiologico visto che il mercato è una delle forme distributive

simbolo della convenienza economica, dato che a causa dei non eccessivi costi che gli

operatori ambulanti sostengono per effettuare la loro attività possono proporre ai

consumatori prezzi più bassi per le stesse tipologie di prodotti che questi troverebbero in

un negozio tradizionale. Inoltre la convenienza economica risulta una delle motivazioni

per la frequentazione del mercato da parte dei consumatori, come evidenziato nel

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relativo paragrafo. Quest’aspetto possiamo affermare che rivesta la prima posizione

anche a livello nazionale come conferma la ricerca condotta dalla Fiva

Confcommercio54

. Infatti la convenienza dei prezzi risulta essere uno dei motivi più

forti di richiamo per la frequentazione del mercato con il 57,8% delle preferenze a

livello nazionale. In seconda posizione con il 48% delle preferenze troviamo la

possibilità di avere un’offerta variegata, come aspetto positivo del mercato. Anche

questo fattore è di forte richiamo per i consumatori dato che in un solo luogo è possibile

trovare dai generi alimentari all’abbigliamento, agli articoli per la casa e così via.

Proprio per questo motivo i venditori su area pubblica dovrebbero cercare di

differenziare il più possibile la loro offerta, soprattutto quelli che offrono la stessa

tipologia di prodotto, perché altrimenti il consumatore potrebbe rischiare di percepire

una progressiva omologazione dei beni rivolgendosi ad altre forme distributive. Anche

quest’aspetto risulta confermato a livello nazionale dalla ricerca condotta dalla Fiva

Confcommercio con il 45% delle risposte55

. Al terzo posto troviamo, tra gli aspetti

positivi, la freschezza e genuinità dei prodotti alimentari con il 42% delle risposte.

Sicuramente i consumatori che hanno dato questa risposta sono rimasti molto soddisfatti

dall’acquisto dei generi alimentari che hanno provato, trovandoli freschi e genuini;

questo indica che il mercato possiede beni alimentari di ottima qualità. In quarta

posizione con il 28% delle risposte troviamo che il mercato possiede un’offerta

merceologica di qualità. Questa percentuale è notevolmente inferiore rispetto a quella

relativa alla convenienza economica, che è pari al 64%, tuttavia non può considerarsi

irrisoria e quindi è possibile affermare che per quanto il fattore di richiamo principale

sia costituito dalla convenienza, sicuramente anche la qualità è un aspetto da non

sottovalutare e gli operatori ambulanti dovrebbero cercare di offrire prodotti aventi tale

peculiarità e utilizzarla come punto di differenziazione, unita ad un prezzo modico,

rispetto ai negozi tradizionali e alla grande distribuzione. In quinta posizione con il 17%

delle risposte vi è il rapporto umano che s’instaura con i venditori ambulanti. E’

possibile affermare che quest’aspetto è un elemento unico che caratterizza i mercati,

dato che sia nella grande distribuzione che nei negozi tradizionali raramente s’instaura

con i venditori un rapporto che va al di là di quello commerciale. In sesta posizione

troviamo la possibilità di toccare la merce con il 14% delle preferenze espresse. Per

54

http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp 55 http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp

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quanto quest’aspetto sia sicuramente da considerarsi degno di nota, tuttavia non è così

importante come i venditori ambulanti pensano, perché ormai la possibilità di toccare la

merce non è esclusiva dei mercati, ma è possibile sia nei negozi tradizionali che nei

centri commerciali, anche se al mercato vi sono sicuramente meno restrizioni. Per

completezza di trattazione ho inserito in tabella anche le ultime posizioni della

classifica, espresse dai consumatori intervistati, che riguardano la categoria residuale

“altro” e la possibilità che il mercato per i consumatori non abbia alcun aspetto positivo.

Nel primo caso con l’1% delle risposte vi è il fatto che il mercato come aspetto positivo

abbia la possibilità di trascorre una giornata all’aria aperta e sempre con la stessa

percentuale vi è un consumatore che ha affermato che il mercato non ha alcun aspetto

positivo. Per questo individuo il mercato offre beni di scarsa qualità a prezzi non poi

così bassi; per questo motivo non acquista alcun prodotto al mercato e se vi si reca lo fa

soltanto per svagarsi o passare il tempo. Tuttavia c’è da dire che questa posizione non

rispecchia il pensiero maggioritario dei consumatori intervistati e quindi può essere

trascurata. Per quanto riguarda differenze di risposte in base al sesso e alle fasce d’età

caratterizzanti i consumatori intervistati, si nota che non vi sono differenze rilevanti in

base alle fasce d’età mentre per quanto riguarda il sesso osserviamo la seguente

situazione: l’aspetto della convenienza economica è maggiormente sentito dalle donne

(35%) rispetto agli uomini (29%), probabilmente perché gli uomini sono meno sensibili

a questo aspetto e quindi più “spendaccioni”; la qualità dell’offerta è un aspetto più

sentito dalle donne (16%) rispetto agli uomini (12%), molto probabilmente a causa del

fatto che le donne sono più sensibili all’aspetto qualità sia dei beni alimentari che

dell’abbigliamento; il rapporto umano che si instaura con l’ambulante invece risulta

essere un aspetto molto più sentito dagli uomini (12%) che non dalle donne (5%),

probabilmente a causa del fatto che gli uomini dato che si recano al mercato meno delle

donne quando decidono di farlo è anche per scambiare due chiacchiere con i venditori

più che per acquistare, mentre le donne sono più interessate all’aspetto commerciale del

mercato; la possibilità di toccare la merce è anch’esso un aspetto più sentito dagli

uomini (10%) che non dalle donne (4%), probabilmente a causa del fatto che le donne

trovano più fastidioso che altri consumatori tocchino la merce o la provino in

continuazione perché potrebbero danneggiarla a scapito della qualità, mentre gli uomini

sono meno interessati a quest’aspetto e preferiscono toccare e provare con mano ciò che

andranno ad acquistare ed inoltre quest’aspetto li fa sentire partecipanti attivi della loro

esperienza di consumo. Per quanto riguarda differenze nelle risposte dovute alla

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115

professione svolta dai consumatori non si rilevano differenze degne di nota da

segnalare.

4.3.6.5-Gli aspetti negativi del mercato

Tabella 23: Aspetti negativi che il mercato possiede nell'opinione dei consumatori

intervistati

Aspetti negativi Percentuali

Difficoltà nel trovare parcheggio/di accesso al mercato 37

C'è troppa confusione 25

Non ha alcun aspetto negativo 20

Ci sono ambulanti abusivi 13

C'è poca sicurezza (per esempio furti) 10

L'offerta non è di qualità 9

E' troppo dispersivo 7

Poca convenienza economica 7

L'offerta non è molto variegata 4

Altro (dettaglio specificato nel commento alla tabella) 4

La tabella n.23 evidenzia gli aspetti negativi che il mercato possiede nell’opinione dei

consumatori intervistati. Al primo posto con il 37% delle indicazioni vi è la difficoltà di

trovare parcheggio/accesso al mercato. Dato alquanto fisiologico, visto che questo

risulta essere un problema abbastanza comune dei mercati; tuttavia la soluzione più

auspicabile per risolverlo sarebbe, nella mia opinione, quella di incentivare i

consumatori all’uso dei mezzi pubblici o dove possibile costruire aree di parcheggio.

Tuttavia nel caso del mercato di via Paparelli la soluzione più raccomandata sarebbe

quella di aumentare il numero di corse degli autobus. Al secondo posto con il 25% delle

risposte, i consumatori lamentano la troppa confusione che il mercato presenta. Questo

aspetto è dovuto al fatto che i mercati, specie quelli periodici, si svolgono poche volte

durante la settimana e quindi durante questi giorni sono molto affollati e specialmente in

alcuni banchi si assembrano molte persone e questo può dare un senso di fastidio al

consumatore che non riesce a concentrarsi nella scelta del prodotto oppure anche se

decide di provarlo lo fa con difficoltà. Tuttavia questo problema secondo me appare

difficilmente risolvibile; una soluzione potrebbe essere quella di creare maggiore

distanza tra un banco e l’altro e creare corridoi interni più spaziosi, ma tutto questo

dipende dalla zona in cui è situato il mercato e molto spesso questo problema si presenta

un po’ dappertutto, è una caratteristica intrinseca del mercato. Interessante notare che in

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terza posizione con il 20% delle risposte vi è il fatto che il mercato non presenti alcun

aspetto negativo. Dato da interpretare molto positivamente perché mette in evidenza la

notevole importanza che il mercato riveste nelle scelte di consumo degli individui.

Importanza non solo dovuta alla convenienza economica ma anche all’insieme di altre

caratteristiche che il mercato possiede come la qualità dei prodotti offerti, la freschezza

e genuinità dei beni alimentari, la varietà dell’offerta ed il rapporto umano che si

instaura con i venditori. Al quarto posto nella classifica troviamo con il 13% delle

risposte, la presenza di operatori ambulanti abusivi. I consumatori che hanno dato

questa risposta molto probabilmente ritengono, a ragion veduta, che questi operatori

sottraggano ingiustamente clienti e quindi possibilità di guadagno ai venditori con

regolare licenza; inoltre proprio a causa della loro mancata regolarità possono porre in

vendita prodotti di provenienza illecita o dannosi per il consumatore. Questo aspetto

merita una maggior attenzione, come ho già ampiamente spiegato nel paragrafo

riguardante le opinioni espresse dagli operatori ambulanti in merito agli aspetti negativi

del mercato, sia da parte delle forze dell’ordine che da parte dell’amministrazione

comunale, che dovrebbe agire più duramente nei loro riguardi. Al quinto posto troviamo

con il 10% delle risposte la mancanza di sicurezza come i furti che i consumatori

possono subire. Anche questo aspetto così come il precedente meriterebbe una

maggiore considerazione da parte di tutte le autorità interessate che dovrebbero far di

più per garantire la sicurezza dei cittadini e cercare di intensificare i controlli. Secondo

me basterebbe anche qualche giro di perlustrazione da parte delle forze dell’ordine o

anche solo dei vigili per scoraggiare i malfattori. Con il 9% delle risposte appartenenti

al campione troviamo tra gli aspetti negativi del mercato il fatto che l’offerta proposta

dagli operatori non sia di qualità. Molto probabilmente ci sono venditori ambulanti che

propongono merce di bassa qualità e per questo motivo gli altri venditori dovrebbero

puntare sulla qualità dei loro prodotti per attrarre un maggior numero di clienti e far

capire loro che la qualità caratterizza il mercato ed è qui che entrano in gioco le

politiche di marketing che ciascun operatore dovrebbe mettere in atto. Al settimo posto

con il 7% delle risposte, troviamo il fatto che il mercato sia troppo dispersivo e che non

abbia un’elevata convenienza economica. Relativamente al primo aspetto c’è poco da

fare, anche se alcuni mercati, specie quelli dei grandi centri urbani, possono

effettivamente dare l’impressione di essere troppo dispersivi tuttavia l’unica soluzione

sarebbe quella di spostarli in una zona più grande dove i banchi possono venir disposti

in modo da dare un’impressione maggiore di ordine ma certo è che i Comuni spesso non

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presentano aree di dimensioni tali da consentire uno svolgimento dei mercati

caratterizzato da ordine e tranquillità e poi si potrebbero presentare problemi di

congestione del traffico. L’aspetto della mancanza di convenienza economica andrebbe

tenuto in considerazione da parte degli operatori ambulanti che, se possibile, potrebbero

o ridurre i prezzi o cercare di vendere beni di qualità superiore oppure far capire al

consumatore che il mercato è conveniente e offre, la maggior parte delle volte, beni di

qualità media o medio-alta che hanno un buon rapporto qualità-prezzo. Nelle ultime

posizioni con il 4% delle risposte, troviamo la mancata varietà dell’offerta e la categoria

residuale “altro”. Per quanto riguarda il primo aspetto i consumatori che hanno risposto

in questo modo sicuramente trovano che i venditori su area pubblica propongono un po’

tutti la stessa merce ed in questo caso, come ho già affermato nel paragrafo riguardante

gli operatori, questi ultimi dovrebbero tentare di differenziarla il più possibile per non

cadere nell’omologazione dell’offerta. Tuttavia la percentuale risulta alquanto bassa per

cui è certamente possibile affermare che il mercato presenta, nell’opinione dei

consumatori, un’offerta variegata. Nella categoria residuale “altro” troviamo i seguenti

aspetti negativi che rivestono però una posizione marginale: cani in giro che sporcano,

per risolvere questo problema secondo me basterebbe che il proprietario del cane si

portasse appresso una paletta e un sacchetto e così nel caso in cui l’animale dovesse

provvedere ai suoi bisogni non ci sarebbe sporco in giro, insomma basterebbe un po’

più di civiltà da parte dell’uomo; cinesi che vendono merce scadente, trovo che questo

non sia solo un problema di nazionalità del venditore e per questo basterebbe che il

consumatore lo facesse presente al venditore, per vedere se questo varia la sua offerta,

oppure semplicemente basterebbe che il consumatore si rivolgesse a venditori che

hanno merce di qualità; intemperie, in questo caso basterebbe installare coperture per

consentire ai consumatori di poter venire al mercato anche con il maltempo e dal canto

loro i consumatori potrebbero far pressione sulle amministrazioni comunali per cercare

di pervenire alla loro installazione. Per quanto riguarda differenze nelle risposte, relative

agli aspetti negativi che il mercato presenta, dovute a sesso e fasce d’età degli

appartenenti al campione intervistato si evidenziano i seguenti aspetti: l’aspetto

negativo della troppa confusione che si trova sui mercati risulta essere più sentito dalle

donne (17%) che dagli uomini (8%), questo probabilmente è dovuto al fatto che le

donne sono meno tolleranti in generale alla confusione e al caos rispetto agli uomini; il

fatto che il mercato non abbia alcun aspetto negativo risulta essere maggiormente vero

per gli uomini (12%) che per le donne (8%), probabilmente perché gli uomini sono

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Grafico 13: Percentuali relative ai prodotti acquistati al mercato da parte dei consumatori intervistati

meno critici delle donne e accettano di più ciò che viene loro proposto; la percezione

dell’abusivismo sul mercato è più sentita dagli uomini (9%) che non dalle donne (4%),

probabilmente a causa del fatto che le donne sono più indirizzate verso il prodotto e non

si preoccupano più di tanto di chi lo vende. Infine per quanto riguarda la professione

svolta dagli intervistati non si riscontrano differenze nelle risposte da questa derivanti.

4.3.6.6-I prodotti acquistati dai consumatori ed il grado d’importanza da essi rivestito

In questo paragrafo metterò in evidenza quali sono i principali prodotti che i

consumatori decidono di acquistare al mercato, cercando di spiegare perché un prodotto

venga acquistato in misura maggiore rispetto ad un altro ed analizzerò il grado

d’importanza in termini monetari rivestito dai prodotti acquistati e cioè quelli a cui i

consumatori dedicano una parte maggiore del reddito relativo agli acquisti da effettuare

al mercato. Cercherò anche di spiegare se differenze di sesso, fasce d’età o professione

incidano sull’acquisto di determinati prodotti o meno. Di seguito è riportato il grafico

che indica le percentuali relative ai prodotti acquistati dai consumatori al mercato.

Come è possibile osservare dal grafico n.13 i prodotti più acquistati sono la frutta e la

verdura con il 75% delle risposte. Molto probabilmente questa elevata percentuale è

dovuta al fatto che i consumatori, come evidenziato nel paragrafo precedente, ritengono

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119

che i prodotti alimentari venduti sul mercato abbiano un’elevata qualità specialmente la

frutta e la verdura vista la percentuale relativa al suo acquisto. L’acquisto di frutta e

verdura risulta essere predominante per uomini e donne con più di 35 anni. Infatti, i

giovani se si recano al mercato lo fanno per acquistare altre tipologie di beni, in primis

abbigliamento e accessori, anche perché all’acquisto di frutta e verdura spesso

provvedono per loro i genitori. In seconda posizione con il 58% delle risposte, troviamo

l’abbigliamento e accessori. Insieme agli acquisti di frutta e verdura, gli acquisti relativi

all’abbigliamento risultano essere una componente importante caratterizzante il

“paniere” del consumatore. Questa tipologia di prodotto risulta essere acquistata

trasversalmente da uomini e donne di fasce d’età diverse aventi differenti professioni.

L’abbigliamento che viene offerto al mercato è caratterizzato spesso da un buon livello

di qualità a un prezzo inferiore rispetto a quello che viene proposto nei negozi

tradizionali ed inoltre è possibile trovare articoli che rispecchiano le tendenze del

momento ed i venditori dovrebbero valorizzare queste peculiarità attraverso una

maggiore promozione dei loro prodotti per cercare di attrarre i consumatori che non

prendono in considerazione gli acquisti al mercato perché li reputano solo convenienti

ma di bassa qualità o semplicemente non riconoscono nel prodotto quell’appeal che

trasmette loro una marca nota. Al terzo posto troviamo con il 30% delle preferenze

l’acquisto di calzature. Anche per questa tipologia d’articolo vale in parte il discorso

fatto per l’abbigliamento e cioè che molti operatori ambulanti offrono calzature di

buona qualità, per esempio realizzate in vera pelle o cuoio, caratterizzate da prezzi

modici in rapporto alla qualità offerta e queste caratteristiche andrebbero maggiormente

pubblicizzate ai consumatori. Tuttavia la percentuale che ha risposto che acquista

questo tipo di prodotto non è affatto irrisoria, segno che probabilmente i consumatori

riconoscono queste caratteristiche a questa tipologia di prodotto nel momento in cui

decidono di acquistarla. Mentre non si riscontrano differenze relative all’acquisto di

calzature per professione e fascia d’età, per quanto riguarda il sesso questa tipologia di

prodotto risulta essere preferita dalle donne (17%) rispetto agli uomini (13%).

Probabilmente questo risultato è spiegabile semplicemente per una maggior

predilezione delle donne nei riguardi delle calzature rispetto agli uomini. In quarta

posizione con il 22% delle risposte troviamo il pesce. Questo tipo di bene alimentare

risulta essere molto apprezzato dai consumatori specialmente per la sua freschezza

come emerge anche da alcune dichiarazioni spontanee emerse durante l’intervista:

“Vengo al mercato soprattutto per comprare il pesce, come si trova qui da nessuna

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parte!”. Questo acquisto risulta essere preferito da uomini e donne dai 35 anni in su

perché, come ho già affermato per la frutta e la verdura, agli acquisti alimentari per i

giovani provvedono molto spesso i genitori. Non si riscontrano differenze nell’acquisto

di questo prodotto alimentare dovute alla professione svolta dai consumatori. Al quinto

posto con il 19% delle risposte troviamo gli articoli per la casa. Pur non occupando le

prime posizioni della classifica questa tipologia di prodotto è sicuramente apprezzata

dai consumatori che decidono di acquistare i prodotti ad essa appartenenti soprattutto

perché presentano prezzi modici. Gli articoli per la casa risultano essere acquistati sia da

uomini che da donne che si recano al mercato ma con delle differenze nelle classi d’età;

mentre infatti le donne appartenenti a tutte le fasce d’età decidono di acquistare questa

tipologia d’articolo, per quanto riguarda gli uomini la classe d’età 15-34 anni risulta

essere del tutto disinteressata a questo tipo d’acquisto. Non si riscontrano differenze

dovute alla professione in merito a questo tipo d’acquisto. Con il 18% delle preferenze

troviamo i salumi e i formaggi. I consumatori che hanno indicato di acquistare questa

tipologia di bene alimentare molto probabilmente ne riconoscono la genuinità come

affermato anche tra gli aspetti positivi inerenti ai beni alimentari. I salumi e formaggi

risultano essere acquistati trasversalmente da uomini e donne dai 35 anni in su senza

distinzione di professione. L’unica categoria che acquista poco questo prodotto sul

mercato è costituita dai giovani per la cause già messe in evidenza per altre tipologie di

beni. Anche i fiori e le piante risultano essere un articolo che riveste interesse per il

consumatore; infatti nonostante occupi la penultima posizione della classifica ha

comunque un buon 12% di preferenze. Molto probabilmente i consumatori che

decidono di acquistare fiori e piante al mercato lo fanno per motivazioni di maggior

convenienza economica rispetto ai negozi tradizionali perché a livello di qualità non vi

sono notevoli differenze. Per quanto riguarda differenze di sesso ed età relative

all’acquisto di questo prodotto vediamo che risulta non essere acquistato dai giovani sia

uomini che donne aventi dai 15 ai 34 anni. Neanche per questa tipologia di prodotto si

riscontrano differenze nell’acquisto dovute alla professione svolta dagli appartenenti al

campione. Il 4% del campione ha dichiarato di non effettuare alcun acquisto al mercato.

Questi individui sono sia uomini che donne appartenenti alle classi d’età 15-34 anni, 35-

54 anni e over 65. Tra le motivazioni inerenti al non acquisto vi sono le seguenti: il fatto

che al mercato vi sia troppa confusione e caos e questo non consente di scegliere i

prodotti con adeguata calma e ponderazione; un altro consumatore invece lamenta

problemi d’igiene dovuti al fatto che la merce, soprattutto quella alimentare, venga

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toccata troppo; poi vi è chi preferisce i negozi tradizionali per effettuare gli acquisti e

chi lamenta un cattivo rapporto qualità-prezzo relativamente al comparto non

alimentare. Per quanto riguarda il primo aspetto come ho già ampiamente evidenziato

nel paragrafo relativo agli aspetti negativi del mercato sicuramente non c’è molto da

poter fare per risolverlo se non spostare i mercati in zone molto grandi dove vi possa

essere uno spazio maggiore tra un banco e l’altro e corridoi più grandi in cui i

consumatori possono camminare, ma raramente le amministrazioni comunali

dispongono di queste aree e anche se ne disponessero si potrebbero venire a creare

problemi di congestione del traffico maggiori. Per quanto riguarda la preferenza

espressa per i negozi tradizionali sicuramente è una posizione marginale, però i

venditori dovrebbero tramite apposite politiche di marketing mettere in evidenzia ciò

che li caratterizza e differenzia da questi per cercare di attrarre un maggior numero di

consumatori. Il rapporto qualità/prezzo non buono come motivazione al non acquisto

potrebbe essere preso in considerazione dai venditori ambulanti come stimolo per

migliorare la qualità dei beni offerti, tuttavia anche questa è una posizione minoritaria

che va tenuta in considerazione ma non rispecchia il pensiero maggioritario dei

consumatori che ritengono che sul mercato vi siano prodotti di qualità offerti ad un

giusto prezzo. Adesso presenterò tre tabelle che indicano rispettivamente le percentuali

relative ai beni che occupano il primo, il secondo ed il terzo posto in termini

d’importanza monetaria per i consumatori intervistati.

Tabella 24: Percentuali relative ai beni che occupano il primo posto per importanza

monetaria

Primo posto Percentuali

Alimentari (frutta e verdura) 58

Abbigliamento e accessori 28

Alimentari (pesce) 6

Articoli per la casa 2

Calzature 1

Fiori e piante 1

Questa tabella indica i beni che nell’opinione dei consumatori intervistati occupano il

primo posto in termini d’importanza monetaria nei loro acquisti al mercato, cioè quei

beni ai quali dedicano una parte maggiore del budget complessivo che decidono di

spendere al mercato. Come possiamo notare il 58% dei consumatori mette al primo

posto per importanza la frutta e la verdura. Quindi oltre a risultare il bene più acquistato

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sul mercato è anche quello al quale i consumatori dedicano in proporzione una maggior

parte del loro budget complessivo, aspetto dovuto alla qualità dei suddetti prodotti ma

anche al fatto alquanto ovvio che, specialmente in periodi di crisi economica, ai prodotti

alimentari non si rinuncia. Il 28% dei consumatori ritiene che il bene più importante, in

termini monetari, nei loro acquisti sia rappresentato dall’abbigliamento. Fatto molto

probabilmente dovuto alla qualità che i consumatori ritengono questo abbia. Con il 6%

delle risposte vi è poi il pesce che occupa il primo posto per importanza. Probabilmente

questo dato può leggersi in relazione alla freschezza che questo prodotto ha

nell’opinione dei consumatori intervistati i quali, di conseguenza, vi dedicano una quota

maggiore del loro budget. Per completezza di trattazione ho inserito in tabella anche le

percentuali, alquanto irrisorie, di consumatori che mettono al primo posto per

importanza gli articoli per la casa, le calzature e i fiori e le piante. Molto probabilmente

i consumatori che hanno messo questi beni al primo posto si recano al mercato per

compiere acquisti mirati e magari comprano capi d’abbigliamento o frutta e verdura

attraverso altre forme distributive. Per quanto riguarda differenze in termini

d’importanza nelle risposte dovute al sesso e alle fasce d’età dei consumatori si nota che

le donne con il 33% delle risposte ritengono più importante l’acquisto di frutta e verdura

rispetto agli uomini (25%), probabilmente perché sono coloro che effettuano

maggiormente questo tipo d’acquisto, visto che la spesa alimentare spesso nelle

famiglie è demandata alle donne, e quindi lo ritengono più importante. Inoltre si

riscontrano basse percentuali relative alla fascia d’età 15-34 anni per questa categoria di

prodotto, molto probabilmente perché i giovani delegano l’acquisto di beni alimentari

alle loro famiglie e di conseguenza li ritengono meno importanti. Ho deciso di correlare

il grado d’importanza dei beni acquistati dai consumatori sul mercato al titolo di studio

per vedere se persone con titoli di studio più elevati ritenessero più importanti

determinate tipologie di prodotti. Si nota che coloro che hanno un titolo di studio più

elevato come licenza media superiore o laurea triennale mettono al primo posto per

importanza l’abbigliamento mentre coloro che hanno un titolo di studio di livello

inferiore come licenza elementare o media inferiore mettono al primo posto per

importanza in termini monetari la frutta e la verdura. Questo dato probabilmente si può

spiegare con il fatto che le persone che presentano titoli di studio meno elevati

dispongono di minor reddito rispetto agli altri e quindi per loro risulta più importante un

bene di tipo alimentare perché vi dedicano una parte maggiore del budget complessivo

che hanno a disposizione per gli acquisti sul mercato.

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Tabella 25: Percentuali relative ai beni che occupano il secondo posto per importanza

monetaria

Secondo posto Percentuali

Abbigliamento e accessori 16

Calzature 13

Alimentari (frutta e verdura) 11

Alimentari (pesce) 11

Alimentari (salumi e formaggi) 10

Articoli per la casa 7

Fiori e piante 3

La tabella n. 25 mostra le percentuali relative ai consumatori che hanno indicato le

seguenti categorie di beni al secondo posto in termini d’importanza monetaria per loro

rivestita. E’ da notare che coloro che hanno indicato il secondo posto per importanza di

un determinato bene significa che hanno effettuato almeno due acquisti al mercato e

questa percentuale di consumatori è pari al 71% del campione intervistato, dato da

leggersi molto positivamente soprattutto da parte degli operatori ambulanti. Vediamo

che il bene che ha la più alta percentuale è l’abbigliamento, che risulta una componente

quasi immancabile nel paniere dei consumatori nel momento in cui si recano al mercato.

Le calzature, che nella tabella relativa alle prime posizioni avevano una percentuale

irrisoria, in questa classifica assumono la seconda posizione con il 13% delle preferenze

espresse, segno che anch’esse fanno parte del paniere dei consumatori anche se questi vi

dedicano una minor parte del loro budget rispetto ad altre categorie di beni. In terza

posizione con l’11% delle preferenze espresse troviamo la frutta e la verdura e il pesce.

I consumatori che hanno indicato in seconda posizione questa categoria di beni li

ritengono sicuramente importanti, tuttavia dedicano una parte maggiore del loro budget

ad altri acquisti. Vediamo che entra a far parte di questa classifica un'altra tipologia di

beni alimentari costituita da salumi e formaggi con il 10% delle risposte. Questo

significa che questa categoria di beni fa sicuramente parte del paniere del consumatore

ma ad essa viene dedicata una minor parte del budget sia rispetto alla frutta e alla

verdura che all’abbigliamento. Notiamo, inoltre, che gli articoli per la casa aumentano

la loro percentuale di importanza monetaria passando dal 2% dei consumatori che li

avevano indicati in prima posizione al 7% tra i consumatori che li hanno indicati in

seconda posizione ed anche questo risultato può essere interpretato come espressione

del fatto che questo tipo di prodotto costituisce un acquisto abbastanza presente nel

paniere dei consumatori ma tuttavia non quello a cui dedicano una parte maggiore del

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loro budget. I fiori e le piante continuano ad avere un peso irrisorio anche in termini di

seconda posizione molto probabilmente espressione del fatto che i consumatori vanno al

mercato pressoché esclusivamente per acquistare questa tipologia di prodotto. Per

quanto riguarda differenze nelle risposte dovute a sesso o fasce d’età, notiamo che per la

categoria abbigliamento risulta più elevata la percentuale di donne appartenenti a tutte

le fasce d’età che l’hanno indicato in seconda posizione rispetto agli uomini e questo

risultato è molto probabilmente dovuto al fatto che le donne (12%) sono maggiormente

interessate ad acquisti d’abbigliamento rispetto agli uomini (4%) e quindi li ritengono

più importanti. Per quanto riguarda il titolo di studio degli appartenenti al campione non

si notano differenze sostanziali dovute a questo fattore.

Tabella 26: Percentuali relative ai beni che occupano il terzo posto per importanza

monetaria

Terzo posto Percentuali

Abbigliamento e accessori 10

Calzature 9

Alimentari (salumi e formaggi) 6

Articoli per la casa 4

Alimentari (frutta e verdura) 3

Fiori e piante 3

Alimentari (pesce) 2

La tabella n. 26 riporta le percentuali di consumatori che hanno affermato di ritenere

terzo in ordine d’importanza un prodotto appartenente ad una determinata categoria.

Come ho messo in evidenza anche per la tabella precedente i consumatori che hanno

indicato questo grado di preferenza significa che hanno comprato almeno tre tipologie

di prodotto al mercato e la percentuale totale di questi consumatori è rappresentata dal

37% degli appartenenti al campione. Dato da interpretare positivamente perché sta a

significare che i consumatori nel momento in cui decidono di effettuare acquisti al

mercato non si limitano a comprare soltanto una tipologia di prodotto ma spaziano nei

loro acquisti. Vediamo che le prime posizioni della classifica sono ricoperte

dall’abbigliamento e dalle calzature, beni che a conferma di questa classifica sono

pressoché irrinunciabili nel paniere del consumatore. Gli alimentari come salumi e

formaggi e frutta e verdura presentano percentuali inferiori per il semplice fatto che

occupano posizioni maggiori per importanza monetaria nella classifica dei consumatori

e per quanto riguarda articoli per la casa e fiori e piante vale il discorso fatto in

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precedenza e cioè che sono beni che sicuramente fanno parte degli acquisti dei

consumatori ma rivestono un’importanza per loro minore in termini monetari rispetto ad

altri beni come abbigliamento o frutta e verdura. Per quanto riguarda la differenza nelle

risposte in base al sesso e all’età si può notare come l’abbigliamento in terza posizione

per importanza risulti essere preferito più dagli uomini (8%) che dalle donne (2%),

segno che se gli uomini effettuano un acquisto di questo genere lo ritengono comunque

meno importante rispetto ad altre tipologie di acquisti. Specularmente per quanto

riguarda le calzature sono ritenute più importanti come acquisto dalle donne (6%)

rispetto agli uomini (3%). Non si notano differenze rilevanti nelle risposte derivanti dal

titolo di studio.

4.3.6.7-I concorrenti del mercato

Tabella 27: Percezione della concorrenza dei consumatori intervistati

Concorrenti Percentuali

Centri commerciali 52

Supermercati 36

Negozi tradizionali 22

Discount 22

Outlet (per l'abbigliamento e accessori) 17

Altri mercati ambulanti 11

La tabella n.27 mette in evidenza la percezione della concorrenza rispetto al mercato.

Vediamo come anche per i consumatori il principale concorrente del mercato sia

rappresentato dal centro commerciale. Risultato molto probabilmente dovuto alle

caratteristiche che presenta il centro commerciale che risultano essere per molti versi

simili a quelle del mercato e di cui ho già ampiamente parlato nel paragrafo della

concorrenza percepita dagli operatori ambulanti ed al quale rimando per una

delucidazione in merito. Interessante notare come al secondo posto con il 36% delle

risposte i consumatori ritengano che il supermercato sia un concorrente diretto del

mercato. Secondo me questo risultato si lega al fatto che essendo la frutta e la verdura i

prodotti maggiormente acquistati, i consumatori vedono il supermercato come diretto

concorrente del mercato perché ha un’offerta prevalentemente alimentare caratterizzata

dalla convenienza. Al terzo posto tra i concorrenti del mercato vi sono nell’opinione dei

consumatori intervistati i negozi tradizionali e i discount entrambi con il 22% delle

risposte. Il primo risultato molto probabilmente è dovuto al fatto che i consumatori

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continuano ad effettuare il “ giro delle vetrine” nei negozi di città e ritrovano in questo

loro gesto molte similitudini con il “giro al mercato” un po’ dovute al fatto di

passeggiare all’aria aperta e di svagarsi ed un po’ dovute alla possibilità di avere

un’offerta variegata anche effettuando il giro per le vetrine ed inoltre probabilmente

perché riescono a trovare convenienti alcuni acquisti fatti nei negozi. Il secondo

risultato è dovuto al fatto che il mercato è visto in primis come simbolo della

convenienza economica e quindi viene associato al discount anche se questo presenta

un’offerta prevalentemente alimentare. Gli operatori dovrebbero quindi puntare anche

sulla qualità dei loro prodotti per cercare di deviare l’attenzione del consumatore

dall’aspetto esclusivo della convenienza. In quarta posizione troviamo l’outlet tra i

concorrenti del mercato con il 17% delle risposte. Molto probabilmente per le

caratteristiche che presenta può essere considerato un concorrente degli operatori che

vendono abbigliamento, soprattutto coloro che hanno abbigliamento di marca. L’11%

del campione ritiene che il diretto concorrente di un mercato sia il mercato stesso e

sicuramente questi consumatori pensano che viste le caratteristiche che questo presenta

possa essere considerato unico nel suo genere. Non si segnalano differenze nelle

risposte dovute a sesso, fascia d’età e professione svolta dagli intervistati.

4.3.6.8-I miglioramenti da apportare al mercato

In questo paragrafo metterò in evidenza l’opinione dei consumatori intervistati in merito

all’eventuale apporto di miglioramenti al mercato e, in caso di risposta positiva, quali

tipologia di miglioramenti vi apporterebbero.

Tabella 28: opinione dei consumatori intervistati in merito all'apporto di

miglioramenti al mercato

Apporterebbe miglioramenti? Percentuali

Sì 69

No 31

Totale 100

Come viene evidenziato dalla tabella n.28, il 69% dei consumatori apporterebbe

miglioramenti al mercato, dato che dovrebbe far riflettere sia i venditori su area

pubblica che soprattutto l’amministrazione comunale sul fatto che qualcosa vi sia da

fare. C’è però un 31% dei consumatori appartenenti al campione intervistato che

ritengono che il mercato vada bene così com’è e questa percentuale per quanto

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notevolmente inferiore a quella dei miglioramenti sicuramente non è da trascurare. Sono

soprattutto le donne (20%) che ritengono che il mercato non abbia bisogno di migliorie

rispetto agli uomini (11%), probabilmente perché dato che frequentano il mercato in

misura maggiore degli uomini e lo trovano più interessante, sono maggiormente portate

a vedere i lati positivi che quelli negativi. Non si segnalano differenze nelle risposte

derivanti dall’appartenenza a determinate fasce d’età o professioni svolte. Di seguito è

riportata una tabella in cui vengono mostrate le opinioni dei consumatori in merito alle

tipologie di miglioramenti di cui, secondo loro, il mercato avrebbe bisogno.

Tabella 29: Principali tipologie di miglioramenti che i consumatori intervistati apporterebbero

al mercato

Miglioramenti Percentuali

spostare il mercato in una zona della città più facilmente accessibile,con

maggiore possibilità di parcheggio

44

montare tendoni per poter venire al mercato anche con le intemperie 30

ampliamento del numero di banchi 19

diversa disposizione dei banchi 7

altro (dettaglio specificato nel commento alla tabella) 4

riduzione del numero di banchi 1

La tabella n.29 diversamente da quella prevista per gli operatori ambulanti è stata

costruita proponendo ai consumatori una serie di opzioni tra le quali scegliere e

inserendo la categoria residuale “altro” nel caso in cui la loro risposta non fosse tra

quelle previste. Per gli operatori invece la domanda era aperta perché, secondo la mia

opinione, svolgendo questo tipo di mestiere, ma soprattutto frequentando il mercato

ogni volta che si svolge erano maggiormente in grado di formulare risposte autonome e

di indicare miglioramenti che, magari, io non potevo prevedere. Vediamo che quasi la

metà dei consumatori intervistati sarebbe favorevole a spostare il mercato in un’altra

zona della città con maggiore possibilità di parcheggio. Sicuramente l’amministrazione

comunale dovrebbe tenere in considerazione questo punto di vista, tuttavia pensando

alla città di Pisa non so se un’area grande e con maggiore possibilità di parcheggio

rispetto a quella di via Paparelli sia disponibile. Se così non fosse come ho già suggerito

si potrebbero aumentare le corse degli autobus per incentivare i consumatori a

frequentare il mercato. In seconda posizione tra i miglioramenti da apportare al mercato

vi sarebbe quello di installare tendoni per poterlo frequentare anche con il maltempo.

Questo sarebbe secondo me il provvedimento cardine che molto probabilmente

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aumenterebbe il flusso dei consumatori, inoltre penso che sia da tenere in

considerazione la proposta ecologica suggerita dal 12% dei venditori su area pubblica

intervistati e cioè quella di installare coperture con pannelli solari, in questo modo il

Comune potrebbe anche produrre energia e fornirla sia agli operatori ambulanti ma

anche alla città nel suo complesso. Al terzo posto con il 19% delle risposte vi è

l’ampliamento del numero di banchi. Sicuramente un dato che chi vuole intraprendere

questa attività deve tenere in considerazione. Probabilmente questi consumatori si

riferiscono a prodotti appartenenti a categorie merceologiche non presenti in misura

elevata al mercato oppure semplicemente vorrebbero più banchi che vendono beni

appartenenti a categorie già presenti, ma con caratteristiche diverse, per esempio più

banchi che vendono accessori per l’abbigliamento come le borse. In quarta posizione

con il 7% delle risposte vi è chi vorrebbe una diversa disposizione dei banchi per evitare

l’affollamento e la confusione che ne deriva. Tuttavia notiamo come questa esigenza

non sia molto sentita anche perché difficilmente risolvibile e perché probabilmente

viene considerata come una caratteristica intrinseca del mercato e non come un

problema. Con il 4% delle risposte vi è la categoria residuale “altro” nella quale i

consumatori intervistati hanno dichiarato i seguenti miglioramenti: maggiore igiene da

parte degli operatori ambulanti, questo problema non è molto sentito anche se bisogna

affermare che nel comparto alimentare sarebbe sicuramente meglio che i venditori,

soprattutto coloro che vendono frutta e verdura, invitassero i consumatori ad indossare

guanti di plastica, come quelli previsti nei banchi orto-frutta dei supermercati, per

scegliere e toccare la merce. Così come coloro che vendono costumi o abbigliamento

dovrebbero invitare i consumatori a provare la merce senza trucco o con indosso la

propria biancheria intima anche se ovviamente in questo caso non possono accertarsi se

poi il consumatore effettivamente rispetta quanto gli è stato detto. Un altro

miglioramento da apportare alquanto curioso proposto da un consumatore è quello di

piantare alberi ombreggianti per poter alleviare la calura estiva. Potrebbe essere una

buona soluzione solo che l’amministrazione comunale deve accertarsi se sia praticabile,

dato che spesso i mercati si svolgono nel centro dei paesi tra le strade e qui è

impossibile piantare alberi e nel caso del mercato di via Paparelli, essendo anche un

parcheggio per auto, è altrettanto impossibile venire incontro a questo desiderio. In

ultima posizione con solo l’1% delle risposte appartenenti al campione vi è la riduzione

del numero dei banchi. Probabilmente i consumatori che hanno risposto in questo modo

trovano che il mercato presenti un’offerta omologata e quindi alcuni banchi che

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presentano gli stessi articoli vadano eliminati. Tuttavia gli operatori ambulanti possono

stare tranquilli perché questa è una posizione veramente marginale dato che il 19% dei

consumatori vorrebbe addirittura ampliare il numero dei banchi e il 48% ritiene che uno

degli aspetti positivi del mercato sia quello di avere un’offerta variegata. Per quanto

riguarda differenze nelle risposte dovute a sesso e fasce d’età si evidenziano i seguenti

risultati: lo spostamento del mercato in un zona della città più facilmente accessibile con

maggiore possibilità di parcheggio è un aspetto più sentito dagli uomini (28%) che dalle

donne (16%), probabilmente perché se si recano al mercato guidano loro invece che le

loro compagne e quindi percepiscono maggiormente il fastidio derivante dal traffico; la

diversa disposizione dei banchi è avvertita soprattutto dai maschi tra i 15 e i 34 anni

perché sono più infastiditi dalla confusione e dalla ressa che può essere presente al

mercato mentre le donne avvertono di meno il problema perché hanno più interesse ad

acquistare e “fare dei giri” al mercato. Non si segnalano differenze nelle risposte

derivanti dalla professione svolta dai consumatori intervistati.

4.3.6.9-Confronto tra le opinioni espresse dagli operatori e quelle espresse dai venditori

su alcune questioni inerenti il mercato

4.3.6.9.1-Aspetti positivi e negativi del mercato

Partendo dagli aspetti positivi del mercato è possibile affermare che, senza dubbio, gli

operatori sono al corrente che la caratteristica che i consumatori apprezzano di più sia la

convenienza economica, infatti risulta essere sia per gli operatori che per i consumatori

l’aspetto positivo che riveste la prima posizione, tra l’altro con circa la stessa

percentuale: 64% per i venditori su area pubblica e 62% per i consumatori. Il rapporto

umano risulta invece essere meno sentito dai consumatori come aspetto positivo dato

che il 17% degli intervistati ha dato questa risposta, mentre gli operatori pensano che sia

più importante visto che la loro percentuale è pari al 59% delle risposte appartenenti al

campione. Molto probabilmente i consumatori sono spinti anche da altre motivazioni

che li portano a frequentare il mercato come l’offerta variegata (48%) e la freschezza e

genuinità dei beni alimentari (42%). Interessante notare che la qualità dell’offerta come

aspetto positivo è risultata essere indicata circa dalla stessa percentuale sia di operatori

con il 31% che di consumatori con il 28%. Indice che gli operatori sono al corrente che

la qualità è un aspetto importante che i consumatori prendono in considerazione per

recarsi al mercato e dovrebbero mettere in atto iniziative volte a promuoverla

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maggiormente. Da mettere in evidenza vi è anche la risposta relativa alla possibilità di

toccare la merce: mentre secondo gli operatori questa è una caratteristica fondamentale

che invoglia i consumatori a comprare o provare il prodotto, visto che il 45% degli

intervistati ha dato questa risposta, per i consumatori è sì importante ma non

fondamentale dato che il 14% del campione intervistato ha fornito questa risposta.

Molto probabilmente se la merce viene fatta toccare troppo potrebbe rovinarsi cadendo

per esempio di mano ad un consumatore o sporcarsi se, nel caso della prova di un

vestito, una consumatrice è truccata. Per non parlare poi dell’alimentare dove si possono

venire a creare problemi d’igiene, se i prodotti vengono continuamente maneggiati. In

quest’ultimo caso basterebbe far indossare ai consumatori dei guanti di plastica e nel

caso dei prodotti non alimentari i venditori dovrebbero cercare di educare il

consumatore ad un’adeguata prova dei prodotti. Per quanto riguarda la varietà

dell’offerta come aspetto positivo notiamo che risulta essere maggiormente sentito dai

consumatori con il 48% delle risposte appartenenti al campione che dagli operatori con

il 33% delle risposte. Questo dovrebbe, quindi, spingere gli operatori ambulanti a

differenziare in misura maggiore la loro offerta. Passando all’analisi degli aspetti

negativi si nota come per gli operatori i maggiori aspetti negativi siano rappresentati

dall’abusivismo (52%) e dalla mancanza di sicurezza come i furti (43%) mentre per i

consumatori questi aspetti rivestono percentuali più basse: 13% l’abusivismo e 10% la

mancanza di sicurezza. Dato alquanto fisiologico visto che questi due aspetti colpiscono

direttamente e duramente l’attività degli operatori e sui quali non c’è più tempo da

perdere e vanno sicuramente risolti sia da parte dell’amministrazione comunale che da

parte delle forze dell’ordine come ho già ampiamente spiegato nei paragrafi precedenti.

L’aspetto della difficoltà nel trovare parcheggio e di accesso al mercato risulta essere

sentito pressoché dalla stessa percentuale sia di consumatori (37%) che operatori (36%).

Anche su questo aspetto l’amministrazione comunale dovrebbe interrogarsi, tuttavia,

per risolvere questo problema non è necessario spostare il mercato, perché non so se vi

siano zone adatte e comunque potrebbero continuare a sussistere gli stessi problemi o

aggiungersi problemi di traffico, ma potrebbe essere sufficiente intensificare le corse

degli autobus. La troppa confusione che vi è sui mercati è sentita solo dai consumatori

come aspetto negativo, tra l’altro con una percentuale del 25%. Tuttavia questo

problema appare di difficile risoluzione visto che il mercato andrebbe situato in una

zona più grande del necessario che potrebbe creare a sua volta altri problemi come

traffico e mancanza di parcheggi. Gli operatori dovrebbero inoltre tenere positivamente

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in considerazione il fatto che il 20% dei consumatori intervistati ritiene che il mercato

non abbia alcun aspetto negativo e quindi continuare a svolgere con entusiasmo questo

mestiere anche se il periodo non è dei più favorevoli causa la crisi economica. Circa la

stessa percentuale appartenente sia ad operatori (8%) che a consumatori (9%) è stata

fornita per l’offerta non di qualità come aspetto negativo del mercato. Questo dovrebbe

far pensare alcuni operatori, soprattutto coloro che hanno merce scadente, a migliorare

la loro offerta ma anche coloro che ritengono di avere un prodotto di qualità dovrebbero

cercare di promuoverlo evidenziando quest’aspetto. Il 7% dei consumatori inoltre

ritiene che il mercato sia poco conveniente mentre quasi nessun venditore, come è

alquanto naturale che sia, ha questa convinzione. Questo dato dovrebbe far pensare gli

operatori e se possibile portarli a ridurre i loro prezzi o a cercare di promuovere i loro

prodotti in modo tale che risultino convenienti agli occhi dei consumatori. Per esempio,

un venditore che vende scarpe in vero cuoio che magari per il consumatore non sono

convenienti perché costano troppo dovrebbe mettere in evidenza questa caratteristica del

prodotto e cercare di trasmetterla al consumatore che potrebbe cambiare idea e

comprarle perché riconosce un valore all’attributo cuoio come segno di qualità.

Concludendo è possibile affermare che, a parte differenze fisiologiche in merito ad

aspetti positivi e negativi del mercato, gli operatori e i consumatori siano sulla stessa

lunghezza d’onda ed i venditori sappiano ciò che i consumatori apprezzano o meno

quando si recano al mercato.

4.3.6.9.2-La concorrenza del mercato

In termini di concorrenza del mercato notiamo come al primo posto sia operatori che

consumatori percepiscano il centro commerciale come diretto concorrente del mercato e

questo è molto probabilmente dovuto al fatto che queste due forme distributive

presentano similitudini di cui ho già ampiamente parlato nei paragrafi della percezione

della concorrenza del mercato relativa a venditori e consumatori e ai quali rimando per

ulteriori delucidazioni. Le altre posizioni della classifica relativa alla concorrenza

differiscono notevolmente tra consumatori e venditori: mentre infatti i consumatori

appartenenti al campione mettono al secondo posto i supermercati con il 36% delle

risposte gli operatori riservano a questi il 13%. Questo dato può avere più spiegazioni:

la prima potrebbe essere il fatto che la caratteristica del mercato sia la convenienza e

quindi anche il supermercato è simbolo di convenienza, oppure al fatto che i

consumatori intervistati acquistano molti beni alimentari e quindi è naturale che

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132

percepiscano il supermercato come diretto concorrente del mercato. Anche i negozi

tradizionali continuano a rivestire importanza per i consumatori intervistati visto che il

22% di essi li pone in diretta concorrenza con i mercati, mentre solo il 3% dei venditori

ha fornito questa risposta e questo è dovuto al fatto che i negozi tradizionali

specialmente quelli situati lungo le vie centrali della principali città italiane ricreano un

ambiente simile al mercato per il consumatore dovuto al fatto di stare all’aria aperta,

avere un’offerta variegata e curiosare e girovagare tra i negozi. Anche il discount viene

percepito come concorrente diretto del mercato dai consumatori con il 22% mentre non

risulta esserlo per i venditori. La spiegazione di questo risultato può essere la medesima

che ho fornito per i supermercati e alla quale rimando per delucidazioni ulteriori con un

accento più forte sul fattore convenienza economica, visto che al discount troviamo

prodotti in prevalenza alimentari a un costo più basso rispetto a quello dei supermercati.

Percentuali differenti risultano anche relativamente alla percezione degli altri mercati

ambulanti come diretti concorrenti del mercato di via Paparelli, mentre infatti i

consumatori che hanno fornito questa risposta sono l’11% del campione gli operatori

sono il 24%. Questo dato dovrebbe essere tenuto in debita considerazione da parte dei

venditori che dovrebbero concentrarsi di più sul battere la concorrenza di altre forme

distributive più che dei mercati stessi. L’outlet risulta essere percepito come concorrente

pressoché con la stessa percentuale sia di operatori (16%) che di consumatori (17%)

intervistati. Questo probabilmente è dovuto a caratteristiche che l’outlet presenta che

sono favorevolmente percepite dai consumatori e di cui ho già parlato nei paragrafi

della concorrenza, ai quali rimando per ulteriori spiegazioni. Concludendo è possibile

affermare che sicuramente il centro commerciale è il principale concorrente del mercato

e quindi gli operatori dovranno mettere in atto politiche di marketing e miglioramenti

strutturali come coperture per cercare di battere la sua concorrenza ma anche come

debbano tenere in considerazione il fatto che i consumatori differenziano parecchio le

forme distributive dei loro acquisti, come afferma anche la ricerca della Fiva

Confcommercio56

, e quindi dovranno cercare di battere la concorrenza un po’ su tutti i

fronti.

56

http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp

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133

4.3.6.9.3-I miglioramenti da apportare al mercato

L’esigenza di apportare miglioramenti al mercato risulta essere più sentita dagli

operatori ambulanti (88%) che dai consumatori intervistati (69%). Tuttavia, è possibile

affermare che questo sia un dato fisiologico visto che è normale che i venditori vogliano

fare di più per migliorare le loro condizioni di lavoro e quindi migliorare la loro

redditività; però, senza dubbio è possibile affermare che il mercato così com’è non va

bene e sicuramente qualcosa da fare c’è a partire dalla risoluzione del problema

parcheggi o accesso al mercato. Infatti questo risulta essere sia per i venditori che per i

consumatori intervistati il miglioramento principale da mettere in atto. Questo dato

dovrà far riflettere l’amministrazione comunale che dovrà cercare di capire se sia

necessario individuare un’altra area dove svolgere il mercato o cercare di intensificare le

corse degli autobus, se ciò non fosse possibile. Vediamo che il miglioramento relativo

alle coperture risulta essere più sentito dai consumatori (30%) che dai venditori (12%),

quindi, secondo me, i venditori dovrebbero far maggior pressione sull’amministrazione

comunale affinché questa metta in atto qualche provvedimento in tal senso ed un’ottima

idea potrebbe essere quella di montare coperture con pannelli solari. Concludendo è

possibile affermare che in questo caso l’amministrazione comunale debba tentare di

risolvere i problemi legati all’accesso al mercato, alla mancanza di parcheggi e

all’installazione di coperture adeguate e i venditori non devono perdersi d’animo e

continuare a far pressione sulla stessa affinché le cose migliorino.

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134

4.4- Relazioni tra variabili dei questionari tramite modelli statistici di

regressione

4.4.1- Introduzione

In questo paragrafo mi occuperò di approfondire alcune relazioni tra le variabili dei

questionari dei consumatori e degli operatori su area pubblica attraverso l’utilizzo di

alcuni modelli statistici di regressione, il modello di regressione logistica ed il metodo

ANOVA. Relativamente al questionario dei consumatori ho deciso di studiare le

relazioni tra le seguenti coppie di variabili:

- l’acquisto di beni alimentari o meno e i dati generali (sesso, età, professione e

titolo di studio) relativi ai consumatori, per verificare se l’acquisto o meno di

prodotti alimentari potesse essere influenzato dalle caratteristiche socio-

demografiche appartenenti agli stessi;

- la tipologia di frequenza al mercato, cioè se bassa o medio-alta, e le

caratteristiche socio-demografiche dei consumatori (sesso, età, professione,

titolo di studio), per verificare se anche in questo caso vi potesse essere

un’influenza delle suddette variabili sulla frequenza;

- la volontà o meno dei consumatori di apportare miglioramenti al mercato e i dati

generali relativi agli stessi.

Per quanto riguarda il questionario degli operatori ho deciso, anche in questo caso, di

studiare le relazioni tra le seguenti coppie di variabili:

- la volontà di apportare miglioramenti al mercato e le caratteristiche

demografiche (sesso, età, titolo di studio) degli stessi;

- il numero di mercati frequentati dagli operatori durante la settimana e i loro dati

generali;

- il numero di anni di svolgimento dell’attività lavorativa e le caratteristiche socio-

demografiche degli operatori.

Come è possibile osservare, le variabili esplicative che ho scelto sono sempre relative

alle caratteristiche socio-demografiche di consumatori ed operatori ambulanti e questo

perché spesso sono ritenute variabili importanti nello spiegare i comportamenti di

consumo. Tuttavia, esse possono non essere le sole in grado di farlo e, come ho

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affermato nel paragrafo relativo agli obiettivi della ricerca, la mia indagine personale

vuole andare a verificare anche questo aspetto.

Ho deciso di utilizzare tre modelli di regressione logistica per analizzare tutte le

relazioni relative al questionario dei consumatori dato che le tre variabili di risposta

(acquisto o meno di beni alimentari; tipologia di frequenza al mercato e volontà di

apportare miglioramenti al mercato) sono di tipo bernoulliano, cioè possono assumere

valore 1 con probabilità π e 0 con probabilità 1- π. Per quanto riguarda le relazioni tra

variabili relative al questionario degli operatori, ho utilizzato il modello di regressione

logistica per analizzare la relazione tra la volontà di apportare miglioramenti o meno al

mercato e le variabili socio-demografiche, mentre per analizzare gli altri due tipi di

relazioni ho utilizzato due modelli ANOVA (Analysis of Variance Methods) dato che le

variabili di risposta (numero di mercati frequentati dagli operatori e numero di anni di

svolgimento dell’attività lavorativa) sono di tipo quantitativo mentre le variabili socio-

demografiche di tipo bernoulliano. Tengo a precisare che i precedenti modelli si basano

sull’ipotesi che i dati siano un campione casuale della popolazione. Nel mio caso per gli

operatori essi possono essere utilizzati dato che ho svolto un censimento della

popolazione. Per i consumatori ho utilizzato, invece, un campionamento per quote.

Tuttavia, il campione è assimilabile ad un campione di tipo casuale stratificato perché:

- non ho effettuato interviste di comodo a parenti e amici. Inoltre, l’inferenza che

farò sarà limitata al target dei consumatori che frequentano il mercato di Pisa e

non all’intera Provincia di Pisa;

- le quote sono state formate in relazione alla distribuzione di sesso ed età dei

residenti della Provincia di Pisa e sono assimilabili a strati della popolazione;

- la selezione dell’individuo per l’intervista è stata effettuata randomizzando la

scelta (1 individuo a caso ogni 5 che passavano).

4.4.2- Descrizione dei modelli statistici utilizzati

Per stimare le relazioni tra le variabili ho utilizzato due differenti tipologie di modelli, il

modello di regressione logistica e il modello ANOVA. Di seguito descriverò le

caratteristiche delle due tipologie di modelli.

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136

4.4.2.1-Il modello di regressione logistica

Il modello di regressione logistica viene utilizzato per variabili di risposta di tipo

binario, cioè che presentano due soli possibili risultati: 1 che denota il successo e 0 che

denota l’insuccesso. Il presupposto per l’utilizzo di questo tipo di modello è che la

variabile di risposta presenti una distribuzione di tipo Bernoulli. Il modello è descritto

dalla seguente equazione:

log[P(y=1)/(1-P(y=1))] = α + βx

Il rapporto P(y=1)/(1-P(y=1)) equivale all’odds che esprime un rapporto tra probabilità

di successo e probabilità d’insuccesso. Per esempio, quando P(y=1) = 0,75 l’odds

equivale a 0,75/0,25 = 3 e questo significa che un successo è 3 volte più probabile di un

fallimento. Un’equazione alternativa per il modello di regressione logistica è espressa

direttamente dalla probabilità di successo:

P(y=1)= eα+βx

/(1 + eα+βx

)

Il segno di β ci dice se la probabilità di successo cresce o decresce al crescere della x.

Come possiamo inoltre interpretare β? Diversamente dal modello di probabilità lineare,

β non è la pendenza che esprime la variazione in P(y=1) al variare della x. Dal momento

che la curva di P(y=1) è una curva ad S, il tasso al quale la curva sale o scende cambia

al variare del valore della x. Il modo più semplice di usare β per interpretare la pendenza

della curva, fa riferimento ad una linea retta che approssima la curva ad S. La linea retta

tangente alla curva ha pendenza β*P(y=1)*[1-P(y=1)], dove P(y=1) è la probabilità nel

punto di tangenza. Un’altra interpretazione del parametro β si basa sulla misura di

associazione odds ratio. Applicando gli antilogaritmi ad entrambi i lati dell’equazione di

regressione logistica log[P(y=1)/(1-P(y=1))] = α + βx otteniamo il modello espresso in

termini di odds:

P(y=1)/[1-P(y=1)] = eα+βx

= eα (e

β)

x

Il lato destro di questa equazione ha la forma della regressione esponenziale, una

costante moltiplicata per un’altra costante elevata alla potenza di x. Questa relazione

esponenziale implica che ogni incremento unitario nella x ha un effetto moltiplicativo di

eβ sugli odds. Per esempio, se prendiamo in considerazione la seguente equazione

logit[P(y=1)] = -3,518+0,105*x, dove la variabile di risposta indica la probabilità di

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137

possedere una carta di credito e la variabile esplicativa il reddito annuo dell’individuo,

possiamo calcolare l’antilogaritmo di che equivale a e0,105

=1,11. Quando il reddito

annuo cresce di 1000 euro, l’odds stimato di possedere una carta di credito è

moltiplicato per 1,11. Quando x=25 (migliaia di euro) l’odds stimato di possedere una

carta di credito è 1,11 volte superiore rispetto a quando x=24 (migliaia di euro). Per

effettuare inferenza dal modello di regressione logistica possono essere utilizzati tre tipi

di test:

- il test z che viene utilizzato per grandi campioni ed è ottenuto dividendo il j

per la sua deviazione standard. Per grandi campioni la statistica test è distribuita

come una normale con media 0 e varianza 1. Le ipotesi che si mettono a

confronto sono: l’ipotesi nulla H0= βj=0 indica che la x non ha effetto sulla

P(y=1) e l’ipotesi alternativa H1= βj≠0 indica che la x ha effetto su P(y=1);

- il test di Wald che presenta la stessa statistica test del test z solo elevata al

quadrato ed ha una distribuzione chi-quadrato con 1 grado di libertà. Viste le

caratteristiche di questi due test il ricercatore deve giungere agli stessi risultati

sia che utilizzi il test z che quello di Wald;

- il test del rapporto di verosimiglianza che può essere usato anche per piccoli

campioni ed è un modo generale per testare due modelli, uno completo ed uno

ridotto. Testa che i parametri extra contenuti nel modello completo siano uguali

a zero. Per esempio testa H0=β=0 comparando il modello logit[P(y=1)]= α + βx

con il modello logit[P(y=1)] = α. Questo test usa la funzione di massima

verosimiglianza. Denotata dalla lettera l dà la probabilità del dato osservato

come una funzione del valore dei parametri. La stima della massima

verosimiglianza massimizza questa funzione. L0 denota il massimo della

funzione di verosimiglianza quando H0 è vera e l1 denota il massimo senza

quest’assunzione. La formula utilizzata per il calcolo della statistica test è la

seguente:

-2log (l0/ l1) = (-2logl0) – (-2logl1)

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138

Questa statistica test ha una distribuzione chi-quadrato con un numero di gradi di

libertà pari alla differenza tra numero di parametri nei due modelli57

.

4.4.2.2-Il metodo ANOVA(Analysis of Variance Methods)

Il metodo ANOVA viene utilizzato per comparare le medie di diversi gruppi che

riguardano l’associazione tra una variabile di risposta quantitativa e una o più variabili

esplicative qualitative. La media della variabile di risposta quantitativa è comparata tra

gruppi che rappresentano le categorie della variabile esplicativa. Per esempio, per

comparare il reddito medio annuo tra neri, bianchi e ispanici la variabile quantitativa di

risposta è il reddito annuo e quella qualitativa è il gruppo etnico. Il cuore dell’analisi del

metodo ANOVA è un test di significatività che usa la distribuzione F per rilevare

differenze tra un insieme di medie della popolazione. La lettera g denota il numero di

gruppi da comparare, per esempio g=3 se teniamo in considerazione l’esempio sopra

illustrato tra neri, bianchi e ispanici. Le medie della variabile di risposta nella

popolazione corrispondono a μ1,μ2,…μg. Nel nostro esempio μ1 rappresenta il reddito

medio annuo dei neri, μ2 il reddito medio annuo dei bianchi e μ3 il reddito medio annuo

degli ispanici. Le corrispettive medie campionarie sono y 1, y 2,… y g. L’analisi della

varianza (ANOVA) è un test F per:

- H0: μ1=μ2=…=μg;

- H1: almeno due medie della popolazione sono diverse.

Le assunzioni per effettuare questo tipo di test sono le seguenti:

- Per ogni gruppo la distribuzione della variabile di risposta è normale;

- La deviazione standard della distribuzione della popolazione è la stessa per ogni

gruppo;

- I campioni estratti dalla popolazione sono campioni casuali indipendenti.

Perché un metodo di confronto tra medie della popolazione è chiamato analisi della

varianza? La ragione è che la statistica test compara le medie usando due stime della

varianza, σ2, per ogni gruppo. Una stima usa la varianza tra ciascuna media campionaria

y i e la media generale y . L’altra stima usa la variabilità entro ogni gruppo delle

57Statistical methods for the social sciences; A.Agresti,B.Finlay;4th edition; Pearson Prentice Hall; 2009; pag.684-

697.

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osservazioni campionarie confrontando ciascuna osservazione dei gruppi con la media

di ciascun gruppo. Generalmente, più grande è la variabilità tra le medie campionarie e

più piccola è la variabilità entro ogni gruppo, più forte è l’evidenza contro l’ipotesi nulla

che afferma l’uguaglianza delle medie della popolazione. Per testare H0: μ1=μ2=…=μg,

la statistica test è il rapporto tra le due stime della varianza della popolazione. La stima

che usa la variabilità tra ogni media campionaria y i e la media campionaria generale y ,

è chiamata stima tra gruppi. La stima che usa la variabilità entro ogni campione è

chiamata stima entro i gruppi. La statistica test F ha la seguente forma:

F = (stima della varianza tra gruppi)/(stima della varianza entro i gruppi)

Il metodo descritto fino ad ora è il metodo ANOVA ad un fattore o ad una via, cioè

prevede l’esistenza di una sola variabile esplicativa qualitativa, tuttavia esiste un altro

metodo chiamato ANOVA a più fattori o a più vie che viene utilizzato in presenza di

due o più variabili esplicative qualitative. In quest’ultimo caso possono essere testati

anche gli effetti d’interazione tra le variabili esplicative presenti nel modello e sono

proprio questi effetti che andrebbero testati per primi. Per quanto riguarda la costruzione

delle statistiche test e la loro distribuzione risultano essere le medesime del modello ad

un fattore. Il metodo ANOVA può essere considerato come un caso speciale di

regressione multipla. Variabili esplicative artificiali nel modello di regressione possono

rappresentare i gruppi. Queste variabili sono uguali a 1 se un’osservazione proviene da

un determinato gruppo mentre sono uguali a 0 in caso contrario. Per esempio, se

abbiamo 3 gruppi costruiamo 2 variabili artificiali. La prima, che indichiamo con z1,

vale 1 se l’osservazione proviene dal primo gruppo e vale 0 altrimenti. La seconda, che

indichiamo con z2, vale 1 se l’osservazione proviene dal secondo gruppo e vale 0

altrimenti. Non è necessario creare una variabile per il terzo gruppo perché il valore 0

per z1 e 0 per z2 identifica le osservazioni provenienti da questo. Le variabili artificiali

z1 e z2 sono chiamate variabili dummy e indicano il gruppo di appartenenza delle

osservazioni. Per le variabili dummy che abbiamo appena definito nell’esempio

precedente si può considerare la seguente equazione della regressione multipla:

E(y) = α + β1z1 + β2z2.

Per le osservazioni provenienti dal gruppo tre, z1=z2=0 l’equazione risultante è la

seguente:

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E(y) = α

Quindi, α rappresenta la media della popolazione μ3 per l’ultimo gruppo.

Il coefficiente β della variabile dummy rappresenta la differenza tra la media del gruppo

che la variabile dummy rappresenta e la media del gruppo che non ha quella variabile

dummy. Una domanda che potrebbe venire in mente è: perché usare la regressione per

modellare il metodo ANOVA? Una ragione è che è più utile avere un approccio

unificato grazie al quale vengono utilizzati metodi statistici che rappresentano casi

particolari dello stesso. Un’altra ragione è che essendo abili a gestire predittori

qualitativi usando un modello di regressione abbiamo un meccanismo per modellare

molti predittori che possono essere qualitativi o un mix tra qualitativi e quantitativi58

.

4.4.3- Variabili utilizzate nei modelli

4.4.3.1-Variabili utilizzate nei modelli relativi ai consumatori

Come precedentemente affermato, per analizzare le relazioni tra variabili relative al

questionario dei consumatori ho utilizzato tre modelli di regressione logistica e di

seguito elencherò i nomi delle variabili usate per la costruzione degli stessi. Per il

modello che analizza la relazione tra l’acquisto di beni alimentari e i dati generali dei

consumatori le variabili costruite sono: Acquisto (=1 se l’individuo acquista beni

alimentari; 0 se acquista beni non alimentari; questa è la variabile di risposta); Sex(=1

se l’individuo è maschio; 0 se è femmina); Age1(=1 se l’individuo ha un’età compresa

tra 15 e 34 anni; 0 altrimenti); Age2(=1 se l’individuo ha un’età compresa tra 35 e 54

anni; 0 altrimenti); Job1(=1 se l’individuo è un operaio; 0 altrimenti); Job2(=1 se

l’individuo è un insegnante; 0 altrimenti); Job3(=1 se l’individuo è un libero

professionista; 0 altrimenti); Job4(=1 se l’individuo è un impiegato; 0 altrimenti);

Job5(=1 se l’individuo è un artigiano; 0 altrimenti); Job6(=1 se l’individuo è un

commerciante; 0 altrimenti); Job7(=1 se l’individuo è uno studente; 0 altrimenti);

Job8(=1 se casalinga; 0 altrimenti); Job9(=1 se l’individuo è in cerca di occupazione; 0

altrimenti); EQ(=1 se l’individuo possiede una licenza elementare o media inferiore; 0

se possiede una licenza media superiore o una laurea triennale/magistrale; EQ è

l’abbreviazione di education qualification, cioè titolo di studio). Tutte le variabili

58 Statistical methods for the social sciences; A.Agresti,B.Finlay;4th edition; Pearson Prentice Hall; 2009; pag.526-

552.

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seguenti Acquisto sono variabili esplicative. Per quanto riguarda il modello che mette in

relazione l’intensità di frequentazione del mercato da parte dei consumatori e le variabili

socio-demografiche, l’unica differenza rispetto al modello precedente nel costruire le

variabili è rappresentata dalla variabile di risposta che ho nominato Frequency e assume

valore pari a 1 se la frequenza al mercato è bassa (meno di una volta al mese; 1-2 volte

al mese) mentre assume valore pari a 0 se è medio-alta (dalle 3-4 volte al mese in su).

Relativamente al modello che mette in relazione la volontà di apportare miglioramenti

al mercato da parte dei consumatori e i dati generali, anche in questo caso l’unica

differenza è rappresentata dalla variabile di risposta che ho chiamato Improvements e

assume valore pari a 1 se il consumatore ha risposto che vuole apportare miglioramenti

al mercato e 0 in caso contrario.

4.4.3.2-Variabili utilizzate nei modelli relativi agli operatori

In questo caso, per analizzare le relazioni tra variabili ho utilizzato un modello di

regressione logistica e due modelli ANOVA. Per il primo modello la variabile di

risposta che ho costruito è Improvements (=1 se l’operatore ambulante voleva apportare

miglioramenti al mercato; 0 altrimenti). Per quanto riguarda le variabili esplicative

queste sono le stesse presentate per i modelli costruiti per i consumatori ad eccezione,

per ovvie ragioni, delle variabili relative alla professione svolta. Per il secondo modello

che analizza la relazione tra il numero di mercati frequentati e i dati generali, la

variabile di risposta che ho costruito è Y che indica il numero di mercati frequentati

settimanalmente dagli operatori, mentre le variabili esplicative sono le medesime del

modello presentato precedentemente per gli operatori. Per il terzo modello che analizza

la relazione tra numero di anni di svolgimento dell’attività lavorativa e variabili socio-

demografiche, la variabile di risposta che ho costruito è Y che indica il numero di anni

di svolgimento dell’attività lavorativa e le variabili esplicative, anche in questo caso,

sono le stesse presentate per gli altri due modelli.

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142

4.4.4- Risultati

4.4.1-Risultati relativi alle relazioni tra variabili del questionario dei consumatori

4.4.1.1-Relazione tra acquisto di beni alimentari e variabili socio-demografiche

Per analizzare la relazione tra acquisto o meno di beni alimentari e variabili socio-

demografiche ho costruito un file Excel in formato csv contente tutti i dati dei

consumatori e le rispettive variabili e attraverso il software R ho effettuato le

elaborazioni. Per prima cosa ho costruito un modello contenente tutte le variabili e poi

ho applicato una procedura di selezione delle variabili chiamata stepwise (che seleziona

le variabili aventi il più basso p-value e contemporaneamente toglie quelle che perdono

di significatività quando ne vengono introdotte altre nel modello) dalla quale ho

ottenuto il seguente modello finale che presenta il più basso valore di AIC rispetto agli

altri modelli che vengono costruiti applicando la suddetta procedura.

Tabella 30: Coefficients of logistic regression model

Estimate Std. Error z value Pr(>|z|)

(Intercept) 1.2730 0.4276 2.977 0.00291 **

JOB7 -2.4769 0.7850 -3.155 0.00160 **

Null deviance: 59.667 on 44 degrees of freedom

Residual deviance: 47.666 on 43 degrees of freedom

AIC: 51.666

Prendendo in considerazione un livello di α (che rappresenta la probabilità di

commettere un errore di primo tipo, cioè rifiutare l’ipotesi H0 quando è vera) pari a 0,05

possiamo notare come il coefficiente JOB7 risulti significativo dato che il suo p-value è

pari a 0,00160 e quindi inferiore ad α. Il coefficiente di JOB7 è negativo e questo

indica che la probabilità di acquistare beni alimentari (P(ACQUISTO=1)) è

inversamente correlata con la condizione di essere studente. Se l’individuo è uno

studente la probabilità di acquistare beni alimentari decresce. Calcolando l’effetto di

questa variabile esplicativa sulla probabilità di acquistare un bene alimentare otteniamo

le seguenti informazioni: quando JOB7 vale 0 e cioè l’individuo non è uno studente la

probabilità che acquisti un bene alimentare è pari al 78% circa mentre quando JOB7

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vale 1 e cioè l’individuo è uno studente questa probabilità è pari al 23%, quindi è

possibile affermare che il tipo di professione svolta dall’individuo influenza

notevolmente la tipologia di acquisto che effettuerà. Calcolando l’odds relativo alla

variabile JOB7=0 otteniamo il seguente risultato: Odds0=0,78/(1-0,78)= 3.571429;

questo significa che se l’individuo non è uno studente è circa 3,5 volte più probabile che

acquisti un bene alimentare piuttosto che non lo acquisti. Allo stesso modo calcolando

l’Odds relativo alla variabile JOB7=1 otteniamo il seguente risultato: Odds1=0,23/(1-

0,23)=0,30; come possiamo notare in questo caso se l’individuo è uno studente è circa 3

volte più probabile che non acquisti un bene alimentare. Se calcoliamo l’odds ratio, cioè

il rapporto tra Odds0 e Odds1, vediamo come questo sia pari a 11,90 e questo significa

che la variabile JOB7 (il fatto di essere studenti) ha una notevole influenza sull’acquisto

dei beni alimentari. Adesso passiamo all’analisi dell’inferenza nel modello. Applicando

il test della massima verosimiglianza confronto il modello completo con quello ridotto

composto soltanto dall’intercetta, avrò:

H0= L0 = L1

H1= L1 > L0

La prima ipotesi afferma che non vi è differenza tra le verosimiglianze dei due modelli,

mentre la seconda che la verosimiglianza del modello completo (L1) è maggiore di

quella del modello ridotto (L0). Dal calcolo della statistica test dato da devianza nulla –

devianza residua, dove la devianza nulla è pari a (-2logl0) e quella residua è pari a (-

2logl1), ottengo 59.667 - 47.666= 12,001 che confronto con il valore critico della

distribuzione chi-quadrato con α =0,05 e un grado di libertà. Questo valore è pari a

3,8415 e quindi la statistica test cade nella zona di rifiuto e di conseguenza il modello

completo spiega meglio i dati rispetto a quello con soltanto l’intercetta.

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144

4.4.1.2-Relazione tra la frequenza al mercato e le variabili socio-demografiche

Per analizzare la relazione tra la frequenza al mercato e le variabili socio-demografiche

ho utilizzato lo stesso procedimento visto per il primo modello e dall’applicazione della

procedura stepwise ho ottenuto la seguente tabella:

Tabella 31: Coefficients of logistic regression model

Estimate Std. Error z value Pr(>|z|)

(Intercept) 0.2877 0.2303 1.249 0.2116

AGE1 1.6094 0.6606 2.436 0.0148 *

Null deviance: 130.68 on 99 degrees of freedom

Residual deviance: 122.98 on 98 degrees of freedom

AIC: 126.98

Prendendo in considerazione un livello di α pari a 0,05 possiamo notare come il

coefficiente AGE1 risulti significativo dato che il suo p-value è pari a 0,0148 e quindi

inferiore ad α. Il coefficiente di AGE1, che indica il fatto che l’individuo appartenga

alla fascia d’età 15-34 anni, è positivo e questo significa che la probabilità di

frequentare poco il mercato (P(FREQUENCY=1)) cresce se l’individuo appartiene a

questa fascia d’età. Calcolando l’effetto di questa variabile esplicativa sulla probabilità

di frequentare poco il mercato otteniamo le seguenti informazioni: quando AGE1 vale 0

e cioè l’individuo non appartiene alla fascia d’età 15-34 anni la probabilità di

frequentare poco il mercato è pari al 57% circa mentre quando AGE1 vale 1 e cioè

l’individuo appartiene alla fascia d’età 15-34 anni questa probabilità è pari all’ 87%,

quindi è possibile affermare che l’appartenenza dell’individuo ad una data classe d’età

influenza la tipologia di frequentazione (bassa o medio-alta) del mercato. Calcolando

l’odds relativo alla variabile AGE1=0 otteniamo il seguente risultato: Odds0=0,57/(1-

0,57)= 1.333333 e questo significa che quando l’individuo non appartiene alla fascia

d’età 15-34 anni è quasi equamente probabile che frequenti poco o molto il mercato.

Questo risultato è dovuto quasi sicuramente alla suddivisione in classi che comprendono

fasce d’età ampie, se fosse stato possibile rilevare un maggior livello di dettaglio

probabilmente si potevano ottenere risultati diversi. Calcolando l’odds relativo alla

variabile AGE1 =1 otteniamo il seguente risultato: Odds1=0,87/(1-0,87)= 6.666667 e

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145

questo significa che quando l’individuo appartiene alla classe d’età 15-34 è circa 7 volte

più probabile che abbia una bassa frequenza del mercato piuttosto che una media o

elevata. Effettuando il rapporto tra Odds0 e Odds1 otteniamo il seguente risultato: Odds

ratio=1.333333/6.666667=0.2 e questo significa che dato che l’odds1 è 5 volte più

grande rispetto all’odds0 la variabile AGE1 ha una discreta influenza nello spiegare la

differente tipologia di frequenza il mercato. Adesso effettuerò l’inferenza sul modello

attraverso il test della massima verosimiglianza mettendo a confronto il modello

completo, con tutte le variabili, con quello ridotto avente solo l’intercetta, avrò:

H0= L0 = L1

H1= L1 > L0

Dal calcolo della statistica test ottengo: 130.68-122.98 = 7,7. Questo valore lo confronto

con il valore critico della distribuzione chi-quadrato con α = 0,05 e un grado di libertà

che è pari a 3,8415 ed anche in questo caso rifiuto l’ipotesi nulla, anche se di poco, e

quindi il modello completo descrive meglio la relazione tra la frequenza al mercato e le

variabili socio-demografiche rispetto a quello con solo l’intercetta.

4.4.1.3-Relazione tra l’apporto di miglioramenti al mercato e le variabili socio-

demografiche

Anche in questo caso per analizzare la relazione tra apporto di miglioramenti al mercato

e dati generali relativi ai consumatori ho effettuato lo stesso tipo di procedimento

utilizzato per gli altri due modelli e dopo aver applicato la procedura stepwise ho

ottenuto il seguente risultato:

Tabella 32: Coefficients of logistic regression model

Estimate Std. Error z value Pr(>|z|)

(Intercept) 0.5363 0.2261 2.372 0.0177 *

JOB1 1.4096 0.7890 1.787 0.0740 .

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146

Null deviance: 126.84 on 99 degrees of freedom

Residual deviance: 122.68 on 98 degrees of freedom

AIC: 126.68

Come è possibile osservare in questo caso il coefficiente di JOB1, che indica se

l’individuo è un operaio o meno, sarebbe significativo solo per un livello di α = 0,10;

tuttavia, questa significatività non è così elevata visto che 0,074 < 0,10 ma non molto.

E’ quindi possibile affermare, in questo caso, che la volontà di apportare miglioramenti

al mercato da parte di un consumatore non è influenzata dalle sue caratteristiche socio-

demografiche.

4.4.2-Risultati relativi alle relazioni tra variabili del questionario degli operatori

4.4.2.1-Relazione tra la volontà di apportare miglioramenti al mercato e variabili socio-

demografiche

Per effettuare la relazione tra la volontà di apportare miglioramenti al mercato da parte

degli operatori e le variabili socio-demografiche ho utilizzato la stessa metodologia

impiegata per costruire i modelli dei consumatori e dall’applicazione della procedura di

selezione delle variabili di tipo stepwise ho ottenuto il seguente risultato:

Step: AIC=75.38

IMPROVEMENTS ~ 1

Questo risultato indica che la volontà di apportare miglioramenti o meno al mercato da

parte dei venditori ambulanti non è influenzata dalle loro caratteristiche socio-

demografiche.

4.4.2.2-Relazione tra numero di mercati frequentati dai venditori ambulanti e variabili

socio-demografiche

Per effettuare la relazione tra numero di mercati frequentati e dati generali degli

operatori ho utilizzato, in questo caso, il metodo ANOVA adattandolo ad un modello di

regressione multipla, visto che la variabile di risposta è di tipo quantitativo. Ho costruito

anche in questo caso un file Excel di tipo csv e tramite il software R ho effettuato le

elaborazioni. Prima ho costruito un modello con tutte le variabili e dall’applicazione

della procedura stepwise ho ottenuto il seguente risultato:

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Tabella 33: Coefficients of regression model

Estimate Std. Error t value Pr(>|t|)

(Intercept) 3.5152 0.1787 19.68 <2e-16 ***

AGE2 0.4998 0.2183 2.29 0.0242 *

Multiple R-squared: 0.05078, Adjusted R-squared: 0.0411

F-statistic: 5.243 on 1 and 98 DF, p-value: 0.02418

In questo caso prima di poter effettuare qualunque tipo di considerazione sui

coefficienti delle variabili esplicative è necessario controllare i valori di R2

(Multiple R-

squared) ed R2 corretto (Adjusted R-squared). R

2 è chiamato coefficiente di

determinazione multipla ed indica il miglioramento nell’effettuare previsioni apportato

dall’uso della retta di regressione piuttosto che dalla media semplice ( y ). La sua

formula è data da

2

22

)(

)ˆ()(

yy

yyyy, nella quale al numeratore troviamo la

differenza tra devianza totale e devianza residua e al denominatore la devianza totale. R2

misura la proporzione della varianza totale della y che è spiegata dal potere predittivo di

tutte le variabili esplicative utilizzando il modello di regressione multipla. R2 può

assumere un valore compreso tra 0 e 1, nel primo caso le variabili esplicative non hanno

alcun potere nello spiegare il valore della variabile dipendente mentre nel secondo caso

il modello si adatta perfettamente ai dati. Ovviamente più il valore di R2 è vicino ad 1

maggiore è il potere predittivo delle variabili esplicative prese in considerazione.

Tuttavia dato che il valore di R2 non può diminuire nel momento in cui vengono

introdotte nuove variabili entra in gioco un altro indicatore che invece tiene conto della

loro numerosità che si chiama R2 corretto =

)1(

)1( 22

pn

pRR , nella quale p indica il

numero di variabili esplicative e n il numero di osservazioni appartenenti al campione59

.

Dalle elaborazioni risultanti è possibile affermare che questo modello non ha alcuna

utilità nello spiegare i dati visto che sia R2 che R

2 corretto presentano valori prossimi

allo 0, rispettivamente pari a 0.05078 e 0.0411. E’ quindi possibile affermare che la

variabile esplicativa AGE2, cioè il fatto che l’individuo appartenga alla classe d’età 35-

54 anni non ha influenza sul numero di mercati frequentati dai venditori ambulanti.

59 Statistical methods for the social sciences; A.Agresti,B.Finlay;4th edition; Pearson Prentice Hall; 2009; pag.468-

471.

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148

4.4.2.3-Relazione tra numero di anni di svolgimento dell’attività lavorativa e variabili

socio-demografiche

Come nel precedente modello, per analizzare la relazione tra numero di anni di

svolgimento dell’attività lavorativa dei venditori su area pubblica e dati generali degli

stessi ho utilizzato il metodo ANOVA, adattandolo ad un modello di regressione

multipla, dato che la variabile di risposta è di tipo quantitativo. Seguendo lo stesso

metodo applicato per il precedente modello e utilizzando la procedura di selezione delle

variabili stepwise ho ottenuto la seguente tabella:

Tabella 34: Coefficients of multiple regression model

Estimate Std. Error t value Pr(>|t|)

(Intercept) 22.889 2.649 8.641 1.32e-13 ***

SEX 6.154 1.995 3.085 0.00266 **

AGE1 -18.081 4.202 -4.303 4.09e-05 ***

AGE2 -8.940 2.229 -4.011 0.00012 ***

EQ 4.018 1.963 2.046 0.04348 *

Multiple R-squared: 0.3279, Adjusted R-squared: 0.2996

F-statistic: 11.59 on 4 and 95 DF, p-value: 1.051e-07

Prendendo in considerazione come prima informazione i valori di R2 e R

2 corretto per

valutare la significatività del modello possiamo osservare come, in questo caso,

entrambi spieghino circa il 30% della varianza totale. Non è un valore elevato, tuttavia

il modello può essere utilizzato per spiegare, almeno parzialmente, da cosa dipende la

variabilità dei dati. Probabilmente se le classi d’età fossero state meno ampie e sarebbe

stato possibile giungere ad un maggior livello di dettaglio, la varianza poteva essere

spiegata meglio, ma a causa di vincoli temporali e costi necessari per effettuare la

ricerca non è stato possibile raggiungere quest’obiettivo. Un’altra considerazione che

merita attenzione è che questo modello è stato costruito con dati reali ed in questo caso

è difficile che i valori di R2 e R

2 corretto siano elevati. Invece, nello studio teorico dei

modelli di regressione, è più probabile trovare valori di R2 e R

2 corretto vicini ad 1

perché i dati sono fittizi e quindi costruiti per creare un modello ad hoc che descriva al

meglio la relazione intercorrente tra di essi. Prendendo un livello di α pari a 0,05 è

possibile osservare come le variabili SEX, AGE1, AGE2 risultino altamente

significative in quanto i loro p-value rispettivamente pari a 0.00266, 4.09e-05, 0.00012

sono notevolmente inferiori a 0,05. Discorso diverso vale per la variabile EQ (che

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149

indica il titolo di studio degli operatori ambulanti) che ha un p-value pari a 0.04348 che

è inferiore ad α ma di poco, quindi la variabile EQ può essere esclusa dal modello ed è

possibile affermare che non ha influenza sul numero di anni lavorativi svolti dai

venditori. Per quanto riguarda i Beta delle variabili esplicative, risultate significative,

possiamo evidenziare i seguenti risultati:

- nel caso di SEX il suo beta è positivo e questo significa che se l’individuo è

maschio (SEX=1) il numero di anni lavorativi che il venditore svolge incrementa

di circa 6 unità, controllando per AGE, mentre se l’individuo è femmina questo

non accade;

- nel caso di AGE1 il beta è negativo e questo significa che se l’individuo

appartiene alla fascia d’età 15-34 anni (AGE1=1) il numero di anni di

svolgimento dell’attività lavorativa decresce di circa 18 unità, controllando per

SEX;

- nel caso di AGE2 il beta è negativo e questo significa che se l’individuo

appartiene alla fascia d’età 35-54 anni (AGE2=1) il numero di anni di

svolgimento dell’attività lavorativa decresce di circa 9 unità, controllando per

SEX.

4.4.3- Osservazioni finali

Dai risultati di quest’analisi statistica emerge sicuramente il fatto che le variabili socio-

demografiche degli individui sono una componente importante, in alcuni casi, per

fornire spiegazioni parziali dell’adozione di determinati tipi di comportamenti ma in

altri casi non hanno alcuna influenza nello spiegare gli stessi. Prendendo in

considerazione la tipologia di acquisti effettuati e il tipo di frequentazione del mercato

notiamo, come emerso anche dalle precedenti analisi svolte attraverso l’utilizzo di

tabelle pivot, che i giovani e gli studenti frequentano poco il mercato e nel momento in

cui decidono di recarvisi sicuramente non acquisteranno beni alimentari. Gli operatori

dovrebbero, quindi, mettere in atto azioni per cercare di attrarre in misura maggiore

questa fascia di clientela. Per quanto riguarda la volontà di apportare miglioramenti al

mercato vediamo come questa, sia da parte degli operatori che dei venditori, non sia

influenzata dalle loro caratteristiche socio-demografiche. Come ho evidenziato nei

paragrafi precedenti l’analisi statistica della ricerca, la volontà di apportare

miglioramenti è molto sentita da consumatori ed operatori ed è un atteggiamento

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150

trasversale che li coinvolge tutti indipendentemente da sesso, titolo di studio o fascia

d’età d’appartenenza.

4.5- Conclusioni

In seguito alla svolgimento di questa ricerca è possibile affermare che il mercato

ambulante continua a rivestire una posizione importante nelle scelte di acquisto dei

consumatori dato che ben il 64% degli intervistati ha affermato di recarvisi più di una

volta al mese e considerando la periodicità con cui viene svolto può essere considerato

un dato positivo. Inoltre per alcune categorie di consumatori con reddito medio-basso

risulta essere il punto di riferimento principale per gli acquisti consentendo loro di

trovare articoli di qualità a prezzi contenuti. Del mercato i consumatori apprezzano la

convenienza economica, la possibilità di trovare in un unico luogo molte tipologie di

prodotti diversi e la qualità. Merita ancora una volta sottolineare il fatto che il 20% dei

consumatori appartenenti al campione ritiene che il mercato non presenti alcun aspetto

negativo e soprattutto gli operatori ambulanti dovrebbero interpretare positivamente

questo dato nei riguardi della loro offerta e continuare a svolgere il loro mestiere con

passione, nonostante il difficile momento di recessione che il Paese sta vivendo e che ha

colpito anche loro. Nonostante gli aspetti positivi notevoli che il mercato riveste tuttavia

vi sono delle problematiche che devono essere al più presto risolte e sulle quali

soprattutto l’amministrazione comunale deve interrogarsi. E’ necessario trovare una

soluzione al problema del difficile accesso al mercato e della mancanza di parcheggi,

lamentata sia da venditori su area pubblica che da consumatori. L’amministrazione

comunale potrebbe provare ad individuare aree maggiormente idonee al suo

svolgimento oppure se ciò non è possibile cercare di intensificare le corse degli autobus

diretti al mercato. Poi dovrebbe tenere in debita considerazione la proposta innovativa

ma soprattutto “amica dell’ambiente” suggerita dal 12% degli operatori intervistati e

cioè quella di installare coperture del mercato con pannelli solari, in questo modo oltre a

garantire un maggior afflusso di clientela al mercato il Comune avrebbe a disposizione

energia che potrebbe fornire sia agli operatori che ai cittadini. Altro problema che non

può più attendere di essere risolto è rappresentato dall’abusivismo che danneggia

enormemente gli operatori regolari perché sottrae loro clientela ma che può costituire un

danno anche per i consumatori che potrebbero acquistare merce di provenienza illecita

senza saperlo o merce dannosa per la loro salute perché non costruita in base a

normative nazionali o internazionali di sicurezza. Legato a questo problema vi è anche

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quello della sicurezza, come i furti, lamentato dal 43% degli operatori intervistati e che

sia l’amministrazione comunale che le forze dell’ordine dovrebbero risolvere al più

presto, anche semplicemente effettuando giri di perlustrazione per scoraggiare i

malfattori. Dal canto loro i venditori su area pubblica dovrebbero mettere in atto

politiche di marketing sia a livello di singolo banco che soprattutto di mercato cercando

di evidenziare i suoi punti di forza nei riguardi, in primis, dei centri commerciali che

risultano essere i principali concorrenti del mercato come affermato da consumatori e

operatori, ma anche nei riguardi di altre forme distributive poiché il consumatore

differenzia molto i suoi acquisti.

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152

Indagine sul comportamento del consumatore nel settore del commercio

ambulante

Il presente questionario ha come obiettivo l’analisi del comportamento dei consumatori nel

momento in cui decidono di recarsi al mercato.

Le informazioni fornite resteranno assolutamente anonime e saranno usate esclusivamente

per la stesura di una tesi di laurea magistrale svolta da una studentessa del Dipartimento di

“Economia e management” dell’Università di Pisa.

La ringrazio in anticipo per il contributo che darà per questa indagine.

Sezione 1: Comportamento del consumatore al mercato

1) Quante volte in un mese si reca al mercato?

a) Meno di una volta al mese;

b) 1-2 volte al mese;

c) 3-4 volte al mese;

d) 5-6 volte al mese;

e) 7-8 volte al mese;

f) Più di 8 volte al mese

2) Quali sono le ragioni che la spingono a frequentare il mercato? (max 2 risposte)

a) Per svagarsi/passare il tempo;

b) Per socializzare;

c) Per curiosare e se c’è qualcosa che le piace acquistare;

d) Per fare acquisti mirati;

e) Altro(specificare)_________________________________

3) Secondo lei, quali sono gli aspetti positivi del mercato? (max 4 risposte)

a) La qualità dell’offerta;

b) La freschezza e genuinità dei prodotti alimentari;

c) La possibilità di avere un’offerta variegata;

d) La convenienza economica;

e) Il rapporto umano che si instaura con l’ambulante;

f) La possibilità di toccare la merce (per i prodotti non alimentari);

g) Altro (specificare)__________________________

h) Non ha alcun aspetto positivo

4) Secondo lei, quali sono gli aspetti negativi del mercato? (max 2 risposte)

a) L’offerta non è di qualità;

b) Difficoltà nel trovare parcheggio/di accesso al mercato;

c) E’ troppo dispersivo;

d) C’è troppa confusione;

e) L’offerta non è molto variegata;

f) Poca convenienza economica;

g) C’è poca sicurezza (per esempio furti);

h) Ci sono ambulanti abusivi;

i) Altro (specificare)__________________________

j) Non ha alcun aspetto negativo

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153

5) Tra le seguenti categorie di prodotti, quali acquista?

a) Abbigliamento e accessori;

b) Calzature;

c) Articoli per la casa;

d) Alimentari(frutta e verdura);

e) Alimentari(salumi, formaggi);

f) Alimentari(pesce);

g) Fiori e piante;

h) Altro(specificare)________________;

i) Non acquisto nessun prodotto (vai alla domanda 7)

6) Indichi il grado d’importanza (dal più importante al meno importante) di ogni acquisto

(es. 1 Frutta e verdura, 2 Abbigliamento, ecc) _____________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________

7) Perché non effettua alcun acquisto al mercato? _____________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________

__________________________________________________________________________

_____________________________________________________________________________

8) Chi sono i diretti concorrenti del mercato per lei? (max 2 risposte)

a) Negozi tradizionali;

b) Centri commerciali;

c) Supermercati;

d) Discount;

e) Outlet (per l’abbigliamento e accessori);

f) Altri mercati ambulanti;

g) Altro (specificare)________________

9) Secondo lei, il mercato ha bisogno di miglioramenti?

a) Si (vai alla domanda 10);

b) No (vai alla domanda 11)

10) Quali miglioramenti sarebbero necessari? (max 2 risposte)

a) Spostare il mercato in una zona della città più facilmente accessibile,con maggiore

possibilità di parcheggio;

b) Installare tendoni per poter venire al mercato anche con le intemperie;

c) Riduzione del numero di banchi;

d) Ampliamento del numero di banchi;

e) Diversa disposizione dei banchi;

f) Altro (specificare)________________________________________

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154

Sezione 2: Dati generali

11) Sesso:

a) maschio;

b) femmina.

12) Fascia d’età:

a) 15-34 anni;

b) 35-54 anni;

c) 55-65 anni;

d) Più di 65 anni

13) Professione lavorativa:

a) In cerca di occupazione;

b) Operaio/a;

c) Insegnante;

d) Dirigente;

e) Libero professionista;

f) Impiegato/a;

g) Artigiano/a;

h) Commerciante;

i) Studente/studentessa;

j) Casalinga;

k) Pensionato/a;

l) Altro(specificare)_____________

14) Titolo di studio:

a) Licenza elementare;

b) Licenza media inferiore;

c) Licenza media superiore;

d) Laurea triennale;

e) Laurea specialistica/magistrale;

f) Altro(specificare)______________

Il/La sottoscritto/a, acquisite le informazioni di cui all’art. 13 della D. Lgs. 196/2003, ai sensi

dell’art. 23 della legge stessa conferisce il proprio consenso al trattamento dei propri dati personali.

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155

Indagine rivolta ad evidenziare le principali caratteristiche

degli operatori del settore del commercio ambulante

Il presente questionario ha come obiettivo l’analisi delle caratteristiche degli operatori

che svolgono la loro attività nel settore del commercio ambulante con riferimento al

mercato di Pisa.

Le informazioni fornite resteranno assolutamente anonime e saranno usate

esclusivamente per la stesura di una tesi di laurea magistrale svolta da una studentessa

del Dipartimento di “Economia e management” dell’Università di Pisa.

La ringrazio in anticipo per il contributo che darà per questa indagine.

Sezione 1: Caratteristiche degli operatori ambulanti

1) Quanti giorni lavora durante la settimana?

a) 6 giorni;

b) 4-5 giorni;

c) 2-3 giorni;

d) Meno di 2 giorni;

2) Quanti mercati frequenta durante la settimana?

_______mercati

3) Quali?

______________________________________________________________________

______________________________________________________________________

4) Da quanti anni svolge questo mestiere?

_______anni

5) Perché ha deciso di intraprendere questo mestiere?

______________________________________________________________________

______________________________________________________________________

______________________________________________________________________

______________________________________________________________________

______________________________________________________________________

6) Fatto 100 il numero di clienti che frequentano il mercato,indichi le percentuali di

composizione della clientela (esempio: occasionale 30% abituale 70%, oppure se non vi

è alcun cliente occasionale o abituale indichi 0%):

a) Abituale___;

b) Occasionale___

7) Nel corso degli ultimi due anni la clientela di questo mercato è:

a) Aumentata;

b) Diminuita;

c) Rimasta pressoché invariata

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156

8) Chi sono i diretti concorrenti del mercato per lei? (max 2 risposte)

h) Negozi tradizionali;

i) Centri commerciali;

j) Supermercati;

k) Discount;

l) Outlet (per l’abbigliamento e accessori);

m) Altri mercati ambulanti;

n) Altro (specificare)________________

9) Secondo lei, quali sono gli aspetti positivi del mercato? (max 4 risposte)

i) La qualità dell’offerta;

j) La freschezza e genuinità dei prodotti alimentari;

k) La possibilità di avere un’offerta variegata;

l) La convenienza economica;

m) Il rapporto umano che si instaura con l’ambulante;

n) La possibilità di toccare la merce (per i prodotti non alimentari);

o) Altro (specificare)__________________________

p) Non ha alcun aspetto positivo

10) Secondo lei, quali sono gli aspetti negativi del mercato? (max 2 risposte)

k) L’offerta non è di qualità;

l) Difficoltà nel trovare parcheggio/di accesso al mercato;

m) E’ troppo dispersivo;

n) C’è troppa confusione;

o) L’offerta non è molto variegata;

p) Poca convenienza economica;

q) C’è poca sicurezza (per esempio furti);

r) Ci sono ambulanti abusivi;

s) Altro (specificare)__________________________

t) Non ha alcun aspetto negativo

11) Secondo lei, il mercato ha bisogno di miglioramenti?

c) Si (vai alla domanda 12);

d) No (vai alla domanda 13)

12) Quali miglioramenti sarebbero necessari?

______________________________________________________________________

__________________________________________________________________

______________________________________________________________________

_________________________________________________________________

______________________________________________________________________

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157

Sezione 2: Dati generali

13) Sesso:

a) maschio;

b) femmina.

14) Fascia d’età:

a) 18-34 anni;

b) 35-54 anni;

c) 55-65 anni;

d) Più di 65 anni

15) Titolo di studio:

a) Licenza elementare;

b) Licenza media inferiore;

c) Licenza media superiore;

d) Laurea triennale;

e) Laurea specialistica/magistrale;

f) Altro(specificare)______________

16) Nazionalità:

a) Italiana;

b) Straniera(specificare)_____________

Il/La sottoscritto/a, acquisite le informazioni di cui all’art. 13 della D. Lgs. 196/2003, ai sensi

dell’art. 23 della legge stessa conferisce il proprio consenso al trattamento dei propri dati

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Bibliografia

- Bollettino ufficiale della regione Toscana del 10 febbraio 2005 n°11;

- Coreglia Antelminelli patria del figurinaio, P. Tagliasacchi;

- Gazzetta ufficiale del Regno D’Italia del 20 luglio 1940 n° 169;

- Gazzetta ufficiale del Regno D’Italia del 12 marzo 1934 n° 60;

- I Remondini di Bassano: stampa e industria nel Veneto del Settecento, Mario

Infelise, Ghedina e Tassotti edizioni, 1990;

- Il commercio ambulante, Leonardo Mele, La nuova Italia scientifica edizioni,

1981;

- Il commercio su aree pubbliche: commento al d. m. 4 giugno 1993, n° 248 e

regolamento di esecuzione della legge 112/1991, Gianfranco Cardosi, Maggioli

edizioni, 1993;

- L’Italia dei consumi: dalla Belle Époque al nuovo millennio, Emanuela

Scarpellini, GLF editori Laterza, 2008;

- La disciplina dell’attività commerciale: commercio a posto fisso, ambulante ed

esercizi pubblici, Vittorio Ragonesi, Giuffrè edizioni, 1981;

- La montagna mediterranea: una fabbrica di uomini? Mobilità e migrazioni in

una prospettiva comparata, Dionigi Albera e Paola Corti, Gribaudo edizioni,

2000;

- Le attività commerciali: commercio in locali privati, commercio su aree

pubbliche, somministrazione di alimenti e bevande, rivendita di giornali e

riviste, Rocco Orlando Di Stilo, Maggioli edizioni, 2003;

- Le migrazioni interne in età fascista. Politica e realtà demografica, A.Treves,

Einaudi edizioni, 1976;

- Le poesie di Geppe, nella parlata della pianura lucchese, Antonio Cordani

editore, 1928;

- Mercati e consumi: organizzazione e qualificazione del commercio in Italia dal

XII secolo al XX secolo, AA.VV., 1986;

- Model assisted survey sampling, Carl-Erik Sarndal, Bengt Swensson,

JanWretman, Edizioni Springer, 1992;

- Pietro Leopoldo D’Asburgo Lorena. Relazioni sul governo della Toscana,

A.Salvestrini, Olschki editore, 1969;

- Quaderni dell’emigrazione toscana, AA.VV., Pagnini e Martinelli editori, 2000;

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- Sample survey: principles and methods, Vic Barnett, Edizioni Arnold, 2002;

- Statistical methods for the social sciences; A.Agresti,B.Finlay;4th

edition;

Pearson Prentice Hall; 2009;

- Storia di Barga, B.Sereni, Notiziario Filatelico Numismatico, anno XXV n° 3,

ottobre 1985;

- Sulle strade del commercio ambulante. L’emigrazione toscana nella prima metà

del XX secolo, Giampaolo Giampaoli, Erreci edizioni, 2011.

Risorse web

- http://augusto.digitpa.gov.it/;

- http://demo.istat.it/pop2012/index.html;

- http://processo_esecuzione.diritto.it/docs/29884-la-metamorfosi-del-commercio-

su-aree-pubbliche-come-hanno-inciso-la-direttiva-sui-servizi-ed-il-mercatino-

del-biologico;

- http://www.banchedati.ilsole24ore.com/doc.get?uid=sole-SS20130524041CAA;

- http://www.comune.pisa.it/it/ufficio-scheda/6834/Mercato.html;

- http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp;

- http://www.laportadeltirreno.it/rubriche-aziende/il-mercato-centrale-di-livorno;

- http://www.regione.toscana.it/burt;

- http://www.sba.unipi.it/;

- http://www.treccani.it/;

- http://www.wakeupnews.eu/consumi-alimentari-in-calo-lallarme-della-

coldiretti/.

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Ringraziamenti

Questo lavoro di ricerca è stato il frutto non solo dei miei sacrifici ma anche del lavoro

di tante altre persone che hanno contribuito alla sua realizzazione e per questo motivo

voglio dire grazie a:

- Il Professor Roberto Sbrana, per i consigli che mi ha fornito durante la stesura

della tesi e per averla puntualmente corretta e migliorata;

- La Professoressa Monica Pratesi, per l’aiuto che mi ha dato relativamente alla

parte statistica della ricerca;

- I venditori su area pubblica del mercato di via Alberto Paparelli e i consumatori

che hanno deciso di partecipare alle interviste, senza il loro contributo lo

svolgimento di questa ricerca non sarebbe stato possibile;

- La Dottoressa Rosalinda Bruno, per aver predisposto il programma con cui

caricare on-line le versioni dei questionari dei consumatori e dei venditori su

area pubblica;

- I dipendenti dell’Ufficio Sviluppo Attività Produttive dei Comuni di Pisa,

Cascina e Pontedera, per avermi fornito le informazioni relative ai mercati che si

svolgono nei suddetti Comuni;

- Tutte le persone che mi hanno supportato e sopportato durante la redazione della

tesi, specialmente i miei genitori.