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UNIVERSITA' DI PISA
DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT
Corso di Laurea in Marketing e Ricerche di mercato
Origini e vitalità del commercio ambulante in Italia:
I risultati di un’indagine empirica mirata
CANDIDATO: Elena Cantini
RELATORE: Prof. Roberto Sbrana
Anno Accademico 2012-2013
Ai miei genitori
1
Indice
Introduzione 3
Capitolo 1: Cenni storici sulle origini del commercio ambulante 6
1.1- Il commercio al minuto tra il XVIII ed il XIX secolo 6
1.2- Il contrastato affermarsi del negozio fisso e le battaglie
contro l’ambulantato tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo 9
1.3- Genesi e sviluppo del commercio ambulante in Toscana 11
Capitolo 2: Evoluzione legislativa del commercio su area pubblica 19
2.1- Legge 5 febbraio 1934, n. 327 e regolamento di attuazione n.2255/1939 20
2.2- Legge 19 maggio 1976, n.398 22
2.3- Legge 29 marzo 1991, n.112 36
2.4- Decreto legislativo 31 marzo 1998, n.114 41
2.5- Legge regionale Toscana 7 febbraio 2005, n° 28 49
2.6- Modifiche al d.lgs. n°114/1998 50
Capitolo 3: Una panoramica nazionale degli operatori e dei consumatori 52
3.1- Le caratteristiche delle imprese ambulanti e su area pubblica 52
3.2- Il profilo ed il comportamento del consumatore al mercato 64
Capitolo 4: Le caratteristiche degli operatori ambulanti ed il
comportamento dei consumatori che si recano al mercato: una ricerca empirica 74
4.1- Obiettivi della ricerca 74
4.2- Metodo di lavoro e difficoltà incontrate 75
4.3- Risultati ottenuti dalla ricerca 82
4.4- Relazioni tra variabili dei questionari tramite modelli statistici
di regressione 134
4.5- Conclusioni 150
2
Allegati 152
Bibliografia e risorse web 158
Ringraziamenti 160
3
Introduzione
La ragione principale che mi ha spinto ad occuparmi del settore del commercio
ambulante è dovuta all’interesse suscitatomi da questo argomento durante il corso di
Storia dei consumi. Nonostante durante questo corso ne sia stato fatto solo un breve
cenno, sono rimasta colpita dal fatto che questo settore ricopre un discreto peso tra i
canali di acquisto dei consumatori, peraltro in aumento in questo periodo di crisi
economica. Infatti, il peso degli ambulanti sul totale del canale distributivo non
alimentare è cresciuto dal 1996 al 2011 dal 13,3% al 15,3%, mentre quello relativo al
canale distributivo alimentare è cresciuto dal 9,2% al 10%1. A conferma
dell’importanza di questo settore vi è il fatto che ogni settimana si recano al mercato dai
23 ai 25 milioni di consumatori che effettuano almeno un acquisto per un giro d’affari
che oscilla tra i 25 e i 26 miliardi di euro pari all’1,65% del prodotto interno lordo2. Ma
l’importanza del commercio ambulante non è solo economica, infatti il mercato svolge
una funzione di prossimità nei centri minori, dove grazie alla loro presenza i
consumatori evitano di percorrere lunghe distanze per recarsi al più vicino supermercato
o centro commerciale e acquistano ciò che desiderano grazie alla varietà dell’offerta da
questi fornita. Inoltre, il mercato, sia nei centri minori ed in parte anche nelle città,
svolge un’importante funzione sociale e rappresenta un notevole elemento di vitalità. I
consumatori non si recano al mercato solo ed esclusivamente per acquistare i prodotti
ma anche per svagarsi o per fare una passeggiata; inoltre, i consumatori instaurano con i
venditori un rapporto che va al di là della semplice contrattazione pre-acquisto. Il
commercio ambulante, quindi, è un settore che riveste una notevole importanza e resiste
nel tempo a scapito di chi affermava che sarebbe stato superato da forme distributive
più evolute. La mia trattazione si apre con le origini storiche del commercio ambulante
focalizzandosi in particolare su diciottesimo, diciannovesimo e ventesimo secolo. In
questa prima parte viene descritta in breve la storia del commercio al minuto con
particolare riferimento al ruolo svolto in questo periodo dalle botteghe, dai bazar, il
ruolo ricoperto da ambulanti e girovaghi nonché i contrasti che sorsero tra questi due
canali distributivi. Successivamente è riportata la genesi e lo sviluppo del commercio
ambulante in Toscana, dato che la mia ricerca personale, oggetto dell’ultimo capitolo
della tesi, è stata svolta nell’ambito della Provincia di Pisa. Il secondo capitolo della tesi
1 Dati contenuti in: Slide n°43 - corso Storia dei consumi Parte II a.a. 2012/2013 2 http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp
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riguarda l’evoluzione legislativa del settore partendo dalla prima legge emanata per
regolarlo del 5 febbraio 1934, n° 327 fino a quella attualmente in vigore rappresentata
dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n° 114 e successive modifiche. Il terzo capitolo è
basato su uno studio della Fiva (Federazione Italiana Venditori Ambulanti e su area
pubblica) Confcommercio relativo al quadriennio 2008-2012 e condotto su tutto il
territorio nazionale che mette in evidenza l’importanza rivestita dal settore. Nella prima
parte viene descritta l’offerta merceologica delle imprese operanti nel commercio su
area pubblica, la loro forma giuridica, il peso rivestito dagli operatori extra-comunitari
sul totale delle imprese del settore ed alcune considerazioni relative al numero delle
imprese europee facenti parti del commercio su area pubblica. Nella seconda parte,
invece, viene evidenziato il profilo ed il comportamento del consumatore: perché va al
mercato, cosa compra e quanto spende. Per la stesura dei primi tre capitoli della mia
trattazione ho utilizzato una metodologia di tipo compilativo, cioè ho utilizzato fonti
bibliografiche e ricerche già note e le ho rielaborate per la scrittura dei capitoli. Ho
effettuato la ricerca bibliografica avvalendomi del sito internet della biblioteca
dell’Università di Pisa (http://www.sba.unipi.it/) e attraverso tale sito ho anche
effettuato una ricerca sulle banche dati economiche e storiche attinenti l’oggetto della
mia trattazione. Oltre a servirmi del motore di ricerca Google che mi ha consentito di
reperire fonti come le Gazzette Ufficiali del Regno d’Italia, il BURT (Bollettino
Ufficiale della Regione Toscana) e le modifiche al decreto legislativo 31 marzo 1998,
n°114 reperite su di un sito specializzato in informazione giuridica
(http://www.diritto.it/). Per quanto riguarda la stesura del terzo capitolo ho trovato lo
studio condotto dalla Fiva grazie al sito web della Federazione, trovato a sua volta
grazie all’utilizzo del motore di ricerca Google. La parte più originale della tesi,
tuttavia, nonostante non siano da trascurare gli altri tre capitoli, è rappresentata dal
capitolo conclusivo, il quarto. Questo è stato costruito effettuando una ricerca empirica
su consumatori ed operatori ambulanti al fine di evidenziarne, rispettivamente, opinioni,
comportamenti d’acquisto e caratteristiche. La ricerca è stata svolta dapprima
costruendo due questionari da somministrare rispettivamente, ai venditori ambulanti per
conoscerne le principali caratteristiche, e ai consumatori per mettere in evidenza le loro
opinioni relative al mercato e il loro comportamento d’acquisto. Per quanto riguarda gli
operatori ho deciso di effettuare le interviste nell’ambito del Comune di Pisa data la
vicinanza rispetto alla mia abitazione che comportava costi minori. La
somministrazione dei questionari in questo caso è avvenuta esclusivamente faccia a
5
faccia cercando di intervistare tutti gli operatori presenti al mercato di Via Paparelli. Per
quanto riguarda i consumatori ho deciso di effettuare le interviste sempre nell’ambito
della Provincia di Pisa ma, in questo caso, non potendo per limiti temporali e monetari
intervistare tutti i residenti della provincia ho dovuto effettuare un campionamento per
quote in base alla distribuzione per età e sesso dei residenti nella stessa. In questo caso
per la somministrazione dei questionari ho utilizzato due differenti tipologie: invio del
questionario relativo ai consumatori via web pubblicandone il link ai miei contatti
Facebook che appartenevano alla fascia d’età 15-34 anni mentre per quanto riguarda le
altre fasce d’età ho effettuato le interviste faccia a faccia sia al mercato che in uno
studio medico per avere più probabilità di risposta, ovviamente accertandomi prima che
le persone rappresentassero il target della mia ricerca. Dai risultati di questa ricerca è
emerso come il mercato sia un punto di riferimento fondamentale negli acquisti dei
consumatori, soprattutto per alcune categorie come pensionati, operai, casalinghe e
impiegati. Viene apprezzata non solo la convenienza economica ma anche la varietà
dell’offerta presente nel mercato, il rapporto umano che s’instaura con gli ambulanti e la
qualità dei prodotti venduti, sia alimentari che non. Inoltre, grazie alle risposte fornite
da operatori e consumatori, sono stati evidenziati problemi che l’amministrazione
comunale e le forze dell’ordine devono assolutamente risolvere come abusivismo,
sicurezza e problemi di parcheggio e accesso al mercato.
6
Capitolo 1: Cenni storici sulle origini del commercio ambulante
Il mercato locale, cellula elementare dello scambio e prima forma della distribuzione al
minuto, al di sotto della quale si collocavano forme inferiori e più irregolari dello
scambio, confuse con meccanismi di autoconsumo, dimostra nei secoli una notevole
capacità di resistenza3. Centro principale del suo svolgimento erano le città italiane del
XIII secolo nelle quali confluivano il commercio internazionale, inter-locale e locale. In
questo quadro trovano posto gli ambulanti che, come ha affermato Braudel4 stimolano,
tengono vivo e diffondono lo scambio. In questo periodo avevano un ruolo che potrebbe
essere definito inverso rispetto a quello del contadino che va in città perché
rappresentavano per la campagna una fonte di approvvigionamento di prodotti che
altrimenti non vi sarebbero arrivati, come cappelli, scarpe, chiodi, camicie e ferramenta.
1.1- Il commercio al minuto tra il XVIII ed il XIX secolo
Commercio al minuto può essere definita l’operazione di scambio mediante la quale
uno dei contraenti acquista una merce destinata all’uso proprio o della propria famiglia
da una controparte che esercita normalmente l’attività mercantile. Il commercio al
minuto può dirsi praticato in ogni momento della storia italiana ed in ogni contrada
della penisola, ma certamente con diverse conformazioni strutturali5. Le botteghe che si
ritrovavano un po’ ovunque nei centri rurali di una qualche consistenza, risentivano
delle esigenze particolari dell’ambiente in cui erano inserite. Infatti, man mano che si
allontanavano dai borghi più importanti della pianura o del fondo valle, andavano
punteggiando campagne disperse o piccoli agglomerati di montagna ed offrivano un
punto prezioso di riferimento per i contadini o gli alpigiani che in esse vi potevano
reperire in qualunque stagione dell’anno alcuni fondamentali prodotti di provenienza
lontana, come il sale, il tabacco, qualche granaglia, oggetti di chincaglieria e semplici
arnesi, vi erano ammassati i più svariati generi merceologici. Le botteghe di villaggio
avevano un orizzonte merceologico ridotto e per molti generi, che interessavano la
gente, stentavano a tenere quel contatto continuato con il commercio urbano, dal quale
pure il loro dipendeva. A questa necessità rispondevano meglio le fiere e i mercati che
3 Mercati e consumi: organizzazione e qualificazione del commercio in Italia dal XII secolo al XX secolo; AA.VV.;
1986; pag.570-571. 4 Mercati e consumi: organizzazione e qualificazione del commercio in Italia dal XII secolo al XX secolo; AA.VV.;
1986; pag.578. 5 Mercati e consumi: organizzazione e qualificazione del commercio in Italia dal XII secolo al XX secolo; AA.VV.;
1986; pag.583.
7
apparivano molto attivi in quasi tutta Italia fino dalla metà dell’Ottocento. La
distinzione tra mercato e fiera era concettualmente netta. Il mercato aveva una
periodicità assai più frequente, poteva essere anche settimanale o bisettimanale,
esercitava un’attrazione mercantile spazialmente ristretta, metteva a contatto diretto
produttori e consumatori; la fiera, nell’accezione storica, era invece luogo d’incontro di
mercanti che giungevano da paesi anche lontani con il loro carico di prodotti, e mercanti
compratori, locali o forestieri, che ripartivano a fiera chiusa portando con sé le
mercanzie acquistate. Tuttavia la distinzione tra mercato e fiera andò offuscandosi tra la
fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento quando le differenze tra le due
istituzioni diminuirono. In parecchi mercati si negoziavano bestiame, cereali, sementi,
formaggi e, quindi, il mercato di borgo costituiva un mezzo per avviare le eccedenze
agricole ai canali della concentrazione e della distribuzione cittadina. Per quanto
riguarda le fiere, l’esempio più importante del panorama italiano è costituito da quella
di Senigallia6, presente a partire dal XIV secolo, che era un luogo d’incontro tra
mercanti all’ingrosso e sensali giunti per terra o per mare da tutti i paesi dell’Adriatico,
dello Ionio, dell’Egeo, dall’Italia, dalla Svizzera, dalla Francia, dalla Germania. Le
grandi case commerciali di Ancona portavano a Senigallia il pepe, il cacao, lo zucchero,
la cannella, il tè e i prodotti del Levante; i veneziani il vetro di Murano; l’Oriente turco
l’olio, la frutta secca. Senigallia era in questo senso una vera fiera a dimensione
internazionale; ma poi è noto che, accanto a un numero cospicuo di grossisti che davano
tono alla fiera, operavano a Senigallia schiere ancor più fitte di piccoli mercanti ai quali
faceva capo la strabocchevole folla dei minuti clienti7.
1.1.1- Il ruolo degli ambulanti e dei girovaghi
Gli ambulanti potevano vantare una tradizione antichissima e qualche benemerenza per
le prestazioni che in epoche perigliose avevano reso alla società rurale. Ancora
nell’Ottocento gli ambulanti potevano dirsi i protagonisti di un’attività commerciale che
le incerte comunicazioni e le generali carenze strutturali del sistema mercantile
rendevano quasi insostituibile. Il mercante ambulante aveva una capacità di raccogliere
ed esaudire le richieste dei rurali, di prevenirne persino i bisogni, che faceva invece
6 L’Italia dei consumi: dalla Belle Époque al nuovo millennio; Emanuela Scarpellini; GLF editori Laterza; 2008; pag.
76-77. 7 Mercati e consumi: organizzazione e qualificazione del commercio in Italia dal XII secolo al XX secolo; AA.VV.;
1986; pag.588-589.
8
difetto ai bottegai di paese, distolti da altre occupazioni e opportunità di guadagno.
Molti piccoli problemi dell’esistenza degli individui, legati alla disponibilità tempestiva
di questo o di quell’oggetto, erano risolti dagli ambulanti che per questo ricevevano
benevola accoglienza specie dalle donne sulle cui spalle la società di quel tempo
scaricava molte incombenze. Il commercio svolto per strada poteva essere diviso in due
settori: quello propriamente ambulante e quello girovago. L’ambulante aveva una
clientela in un certo senso fissa con la quale intratteneva relazioni vecchie e
consuetudinarie. Abitava in un borgo di una qualche importanza ove aveva
l’opportunità di fare il proprio carico presso grossisti o fabbricanti o intermediari
maggiori, frequentava a data fissa le fiere e i mercati della contrada e nei giorni liberi da
questi impegni girava per le campagne o risaliva le vallate collocandosi nella piazzetta
di fronte alla chiesa e visitando anche la clientela a domicilio. A volte viaggiava con
barroccio a cavallo, a volte a piedi, con carretto spinto a mano, se il genere trattato e la
lunghezza degli itinerari lo consentivano. V’era l’ambulante specializzato, quello per
esempio, che vendeva e affilava coltelli e forbici, v’era il venditore di aringhe e generi
quaresimali, ma sopra ogni altro doveva essere popolare l’ambulante merciaio che
portava con sé nastri, elastici, ditali, aghi, fili e tante altre cose del genere. La
disponibilità umana ad affrontare grandi distanze, a sopportare ogni disagio, a superare
ostacoli geografici, linguistici e politici d’ogni sorta, ad attraversare confini sbarrati, a
eludere qualsiasi divieto, pur di raggiungere con il proprio fagotto una clientela lontana,
è nel nostro paese antichissima. Se l’ambulante rifaceva continuamente gli stessi
itinerari e non s’allontanava molto da casa, il girovago guardava assai più lontano.
L’ambulante conosceva bene le esigenze della sua clientela, alla quale offriva un
servizio di collegamento con un mercato più grande; il girovago giocava piuttosto sulla
novità e l’interesse che le sue offerte suscitavano presso le popolazioni maggiormente
segregate dal mondo. A vari fattori naturali e storici va riportata la particolare vocazione
di alcune regioni italiane ad alimentare determinate correnti di commercio girovago.
Terra classica di migrazioni stagionali era la vasta fascia alpina e pedemontana che dal
Mar Ligure giungeva fino alla Carnia. La povertà di quelle contrade, la sproporzione
manifesta tra popolazione e risorse, furono gli incentivi che indussero le prime fughe
sulle vie del mondo. La specialità merceologica scelta dai girovaghi era spesso legata a
una tradizione locale. I marronai piemontesi e toscani portavano con sé le castagne dei
loro monti; i coltellinari e forbiciari di Valsassina erano legati alle piccole fucine della
loro valle; la zona del lago Maggiore era operosa nella fabbricazione di ombrelli e i suoi
9
abitanti andavano a venderli un po’ dappertutto, integrando lo smercio di ombrelli con
quello di cesti, setacci, gabbie e trappole per topi. Le manifatture stesse si servivano del
commercio girovago per il collocamento delle loro produzioni. Come caso esemplare si
può citare quello dei Remondini di Bassano Veneto, nel diciottesimo secolo. I
Remondini erano allora la maggior impresa industriale della Repubblica di Venezia e
contavano una maestranza di oltre mille unità. La loro attività era la tipografia:
stampavano libri di ogni specie, almanacchi, carte da parati, incisioni su rame o legno di
soggetti profani o religiosi, ritratti di santi. La diffusione dei libri era affidata dai
Remondini alle loro botteghe: quella di Bassano, l’altra più fiorente a Venezia e ai
corrispondenti che la stamperia aveva in molte città d’Europa. Ma per la vendita
dell’iconografia religiosa, protratta su scala così estesa da assicurare alla tipografia di
Bassano un primato europeo, i Remondini preferirono legare a sé una vasta schiera di
girovaghi che crearono nel mondo un fitto reticolato di vendite capillari8. Un esempio
analogo, riferito agli stessi anni, lasciò Antonibon che a Nove Vicentina produceva
ceramiche e porcellane di un certo pregio e, pur avendo negozi propri a Venezia,
Verona e Padova, faceva percorrere le campagne da una squadra di 52 ambulanti, i quali
all’occasione varcavano il confine verso il Trentino e il Tirolo meridionale9.
1.2- Il contrastato affermarsi del negozio fisso e le battaglie contro
l’ambulantato tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo
Nell’evoluzione del negozio fisso tra la fine dell’Ottocento e il Novecento si manifestò
una tensione tra il sistema della specializzazione e quello dell’ampio assortimento. La
specializzazione permetteva economie gestionali e maggiore competenza, ma rendeva il
negozio più vulnerabile a crisi settoriali e meno appetibile da parte dei clienti con poco
tempo a disposizione per visitare molti negozi. Inoltre, era naturalmente inadatto a
piccoli paesi. L’ampio assortimento aveva caratteristiche opposte. La combinazione dei
vantaggi di ambedue i sistemi si era già affermata all’estero con la diffusione dei grandi
magazzini, ma in Italia, non riscosse una grande affermazione. Convissero a lungo i
bazar, botteghe nelle quali si poteva trovare un po’ di tutto dai generi alimentari più
svariati alle scope, coloniali, ceramiche da tavola e generi di merceria, con i negozi
8 I Remondini di Bassano: stampa e industria nel Veneto del Settecento; Mario Infelise; Ghedina e Tassotti edizioni;
1990; pag.118. 9 Mercati e consumi: organizzazione e qualificazione del commercio in Italia dal XII secolo al XX secolo; AA.VV.;
1986; pag.590-592.
10
specializzati. Mentre, però, nei bazar la merce era sparsa alla rinfusa e senza nessuna
cura dell’aspetto estetico, nei negozi specializzati si registrarono alcuni miglioramenti
come l’innalzamento degli standard di pulizia e arredamento. Inoltre, i servizi offerti da
questi negozi spesso comprendevano la produzione di specialità della casa che si
sviluppavano qualche volta in marche commerciali a carattere locale; qualche volta
esisteva anche una contabilità aziendale più moderna ed un rapporto più efficiente con i
clienti e i fornitori. Infine, la pratica defatigante della contrattazione sul prezzo lasciò
progressivamente il posto al prezzo fisso, che si affermò definitivamente tra la I guerra
mondiale e gli anni ’20, senza tuttavia eliminare l’uso degli sconti e delle svendite. Un
cenno particolare merita la diffusione della pubblicità. La pubblicità modernamente
intesa decollò in Italia soltanto nel primo decennio del XX secolo, per opera
principalmente di industriali e dei pochi grandi magazzini esistenti in Italia (Mele e
Bocconi, prima, poi Rinascente). Spiccavano nella pubblicità le bevande alcoliche e/o
medicinali (Cinzano, Campari, Bisleri) e i prodotti della nuova tecnologia (automobili,
biciclette, macchine da cucire). Nascevano le prime organizzazioni pubblicitarie (IGAP,
Impresa generale diffusione pubblicità) e i primi studi specialistici sulla funzione della
pubblicità. Fra i vari strumenti pubblicitari i commercianti adoperavano principalmente
i giornali locali o forme quali lotterie e buoni premio che tendevano a legare la clientela
al negozio e venivano amministrate direttamente dal piccolo commerciante. Con il
miglioramento dei trasporti, il diffondersi dell’urbanesimo e l’innalzamento del tenore
di vita sembrava che il commercio ambulante dovesse perdere notevolmente terreno
rispetto a quello fisso e restare confinato alle zone rurali più povere. Fu quindi con
sorpresa e disappunto che i negozianti si accorsero che l’ambulantato tendeva a
trasferirsi in città cominciando anche nei grandi centri a fare concorrenza effettiva al
commercio stabile con grande vantaggio dei consumatori e dei produttori. Iniziò quindi
una lunga lotta per la regolamentazione del commercio ambulante. Gli si rimproverava
di non pagare le tasse, di frodare, di usare mezzi di persuasione all’acquisto illeciti e/o
lesivi della libertà, di poter fare concorrenza sleale ai negozi fissi. C’era però chi
osservava che i “commercianti girovaghi sono nella massima parte sventurati proletari,
privi dei più comuni conforti di famiglia, senza letto e senza tetto” e che “nessuno dei
commercianti girovaghi può designarsi che abbia accumulato le fortune, comperato i
palazzi ed i poderi di cui non di rado si confortano i commercianti stabili”10
. Tuttavia,
10 Atti del III Congresso delle Camere di Commercio etc; cit.; pag 164-165.
11
anche parte del commercio ambulante si specializzava e si ammodernava a tal punto da
costituire il chiodo fisso delle lamentele e delle richieste di regolamentazione da parte
dei negozianti. Nel V congresso dei commercianti tenutosi a Milano nel 1906 si
approvò un ordine del giorno in cui si chiedeva di estendere agli ambulanti il pagamento
di una tassa d’esercizio. Ma nessuna decisione venne presa fino agli anni ’30 quando la
concorrenza dell’ambulantato aumentò in seguito al boom registrato dal settore. Nel
1934 venne introdotto l’obbligo della licenza e gli ambulanti vennero inquadrati nella
confederazione del commercio. A ciò fecero seguito accordi con i rappresentanti del
commercio stabile11
.
1.3- Genesi e sviluppo del commercio ambulante in Toscana
Dagli inizi del XIX secolo le trasformazioni del lavoro agricolo nella pianura Padana
spinsero la popolazione della montagna toscana, in particolare della Lunigiana, ad
abbandonare la secolare consuetudine di lavorare come braccianti per dedicarsi ad
attività che potevano consentire maggiori opportunità di guadagno. Da quel momento
apparvero i primi commercianti ambulanti, destinati ad inaugurare una professione che
sarebbe proseguita a lungo durante l’età contemporanea e che rappresentava un caso
specifico rispetto alla maggioranza dei mestieri svolti dagli emigranti. L’emigrazione
stagionale nella pianura Padana si concentrava in alcune attività da svolgere nel periodo
primaverile ed estivo, tra cui la raccolta delle foglie del gelso per nutrire i bachi da seta.
I contadini lunigianesi per consuetudine ormai secolare partivano per la provincia di
Brescia nelle prime settimane di Maggio dove offrivano la loro manodopera anche gli
abitanti della montagna lucchese12
. Vivendo ogni anno per alcuni mesi presso le
comunità della pianura Padana, questi emigranti ebbero modo di imparare le abitudini di
vita della popolazione che li ospitava. Il bracciante, infatti, riusciva a raggiungere un
soddisfacente livello di integrazione. Era un attento e discreto osservatore, che si limitò
ad utilizzare le informazioni ottenute solo allo scopo di essere accettato fino a quando
rimase un lavoratore agricolo, ma successivamente seppe fare tesoro delle conoscenze
acquisite sul comportamento della popolazione bresciana per intraprendere attività
11 Mercati e consumi: organizzazione e qualificazione del commercio in Italia dal XII secolo al XX secolo; AA.VV.;
1986; pag.610-611. 12 Pietro Leopoldo D’Asburgo Lorena. Relazioni sul governo della Toscana; A.Salvestrini; Olschki editore; 1969;
Volume I pag. 30 e volume III pag. 159.
12
commerciali di vario genere, spingendosi nelle aree più isolate13
. In comunità rurali
impossibilitate a stabilire contatti costanti con i centri urbani a causa delle difficoltà di
spostamento dalle campagne alle città il venditore toscano che viaggiava a piedi o per
mezzo di carri era l’unico contatto con l’esterno. Da lui le famiglie contadine
acquistavano vari oggetti indispensabili per il lavoro nei campi o per le abitazioni, oltre
ad avere informazioni sulla vita che si conduceva nelle zone che l’ambulante aveva
attraversato per raggiungere le aree dove offriva la sua merce. I movimenti migratori
dalla Lunigiana nell’Italia Settentrionale e, in particolare, nella provincia di Brescia,
avevano due origini: una prima area di partenza da Montereggio e Parana e in generale
dagli attuali comuni di Pontremoli e Mulazzo, e una seconda zona costituita dal comune
di Bagnone e dai territori vicini da cui provenivano i commercianti che si dirigevano
nell’area geografica al tempo nota come Barsana (all’interno della provincia di Brescia),
specializzati nella vendita di maglieria e chincaglieria. Dal primo territorio, invece,
partivano i braccianti agricoli che si dedicavano al commercio dei libri, i cosiddetti
librai progenitori dei fondatori del premio Bancarella, che si impegnarono nella vendita
ambulante alcuni anni prima dei bagnolesi, mossi dalla crisi della gelsicoltura avvenuta
durante gli anni ’30 del 1800. E’ proprio in questo periodo che comparirono i primi
girovaghi con libri e selci (pietre per affilare le lame), mentre i venditori di chincaglieria
e maglieria apparvero fra gli anni ’40 e ’50 dello stesso secolo. Sono rari i documenti
che permettono di ricostruire i movimenti interni alla penisola dei venditori ambulanti
nel periodo compreso tra gli ultimi trent’anni dell’Ottocento e l’inizio del Novecento,
poiché vengono a mancare i passaporti per calcolare l’aspetto quantitativo del
fenomeno. Infatti, con l’istituzione del Regno d’Italia gli ambulanti non erano più
costretti a chiedere il permesso per allontanarsi dal comune di origine. La crescita fu
dimostrata successivamente dai dati resi noti dal regime fascista: il 1923 fu l’anno in cui
le migrazioni interne subirono il primo incremento, fino al 1.500.000 di spostamenti a
livello nazionale del 1937 dalla media annua di 600.000 iscrizioni a nuovi comuni di
inizio Novecento14
. L’aumento delle partenze dei commercianti girovaghi nella prima
metà del XX secolo si manifestò anche nei movimenti migratori diretti oltralpe e negli
Stati Uniti. Fino al secondo conflitto mondiale i venditori si indirizzarono
prevalentemente in Francia e in minor parte in California; le altre mete, tra cui la
13 La montagna mediterranea: una fabbrica di uomini? Mobilità e migrazioni in una prospettiva comparata; Dionigi Albera e Paola Corti; Gribaudo edizioni; 2000; pag. 156-157. 14 Le migrazioni interne in età fascista. Politica e realtà demografica; A.Treves; Einaudi edizioni; 1976; pag. 16-32.
13
Svizzera e la Germania, furono prese in considerazione solo dalla metà del Novecento,
quando furono aperte le frontiere commerciali nell’Europa centrale. Tra il 1921 e il
1924 i dati sulle destinazioni estere confermavano quanto detto: 649 partenze, pari al
67,82% del totale, erano indirizzate in Francia, a cui seguivano 227 richieste di espatrio
per l’America pari al 23,72% e per le altre località europee solo l’8,1%. La situazione
nel periodo compreso tra il 1931 e il 1936 appariva simile, a dimostrazione
dell’esistenza di una consuetudine migratoria: 134 emigranti si erano spostati in
Francia, 102 erano partiti per il Nord America e solo 19 avevano scelto di dirigersi in
America Latina. Le condizioni del commercio ambulante migliorarono verso la metà
del Novecento, quando lo sviluppo economico, che con il passare del tempo interessò
anche le famiglie rurali, fece aumentare la richiesta di generi di ogni tipo, consentendo
il passaggio da venditori girovaghi in proprietari di esercizi commerciali al minuto e
all’ingrosso. Il salto di qualità fu favorito dalle notevoli possibilità di credito offerte agli
emigranti di rifornirsi della merce senza l’obbligo di pagare alla consegna, ma solo
dopo aver venduto buona parte del materiale. Un altro fattore che giocò a favore dello
sviluppo delle attività ambulanti furono i costi minori sostenuti rispetto ad un esercizio
fisso che venivano sostenuti dai girovaghi, essendo la loro organizzazione commerciale
estremamente semplice, vantaggio che permise alle bancarelle di offrire la merce a
prezzi contenuti. Attraverso vendite elevate fu così possibile agli emigranti risparmiare
il denaro necessario ad acquistare una casa nei luoghi dove erano solito spostarsi, fino
ad aprire un magazzino o un negozio. Questo ampio movimento commerciale ebbe
effetti positivi anche su alcuni settori produttivi come quello tessile che almeno fino al
pieno Novecento non aveva canali ufficiali di diffusione. Un esempio è costituito dagli
ambulanti bagnonesi, specializzati nella vendita dei prodotti di maglieria, che
rappresentarono un mezzo di distribuzione non ufficiale ma efficiente e totalmente
gratuito15
.
1.3.1- Le fonti iconografiche
Dallo studio di alcune fonti iconografiche risalenti agli ultimi anni dell’Ottocento viene
evidenziato come il commercio girovago in questi anni si trovasse nella prima fase di
espansione e, a causa dei mezzi di trasporto rudimentali, spostarsi per paesi e città
15 Sulle strade del commercio ambulante. L’emigrazione toscana nella prima metà del XX secolo; Giampaolo
Giampaoli; Erreci edizioni; 2011; pag. 7-15.
14
risultava molto difficoltoso, poiché non si poteva fare affidamento sulle automobili e sui
camion di piccola portata, troppo costosi per le scarse finanze degli emigranti. Inoltre,
questi documenti dimostrano come nel commercio ambulante all’iniziativa individuale
prevalesse l’attività di una famiglia o di più famiglie tra loro unite, che decidevano di
stabilirsi in una specifica area geografica per trarre il beneficio maggiore dal proprio
lavoro; alla base di questo comportamento c’era il fenomeno delle catene migratorie,
che consentivano alla popolazione di una località di montagna posta sulle Alpi o
sull’Appennino di concentrarsi in una città o in una zona extraurbana all’estero16
.
1.3.2- I librai inconsapevoli promotori di lettura
I venditori ambulanti di libri in maggioranza erano originari dell’area geografica
compresa tra i comuni di Pontremoli e Mulazzo situati nella zona nord-ovest del
territorio della Lunigiana. Il bracciantato, nel momento in cui le aziende agricole
ridussero la richiesta di manodopera stagionale, iniziò a sfruttare la necessità delle
famiglie contadine per l’acquisto di prodotti di alcuni generi di utilizzo quotidiano. Tra
questi ultimi c’erano pietre per affilare le lame, indispensabili agli agricoltori bresciani
che dovevano tagliare le foglie del gelso per alimentare i bachi da seta, a cui si
aggiungevano altri articoli commerciali: dai lunari, per sapere in quale momento
seminare le varie culture, a pochi oggetti e pubblicazioni per la famiglia rurale. Durante
la seconda metà dell’Ottocento la quantità di carta stampata tra la merce di questi
emigranti iniziò ad aumentare, consentendo con il passare del tempo a gran parte di loro
di specializzarsi nella vendita di libri. Furono le esigenze delle popolazioni residenti
nelle località in cui questi emigranti erano soliti recarsi a determinare il loro definitivo
passaggio alla vendita del libro, una scelta non certo dettata dalla volontà di partecipare
alla diffusione della lettura e dello sviluppo dell’editoria, anche perché si deve
considerare che la maggior parte dei lunigianesi era analfabeta. Tutti i librai della
seconda metà del Novecento proprietari di negozi e magazzini in Italia e all’estero non
si facevano scrupoli nel confessare lo scarso livello di istruzione dei loro genitori e dei
loro nonni, che riuscivano a riconoscere i volumi solo dal colore della copertina. La
libreria Dante Alighieri, di proprietà G.Fogola e figli fu uno dei maggiori esercizi aperti
dai lunigianesi nel nord Italia. Oltre al commercio, i librai iniziarono a svolgere fin dal
16 Sulle strade del commercio ambulante. L’emigrazione toscana nella prima metà del XX secolo; Giampaolo
Giampaoli; Erreci edizioni; 2011; pag. 17-19.
15
primo Novecento anche attività tipografica, mettendo a disposizione dei lettori
pubblicazioni tra loro diverse sia per argomento che per caratteristiche grafiche17
. Tra i
librai lunigianesi, furono i Maucci gli unici a concepire l’editoria come un investimento
di capitali a livello internazionale, incrementando con continuità la loro attività durante
la prima metà del Novecento. Il pioniere della famiglia fu Emanuele, che si trasferì nel
1872 in Argentina allo scopo di lavorare nel commercio ambulante del libro, riuscendo
dopo un primo periodo di intenso lavoro a fondare una tipografia nella capitale. In circa
venti anni divenne uno degli editori più produttivi legati al mondo di cultura spagnola.
La possibilità di commerciare il libro in modo talmente vasto da coinvolgere tutto il
mondo di lingua spagnola fu il risultato del costante impegno dei fratelli Maucci nella
diffusione della lettura presso la popolazione colta, partecipando al fenomeno in modo
pienamente consapevole a differenza della maggior parte dei librai ancora analfabeti. I
tipografi avevano compreso non solo la notevole importanza economica che l’editoria
stava assumendo negli anni a cavallo tra l’Ottocento e Novecento, ma anche il ruolo
della lettura come strumento per consentire un innalzamento del livello socio-culturale
della popolazione e, di conseguenza, del grado di civiltà18
.
1.3.3- Aspetti sociali ed economici dell’emigrazione dei figurinai
Provenienti dalla montagna lucchese, i figurinai per originalità e durata nel tempo
dell’attività praticata all’estero non risultano di minore interesse rispetto ai librai e
dimostrano che il commercio ambulante sulla montagna toscana non era una
professione esclusiva della Lunigiana. Considerevole fu la loro capacità di offrire a
popolazioni di varie località poste tra America, Europa e in alcuni casi estremi fino
all’Asia e Oceania, una produzione singolare nei soggetti e ricercata nelle tecniche di
fabbricazione; la statuina in gesso, scultura quasi sempre di piccole dimensioni
utilizzata come souvenir o oggetto sacro raffigurante personaggi religiosi, era
apprezzata perché realizzata con precisione nei particolari anatomici. Oltre al tema
religioso questi emigranti ampliarono spesso il loro repertorio attraverso i personaggi
storici, dagli eroi del Risorgimento come Carlo Alberto, Pio IX, Garibaldi, Mazzini,
Cavour e Napoleone III, ai grandi uomini del passato realizzati in figura intera o come
piccoli busti romani, tra cui Socrate, Pericle, Alessandro Magno, Cesare, Dante e
17 Quaderni dell’emigrazione toscana; AA.VV.; Pagnini e Martinelli editori; 2000; pag. 14-18. 18 Sulle strade del commercio ambulante. L’emigrazione toscana nella prima metà del XX secolo; Giampaolo
Giampaoli; Erreci edizioni; 2011; pag. 23-31.
16
Petrarca: presenti con minore frequenza nei loro cataloghi erano, invece, le statuine di
animali domestici. Per quanto riguarda la durata nel tempo, l’emigrazione dei figurinai
ebbe inizio nei primi secoli dell’età moderna e si prolungò con continuità fino alla metà
dell’Ottocento, quando anche tali artigiani divennero più numerosi con l’incremento
demografico e poterono usufruire dei miglioramenti conseguiti nel campo della
navigazione oceanica19
. Di conseguenza negli anni delle partenze di massa alcuni di
loro poterono raggiungere gli angoli estremi del globo terrestre, come la Siberia, da cui
poi si spinsero fino all’interno del continente asiatico. Le campagne dei figurinai (così
venivano chiamate le prolungate permanenze all’estero) erano organizzate dai capi del
gruppo, lavoratori esperti a cui facevano seguito alcuni garzoni di giovane età, che
svolgevano ruoli di diversa importanza: dai ragazzi il cui compito era quello di spostarsi
nelle città o nelle campagne per la vendita, ai loro coetanei che cercavano anche di
imparare il lavoro in laboratorio. Fare la stampa (procedimento con cui il modello
realizzato dallo scultore veniva ricoperto di caucciù che, una volta vulcanizzato, ne
prendeva le forme) era il compito di maggiore complessità, mentre la fase successiva,
che consisteva nel gettare il gesso dentro la stampa stessa, era più facile da apprendere.
La carriera del figurinaio prevedeva alcuni fondamentali avanzamenti: dopo
l’apprendistato, in cui il giovane garzone sottoposto se dimostrava una buona
predisposizione apprendeva il lavoro di laboratorio, alcuni tentavano di allestire una
propria attività, assumendo dei garzoni e provando una prima campagna diretta verso
una località non troppo distante dal luogo di origine. Anno dopo anno, se si proseguiva
nel mestiere, si cercava di raggiungere mete sempre più distanti allo scopo di diffondere
il commercio della figurina dove ancora era sconosciuto. Le campagne potevano avere
durata di alcune settimane ma anche di mesi o anni a seconda dell’ubicazione
geografica della località di arrivo e non erano finalizzate solo alla vendita delle statuine
ma anche alla loro produzione. Laboratori della statuina in gesso tra Ottocento e
Novecento sorsero nelle maggiori città del mondo, da Parigi, Roma, Berlino e New
York, fino alle aree più distanti da raggiungere partendo dall’Italia come Melbourne,
Calcutta e Singapore, permettendo ai figurinai non solo di far conoscere ovunque la loro
arte, ma anche di radunare discreti patrimoni. Il materiale iconografico ritrovato attesta
come i figurinai fossero conosciuti in tutte le aree geografiche interessate dai movimenti
migratori di massa, notorietà rivelata anche dalle loro immagini pubblicate su riviste o
19 Storia di Barga; B.Sereni; Notiziario Filatelico Numismatico; anno XXV n° 3; ottobre 1985.
17
manifesti di larga diffusione in cui alcune volte emerge in modo più o meno palese la
disapprovazione degli autoctoni nei confronti dei girovaghi. Come si deduce da
un’illustrazione tratta da “La Domenica del Corriere” dove un garzone viene preso a
calci dai passanti a Parigi. Non sempre, però, il venditore di statuine rappresentava un
fattore di disturbo; lo si deduce da alcune illustrazioni dove viene rappresentato negli
aspetti specifici che lo contraddistinguono, come le ceste colme di merci o le galere
(grossi vassoi da trasportare sulla testa, sostituiti nel Novecento da tavole munite di
staffe da posizionare sulla spalla, su cui venivano poste le figurine). I figurinai
ispirarono anche poeti di vario livello letterario, che descrissero in versi i loro costumi.
In un componimento del 1849 sulla Prima Guerra d’Indipendenza di Antonio
Guadagnoli, poeta di origine aretina, nelle due strofe introduttive l’attenzione
dell’autore viene richiamata dal grido di un venditore ambulante: “… le belle figure?”20
.
Successivamente, l’autore descrive gli aspetti specifici della vita del figurinaio
emigrante, mettendo in evidenza come il mestiere, anche se richiede pochi strumenti da
lavoro di cui ci si può facilmente munire e scarso capitale, possa dare la possibilità di
conseguire consistenti risultati economici: “ Era un lucchese, uno di quei lucchesi che
con un po’ di gesso e due stampini / girando innumerevoli paesi stampan santi, testiere,
burattini, / Pii Noni, Carli Alberti e Leopoldi, / e ritornano a casa con de’ soldi”21
. Gino
Caster De Nobili, poeta di origine lucchese, ricorda come gli artigiani del gesso dove
emigravano dimostravano una particolare capacità di adattamento ad ogni circostanza e
non temevano di esporre la loro mercanzia nelle piazze delle maggiori città: “Per lù /
unni tera ’he treppia è tera amìa, / tutto ’r mondo ’he batte eglie paeze. / Va dinchè tira
’r vento … e duve trucca / e pol posacci la su’ mercanzia / Qui son a casa. Qui c’è
Lucca”22
. Durante gli anni cinquanta e sessanta del Novecento alcuni figurinai fecero
definitivamente ritorno ai loro paesi della Media Valle Del Serchio, con l’ambizione di
mettere a frutto il denaro guadagnato durante le lunghe campagne all’estero al fine di
aprire aziende per una produzione industriale delle figurine, preservando per quanto era
possibile i metodi della lavorazione artigianale. Un esempio di tal genere è costituito
dalla ditta di Emanuele Fontanini che si specializzò nella produzione di statuine dei
personaggi del presepe, esportate negli anni cinquanta negli Stati Uniti in elevate
20 Poesia inserita in: Coreglia Antelminelli patria del figurinaio; P. Tagliasacchi; pag. 115-125. 21 Poesia inserita in: Coreglia Antelminelli patria del figurinaio; P. Tagliasacchi; pag. 115-125. 22 Componimento inserito in: Le poesie di Geppe, nella parlata della pianura lucchese; Antonio Cordani editore;
1928.
18
quantità; nei registri dell’azienda si riporta una produzione annua di circa un milione di
pezzi, da cui si ricavava un utile di cento milioni di lire. Fontanini ad inizio Novecento
aveva lavorato in molte grandi città del Nord Europa, in Egitto e in Palestina, ma fu a
Bruxelles che nel 1907 ideò lo strumento capace di migliorare a tal punto la sua
produzione, da costituire la fortuna della ditta che solo molti anni dopo riuscì ad aprire a
Bagni di Lucca. Si trattava del ragnetto, uno strumento dotato di zampette di ottone che
consentiva di rifinire con precisione particolari anatomici; inoltre rappresentò il simbolo
della filosofia con cui Emanuele e i figli gestirono per circa venti anni la loro impresa,
prediligendo sempre all’aspetto quantitativo quello qualitativo23
.
23 Sulle strade del commercio ambulante. L’emigrazione toscana nella prima metà del XX secolo; Giampaolo Giampaoli; Erreci edizioni; 2011; pag. 33-48.
19
Capitolo 2: Evoluzione legislativa del commercio su area pubblica
La prima disciplina organica introdotta nell’ordinamento per il commercio su aree
pubbliche è avvenuta ad opera della legge 5 febbraio 1934, n. 327 e del relativo
regolamento di esecuzione approvato con r.d. 29 dicembre 1939, n. 2255.
Successivamente è nel 1976 che la disciplina del commercio ambulante è stata
radicalmente innovata con la legge 19 maggio 1976, n. 398 e con il relativo
regolamento di esecuzione approvato con d. m. 15 gennaio 1977. Quindi, a periodi
relativamente ravvicinati, cioè nel 1991, ad innovare il settore è stata la legge 29 marzo
1991, n. 112. Le innovazioni portate dalla suddetta normativa sono state sia
nominalistiche che operative. Nominalisticamente il commercio da “ambulante” è stato
rinominato “commercio su aree pubbliche” e da commercio al “minuto” a commercio
“al dettaglio” mentre le modifiche operative sono state innumerevoli, tra cui: le
autorizzazioni che rilasciava il sindaco del Comune di residenza, sono state elevate a tre
definite di tipo “A”, “B” e “C”, delle quali quella di tipo “A” veniva rilasciata dal
Comune sede del mercato di durata settimanale o al minimo per 5 giorni alla settimana,
mentre quelle di tipo “B” e di tipo “C” venivano rilasciate dalla Regione ed abilitavano
rispettivamente, quelle di tipo “A” a svolgere l’attività nei posteggi mercatali dati in
concessione per più anni e quelle di tipo “C” per svolgere l’attività in forma itinerante.
Con la conseguente “beffa” che in applicazione dell’art.118 della Costituzione, le
Regioni hanno delegato ai Comuni la competenza a rilasciare le autorizzazioni di tipo
“B” e “C”, con l’instaurazione di procedure differenziate da Regione a Regione e con
burocrazia in molti casi esasperata. La predetta normativa si è rivelata irrazionale ed
inefficiente tant’è che la legge 112/1991 è stata modificata con le leggi n. 480/1995 e
n.77/1997. E’ da aggiungere che a seguito delle predette modifiche ed integrazioni la
irrazionalità generalizzata non è stata rimossa e la competenza ad attribuire alle Regioni
il rilascio delle due autorizzazioni all’esercizio del commercio si è sempre e
maggiormente rivelata un fondamentale errore. Nel 1998 con il decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 114 il commercio al dettaglio su aree pubbliche è stato disciplinato per
principi ed in applicazione del principio federalistico, alle Regioni è stata devoluta la
competenza ad “emanare le norme relative alle modalità di esercizio del commercio su
aree pubbliche” nonché “ i criteri e le procedure per il rilascio, la revoca e la
sospensione” delle autorizzazioni relative e comunque di disciplinare l’attività in
generale, mentre la competenza a rilasciare le autorizzazioni è stata restituita ai Comuni;
20
il numero delle autorizzazioni all’esercizio dell’attività è stato ridotto da tre a due: “una
per ciascun posteggio mercatale” che viene rilasciata dal Comune sede del posteggio e
l’altra per il “commercio in forma itinerante” che viene rilasciata dal Comune di
residenza o di sede del richiedente24
.
2.1- Legge 5 febbraio 1934, n. 327 e regolamento di attuazione n.2255/1939
Questa legge è stata la prima a disciplinare il commercio ambulante. Si apriva con la
definizione di venditore ambulante che “era colui il quale vendeva a domicilio dei
compratori ovvero su aree pubbliche, purché la vendita non si effettuasse su mercati
all’ingrosso o su banchi fissi di mercati al minuto coperti, ovvero in chioschi, baracche
e simili fissati stabilmente al suolo”. Tra i presupposti per l’esercizio del commercio
ambulante vi era la concessione di una licenza, fino ad allora non necessaria, rilasciata
su domanda dell’interessato dal podestà su conforme parere di una Commissione
comunale presieduta dal podestà stesso, da due rappresentati della Federazione
provinciale del commercio e da due rappresentanti dell’Unione dei sindacati fascisti del
commercio. La licenza era soggetta alla fine di ogni anno al visto da parte del podestà,
che si pronunciava sentito il parere della Commissione, e dava diritto ad esercitare il
commercio nell’ambito della Provincia di origine (dimora abituale) e su richiesta
dell’interessato anche in altre cinque province confinanti. I Consigli provinciali
dell’economia nel mese di novembre di ciascun anno, comunicavano alle Commissioni
comunali le direttive generali da seguirsi nel rilascio delle licenze di vendita ambulante
per l’anno successivo. Nella legge erano indicati anche coloro che non erano tenuti a
fornirsi della licenza per la vendita ambulante ed erano “le persone che curavano la
consegna a domicilio dei compratori, per conto di ditte esercenti il commercio in sede
stabile. Parimenti non erano soggetti all’osservanza della legge sul commercio
ambulante i piazzisti e i rappresentanti che vendevano ad altri rivenditori per conto delle
case da essi rappresentate.” Il rilascio della licenza era sottoposto al versamento di un
deposito cauzionale non necessario per agricoltori e artigiani. Nel caso in cui
l’ambulante decideva di trasferire la propria dimora abituale in un altro Comune della
stessa provincia conservava diritto alla titolarità della licenza, ma doveva comunicare
all’Autorità del Comune che decideva di abbandonare e a quella in cui si trasferiva il
24 Le attività commerciali: commercio in locali privati, commercio su aree pubbliche, somministrazione di alimenti e
bevande, rivendita di giornali e riviste; Rocco Orlando Di Stilo; Maggioli edizioni; 2003; pag. 201
21
suo cambiamento di residenza. Il commercio ambulante poteva essere esercitato dal
titolare della licenza con il solo aiuto di familiari ed in caso di morte la licenza poteva
essere trasmessa solo ai discendenti e collaterali dei venditori fino al quarto grado. Non
erano, quindi, ammessi dipendenti addetti alla vendita al pubblico; per comprovate
esigenze il podestà poteva consentire che il titolare si facesse temporaneamente
sostituire nella vendita al pubblico da una persona familiare. La licenza per l’esercizio
della vendita ambulante s’intendeva concessa per un tempo illimitato. In base alla
presente legge le Commissioni comunali avevano le seguenti competenze:
- esprimere il proprio parere sulle domande di nuove concessioni di licenze
indicando all’Autorità comunale la decisione da adottare;
- esprimere il parere per l’apposizione del visto annuale;
- proporre i vari provvedimenti occorrenti per il funzionamento dei mercati
ambulanti, per stabilire gli orari di vendita consentiti agli ambulanti e per ogni
altra questione riguardante l’esercizio della loro attività;
- promuovere tutte quelle iniziative atte a favorire l’esercizio del commercio
ambulante;
- esprimere, su richiesta del podestà, il parere sulla revoca, o ritiro della licenza e
su ogni altra questione che egli credesse di sottoporre alla Commissione.
Per quanto riguarda le limitazioni all’esercizio dell’attività, nel regolamento di
attuazione si affermava che “i Comuni non potevano limitare l’afflusso degli ambulanti
né stabilire per essi termini di permanenza nel territorio comunale, tranne che per
ragioni di ordine pubblico, di polizia stradale o per motivi eccezionali di polizia”. La
vendita ambulante era soggetta alle limitazioni che le Autorità locali, in applicazioni di
leggi e regolamenti di carattere sanitario, avessero creduto di stabilire. Al venditore
ambulante che contravveniva alle disposizioni contenute nella seguente legge poteva
essere temporaneamente ritirata la licenza, e nei casi di recidiva, revocata. Contro il
provvedimento di diniego, di ritiro temporaneo o di revoca della licenza di esercizio
l’interessato poteva ricorrere entro 15 giorni dalla notifica del provvedimento al
prefetto25
.
25 http://augusto.digitpa.gov.it/: Gazzetta ufficiale del Regno D’Italia del 12 marzo 1934 n° 60; pag.1278-1280.
Gazzetta ufficiale del Regno D’Italia del 20 luglio 1940 n° 169; pag.2698-2703.
22
2.2- Legge 19 maggio 1976, n.398
2.2.1- Norme costituzionali
L’esercizio del commercio, in epoche storiche più o meno recenti, è stato sottoposto ad
un’attenta disciplina e controllo da parte delle autorità che hanno cercato di regolarlo in
modo da ricavarne i maggiori benefici possibili. La delicatezza di questa materia non è
sfuggita al costituente il quale, nello stabilire che l’iniziativa economica privata è libera,
ha tenuto precisare che non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da
recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana (art. 41 della Costituzione).
Con la stessa disposizione è stato ulteriormente precisato che la legge ordinaria può
determinare i programmi e i controlli affinché l’attività economica sia indirizzata e
coordinata a fini sociali. Nell’attuazione pratica delle disposizioni legislative non è
tuttavia semplice individuare i limiti che l’attività economica non può valicare senza
incorrere nell’illegittimità. Uno dei più importanti compiti dell’autorità amministrativa
consiste quindi nel dare applicazione alle leggi che regolano la materia, con
un’interpretazione attenta e avvalendosi degli indirizzi che la Corte Costituzionale e il
Consiglio di Stato hanno espresso in proposito. La Corte Costituzionale ha definito
innegabile l’opportunità che le attività commerciali siano soggette a controllo, onde
evitare forme di concorrenza sleale a danno degli acquirenti. La stessa Corte
occupandosi del commercio ambulante, con riferimento alla legge 5 febbraio 1934 n.
327, ha ritenuto che la limitazione della validità della licenza per l’esercizio del
commercio ambulante soltanto nell’ambito di alcune Province non è illegittima poiché
tende a garantire che lo svolgimento del commercio ambulante si ripartisca in modo
equilibrato tra le varie zone del territorio nazionale, in modo da impedire il verificarsi di
un disordinato afflusso di venditori ambulanti di ogni provenienza nello stesso luogo.
Anche il Consiglio di Stato ha affermato che la libertà di commercio non può essere
legittimamente limitata se non siano espressamente determinate le condizioni che vi si
oppongono. Ha inoltre aggiunto che il diniego della licenza commerciale è legittimo
solo se il suo rilascio determini una situazione di crisi dannosa per l’economia locale o
generale di cui si deve dare adeguata dimostrazione in base ad elementi concreti.
23
2.2.2- Piani di sviluppo e di adeguamento
2.2.2.1-Premessa
Fino all’entrata in vigore delle leggi n. 426 del 1971 (Disciplina del commercio) e n.398
del 1976 il rilascio delle licenze di commercio non era disciplinato da alcuno strumento
programmatorio e pertanto i Comuni, nell’esame delle richieste di nuove autorizzazioni,
erano portati a valutare situazione economiche più che ad impostare un vero e proprio
piano in grado di conciliare la libertà d’iniziativa privata, garantita dalla Costituzione,
con l’interesse pubblico generale. I criteri maggiormente seguiti per la valutazione
dell’opportunità del rilascio delle licenze sono stati indicati dal Ministero dell’Industria,
Commercio e Artigianato con circolare n.2006/C e sono intesi ad impedire ogni
fenomeno di polverizzazione dell’apparato distributivo, al fine non solo di evitare un
pregiudizio degli interessi delle aziende commerciali, ma anche una maggiore onerosità
del servizio per il pubblico dei consumatori. Oltre ai criteri indicati, è stata
particolarmente seguita anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato, costante
nell’affermare che la sufficienza degli esercizi commerciali già esistenti non è una
ragione valida per giustificare il diniego della licenza, se non quando sia in atto o venga
a determinarsi una situazione di crisi dannosa all’economia locale o generale. Tali
indirizzi, se pur autorevoli, non sono stati però di costante applicazione, per cui si può
ben comprendere la situazione di incertezza in cui versavano non soltanto coloro che
intendevano intraprendere una qualsiasi attività commerciale, ma le stesse Commissioni
comunali. Per ovviare a tale stato di cose, la legge n.426 del 1971 ha introdotto
l’obbligo per i Comuni di dotarsi di un piano di sviluppo e adeguamento della rete di
vendita. La legge n. 398 del 1976 ha stabilito, inoltre, che detto piano deve essere
integrato con norme e direttive concernenti il commercio ambulante.
2.2.2.2-Scopo dei piani
Lo scopo dei piani era di favorire una più razionale evoluzione dell’apparato
distributivo e assicurare la migliore funzionalità e produttività del servizio da rendere al
consumatore. Il legislatore si era inoltre preoccupato del fatto che spesso gli esercizi
commerciali erano sorti con dimensioni tali da non consentire la prestazione di un
servizio di buona qualità e aveva perciò disposto che i piani dovevano tendere al
graduale conseguimento di una più ampia dimensione media degli esercizi, anche
attraverso l’imposizione di limiti minimi di superficie di vendita. Tra gli scopi
24
perseguiti dal piano rientrava anche un adeguato equilibrio tra commercio in sede fissa e
commercio ambulante, tenuto conto della sua entità e del prevedibile sviluppo. Alcuni
piani si erano dimostrati di scarsa utilità perché più che contenere un vero e proprio
programma, si erano limitati a recepire un certo sorpassato modo d’intendere l’attività
commerciale, senza indicare le linee lungo cui doveva muoversi lo sviluppo dei vari tipi
di commercio. Ma chi forse aveva mancato di più erano state le Regioni, in quanto
avevano trascurato di formulare le informazioni necessarie (caratteristiche economiche
del territorio, densità della rete distributiva, presumibile capacità di domanda della
popolazione residente e fluttuante) da trasmettere ai Comuni per la formazione dei
piani, così come avevano trascurato di predisporre le direttive generali per il rilascio
delle autorizzazioni.
2.2.2.3-Contenuto
Il piano doveva determinare il limite massimo, in termini di superficie globale, della
rete di vendita per i beni di largo e generale consumo. Fra gli altri principi che dovevano
caratterizzare il piano ricordiamo:
- il rispetto della concorrenza;
- l’adeguato equilibrio tra le varie forme distributive;
- l’utilizzazione delle disponibilità che si determinano nel tempo a seguito della
cessazione di esercizi esistenti.
Per la parte che riguardava più da vicino il commercio ambulante l’art. 7 della legge
stabiliva che il piano doveva dettare norme per quanto riguardava le seguenti
competenze:
- l’istituzione, il funzionamento, la soppressione e gli spostamenti dei mercati,
nonché per le altre manifestazioni delle attività economiche di vendita in forma
ambulante delimitate nello spazio e nel tempo;
- fissare i criteri per il rilascio delle autorizzazioni;
- fissare i criteri per la regolamentazione delle aree e delle soste;
- determinare le modalità della presenza degli operatori al di fuori dei mercati.
E’ di tutta evidenza l’opportunità che il piano cercasse le soluzioni ottimali, al fine di
consentire la massima concentrazione dei mercati ambulanti in luoghi predeterminati,
possibilmente forniti delle principali infrastrutture. E’ da tenere presente che le
25
limitazioni al commercio ambulante senza posto fisso potevano essere poste solo per
motivi di polizia annonaria, di polizia stradale e di carattere igienico-sanitario. Inoltre, è
opportuno che nel piano fossero inserite apposite norme per disciplinare la concessione
del posteggio per l’esercizio del commercio a posto fisso. Avrebbero dovuto in
particolare essere regolamentati:
- il modo di concessione a turno, quando gli spazi disponibili non fossero stati
sufficienti ad accogliere tutte le domande;
- il periodo di tempo trascorso il quale la concessione doveva intendersi decaduta
se non utilizzata dal concessionario;
- gli spazi da riservare agli agricoltori per la vendita dei loro prodotti;
- il periodo di validità della concessione;
- le modalità per il rinnovo.
2.2.2.4-Piani commerciali e strumenti urbanistici
Gli artt. 13 e 14 della legge n.426 del 1971 stabilivano che i piani regolatori generali e i
programmi di fabbricazione dovevano dettare norme per l’insediamento di attività
commerciali ed indicare la quantità minime di spazi per parcheggi in funzione delle
caratteristiche dei punti di vendita. Va ricordato infine che i piani commerciali
dovevano osservare le norme dei piani regolatori generali e particolareggiati, dei piani
regolatori intercomunali, dei piani territoriali di coordinamento e assetto del territorio.
2.2.2.5-Formazione e approvazione del piano
La formazione del piano doveva essere preceduta da un’apposita indagine statistica per
la rilevazione di tutti gli esercizi ed attività commerciali esistenti nel Comune. Il piano
doveva essere sottoposto al parere delle Commissioni comunali ed entro otto giorni
dalla data di adozione della delibera del Consiglio comunale doveva essere depositato
nella segreteria comunale a disposizione del pubblico per 20 giorni consecutivi. Una
volta approvato, il piano veniva trasmesso alla Giunta regionale. Dell’avvenuta
approvazione doveva essere inoltre data notizia nel bollettino ufficiale della Regione.
2.2.2.6-Validità e revisioni
Il piano approvato doveva essere sottoposto a revisione ogni 4 anni. Qualora, in
situazioni particolari, si fossero determinati gravi ostacoli alla concorrenza o condizioni
26
di privilegio per singoli esercizi, o per gruppi di esercizi di alcune zone, il piano poteva
essere variato prima dei 4 anni.
2.2.3- Nozione di commercio ambulante
L’art. 1 della legge 398/1976 definiva come commercio ambulante “quello esercitato da
colui che vendeva merci al minuto o somministrava al pubblico alimenti e bevande con
la sola collaborazione dei familiari e di non più di due dipendenti, presso il domicilio
dei compratori, o su spazi o aree pubbliche, purché non si adoperassero impianti fissati
permanentemente al suolo”. Analizzando la definizione occorre chiedersi che cosa
dovesse intendersi per commercio al minuto. Dalla lettura dell’art. 1 della legge
n.426/1971 apprendiamo che il commercio al minuto consisteva nell’acquistare merci a
nome e per conto proprio e averle rivendute direttamente al consumatore finale,
conseguentemente il commercio all’ingrosso non poteva essere esercitato in forma
ambulante. Riprendendo la definizione rileviamo che non potevano essere considerati
commercianti ambulanti coloro che non acquistavano merci per rivenderle, ma
vendevano merci da loro prodotte come, ad esempio, i coltivatori diretti, ai quali non si
applicavano le norme della legge 398. E’ bene inoltre tenere presente che il commercio
ambulante di alcuni prodotti poteva essere vietato da norme particolari. Tra queste
ultime ricordiamo il divieto di vendere:
- carni fresche e conservate;
- bevande alcoliche di qualsiasi gradazione;
- pane;
- medicinali.
Ulteriore elemento per la qualificazione del commercio ambulante era costituito dal
fatto che esso non poteva essere svolto con la collaborazione di altre persone che non
fossero familiari e con più di due dipendenti. Questa disposizione rappresentava una
novità rispetto a quella contenuta nell’abrogata legge 327 del 1934, la quale stabiliva
che il commercio ambulante poteva essere esercitato direttamente dal titolare della
licenza con il solo aiuto dei familiari.
2.2.4- Commercio a posto fisso
Commercio a posto fisso era quello esercitato soltanto sulla parte di suolo pubblico a
tale uso destinato dal Comune, ovvero in aree pubbliche attrezzate, o in mercati anche
27
coperti, esclusi i mercati all’ingrosso. Il commercio ambulante rimaneva tale anche se il
posto veniva assegnato a turno tra i vari richiedenti. Inoltre, poteva essere esercitato
solo dopo aver ottenuto la concessione per l’occupazione di suolo pubblico da parte del
Comune, il quale la rilasciava, previo parere della Commissione comunale per il
commercio, in conformità del piano approvato.
2.2.5- Posteggi
Sia la legge che il regolamento si occupavano in modo specifico della concessione dei
posteggi per stabilire che i provvedimenti comunali riguardanti l’istituzione, il
funzionamento, la soppressione, gli spostamenti dei mercati ambulanti potessero essere
emanati soltanto dopo aver sentito il parere della Commissione comunale. I criteri per
l’assegnazione dei posteggi, le tasse relative e l’eventuale appalto per la riscossione
dovevano essere deliberati dal Consiglio comunale su proposta della Commissione del
commercio. La concessione di posteggio non poteva essere ceduta a nessun titolo,
neppure temporaneamente, non poteva avere durata superiore a tre anni ed era
rinnovabile. E’ da tenere inoltre presente che si applicavano le seguenti limitazioni:
- il posteggio doveva essere gestito soltanto dal titolare dell’autorizzazione
commerciale o dal rappresentante regolarmente autorizzato;
- la concessione veniva revocata nel caso che il posteggio non venisse utilizzato
per periodi di tempo complessivamente superiori a 3 mesi in ciascun anno
solare;
- ciascun commerciante non poteva ottenere più di un posteggio;
- la concessione del posteggio per posto assegnato a turno era valida soltanto per i
periodi indicati dal Comune.
2.2.6- Commercio itinerante
Commercio ambulante senza posto fisso era quello esercitato presso il domicilio dei
compratori o su qualsiasi area pubblica purché in modo itinerante con mezzi motorizzati
o altro. Tale forma di commercio poteva svolgersi mediante la diretta vendita in
abitazioni, aziende,ecc, senza alcuna limitazione particolare.
28
2.2.7- Il registro degli ambulanti
Prima dell’entrata in vigore della legge n.398 per l’esercizio del commercio ambulante
era indispensabile ottenere l’iscrizione nel registro dei mestieri ambulanti. Per
l’iscrizione era sufficiente saper leggere e scrivere, essere maggiorenni o minorenni
emancipati, non aver riportato condanne superiori a tre anni e non essere sottoposti a
misure di pubblica sicurezza. L’art. 14 della legge 398 aveva abrogato l’obbligo
d’iscrizione nel registro di pubblica sicurezza, mentre l’art. 2 della stessa legge aveva
stabilito che l’esercizio del commercio ambulante era subordinato all’iscrizione in una
speciale sezione del registro degli esercenti il commercio istituito con la legge n.426 del
1971. Il registro degli esercenti il commercio era istituito presso ogni Camera di
Commercio ed aveva carattere pubblico. Per ottenere l’iscrizione nel registro era
necessario presentare domanda alla Camera di commercio della Provincia in cui
l’interessato aveva la residenza. Per ottenere l’iscrizione nel registro occorrevano i
seguenti requisiti generali e morali:
- aver raggiunto la maggiore età o essere minore emancipato con possibilità di
effettuare l’attività commerciale;
- aver assolto gli obblighi scolastici riferiti al periodo di frequenza del richiedente;
- non essere stati dichiarati falliti;
- non essere stati condannati a qualsiasi pena per uno dei seguenti delitti:
commercio di sostanze alimentari contraffatte; commercio di sostanze alimentari
nocive; turbata libertà dell’industria e del commercio; frode nell’esercizio del
commercio; vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine; vendita
di prodotti industriali con segni mendaci;
- non essere sottoposti a misure di prevenzione ai sensi della legge 27 dicembre
1956, n.1423 (sorveglianza speciale, libertà vigilata, divieto di soggiorno,ecc.);
- non essere stati dichiarati delinquenti abituali.
Oltre ai requisiti generali e morali erano necessari anche i requisiti professionali per
poter ottenere l’iscrizione nel Registro. Questi erano accertati mediante un esame,
oppure mediante idonea documentazione comprovante l’espletamento di pratica
commerciale o la frequenza di corsi professionali. La cancellazione dal registro poteva
avvenire per:
- morte;
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- perdita dei requisiti prescritti per l’iscrizione;
- condanna con sentenza passata in giudicato;
- fallimento;
- sottoposizione a misure di prevenzione.
La cancellazione avveniva a cura della Camera di commercio e doveva essere portata
immediatamente a conoscenza dei Comuni che avevano rilasciato le autorizzazioni
amministrative per i provvedimenti di loro competenza. Contro i provvedimenti che
negavano l’iscrizione o disponevano la cancellazione dal registro, gli interessati
potevano proporre autorizzazioni amministrative per i provvedimenti di loro
competenza.
2.2.8- La disciplina prevista per industriali, agricoltori, pescatori, cacciatori
L’art. 9 dell’abrogata legge n.327/1934 imponeva l’obbligo della licenza per il
commercio ambulante anche ad agricoltori e artigiani che intendevano vendere al
minuto direttamente i loro prodotti al domicilio dei compratori o sui mercati. La legge
398 aveva notevolmente innovato la materia dettando apposita disciplina per industriali,
artigiani, coltivatori diretti, mezzadri e coloni.
2.2.8.1-Industriali e artigiani
Per esercitare il commercio ambulante dei loro prodotti gli industriali e gli artigiani
erano assoggettati alle normali disposizioni della legge 398 e dovevano perciò iscriversi
nella sezione speciale del registro per gli ambulanti e munirsi di autorizzazione
comunale.
2.2.8.2-Agricoltori
Non erano invece tenuti a provvedere ad alcuna iscrizione, né a munirsi di alcuna
autorizzazione i coltivatori diretti, i mezzadri e i coloni che intendano vendere i propri
prodotti nei limiti di cui all’art. 2135 del codice civile. La qualità di agricoltore era
provata mediante un certificato in carta libera rilasciato dal sindaco del Comune di
residenza dell’interessato. Nel certificato doveva essere anche attestata l’ampiezza della
superficie destinata all’allevamento o alla coltivazione dei prodotti posti in vendita. E’
bene inoltre tenere presente che la vendita dei prodotti ottenuti nei propri fondi era
disciplinata anche dalla legge 9 febbraio 1963 n. 59, la quale stabiliva all’art. 1 che non
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erano tenuti a munirsi di licenza di commercio i produttori agricoli, singoli o associati,
per la vendita al dettaglio nell’ambito del proprio Comune o dei Comuni viciniori. Di
tale tipo di vendita si occupava anche l’art. 16 del regolamento 15 gennaio 1977 per
stabilire che i Comuni avevano l’obbligo di riservare a coloro che intendevano
esercitarla, una parte delle superfici destinate al commercio ambulante a posto fisso su
suolo pubblico. Coloro che intendevano esercitare la vendita ai sensi della legge
59/1963, anche se non erano tenuti a munirsi di autorizzazione commerciale, dovevano
tuttavia essere autorizzati. A tal fine dovevano presentare domanda al sindaco del
Comune in cui intendevano effettuare la vendita corredandola con il certificato penale
generale. Da rilevare, inoltre, che la legge 59/1963 trovava applicazione soltanto per la
vendita al dettaglio dei prodotti ottenuti nei propri fondi, ma non poteva applicarsi
allorché l’agricoltore ponesse in vendita non solo prodotti propri, ma anche altri generi
estranei al proprio ciclo produttivo, acquistati da terzi.
2.2.8.3-Cacciatori e pescatori
Le disposizioni sul commercio ambulante non si applicavano ai pescatori e cacciatori.
Costoro non erano tenuti a munirsi di alcuna licenza per la vendita ambulante della
cacciagione e dei prodotti ittici, purché gli stessi provenissero in modo esclusivo
dall’esercizio della loro attività. Erano, però, obbligati, ad osservare tutte le disposizioni
dettate dalla legge o dai piani commerciali, in merito alla concessione dei posteggi nei
mercati e all’occupazione di aree e spazi pubblici.
2.2.9- Vendite a domicilio
Coloro che provvedevano a consegnare al domicilio dei compratori, merci vendute per
conto di ditte esercenti l’attività commerciale in sede stabile, non avevano alcun obbligo
d’iscrizione nel registro, né di alcuna autorizzazione. Allo stesso modo non erano
soggetti ad alcuna autorizzazione i rappresentanti e i piazzisti che vendevano merci
trasportate per conto di ditte da essi rappresentate, a soggetti diversi dai consumatori.
L’altro caso al quale non si applicava la legge sul commercio ambulante era costituito
dalla vendita per corrispondenza, su catalogo a domicilio del consumatore, purché
esercitata non direttamente ma tramite persone appositamente incaricate.
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2.2.10- Orari di vendita
La disciplina dell’orario di vendita era contenuta nella legge 28 luglio 1971 n. 558, la
quale disponeva che le Regioni fossero delegate, ai sensi dell’art.118 della Costituzione,
a determinare l’orario di apertura e di chiusura dei negozi e delle altre attività esercenti
la vendita al dettaglio. Del commercio ambulante si occupava l’art. 2 della legge, per
stabilire che le Regioni potevano autorizzare lo svolgimento dei mercati nei giorni
domenicali e festivi nei Comuni ove tradizionalmente si svolgevano attività di
commercio ambulante non girovago. Con l’entrata in vigore del D.P.R 616/1977 la
regolamentazione dei mercati per il commercio al minuto e gli orari di apertura e
chiusura dei negozi e dei pubblici esercizi di vendita e di consumo di alimenti e bevande
erano stati attribuiti ai Comuni. La formulazione delle disposizioni poteva portare a
credere che il commercio ambulante girovago, al di fuori del divieto festivo, non fosse
soggetto ad alcuna limitazione di orario e potesse svolgersi in qualsiasi momento della
giornata. Una più attenta interpretazione della normativa ci porta invece a concludere
che anche l’orario per la vendita ambulante potesse essere sottoposto a particolare
regolamentazione. Riteniamo, pertanto, che le disposizioni della legge 558 dovevano
essere interpretate nel senso che, mentre per la vendita nei negozi la determinazione
dell’orario giornaliero era obbligatoria, per il commercio ambulante l’opportunità di
un’apposita disciplina era demandata alla valutazione dell’amministrazione comunale.
Per completare l’argomento, rammentiamo che le Regioni nel dettare le disposizioni per
gli orari, dovevano tenere conto delle esigenze dei consumatori, del loro tempo libero e
dovevano previamente sentire il parere dei Comuni, delle Camere di commercio, delle
organizzazioni sindacali dei commercianti, dei lavoratori addetti al commercio e dei
venditori ambulanti.
2.2.11- Commissione comunale per il commercio
La composizione delle Commissioni comunali per il commercio ambulante differiva a
seconda che si trattasse di Comuni con popolazione inferiore o superiore a 5.000
abitanti. La commissione doveva essere rinnovata quando la popolazione del Comune
superava o diventava inferiore alle 5.000 unità. Per i Comuni con popolazione superiore
a 5.000 abitanti la commissione era composta nel modo seguente:
- sindaco o suo delegato;
- due rappresentanti del consiglio comunale, di cui uno di minoranza;
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- tre rappresentanti dei commercianti ambulanti designati dalle organizzazioni
sindacali di categoria;
- due rappresentanti dei commercianti in sede fissa designati dalle organizzazioni
sindacali di carattere generale dei commercianti;
- un rappresentante dei coltivatori agricoli produttori diretti designato dalle
organizzazioni sindacali.
Per i Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti la commissione era composta
dagli stessi membri presenti nei Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, ma
i rappresentanti dei commercianti ambulanti passavano da tre membri a due e quelli dei
commercianti in sede fissa passavano da due rappresentanti a uno. Sia per i Comuni con
popolazione superiore a 5.000 abitanti che per i Comuni con popolazione inferiore, la
Commissione poteva essere integrata da un esperto di traffico, viabilità o urbanistica
designato dalla Giunta municipale che aveva parere solo consultivo. La Commissione
comunale per il commercio era chiamata ad esprimere il proprio parere in merito alle
integrazioni al piano per il commercio e al rilascio, sospensione o revoca delle
autorizzazioni commerciali. Circa la natura del parere riteniamo di poter affermare che,
in linea generale, esso era obbligatorio, ma non vincolante. La Commissione doveva
essere convocata almeno una volta al mese. Tale obbligo non sussisteva quando non ci
fosse stata alcuna domanda di autorizzazione da esaminare o altre questioni per le quali
fosse richiesto il parere. I membri che per tre volte consecutive non partecipavano alle
riunioni, senza alcuna giustificazione, dovevano essere sostituiti. Per la validità delle
sedute la legge non precisava quale dovesse essere il numero minimo dei presenti; si
riteneva però che questo non dovesse essere inferiore alla metà più uno dei componenti.
La Commissione durava in carica 5 anni e doveva essere rinnovata entro un mese dalla
scadenza. Per concludere l’argomento facciamo rilevare che la Commissione era tenuta
ad indicare i criteri di massima che intendeva seguire per respingere le domande di
autorizzazione e che tale indicazione era condizione di validità delle deliberazioni di
diniego, in tutti i casi in cui il parere della Commissione era vincolante.
2.2.12- L’autorizzazione amministrativa
Per ottenere l’autorizzazione commerciale l’interessato doveva presentare domanda al
sindaco del Comune di residenza. A norma dell’art. 6 della legge n. 398
l’autorizzazione dava la facoltà di esplicare l’attività di vendita nel territorio di 6
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Province compresa quella cui apparteneva il Comune di residenza del richiedente. Nel
caso in cui il commerciante ambulante trasferisse la propria residenza al di fuori delle
province per le quali era stato autorizzato l’esercizio della propria attività, doveva
chiedere una nuova autorizzazione. Non era invece richiesta alcuna autorizzazione per
esercitare il commercio ambulante fuori dalle province indicate nell’autorizzazione,
allorché si trattasse di partecipazione a fiere regionali e nazionali. L’autorizzazione per
l’esercizio del commercio ambulante era rilasciata dal sindaco del Comune ove il
richiedente risiedeva ed effettivamente dimorava. Il rilascio dell’autorizzazione era
subordinato al parere della Commissione comunale, obbligatorio, ma non vincolante.
Nel caso in cui il parere del sindaco si discostava da quello della Commissione, questo
doveva essere adeguatamente motivato con l’indicazione delle ragioni che stavano alla
base delle decisioni adottate. Per il rilascio dell’autorizzazione non occorreva alcuna
particolare motivazione del provvedimento; per il diniego invece la motivazione doveva
essere puntuale e rigorosa poiché la libertà d’iniziativa economica, sancita dall’art. 41
della Costituzione, può trovare un limite solo nell’utilità sociale di non arrecare danno
alla generalità dei consumatori. L’autorizzazione al commercio ambulante doveva
essere rilasciata soltanto a persone fisiche senza possibilità di deroga. Inoltre non poteva
essere generica, ma doveva essere rilasciata soltanto per le voci merceologiche per le
quali il richiedente aveva ottenuto l’iscrizione nel registro. L’autorizzazione doveva
essere rilasciata nel termine di 90 giorni dalla presentazione della relativa domanda.
Qualora entro tale termine il sindaco non avesse adottato alcuna determinazione, la
domanda si intendeva respinta e l’interessato poteva proporre ricorso. L’autorizzazione
doveva essere esibita ad ogni richiesta degli organi di vigilanza. L’autorizzazione
all’esercizio del commercio ambulante era rilasciata senza limiti temporali; tuttavia,
doveva essere sottoposta al visto annuale da parte del sindaco. Ai sensi della’art. 4 della
legge 398 l’autorizzazione per l’esercizio del commercio ambulante era trasmissibile
soltanto a:
- coniuge;
- parenti entro il terzo grado;
- affini entro il secondo grado.
La trasmissione poteva avvenire per atto tra vivi o per causa di morte a condizione però
che la persona cui l’autorizzazione fosse trasferita, fosse iscritta nella sezione speciale
del registro tenuto presso la Camera di commercio e a condizione che, insieme con
34
l’autorizzazione fosse trasferita anche la proprietà dell’azienda. Il trasferimento
dell’autorizzazione comportava anche il trasferimento dell’eventuale concessione di
posteggio. La cessione dell’autorizzazione a persone diverse dal coniuge, parenti e
affini era consentita soltanto da parte di ambulanti che:
- avessero acquisito il diritto alla pensione di invalidità o di vecchiaia;
- avessero esercitato l’attività per almeno 15 anni consecutivi.
La rappresentanza nell’esercizio del commercio ambulante era consentita soltanto in
caso di comprovata necessità. Quali potessero essere i casi di comprovata necessità non
era specificato da alcuna disposizione. Il sindaco poteva ritenere certamente validi per
giustificare la rappresentanza, gli impedimenti fisici o altre cause indipendenti dalla
volontà dell’ambulante e che da questi non potevano essere rimossi. Per esercitare il
diritto di farsi rappresentare da altre persone l’ambulante doveva comunicare al sindaco
la causa che gli impediva di esercitare direttamente l’attività. Il rappresentante non era
da considerarsi persona preposta all’esercizio dell’impresa né preposta alla gestione dei
punti vendita. Egli operava in nome e per conto del titolare dell’autorizzazione e non era
dunque tenuto ad iscriversi nello speciale elenco del registro degli esercenti il
commercio. La sospensione dell’autorizzazione era un provvedimento punitivo nei
confronti di colui che violava le norme che regolavano il commercio ambulante. Esso si
applicava nei casi di particolare gravità e veniva disposto dal sindaco per un periodo
massimo di 60 giorni, sentito il parere, obbligatorio ma non vincolante, della
Commissione per il commercio. La revoca dell’autorizzazione poteva essere disposta,
oltre che per reiterate infrazioni di particolare gravità anche nei seguenti casi:
- quando il visto non veniva apposto per due anni consecutivi;
- quando il titolare non iniziava l’attività entro sei mesi dalla data di rilascio
dell’autorizzazione;
- quando il titolare dell’autorizzazione veniva cancellato dal registro degli
esercenti il commercio26
.
26 Il commercio ambulante; Leonardo Mele; La nuova Italia scientifica edizioni; 1981; pag. 7-85.
35
2.2.13- Sanzioni per la violazione delle norme
Le violazioni delle norme che disciplinavano il commercio ambulante erano punite in
modo diverso a seconda che si trattasse di violazioni alle legge n. 398/1976 e ai piani
commerciali, oppure di esercizio abusivo del commercio. Le relative sanzioni potevano
essere distinte in penali e amministrative. Per le sanzioni penali si faceva riferimento
all’art. 669 del codice penale che puniva con l’arresto fino a due mesi o con l’ammenda
da lire 2.000 a lire 40.000 chiunque esercitasse un mestiere girovago senza la licenza
d’autorità o senza osservare le altre prescrizioni stabilite dalla legge. I casi in cui il
commercio ambulante doveva ritenersi abusivo erano indicati nell’art. 20 del
regolamento 15 gennaio 1977 e potevano essere raggruppati nel modo seguente:
- esercizio dell’attività senza autorizzazione;
- vendita di prodotti non inclusi nelle tabelle merceologiche autorizzate;
- esercizio dell’attività fuori dal territorio delle province indicate
nell’autorizzazione;
- esercizio dell’attività senza iscrizione nell’apposito registro del commercio.
Nei casi indicati ai primi tre punti precedenti si applicava una sanzione pecuniaria da
lire 50.000 a lire 500.000 e l’immediata confisca degli impianti di vendita e della merce.
L’esercizio dell’attività senza l’iscrizione nel registro era punita con la sanzione
pecuniaria da lire 20.000 a lire 5.000.000 ed era disposta l’immediata confisca degli
impianti e della merce. Quando il commercio veniva esercitato con autoveicoli, oltre
all’applicazione delle sanzioni pecuniarie si provvedeva al ritiro della licenza per
l’autotrasporto in conto proprio. La legge 19 maggio 1976, n. 398 aveva espressamente
abrogato le disposizioni della precedente legge 5 febbraio 1934, n. 327. Dunque non era
più esperibile il ricorso amministrativo al prefetto contro i provvedimenti del sindaco
previsto dall’art.15 dell’ultima citata legge. Successivamente all’entrata in vigore della
legge n. 398/1976 tutti i ricorsi andavano, quindi, proposti immediatamente in via
giurisdizionale dinanzi al tribunale amministrativo regionale27
.
27 La disciplina dell’attività commerciale: commercio a posto fisso, ambulante ed esercizi pubblici; Vittorio
Ragonesi; Giuffrè edizioni; 1981; pag. 392-395.
36
2.3- Legge 29 marzo 1991, n.112
Analizzando l’art. 1 della seguente legge osserviamo che la definizione di commercio
ambulante risultava modificata, rispetto alla precedente, come segue: “Per commercio
su aree pubbliche si intende la vendita di merci al dettaglio e la somministrazione al
pubblico di alimenti e bevande effettuate su aree pubbliche, comprese quelle del
demanio marittimo, o su aree private delle quali il comune avesse la disponibilità,
attrezzate o meno, scoperte o coperte. Il commercio su aree pubbliche poteva essere
svolto:
- su aree date in concessione per un periodo di tempo pluriennale per
essere utilizzate quotidianamente dagli stessi soggetti durante tutta la
settimana;
- su aree date in concessione per un periodo di tempo pluriennale per essere
utilizzate solo in uno o più giorni della settimana indicati dall'interessato;
- su qualsiasi area, purché in forma itinerante.”
Questa nuova formulazione aveva introdotto, quindi, tre tipi di autorizzazioni: “A”, “B”
e “C” le cui caratteristiche sono state descritte nell’introduzione di questo capitolo al
quale rimando per un eventuale approfondimento su questo aspetto.
2.3.1- Il rilascio e la revoca delle autorizzazioni
L’ambulante che intendeva ottenere il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio della
propria attività doveva presentare domanda agli organi competenti e tale domanda
doveva contenere, oltre alle generalità dell’interessato, gli estremi d’iscrizione al REC
nonché le tabelle merceologiche oggetto di richiesta. L’organo che rilasciava
l’autorizzazione era competente anche a revocarla. Nessuna autorizzazione per
l’esercizio del commercio su area pubblica poteva essere rilasciata se non esistevano
posteggi disponibili per tale attività, così come non poteva essere legittimamente negata
in tutti i casi in cui detti posteggi fossero liberi e disponibili per l’assegnazione.
L’autorizzazione poteva essere rilasciata soltanto per un posteggio in una stessa fiera o
mercato. Il rilascio dell’autorizzazione dava diritto ad avere la concessione del
posteggio richiesto. Le autorizzazioni per l’esercizio del commercio su area pubblica
potevano essere rilasciate anche per una durata “stagionale” oppure “temporanea” o
“giornaliera”. Uno stesso soggetto poteva essere titolare contemporaneamente di più
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autorizzazioni: comunali, regionali e comunali e regionali. Ogni esercente aveva
l’obbligo di esibire agli organi di vigilanza, a richiesta, l’autorizzazione di cui era
titolare. Le autorizzazioni erano rilasciate, indifferentemente, a cittadini italiani o
stranieri appartenenti a Stati membri della CEE e in possesso dei prescritti requisiti
soggettivi: iscrizione al REC per le tabelle/categorie merceologiche richieste.
2.3.2- Individuazione delle aree per l’esercizio del commercio
Nell’indicare le aree sulle quali poteva essere autorizzato l’esercizio del commercio il
Consiglio comunale doveva indicare la superficie complessiva dell’area e, all’interno
della stessa, quella riservata ai singoli posteggi. Nel prevedere la dislocazione dei
posteggi all’interno di detta area, si doveva tener conto delle diverse merceologie
trattate dagli operatori, della necessità di allacciamento alla rete dei servizi, dei diversi
spazi di cui necessitavano gli operatori in relazione ai prodotti venduti, in modo da
assicurare il rispetto delle disposizioni igienico-sanitarie. Era prevista la possibilità che
uno o più soggetti mettessero a disposizione del Comune, un’area privata, attrezzata o
meno, per l’esercizio del commercio. Se questo si verificava, chi metteva a disposizione
l’area aveva diritto di concorrere alla concessione dei posteggi posti sulla stessa. Nei
mercati e nelle fiere “specializzati” poteva essere stabilito che, in aree determinate e
ben individuate, potesse svolgersi soltanto il commercio di determinati prodotti.
Nell’assegnare posteggi in occasione di fiere o mercati, non si potevano fare
discriminazioni o creare preferenze in relazione alla nazionalità o alla residenza
dell’interessato. Il posteggio doveva avere una dimensione tale da poter ospitare
adeguatamente anche l’autoveicolo utilizzato come struttura di vendita. Per facilitare le
operazioni di scelta dell’area da parte dell’interessato, il sindaco e il presidente della
Giunta regionale dovevano tenere a disposizione degli aventi diritto una planimetria,
aggiornata, delle aree di mercato, con indicata l’ubicazione e la dimensione dei
posteggi. Se, in una fiera o in un mercato, esistevano posteggi temporaneamente liberi
venivano assegnati, con priorità, agli itineranti e fra questi, nell’ordine a chi avesse il
più alto numero di presenze ed a chi avesse iniziato prima l’attività. Si decadeva dalla
concessione del posteggio in tutti i casi in cui si violavano disposizioni della legge
112/1991 e/o del relativo regolamento di esecuzione approvato con d.m n.248 del 4
giugno 2003, del regolamento di polizia urbana e del decreto del Ministro per i beni
culturali e ambientali, emanate a salvaguardia di particolari valori storico-ambientali,
urbanistici o culturali della città. Per poter avere la concessione di un posteggio,
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l’esercente doveva impegnarsi a tenerlo libero e pulito da ogni ingombro o rifiuto. Il
mancato rispetto dell’impegno comportava la decadenza dalla concessione. Si decadeva
dalla concessione anche se non lo si utilizzava per un periodo complessivo superiore a
tre mesi.
2.3.3- Le Commissioni: comunale, provinciale e regionale
La Commissione comunale era formata da 12 membri, elevati a 13 nei Comuni
capoluogo di provincia o con più di 50.000 abitanti; quella provinciale da 10 e quella
regionale da 13 membri. Presidente della Commissione comunale era un rappresentante
del Comune competente per materia; di quella provinciale era il direttore dell’UPICA
(Ufficio provinciale industria, commercio e artigianato); di quella regionale era un
rappresentante della Regione competente per materia. Rappresentanti comuni a tutte e
tre le Commissioni erano:
- due rappresentanti delle organizzazioni del commercio su aree pubbliche;
- due rappresentanti delle organizzazioni a carattere generale del commercio al
dettaglio.
- due esperti, uno per la viabilità e traffico ed uno per l’urbanistica e territorio;
- la rappresentanza delle organizzazioni della cooperazione, che era presente nella
Commissione comunale con un rappresentante ed in quella regionale con due;
- il direttore dell’UPICA o altro funzionario dallo stesso delegato.
Per la validità delle sedute era necessaria la maggioranza assoluta dei componenti e le
decisioni erano adottate a maggioranza assoluta dei presenti. Tutte le suddette
Commissioni duravano in carica 5 anni. L’assenza dei membri effettivi, protratta per tre
riunioni consecutive della Commissione senza che intervenissero, in loro sostituzione, i
rispettivi supplenti, comportava l’obbligo di pronunciare la loro decadenza e di
sostituirli nell’incarico. L’intervento consultivo delle Commissioni doveva essere
limitato ai soli casi previsti dalla legge.
2.3.4- Il sub ingresso
Il sub ingresso nella titolarità di un’autorizzazione per il commercio su aree pubbliche
era disciplinato dalla stessa normativa che regolava i subentri nelle aziende commerciali
al dettaglio di cui alle legge n.426/1971.
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2.3.5- Limitazioni e divieti per l’esercizio dell’attività
Le limitazioni e i divieti che il Comune poteva stabilire per motivi di polizia stradale,
igienico-sanitari, o, comunque, di pubblico interesse, riguardavano tutte le forme di
commercio su area pubblica.
2.3.6- L’orario di attività
L’orario per l’esercizio del commercio su area pubblica poteva coincidere o essere
diverso da quello stabilito per il commercio al dettaglio tradizionale di cui alla legge n.
426/1971. Limitazioni d’orario potevano essere previste per tutti i casi in cui un’area
pubblica non era utilizzabile per l’esercizio del commercio per motivi di polizia
stradale, igienico-sanitari o di interesse pubblico. In occasione dello svolgimento di
fiere e mercati su area pubblica, nei giorni domenicali e festivi, i negozianti tradizionali
avevano la facoltà di tenere aperti i loro esercizi con lo stesso orario e per tutta la durata
di svolgimento di dette iniziative. L’orario della fiera o del mercato stabilito dal sindaco
era unico per tutti gli operatori.
2.3.7- Sfera di applicazione della legge
La legge si applicava anche agli industriali ed agli artigiani che intendevano vendere, su
aree pubbliche, i beni da loro prodotti. Si applicava, inoltre, a tutti coloro che
vendevano, sulle stesse aree opere di pittura, scultura, grafica, oggetti di antichità o di
interesse storico od archeologico. Chi voleva dimostrare di essere agricoltore-produttore
diretto, doveva documentarlo con un certificato che rilasciava il sindaco del Comune
dove era ubicato il terreno sul quale venivano allevati gli animali o dal quale venivano
ricavati i prodotti posti in vendita. Il certificato doveva evidenziare le dimensioni del
terreno ed il tipo delle colture o dell’allevamento. Doveva essere rinnovato ogni anno
alla scadenza.
2.3.8- Consistenza degli esercizi
Allo scopo di dar vita ad un sistema di raccolta e di diffusione continua dei dati relativi
alla rete distributiva al dettaglio, ogni provvedimento di rilascio e revoca
dell’autorizzazione per l’esercizio del commercio su area pubblica doveva essere
inviato, dall’ente che lo emetteva alla Camera di commercio territorialmente
competente, al termine di ogni trimestre.
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2.3.9- Normativa igienico-sanitaria
Il commercio al dettaglio su area pubblica doveva essere effettuato nel rispetto della
normativa igienico-sanitaria. Stessa regola valeva per la somministrazione di alimenti e
bevande. Il commercio di prodotti alimentari doveva avvenire in modo tale da evitare
possibilità di contaminazione dei prodotti posti in vendita in attrezzature adeguate a
mantenere inalterate le qualità organolettiche ed alimentari. Il commercio di carni
fresche, compresi i prodotti ittici, era vietato in tutte le aree nelle quali non esistesse la
possibilità di collegamento alla rete idrica, fognaria ed elettrica ed era vietato, altresì, in
forma itinerante. Il commercio di animali vivi doveva essere esercitato nel rispetto della
normativa di polizia veterinaria e di tutela del benessere degli animali e non poteva
essere esercitato nello stesso posteggio nel quale venivano posti in vendita i prodotti
alimentari.
2.3.10- Le sanzioni
L’esercizio dell’attività fuori dal posteggio indicato nell’autorizzazione equivaleva ad
esercizio dell’attività fuori dal territorio per il quale l’autorizzazione era valida ed era
punito con una sanzione che andava da lire 500.000 a lire 5.000.000 e con la confisca
delle attrezzature e delle merci poste in vendita. Se nell’esercizio del commercio su area
pubblica venivano violate disposizioni di cui alla legge 426/1971, applicabili a detto
tipo di commercio, si era assoggettati alle sanzioni previste dalla stessa legge 426/1971.
La valutazione della particolare gravità e della recidiva erano valutate dall’UPICA
competente per territorio. L’agricoltore produttore diretto che vendeva i propri prodotti
su area pubblica, senza essere in possesso del certificato attestante tale sua qualità, era
punito con una sanzione amministrativa che andava da lire 200.000 a lire 600.000. Chi
ometteva di fornire, a chi di dovere, i dati o le notizie previste dalla legge 112/1991 o
dal relativo regolamento di esecuzione, così come chi forniva dati o notizie non
veritiere, era assoggettato alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma
che andava da lire 200.000 a lire 600.000. Alla stessa sanzione era assoggettato chi, a
richiesta dei competenti organi di vigilanza e controllo, non esibiva l’autorizzazione per
il commercio su area pubblica, della quale era titolare28
.
28 Il commercio su aree pubbliche:commento al d. m. 4 giugno 1993, n° 248 e regolamento di esecuzione della legge
112/1991; Gianfranco Cardosi; Maggioli edizioni; 1993; pag. 15-36.
41
2.4- Decreto legislativo 31 marzo 1998, n.114
Questo decreto costituisce una vera innovazione non solo per quanto riguarda la
disciplina del commercio su area pubblica ma quella del commercio in generale, in
quanto abroga la precedente normativa n. 426/1971. Il decreto si apre con una serie di
definizioni relative all’attività commerciale delle quali riporto soltanto quelle oggetto
della mia trattazione e precisamente quella di commerciante al dettaglio e di commercio
su aree pubbliche. In base alla prima “è commerciante al dettaglio chiunque
professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende direttamente
al consumatore finale”; mentre in base alla seconda per commercio su aree pubbliche
s’intende “l’attività di vendita di merci al dettaglio e la somministrazione di alimenti e
bevande effettuate su aree pubbliche, comprese quelle del demanio marittimo o sulle
aree private delle quali il Comune abbia la disponibilità, attrezzate o meno, scoperte o
coperte”.
2.4.1- I settori merceologici del commercio su aree pubbliche
Il decreto legislativo 114/1998, che disciplina ex-novo il settore del commercio, con
l’art.26 ha abrogato le precedenti norme che regolavano il settore e le 14 tabelle
merceologiche previgenti ed in sostitutiva con l’art. 5 stabilisce che l’attività
commerciale può essere esercitata con riferimento ai settori merceologici “alimentare” e
“non alimentare”. Ne consegue che tutti gli esercenti a posto fisso e su aree pubbliche
con l’abrogazione delle tabelle merceologiche sono stati autorizzati a porre in vendita
tutti i prodotti del settore merceologico alimentare o non alimentare o entrambi, sulla
base delle autorizzazioni possedute.
2.4.2- La competenza normativa e di indirizzo attribuita alle Regioni a statuto ordinario
Dall’art. 28 del d.lgs. 114/1998 alle Regioni è stata attribuita la competenza di emanare
“norme relative alle modalità di esercizio del commercio su aree pubbliche; i criteri e le
procedure per il rilascio, la revoca e la sospensione delle autorizzazioni commerciali,
nonché la re intestazione dell’autorizzazione in caso di cessione dell’attività per atto tra
vivi o per causa di morte; i criteri per l’assegnazione dei posteggi; la determinazione
degli indirizzi che i sindaci dovranno osservare nello stabilire gli orari di svolgimento
dell’attività di vendita, tanto nei mercati, che in forma itinerante e/o al domicilio dei
compratori.
42
2.4.3- La competenza attribuita ai Comuni a rilasciare i due tipi di autorizzazione per il
commercio su aree pubbliche
Con il presente decreto ai Comuni è stata ripristinata la competenza a rilasciare le
autorizzazioni per svolgere l’attività di commercio al dettaglio sulle aree pubbliche. Il
numero delle autorizzazioni da tre, che erano state introdotte dalla legge 112/1991, sono
state ridotte a due:
- autorizzazione di tipo “A” per il commercio al dettaglio su aree pubbliche con
posteggi dati in concessione per 10 anni, “autorizzazione rilasciata a persone
fisiche o a società di persone rilasciata in base alla normativa emanata dalla
Regione, dal sindaco del Comune sede del posteggio ed abilita anche
all’esercizio dell’attività in forma itinerante nell’ambito del territorio regionale”;
- autorizzazione di tipo “B” per il commercio al dettaglio esclusivamente in forma
itinerante: “è rilasciata, in base alla normativa emanata dalla Regione, dal
Comune nel quale il richiedente ha la residenza, se persona fisica, o la sede
legale se società di persone”. Non avendo stabilito il decreto se questo tipo di
licenza valeva per la Regione in cui l’interessato aveva la residenza o per tutto il
territorio nazionale si venne a creare una notevole confusione e fu così che il
Ministero dell’Industria con la circolare n.3506 del 16 gennaio 2001 ha previsto
che la stessa ha validità su tutto il territorio nazionale.
Entrambe le autorizzazione di tipo “A” e “B” sono idonee e abilitano alla partecipazione
alle fiere che si svolgono su tutto il territorio nazionale.
2.4.4- Possibilità per i Comuni di rilasciare autorizzazioni stagionali e temporanee
Ai Comuni con il d.lgs. 114/1998 è stata restituita la competenza a rilasciare le
autorizzazioni per l’esercizio del commercio su aree pubbliche, competenza che in
precedenza, dalla legge 112/1991 era stata attribuita al Presidente della Giunta
regionale. Nessun cenno invece la normativa nazionale contiene relativamente alla
possibilità di rilasciare le autorizzazione temporanee o stagionali, ma nonostante questo
è possibile affermare che è ammesso, a carattere generale, il rilascio delle suddette
autorizzazioni.
43
2.4.5- Requisiti morali e professionali che devono possedere gli aspiranti commercianti
su aree pubbliche
Gli aspiranti commercianti su aree pubbliche devono possedere i seguenti requisiti:
Morali-Sono quelli previsti dall’art. 5 del d.lgs. 114/1998, e precisamente:
- non essere stati dichiarati falliti (salvo riabilitazione giudiziale);
- non aver subito alcuna condanna di quelle previste dall’art. 5.
Professionali-(solo per il settore merceologico alimentare)-Il soggetto che aspira ad
ottenere il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio del commercio al dettaglio su aree
pubbliche di prodotti del settore alimentare deve essere in possesso di uno dei seguenti
requisiti professionali:
- avere frequentato, con esito positivo, un corso professionale per il commercio di
prodotti alimentari, istituito o riconosciuto dalla Regione;
- avere esercitato in proprio, in qualsiasi forma, un’attività di vendita, all’ingrosso
o al dettaglio, di prodotti alimentari, per almeno due anni nell’ultimo
quinquennio, in proprio, o presso imprese esercenti l’attività nel settore
alimentare, comprovata dall’iscrizione all’INPS;
- essere stato, nell’ultimo quinquennio, iscritto al registro degli esercenti il
commercio (REC) per uno dei gruppi merceologici (a), (b) o (c) dell’art. 12 del
d. m. n.375/1988.
Requisiti ulteriori sono richiesti per coloro che non soltanto si limitano a vendere i
prodotti del settore alimentare, ma chiedono di poter somministrare sulle aree pubbliche
alimenti e bevande. In tal caso il soggetto deve dichiarare di essere iscritto al REC per la
somministrazione di alimenti e bevande al pubblico di cui all’art. 2 della legge 25
agosto 1991, n. 287.
2.4.6- Residenza per ottenere il rilascio dell’autorizzazione per l’esercizio del
commercio su aree pubbliche
A differenza di quanto prescriveva l’abrogata legge n. 398/1976, sulla disciplina del
commercio ambulante, per il rilascio dell’autorizzazione per l’esercizio del commercio
al dettaglio su aree pubbliche con posteggio, non è richiesta la residenza o l’effettiva
dimora, né nel territorio del Comune sede del posteggio, né in qualsiasi Comune
44
ricadente nella delimitazione territoriale della Regione. Per contro assume rilevanza e
valore per il rilascio delle autorizzazioni all’esercizio del commercio al dettaglio su aree
pubbliche in forma itinerante.
2.4.7- Procedura per il rilascio delle autorizzazioni del commercio su aree pubbliche
Per il rilascio delle autorizzazioni all’esercizio del commercio al dettaglio su aree
pubbliche con posteggio date in concessione per 10 anni, il d.lgs. 114/1998 all’art. 28
stabilisce che: “L’autorizzazione all’esercizio dell’attività di vendita sulle aree
pubbliche mediante l’utilizzo di un posteggio è rilasciata, in base alla normativa
emanata dalla Regione, dal Comune sede del posteggio ed abilita anche all’esercizio in
forma itinerante nell’ambito del territorio regionale”. Il rilascio di queste autorizzazioni
(una per ogni posteggio) è alquanto elaborato e complesso, tant’è che le Regioni, nelle
loro leggi prescrivono l’iter procedurale che i Comuni devono seguire per il loro
rilascio. Scaduti i termini di presentazione delle domande il Comune avvia il
procedimento di formazione della graduatoria sino a giungere, nel termine stabilito, che
non può mai essere superiore a 90 giorni, al rilascio delle autorizzazioni con posteggio.
La competenza a rilasciare le autorizzazioni, a carattere generale, è attribuita ai dirigenti
e ai Comuni privi di personale con qualifica dirigenziale ai responsabili del servizio o
degli uffici, nominati dai Sindaci, e comunque non ai Sindaci. Le autorizzazioni devono
essere rilasciate “una per ogni singolo posteggio e per ogni singola giornata”, per cui se
nel medesimo posteggio hanno luogo più mercati in giorni differenti, per ogni giorno
deve essere rilasciata una distinta autorizzazione. Se, per contro, lo stesso mercato si
svolge tutti i giorni della settimana viene rilasciata soltanto un’autorizzazione per tutti i
giorni in cui si svolge il mercato.
2.4.8- Spuntisti: assegnazione dei posteggi temporaneamente disponibili
Così come stabilivano le abrogate norme legislative e regolamentari, l’art. 28 del d.lgs.
114/1998 stabilisce che: “ I posteggi, temporaneamente non occupati dai titolari della
relativa concessione in un mercato, sono assegnati giornalmente, durante il periodo di
non utilizzazione da parte del titolare, ai soggetti legittimati ad esercitare il commercio
su aree pubbliche, che vantino il più alto numero di presenze nel mercato di cui trattasi”.
Le Regioni hanno ribadito che tali posteggi sono assegnati giornalmente, entro l’orario
stabilito dal regolamento comunale, ai soggetti legittimati ad esercitare il commercio su
aree pubbliche che vantino il più alto numero di presenze nel mercato di cui trattasi
45
riferibili all’autorizzazione. Qualche Regione completa le prescrizioni affermando che i
Comuni devono approntare la graduatoria dei c.d. spuntisti, cioè dei commercianti che
pur essendo titolari di autorizzazione per il commercio su aree pubbliche non sono
concessionari di posteggio nel mercato e si presentano, appunto, nei giorni di mercato
nell’intento di ottenere l’assegnazione provvisoria. In ogni caso per la formazione della
suddetta graduatoria occorre osservare l’anzianità maturata del soggetto, anzianità che è
stata maturata con l’essersi presentato alla spunta nei periodi pregressi,
indipendentemente dall’aver ottenuto o meno l’assegnazione temporanea del posteggio.
2.4.9- Divieto o limitazione dell’attività commerciale su aree pubbliche nelle zone
aventi valore archeologico, storico, artistico, ambientale da individuare dai
Comuni
Le Regioni prevedono “per centri storici, aree, o edifici aventi valore storico,
archeologico, artistico o ambientale, l’attribuzione di maggiori poteri ai Comuni
relativamente alla localizzazione e all’apertura degli esercizi di vendita …”. I Comuni
nella deliberazione con la quale disciplinano il commercio al dettaglio su aree
pubbliche, individuano altresì: “le aree aventi valore archeologico, storico, artistico e
ambientale nelle quali l’esercizio del commercio al dettaglio su aree pubbliche è vietato
o sottoposto a condizioni particolari ai fini della salvaguardia delle aree predette”.
2.4.10- Limitazioni e divieti all’attività itinerante su aree pubbliche
Similmente a quanto prevedevano le norme giuridiche e regolamentari previgenti, l’art.
28 del d.lgs. 114/1998 stabilisce che dai Comuni possono essere stabiliti divieti e
limitazioni all’esercizio delle attività su aree pubbliche anche per motivi di viabilità, di
carattere igienico-sanitario o per altri motivi di pubblico interesse.
2.4.11- Disciplina delle soste e dello spostamento dei commercianti su area pubblica in
forma itinerante
Il previgente regolamento di esecuzione dell’abrogata legge 112/1991 prevedeva
esplicitamente che gli esercenti il commercio in forma itinerante ed anche gli agricoltori
che vendevano il loro prodotto in forma itinerante non potevano “sostare nello stesso
punto per più di un’ora”, nell’intesa che “per punto vendita s’intende la superficie
occupata durante la sosta” ed altresì che “le soste possono essere fatte solo in punti che
distino tra loro almeno 500 metri”. La nuova disciplina del commercio nulla prevede in
46
materia di sosta degli esercenti in forma itinerante, ma alcune Regioni le hanno
regolarmente previste, tant’è che qualche Regione ha puntualizzato che tanto i
commercianti quanto i produttori agricoli che esercitano la vendita al dettaglio in forma
itinerante possono sostare in uno stesso punto di vendita il tempo strettamente
necessario per servire il cliente e quindi devono spostarsi da un punto all’altro distante
almeno 300 metri.
2.4.12- Merci che non possono essere vendute sulle aree mercatali
L’art. 30 del decreto 114/1998 stabilisce che “E’ abolito ogni precedente divieto di
vendita di merci ivi incluso quello della vendita del pane nei mercati scoperti, fatto
salvo il rispetto dei requisiti igienico-sanitari”. Conseguentemente, fatta eccezione per i
tre prodotti sotto elencati, ora nei mercati si può vendere ogni sorta di merce alla
condizione che per i prodotti alimentari, anche per quelli in cui era vietata la vendita su
aree pubbliche e nei mercati coperti e scoperti, vengano osservate le prescrizioni
igienico-sanitarie. Restano in vigore i divieti di vendere sulle aree pubbliche i seguenti
prodotti:
- bevande alcoliche di qualsiasi gradazione diverse da quelle poste in vendita in
recipienti chiusi nei limiti e con le modalità di cui all’art. 176 del regolamento
per l’esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con
r.d. 6 maggio 1940, n. 635;
- armi ed esplosivi;
- oggetti preziosi.
2.4.13- Sostituzione del titolare dell’autorizzazione nelle attività di vendita e numero di
dipendenti del commerciante su aree pubbliche
Nei casi in cui il titolare dell’esercizio commerciale o dell’autorizzazione all’esercizio
dell’attività su area pubblica sia una persona fisica non occorre la nomina di alcun
preposto o addetto alle vendite, ben potendo il titolare demandare l’incombenza ad un
familiare, dipendente, amico, ecc, alla condizione che se trattasi di vendita di prodotti
alimentari il soggetto debba essere munito di libretto sanitario personale. A tal fine si
deve rilevare che alcune Regioni hanno previsto delle limitazioni alla sostituzione
temporanea del titolare dell’autorizzazione nell’attività di vendita. Nessuna limitazione,
delle vigenti norme nazionali e regionali, è attualmente prevista relativamente al
47
numero dei dipendenti dalle aziende del commercio al dettaglio su aree pubbliche;
conseguentemente ogni azienda è libera di assumere quanti dipendenti crede opportuno.
2.4.14- Sub ingresso nell’azienda commerciale su aree pubbliche
Il d.lgs. 114/1998 non disciplina in via diretta e immediata il sub ingresso nell’azienda
commerciale, totale o parziale, di vendita su area pubblica ma si limita a stabilire all’art.
28 che “le Regioni emanano le norme relative alle modalità … e le procedure per il
rilascio, la revoca e la sospensione … nonché la re intestazione dell’autorizzazione in
caso di cessione dell’attività per atto tra vivi o in caso di morte …” da cui consegue che,
a carattere generale, è prevista la possibilità di subentrare nella gestione o nella
proprietà dell’azienda commerciale di vendita al dettaglio su aree pubbliche, ma che
occorre osservare le prescrizioni emanate dalle singole Regioni.
2.4.15-Vendite al domicilio dei compratori
Gli artt. 19 e 20 del d.lgs. 114/1998 similmente al contenuto della previgente normativa,
stabiliscono che la vendita al dettaglio, la raccolta di ordini e la propaganda a fini
commerciali, presso il domicilio dei compratori, è soggetta alla previa comunicazione al
Comune, può essere iniziata dopo 30 giorni, il richiedente deve essere in possesso dei
requisiti prescritti dall’art. 5 e se si avvale di incaricati è necessario che faccia denuncia
all’autorità di pubblica sicurezza e quindi munisca gli incaricati di apposito tesserino di
riconoscimento. A sua volta l’art. 28 del presente decreto similmente al previgente art. 4
l.112/1991 stabilisce che l’autorizzazione all’esercizio del commercio in forma
itinerante “abilita anche alla vendita al domicilio del consumatore nonché nei locali in
cui questi si trovi per motivi di lavoro, di studio, di cura, di intrattenimento o svago”.
Unica differenza rispetto alla normativa previgente è che anche il commerciante su aree
pubbliche per vendere al domicilio del consumatore deve munirsi del cartellino di
identificazione.
2.4.16- Orario di svolgimento delle attività commerciali su aree pubbliche
Per quanto riguarda gli orari di vendita al dettaglio sulle aree pubbliche (fiere e mercati
compresi) l’art. 28 del presente decreto stabilisce che “le Regioni determinano altresì gli
indirizzi in materia di orari ferma restando la competenza in capo al Sindaco a fissare i
medesimi”. Nella quasi generalità le Regioni hanno lasciato ampia facoltà ai Comuni di
disciplinare gli orari nel migliore dei modi, in rapporto alle necessità locali, con
48
possibilità di uniformare gli orari del commercio su aree pubbliche a quelli degli
esercizi del commercio su aree private (commercio fisso), ed anche di differenziarli nel
caso in cui si ravvisi tale opportunità.
2.4.17- Norme igienico-sanitarie per il commercio su aree pubbliche di prodotti
alimentari
I soggetti addetti, nelle aree pubbliche, alla vendita di prodotti alimentari, anche se sono
soltanto aiutanti occasionali, alla pari di tutti gli addetti allo stesso commercio nei
negozi, devono essere muniti del libretto sanitario personale, valevole per l’anno in
corso. Relativamente alle attrezzature destinate alla vendita di prodotti alimentari, il
Ministro della sanità con l’ordinanza 2 marzo 2000, ha stabilito i “Requisiti igienico-
sanitari per il commercio dei prodotti alimentari su area pubblica”.
2.4.18- Pubblicità dei prezzi delle merci collocate sui banchi
In modo chiaro ed inequivocabile l’art. 14 del presente decreto stabilisce che “ I prodotti
esposti per la vendita al dettaglio … su aree pubbliche o sui banchi di vendita, ovunque
collocati, debbono indicare in modo chiaro e ben leggibile, il prezzo di vendita al
pubblico, mediante l’uso di un cartello o con altre modalità idonee allo scopo”.
2.4.19- La disciplina prevista per gli imprenditori agricoli
L’art. 30 del d.lgs. 114/1998 stabilisce che la disciplina relativa al commercio su aree
pubbliche “non si applica ai coltivatori diretti, ai mezzadri e ai coloni i quali esercitino
su aree pubbliche la vendita dei propri prodotti ai sensi della legge 9 febbraio 1963, n.
59. Relativamente a quest’ultima disposizione normativa occorre precisare che è ora
superata e di fatto abrogata dal d.lgs. n. 228/2001 che ha modificato la figura
dell’imprenditore agricolo mediante l’introduzione di un nuovo articolo 2135 del codice
civile e contestualmente ha stabilito che alla vendita al pubblico in forma itinerante o
mediante l’utilizzo di un posteggio si deve procedere rispettivamente mediante
comunicazione al Comune e mediante la previa comunicazione al Comune contenente
la richiesta di assegnazione del posteggio.
49
2.4.20- Revoca delle autorizzazioni al commercio su aree pubbliche
L’art. 29 del presente decreto stabilisce che l’autorizzazione è revocata:
- nel caso in cui il titolare non inizia l’attività entro sei mesi dalla data
dell’avvenuto rilascio, salvo proroga in caso di comprovata necessità;
- nel caso di decadenza dalla concessione del posteggio per mancato utilizzo del
medesimo in ciascun anno solare per un periodo di tempo complessivamente
superiore a quattro mesi;
- nel caso in cui il titolare non risulti più provvisto dei requisiti morali previsti
dall’art. 5 del d.lgs. 114/1998.
2.4.21- Sanzioni per le violazioni della disciplina del commercio su aree pubbliche
Il medesimo art. 29 sulla disciplina del commercio su aree pubbliche stabilisce che:
- chiunque eserciti il commercio sulle aree pubbliche senza la prescritta
autorizzazione o fuori dal territorio previsto dall’autorizzazione stessa è punito
con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 5.000.000 a
lire 30.000.000 (da 2.582 € a 15.493 €) e con la confisca delle attrezzature e
della merce;
- chiunque violi le limitazioni e i divieti stabiliti per l’esercizio del commercio su
aree pubbliche della deliberazione del Comune di cui all’art. 28 è punito con la
sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 1.000.000 a lire
6.000.000 (da 516 € a 3.098 €)29
.
2.5- Legge regionale Toscana 7 febbraio 2005, n° 28
Attualmente la legge regionale di riferimento per l’esercizio del commercio su area
pubblica, relativamente all’oggetto della mia trattazione che riguarda la provincia di
Pisa è la n° 28 del 2005 della Regione Toscana (artt. dal 29 al 40 e alcuni artt. seguenti)
che è stata emanata con riferimento alle disposizioni contenute nel d.lgs. n° 114/1998.
29 Le attività commerciali: commercio in locali privati, commercio su aree pubbliche, somministrazione di alimenti e
bevande, rivendita di giornali e riviste; Rocco Orlando Di Stilo; Maggioli edizioni; 2003; pag. 202-238.
50
Dato che presenta molte analogie con il decreto legislativo n° 114/1998 rimando alla
lettura degli articoli sopra citati per un eventuale approfondimento30
.
2.6- Modifiche al d.lgs. n°114/1998
Concludendo la trattazione sull’evoluzione legislativa del commercio su area pubblica
merita segnalare due importanti modifiche apportate al decreto legislativo n° 114/1998.
La prima è avvenuta ad opera della legge n. 102/2009 che aveva aggiunto un comma
all’art. 28 del d.lgs. 114/98, ai sensi del quale si subordinava il rilascio
dell’autorizzazione all’esercizio del commercio su aree pubbliche alla presentazione del
documento unico di regolarità contabile (DURC). Tuttavia questa nuova disciplina ha
suscitato molte reazioni negative dato che sarebbe stato problematico oltre che
irrazionale chiedere ad una ditta che non avesse ancora intrapreso l’attività di essere in
regola con i contributi. Inoltre, l’obbligo di presentazione del DURC era limitato agli
operatori del commercio su aree pubbliche e questo significava disparità di trattamento
in ordine ai requisiti di accesso e di esercizio rispetto agli operatori dello stesso genere
di attività nel settore degli esercizi pubblici, dell’ingrosso e del dettaglio. Così il
legislatore con legge 191/2009 (la finanziaria 2010) ha sostituito quel comma con uno
nuovo il quale stabilisce che è facoltà delle Regioni stabilire che l’autorizzazione
all’esercizio del commercio possa essere assoggettata all’obbligo di presentazione del
DURC da parte del richiedente, rimandando al Comune la verifica della regolarità
contributiva. L’altra importante modifica del d.lgs. 114/1998 è avvenuta ad opera del
decreto legislativo 59/2010 di recepimento della direttiva c.d. Bolkestein (direttiva UE
2006/13) che interviene a normare qualsivoglia attività economica, di carattere
imprenditoriale o professionale, svolta senza vincolo di subordinazione e diretta allo
scambio di beni o servizi, nonché a dare un assetto organico attraverso l'istituto dello
sportello unico, davanti al quale confluiscono tutti i procedimenti relativi alle attività
produttive. Una novità assoluta, sempre in tema comunitario è, inoltre, costituita dalla
previsione dell’ingresso nel commercio su aree pubbliche delle società di capitali: srl,
spa e cooperative, sino ad oggi escluse: ebbene, quando gli effetti di tale modifica si
faranno avvertire, le logiche del mercato rionale, nel bene come nel male, saranno
quelle del mercato inteso in senso tecnico, cioè economico e finanziario, in quanto il
30 http://www.regione.toscana.it/burt: Bollettino ufficiale della regione Toscana del 10 febbraio 2005 n°11; pag.13-
16.
51
singolo operatore dovrà “mutare pelle” ed agire in un'ottica non più soltanto individuale
e meno che mai individualistica31
.
31 http://processo_esecuzione.diritto.it/docs/29884-la-metamorfosi-del-commercio-su-aree-pubbliche-come-hanno-
inciso-la-direttiva-sui-servizi-ed-il-mercatino-del-biologico
52
Capitolo 3: Una panoramica nazionale degli operatori e dei consumatori
In questo capitolo illustrerò uno studio a livello nazionale effettuato dalla Fiva
(Federazione italiana venditori ambulanti e su aree pubbliche), riferito al quadriennio
2008-2012 e presentato al XV Congresso Fiva Confcommercio svoltosi a Venezia il 18
novembre 201232
. In questa ricerca viene evidenziato come il settore del commercio
ambulante nel corso degli anni sia cresciuto costantemente rappresentando anche una
sorta di ammortizzatore sociale che ha consentito a molti di avviare un’attività
commerciale altrimenti impraticabile. Inoltre, rappresenta un punto di riferimento
importante per i consumi degli individui, dato che almeno una volta a settimana circa 26
milioni di persone che frequentano i mercati italiani effettuano almeno un acquisto. Ma
a differenza degli acquisti effettuati presso la grande distribuzione organizzata o nei
negozi tradizionali, in questo caso il consumatore trova anche una dimensione di
socialità con l’ambulante e vi instaura un rapporto umano vero e proprio. Nella prima
parte vengono illustrate le caratteristiche delle imprese che operano nel settore: la loro
offerta merceologica, la loro forma giuridica, l’incidenza degli operatori extra-
comunitari ed alcune considerazioni relative al commercio ambulante in Europa; nella
seconda parte, invece, viene evidenziato il profilo ed il comportamento del
consumatore: perché va al mercato, cosa compra e quanto spende.
3.1- Le caratteristiche delle imprese ambulanti e su area pubblica
3.1.1- La rete delle imprese ambulanti
Dopo un periodo di sostanziale e progressiva contrazione, culminata con l’anno 1999, il
numero delle imprese di commercio su aree pubbliche ha ripreso una tendenza di forte
espansione. Dal 2000 al 2012 il totale delle imprese attive passa dalle 124.324 unità
censite al 30 giugno 2000 alle 175.128 del 30 giugno 2012, aumentando di circa 50.000
unità con un tasso del 41%. Il settore presenta dunque dinamiche molto attive e si
mostra come una realtà vivace e capace di assorbire occupazione. Nell’intero periodo, la
crescita complessiva è stata abbastanza costante e per lo più attribuibile all’aumento del
numero di ditte esercenti l’attività su posteggi mobili oppure in forma esclusivamente
itinerante. Fino al 2004 anche la tipologia di imprese a posteggio fisso ha marcato una
32 http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp
53
crescita significativa sia in valori assoluti sia in valori relativi. Dal 2005 al 2009 si sono
registrati saldi negativi per poi ritornare a crescere a partire dal 2010. Attualmente il
sistema delle imprese operanti nel settore è piuttosto complesso, dato che nella maggior
parte dei casi l’attività d’impresa si esplica attraverso una forma mista: sia nei mercati,
che in forma itinerante, nelle fiere e nelle sagre. Quindi risulta più difficile classificare
statisticamente le due tipologie. Allo stato attuale la stima della ripartizione corrente è
del 58-60% per le imprese a posteggio fisso e del 40-42% per quelle a posteggio mobile
o itineranti. Se teniamo conto degli esercizi commerciali della rete distributiva al
dettaglio in forma fissa (che, secondo le stime del Ministero dello Sviluppo Economico
e della Confcommercio, ammontavano a 780.000 punti vendita nel 2010) il commercio
ambulante copre poco più di 1/5 dell’intero dettaglio e precisamente il 22%. In termini
d’incidenza di singole aree geografiche sul totale del Paese, è interessante notare che,
complessivamente, le aree settentrionali del Paese, che già nell’intero periodo 1998-
2008 riducevano il loro peso sul totale delle imprese italiane passando dal 38% al
35,73%, tra il 2008 ed il 2012 riducono ancora di un punto percentuale il loro peso. Di
seguito una tabella che illustra le dinamiche per area geografica delle imprese del
settore.
Tabella 1: Consistenza imprese commercio su area pubblica
Dati per area geografica
2004 % su ITALIA 2008 % su ITALIA 2012 % su ITALIA var. assoluta var %
Nordovest 33.396 22,27 35.677 21,99 38.011 21,70 4.615 13,82
Nordest 20.314 13,54 22.297 13,74 22.871 13,06 2.557 12,59
Centro 26.251 17,50 30.131 18,57 34.027 19,43 7.776 29,62
Mezzogiorno 47.082 31,39 48.829 30,09 53.219 30,39 6.137 13,03
Isole 22.935 15,29 25.335 15,61 27.000 15,42 4.065 17,72
Italia 149.978 100 162.269 100 175.128 100 25.150 16,77
Elaborazioni Fiva Confcommercio su dati Unioncamere e Minindustria-novembre 2012
Il settore progressivamente registra meno imprese al Nord e nel Mezzogiorno e più
imprese nel Centro e nelle Isole. Scendendo nel dettaglio delle regioni, la Campania
conferma la prima posizione di regione italiana per numero d’imprese, prevalendo sulla
Sicilia e sulla Lombardia. Al quarto e quinto posto troviamo la Puglia e il Lazio. In
termini di densità di imprese, il dato nazionale si attesta a 2,89 imprese ogni mille
abitanti con il dato più alto per la Calabria (4,39) e più basso per il Trentino Alto Adige
(1,18). A livello di clientela teoricamente disponibile il dato nazionale parla di 346
54
abitanti per impresa contro i 464 presenti nel 2000, con livelli minimi in Calabria (228)
e massimi in Trentino Alto Adige (851). Questi dati evidenziano come nel Meridione il
settore, probabilmente più che altrove, funge da ammortizzatore sociale e assorbe più
forza lavoro rispetto alle altre aree ed una qualche razionalizzazione che riequilibri la
situazione pare auspicabile. Di seguito il grafico che evidenzia la ripartizione territoriale
delle imprese di commercio su area pubblica.
3.1.2- L’offerta merceologica
In questo paragrafo vengono messe in evidenza le dinamiche relative alle seguenti
categorie di prodotti: alimentari e bevande (ortofrutta, pesce,carni e altri alimentari);
vestiario e abbigliamento (tessuti, confezioni, maglieria, intimo, biancheria e calzature)
e merci varie (articoli per uso domestico, articoli d’occasione nuovi e usati, altre merci
non classificate altrove). Inoltre è stata presa in considerazione una categoria d’imprese
a merceologia indefinita, cioè della quale il contenuto merceologico dell’attività non è
stato identificato.
3.1.2.1- Il comparto alimentari e bevande
Le imprese del comparto alimentare rappresentano poco più di un quinto del settore e
manifestano un costante e progressivo calo. Già nel 2004 facevano registrare una
perdita secca di poco meno del 6% rispetto al quadriennio precedente. Questa tendenza,
confermata nel 2008, si acuisce nel 2012 a fronte di un calo secco di oltre duemila unità,
di cinque punti percentuali e di 2,87 punti di peso rispetto al 2008. La circostanza è
21,70%
13,06%
19,43%
30,39%
15,42%
Grafico 1: Ripartizione territoriale delle imprese di commercio su
aree pubbliche-giugno 2012 (eleborazioni Fiva Confcommercio)
Nordovest
Nordest
Centro
Mezzogiorno
Isole
55
attribuibile quasi per intero alla diminuzione delle imprese a posteggio fisso che
scendono ancora, per toccare nel 2009 una quota di dieci punti percentuali in meno
rispetto al 2000. Dal 2008 al 2012 la contrazione è stata sensibile nell’area meridionale
e insulare con quasi 700 imprese in meno rispetto al 2008. Cali significativi anche nel
Nordest. Nel Nordovest il calo è appena meno accentuato al contrario del Centro dove il
decremento si manifesta di lieve entità. In termini di specializzazioni merceologiche, le
imprese di vendita dei prodotti ortofrutticoli confermano la loro caduta verticale dal
2008 al 2012. A partire dal 2000 il segmento ha perso quasi 4.000 unità. Tale calo
probabilmente è dovuto alla contrazione dei consumi avvenuta in seguito alla crisi che
ha portato i consumatori a risparmiare anche sull’alimentare ed a indirizzare le loro
scelte verso prodotti di bassa qualità offerti dai discount e hard discount33
. La prima
regione italiana con il maggior numero di imprese del comparto alimentare è la
Lombardia con 4.450 unità; seguono Puglia con 4.180 unità e Sicilia con 3.882 unità.
Per quanto riguarda l’incidenza del comparto alimentare sul totale del settore, la
provincia con il dato più elevato è Enna con il 42% circa e l’ultima è Pisa con il 10%
circa. A livello di densità di imprese la media nazionale è di 0,60 imprese per 1.000
abitanti contro lo 0,64 del 2008. A livello di clientela teoricamente disponibile il dato
nazionale è 1.681 abitanti per impresa contro i 1.552 del 2008, con valori minimi nel
Mezzogiorno (1.319 abitanti). Di seguito un grafico che illustra la composizione
percentuale delle imprese del comparto.
33http://www.wakeupnews.eu/consumi-alimentari-in-calo-lallarme-della-coldiretti/
36%
10%
2%
12%
40%
Grafico 2: composizione percentuale interna del comparto
alimentare (elaborazioni Fiva Confcommercio)
Ortofrutta
Prodotti ittici
Prodotti carnei
Salumi e formaggi
Despecializzati
56
31%
62%
7%
Grafico 3: Composizione percentuale interna del comparto del
vestiario (elaborazioni Fiva Confcommercio)
Prodotti tessili
Tessuti, abbigliamento
Calzature e pelletterie
3.1.2.2-Il comparto abbigliamento e vestiario
Le imprese di questo comparto continuano a marcare una crescita numerica consistente,
costante e progressiva, passando dalle 68.455 unità del 2008 alle 75.480 del 2012, con
un saldo quadriennale positivo di 7.025 unità ed una variazione di circa 10 punti
percentuali. La loro incidenza sul totale delle imprese dell’intero settore sale dal 42,19%
del 2008 al 43,03% del 2012. Aumento probabilmente da attribuirsi ancora una volta
alla contrazione dei consumi degli italiani che si indirizzano verso forme distributive
dell’abbigliamento meno costose come i mercati34
. A livello di ripartizione territoriale,
il trend di crescita dell’intero comparto mostra un andamento uniforme su tutto il
territorio nazionale salvo che nell’area insulare del Paese. La prima regione per numero
di imprese del comparto è la Lombardia seguita dalla Campania e dalla Toscana. A
livello di province, Napoli è quella con il maggior numero di imprese (3.956 unità),
seguita da Torino (3.209 unità) e da Roma (2.909). Massa Carrara è la provincia che
presenta la maggior incidenza del comparto sul totale delle imprese (67,07%). La media
nazionale indica una densità di imprese per comparto per 1000 abitanti pari a 1,25
contro 1,16 del 2008. I valori più bassi sono nelle aree settentrionali del Paese e più alti
in quelle centromeridionali con una punta massima di 1,5 nell’area insulare. Al
contrario, il numero di abitanti per impresa scende dagli 864 del 2008 agli 803 del 2012.
Di seguito il grafico che indica la composizione percentuale delle imprese del settore
abbigliamento e vestiario.
34 http://www.banchedati.ilsole24ore.com/doc.get?uid=sole-SS20130524041CAA
57
3.1.2.3-Il comparto merci varie
Questo comparto costituisce il “colore” dei mercati, delle fiere ed in generale
dell’attività di commercio su aree pubbliche e non solo perché comprende una
categoria, come quella dei fiori, di per sé coloratissima. Vi sono infatti inclusi articoli
che richiamano la tradizione dei primi mercati paesani (materiali e attrezzature per
l’agricoltura, cosmetici e saponi, arredamenti e articoli casalinghi, ma anche bigiotteria,
chincaglieria, giocattoli, oggetti in ferro) e che rappresentano l’aspetto ludico dei
mercati e delle fiere in integrazione alle merci più propriamente annonarie. Tra il 2004 e
il 2008 le imprese su area pubblica operanti in questo settore sono aumentate del 12,5%
passando dalle 34.648 unità alle 38.993 unità. Nel successivo quadriennio hanno avuto
un ulteriore aumento del 24,63% passando da 38.993 unità a 48.596 unità. Il comparto
ha superato nel 2009 quello alimentare ed è diventato la seconda componente dell’intero
settore. Anche l’aumento dei venditori ambulanti di questo settore probabilmente è da
attribuirsi alla contrazione dei consumi degli individui che si rivolgono a forme
distributive più economiche, rispetto ai negozi tradizionali, per l’acquisto di fiori e
merci varie35
. In termini di singole voci merceologiche si registra un forte aumento dei
punti di vendita despecializzati ed una crescita modesta ma diffusa di mobili,
elettrodomestici, chincaglieria e bigiotteria e delle imprese di vendita di fiori, piante,
profumi, detersivi e saponi. La regione con il più alto numero d’imprese operanti in
questo settore è la Sicilia con 7.682 imprese, seguita dalla Campania con 7.333 imprese
e dalla Puglia con 5.004 imprese. Fra le province Palermo ha la prima posizione sia per
valori assoluti che per incidenza sul totale delle imprese del settore. In termini di
densità, il comparto fa registrare un valore di 0,81 imprese per mille abitanti. A livello
di clientela teoricamente disponibile il dato nazionale si attesta a 1.248 abitanti per
impresa, con l’area insulare che registra il minor numero di abitanti (930 unità).
3.1.2.4-Il comparto merceologia indefinita o mista
In questa classificazione rientrano quelle imprese di commercio al dettaglio ambulante
di qualsiasi prodotto, un certo numero di imprese che, per comodità, si definiscono
come settore a merceologia mista o indefinita. In realtà è assai probabile che, soprattutto
35 http://www.banchedati.ilsole24ore.com/doc.get?uid=sole-SS20130524041CAA
58
negli anni passati e al momento dell’iscrizione al Registro delle Imprese, non si sia
specificato correttamente il comparato merceologico di attività. Si tratta di imprese delle
quali si conosce per certo la tipologia di esercizio, ma che possono avere anche una
gamma merceologica mista per quanto riguarda l’attività principale. Questo settore è
residuale rispetto agli altri e, quindi, non è possibile compiere analisi approfondite su di
esso. Le imprese su aree pubbliche appartenenti a questo settore erano 14.984 unità nel
2012. Per concludere sul tema dell’offerta merceologica e dei suoi dati statistici viene
proposto un grafico che rappresenta una visione d’insieme della ripartizione
merceologica delle imprese in proporzione all’intero settore.
3.1.3- I dati di flusso
A partire dal 2007 i dati di flusso facevano pensare ad un rallentamento della crescita
del numero di imprese in considerazione del saldo negativo relativo allo stesso anno e a
quello precedente. Circostanza quasi sicuramente dovuta all’emergere ed al progressivo
consolidarsi della crisi economica mondiale. Va ricordato che fino agli anni 2004-2005 i
saldi finali del settore riportavano cifre consistenti dal momento che le aperture
superavano le cessazioni. Nel 2009 non si conoscono i dati a causa di una nuova
classificazione delle imprese da parte del Ministero dello Sviluppo Economico. A
partire dal 2010 si registrano saldi positivi tra aperture e cessazioni. Il Mezzogiorno fa
registrare in assoluto il maggior numero di nuove imprese, il Nordovest il maggior
numero di chiusure. Fra le regioni la Lombardia guida la classifica delle nuove aperture
seguita dalla Campania e dalla Sicilia. Curiosamente Lombardia e Sicilia sono le due
regioni che registrano il maggior numero di chiusure.
43%
28%
21%
8%
Grafico 4:Incidenza dei diversi comparti merceologici sul totale delle
imprese di settore (elaborazioni Fiva Confcommercio)
Abbigliamento e vestiario
Merci varie
Alimentari e bevande
Merceologia indefinita o
mista
59
3.1.4- La forma giuridica delle imprese
Fino all’entrata in vigore della Direttiva servizi (d.lgs. 59/2010) le imprese di
commercio ambulante e su aree pubbliche dovevano essere costituite nella forma di
impresa individuale, o in alternativa, in quella di società di persone regolarmente
costituite (società in accomandita, società in nome collettivo). Nel settore non potevano
dunque operare né le società di fatto né, a maggior ragione, le società di capitale, anche
quelle a responsabilità limitata. Questa disposizione è stata abrogata con il Decreto di
recepimento della Direttiva UE 2006/13, meglio conosciuta come “Direttiva
Bolkestein” relativa al mercato interno e che vieta le discriminazioni fondate sulla
natura giuridica dell’impresa. Gli effetti della Direttiva non si sono manifestati appieno
nel settore. Ancora nel 2008 le imprese costituite in forma di s.r.l. rappresentavano lo
0,09% del settore mentre la somma di imprese costituite in forma di s.a.s o società di
persone arrivava al 4,33%. La tabella che segue riporta la consistenza delle imprese
attive al 30 giugno 2012 secondo la forma giuridica assunta dall’azienda, secondo i dati
dell’Osservatorio del Commercio presso il Ministero dello Sviluppo Economico.
Tabella 2:Forma giuridica delle imprese di commercio ambulante e su area pubblica
Imprese individuali Società di persone Società di capitale Altre forme Non specificato Totale
Totali 170.077 7.626 435 131 3 178.272
Totali percentuali 95,40 4,28 0,24 0,07 0,00 100
Fonte: Ministero dello Sviluppo Economico-Osservatorio del commercio-giugno 2012
Appare evidente che, pur restando ferma e salda la vocazione ad esercitare l’attività in
forma individuale, cresce la propensione verso forme associative che consentono di
poter lavorare in luoghi diversi nello stesso momento. La quasi totalità delle imprese
ambulanti e su aree pubbliche sono costituite sotto forma di impresa individuale e si
caratterizzano per il forte apporto dei familiari nella conduzione dell’impresa.
3.1.5- Le imprese extracomunitarie
Per tanti anni il commercio ambulante e su aree pubbliche è stato considerato dagli
italiani come un settore rifugio. Eppure negli ultimi cinque anni, al suo interno, ha preso
forma una piccola rivoluzione. Le imprese a conduzione extracomunitaria hanno
raggiunto una consistenza assai elevata, raddoppiando le quote d’incidenza rispetto
all’anno 1999. Nel 2008 il numero di queste imprese è lievitato toccando quota 53.095
60
unità. Dal 2008 al 2012 la tendenza ha assunto caratteri più marcati. Gli ultimi dati
disponibili al 31 dicembre 2011 fanno registrare ben 70.543 imprese a conduzione
extracomunitaria pari al 46,14% su un totale di 152.885 imprese di settore. Si registra
dunque una crescita generale dell’incidenza extracomunitaria, salvo che nel comparto
alimentazione. La regione con il maggior numero d’imprese a titolarità extracomunitaria
è la Campania con 9.529 unità. A livello di tipologia di esercizio, le imprese
extracomunitarie si concentrano soprattutto nel commercio itinerante, sia in relazione ai
valori assoluti che in proporzione alla tipologia di esercizio. In sostanza a livello
merceologico, la presenza della titolarità extracomunitaria è fortissima nei comparti
dell’abbigliamento e del vestiario (55,35%) e delle merci varie e diverse (59,55%).
Appena apprezzabile la presenza nel comparto alimentari e bevande con il 6%.
Circostanza probabilmente dovuta al fatto che gli italiani sono più propensi ad
acquistare dai venditori extracomunitari prodotti come abbigliamento e merci varie
mentre per i prodotti alimentari restano legati alla loro cucina. Le principali nazionalità
extracomunitarie sono attribuibili all’area nordafricana con marocchini e senegalesi in
prima fila e un buon numero di egiziani. Seguono le nazionalità di area asiatica (cinesi e
bengalesi) e, infine, le nazionalità provenienti dall’area latino-americana (in particolare
peruviana). Nel comparto alimentare sono attivi i bengalesi e gli egiziani. Marocchini,
senegalesi, nigeriani, cinesi e latino americani sono attivi soprattutto nel settore
dell’abbigliamento e delle merci varie e diverse. Questo dato provoca e introduce più di
una riflessione sul futuro del settore. Se le tendenze saranno confermate nel prossimo
periodo avremo una forma di commercio riservata sempre più alle imprese
extracomunitarie, almeno nei comparti dell’abbigliamento e delle merci varie. Come
influirà questa circostanza sul futuro del settore? E’ evidente un rischio di progressiva
marginalizzazione e comunque di un settore che può trasformarsi sempre di più in
qualcosa più vicino al suk che al mercato tradizionale. Sono interrogativi che al
momento non hanno una risposta precisa, ma che segnalano alle organizzazioni di
riferimento sindacale la necessità di un approccio nuovo e diverso con questa realtà; che
prefigurano all’orizzonte, specialmente sotto il profilo della merceologia, di avere tanti
mercati tutti con gli stessi articoli, privi cioè di quel richiamo dato loro dall’integrazione
dell’offerta che essi sono, o sono stati finora, capaci di attivare. Di seguito un grafico
che evidenza la suddivisione percentuale tra imprese italiane, imprese appartenenti
all’Unione Europea ed imprese extracomunitarie sul totale delle imprese del settore.
61
3.1.6- Il commercio ambulante in rosa
In questo paragrafo vengono evidenziati alcuni aspetti del commercio in rosa, cioè il
segmento delle imprese a conduzione femminile, che dal 2008 al 2012 salgono a 28.827
unità (il 18,56% del totale delle imprese del settore). Il quadriennio mostra
un’inversione di tendenza rispetto al dato del 2007, che vedeva attive 24.743 unità, pari
al 15,6% del totale con un calo di 4 punti rispetto al 2003. La crescita appare
generalizzata con particolare rilievo nei comparti dell’abbigliamento e del vestiario. Fra
le merci varie, si segnala che la merceologia nella quale opera il maggior numero di
imprenditrici è quella dei fiori. Le imprenditrici extracomunitarie rappresentano il
32,66% del totale delle imprese “rosa”. A livello di territorio, il maggior numero di
imprese al femminile si trova nel Nordovest, il minore nell’area insulare. Fra le regioni
la classifica è guidata dalla Lombardia che scavalca il Piemonte, sia per numero di
imprese in rosa che per la loro incidenza sul totale delle imprese. A livello di
prospettiva, la sensazione è quella di un complessivo incremento delle donne titolari.
3.1.7- Il commercio ambulante europeo
E’ difficile dare un’informazione completa sui dati di consistenza del commercio
ambulante e su aree pubbliche europeo: le statistiche Eurostat non sono né complete né
aggiornate; tuttavia, soltanto per dare un’idea del panorama europeo, sono stati elaborati
i dati numerici delle imprese classificate sotto i codici NACE 2007 per l’alimentazione,
per l’abbigliamento e il vestiario e per le merci varie. Il totale delle imprese ambulanti
52,57%
1,29%
46,14%
Grafico 5: Nazionalità delle imprese di commercio su
aree pubbliche-30 giugno 2012(elaborazioni Fiva
Confcommercio)
Italiani
Ue
Extracomunitari
62
europee si attesta intorno alle 700.000 unità. Di seguito vengono riportati i dati relativi a
8 paesi europei: Italia 175.000 unità; Francia 150.000 unità; Regno Unito 15.000 unità;
Germania 32.000 unità; Olanda 18.000 unità; Austria 10.000 unità; Belgio 8.000 unità;
Spagna 80.000 unità.
3.1.8- I luoghi del commercio ambulante
E’ difficile trovare un comune o una frazione senza vedere un mercato, un chiosco, un
venditore itinerante. Per definizione, gli ambulanti aprono la strada agli insediamenti
commerciali o esercitano nei loro confronti una funzione surrogatoria e suppletiva.
Nelle grandi città e nei capoluoghi di provincia, ma spesso anche nei comuni di medie
dimensioni, sono in genere attivi i mercati rionali quotidiani, su area coperta o
impropria. Nelle stesse città, e soprattutto nei centri turistici e nei luoghi d’arte sono
presenti numerosi posteggi isolati. Nei centri minori, invece, è il mercato settimanale o
periodico ad essere la manifestazione principe del commercio ambulante. Non c’è
praticamente comune a non avere una piazza o via del Mercato o anche una piazza delle
Erbe. Le memorie storiche si tramandano anche a livello di toponomastica. Appaiono
immediate le differenze tra mercati quotidiani e mercati periodici. Nei primi l’offerta è
prevalentemente alimentare (60,75% compresi i posteggi riservati agli agricoltori
produttori diretti); mentre nei mercati periodici (settimanali o bisettimanali) il comparto
non alimentare rappresenta oltre il 74% della merceologia. E’ interessante notare che
l’incidenza dei posteggi riservati agli agricoltori diretti è pari al 7,67% dei posteggi e al
12,67% del comparto alimentare nella tipologia dei mercati quotidiani; mentre nei
mercati periodici essa tocca il 3,86% del totale dei posteggi e il 15,45% del comparto
alimentare. La stima dei posteggi esistenti sul territorio nazionale è pari a circa 400.000
per settimana, esclusi quelli dei mercati quotidiani. La media dei posteggi disponibili ad
operatore è di 2,69 con medie più alte nelle aree settentrionali e più basse nelle aree
meridionali e insulari. Completano il quadro dei luoghi la miriade di fiere e sagre
tradizionali. Nei soli capoluoghi di provincia ve ne sono circa 145 per un totale di quasi
28.000 posteggi. E’ ipotizzabile, largamente in difetto, una stima di oltre 5.000 fiere su
tutto il territorio nazionale per un totale di oltre 100.000 posteggi l’anno. Il commercio
ambulante spesso assomiglia ad un happening dove si trova di tutto e di più: si tratta di
una dimensione del tutto coerente con lo sviluppo del territorio che vive sulle piazze e
nei centri storici portando non solo il servizio commerciale, ma anche cultura e
tradizione.
63
3.1.9- Considerazioni conclusive
Il settore si conferma un canale importante per il sistema distributivo e per i
consumatori dato che ogni settimana passano sui mercati dai 23 ai 25 milioni di persone
che fanno almeno un acquisto. Il giro d’affari che ogni anno si realizza in mercati e fiere
è pari a circa 25-26 miliardi di euro, che costituisce l’1,65% del prodotto interno lordo.
Non male per un’attività che si vorrebbe superata dalla cosiddetta “modernità” e in
tempi di crisi dei consumi. Rispetto ad altri settori del commercio al dettaglio in cui i
punti vendita sono crollati, il commercio su area pubblica ha registrato in questi anni un
avanzamento ed un’indubbia tenuta. Tuttavia, emergono una serie di questioni su cui è
necessario riflettere:
- la contrazione delle ditte esercenti l’attività su posteggi fissi, in particolare nel
comparto alimentare, induce a ritenere da un lato che le aree mercatali siano
ormai sature o che comunque esista una certa difficoltà nell’individuazione ed
assegnazione di nuovi posteggi;
- la presenza sempre più massiccia delle imprese extracomunitarie, se da un lato
marca ancora una volta il carattere sociale e aperto del settore, rischia di
evolversi in senso negativo, se non sarà assicurata anche un’ampia integrazione
delle merci ed una maggiore qualificazione professionale, vitale in un momento
nel quale aumentano le esigenze di tracciabilità e le informazioni da rendere ai
consumatori sulle caratteristiche del prodotto;
- il proliferare indisturbato di mercatini non professionali e l’utilizzo del suolo
pubblico per iniziative fieristiche campionarie concorre a dare un’immagine
distorta del servizio reale che coinvolge la categoria e contribuisce a dare
un’immagine di marginalità e residualità del settore.
In ogni caso il commercio ambulante si sostanzia come un settore in pieno movimento e
complessivamente in crescita che rafforza la sua estrema flessibilità aziendale ed anzi è
in grado di rimodulare la sua strutturazione in tempo reale. L’organizzazione
dell’impresa è in funzione dello spazio disponibile e della domanda del consumatore.
Non è facile trovare caratteristiche analoghe in altri settori economici. Il settore assolve
in generale la funzione di copertura del canale distributivo sul territorio, ma svolge
anche un’importante funzione di supplenza e d’alternativa rispetto agli altri canali
soprattutto laddove la distribuzione moderna non arriva, cioè nella rete dei comuni
64
minori. Tra i punti deboli del settore vi è la propensione degli operatori a ragionare più
in termini di banco che in funzione oggettiva dell’intero mercato e questo pone a rischio
il rapporto con il consumatore che si indirizza verso altri canali distributivi. Manca
anche una cultura a livello d’immagine: gli ambulanti sono bravissimi a promuovere il
loro prodotto e il loro banco ma sono invece fortemente restii o del tutto disinteressati
alla promozione complessiva del mercato, alla messa in opera di campagne
promozionali, ad investire parte delle risorse nell’ammodernamento dei servizi. Difetti a
parte, il settore appare ancora capace di stare sul mercato e lo sarà ancora a lungo.
L’ipotesi è confortata dai dati statistici sul volume d’affari e sulla presenza dei
consumatori sul mercato che dimostrano che il commercio su aree pubbliche è vivo e
rappresenta una componente fondamentale della distribuzione.
3.2- Il profilo ed il comportamento del consumatore al mercato
3.2.1- Il mercato
Il giudizio dei consumatori sul mercato è sostanzialmente positivo, perché è vissuto non
solo come fattore economico, ma anche come luogo e momento di scambio sociale che
si vive anche con una caratteristica ludica. Questi sono due aspetti importanti e decisivi
che costituiscono i fattori di forza dei mercati e ne sottolineano, anche in una fase di
crisi dei consumi, le forti potenzialità nell’immediato futuro. Da questa indagine36
emerge che almeno una volta a settimana circa 26 milioni di persone frequentano i
mercati italiani effettuando almeno un acquisto. Il dato peraltro è in crescita, uniforme e
costante, su tutte le aree del territorio nazionale, salvo qualche difficoltà accusata dai
mercati quotidiani nell’area settentrionale del Paese. Sotto questo profilo, anche
concedendo l’ipotesi che la maggior affluenza sia determinata da emergenze legate al
caro-vita, è indubbio che le capacità di attrazione del sistema mercati siano
estremamente elevate, con un flusso di visitatori, che in proporzione al breve arco
temporale in cui si realizza, equivale e spesso supera quello della distribuzione
organizzata e moderna. L’attività dei mercati rappresenta qualcosa di significativo
nell’ambito della distribuzione moderna: la quota d’incidenza sul totale dei consumi
delle famiglie che sono commercializzati nel dettaglio oscilla dal 13 al 15 per cento.
L’indagine mette anche in risalto i punti di forza e di debolezza del sistema: fra i primi,
36 http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp
65
il mercato rappresenta il luogo tipico dove si trova, oltre alla normale spesa quotidiana,
tutta un’altra serie di prodotti il cui acquisto è considerato uno “svago”, dove il servizio
aggiunto è quello delle vendita assistita unita alla possibilità di confronti immediati e
diretti fra i diversi prezzi e facilitata da una possibile contrattazione della vendita; tra i
fattori di debolezza pesano quelli legati alla poca trasparenza dei prezzi e alla
progressiva omologazione dell’offerta, ma anche il sistema degli orari e alcuni ritardi
nell’innovazione tecnologica (pensiamo alla carenza dei moderni sistemi di pagamento,
all’assenza di politiche promozionali e pubblicitarie) contribuiscono a frenare la crescita
dei mercati, con il rischio di trasformarli sempre più in un servizio di vicinato. Altro
punto debole dei mercati è rappresentato dal fenomeno della microcriminalità e del
caos, che si registrano sui mercati, ma anche dei problemi del traffico e dei parcheggi
che chiamano in causa non solo le istituzioni pubbliche e fanno anche pensare ad una
questione generale che è quella del rapporto mercati-città che appare cruciale per lo
sviluppo del settore. Rimane da aggiungere, in questa sintesi iniziale, qualcosa su un
altro importante dato economico. Dalle dichiarazioni dei consumatori la spesa media
effettuata sul mercato, che consiste nella classificazione di quella derivante da almeno
un acquisto settimanale, rapportata all’anno equivale più o meno a 25-26 miliardi di
euro. Ovviamente in questa cifra d’affari non rientra quella realizzata dal commercio
itinerante e dalle fiere e sagre, mentre, se teniamo conto anche di questo segmento,
arriviamo ad una cifra totale annua non inferiore a 30 miliardi di euro. In conclusione, il
quadro che emerge è quello di sistema saldamente radicato nella realtà del Paese. Se
non ci fossero i mercati più della metà dei consumatori sarebbe in una qualche difficoltà
per effettuare gli acquisti.
3.2.2- Chi compra al mercato
Qual è il profilo dei consumatori che frequentano il mercato? Certamente le donne
(70%) frequentano il mercato più degli uomini (30%) anche se in flessione rispetto al
2008. Per quanto riguarda fasce d’età e professione lavorativa dei frequentatori è
possibile affermare che nel mercato si riproduce uno “spaccato” dell’Italia: infatti, il
mercato è frequentato oltre che da pensionati (18%) e casalinghe, in calo rispetto al
2008 rispettivamente di 10 e 3 punti percentuali, anche da dirigenti e professionisti
(oltre il 3%), insegnanti e docenti (oltre il 5%), operai (7%), lavoratori autonomi (10%),
disoccupati e persone in attesa di occupazione (6%), studenti (5%). Dal punto di vista
delle fasce d’età dei consumatori il dato nazionale vede la prevalenza delle classi dai 51
66
ai 60 anni (24%), seguita dalla classe 41-50 anni (22,5%); al terzo posto si collocano gli
over 60 (18%). Tuttavia non mancano gli under 30 (16%) e gli under 18 (5%). Sono
numerosi i single (17%), ma in generale va al mercato soprattutto chi ha un carico
familiare di 3-4 persone (52%). Dalla lettura di questo quadro di riferimento è possibile
affermare che vi è la sensazione che la clientela dei mercati stia lentamente cambiando,
anche se rimangono forti caratterizzazioni rispetto alla natura dei mercati. Il 60% dei
consumatori dichiara di frequentare mercati che si collocano ad una distanza massima di
1000-1500 metri rispetto al luogo di residenza o di lavoro. Il richiamo del mercato sul
territorio circostante o limitrofo è scarso nei comuni metropolitani, ma è assai forte nei
mercati periodici e nei centri minori. Rispetto agli anni passati l’uso dell’auto per
recarsi al mercato subisce un vero e proprio ridimensionamento pari al 15%, del quale
beneficiano la visita a piedi e l’utilizzo di mezzi alternativi come la bicicletta. L’uso del
mezzo pubblico appare stabile intorno al 25% degli utenti-mercato. Evidentemente, in
questi anni, gli ovvi problemi di parcheggio e di traffico, soprattutto negli orari di punta
che per i mercati sono collocati tra le 9:30 e le 12:30, hanno influito sulle abitudini dei
consumatori. Combinando i dati ISTAT con quelli dell’indagine e valutandoli insieme
alla luce delle classi di frequenza delle visite ai mercati e con quelle degli acquisti,
emerge una stima che colloca intorno a 25-26 milioni il numero di persone che
frequentano i mercati almeno una volta a settimana. Il dato della frequenza media
settimanale è in costante aumento rispetto al 1998 ed in misura abbastanza uniforme su
tutto il territorio nazionale ad eccezione dei mercati quotidiani, che invece fanno
segnare una stasi, se non un regresso a livello di presenze, salvo che nell’area insulare
del Paese. Il dato negativo dei mercati quotidiani è dovuto alla carenza di servizi
accessori ed alla mancanza di politiche aggressive sul fronte dei prezzi.
3.2.3-Le abitudini dei consumatori
Il sistema dei mercati è piuttosto variegato. Al suo interno convivono sia i mercati
rionali sia i mercati periodici settimanali o bisettimanali che investono una porzione
specifica del territorio urbano. Gli acquisti avvengono per la maggior parte delle volte
tra le 9.30 e le 11.00 (42,88%) e, subito dopo, nella fascia che va dalle 8.00 alle 9.30
(27,37%). Meno rilevante la frequenza della fascia che va dalle 11 alle 12.30 (17%) e
scarsamente significativa quella tra mezzogiorno e le 14 (8%). Se questa è la media
nazionale, ad una lettura più attenta dei dati balzano con evidenza tendenze
assolutamente diverse tra loro. Sostanzialmente due consumatori su tre, specialmente
67
nel Nordest, effettuano i loro acquisti prima delle 11 mentre soltanto uno su dieci, con
tendenze massime al Sud nelle Isole, privilegia la fascia che va dalle 12 in poi.
Relativamente alla tipologia dei mercati, in quelli quotidiani trova la massima
espressione la prima fascia di frequenza (dalle 8 alle 9.30), con punte massime nel
Centro (33,81%); mentre nei mercati periodici sale di peso la fascia oraria che va dalle
9.30 alle 11. La diversa temporalizzazione degli acquisti è peraltro da porre in diretto
collegamento con l’uso dei mezzi utilizzati per andare al mercato. Nei capoluoghi di
provincia, dove l’utilizzo del mezzo pubblico è prevalente rispetto a quello privato,
specialmente nel segmento dei mercati fissi, la distribuzione degli orari appare più
diluita nel tempo. Relativamente alla frequenza di partecipazione occorre ricordare che
la diversa cadenza di svolgimento di ogni mercato comporta atteggiamenti diversi nel
consumatore. In generale il grado di fedeltà è abbastanza elevato: circa il 75% dei
consumatori va al mercato quasi ogni giorno nei mercati quotidiani e quasi ogni volta in
quelli periodici. Dall’indagine emerge che i consumatori italiani alternano abbastanza i
loro acquisti ricorrendo in misura più o meno accentuata a tutte le forme distributive,
dai negozi tradizionali (56%) e specializzati (36%), al supermercato (70%) e ancora
all’ipermercato e al centro commerciale (68%) per finire anche ai canali alternativi
(13% per il commercio elettronico, 6,5% per la vendita per corrispondenza, 9,7% per la
cooperazione di consumo). Il consumatore che frequenta il mercato, dunque, non è uno
sprovveduto, ma, utilizzando regolarmente altri canali, dimostra di essere capace e di
valutare e apprezzare i lati positivi che il mercato può offrire. A livello di panoramica
italiana, nelle aree centrosettentrionali del Paese il principale canale alternativo è
rappresentato dai centri commerciali e dai supermercati mentre nel Sud e nelle Isole si
privilegiano gli acquisti nei negozi tradizionali.
3.2.4- Al mercato: perché e per comprare cosa
Al mercato non si va solo per comprare. Questo aspetto viene evidenziato nella ricerca
dove i consumatori dichiarano che al mercato si va anche per socializzare (31%) o per la
vicinanza e la comodità rispetto al luogo della propria abitazione o del proprio lavoro
(40%), ma anche per godere della vivacità del mercato stesso e delle bancarelle o per il
puro piacere di stare all’aria aperta e passeggiare tra i banchi (26%). Ulteriore buon
motivo è costituito dalla freschezza e qualità dei prodotti (30%). Non mancano anche
coloro che, esprimendo altre motivazioni, parlano di “possibilità di trovare prodotti
altrove non disponibili”; “servizi qualificati”; “simpatia e cortesia del personale di
68
vendita”; “attenzione e cura del cliente”. L’aumento delle motivazioni non economiche
segnala anche un apprezzamento della funzione sociale dei mercati. Ma i motivi più
forti di richiamo sono certamente la convenienza dei prezzi (57,8%, dato di dieci punti
in crescita rispetto al 2008) e l’assortimento dell’offerta (45%). A riprova che un
mercato è tanto più vivo quanto più esprime una buona politica dei prezzi ed un’offerta
integrata. In dettaglio, mentre l’assortimento delle merci è il fattore di richiamo più
sentito prevalentemente in tutte le aree e in tutti i segmenti, con particolare peso nei
mercati periodici e nei centri minori, la convenienza dei prezzi è il fattore più rilevante
percepito nel segmento dei mercati quotidiani. I consumatori indicano con chiarezza che
queste sono le due strade per esaltare la funzione dei mercati. Insieme alle motivazioni
relative alla frequenza dei mercati vengono anche indicate le ragioni per le quali i
consumatori preferiscono non frequentare il mercato o lo frequentano di malavoglia. Il
35% degli intervistati trova che sui mercati i prezzi siano cari e che il commerciante non
osservi l’obbligo della pubblicità e la trasparenza dei prezzi stessi e chiede politiche più
garantiste sul fronte dei prezzi. Circa il 30% ritiene che sui mercati vi sia troppa
confusione unita spesso a episodi di microcriminalità. Vale la pena annotare che nel
2008 questo dato si collocava intorno al 20%: è evidente che in due anni la percezione
di un complessivo disordine sia aumentata ed intesa maggiormente come una
motivazione che non favorisce l’affluenza ai mercati. Il 5% dei consumatori lamenta
difficoltà di traffico e parcheggio. Significativa è anche una quota di intervistati
(27,74%) che rimprovera ai commercianti o all’insieme del mercato poca cura
nell’igiene personale e nelle misure di protezione degli alimenti o comunque condizioni
igieniche precarie. Il 32% dei consumatori ritiene che il mercato sia poco fruibile e
chiede più servizi accessori e strutturali. Il 25% vorrebbe trovare una maggiore qualità
sui mercati ed il 37% degli intervistati imputa al mercato una scarsa attrattiva e ritiene
che i mercati espongano tutti la stessa merce. I consumatori avvertono dunque come un
pericolo la progressiva omologazione che sta caratterizzando i mercati. Nei mercati del
Nord e del Sud del Paese sono assai sentite le questioni della correttezza commerciale e
dell’igiene mentre nei mercati periodici e nei centri minori viene avvertita la scarsa
attrattività dei mercati e quindi la necessità di un maggiore diversificazione e qualità dei
prodotti. Sulla base di questi risultati c’è da evidenziare che gli operatori possono fare
ben poco per ridurre i problemi della mobilità cittadina o della microcriminalità, ma ben
più possono e devono fare per agire in direzione di una maggiore professionalità non
solo in ottemperanza delle leggi vigenti ma cercando di adottare comportamenti che
69
costituiscono un aumento dei valori di qualità. Nelle grandi città e nei mercati
quotidiani l’acquisto di alimentari è assolutamente prevalente rispetto al non food (la
percentuale di chi acquista frutta è del 90% nel Nordest, dell’86% nel Centro e dell’84%
nel Nordovest) mentre nei mercati periodici e nei centri minori gli acquisti sono più
equilibrati: permangono alte le quote dell’alimentare, ma l’offerta privilegia soprattutto
il settore non alimentare, in modo piuttosto uniforme in tutte le aree del Paese. Al di là
delle singole quote o della prevalenza del genere di acquisti, l’indagine conferma che il
mercato è tale se l’offerta è integrata, cioè se è presente la gamma completa degli
articoli.
3.2.5- L’economicità del mercato
In questo paragrafo viene descritta la percezione dei consumatori intervistati sulla
convenienza economica del mercato rispetto ad altre forme distributive. Il giudizio
finale è che:
- circa il 50% lo giudica più conveniente ed economico in senso assoluto rispetto
ad altre forme distributive,
- il 20% lo ritiene il canale più vantaggioso per alcuni articoli, segnatamente
l’ortofrutta e l’abbigliamento in generale;
- il 40% lo giudica poco conveniente;
- oltre il 20% pensa invece che non sia in alcun modo conveniente ed economico
e che quindi gli acquisti migliori si fanno presso altre forme distributive come
gli ipermercati ed i centri commerciali.
Questi dati possono avere una duplice interpretazione e possono quindi essere letti in
due modi: uno pessimista secondo il quale l’equivalenza tra risparmio e grande
distribuzione è ormai un dato assodato e non più incontrovertibile; uno ottimista che
invece dà prospettive, spazio e possibilità ad un recupero di posizioni. La tendenza
dell’opinione pubblica è quindi orientata a considerare il canale della grande
distribuzione come quello più economico e vantaggioso, ma certamente non a
svantaggio del mercato, semmai a scapito del negozio tradizionale. In termini più
generali il mercato gode ancora di buona fama. L’indagine chiede anche ai soggetti
intervistati un loro giudizio sul rapporto qualità/prezzo dei prodotti acquistati al
mercato: la risposta è largamente positiva, poiché l’80% del campione giudica positivo
70
in senso assoluto tale rapporto, con una distribuzione equilibrata e in misura abbastanza
uniforme su tutto il territorio nazionale.
3.2.6- La spesa dei consumatori sui mercati
E’ piuttosto difficile stabilire esattamente quale sia la cifra reale che gli italiani
spendono sui mercati ambulanti e su aree pubbliche. Tuttavia è possibile arrivare a delle
stime attendibili, sia sulla base degli elementi scaturiti dall’indagine, sia tenendo conto
dei dati ISTAT relativi alla popolazione. Tra il 2010 ed il 2012 le famiglie italiane
hanno speso e continuano ancora a spendere con grande cautela e comunque di meno
mentre i consumi stentano a mantenere quote significative. In questo senso non aiuta
certamente la situazione economica complessiva del Paese. I rapporti ISTAT sui redditi
dimostrano che le famiglie italiane sono ancora in una situazione insoddisfacente che
registrano variazioni negative sul versante dei redditi reali. Il che significa meno fondi
per gli acquisti o quanto meno una loro severa selezione. Ciò premesso, dall’indagine
emergono i seguenti dati:
Mentre nel Sud prevale la classe minima di spesa, nel Nordest e nel Nordovest si
registrano i valori più significativi per la classe di spesa massima. Circostanza da
attribuirsi probabilmente alle maggiori disponibilità di reddito degli italiani residenti nel
Nord del Paese. Dai dati delle classi di frequenza sopra illustrati si rileva che più di sette
consumatori su dieci sono presenti sul mercato comunque almeno una volta alla
settimana e la loro presenza corrisponde ad almeno un acquisto, seppur minimo, almeno
in otto casi su dieci. Se si combinano i dati sulla condizione professionale, sul grado di
frequenza e sulle classi di spesa suddette e se si fanno le proiezioni tendenziali in valori
medi e con tutte le cautele del caso, si può ragionevolmente stimare che i consumatori
italiani acquistano complessivamente ogni settimana sul sistema mercati merci e
Tabella 3: Quanto si spende al mercato
Italia Classe di spesa media Nordovest Nordest Centro Mezzogiorno Isole
5,59% 0/non risponde 3,50% 5,76% 2,67% 7,86% 11,77%
21,85% fino a 10 euro 20,18% 12,12% 23,28% 41,92% 26,47%
35,72% da 11 a 20 euro 35,53% 34,62% 42,37% 32,75% 31,37%
24,46% da 21 a 40 euro 25,44% 30,19% 24,81% 12,23% 19,61%
12,38% oltre 40 euro 15,35% 17,31% 6,87% 5,24% 10,78%
100,00% 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% 100,00%
Elaborazioni FivaConfcommercio-novembre 2012
71
prodotti da un minimo di circa 496 milioni di euro fino a 560 milioni di euro. Il calcolo
annuo è presto fatto e oscilla da 24,8 a 29,1 miliardi di euro a valori correnti, con punte
massime intorno ai 31 miliardi di euro. I dati dei mercati non comprendono le cifre
d’affari degli itineranti, dei posteggi isolati, delle fiere, feste e sagre annuali che pure
realizzano quote significative specialmente nel comparto alimenti e bevande. Se si
calcolano queste aliquote il commercio su aree pubbliche incide, quindi, come canale di
spesa, da un minimo del 13,3% ad un massimo del 16% sul totale dei consumi totali
commercializzabili dalla rete pari ad una quota oscillante da 1,57 a 1,84 punti di PIL.
Sicuramente qualcosa in meno rispetto a qualche anno fa, ma tuttavia la quota dei
consumi resta estremamente significativa. Ci sono per la verità un paio di
controindicazioni:
- la prima è che in realtà la redditività dei mercati ancora non riesce più a
raggiungere quota 1998 per una serie di ragioni che attengono in parte alle
politiche economiche, fiscali e tributarie in parte al mutamento delle abitudini
dei consumatori e in parte alla vita dei mercati stessi;
- la seconda spiegazione è da porre in diretto riferimento a quanto più sopra si
diceva in merito al carovita e alla conseguente contrazione dei consumi. Come
da altre parti sui mercati si spende meno in termini di valori monetari ma si
spende di più in termini temporali. In altri termini i consumatori frequentano
maggiormente i mercati ma l’acquisto medio è diminuito di valore e quantità.
3.2.7- Il fenomeno dell’abusivismo
In questo paragrafo viene messa in evidenza la percezione dei consumatori in merito al
fenomeno dell’abusivismo e dei prodotti contraffatti. Di seguito viene illustrato un
grafico che descrive l’opinione dei consumatori sulla presenza degli abusivi sul
mercato.
8,13%
24,67%
29,31%
37,81%
Grafico 6: Percezione dell'abusivismo-Elaborazioni Fiva
Confcommercio-novembre 2012
Non risponde
Con molto fastidio
Con fastidio
Con scarso poco
fastidio
72
La maggioranza dei consumatori avverte con scarso o poco fastidio la presenza degli
abusivi. Sembra quasi che essi siano entrati nel panorama usuale del mercato. Nel Nord
e soprattutto nella tipologia dei mercati dei centri minori è maggiore il grado
d’insofferenza (molto fastidio). Una riprova di questa circostanza è data dal fatto che
più di un quarto dei consumatori acquista merci dagli abusivi (in particolare
abbigliamento e pelletteria, entrambi i generi sopra il 60%). La più alta percentuale di
acquirenti si registra nei mercati periodici con un dato medio del 35% e punte superiori
al Centro. La più bassa si registra nei centri minori (17,65%) con punte minime nel
Nordest. I dati relativi alle categorie sono in elaborazione, ma si ha la sensazione che le
percentuali più alte di acquirenti riguardino soprattutto le fasce più giovani e la
categorie di studenti, impiegati e disoccupati.
3.2.8- Conclusioni
Un primo elemento che emerge da quest’indagine non attiene a fattori economici ma
non può essere non evidenziato: si tratta del forte legame che unisce i consumatori ai
mercati. Immaginare una città senza mercati diventa qualcosa di impossibile per come
siamo abituati e per come le città sono organizzate. Sul piano più propriamente
economico e strutturale, il sistema mercati conferma le sue ben note caratteristiche di
supplenza delle carenze della rete e di servizio verso precise fasce di consumatori,
specialmente verso quelle più deboli. E’ chiaro che anche sui mercati vige ormai quasi
sempre il sistema dei prezzi fissi, ma la possibilità di contrattazione, di scelta e di
selezione sono ancora ampie e certamente superiori rispetto ad altre forme distributive.
Un altro elemento che si sostanzia con estrema evidenza è che i mercati hanno una
grande vitalità data dal grande numero di consumatori che li frequentano e dalla
flessibilità delle imprese che vi operano. Concentrando al massimo la razionalità del
tempo della spesa con l’integrazione più ampia dell’offerta merceologica, in realtà il
mercato modifica la qualità della spesa stessa che non è più soltanto una faticosa
incombenza ma anche nello stesso tempo un momento di piacevole socializzazione e di
possibile “premio”, qualora si riesca ad acquistare articoli e generi non di prima
necessità in modo vantaggioso. Infine non si può trascurare un elemento di
competitività: sui mercati si possono trovare insieme articoli di pregio, prodotti
alimentari doc, prodotti altrove non facilmente reperibili. Il trovarli in un unico posto in
un tempo determinato rappresenta certamente un grande vantaggio per il consumatore,
che per di più, ha la possibilità di scegliere il tipo di spesa secondo le proprie possibilità
73
economiche. Certamente i mercati hanno i loro difetti ed altrettanto certamente,
specialmente negli ultimi tempi, l’offerta merceologica sta assumendo contorni più
ordinari così come si sta perdendo una certa tipicità diretta conseguenza della cosiddetta
globalizzazione. Se il rischio immediato è dato vedere, esso attiene all’allocazione dei
mercati, stretti dalla necessità di avere spazi ed aree funzionali e l’esigenza di avere una
città più vivibile e meno inquinata dai gas di scarico del traffico. Ma il semplice
spostamento del mercato dal centro alla periferia non risolve i problemi, anzi, secondo
molti consumatori, li aggrava. La soluzione in questo senso pare quella di dotare i
mercati di maggiori servizi, a partire dai parcheggi.
74
Capitolo 4: Le caratteristiche degli operatori ambulanti ed il comportamento dei
consumatori che si recano al mercato: una ricerca empirica.
4.1- Obiettivi della ricerca
La presente ricerca ha come obiettivo generale quello di analizzare il settore del
commercio ambulante dal punto di vista dei consumatori e degli operatori che ne fanno
parte. Scendendo nel dettaglio si propone di individuare il comportamento d’acquisto
dei consumatori con riferimento alla frequenza con cui si recano ai vari mercati, le
ragioni che li spingono a frequentarli, gli aspetti positivi e negativi che ritengono il
mercato possa avere, quali prodotti acquistano, il grado d’importanza che riveste
ciascun prodotto acquistato, le motivazioni inerenti al non acquisto, la percezione della
concorrenza rispetto ai mercati ed i miglioramenti che vi apporterebbero. Ovviamente
tali aspetti saranno analizzati mettendone in evidenza la rilevanza e cercando di spiegare
le motivazioni sottostanti ad ogni risultato ottenuto dalla ricerca. I risultati saranno
spiegati tenendo conto delle principali variabili socio- demografiche dei consumatori:
sesso, età, professione. Queste variabili molto spesso costituiscono una forte
discriminante nello spiegare i comportamenti individuali, tuttavia, possono non essere le
sole in grado di farlo e la ricerca si propone anche di andare a verificare questo aspetto
cercando di capire se determinati comportamenti siano indipendenti da queste variabili.
Come sopra accennato la ricerca non si limita a studiare il comportamento dei
consumatori, ma esamina anche il lato degli operatori che svolgono un’attività di
commercio su area pubblica. In questo caso la ricerca esamina le caratteristiche
personali e lavorative dei venditori ambulanti ed oltre alle classiche variabili
demografiche relative a età, sesso e titolo di studio sono state fatte anche alcune
domande relative alla professione: come i luoghi frequentati dagli operatori per svolgere
la loro attività, per andare ad analizzare l’intensità degli spostamenti che effettuano, cioè
se limitati all’ambito della provincia di appartenenza o anche a provincie più lontane, il
numero di anni di svolgimento dell’attività, le motivazioni che hanno portato i suddetti
operatori a decidere di intraprendere l’attività, per cercare di comprendere se sia un
settore prevalentemente rifugio o nel quale il mestiere si tramanda di padre in figlio,
75
come affermato anche dallo studio della Fiva Confcommercio37
, o se vi siano anche
altre motivazioni che hanno spinto gli ambulanti a svolgerlo.
La successiva parte della ricerca relativa agli operatori si propone di analizzare la
tendenza del settore, cioè se la clientela del commercio ambulante sia in diminuzione o
meno e quanto la stessa dimostri fedeltà al mercato. Inoltre, in questa parte della ricerca
viene effettuato un confronto tra operatori e consumatori per individuare i punti di
accordo o disaccordo rispetto alle questioni della percezione della concorrenza, degli
aspetti positivi e negativi del mercato e degli eventuali miglioramenti da apportarvi. La
scelta di porre alcune domande identiche, relative alle questioni sopra dette, ai
consumatori e ai venditori, è stata fatta per verificare se il pensiero degli operatori sia in
sintonia con quello dei consumatori e quindi se i venditori sappiano realmente ciò che i
consumatori desiderano. Nel mettere in evidenza le caratteristiche dei venditori
verranno fornite anche spiegazioni del perché abbiamo dato determinate risposte e se
questo, come nel caso dei consumatori, dipenda esclusivamente da variabili
demografiche o anche da altre variabili.
4.2- Metodo di lavoro e difficoltà incontrate
La presente ricerca è stata effettuata nell’ambito del Comune e della Provincia di Pisa.
Ho deciso di scegliere questa zona data la vicinanza rispetto al luogo della mia
abitazione, anch’essa in provincia di Pisa, perché questo mi avrebbe consentito di
ridurre i costi per gli spostamenti in auto e soprattutto condurre la ricerca in tempi
relativamente brevi. Il primo step della ricerca è stato quello di predisporre due
questionari da somministrare a venditori e consumatori. Ho scelto di utilizzare questo
metodo di analisi quantitativa per i vantaggi che comporta: il questionario infatti è lo
strumento migliore per tradurre il fabbisogno informativo del ricercatore, nel mio caso
gli obiettivi della ricerca, in un insieme di domande che devono essere strutturate in
modo che il rispondente abbia la volontà e la possibilità di rispondere. Inoltre, deve
stimolare, motivare e coinvolgere il rispondente per spingerlo a collaborare durante
l’intervista38
. Come è possibile osservare dai questionari in allegato credo che quelli che
ho somministrato rispondano a queste caratteristiche dato che presentano domande
semplici, non contenenti lessico specifico del marketing, e quindi facilmente
37
http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp 38 Dati contenuti in: slide n°6-Le ricerche quantitative corso Analisi e ricerche di marketing a.a 2012/2013
76
comprensibili da consumatori e operatori. Nell’ambito del Comune di Pisa non potendo
per ragioni monetarie e temporali intervistare tutti i venditori su area pubblica
appartenenti allo stesso, ho deciso di scegliere il mercato di via Paparelli che è il più
grande e quello che presenta la più variegata offerta merceologica. Di seguito ne
fornisco una descrizione per completezza di trattazione. Il mercato di via Alberto
Paparelli è formato in totale da 233 posteggi così suddivisi:
Tabella 4:Dettaglio posteggi operatori italiani
Valori assoluti Valori %
abbigliamento e accessori 167 76,61
calzature 19 8,72
tessuti 6 2,75
articoli per la casa 11 5,05
merce varia 10 4,59
Totale non alimentare 213 97,71
rosticceria 2 0,92
coldiretti, campagna amica 3 1,38
Totale alimentare 5 2,29
Totale generale 218 100
Fonte: censimento effettuato personalmente al mercato di
Via Paparelli e http://www.comune.pisa.it/it/ufficio-
scheda/6834/Mercato.html
Tabella 5: Dettaglio posteggi operatori extra-Ue
Valori assoluti Valori %
abbigliamento e accessori 8 53,33
merce varia 7 46,67
Totale generale 15 100
Fonte: censimento effettuato personalmente al mercato di
Via Paparelli e http://www.comune.pisa.it/it/ufficio-
scheda/6834/Mercato.html
Come è possibile osservare dalla tabella n.4 il mercato di via Paparelli è composto in
prevalenza da posteggi appartenenti al comparto non alimentare. Sempre analizzando le
due tabelle soprastanti si nota come la presenza degli operatori extra-comunitari
costituisca il 6,44% del totale dei posteggi. Una percentuale alquanto modesta, tuttavia
da non trascurare perché stando alle dichiarazioni spontanee degli operatori italiani
intervistati, è emerso che i consumatori si indirizzano favorevolmente ai prodotti da
questi forniti, preferendo beni scadenti, secondo l’opinione dei venditori nostrani,
rispetto al made in Italy. Tuttavia questo non rappresenta il pensiero dominante perché
altri venditori sostengono che l’abbassamento di qualità è dovuto in generale al tipo di
77
politica di prodotto scelta dal venditore e non alla nazionalità dello stesso.
Dall’osservazione diretta che ho potuto effettuare durante il periodo che ho trascorso
per la compilazione dei questionari, posso ipotizzare che sia quest’ultima l’opinione che
debba prevalere, perché la merce di bassa qualità viene venduta indistintamente sia da
italiani che stranieri per il semplice fatto che riscuote successo tra i consumatori che
preferiscono spendere poco per acquistare un articolo di abbigliamento o calzature in
questo periodo di crisi economica. Per quanto riguarda le nazionalità degli operatori
stranieri di seguito riporto una tabella che le mette in evidenza:
Tabella 6: Dettaglio nazionalità operatori extracomunitari
abbigliamento merce varia Totale
Marocco 5 1 6
Cina 3 2 5
Pakistan 3 3
Senegal 1 1
Totale 8 7 15
Fonte: censimento effettuato personalmente al mercato di via Paparelli
Dall’analisi di questa tabella risulta confermato ciò che viene evidenziato nella ricerca
condotta dalla Fiva Confcommercio39
. Infatti la nazionalità prevalente è quella
marocchina seguita dai cinesi e pakistani, inoltre, questi venditori operano nei settori
dell’abbigliamento e delle merci varie, mentre risultano assenti nel settore alimentare,
probabilmente perché i consumatori italiani continuano a preferire alimenti nostrani
caratterizzati da determinate peculiarità piuttosto che provare cibi commercializzati da
cittadini che non sono loro connazionali. Mentre per quanto riguarda i due settori
merceologici citati gli acquirenti italiani non disdegnano l’offerta straniera trovandola
molto conveniente anche se talvolta di medio-bassa qualità. Per quanto riguarda il
mercato di via Paparelli di cui ho fornito la descrizione, il mio obiettivo iniziale era
quello di somministrare faccia a faccia, attraverso la lettura delle domande, il
questionario a tutti gli operatori, tuttavia non ho ottenuto 233 risposte ma 100 a causa
del rifiuto di rispondere alle domande del questionario di molti operatori sia italiani che
stranieri. Le motivazioni della mancata partecipazione sono state legate al fatto che
alcuni operatori erano impegnati nella vendita e non disponibili ad effettuare l’intervista
39
http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp
78
per mancanza di tempo e altri erano diffidenti nei riguardi dell’intervista. In particolare
per gli operatori stranieri si è presentato anche il problema della mancata capacità di
comprensione della lingua italiana: la conoscenza della stessa è limitata alle frasi ed al
lessico relativo alla vendita, questo dipende dal fatto che magari alcuni operatori
stranieri risiedono nel nostro Paese da poco tempo oppure hanno sviluppato un lessico
di base per la loro attività e la loro vita sociale esterna al lavoro è relegata all’ambito dei
connazionali40
. Le nazionalità dei cittadini stranieri le ho dedotte dai loro tratti somatici,
nonostante non volessero partecipare all’intervista, e dall’indicazione di altri venditori.
In seguito alla raccolta dei 100 questionari dei venditori su area pubblica, ho trascritto le
risposte sul medesimo questionario caricato on-line attraverso il software Joomla che, al
termine degli inserimenti, mi avrebbe consentito di editare il database per l’elaborazione
dei dati. Per quanto riguarda i questionari da somministrare ai consumatori ho deciso di
effettuare un campionamento per quote, dato che un censimento degli abitanti della
provincia di Pisa, per quanto maggiormente attendibile, sarebbe stato impraticabile per
ragioni di tempo e denaro necessario per effettuare i vari spostamenti. Il campionamento
per quote è usato spesso nelle ricerche di mercato, nei sondaggi d’opinione e nelle
inchieste a livello nazionale41
. La popolazione viene suddivisa in strati sulla base di
alcune variabili come sesso, età e professione. Successivamente per ciascuno strato
vengono fissate le quote, cioè il numero di unità da intervistare in ciascuno strato. La
scelta del numero di unità da estrarre per ciascuno strato avviene considerando una
quota proporzionale al numero di unità dello strato42
. Questo metodo di campionamento
potrebbe sembrare simile al campionamento stratificato, tuttavia, la principale
differenza è che la scelta delle unità da intervistare in ciascuno strato non avviene
casualmente ma è demandata al libero arbitrio dell’intervistatore. Infatti uno dei
principali problemi che si potrebbero presentare è dovuto al fatto che l’intervistatore
scelga persone a lui vicine come amici, parenti che hanno determinate caratteristiche e
40 Quest’ultimo punto in particolar modo è stato evidenziato da un’operatrice italiana che parlando degli operatori
cinesi affermava che non vogliono socializzare o comunque avere alcun tipo di rapporto con gli operatori italiani,
riportandomi un esempio relativo a sua figlia che giocava con i figli dei venditori cinesi. Fino a che il rapporto si limitava al gioco tra i rispettivi bambini, i genitori dei bambini cinesi tolleravano la situazione anche se di
malavoglia, nel momento in cui i bambini cinesi andavano al posteggio dei genitori italiani e questi offrivano loro la
merenda, i genitori dei bambini cinesi li intimavano di far ritorno al loro posteggio. Probabilmente questi cittadini
cinesi possono aver vissuto episodi di razzismo o commenti poco graditi in passato e adesso sono più diffidenti o semplicemente fanno fatica ad integrarsi con la nostra cultura, di certo c’è che la strada per l’integrazione è lunga e
difficile specie nei momenti di crisi economica dove purtroppo lo straniero, molto spesso, viene considerato come un
“ladro” di lavoro da parte dei nativi del Paese di destinazione che versano anch’essi in difficili condizioni
economiche. 41 Sample survey: principles and methods; Vic Barnett; Edizioni Arnold, 2002; pag.125 42 Definizione campionamento per quote contenuta in: http://www.treccani.it/.
79
questo potrebbe condurre a stime non corrette. Nel mio caso questo problema non si è
presentato perché nonostante abbia scelto personalmente le persone da intervistare, e
non abbia effettuato un’estrazione casuale, queste erano persone a me sconosciute o che
comunque avevano caratteristiche coerenti con le variabili da studiare. Un vantaggio
rappresentato dal campionamento per quote è dato dall’economicità con cui può essere
effettuato, infatti non richiede dispendiose ricerche sulla stima della varianza o sulla
ricerca delle liste da cui estrarre i soggetti da intervistare. Proprio a causa di
quest’ultimo motivo, cioè la mancata disposizione della stima della varianza relativa al
fenomeno oggetto del mio studio, non potrò effettuare un’inferenza all’intera
popolazione di riferimento, rappresentata dagli abitanti della provincia di Pisa e dagli
operatori ambulanti, ma potrò inferire i miei risultati soltanto ai due campioni di
riferimento. Tuttavia, esistono alcuni metodi attraverso i quali è possibile effettuare
inferenza da campioni non probabilistici come il campionamento per quote. Il primo è
un adattamento della regola di Neyman che prevede di prendere nh (numero di quote del
campione) proporzionale a Nh (numero di strati in cui è suddivisa la popolazione)*σh, se
σ1,…, σh sono valori assunti per la deviazione standard della variabile y (variabile oggetto
di studio) relativa alle unità della popolazione. Il secondo metodo consiste nel
combinare tecniche probabilistiche e non probabilistiche, ad esempio selezionando le
unità primarie (come isolati della città o distretti) attraverso uno schema di tipo
probabilistico e selezionare successivamente le unità in essi contenute attraverso il
metodo del campionamento per quote43
. Adesso illustrerò come ho formato il campione
dei consumatori con il metodo delle quote. Ho deciso di scegliere come popolazione di
riferimento il numero di abitanti facenti parte della provincia di Pisa, dato che anche per
gli operatori ambulanti avevo scelto questa città ed anche in questo caso la scelta era
dovuta alla mancata disposizione di risorse monetarie e vincoli temporali necessari per
effettuare un’intervista su larga scala come poteva essere un’ intervista nazionale. Per
quanto riguarda il numero di soggetti da intervistare ho deciso di contattare 100
consumatori perché la maggior parte delle mie interviste è stata effettuata attraverso la
lettura faccia a faccia delle domande del questionario e un numero superiore di
interviste sarebbe stato di difficile realizzazione. Successivamente ho deciso di
suddividere la popolazione in quote sulla base di sesso ed età dei residenti della
43 Model assisted survey sampling; Carl-Erik Sarndal, Bengt Swensson, JanWretman;Edizioni Springer;1992;pag-
530-531.
80
provincia di Pisa. Per quanto riguarda le fasce d’età ho ritenuto opportuno costruire un
campione avente quattro fasce d’età: 15-34 anni; 35-54 anni; 55-65 anni; più di 65 anni.
Ho scelto queste specifiche fasce d’età perché pensavo vi potesse essere una differenza
di comportamento di consumo relativamente alla frequentazione al mercato. Per
individuare il numero esatto di persone residenti nella provincia di Pisa, e
successivamente effettuare una proporzione con i 100 individui che volevo intervistare,
mi sono collegata al sito internet dell’Istat (http://demo.istat.it/pop2012/index.html) e
con le informazioni ottenute ho costruito la seguente tabella:
Tabella 7: Residenti provincia di Pisa suddivisi per sesso e fasce d'età all'01/01/2012
Fasce
d'età
Sesso Sesso
Maschi
(valori
assoluti)
Femmine
(valori
assoluti)
Totali
(valori
assoluti)
Maschi
(valori %)
Femmine
(valori %)
Totali
(valori
%)
15-34
anni
42.321 41.157 83.478 12 11 23
35-54
anni
63.511 63.948 127.459 18 18 36
55-65
anni
27.751 30.181 57.932 7 8 15
più di
65 anni
37.210 50.913 88.123 11 15 26
Totali 170.793 186.199 356.992 48 52 100
Fonte: elaborazione dei dati contenuti in http://demo.istat.it/pop2012/index.html
In seguito alla stesura della precedente tabella ho utilizzato i valori percentuali contenuti
nelle colonne percentuali dei maschi e delle femmine e li ho rapportati al numero totale
di persone che avevo deciso di intervistare, che era pari a 100, ottenendo il seguente
prospetto espresso in soggetti da intervistare:
Tabella 8: numero soggetti da intervistare suddivisi per sesso e fasce d'età
Fasce d'età Sesso
Maschi Femmine Totali
15-34 anni 12 11 23
35-54 anni 18 18 36
55-65 anni 7 8 15
più di 65 anni 11 15 26
Totali 48 52 100
Fonte: elaborazione personale dei dati contenuti in tabella 7
81
Una volta stabilito il numero di soggetti da intervistare ho deciso di somministrare il
questionario rivolto ai consumatori attraverso due differenti modalità:
- per la fascia d’età 15-34 anni ho somministrato il questionario on-line attraverso
il social network Facebook dopo averlo caricato on-line con il programma
Joomla. I consumatori cliccavano il link che rimandava alla compilazione del
questionario e contestualmente le risposte venivano immagazzinate in un
database Excel, che avrei utilizzato al termine degli inserimenti delle risposte,
per l’elaborazione dei risultati;
- per le restanti fasce d’età la somministrazione è avvenuta faccia a faccia
leggendo le domande del questionario agli intervistati. In questo caso per la
somministrazione ho scelto due differenti luoghi: il mercato di via Paparelli e
uno studio medico della Provincia di Pisa, in quest’ultimo caso prima mi sono
accertata che i rispondenti corrispondessero al target della ricerca e cioè che
fossero frequentatori del mercato. Ho deciso di andare anche allo studio medico
perché avevo maggiori probabilità di risposte visto che al mercato i consumatori
erano impegnati a fare la spesa o volevano rilassarsi e fare un giro tra i banchi e
talvolta non volevano partecipare all’intervista. Successivamente ho inserito
personalmente le risposte, attraverso il link del questionario on-line, che poi mi
avrebbero consentito di costruire il database per l’elaborazione dei dati.
Dato che parte della somministrazione dei questionari dei consumatori è avvenuta on-
line ho ottenuto più risposte rispetto a quelle necessarie; infatti mi sono pervenuti 192
questionari compilati, tuttavia le risposte complete, che potevano essere utilizzate per
l’elaborazione dei dati, erano 175 dato che le restanti erano incomplete e quindi da
scartare. Delle 175 risposte ottenute ho dovuto riportare il campione a 100 individui
dato che le risposte in più erano tutte appartenenti alla fascia d’età 15-34 anni e se le
avessi utilizzate per l’elaborazione avrei commesso un errore perché non avrei rispettato
la proporzione delle quote dei residenti della provincia di Pisa. Per questa fascia d’età
ho quindi effettuato un’estrazione casuale per selezionare i maschi e le femmine da
inserire nel database. Ho scelto questo metodo perché altrimenti se avessi scelto
personalmente gli individui da inserire nel database avrei potuto inficiare i risultati
perché potevo farmi influenzare da alcune risposte. Per quanto riguarda le donne di età
compresa tra i 15 e i 34 anni avevo ottenuto 80 risposte e per effettuare l’estrazione
casuale delle 11 (numero corrispondente alla proporzione delle donne tra i 15 e 34 anni
82
della popolazione della provincia di Pisa) necessarie per costruire il database ho
utilizzato la funzione di Excel “Analisi dati” “Generazione di un numero casuale”.
Ho selezionato gli 80 identificativi questionari appartenenti alle donne tra i 15 e i 34
anni e li ho copiati in un nuovo foglio di lavoro. A questo punto richiamando la
funzione suddetta si è aperta una finestra nella quale ho inserito in “Numero di
variabili” il valore 1, in “Numero di numeri casuali” il valore 80, poi ho selezionato
distribuzione uniforme e valori compresi tra 0 e 1. Ho così ottenuto 80 numeri casuali,
tutti diversi, compresi tra 0 e 1 e li ho editati accanto alla colonna degli identificativi
questionari. Successivamente ho selezionato le due colonne e le ho ordinate in ordine
crescente per numero casuale; poi ho selezionato i primi undici identificativi questionari
e dato che non erano ordinati li ho ordinati in ordine crescente, quindi ho selezionato nel
database dei 175 individui questi identificativi ed ho iniziato a costruire il database
necessario per l’elaborazione. Per quanto riguarda i maschi dai 15 ai 34 anni ho ottenuto
18 risposte e quindi per selezionare le 12 (numero corrispondente alla proporzione degli
uomini tra i 15 e i 34 anni della popolazione della provincia di Pisa) necessarie per la
costruzione del database ho ripetuto il medesimo procedimento effettuato per le donne.
Relativamente alle restanti fasce d’età non c’è stato alcun bisogno di effettuare
l’estrazione casuale perché dato che la somministrazione dei questionari è avvenuta
faccia a faccia con lettura delle domande agli intervistati ho deciso di fermarmi nel
momento in cui raggiungevo il numero di unità totali facenti parte di ciascuna quota.
Infine per quanto riguarda le tempistiche necessarie ad effettuare le interviste ho
impiegato 2 mesi per ottenere le 100 interviste degli operatori effettuate tra i mesi di
Maggio e Giugno 2013 e nello stesso mese di Giugno ho raccolto le interviste on-line e
cartacee relative ai consumatori.
4.3- Risultati ottenuti dalla ricerca
Nell’esporre i risultati ottenuti dalla somministrazione dei due questionari, inizierò con
quelli relativi alle caratteristiche demografiche e lavorative appartenenti al campione dei
100 operatori intervistati, ricordando che si tratta di un censimento relativo ai suddetti
operatori e che i risultati non possono essere estesi al di fuori del medesimo campione,
causa mancanza della stima della varianza. Successivamente metterò in evidenza il
pensiero degli operatori relativamente agli aspetti positivi e negativi che attribuiscono al
mercato di via Paparelli, cercando di spiegare le motivazioni sottostanti alle risposte che
mi sono pervenute, ed infine utilizzerò la stessa metodologia per descrivere i
83
43%
57%
Grafico 7: Composizione percentuale degli operatori
ambulanti in base al sesso
femmina;
maschio;
miglioramenti che gli operatori apporterebbero al mercato. Nella seconda parte della
trattazione relativa ai risultati ottenuti dalla ricerca mi occuperò di analizzare il
comportamento dei consumatori che si recano al mercato cercando di mettere in
evidenza le motivazioni sottostanti a determinati comportamenti o opinioni espresse.
Anche in questo caso tengo a ricordare che non potrò estendere i risultati della ricerca
all’intera provincia di Pisa, ma solo al campione intervistato non disponendo di una
stima della varianza. Nell’ultima parte della trattazione effettuerò un confronto tra
consumatori e operatori sulle questioni relative ad aspetti positivi e negativi del
mercato, percezione della concorrenza e tipologia di miglioramenti da apportarvi, per
vedere se il pensiero di entrambi sia concorde o meno e quindi se gli operatori siano
realmente a conoscenza di ciò che i consumatori desiderano.
4.3.1- Le caratteristiche demografiche e lavorative dei venditori su area pubblica
4.3.1.1-Caratteristiche demografiche
4.3.1.1.1-Sesso
Come possiamo notare dal grafico la maggior parte della titolarità dei banchi appartiene
agli uomini, con uno scarto di 14 punti percentuali in più rispetto alle donne. La ragione
di questa situazione potrebbe essere spiegata dal minor impiego occupazionale delle
donne rispetto agli uomini valido in tutti i settori lavorativi, tuttavia c’è da notare che la
quasi totalità degli individui intervistati aveva un collaboratore che l’aiutava nello
svolgimento dell’attività lavorativa e che era costituito dal rispettivo partner. E’ quindi
possibile affermare che, finalmente sottolineerei, le donne sono entrate a pieno regime
84
7%
67%
22%
4%
Grafico 8: Composizione percentuale degli operatori ambulanti in
base all'età
18-34 anni;
35-54 anni;
55-65 anni;
più di 65 anni
a far parte del mondo lavorativo anche se ancora risultano essere impiegate a livelli
inferiori rispetto agli uomini, tuttavia le distanze si stanno progressivamente
accorciando ed infatti tornando al settore del commercio ambulante ben il 43% di esse,
con riferimento al totale degli intervistati, è titolare di un banco.
4.3.1.1.2-Età
Dalla lettura del grafico notiamo che il 67% dei venditori su area pubblica ha un’età
compresa tra 35 e 54 anni e a debita distanza questa classe d’età è seguita da quella che
va dai 55 ai 65 anni. Le altre due classi d’età, quelle relative ai giovani ed alle persone
anziane risultano essere residuali per ovvie ragioni. Nel primo caso perché per avviare
un’attività di commercio ambulante bisognerebbe avere un minimo di esperienza
commerciale alle spalle e un under 34 è difficile che abbia tale esperienza dato che
molti giovani proseguono il loro percorso di studi dopo il conseguimento del diploma e
fino ai 25 anni d’età sono impegnati con gli studi e non hanno tempo di dedicarsi ad
un’esperienza lavorativa a tempo pieno ed importante come potrebbe essere quella del
commercio ambulante. Per quanto riguarda la classe d’età degli over 65, il
ragionamento è inverso, dato che queste persone dovrebbero essere in età da
pensionamento, tuttavia possono continuare a svolgere una qualsivoglia attività
lavorativa, se lo desiderano, ma come vediamo il loro numero è veramente esiguo.
Appare quindi del tutto fisiologico che la classe d’età che rappresenta la stragrande
85
3% 3%
47% 47%
Grafico 9: Composizione percentuale degli operatori ambulanti in
base al titolo di studio
laurea
specialistica/magistrale;
licenza elementare;
licenza media inferiore;
licenza media superiore;
maggioranza degli operatori ambulanti sia rappresentata da quella che va dai 35 ai 54
anni.
4.3.1.1.3-Titolo di studio
Come possiamo notare dal grafico il campione degli intervistati presenta un livello
d’istruzione medio-basso. Infatti quasi la metà degli intervistati ha una licenza media
inferiore (47%), l’altra metà ha una licenza media superiore. Questo può spiegarsi con il
fatto che questo tipo di mestiere non richiede un’alta formazione culturale né tantomeno
l’aver frequentato un determinato tipo di scuola superiore, come invece potrebbe esser
richiesto a chi per esempio fa il cameriere, che per quanto non sia un mestiere
altamente qualificato può richiedere la frequentazione di scuole alberghiere. Per questo
motivo chiunque sia in possesso dei requisiti morali e professionali previsti dall’art. 5
del d.lgs. 114/1998 può svolgere un’attività di commercio su area pubblica. Infatti dalle
dichiarazioni spontanee di alcuni venditori è emerso il fatto che la bassa istruzione è
stata la causa dell’aver intrapreso questo tipo di attività. Nel momento in cui richiedevo
il livello d’istruzione della persona intervistata molti venditori affermavano: “Terza
media, che titolo d’istruzione vuoi che abbia?” oppure “ Eh le medie, d’altronde non
avevo voglia di studiare, mio padre aveva il banco ed ho fatto questo!!!”. C’è da dire
però che anche un livello d’istruzione elevato è indice di settore rifugio perché del 3%
dei laureati del campione se andiamo ad analizzare le motivazioni che li hanno spinti ad
86
intraprendere il mestiere troviamo la mancanza di alternative e il fatto che il mestiere
fosse svolto precedentemente dai genitori. Concludendo è possibile affermare che il
livello d’istruzione medio-basso è dovuto sia alle caratteristiche intrinseche del settore,
per le quali non è necessario avere titoli di studio elevati, sia al fatto che si tratta di un
settore rifugio dove le persone che hanno mancanza di elevate qualifiche possono
cimentarsi.
4.3.1.1.4-Nazionalità
Tabella 9: Nazionalità operatori
italiana 96
marocchina 3
senegalese 1
Come riporta la tabella n. 9 la maggior parte degli intervistati appartenenti al campione
risulta essere di nazionalità italiana e questo è dovuto al fatto che, come ho già
ampiamente spiegato nella sezione “metodo di lavoro e difficoltà incontrate” di questo
capitolo, la maggior parte degli operatori extra-comunitari ha mostrato reticenze a
partecipare all’intervista sia a causa della mancata comprensione della lingua italiana
che per diffidenza nei riguardi della stessa.
4.3.1.2-Caratteristiche lavorative
4.3.1.2.1-Giorni lavorativi
Tabella 10: Percentuali relative al numero di giorni lavorativi in cui gli operatori
esercitano la loro attività
2-3 giorni 8
4-5 giorni 64
6 giorni 28
Totale complessivo 100
Come è possibile osservare dalla tabella, il 64% dei venditori su area pubblica lavora
dai 4 ai 5 giorni e un 28% lavora 6 giorni su 7. Solo l’8% lavora meno di 4 giorni a
settimana e questo è dovuto quasi sicuramente al fatto che questi operatori svolgono
anche altre attività lavorative. E’ interessante notare che tra coloro che hanno risposto
che lavorano dai 4 ai 5 giorni lavorativi il 23% ha risposto che frequenta 3 mercati.
Infatti successivamente al numero di giorni lavorativi veniva richiesto agli operatori
87
quanti mercati frequentavano durante la settimana, intendendo i luoghi in cui veniva
svolto il mercato, per andare a vedere se il venditore concentrasse la sua attività su 2 o 3
mercati o se invece cambiasse mercato ogni giorno. Dall’analisi delle risposte posso
affermare come quest’ultima ipotesi debba prevalere, cioè gli operatori preferiscono
frequentare pochi mercati ma buoni, cioè mercati nei quali hanno una clientela
probabilmente più fedele o semplicemente più redditizi perché frequentati da molte
persone o da persone che effettuano spese più elevate piuttosto che cambiare mercato
ogni giorno.
4.3.1.2.2-Altri mercati frequentati dai venditori ambulanti di via Paparelli
Tabella 11: Altri mercati frequentati dai venditori ambulanti di via Paparelli
Mercati frequentati Percentuali
Livorno 52
Cascina 32
Viareggio 32
Navacchio 25
Marina di Pisa 17
Tirrenia 16
Rosignano 12
Pontedera 11
Cecina 10
Vecchiano 9
Massa 8
Lido di Camaiore 7
La Spezia 6
Collesalvetti 6
Come risulta dalla lettura della tabella n.11, il 52% degli operatori ambulanti frequenta
Livorno come altro mercato in cui svolgere la propria attività lavorativa. Seguono, con
una distanza di ben venti punti percentuali, Cascina e Viareggio, entrambi con il 32%.
Degni di nota per gli ambulanti appartenenti al campione intervistato risultano essere
anche i mercati di Navacchio con il 25% e quelli appartenenti al litorale pisano come
Marina di Pisa e Tirrenia con il 17% e il 16%. La netta predominanza della
frequentazione della città di Livorno potrebbe spiegarsi con le caratteristiche che
presenta questo mercato. Infatti è uno dei più grandi mercati coperti d’Europa44
con una
44 http://www.laportadeltirreno.it/rubriche-aziende/il-mercato-centrale-di-livorno
88
grande varietà merceologica e conseguentemente frequentato da molti consumatori.
Un’altra spiegazione della sua frequentazione potrebbe essere data dalla residenza degli
intervistati, infatti nonostante non sia stata espressamente richiesta, dalle risposte fornite
a questa domanda è chiaro che risulta essere appartenente, per la maggior parte del
campione intervistato, alle province di Pisa o di Livorno. Come possiamo notare infatti i
luoghi maggiormente frequentati dai venditori ambulanti intervistati risultano
appartenere alle suddette province ad eccezione di Viareggio che appartiene alla
provincia di Lucca, che però non è molto distante da Pisa. Il fatto che Viareggio si trovi
in seconda posizione come mercato più frequentato dopo Livorno è dovuto alle
caratteristiche dello stesso. Dalle dichiarazioni spontanee di alcuni venditori risulta
essere un mercato ben organizzato e situato in una posizione che può definirsi un
“centro commerciale naturale”, infatti si trova sulla passeggiata, luogo molto
frequentato da coloro che intendono recarsi a fare shopping o semplicemente a fare un
giro per le vetrine, ma anche in quest’ultimo caso è difficile tornare a casa a mani vuote.
Per quanto riguarda le percentuali relative a Navacchio, Marina di Pisa e Tirrenia
probabilmente sono dovute alla vicinanza rispetto alla residenza degli operatori
intervistati ed alle caratteristiche che presentano. Il mercato di Navacchio è infatti
composto da 130 posteggi di cui 12 riservati al comparto alimentare, quindi presenta
un’offerta abbastanza variegata per essere un mercato periodico dato che si svolge il
lunedì45
. Discorso in parte analogo vale per i mercati di Tirrenia e Marina di Pisa, anche
se sono di dimensioni più ridotte rispetto ai mercati che occupano le prime posizioni
della classifica riportata in tabella 11. Il mercato estivo di Tirrenia è infatti composto da
96 posteggi di cui 5 alimentari e 91 non alimentari, ma la sua attrattiva dipende dal fatto
che in periodo estivo, da Maggio a Settembre, è frequentato da molti bagnanti e quindi
fonte di redditività per i venditori su area pubblica46
. Per Marina di Pisa il ragionamento
sottostante alla sua frequentazione è identico a quello illustrato per Tirrenia. Il mercato
è infatti leggermente più piccolo essendo composto da 92 posteggi di cui 5 riservati al
comparto alimentare e quindi anch’esso a prevalenza non alimentare47
, ma risulta
fortemente attrattivo perché molto frequentato dai consumatori durante il periodo estivo.
Per quanto riguarda le altre posizioni della classifica vediamo che risultano di un certo
interesse le città della Versilia come Massa e Lido di Camaiore, molto probabilmente
45 Informazioni a cura di: Ufficio Attività produttive Comune di Cascina 46 http://www.comune.pisa.it/it/ufficio-scheda/6834/Mercato.html 47 http://www.comune.pisa.it/it/ufficio-scheda/6834/Mercato.html
89
per l’alta concentrazione di consumatori che frequenta i suddetti mercati, ed anche altre
città delle province di Pisa e Livorno come Pontedera, Rosignano e Cecina per ragioni
probabilmente legate alle loro caratteristiche intrinseche. Il mercato di Pontedera è
composto da 237 posteggi di cui 25 legati al comparto alimentare48
, quindi molto
frequentato dai consumatori, ed alla vicinanza rispetto alla residenza degli intervistati.
Concludendo è possibile affermare che i venditori su area pubblica intervistati al
mercato di via Paparelli a Pisa non effettuano notevoli spostamenti rispetto a questa
città, muovendosi in un raggio che non supera i 30-35 km, tuttavia frequentano mercati
redditizi caratterizzati da un notevole flusso di clientela.
4.3.1.2.3-Anni di svolgimento dell’attività lavorativa
Tabella 12: Percentuali relative al numero di anni lavorativi svolti dai venditori ambulanti
intervistati
Anni lavorativi Percentuali
10 anni lavorativi o meno 23
tra 11 e 20 anni lavorativi 25
tra 21 e 30 anni lavorativi 20
più di 30 anni lavorativi 32
Come è possibile osservare dalla tabella n.12 il mestiere del venditore ambulante risulta
essere di lungo svolgimento una volta che una persona decide d’intraprenderlo. Il 52%
del campione intervistato svolge l’attività da più di 20 anni. Infatti, nonostante risulti
essere un settore rifugio o nel quale il mestiere si tramanda di padre in figlio, una volta
che si è deciso di intraprenderlo si porta avanti per tutta la carriera lavorativa. Poi nel
caso in cui sia stato intrapreso per una motivazione di tipo generazionale, cioè perché
svolto da genitori o nonni c’è l’aspetto della tradizione che coloro che successivamente
lo intraprendono probabilmente sono fieri e desiderosi di portare avanti.
48 Informazioni a cura di: Ufficio Attività produttive Comune di Cascina
90
4.3.1.2.4-Motivazioni che hanno portato i venditori ambulanti ad intraprendere questo
mestiere
Tabella 13: Percentuali relative alle ragioni che hanno portato gli ambulanti a svolgere
questo mestiere
Motivazioni mestiere Percentuali
Genitori 37
Non c’erano altre alternative 15
Più libertà 14
Speravo di avere maggiori possibilità di
guadagno
12
Passione 9
Licenziati da lavori precedenti 8
Dalla lettura della tabella n.13 risulta essere confermato, per gli operatori intervistati,
ciò che viene affermato nella ricerca condotta dalla Fiva Confcommercio49
e cioè che il
mestiere di venditore su area pubblica è prevalentemente un mestiere che si tramanda di
padre in figlio (37%) o un mestiere al quale si dedica chi non ha avuto altra alternativa o
chi è stato licenziato da precedenti lavori. Queste ultime due motivazioni possono essere
fatte rientrare nel settore rifugio e danno una percentuale del 23%. Infatti, a differenza
di altri lavori autonomi, questo mestiere presenta rischi relativamente modesti, come un
basso impiego di capitale, dato che non sono necessari investimenti come affitti di fondi
per poter svolgere la propria attività o pagamento di utenze come luce, gas, acqua.
Questo consente di praticare prezzi più bassi, pur vendendo lo stesso articolo che può
essere trovato in un negozio tradizionale a tutto vantaggio del consumatore che potrà
preferire questo tipo d’offerta rispetto a quella del negozio. Ecco perché chi non trova
altri tipi di impieghi o ha subito un licenziamento può provare ad intraprendere questo
tipo di attività senza troppi problemi. Da non trascurare le motivazioni legate alla
possibilità di avere maggiore libertà (14%) rispetto sia ad un lavoro dipendente che ad
un lavoro d’ufficio o in fabbrica; infatti dalle dichiarazioni spontanee dei venditori è
emerso che, grazie a questo tipo di mestiere, possono “stare all’aria aperta” e questo dà
loro un gradevole senso di libertà. Da non sottovalutare il 12% del campione
intervistato che, tra le motivazioni che l’hanno portato ad intraprendere il mestiere ha
risposto che sperava di avere maggiori probabilità di guadagno sempre rispetto ad un
lavoro dipendente o ad un lavoro autonomo del medesimo settore come l’aprire un
49
http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp
91
47
33
20
Grafico 10: Numero di intervistati che indicano le percentuali di
clientela abituale che frequenta il mercato di via Paparelli
maggiore o uguale al
60%
pari al 50%
inferiore o uguale al
40%
negozio tradizionale. Questi venditori, a causa del calo generalizzato dei consumi,
avvertono un calo delle vendite, che però negli altri settori si è fatto sentire di più,
specie per quanto riguarda i negozi tradizionali. Infine da non trascurare il 9% di coloro
che hanno risposto che hanno intrapreso questo mestiere per passione. Probabilmente
sono persone che hanno una tradizione alle spalle di vendita ambulante perché il
mestiere era svolto da genitori o nonni che li hanno fatti appassionare allo stesso oppure
semplicemente perché amano il contatto con le persone ed il folklore che si vede nei
mercati e se svolgono il loro mestiere con passione, nonostante il momento di crisi, non
potranno che avere buoni risultati in futuro.
4.3.2- Le caratteristiche del settore del commercio su area pubblica
In questo paragrafo metterò in evidenza alcune caratteristiche relative al settore del
commercio ambulante di via Paparelli riportando le considerazioni espresse dagli
operatori intervistati. Mi concentrerò in particolare sulle percentuali di clientela abituale
e occasionale che frequenta il mercato, sull’andamento della clientela e cioè se sia
diminuita, aumentata o rimasta pressoché invariata e sulla percezione della concorrenza
che hanno i venditori su area pubblica del mercato di Pisa.
4.3.2.1-Clientela abituale e occasionale
Il grafico soprastante mostra il numero di operatori che indicano la tipologia di
composizione della clientela e come possiamo osservare essa è per più del 60% di tipo
abituale, dato che viene dichiarato da 47 intervistati su 100. Trentatre intervistati su 100
92
20
33
47
Grafico 11:Numero di intervistati che indicano le percentuali di
clientela occasionale che frequenta il mercato di via Paparelli
maggiore o uguale al 60%
pari al 50%
inferiore o uguale al 40%
affermano invece che la tipologia di clientela sia esattamente spaccata a metà, mentre 20
intervistati su 100 affermano che la clientela sia più occasionale che abituale. Una
situazione che sicuramente può definirsi positiva dato che un cliente abituale è più
redditizio di un cliente occasionale e spende di più nel tempo data la sua fedeltà rispetto
all’insegna o alla marca, in questo caso al mercato ed ai suoi venditori e soprattutto è
meno ricettivo alle offerte della concorrenza. La situazione relativa al mercato di via
Paparelli di Pisa trova conferma anche nella ricerca condotta dalla Fiva Confcommercio
nella quale si afferma che sia i consumatori dei mercati giornalieri che quelli dei mercati
periodici sono abbastanza fedeli rispetto ai mercati che frequentano50
. La fedeltà
probabilmente è dovuta alle caratteristiche che ciascun mercato presenta, come la
convenienza economica, la simpatia di determinati venditori, la varietà dell’offerta o la
qualità dei prodotti. Di seguito, per completezza di trattazione, riporto il grafico della
clientela occasionale che, secondo i venditori su area pubblica intervistati, frequenta il
mercato di via Paparelli di Pisa. Per quanto riguarda il commento al grafico, questo
risulta essere il medesimo appena riportato, visto che la maggior parte della clientela
che frequenta il mercato di via Paparelli è abituale.
50
http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp
93
4.3.2.2-Andamento della clientela
Tabella 14: Andamento clientela del mercato di via Paparelli
Tipologia di andamento Percentuali
aumentata 1
diminuita 87
rimasta pressoché invariata 12
Totale complessivo 100
In questo paragrafo viene messo in evidenza l’andamento della clientela del mercato di
via Paparelli con riferimento agli ultimi due anni e cioè dal 2011 al 2013. Come si può
notare ben l’87% del campione degli operatori intervistati afferma come la stessa sia
diminuita e solo il 12% afferma che è rimasta pressoché invariata. L’1% che ha risposto
che la clientela è in aumento molto probabilmente fa riferimento al suo specifico banco
o al particolare tipo di prodotto venduto, ma non al mercato nel suo insieme. La
situazione è da attribuirsi quasi esclusivamente al periodo di crisi economica che il
Paese sta attraversando e che ha ridotto drasticamente i consumi degli italiani o
comunque ne ha modificato la consistenza. Tuttavia c’è da dire che la crisi oltre a
ridurre i consumi e la loro consistenza ne ha modificato la tipologia. Infatti come
affermato in un recente articolo de “Il Sole 24 ore” mentre crollano le vendite nei
negozi tradizionali, aumentano quelle delle bancarelle, dei discount e dei
supermercati51
. C’è da dire che sicuramente lo scontrino medio rispetto al periodo
precedente alla crisi si è abbassato, ma la frequentazione dei mercati rimane un punto
saldo nella tipologia di consumi degli italiani.
4.3.2.3-I concorrenti del mercato
Tabella 15: Percezione della concorrenza degli operatori ambulanti intervistati
Concorrenti Percentuali
Centri commerciali 58
Altri mercati ambulanti 24
Altro (dettaglio specificato nel commento alla tabella) 19
Outlet (per l'abbigliamento e accessori) 16
Supermercati 13
Negozi tradizionali 3
Discount 1
51
http://www.banchedati.ilsole24ore.com/doc.get?uid=sole-SS20130524041CAA
94
La tabella n.15 mostra l’opinione dei venditori su area pubblica rispetto alla percezione
della concorrenza del mercato. Come vediamo il 58% del campione ritiene che il
principale concorrente del mercato sia rappresentato dal centro commerciale e se
pensiamo alle caratteristiche che il centro commerciale presenta la risposta è facilmente
comprensibile. Infatti il centro commerciale racchiude al suo interno una vasta gamma
di articoli tra cui il consumatore non deve far altro che scegliere. Nel centro
commerciale il consumatore ha una possibilità di scelta che va dai beni alimentari ai
negozi di abbigliamento, di elettronica e così via. Ma non solo, perché all’interno del
centro commerciale i consumatori molto spesso vanno per passare un pomeriggio o
semplicemente per fare un giro, insomma per soddisfare non solo bisogni materiali ma
anche esperienziali; infatti all’interno del centro commerciale vi sono bar, ristoranti,
sale giochi oltre ai classici negozi e queste attività commerciali vengono impiantate
proprio per far vivere al consumatore l’esperienza di consumo nella sua totalità. Quindi
anche per queste ragioni oltre alla classica convenienza dei prezzi il centro commerciale
può essere considerato diretto concorrente del mercato ambulante, con la differenza,
secondo molti venditori, che il centro commerciale è al coperto e, quindi, quando vi
sono le intemperie i consumatori preferiscono recarvisi piuttosto che andare al mercato.
Personalmente ritengo che per quanto centro commerciale e mercato possano avere
notevoli similitudini, in termini di esperienza di consumo il mercato presenta un profilo
di genuina autenticità che lo contraddistingue e non rappresenta una costruzione
artificiale come il centro commerciale. Inoltre il centro commerciale dà la sensazione di
alienare il consumatore che non si rende talvolta conto neanche di dove si trova da
quanto è sovrastato da beni di consumo e pubblicità annesse, mentre il mercato non
sovrasta il consumatore ma rende la sua esperienza di consumo piacevole, grazie alle
simpatiche grida dei venditori e al modo con cui sono esposte le merci che non lo
soffocano. In seconda posizione anche se a distanza di ben 34 punti percentuali rispetto
ai centri commerciali troviamo i mercati ambulanti come diretti concorrenti rispetto al
mercato di via Paparelli. La spiegazione di questa risposta appare del tutto fisiologica ed
infatti è naturale che un certo numero di operatori risponda che il diretto concorrente di
un mercato sicuramente sarà un altro mercato e questo perché le caratteristiche delle due
tipologie di attività sono identiche e probabilmente anche la clientela che le frequenta.
Interessante notare come al terzo posto della tabella dei concorrenti del mercato vi sia la
categoria residuale “altro”. Questa è composta per il 10% da operatori che hanno
risposto che secondo loro il mercato non ha alcun concorrente diretto, sicuramente
95
pensando alle sue caratteristiche presenta un’offerta unica per il consumatore sia in
termini di beni che, aggiungo io, di esperienza di consumo e quindi per questi operatori
non ha alcun diretto concorrente. Tra le altre motivazioni vi sono coloro che affermano
che i diretti concorrenti del mercato siano le catene di abbigliamento a basso costo come
H&M o Zara, oppure ambulanti abusivi che riescono a praticare prezzi ancora più bassi
degli ambulanti in regola, sottraendo loro clientela. In quarta posizione, con il 16% delle
risposte, troviamo l’outlet come concorrente diretto del mercato per coloro che vendono
abbigliamento e accessori. Dato che l’outlet presenta beni di marca a costi ridotti perché
offre articoli di abbigliamento al termine del periodo di durata della collezione è
naturale che i venditori di articoli d’abbigliamento lo ritengano un loro diretto
concorrente, specialmente chi vende articoli di abbigliamento di marca. In quinta
posizione con il 13% delle risposte troviamo il supermercato. Molto probabilmente gli
operatori che hanno fornito questa risposta vendono alimentari o articoli per la casa
perché il supermercato può essere considerato un concorrente rispetto a queste tipologie
di articolo e comunque solo sul lato della convenienza economica e non in termini di
esperienza di consumo che le persone possono vivere nel momento in cui si recano al
mercato. Alle ultime posizioni della classifica troviamo i negozi tradizionali e i discount
rispettivamente con il 3% e l’1% delle risposte. Dalle dichiarazioni spontanee di molti
venditori è infatti emerso che sia il negozio tradizionale che il discount non possono
essere considerati concorrenti del mercato, i primi perché, secondo gli operatori, sono
meno frequentati dai consumatori rispetto al mercato ed i secondi perché hanno
un’immagine soltanto legata alla convenienza economica e non alla qualità. Infine per
quanto riguarda differenze sostanziali di risposte degli operatori ambulanti suddivisi per
fasce d’età e sesso, segnalo che non vi sono predominanze di una specifica categoria e
che quindi le motivazioni sottostanti alle risposte date non presumo che dipendano dalle
loro caratteristiche demografiche.
96
4.3.3- Gli aspetti positivi del mercato
Tabella 16: Aspetti positivi che il mercato possiede nell'opinione dei venditori
intervistati
Aspetti positivi Percentuali
Convenienza economica 62
Il rapporto umano che si instaura con l'ambulante 59
La possibilità di toccare la merce 45
La possibilità di avere un'offerta variegata 33
Qualità dell'offerta 31
Freschezza e genuinità dei prodotti alimentari 9
Altro (dettaglio specificato nel commento alla tabella) 5
Come possiamo osservare dalla tabella n.16 l’aspetto positivo principale che il mercato
riveste nell’opinione dei venditori su area pubblica è rappresentato dalla convenienza
economica. Questo risultato poteva essere facilmente previsto dato che il mercato
rappresenta l’emblema della convenienza, visto che i prezzi della merce che vengono ivi
praticati sono tra i più bassi se paragonati ad altre forme distributive. In seconda
posizione a distanza di soli tre punti percentuali rispetto alla convenienza economica
troviamo che il secondo aspetto positivo del mercato per importanza è dato dal rapporto
umano che i venditori riescono ad instaurare con i consumatori. Sicuramente questo
risulta essere un elemento che caratterizza fortemente i mercati e soprattutto li
differenzia rispetto ad altre forme distributive dove i venditori si limitano a proporre la
merce e difficilmente hanno con i consumatori un atteggiamento scherzoso o comunque
molto piacevole che va al di là dell’offerta del prodotto posto in vendita. In terza
posizione troviamo la possibilità di toccare la merce. Al mercato vi è libertà maggiore
rispetto ad un negozio tradizionale, ma anche ad un supermercato o centro commerciale
di toccare i prodotti posti in vendita, soprattutto per quanto riguarda il comparto non
alimentare, questo emerge anche dalle dichiarazioni spontanee rilasciate da alcuni
venditori: “ Come la toccano qui la merce non la toccano da nessuna parte!” oppure
“Più la gente tocca la merce più è contenta!” ed effettivamente la possibilità di poter
toccare con mano ciò che andremo o meno ad acquistare ci dà la sensazione di andare a
colpo sicuro nel nostro acquisto o nel nostro non acquisto perché grazie a questo gesto
possiamo renderci conto dei difetti che la merce può avere oppure sentire di che tessuto,
nel caso di un vestito, è fatta, in sintesi il consumatore diventa protagonista attivo della
sua esperienza di consumo. Al mercato però vi è anche maggior libertà di toccare i
97
prodotti alimentari come frutta e verdura ed anche questo rende il consumatore
partecipe del suo probabile acquisto; può controllare se il venditore ha posto la merce
dalla parte non ammaccata (pur magari essendolo) oppure può tastare la consistenza di
un frutto. In quarta posizione troviamo la possibilità di avere un’offerta variegata con il
33%. Questo aspetto risulta essere una caratteristica positiva del mercato perché in un
solo luogo il consumatore trova tutto ciò di cui ha bisogno e gli operatori ambulanti
proprio per questa ragione devono cercare di differenziare il più possibile la loro offerta,
soprattutto coloro che vendono la stessa tipologia di articolo, per non cadere
nell’omologazione che non verrebbe ben vista dal consumatore che si indirizzerebbe
verso altre forme distributive. In quinta posizione troviamo la qualità dell’offerta con il
31%. E’ interessante notare come in questo caso, per quanto 31 operatori su 100
affermino che il mercato sia contraddistinto da un buon rapporto qualità-prezzo, dalle
dichiarazioni spontanee di alcuni venditori questo aspetto risulta essere del tutto
disatteso, infatti affermano che vi sono operatori ambulanti che abbassano la qualità del
mercato perché pongono in vendita merce scadente. Riporto una dichiarazione che mi
ha molto colpito e che mi è stata riportata mentre elencavo gli aspetti positivi che il
mercato poteva avere nell’opinione dei venditori su area pubblica: “ Ma la qualità come
aspetto positivo? Non direi proprio, sì c’è chi vende roba buona ma c’è chi vende anche
tante schifezze!!!”. Al sesto posto, con il 9% delle risposte, troviamo la freschezza e
genuinità dei prodotti alimentari. Probabilmente tale percentuale è dovuta al fatto che
molti degli intervistati siano appartenenti al comparto non alimentare e quindi
considerano meno questo tipo di aspetto. In ultima posizione vi è la categoria residuale
“altro” con il 5% delle risposte. Dato spiegabile con il fatto che molto spesso gli
intervistati preferiscono scegliere tra le opzioni proposte piuttosto che pensarne di
diverse. Tuttavia tra gli aspetti positivi elencati spontaneamente dagli operatori
intervistati vi sono: la possibilità di cambiare la merce più facilmente rispetto ad altre
forme distributive, ed in effetti al mercato vi sono vincoli temporali meno stringenti ed
anche più disponibilità di effettuare cambi di merce da parte degli operatori stessi; la
possibilità di stare all’aria aperta ed anche questo aspetto può essere considerato un
elemento positivo caratterizzante il mercato dato che sia consumatori che operatori nel
momento in cui, rispettivamente, passeggiano tra i banchi o cercano di vendere la merce
esposta avvertono un maggior senso di libertà rispetto ad altri luoghi di consumo.
Legata al maggior senso di libertà vi è anche la motivazione di poter cambiare luoghi
diversi grazie a questo lavoro e quindi di poter entrare in contatto con diverse realtà. Da
98
notare che nessun operatore ha risposto che il mercato non ha alcun aspetto positivo e
non poteva essere altrimenti visto che costituisce il loro lavoro. A livello di differenze
nelle risposte in base al sesso e alla fascia d’età degli intervistati si notano delle
differenze nella possibilità di toccare la merce, aspetto riconosciuto dal 30% degli
uomini e dal 15% delle donne; questo perché probabilmente le venditrici donne sono
più restie a far toccare la merce per paura che possa rovinarsi o macchiarsi, nel caso di
un articolo d’abbigliamento, rispetto agli uomini. Anche la convenienza economica
come aspetto positivo risulta essere più sentito dagli uomini con il 38% che dalle donne
con il 24%, probabilmente perché le venditrici donne sono più attente alla qualità che
non al prezzo, aspetto da legarsi al maggior senso estetico che caratterizza le donne. Per
quanto riguarda differenze nelle fasce d’età e nelle altre risposte non ho da segnalare
alcuna particolarità dovuta alle variabili demografiche che contraddistinguono gli
operatori ambulanti intervistati.
4.3.4- Gli aspetti negativi del mercato
Tabella 17: Aspetti negativi che il mercato possiede nell'opinione dei venditori
intervistati
Aspetti negativi Percentuali
Ci sono ambulanti abusivi 52
C'è poca sicurezza (per esempio furti) 43
Difficoltà nel trovare parcheggio/di accesso al mercato 36
Altro (dettaglio specificato nel commento alla tabella) 10
L'offerta non è di qualità 8
Non ha alcun aspetto negativo 6
L'offerta non è molto variegata 4
C'è troppa confusione 1
Poca convenienza economica 1
La tabella n.17 mostra gli aspetti negativi che il mercato possiede nell’opinione degli
operatori ambulanti. Come possiamo notare in prima posizione, con il 52% delle
risposte, vi è il fatto che al mercato siano presenti ambulanti abusivi. Questa risposta si
trova in prima posizione probabilmente perché i venditori ambulanti con regolare
licenza sentono di più questo aspetto come negativo rispetto ad un consumatore ed è
anche fisiologico che questa risposta ricopra la prima posizione nell’opinione degli
operatori. In effetti si tratta di una grave forma di concorrenza sleale dato che i
commercianti ambulanti abusivi non pagano né le imposte, né la concessione di suolo
99
pubblico e quindi possono praticare prezzi notevolmente inferiori ai consumatori. Per
risolvere questo problema i commercianti ambulanti possono solo denunciare gli
abusivi alle forze dell’ordine ma per risolvere il problema sono queste ultime che
dovrebbero intervenire oltre all’amministrazione pubblica. Dalle dichiarazioni
spontanee dei venditori intervistati è emerso che i controlli sono pressoché assenti.
Infatti i vigili urbani si presentano la mattina all’orario di apertura del mercato per
assegnare i posteggi disponibili agli spuntisti, cioè a coloro che non hanno il posteggio
fisso e lo ottengono per presenze maturate, e poi non effettuano alcun altro tipo di
controllo durante il giorno. Effettivamente devo confermare che queste dichiarazioni
sono del tutto veritiere dato che durante il mio periodo di permanenza al mercato i vigili
urbani mettevano in atto proprio questo tipo di comportamento. L’amministrazione
comunale dovrebbe adottare tutti i provvedimenti necessari per combattere la piaga
dell’abusivismo che va a danno degli operatori per i motivi sopra illustrati, ma potrebbe
andare anche a danno dei consumatori che potrebbero anche acquistare merce di
provenienza illecita senza saperlo. Al secondo posto con il 43% delle risposte si trova la
poca sicurezza che il mercato presenta nell’opinione dei venditori. Per molti venditori la
mancanza di sicurezza non è solo relativa ai furti che avvengono a danno dei
consumatori ma soprattutto a danno della merce da loro messa in vendita. Anche in
questo caso i venditori ambulanti lamentano la mancanza di controlli da parte delle
forze dell’ordine ed infatti alcuni di loro hanno risolto personalmente il problema con
l’installazione di telecamere sul furgone. Anche in questo caso ritengo che
l’amministrazione comunale dovrebbe intervenire al più presto impiegando i vigili non
solo per assegnare i posteggi la mattina; sarebbe meglio, secondo me, impiegarli per
fare più controlli di questo genere piuttosto che andare a vedere se un ticket di un
parcheggio a pagamento è scaduto da 5 minuti o in alternativa fare pressione su
carabinieri e polizia affinché svolgano giri di ricognizione. D’altronde gli operatori
ambulanti versano all’amministrazione comunale un importo per la concessione di
suolo pubblico ed è giusto che vengano tutelati il più possibile sia dalla concorrenza
sleale che dai furti. Al terzo posto troviamo con il 36% delle risposte la difficoltà nel
trovare parcheggio o di accesso al mercato. Il mercato di via Paparelli presenta un
parcheggio a pagamento che si trova affianco ad esso che però si riempie facilmente nei
giorni di mercato e così molte persone lasciano le proprie auto lungo la strada che
fiancheggia il supermercato Carrefour intralciando anche il traffico. Certamente in
questo caso la soluzione di costruire altri parcheggi in quella zona appare difficilmente
100
praticabile, secondo me, forse sarebbe auspicabile un potenziamento delle corse degli
autobus. Interessante notare come il 10% degli operatori abbia fornito risposte non
appartenenti a quelle da me predisposte nel questionario. Tra queste vi rientrano: le
intemperie con il 5% delle risposte, per gli operatori che hanno dato questa risposta il
maltempo risulta essere il vero grande nemico del mercato perché “Quando piove la
gente va al centro commerciale” secondo l’opinione di questi venditori ed affermano
che l’amministrazione comunale dovrebbe montare coperture per consentire ai
consumatori di poter venire al mercato anche durante i giorni di pioggia; gli orari in cui
svolgere l’attività di vendita troppo ristretti, secondo l’opinione di questi venditori poter
lavorare solo dalle 7:30 alle 13:30 è fortemente limitante perché è difficile reggere la
concorrenza con i centri commerciali che hanno orari di apertura molto più lunghi e il
consumatore può recarsi quando vuole a fare acquisti. L’8% dei venditori afferma che
tra gli aspetti negativi del mercato vi sia la mancata qualità dell’offerta e come già ho
affermato nel commento delle risposte agli aspetti positivi questi operatori pensano che
vi siano dei loro colleghi che vendono merce scadente e questo dà un’immagine di
bassa qualità del mercato, tuttavia come vediamo questo pensiero non è dominante
anche se ovviamente va tenuto in considerazione, ma in generale è possibile affermare
che una buona parte degli operatori intervistati (il 31%) pensa che il mercato sia
caratterizzato dalla qualità dei prodotti posti in vendita. Il 6% del campione afferma che
il mercato non ha alcun aspetto negativo. Questa percentuale anche se non elevata va
considerata positivamente perché significa che il mercato ha caratteristiche tali che,
nell’opinione di questi venditori, non ci sia niente da modificare o di cui lamentarsi.
Riporto a tal proposito una dichiarazione spontanea di un venditore che mi ha molto
colpito: “Il mercato di via Paparelli a Pisa è uno dei migliori d’Italia non c’è niente che
vada modificato!”. Secondo me qualcosa da migliorare c’è, in primis maggiori controlli
da parte delle forze dell’ordine e una migliore organizzazione logistica per l’accesso al
mercato, tuttavia può essere considerato un buon mercato in termini di qualità e varietà
dell’offerta. Con il 4% delle risposte troviamo come aspetto negativo del mercato il
fatto che l’offerta non sia molto variegata. Questa opinione caratterizza, tuttavia, pochi
operatori che ritengono che il mercato stia subendo una progressiva omologazione della
merce posta in vendita. Le ultime posizioni della classifica degli aspetti negativi del
mercato sono ricoperte dalla poca convenienza economica e dalla troppa confusione che
caratterizza il mercato. Tuttavia queste posizioni sono del tutto marginali dato che
hanno entrambe una percentuale dell’1% e quindi è possibile affermare che non
101
costituiscano aspetti negativi del mercato nell’opinione dei venditori. Per completezza
di trattazione riporto il fatto che nessun operatore ambulante abbia indicato tra gli
aspetti negativi del mercato il fatto di essere troppo dispersivo, che costituiva una delle
opzioni della domanda relativa ai suddetti aspetti. Per quanto riguarda differenze nelle
risposte derivanti dalle diverse caratteristiche demografiche, costituite da sesso e fasce
d’età, degli appartenenti al campione intervistato rilevo che non vi siano differenze
degne di nota da riportare nella trattazione in esame.
4.3.5- I miglioramenti da apportare al mercato
In questo paragrafo vengono descritte le tipologie di eventuali miglioramenti che gli
operatori ambulanti intervistati apporterebbero al mercato. Parlo di eventuali
miglioramenti perché prima di chiedere che tipo di miglioramenti i venditori
apporterebbero al mercato ho chiesto se, secondo la loro opinione, il mercato avesse
avuto bisogno di essere migliorato o meno. Di seguito riporto la tabella che indica come
gli operatori hanno risposto a questa prima domanda.
Tabella 18: opinione degli operatori intervistati in merito all'apporto di miglioramenti
al mercato
Apporterebbe miglioramenti? Percentuali
Sì 88
No 12
Totale 100
Come possiamo osservare l’88% degli operatori del mercato di via Paparelli
apporterebbero miglioramenti allo stesso mentre il restante 12% afferma che il mercato
va bene così com’è. Molto probabilmente questa risposta è dovuta al fatto che il
miglioramento deve far parte di ogni aspetto della vita delle persone, cioè qualunque
cosa si faccia per quanto sia fatta bene può sempre essere migliorata. In effetti pensando
in generale ai mercati c’è da dire che vi sono soprattutto dei problemi organizzativi e
non solo che li contraddistinguono e che prima o poi andrebbero risolti, come i
parcheggi in primis, l’installazione di coperture e il praticare maggiori controlli da parte
dei vigili urbani o delle forze dell’ordine per garantire maggior sicurezza e combattere
l’abusivismo. Di seguito riporto una tabella che illustra le principali tipologie di
miglioramenti che i venditori apporterebbero al mercato di via Paparelli.
102
Tabella 19: Principali tipologie di miglioramenti che gli operatori intervistati
apporterebbero al mercato
Tipologia miglioramenti Percentuali
Parcheggio gratuito 23
Ampliamento parcheggi 22
Lotta all'abusivismo 19
Più controlli 16
Più promozione 16
Più sicurezza 15
Coperture con pannelli solari 12
Cambiare zona al mercato 9
Più promozione made in Italy 4
Più corse autobus 4
Come possiamo notare dalla tabella i miglioramenti principali da apportare al mercato
riguardano i parcheggi. Il 23% degli intervistati si auspicherebbe che l’attuale
parcheggio a pagamento situato a fianco al mercato sia posto gratuito almeno nei due
giorni di mercato e cioè il mercoledì e il sabato perché, secondo le dichiarazioni
spontanee degli intervistati, il parcheggio a pagamento scoraggia i consumatori a recarsi
al mercato ad acquistare. Potrebbe effettivamente essere una soluzione, ma sono
convinta che se il parcheggio venisse offerto gratuitamente nei giorni di mercato un
qualsiasi consumatore potrebbe parcheggiare la macchina per tutta la mattina solo per
fare pochi acquisti, mentre invece in questo modo più consumatori accedono al mercato
anche se per minor tempo. C’è da dire che effettivamente se l’amministrazione
comunale fosse d’accordo potrebbe provare a praticare questa soluzione nei giorni di
mercato e così i venditori potrebbero verificare se questo favorisca un aumento di
clientela o di scontrino medio, dovuto al fatto che se i consumatori hanno l’opportunità
di trascorre più tempo al mercato potrebbero acquistare più prodotti, oppure no. Legata
sempre alla questione parcheggi vi è la seconda tipologia di miglioramenti che i
venditori apporterebbero e cioè l’ampliamento degli stessi per consentire ad un maggior
numero di consumatori di poter venire al mercato o a coloro che attualmente lo
frequentano di poter parcheggiare la macchina in sicurezza e non in posti non consentiti
come il parcheggiare le auto nella strada che fiancheggia il mercato. Ritengo tuttavia
che questo tipo di miglioramento sia difficilmente praticabile nella zona in questione
dato che non vi è alcun posto disponibile per costruire ulteriori parcheggi, la soluzione
potrebbe essere quella di impiegare un maggior numero di autobus che si recano al
103
mercato. In terza posizione troviamo la lotta all’abusivismo che secondo i venditori
intervistati dovrebbe essere più dura, ma soprattutto dovrebbe venir fatta come si deve.
Infatti come ho già ampliamente spiegato nel commento agli aspetti negativi del
mercato gli operatori lamentano l’assenza dei vigili urbani in tema di controlli tra
operatori ambulanti. Ritengo che l’amministrazione comunale debba prendere
seriamente in considerazione questo problema perché l’abusivismo non costituisce solo
un danno agli operatori regolari che devono sottostare alla concorrenza sleale praticata
dai venditori non titolari di licenza o con licenze non in regola, ma anche ai consumatori
che potrebbero acquistare merce di provenienza illecita o contraffatta senza saperlo. Gli
operatori dal canto loro non devono arrendersi e devono continuare a far presente la
situazione sia ai vigili urbani che all’amministrazione comunale. Sempre legata alla
questione della lotta all’abusivismo, tra i miglioramenti da apportare, nell’opinione dei
venditori ambulanti intervistati, vi è con il 16% il fatto che i vigili urbani mettano in atto
più controlli. I controlli che dovrebbero effettuare, nell’opinione degli operatori
intervistati, non sono solo legati all’accertamento di venditori abusivi, ma anche di
venditori che non sono in posizioni regolari come chi vende merce usata e non appone
alcun cartello che lo indichi e spaccia la merce come nuova. Altro miglioramento da
apportare al mercato è il fatto di renderlo più sicuro dai furti che si perpetuano non solo
a danno dei consumatori, ma anche a danno degli operatori. Come ho già spiegato nel
commento alla tabella sugli aspetti negativi, in questo caso sono le forze dell’ordine che
dovrebbero essere più presenti e l’amministrazione comunale dovrebbe fare pressione
affinché vengano effettuati giri di perlustrazione tra i banchi. Ci sono degli operatori
che si sono dotati di un sistema di videosorveglianza installato sui furgoni per prevenire
i furti o sgominare i ladri ed il mio parere è proprio quello di agire in questo senso se i
venditori riscontrano che nonostante le lamentele venga fatto ben poco. Con il 16%
delle risposte vi è la maggiore promozione del mercato stesso che, nell’opinione dei
venditori su area pubblica, l’amministrazione comunale dovrebbe effettuare. Secondo
questi venditori, dato che versano al Comune un importo per la concessione del suolo
pubblico, l’amministrazione comunale si dovrebbe far carico di una parte della
promozione del mercato stesso. Io ritengo che se in parte questa opinione può essere
accolta rimane il fatto che i maggior promotori del mercato dovrebbero essere i
venditori stessi. I mercati in generale peccano di una politica di marketing sia a livello
di mercato nel suo complesso che a livello di singolo banco. In quest’ultimo caso se
molti venditori sanno come promuovere il loro articolo esponendo i prezzi bene in vista,
104
merce in modo ordinato e prevedendo la possibilità di effettuare pagamenti con i
moderni sistemi di pagamento come le carte di credito, altri hanno banchi che
presentano merce alla rinfusa oppure non disposta in modo ordinato e soprattutto
qualcuno sembra disinteressarsi del consumatore come se questo dovesse venire ad
acquistare per fargli un piacere e magari se ne stanno seduti a leggere il giornale.
Fortunatamente di questi ultimi casi ne ho visti pochi; certo è che ciascun venditore
dovrebbe adottare una buona politica di marketing per fidelizzare i suoi clienti ed inoltre
tutti gli operatori dovrebbero mettere a punto delle politiche per promuovere il mercato
nel suo insieme. In sesta posizione con il 12% delle risposte troviamo l’introduzione di
coperture con pannelli solari. Personalmente trovo che questa sia veramente una buona
idea; risolverebbe contemporaneamente il problema delle intemperie alquanto fastidiose
sia per i consumatori, che possono decidere di non recarsi addirittura al mercato o se vi
si recano comprano solo lo stretto necessario e se ne vanno, che per gli operatori, che
sono costretti ad andarsene se l’acqua rovina loro la merce oppure a lavorare in pessime
condizioni, ma soprattutto fornirebbe energia all’amministrazione comunale che
potrebbe utilizzarla a sua volta per gli operatori che necessitano del collegamento alla
rete elettrica oppure per altri scopi. Inoltre, costruire coperture con pannelli solari
avrebbe un costo ridotto per l’amministrazione comunale rispetto alla costruzione di
altri tipi di coperture. Sicuramente questa è una proposta che i commercianti ambulanti
dovrebbero fare all’amministrazione comunale. Al settimo posto con il 9% delle
risposte troviamo il cambiamento di zona in cui svolgere il mercato. Gli operatori che
hanno risposto in questo modo sostengono che il mercato si trova in una zona dove i
consumatori devono recarsi di proposito per venire ad acquistare e dati i problemi di
parcheggio che si riscontrano spesso rinunciano alla sua frequentazione. Sostengono che
il mercato dovrebbe tornare dove si trovava prima e cioè nella zona vicina alla Torre
pendente oppure spostarsi in Corso Italia perché, a detta di questi operatori, risultano
essere zone d’interesse turistico e quindi più frequentate non solo dai residenti ma anche
da turisti. Personalmente ritengo che se il mercato venisse spostato in centro città
probabilmente si verrebbe a creare una situazione di traffico insostenibile, la soluzione
sarebbe quella di potenziare le corse degli autobus ma soprattutto di creare punti di
collegamento tra il mercato e i siti turistici, per esempio pubblicizzando nelle guide la
possibilità di effettuare un giro al mercato nei giorni stabiliti, come è stato suggerito, tra
l’altro, da alcuni venditori ambulanti. Tra le ultime posizioni con il 4% delle risposte
troviamo una maggiore promozione del made in Italy e la possibilità per i consumatori
105
di avere più corse degli autobus che si recano al mercato. Per quanto riguarda la
promozione del made in Italy come ho già commentato per la maggiore promozione
generale da effettuarsi nei riguardi del mercato, ritengo che siano i venditori a dover
fare principalmente la loro parte cercando di promuovere sia il mercato nel suo
complesso che i prodotti da loro posti in vendita e per quanto riguarda l’introduzione di
un numero maggiore di corse dell’autobus ritengo che sia una buona soluzione che
andrebbe a risolvere anche il problema della mancanza di sufficienti parcheggi. Per
completezza di trattazione citerò alcuni miglioramenti che il mercato dovrebbe avere
nell’opinione dei venditori ambulanti intervistati e che non ho riportato in tabella sia
perché presentavano percentuali inferiori al 4% sia perché rientravano parzialmente nei
miglioramenti già messi in evidenza. Tra i miglioramenti che presentano una
percentuale inferiore al 4% vi sono: un mantenimento migliore del piazzale dove si
svolge il mercato; gli operatori che hanno dato questa risposta lamentano un
collegamento ai servizi, come acqua, luce, rete fognaria, non sempre funzionante o
provvisorio; altro miglioramento da apportare è costituito da un migliore mantenimento
dei bagni pubblici che non sempre funzionano; poi vi è chi sostiene di introdurre servizi
di ristoro per i consumatori come bar, in questo modo secondo me si andrebbe
parzialmente a ricreare l’esperienza di consumo che i consumatori vivono nel momento
in cui decidono di recarsi ad un centro commerciale dato che anche qui vi sono punti di
ristoro come bar, ristoranti e sale gioco che fanno vivere al consumatore l’esperienza di
consumo nella sua totalità. Vi è inoltre chi sostiene che sia necessaria una maggiore
superficie di vendita per esporre i prodotti anche se ritengo che quest’ultimo
miglioramento sia poco auspicabile perché se questo venisse consentito sarebbero
necessari spazi veramente enormi per poter svolgere un mercato e ritengo che quello di
via Paparelli, in termini di spazi di vendita attribuiti ad ogni venditore, vada bene così
com’è; poi c’è chi sostiene che alcuni venditori debbano promuovere la merce in modo
migliore oppure chi afferma che sarebbe necessaria l’introduzione di una connessione
wi-fi in modo che i consumatori possano navigare in internet liberamente,
provvedimento necessario da parte dell’amministrazione comunale e che tra qualche
mese pare venga effettuato, dato che mi sono informata personalmente perché se vi
fosse stata questa possibilità avrei probabilmente effettuato le interviste con un IPad.
Infine, per quanto riguarda la differenza per sesso ed età delle risposte fornite non rilevo
aspetti degni di nota da segnalare.
106
4.3.6- Il comportamento dei consumatori nel settore del commercio ambulante
4.3.6.1-Frequenza
In questo paragrafo viene evidenziato il numero di volte in cui i consumatori
appartenenti al campione intervistato si recano al mercato, andando ad evidenziare le
varie differenze tra sesso e fasce d’età e le professioni principali svolte dai consumatori
che lo frequentano.
Tabella 20: Percentuali relative al numero di volte in cui i consumatori si recano al
mercato
Frequenza mercato Percentuali
1-2 volte al mese 27
3-4 volte al mese 30
5-6 volte al mese 4
7-8 volte al mese 1
meno di una volta al mese 36
più di 8 volte al mese 2
Totale complessivo 100
Come possiamo notare dall’osservazione della tabella n.20, il mercato risulta essere un
canale distributivo importante per i consumatori visto che ben il 57% di essi vi si reca
dalle 1-2 volte al mese alle 3-4 volte al mese ed è un dato importante vista la periodicità
con cui si svolge. La percentuale di consumatori che si reca al mercato più di una volta
al mese sale inoltre al 64% se consideriamo anche coloro che si recano al mercato più di
5 volte al mese e molto probabilmente si tratta di persone che frequentano più di un
mercato a carattere periodico e che questi rappresentano la forma distributiva pressoché
esclusiva dei loro acquisti. Da notare che vi è anche un 36% appartenente al campione
intervistato che dichiara di recarsi al mercato meno di una volta al mese. Quest’ultima
percentuale è composta in prevalenza (30%) da persone di età compresa tra i 15 e i 34
anni e tra i 35 ei 54 anni suddivisi equamente tra uomini e donne. Quindi è una
differenza che non dipende né dal genere né dall’età ma molto probabilmente dal fatto
che le persone appartenenti a questo gruppo preferiscono scegliere altre forme
distributive per i loro acquisti piuttosto che recarsi al mercato. Infatti dalle dichiarazioni
spontanee degli intervistati è emersa proprio quest’ultima motivazione: “Vado poco al
mercato perché preferisco andare a fare acquisti nei negozi” oppure “Vado poco al
mercato perché per i miei acquisti mi reco al supermercato o al centro commerciale”.
107
Andando ad analizzare le altre percentuali di frequentazione del mercato appartenenti al
campione intervistato, suddiviso per sesso e fasce d’età, si osservano i seguenti risultati:
del 27% che frequenta il mercato 1-2 volte al mese il 15% sono donne ed il 12%
uomini, quindi anche in questo caso non si riscontrano differenze sostanziali di genere.
C’è da dire che del 12% degli uomini che frequentano il mercato 1-2 volte al mese il 6%
è costituito da over 65 e questo perché gli uomini frequentano in generale il mercato
meno delle donne ma nel momento in cui vanno in pensione, visto che hanno più tempo
libero a disposizione e meno reddito spendibile, decidono di recarvisi. Il 30% del
campione intervistato che ha risposto che si reca al mercato 3-4 volte al mese è
composto pressoché equamente sia da donne (17%) che da uomini (13%) con una
leggera prevalenza delle donne visto che frequentano il mercato più degli uomini, e da
persone appartenenti alle classi d’età 35-54 anni, 55-65 anni e over 65. Per queste
persone il mercato rappresenta sicuramente un valido luogo in cui effettuare gli acquisti
dato che vi si recano dalle 3 alle 4 volte al mese. Il 4% del campione che ha risposto che
si reca al mercato dalle 5 alle 6 volte al mese è composto per il 2% da donne over 65 e
per il restante 2% da uomini appartenenti alla stessa fascia d’età. Circostanza che molto
probabilmente si spiega con il fatto che la categoria dei pensionati sia per motivazioni di
reddito che di maggior tempo libero a disposizione si reca maggiormente al mercato
rispetto ad altre categorie di persone. Infine una considerazione in merito alla classe
d’età 15-34 anni appartenente al campione intervistato. Tale classe d’età rappresenta
una quota del 23% sul totale del campione e ben il 15% degli appartenenti a questa
classe ha dichiarato che si reca al mercato meno di una volta al mese. Molto
probabilmente i giovani non si recano spesso al mercato per motivi di studio o di lavoro,
ma anche durante il tempo libero preferiscono svolgere altri tipi di attività piuttosto che
fare un giro al mercato anche solo per andare a curiosare o a trascorrere il tempo. Le
donne sono più favorevoli a trascorre una giornata in centro nei negozi piuttosto che
andare al mercato, perché più attratte, secondo me, dalle politiche di prodotto e di marca
messe in atto dalle aziende di abbigliamento anche se non di alta marca, come Zara o
H&M. Queste aziende infatti si ispirano alle passerelle delle grandi marche per creare le
loro collezioni o creano con queste collaborazioni temporanee ma soprattutto
propongono abiti e accessori al pubblico a costi contenuti. Per gli operatori ambulanti
diventa quindi essenziale adottare strategie di marketing che riescano ad attrarre queste
consumatrici che a parità di prezzo scelgono la grande catena piuttosto che il banco del
mercato. I venditori su area pubblica potrebbero creare “un giornale del mercato” in cui
108
ciascuno pubblicizza il prodotto messo in vendita e distribuirlo al mercato ai vari
consumatori. Ma ovviamente non basta solo fare pubblicità; gli operatori dovrebbero far
capire al consumatore che cosa caratterizza il prodotto da loro posto in vendita. Ad
esempio un venditore che vende scarpe caratterizzate da un’alta qualità perché
realizzate a mano in vero cuoio o vera pelle o con un buon sistema di traspirazione
dovrebbe enfatizzare quest’aspetto e magari evidenziare che anche se non è una scarpa
di marca la sua qualità è buona e che marca non sempre è sinonimo di qualità. Quindi
per i venditori diventa essenziale sia impostare un’adeguata politica di marketing a
livello singolo ma soprattutto a livello globale perché questo potrebbe essere un modo
per cercare di contrastare la concorrenza delle grandi catene. Per gli uomini vale in parte
lo stesso discorso fatto per le donne, anche se meno interessati in generale
all’abbigliamento rispetto alle donne, se devono acquistare un capo di abbigliamento
raramente si recano al mercato, visto che lo frequentano ancor meno delle donne, quindi
gli operatori dovrebbero tentare di attirare anche questa fascia di consumatori.
4.3.6.2-Tipologie di consumatori che si recano al mercato
Nella tabella che segue metterò in evidenza le principali professioni svolte dai
consumatori che frequentano il mercato andando anche ad analizzare se la professione
svolta incida sulla sua frequentazione.
Tabella 21: Percentuali relative alla tipologia di lavoro svolto dai consumatori che
frequentano il mercato
Professione Percentuali
Pensionato/a 25
Studente/studentessa 18
Operaio/a 14
Casalinga 12
Impiegato/a 12
Insegnante 5
Altro (dettaglio specificato nel commento alla tabella) 5
In cerca di occupazione 3
Artigiano/a 2
Commerciante 2
Libero professionista 2
Totale 100
109
Dalla lettura della tabella n.21 è possibile affermare che, come evidenziato anche dalla
ricerca svolta a livello nazionale dalla Fiva Confcommercio52
, al mercato si riproduce
uno spaccato d’Italia ed infatti viene frequentato da un insieme di persone che va dal
libero professionista al pensionato o all’operaio. Tuttavia è ancora oggetto principale di
frequentazione da parte di alcune categorie. Relativamente al campione intervistato la
principale categoria che frequenta il mercato è costituita dai pensionati. Questo molto
probabilmente è dovuto al fatto che sono le persone con maggior tempo libero e dato
che molti mercati, specie nei centri minori, hanno una cadenza infrasettimanale è
normale che le persone appartenenti a questa categoria siano più presenti delle altre.
Inoltre i pensionati sono anche le persone che dispongono di meno reddito e quindi
trovano più conveniente recarsi al mercato rispetto ad altri e per finire molti di loro
hanno ridotte capacità di guida o addirittura viene tolta loro la patente e quindi sono
quasi obbligati a recarsi al mercato per i loro acquisti. In seconda posizione troviamo gli
studenti con il 18% degli appartenenti al campione intervistato. Tuttavia c’è da dire che
questa percentuale va ridimensionata perché l’11% di essi frequenta il mercato meno di
una volta al mese e questo è dovuto, come ho già ampiamente spiegato nel paragrafo
precedente, al fatto che molti di essi sono impegnati durante la settimana in attività di
studio e quindi se i mercati si svolgono in giorni infrasettimanali non possono
frequentarli, ma anche al fatto che risultano più attratti dalle politiche di marca e di
prodotto delle catene a basso costo piuttosto che dal mercato. Al terzo posto troviamo la
categoria degli operai con il 14% delle persone appartenenti al campione. Questa
posizione è dovuta al fatto che gli operai così come i pensionati sono le persone che
avendo un reddito medio-basso effettuano i loro acquisti presso forme distributive
caratterizzate dalla convenienza economica, tra le quali rientrano anche i mercati. C’è
da dire che grazie ai mercati anche le categorie sociali meno abbienti possono rendere i
loro acquisti caratterizzati oltre che dalla convenienza anche dalla qualità perché al
mercato si trovano non di rado beni caratterizzati da un buon rapporto qualità-prezzo.
Al quarto posto troviamo casalinghe e impiegati entrambi con il 12% degli appartenenti
al campione intervistato. Per quanto riguarda le casalinghe il loro recarsi al mercato è
dovuto come per i pensionati alla notevole quantità di tempo libero che hanno a
disposizione e al minor reddito che hanno a disposizione rispetto ad altre categorie di
lavoratori. Anzi nel caso delle casalinghe il reddito che hanno a disposizione deriva da
52
http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp
110
quello che lascia loro il marito per effettuare gli acquisti e specialmente se hanno figli a
carico il mercato risulta essere la forma distributiva principale in cui effettuare gli
acquisti. Per quanto riguarda la categoria degli impiegati vale il discorso effettuato in
parte per gli operai e cioè trattasi di una categoria che presenta un reddito non elevato e
quindi il mercato rappresenta una delle forme distributive principali in cui effettuare gli
acquisti. In quinta posizione troviamo gli insegnanti con il 5% e la categoria residuale
altro anch’essa caratterizzata dalla medesima percentuale di appartenenti al campione
intervistato. Per quanto riguarda gli insegnanti, notiamo che per quanto non disdegnino
il mercato si rivolgano senza dubbio anche ad altre forme distributive, la categoria
“altro” invece presenta una percentuale del 5% solo perché è composta da mestieri non
presenti tra quelli previsti e non perché vi sia una prevalenza di un determinato
mestiere. Tra le professioni presenti in questa categoria rientrano: collaboratrice
domestica, infermiera, coltivatrice diretta, strumentista di sala operatoria e tecnico
industriale. Con posizioni inferiori al 5% degli appartenenti al campione intervistato
abbiamo coloro che sono in cerca di occupazione, gli artigiani, i commercianti e i liberi
professionisti. Hanno percentuali irrisorie perché nel caso di coloro che sono in cerca di
occupazione probabilmente la loro giornata si svolge cercando un lavoro più che
gironzolando per fare acquisti o una passeggiata, mentre nel caso delle ultime tre
categorie probabilmente la minor frequentazione del mercato è dovuta alla preferenza di
altre forme distributive. Per quanto riguarda differenze di minore o maggiore
frequentazione del mercato dovute alla professione svolta, l’unica categoria che
presenta un’elevata percentuale (11%) di bassa frequenza del mercato e cioè lo
frequenta meno di una volta al mese è rappresentata dagli studenti che nonostante
costituiscano il 18% del campione intervistato non possono considerarsi assidui
frequentatori per i motivi già ampiamente evidenziati.
111
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
per fare acquisti
mirati
per curiosare e se
c'è qualcosa che
le piace
acquistare
per
svagarsi/passare il
tempo
altro (dettaglio
specificato nel
commento al
grafico)
per socializzare
Grafico 12: Percentuali relative alle motivazioni di frequenza del
mercato
4.3.6.3-Perché i consumatori si recano al mercato
Come è possibile osservare dal grafico, le motivazioni principali che portano i
consumatori a recarsi al mercato rispettivamente con il 53% ed il 49% delle risposte
sono costituite dall’effettuare acquisti mirati e dal curiosare tra i banchi e se c’è
qualcosa che piace acquistarlo. Molto probabilmente coloro che si recano al mercato
partono sicuramente con l’intenzione di effettuare determinati tipi di acquisti
specialmente quelli di tipo alimentare come frutta e verdura, ma una volta che sono al
mercato molto probabilmente acquisteranno anche qualcosa che non avevano
programmato come una borsa a buon prezzo per esempio. Al terzo posto troviamo con il
29% delle risposte coloro che si recano al mercato per svagarsi o passare il tempo.
Come evidenziato anche nella ricerca della Fiva Confcommercio53
il mercato non è solo
un luogo in cui acquistare ma anche un luogo piacevole in cui si può trascorrere una
giornata all’aria aperta ed in allegria grazie alle simpatiche grida dei venditori e girando
qua e là tra i banchi. L’8% del campione mette in risalto altre motivazioni rispetto a
quelle da me previste nel questionario. Interessante notare che di questo 8%, il 7% è
composto da persone che hanno risposto che si recano al mercato per risparmiare.
Quindi la convenienza economica, oltre ad essere uno dei principali aspetti positivi che
caratterizza il mercato è anche una motivazione che spinge alla sua frequentazione. Solo
53
http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp
112
il 4% dei consumatori intervistati afferma che si reca al mercato per socializzare ed è
costituito da persone oltre i 65 anni, che probabilmente vanno al mercato per incontrare
loro coetanei e trascorre qualche ora in compagnia visto che possono effettuare solo
brevi spostamenti a causa della mancanza di patente di guida, perché magari è stata loro
tolta, o perché non se la sentono di effettuare lunghi spostamenti per andare a fare gite
fuori porta sempre a causa delle carenze fisiche dovute all’età. Per quanto riguarda
differenze nelle risposte dovute al sesso e alle fasce d’età dei consumatori merita
segnalare che la percentuale del 53% relativa al recarsi al mercato per effettuare acquisti
mirati è rappresentata per il 23% da donne e per il 30% da uomini entrambi suddivisi
pressoché equamente per fasce d’età. Questo è dovuto al fatto che probabilmente gli
uomini in generale sono meno predisposti agli acquisti non programmati rispetto alle
donne e se si recano al mercato lo fanno per acquistare prodotti ben precisi e pianificati
già prima della partenza. Per quanto riguarda differenze nelle risposte in base alla
professione non si segnalano particolarità.
4.3.6.4-Gli aspetti positivi del mercato
Tabella 22: Aspetti positivi che il mercato possiede nell'opinione dei consumatori
intervistati
Aspetti positivi Percentuali
La convenienza economica 64
La possibilità di avere un'offerta variegata 48
Freschezza e genuinità dei prodotti alimentari 42
Qualità dell'offerta 28
Il rapporto umano che si instaura con l'ambulante 17
La possibilità di toccare la merce 14
Altro (dettaglio specificato nel commento alla tabella) 1
Non ha alcun aspetto positivo 1
In questo paragrafo vengono evidenziati gli aspetti positivi che i consumatori pensano il
mercato possa avere. Come vediamo, al primo posto si trova la convenienza economica,
risultato pressoché fisiologico visto che il mercato è una delle forme distributive
simbolo della convenienza economica, dato che a causa dei non eccessivi costi che gli
operatori ambulanti sostengono per effettuare la loro attività possono proporre ai
consumatori prezzi più bassi per le stesse tipologie di prodotti che questi troverebbero in
un negozio tradizionale. Inoltre la convenienza economica risulta una delle motivazioni
per la frequentazione del mercato da parte dei consumatori, come evidenziato nel
113
relativo paragrafo. Quest’aspetto possiamo affermare che rivesta la prima posizione
anche a livello nazionale come conferma la ricerca condotta dalla Fiva
Confcommercio54
. Infatti la convenienza dei prezzi risulta essere uno dei motivi più
forti di richiamo per la frequentazione del mercato con il 57,8% delle preferenze a
livello nazionale. In seconda posizione con il 48% delle preferenze troviamo la
possibilità di avere un’offerta variegata, come aspetto positivo del mercato. Anche
questo fattore è di forte richiamo per i consumatori dato che in un solo luogo è possibile
trovare dai generi alimentari all’abbigliamento, agli articoli per la casa e così via.
Proprio per questo motivo i venditori su area pubblica dovrebbero cercare di
differenziare il più possibile la loro offerta, soprattutto quelli che offrono la stessa
tipologia di prodotto, perché altrimenti il consumatore potrebbe rischiare di percepire
una progressiva omologazione dei beni rivolgendosi ad altre forme distributive. Anche
quest’aspetto risulta confermato a livello nazionale dalla ricerca condotta dalla Fiva
Confcommercio con il 45% delle risposte55
. Al terzo posto troviamo, tra gli aspetti
positivi, la freschezza e genuinità dei prodotti alimentari con il 42% delle risposte.
Sicuramente i consumatori che hanno dato questa risposta sono rimasti molto soddisfatti
dall’acquisto dei generi alimentari che hanno provato, trovandoli freschi e genuini;
questo indica che il mercato possiede beni alimentari di ottima qualità. In quarta
posizione con il 28% delle risposte troviamo che il mercato possiede un’offerta
merceologica di qualità. Questa percentuale è notevolmente inferiore rispetto a quella
relativa alla convenienza economica, che è pari al 64%, tuttavia non può considerarsi
irrisoria e quindi è possibile affermare che per quanto il fattore di richiamo principale
sia costituito dalla convenienza, sicuramente anche la qualità è un aspetto da non
sottovalutare e gli operatori ambulanti dovrebbero cercare di offrire prodotti aventi tale
peculiarità e utilizzarla come punto di differenziazione, unita ad un prezzo modico,
rispetto ai negozi tradizionali e alla grande distribuzione. In quinta posizione con il 17%
delle risposte vi è il rapporto umano che s’instaura con i venditori ambulanti. E’
possibile affermare che quest’aspetto è un elemento unico che caratterizza i mercati,
dato che sia nella grande distribuzione che nei negozi tradizionali raramente s’instaura
con i venditori un rapporto che va al di là di quello commerciale. In sesta posizione
troviamo la possibilità di toccare la merce con il 14% delle preferenze espresse. Per
54
http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp 55 http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp
114
quanto quest’aspetto sia sicuramente da considerarsi degno di nota, tuttavia non è così
importante come i venditori ambulanti pensano, perché ormai la possibilità di toccare la
merce non è esclusiva dei mercati, ma è possibile sia nei negozi tradizionali che nei
centri commerciali, anche se al mercato vi sono sicuramente meno restrizioni. Per
completezza di trattazione ho inserito in tabella anche le ultime posizioni della
classifica, espresse dai consumatori intervistati, che riguardano la categoria residuale
“altro” e la possibilità che il mercato per i consumatori non abbia alcun aspetto positivo.
Nel primo caso con l’1% delle risposte vi è il fatto che il mercato come aspetto positivo
abbia la possibilità di trascorre una giornata all’aria aperta e sempre con la stessa
percentuale vi è un consumatore che ha affermato che il mercato non ha alcun aspetto
positivo. Per questo individuo il mercato offre beni di scarsa qualità a prezzi non poi
così bassi; per questo motivo non acquista alcun prodotto al mercato e se vi si reca lo fa
soltanto per svagarsi o passare il tempo. Tuttavia c’è da dire che questa posizione non
rispecchia il pensiero maggioritario dei consumatori intervistati e quindi può essere
trascurata. Per quanto riguarda differenze di risposte in base al sesso e alle fasce d’età
caratterizzanti i consumatori intervistati, si nota che non vi sono differenze rilevanti in
base alle fasce d’età mentre per quanto riguarda il sesso osserviamo la seguente
situazione: l’aspetto della convenienza economica è maggiormente sentito dalle donne
(35%) rispetto agli uomini (29%), probabilmente perché gli uomini sono meno sensibili
a questo aspetto e quindi più “spendaccioni”; la qualità dell’offerta è un aspetto più
sentito dalle donne (16%) rispetto agli uomini (12%), molto probabilmente a causa del
fatto che le donne sono più sensibili all’aspetto qualità sia dei beni alimentari che
dell’abbigliamento; il rapporto umano che si instaura con l’ambulante invece risulta
essere un aspetto molto più sentito dagli uomini (12%) che non dalle donne (5%),
probabilmente a causa del fatto che gli uomini dato che si recano al mercato meno delle
donne quando decidono di farlo è anche per scambiare due chiacchiere con i venditori
più che per acquistare, mentre le donne sono più interessate all’aspetto commerciale del
mercato; la possibilità di toccare la merce è anch’esso un aspetto più sentito dagli
uomini (10%) che non dalle donne (4%), probabilmente a causa del fatto che le donne
trovano più fastidioso che altri consumatori tocchino la merce o la provino in
continuazione perché potrebbero danneggiarla a scapito della qualità, mentre gli uomini
sono meno interessati a quest’aspetto e preferiscono toccare e provare con mano ciò che
andranno ad acquistare ed inoltre quest’aspetto li fa sentire partecipanti attivi della loro
esperienza di consumo. Per quanto riguarda differenze nelle risposte dovute alla
115
professione svolta dai consumatori non si rilevano differenze degne di nota da
segnalare.
4.3.6.5-Gli aspetti negativi del mercato
Tabella 23: Aspetti negativi che il mercato possiede nell'opinione dei consumatori
intervistati
Aspetti negativi Percentuali
Difficoltà nel trovare parcheggio/di accesso al mercato 37
C'è troppa confusione 25
Non ha alcun aspetto negativo 20
Ci sono ambulanti abusivi 13
C'è poca sicurezza (per esempio furti) 10
L'offerta non è di qualità 9
E' troppo dispersivo 7
Poca convenienza economica 7
L'offerta non è molto variegata 4
Altro (dettaglio specificato nel commento alla tabella) 4
La tabella n.23 evidenzia gli aspetti negativi che il mercato possiede nell’opinione dei
consumatori intervistati. Al primo posto con il 37% delle indicazioni vi è la difficoltà di
trovare parcheggio/accesso al mercato. Dato alquanto fisiologico, visto che questo
risulta essere un problema abbastanza comune dei mercati; tuttavia la soluzione più
auspicabile per risolverlo sarebbe, nella mia opinione, quella di incentivare i
consumatori all’uso dei mezzi pubblici o dove possibile costruire aree di parcheggio.
Tuttavia nel caso del mercato di via Paparelli la soluzione più raccomandata sarebbe
quella di aumentare il numero di corse degli autobus. Al secondo posto con il 25% delle
risposte, i consumatori lamentano la troppa confusione che il mercato presenta. Questo
aspetto è dovuto al fatto che i mercati, specie quelli periodici, si svolgono poche volte
durante la settimana e quindi durante questi giorni sono molto affollati e specialmente in
alcuni banchi si assembrano molte persone e questo può dare un senso di fastidio al
consumatore che non riesce a concentrarsi nella scelta del prodotto oppure anche se
decide di provarlo lo fa con difficoltà. Tuttavia questo problema secondo me appare
difficilmente risolvibile; una soluzione potrebbe essere quella di creare maggiore
distanza tra un banco e l’altro e creare corridoi interni più spaziosi, ma tutto questo
dipende dalla zona in cui è situato il mercato e molto spesso questo problema si presenta
un po’ dappertutto, è una caratteristica intrinseca del mercato. Interessante notare che in
116
terza posizione con il 20% delle risposte vi è il fatto che il mercato non presenti alcun
aspetto negativo. Dato da interpretare molto positivamente perché mette in evidenza la
notevole importanza che il mercato riveste nelle scelte di consumo degli individui.
Importanza non solo dovuta alla convenienza economica ma anche all’insieme di altre
caratteristiche che il mercato possiede come la qualità dei prodotti offerti, la freschezza
e genuinità dei beni alimentari, la varietà dell’offerta ed il rapporto umano che si
instaura con i venditori. Al quarto posto nella classifica troviamo con il 13% delle
risposte, la presenza di operatori ambulanti abusivi. I consumatori che hanno dato
questa risposta molto probabilmente ritengono, a ragion veduta, che questi operatori
sottraggano ingiustamente clienti e quindi possibilità di guadagno ai venditori con
regolare licenza; inoltre proprio a causa della loro mancata regolarità possono porre in
vendita prodotti di provenienza illecita o dannosi per il consumatore. Questo aspetto
merita una maggior attenzione, come ho già ampiamente spiegato nel paragrafo
riguardante le opinioni espresse dagli operatori ambulanti in merito agli aspetti negativi
del mercato, sia da parte delle forze dell’ordine che da parte dell’amministrazione
comunale, che dovrebbe agire più duramente nei loro riguardi. Al quinto posto troviamo
con il 10% delle risposte la mancanza di sicurezza come i furti che i consumatori
possono subire. Anche questo aspetto così come il precedente meriterebbe una
maggiore considerazione da parte di tutte le autorità interessate che dovrebbero far di
più per garantire la sicurezza dei cittadini e cercare di intensificare i controlli. Secondo
me basterebbe anche qualche giro di perlustrazione da parte delle forze dell’ordine o
anche solo dei vigili per scoraggiare i malfattori. Con il 9% delle risposte appartenenti
al campione troviamo tra gli aspetti negativi del mercato il fatto che l’offerta proposta
dagli operatori non sia di qualità. Molto probabilmente ci sono venditori ambulanti che
propongono merce di bassa qualità e per questo motivo gli altri venditori dovrebbero
puntare sulla qualità dei loro prodotti per attrarre un maggior numero di clienti e far
capire loro che la qualità caratterizza il mercato ed è qui che entrano in gioco le
politiche di marketing che ciascun operatore dovrebbe mettere in atto. Al settimo posto
con il 7% delle risposte, troviamo il fatto che il mercato sia troppo dispersivo e che non
abbia un’elevata convenienza economica. Relativamente al primo aspetto c’è poco da
fare, anche se alcuni mercati, specie quelli dei grandi centri urbani, possono
effettivamente dare l’impressione di essere troppo dispersivi tuttavia l’unica soluzione
sarebbe quella di spostarli in una zona più grande dove i banchi possono venir disposti
in modo da dare un’impressione maggiore di ordine ma certo è che i Comuni spesso non
117
presentano aree di dimensioni tali da consentire uno svolgimento dei mercati
caratterizzato da ordine e tranquillità e poi si potrebbero presentare problemi di
congestione del traffico. L’aspetto della mancanza di convenienza economica andrebbe
tenuto in considerazione da parte degli operatori ambulanti che, se possibile, potrebbero
o ridurre i prezzi o cercare di vendere beni di qualità superiore oppure far capire al
consumatore che il mercato è conveniente e offre, la maggior parte delle volte, beni di
qualità media o medio-alta che hanno un buon rapporto qualità-prezzo. Nelle ultime
posizioni con il 4% delle risposte, troviamo la mancata varietà dell’offerta e la categoria
residuale “altro”. Per quanto riguarda il primo aspetto i consumatori che hanno risposto
in questo modo sicuramente trovano che i venditori su area pubblica propongono un po’
tutti la stessa merce ed in questo caso, come ho già affermato nel paragrafo riguardante
gli operatori, questi ultimi dovrebbero tentare di differenziarla il più possibile per non
cadere nell’omologazione dell’offerta. Tuttavia la percentuale risulta alquanto bassa per
cui è certamente possibile affermare che il mercato presenta, nell’opinione dei
consumatori, un’offerta variegata. Nella categoria residuale “altro” troviamo i seguenti
aspetti negativi che rivestono però una posizione marginale: cani in giro che sporcano,
per risolvere questo problema secondo me basterebbe che il proprietario del cane si
portasse appresso una paletta e un sacchetto e così nel caso in cui l’animale dovesse
provvedere ai suoi bisogni non ci sarebbe sporco in giro, insomma basterebbe un po’
più di civiltà da parte dell’uomo; cinesi che vendono merce scadente, trovo che questo
non sia solo un problema di nazionalità del venditore e per questo basterebbe che il
consumatore lo facesse presente al venditore, per vedere se questo varia la sua offerta,
oppure semplicemente basterebbe che il consumatore si rivolgesse a venditori che
hanno merce di qualità; intemperie, in questo caso basterebbe installare coperture per
consentire ai consumatori di poter venire al mercato anche con il maltempo e dal canto
loro i consumatori potrebbero far pressione sulle amministrazioni comunali per cercare
di pervenire alla loro installazione. Per quanto riguarda differenze nelle risposte, relative
agli aspetti negativi che il mercato presenta, dovute a sesso e fasce d’età degli
appartenenti al campione intervistato si evidenziano i seguenti aspetti: l’aspetto
negativo della troppa confusione che si trova sui mercati risulta essere più sentito dalle
donne (17%) che dagli uomini (8%), questo probabilmente è dovuto al fatto che le
donne sono meno tolleranti in generale alla confusione e al caos rispetto agli uomini; il
fatto che il mercato non abbia alcun aspetto negativo risulta essere maggiormente vero
per gli uomini (12%) che per le donne (8%), probabilmente perché gli uomini sono
118
0
10
20
30
40
50
60
70
80
Grafico 13: Percentuali relative ai prodotti acquistati al mercato da parte dei consumatori intervistati
meno critici delle donne e accettano di più ciò che viene loro proposto; la percezione
dell’abusivismo sul mercato è più sentita dagli uomini (9%) che non dalle donne (4%),
probabilmente a causa del fatto che le donne sono più indirizzate verso il prodotto e non
si preoccupano più di tanto di chi lo vende. Infine per quanto riguarda la professione
svolta dagli intervistati non si riscontrano differenze nelle risposte da questa derivanti.
4.3.6.6-I prodotti acquistati dai consumatori ed il grado d’importanza da essi rivestito
In questo paragrafo metterò in evidenza quali sono i principali prodotti che i
consumatori decidono di acquistare al mercato, cercando di spiegare perché un prodotto
venga acquistato in misura maggiore rispetto ad un altro ed analizzerò il grado
d’importanza in termini monetari rivestito dai prodotti acquistati e cioè quelli a cui i
consumatori dedicano una parte maggiore del reddito relativo agli acquisti da effettuare
al mercato. Cercherò anche di spiegare se differenze di sesso, fasce d’età o professione
incidano sull’acquisto di determinati prodotti o meno. Di seguito è riportato il grafico
che indica le percentuali relative ai prodotti acquistati dai consumatori al mercato.
Come è possibile osservare dal grafico n.13 i prodotti più acquistati sono la frutta e la
verdura con il 75% delle risposte. Molto probabilmente questa elevata percentuale è
dovuta al fatto che i consumatori, come evidenziato nel paragrafo precedente, ritengono
119
che i prodotti alimentari venduti sul mercato abbiano un’elevata qualità specialmente la
frutta e la verdura vista la percentuale relativa al suo acquisto. L’acquisto di frutta e
verdura risulta essere predominante per uomini e donne con più di 35 anni. Infatti, i
giovani se si recano al mercato lo fanno per acquistare altre tipologie di beni, in primis
abbigliamento e accessori, anche perché all’acquisto di frutta e verdura spesso
provvedono per loro i genitori. In seconda posizione con il 58% delle risposte, troviamo
l’abbigliamento e accessori. Insieme agli acquisti di frutta e verdura, gli acquisti relativi
all’abbigliamento risultano essere una componente importante caratterizzante il
“paniere” del consumatore. Questa tipologia di prodotto risulta essere acquistata
trasversalmente da uomini e donne di fasce d’età diverse aventi differenti professioni.
L’abbigliamento che viene offerto al mercato è caratterizzato spesso da un buon livello
di qualità a un prezzo inferiore rispetto a quello che viene proposto nei negozi
tradizionali ed inoltre è possibile trovare articoli che rispecchiano le tendenze del
momento ed i venditori dovrebbero valorizzare queste peculiarità attraverso una
maggiore promozione dei loro prodotti per cercare di attrarre i consumatori che non
prendono in considerazione gli acquisti al mercato perché li reputano solo convenienti
ma di bassa qualità o semplicemente non riconoscono nel prodotto quell’appeal che
trasmette loro una marca nota. Al terzo posto troviamo con il 30% delle preferenze
l’acquisto di calzature. Anche per questa tipologia d’articolo vale in parte il discorso
fatto per l’abbigliamento e cioè che molti operatori ambulanti offrono calzature di
buona qualità, per esempio realizzate in vera pelle o cuoio, caratterizzate da prezzi
modici in rapporto alla qualità offerta e queste caratteristiche andrebbero maggiormente
pubblicizzate ai consumatori. Tuttavia la percentuale che ha risposto che acquista
questo tipo di prodotto non è affatto irrisoria, segno che probabilmente i consumatori
riconoscono queste caratteristiche a questa tipologia di prodotto nel momento in cui
decidono di acquistarla. Mentre non si riscontrano differenze relative all’acquisto di
calzature per professione e fascia d’età, per quanto riguarda il sesso questa tipologia di
prodotto risulta essere preferita dalle donne (17%) rispetto agli uomini (13%).
Probabilmente questo risultato è spiegabile semplicemente per una maggior
predilezione delle donne nei riguardi delle calzature rispetto agli uomini. In quarta
posizione con il 22% delle risposte troviamo il pesce. Questo tipo di bene alimentare
risulta essere molto apprezzato dai consumatori specialmente per la sua freschezza
come emerge anche da alcune dichiarazioni spontanee emerse durante l’intervista:
“Vengo al mercato soprattutto per comprare il pesce, come si trova qui da nessuna
120
parte!”. Questo acquisto risulta essere preferito da uomini e donne dai 35 anni in su
perché, come ho già affermato per la frutta e la verdura, agli acquisti alimentari per i
giovani provvedono molto spesso i genitori. Non si riscontrano differenze nell’acquisto
di questo prodotto alimentare dovute alla professione svolta dai consumatori. Al quinto
posto con il 19% delle risposte troviamo gli articoli per la casa. Pur non occupando le
prime posizioni della classifica questa tipologia di prodotto è sicuramente apprezzata
dai consumatori che decidono di acquistare i prodotti ad essa appartenenti soprattutto
perché presentano prezzi modici. Gli articoli per la casa risultano essere acquistati sia da
uomini che da donne che si recano al mercato ma con delle differenze nelle classi d’età;
mentre infatti le donne appartenenti a tutte le fasce d’età decidono di acquistare questa
tipologia d’articolo, per quanto riguarda gli uomini la classe d’età 15-34 anni risulta
essere del tutto disinteressata a questo tipo d’acquisto. Non si riscontrano differenze
dovute alla professione in merito a questo tipo d’acquisto. Con il 18% delle preferenze
troviamo i salumi e i formaggi. I consumatori che hanno indicato di acquistare questa
tipologia di bene alimentare molto probabilmente ne riconoscono la genuinità come
affermato anche tra gli aspetti positivi inerenti ai beni alimentari. I salumi e formaggi
risultano essere acquistati trasversalmente da uomini e donne dai 35 anni in su senza
distinzione di professione. L’unica categoria che acquista poco questo prodotto sul
mercato è costituita dai giovani per la cause già messe in evidenza per altre tipologie di
beni. Anche i fiori e le piante risultano essere un articolo che riveste interesse per il
consumatore; infatti nonostante occupi la penultima posizione della classifica ha
comunque un buon 12% di preferenze. Molto probabilmente i consumatori che
decidono di acquistare fiori e piante al mercato lo fanno per motivazioni di maggior
convenienza economica rispetto ai negozi tradizionali perché a livello di qualità non vi
sono notevoli differenze. Per quanto riguarda differenze di sesso ed età relative
all’acquisto di questo prodotto vediamo che risulta non essere acquistato dai giovani sia
uomini che donne aventi dai 15 ai 34 anni. Neanche per questa tipologia di prodotto si
riscontrano differenze nell’acquisto dovute alla professione svolta dagli appartenenti al
campione. Il 4% del campione ha dichiarato di non effettuare alcun acquisto al mercato.
Questi individui sono sia uomini che donne appartenenti alle classi d’età 15-34 anni, 35-
54 anni e over 65. Tra le motivazioni inerenti al non acquisto vi sono le seguenti: il fatto
che al mercato vi sia troppa confusione e caos e questo non consente di scegliere i
prodotti con adeguata calma e ponderazione; un altro consumatore invece lamenta
problemi d’igiene dovuti al fatto che la merce, soprattutto quella alimentare, venga
121
toccata troppo; poi vi è chi preferisce i negozi tradizionali per effettuare gli acquisti e
chi lamenta un cattivo rapporto qualità-prezzo relativamente al comparto non
alimentare. Per quanto riguarda il primo aspetto come ho già ampiamente evidenziato
nel paragrafo relativo agli aspetti negativi del mercato sicuramente non c’è molto da
poter fare per risolverlo se non spostare i mercati in zone molto grandi dove vi possa
essere uno spazio maggiore tra un banco e l’altro e corridoi più grandi in cui i
consumatori possono camminare, ma raramente le amministrazioni comunali
dispongono di queste aree e anche se ne disponessero si potrebbero venire a creare
problemi di congestione del traffico maggiori. Per quanto riguarda la preferenza
espressa per i negozi tradizionali sicuramente è una posizione marginale, però i
venditori dovrebbero tramite apposite politiche di marketing mettere in evidenzia ciò
che li caratterizza e differenzia da questi per cercare di attrarre un maggior numero di
consumatori. Il rapporto qualità/prezzo non buono come motivazione al non acquisto
potrebbe essere preso in considerazione dai venditori ambulanti come stimolo per
migliorare la qualità dei beni offerti, tuttavia anche questa è una posizione minoritaria
che va tenuta in considerazione ma non rispecchia il pensiero maggioritario dei
consumatori che ritengono che sul mercato vi siano prodotti di qualità offerti ad un
giusto prezzo. Adesso presenterò tre tabelle che indicano rispettivamente le percentuali
relative ai beni che occupano il primo, il secondo ed il terzo posto in termini
d’importanza monetaria per i consumatori intervistati.
Tabella 24: Percentuali relative ai beni che occupano il primo posto per importanza
monetaria
Primo posto Percentuali
Alimentari (frutta e verdura) 58
Abbigliamento e accessori 28
Alimentari (pesce) 6
Articoli per la casa 2
Calzature 1
Fiori e piante 1
Questa tabella indica i beni che nell’opinione dei consumatori intervistati occupano il
primo posto in termini d’importanza monetaria nei loro acquisti al mercato, cioè quei
beni ai quali dedicano una parte maggiore del budget complessivo che decidono di
spendere al mercato. Come possiamo notare il 58% dei consumatori mette al primo
posto per importanza la frutta e la verdura. Quindi oltre a risultare il bene più acquistato
122
sul mercato è anche quello al quale i consumatori dedicano in proporzione una maggior
parte del loro budget complessivo, aspetto dovuto alla qualità dei suddetti prodotti ma
anche al fatto alquanto ovvio che, specialmente in periodi di crisi economica, ai prodotti
alimentari non si rinuncia. Il 28% dei consumatori ritiene che il bene più importante, in
termini monetari, nei loro acquisti sia rappresentato dall’abbigliamento. Fatto molto
probabilmente dovuto alla qualità che i consumatori ritengono questo abbia. Con il 6%
delle risposte vi è poi il pesce che occupa il primo posto per importanza. Probabilmente
questo dato può leggersi in relazione alla freschezza che questo prodotto ha
nell’opinione dei consumatori intervistati i quali, di conseguenza, vi dedicano una quota
maggiore del loro budget. Per completezza di trattazione ho inserito in tabella anche le
percentuali, alquanto irrisorie, di consumatori che mettono al primo posto per
importanza gli articoli per la casa, le calzature e i fiori e le piante. Molto probabilmente
i consumatori che hanno messo questi beni al primo posto si recano al mercato per
compiere acquisti mirati e magari comprano capi d’abbigliamento o frutta e verdura
attraverso altre forme distributive. Per quanto riguarda differenze in termini
d’importanza nelle risposte dovute al sesso e alle fasce d’età dei consumatori si nota che
le donne con il 33% delle risposte ritengono più importante l’acquisto di frutta e verdura
rispetto agli uomini (25%), probabilmente perché sono coloro che effettuano
maggiormente questo tipo d’acquisto, visto che la spesa alimentare spesso nelle
famiglie è demandata alle donne, e quindi lo ritengono più importante. Inoltre si
riscontrano basse percentuali relative alla fascia d’età 15-34 anni per questa categoria di
prodotto, molto probabilmente perché i giovani delegano l’acquisto di beni alimentari
alle loro famiglie e di conseguenza li ritengono meno importanti. Ho deciso di correlare
il grado d’importanza dei beni acquistati dai consumatori sul mercato al titolo di studio
per vedere se persone con titoli di studio più elevati ritenessero più importanti
determinate tipologie di prodotti. Si nota che coloro che hanno un titolo di studio più
elevato come licenza media superiore o laurea triennale mettono al primo posto per
importanza l’abbigliamento mentre coloro che hanno un titolo di studio di livello
inferiore come licenza elementare o media inferiore mettono al primo posto per
importanza in termini monetari la frutta e la verdura. Questo dato probabilmente si può
spiegare con il fatto che le persone che presentano titoli di studio meno elevati
dispongono di minor reddito rispetto agli altri e quindi per loro risulta più importante un
bene di tipo alimentare perché vi dedicano una parte maggiore del budget complessivo
che hanno a disposizione per gli acquisti sul mercato.
123
Tabella 25: Percentuali relative ai beni che occupano il secondo posto per importanza
monetaria
Secondo posto Percentuali
Abbigliamento e accessori 16
Calzature 13
Alimentari (frutta e verdura) 11
Alimentari (pesce) 11
Alimentari (salumi e formaggi) 10
Articoli per la casa 7
Fiori e piante 3
La tabella n. 25 mostra le percentuali relative ai consumatori che hanno indicato le
seguenti categorie di beni al secondo posto in termini d’importanza monetaria per loro
rivestita. E’ da notare che coloro che hanno indicato il secondo posto per importanza di
un determinato bene significa che hanno effettuato almeno due acquisti al mercato e
questa percentuale di consumatori è pari al 71% del campione intervistato, dato da
leggersi molto positivamente soprattutto da parte degli operatori ambulanti. Vediamo
che il bene che ha la più alta percentuale è l’abbigliamento, che risulta una componente
quasi immancabile nel paniere dei consumatori nel momento in cui si recano al mercato.
Le calzature, che nella tabella relativa alle prime posizioni avevano una percentuale
irrisoria, in questa classifica assumono la seconda posizione con il 13% delle preferenze
espresse, segno che anch’esse fanno parte del paniere dei consumatori anche se questi vi
dedicano una minor parte del loro budget rispetto ad altre categorie di beni. In terza
posizione con l’11% delle preferenze espresse troviamo la frutta e la verdura e il pesce.
I consumatori che hanno indicato in seconda posizione questa categoria di beni li
ritengono sicuramente importanti, tuttavia dedicano una parte maggiore del loro budget
ad altri acquisti. Vediamo che entra a far parte di questa classifica un'altra tipologia di
beni alimentari costituita da salumi e formaggi con il 10% delle risposte. Questo
significa che questa categoria di beni fa sicuramente parte del paniere del consumatore
ma ad essa viene dedicata una minor parte del budget sia rispetto alla frutta e alla
verdura che all’abbigliamento. Notiamo, inoltre, che gli articoli per la casa aumentano
la loro percentuale di importanza monetaria passando dal 2% dei consumatori che li
avevano indicati in prima posizione al 7% tra i consumatori che li hanno indicati in
seconda posizione ed anche questo risultato può essere interpretato come espressione
del fatto che questo tipo di prodotto costituisce un acquisto abbastanza presente nel
paniere dei consumatori ma tuttavia non quello a cui dedicano una parte maggiore del
124
loro budget. I fiori e le piante continuano ad avere un peso irrisorio anche in termini di
seconda posizione molto probabilmente espressione del fatto che i consumatori vanno al
mercato pressoché esclusivamente per acquistare questa tipologia di prodotto. Per
quanto riguarda differenze nelle risposte dovute a sesso o fasce d’età, notiamo che per la
categoria abbigliamento risulta più elevata la percentuale di donne appartenenti a tutte
le fasce d’età che l’hanno indicato in seconda posizione rispetto agli uomini e questo
risultato è molto probabilmente dovuto al fatto che le donne (12%) sono maggiormente
interessate ad acquisti d’abbigliamento rispetto agli uomini (4%) e quindi li ritengono
più importanti. Per quanto riguarda il titolo di studio degli appartenenti al campione non
si notano differenze sostanziali dovute a questo fattore.
Tabella 26: Percentuali relative ai beni che occupano il terzo posto per importanza
monetaria
Terzo posto Percentuali
Abbigliamento e accessori 10
Calzature 9
Alimentari (salumi e formaggi) 6
Articoli per la casa 4
Alimentari (frutta e verdura) 3
Fiori e piante 3
Alimentari (pesce) 2
La tabella n. 26 riporta le percentuali di consumatori che hanno affermato di ritenere
terzo in ordine d’importanza un prodotto appartenente ad una determinata categoria.
Come ho messo in evidenza anche per la tabella precedente i consumatori che hanno
indicato questo grado di preferenza significa che hanno comprato almeno tre tipologie
di prodotto al mercato e la percentuale totale di questi consumatori è rappresentata dal
37% degli appartenenti al campione. Dato da interpretare positivamente perché sta a
significare che i consumatori nel momento in cui decidono di effettuare acquisti al
mercato non si limitano a comprare soltanto una tipologia di prodotto ma spaziano nei
loro acquisti. Vediamo che le prime posizioni della classifica sono ricoperte
dall’abbigliamento e dalle calzature, beni che a conferma di questa classifica sono
pressoché irrinunciabili nel paniere del consumatore. Gli alimentari come salumi e
formaggi e frutta e verdura presentano percentuali inferiori per il semplice fatto che
occupano posizioni maggiori per importanza monetaria nella classifica dei consumatori
e per quanto riguarda articoli per la casa e fiori e piante vale il discorso fatto in
125
precedenza e cioè che sono beni che sicuramente fanno parte degli acquisti dei
consumatori ma rivestono un’importanza per loro minore in termini monetari rispetto ad
altri beni come abbigliamento o frutta e verdura. Per quanto riguarda la differenza nelle
risposte in base al sesso e all’età si può notare come l’abbigliamento in terza posizione
per importanza risulti essere preferito più dagli uomini (8%) che dalle donne (2%),
segno che se gli uomini effettuano un acquisto di questo genere lo ritengono comunque
meno importante rispetto ad altre tipologie di acquisti. Specularmente per quanto
riguarda le calzature sono ritenute più importanti come acquisto dalle donne (6%)
rispetto agli uomini (3%). Non si notano differenze rilevanti nelle risposte derivanti dal
titolo di studio.
4.3.6.7-I concorrenti del mercato
Tabella 27: Percezione della concorrenza dei consumatori intervistati
Concorrenti Percentuali
Centri commerciali 52
Supermercati 36
Negozi tradizionali 22
Discount 22
Outlet (per l'abbigliamento e accessori) 17
Altri mercati ambulanti 11
La tabella n.27 mette in evidenza la percezione della concorrenza rispetto al mercato.
Vediamo come anche per i consumatori il principale concorrente del mercato sia
rappresentato dal centro commerciale. Risultato molto probabilmente dovuto alle
caratteristiche che presenta il centro commerciale che risultano essere per molti versi
simili a quelle del mercato e di cui ho già ampiamente parlato nel paragrafo della
concorrenza percepita dagli operatori ambulanti ed al quale rimando per una
delucidazione in merito. Interessante notare come al secondo posto con il 36% delle
risposte i consumatori ritengano che il supermercato sia un concorrente diretto del
mercato. Secondo me questo risultato si lega al fatto che essendo la frutta e la verdura i
prodotti maggiormente acquistati, i consumatori vedono il supermercato come diretto
concorrente del mercato perché ha un’offerta prevalentemente alimentare caratterizzata
dalla convenienza. Al terzo posto tra i concorrenti del mercato vi sono nell’opinione dei
consumatori intervistati i negozi tradizionali e i discount entrambi con il 22% delle
risposte. Il primo risultato molto probabilmente è dovuto al fatto che i consumatori
126
continuano ad effettuare il “ giro delle vetrine” nei negozi di città e ritrovano in questo
loro gesto molte similitudini con il “giro al mercato” un po’ dovute al fatto di
passeggiare all’aria aperta e di svagarsi ed un po’ dovute alla possibilità di avere
un’offerta variegata anche effettuando il giro per le vetrine ed inoltre probabilmente
perché riescono a trovare convenienti alcuni acquisti fatti nei negozi. Il secondo
risultato è dovuto al fatto che il mercato è visto in primis come simbolo della
convenienza economica e quindi viene associato al discount anche se questo presenta
un’offerta prevalentemente alimentare. Gli operatori dovrebbero quindi puntare anche
sulla qualità dei loro prodotti per cercare di deviare l’attenzione del consumatore
dall’aspetto esclusivo della convenienza. In quarta posizione troviamo l’outlet tra i
concorrenti del mercato con il 17% delle risposte. Molto probabilmente per le
caratteristiche che presenta può essere considerato un concorrente degli operatori che
vendono abbigliamento, soprattutto coloro che hanno abbigliamento di marca. L’11%
del campione ritiene che il diretto concorrente di un mercato sia il mercato stesso e
sicuramente questi consumatori pensano che viste le caratteristiche che questo presenta
possa essere considerato unico nel suo genere. Non si segnalano differenze nelle
risposte dovute a sesso, fascia d’età e professione svolta dagli intervistati.
4.3.6.8-I miglioramenti da apportare al mercato
In questo paragrafo metterò in evidenza l’opinione dei consumatori intervistati in merito
all’eventuale apporto di miglioramenti al mercato e, in caso di risposta positiva, quali
tipologia di miglioramenti vi apporterebbero.
Tabella 28: opinione dei consumatori intervistati in merito all'apporto di
miglioramenti al mercato
Apporterebbe miglioramenti? Percentuali
Sì 69
No 31
Totale 100
Come viene evidenziato dalla tabella n.28, il 69% dei consumatori apporterebbe
miglioramenti al mercato, dato che dovrebbe far riflettere sia i venditori su area
pubblica che soprattutto l’amministrazione comunale sul fatto che qualcosa vi sia da
fare. C’è però un 31% dei consumatori appartenenti al campione intervistato che
ritengono che il mercato vada bene così com’è e questa percentuale per quanto
127
notevolmente inferiore a quella dei miglioramenti sicuramente non è da trascurare. Sono
soprattutto le donne (20%) che ritengono che il mercato non abbia bisogno di migliorie
rispetto agli uomini (11%), probabilmente perché dato che frequentano il mercato in
misura maggiore degli uomini e lo trovano più interessante, sono maggiormente portate
a vedere i lati positivi che quelli negativi. Non si segnalano differenze nelle risposte
derivanti dall’appartenenza a determinate fasce d’età o professioni svolte. Di seguito è
riportata una tabella in cui vengono mostrate le opinioni dei consumatori in merito alle
tipologie di miglioramenti di cui, secondo loro, il mercato avrebbe bisogno.
Tabella 29: Principali tipologie di miglioramenti che i consumatori intervistati apporterebbero
al mercato
Miglioramenti Percentuali
spostare il mercato in una zona della città più facilmente accessibile,con
maggiore possibilità di parcheggio
44
montare tendoni per poter venire al mercato anche con le intemperie 30
ampliamento del numero di banchi 19
diversa disposizione dei banchi 7
altro (dettaglio specificato nel commento alla tabella) 4
riduzione del numero di banchi 1
La tabella n.29 diversamente da quella prevista per gli operatori ambulanti è stata
costruita proponendo ai consumatori una serie di opzioni tra le quali scegliere e
inserendo la categoria residuale “altro” nel caso in cui la loro risposta non fosse tra
quelle previste. Per gli operatori invece la domanda era aperta perché, secondo la mia
opinione, svolgendo questo tipo di mestiere, ma soprattutto frequentando il mercato
ogni volta che si svolge erano maggiormente in grado di formulare risposte autonome e
di indicare miglioramenti che, magari, io non potevo prevedere. Vediamo che quasi la
metà dei consumatori intervistati sarebbe favorevole a spostare il mercato in un’altra
zona della città con maggiore possibilità di parcheggio. Sicuramente l’amministrazione
comunale dovrebbe tenere in considerazione questo punto di vista, tuttavia pensando
alla città di Pisa non so se un’area grande e con maggiore possibilità di parcheggio
rispetto a quella di via Paparelli sia disponibile. Se così non fosse come ho già suggerito
si potrebbero aumentare le corse degli autobus per incentivare i consumatori a
frequentare il mercato. In seconda posizione tra i miglioramenti da apportare al mercato
vi sarebbe quello di installare tendoni per poterlo frequentare anche con il maltempo.
Questo sarebbe secondo me il provvedimento cardine che molto probabilmente
128
aumenterebbe il flusso dei consumatori, inoltre penso che sia da tenere in
considerazione la proposta ecologica suggerita dal 12% dei venditori su area pubblica
intervistati e cioè quella di installare coperture con pannelli solari, in questo modo il
Comune potrebbe anche produrre energia e fornirla sia agli operatori ambulanti ma
anche alla città nel suo complesso. Al terzo posto con il 19% delle risposte vi è
l’ampliamento del numero di banchi. Sicuramente un dato che chi vuole intraprendere
questa attività deve tenere in considerazione. Probabilmente questi consumatori si
riferiscono a prodotti appartenenti a categorie merceologiche non presenti in misura
elevata al mercato oppure semplicemente vorrebbero più banchi che vendono beni
appartenenti a categorie già presenti, ma con caratteristiche diverse, per esempio più
banchi che vendono accessori per l’abbigliamento come le borse. In quarta posizione
con il 7% delle risposte vi è chi vorrebbe una diversa disposizione dei banchi per evitare
l’affollamento e la confusione che ne deriva. Tuttavia notiamo come questa esigenza
non sia molto sentita anche perché difficilmente risolvibile e perché probabilmente
viene considerata come una caratteristica intrinseca del mercato e non come un
problema. Con il 4% delle risposte vi è la categoria residuale “altro” nella quale i
consumatori intervistati hanno dichiarato i seguenti miglioramenti: maggiore igiene da
parte degli operatori ambulanti, questo problema non è molto sentito anche se bisogna
affermare che nel comparto alimentare sarebbe sicuramente meglio che i venditori,
soprattutto coloro che vendono frutta e verdura, invitassero i consumatori ad indossare
guanti di plastica, come quelli previsti nei banchi orto-frutta dei supermercati, per
scegliere e toccare la merce. Così come coloro che vendono costumi o abbigliamento
dovrebbero invitare i consumatori a provare la merce senza trucco o con indosso la
propria biancheria intima anche se ovviamente in questo caso non possono accertarsi se
poi il consumatore effettivamente rispetta quanto gli è stato detto. Un altro
miglioramento da apportare alquanto curioso proposto da un consumatore è quello di
piantare alberi ombreggianti per poter alleviare la calura estiva. Potrebbe essere una
buona soluzione solo che l’amministrazione comunale deve accertarsi se sia praticabile,
dato che spesso i mercati si svolgono nel centro dei paesi tra le strade e qui è
impossibile piantare alberi e nel caso del mercato di via Paparelli, essendo anche un
parcheggio per auto, è altrettanto impossibile venire incontro a questo desiderio. In
ultima posizione con solo l’1% delle risposte appartenenti al campione vi è la riduzione
del numero dei banchi. Probabilmente i consumatori che hanno risposto in questo modo
trovano che il mercato presenti un’offerta omologata e quindi alcuni banchi che
129
presentano gli stessi articoli vadano eliminati. Tuttavia gli operatori ambulanti possono
stare tranquilli perché questa è una posizione veramente marginale dato che il 19% dei
consumatori vorrebbe addirittura ampliare il numero dei banchi e il 48% ritiene che uno
degli aspetti positivi del mercato sia quello di avere un’offerta variegata. Per quanto
riguarda differenze nelle risposte dovute a sesso e fasce d’età si evidenziano i seguenti
risultati: lo spostamento del mercato in un zona della città più facilmente accessibile con
maggiore possibilità di parcheggio è un aspetto più sentito dagli uomini (28%) che dalle
donne (16%), probabilmente perché se si recano al mercato guidano loro invece che le
loro compagne e quindi percepiscono maggiormente il fastidio derivante dal traffico; la
diversa disposizione dei banchi è avvertita soprattutto dai maschi tra i 15 e i 34 anni
perché sono più infastiditi dalla confusione e dalla ressa che può essere presente al
mercato mentre le donne avvertono di meno il problema perché hanno più interesse ad
acquistare e “fare dei giri” al mercato. Non si segnalano differenze nelle risposte
derivanti dalla professione svolta dai consumatori intervistati.
4.3.6.9-Confronto tra le opinioni espresse dagli operatori e quelle espresse dai venditori
su alcune questioni inerenti il mercato
4.3.6.9.1-Aspetti positivi e negativi del mercato
Partendo dagli aspetti positivi del mercato è possibile affermare che, senza dubbio, gli
operatori sono al corrente che la caratteristica che i consumatori apprezzano di più sia la
convenienza economica, infatti risulta essere sia per gli operatori che per i consumatori
l’aspetto positivo che riveste la prima posizione, tra l’altro con circa la stessa
percentuale: 64% per i venditori su area pubblica e 62% per i consumatori. Il rapporto
umano risulta invece essere meno sentito dai consumatori come aspetto positivo dato
che il 17% degli intervistati ha dato questa risposta, mentre gli operatori pensano che sia
più importante visto che la loro percentuale è pari al 59% delle risposte appartenenti al
campione. Molto probabilmente i consumatori sono spinti anche da altre motivazioni
che li portano a frequentare il mercato come l’offerta variegata (48%) e la freschezza e
genuinità dei beni alimentari (42%). Interessante notare che la qualità dell’offerta come
aspetto positivo è risultata essere indicata circa dalla stessa percentuale sia di operatori
con il 31% che di consumatori con il 28%. Indice che gli operatori sono al corrente che
la qualità è un aspetto importante che i consumatori prendono in considerazione per
recarsi al mercato e dovrebbero mettere in atto iniziative volte a promuoverla
130
maggiormente. Da mettere in evidenza vi è anche la risposta relativa alla possibilità di
toccare la merce: mentre secondo gli operatori questa è una caratteristica fondamentale
che invoglia i consumatori a comprare o provare il prodotto, visto che il 45% degli
intervistati ha dato questa risposta, per i consumatori è sì importante ma non
fondamentale dato che il 14% del campione intervistato ha fornito questa risposta.
Molto probabilmente se la merce viene fatta toccare troppo potrebbe rovinarsi cadendo
per esempio di mano ad un consumatore o sporcarsi se, nel caso della prova di un
vestito, una consumatrice è truccata. Per non parlare poi dell’alimentare dove si possono
venire a creare problemi d’igiene, se i prodotti vengono continuamente maneggiati. In
quest’ultimo caso basterebbe far indossare ai consumatori dei guanti di plastica e nel
caso dei prodotti non alimentari i venditori dovrebbero cercare di educare il
consumatore ad un’adeguata prova dei prodotti. Per quanto riguarda la varietà
dell’offerta come aspetto positivo notiamo che risulta essere maggiormente sentito dai
consumatori con il 48% delle risposte appartenenti al campione che dagli operatori con
il 33% delle risposte. Questo dovrebbe, quindi, spingere gli operatori ambulanti a
differenziare in misura maggiore la loro offerta. Passando all’analisi degli aspetti
negativi si nota come per gli operatori i maggiori aspetti negativi siano rappresentati
dall’abusivismo (52%) e dalla mancanza di sicurezza come i furti (43%) mentre per i
consumatori questi aspetti rivestono percentuali più basse: 13% l’abusivismo e 10% la
mancanza di sicurezza. Dato alquanto fisiologico visto che questi due aspetti colpiscono
direttamente e duramente l’attività degli operatori e sui quali non c’è più tempo da
perdere e vanno sicuramente risolti sia da parte dell’amministrazione comunale che da
parte delle forze dell’ordine come ho già ampiamente spiegato nei paragrafi precedenti.
L’aspetto della difficoltà nel trovare parcheggio e di accesso al mercato risulta essere
sentito pressoché dalla stessa percentuale sia di consumatori (37%) che operatori (36%).
Anche su questo aspetto l’amministrazione comunale dovrebbe interrogarsi, tuttavia,
per risolvere questo problema non è necessario spostare il mercato, perché non so se vi
siano zone adatte e comunque potrebbero continuare a sussistere gli stessi problemi o
aggiungersi problemi di traffico, ma potrebbe essere sufficiente intensificare le corse
degli autobus. La troppa confusione che vi è sui mercati è sentita solo dai consumatori
come aspetto negativo, tra l’altro con una percentuale del 25%. Tuttavia questo
problema appare di difficile risoluzione visto che il mercato andrebbe situato in una
zona più grande del necessario che potrebbe creare a sua volta altri problemi come
traffico e mancanza di parcheggi. Gli operatori dovrebbero inoltre tenere positivamente
131
in considerazione il fatto che il 20% dei consumatori intervistati ritiene che il mercato
non abbia alcun aspetto negativo e quindi continuare a svolgere con entusiasmo questo
mestiere anche se il periodo non è dei più favorevoli causa la crisi economica. Circa la
stessa percentuale appartenente sia ad operatori (8%) che a consumatori (9%) è stata
fornita per l’offerta non di qualità come aspetto negativo del mercato. Questo dovrebbe
far pensare alcuni operatori, soprattutto coloro che hanno merce scadente, a migliorare
la loro offerta ma anche coloro che ritengono di avere un prodotto di qualità dovrebbero
cercare di promuoverlo evidenziando quest’aspetto. Il 7% dei consumatori inoltre
ritiene che il mercato sia poco conveniente mentre quasi nessun venditore, come è
alquanto naturale che sia, ha questa convinzione. Questo dato dovrebbe far pensare gli
operatori e se possibile portarli a ridurre i loro prezzi o a cercare di promuovere i loro
prodotti in modo tale che risultino convenienti agli occhi dei consumatori. Per esempio,
un venditore che vende scarpe in vero cuoio che magari per il consumatore non sono
convenienti perché costano troppo dovrebbe mettere in evidenza questa caratteristica del
prodotto e cercare di trasmetterla al consumatore che potrebbe cambiare idea e
comprarle perché riconosce un valore all’attributo cuoio come segno di qualità.
Concludendo è possibile affermare che, a parte differenze fisiologiche in merito ad
aspetti positivi e negativi del mercato, gli operatori e i consumatori siano sulla stessa
lunghezza d’onda ed i venditori sappiano ciò che i consumatori apprezzano o meno
quando si recano al mercato.
4.3.6.9.2-La concorrenza del mercato
In termini di concorrenza del mercato notiamo come al primo posto sia operatori che
consumatori percepiscano il centro commerciale come diretto concorrente del mercato e
questo è molto probabilmente dovuto al fatto che queste due forme distributive
presentano similitudini di cui ho già ampiamente parlato nei paragrafi della percezione
della concorrenza del mercato relativa a venditori e consumatori e ai quali rimando per
ulteriori delucidazioni. Le altre posizioni della classifica relativa alla concorrenza
differiscono notevolmente tra consumatori e venditori: mentre infatti i consumatori
appartenenti al campione mettono al secondo posto i supermercati con il 36% delle
risposte gli operatori riservano a questi il 13%. Questo dato può avere più spiegazioni:
la prima potrebbe essere il fatto che la caratteristica del mercato sia la convenienza e
quindi anche il supermercato è simbolo di convenienza, oppure al fatto che i
consumatori intervistati acquistano molti beni alimentari e quindi è naturale che
132
percepiscano il supermercato come diretto concorrente del mercato. Anche i negozi
tradizionali continuano a rivestire importanza per i consumatori intervistati visto che il
22% di essi li pone in diretta concorrenza con i mercati, mentre solo il 3% dei venditori
ha fornito questa risposta e questo è dovuto al fatto che i negozi tradizionali
specialmente quelli situati lungo le vie centrali della principali città italiane ricreano un
ambiente simile al mercato per il consumatore dovuto al fatto di stare all’aria aperta,
avere un’offerta variegata e curiosare e girovagare tra i negozi. Anche il discount viene
percepito come concorrente diretto del mercato dai consumatori con il 22% mentre non
risulta esserlo per i venditori. La spiegazione di questo risultato può essere la medesima
che ho fornito per i supermercati e alla quale rimando per delucidazioni ulteriori con un
accento più forte sul fattore convenienza economica, visto che al discount troviamo
prodotti in prevalenza alimentari a un costo più basso rispetto a quello dei supermercati.
Percentuali differenti risultano anche relativamente alla percezione degli altri mercati
ambulanti come diretti concorrenti del mercato di via Paparelli, mentre infatti i
consumatori che hanno fornito questa risposta sono l’11% del campione gli operatori
sono il 24%. Questo dato dovrebbe essere tenuto in debita considerazione da parte dei
venditori che dovrebbero concentrarsi di più sul battere la concorrenza di altre forme
distributive più che dei mercati stessi. L’outlet risulta essere percepito come concorrente
pressoché con la stessa percentuale sia di operatori (16%) che di consumatori (17%)
intervistati. Questo probabilmente è dovuto a caratteristiche che l’outlet presenta che
sono favorevolmente percepite dai consumatori e di cui ho già parlato nei paragrafi
della concorrenza, ai quali rimando per ulteriori spiegazioni. Concludendo è possibile
affermare che sicuramente il centro commerciale è il principale concorrente del mercato
e quindi gli operatori dovranno mettere in atto politiche di marketing e miglioramenti
strutturali come coperture per cercare di battere la sua concorrenza ma anche come
debbano tenere in considerazione il fatto che i consumatori differenziano parecchio le
forme distributive dei loro acquisti, come afferma anche la ricerca della Fiva
Confcommercio56
, e quindi dovranno cercare di battere la concorrenza un po’ su tutti i
fronti.
56
http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp
133
4.3.6.9.3-I miglioramenti da apportare al mercato
L’esigenza di apportare miglioramenti al mercato risulta essere più sentita dagli
operatori ambulanti (88%) che dai consumatori intervistati (69%). Tuttavia, è possibile
affermare che questo sia un dato fisiologico visto che è normale che i venditori vogliano
fare di più per migliorare le loro condizioni di lavoro e quindi migliorare la loro
redditività; però, senza dubbio è possibile affermare che il mercato così com’è non va
bene e sicuramente qualcosa da fare c’è a partire dalla risoluzione del problema
parcheggi o accesso al mercato. Infatti questo risulta essere sia per i venditori che per i
consumatori intervistati il miglioramento principale da mettere in atto. Questo dato
dovrà far riflettere l’amministrazione comunale che dovrà cercare di capire se sia
necessario individuare un’altra area dove svolgere il mercato o cercare di intensificare le
corse degli autobus, se ciò non fosse possibile. Vediamo che il miglioramento relativo
alle coperture risulta essere più sentito dai consumatori (30%) che dai venditori (12%),
quindi, secondo me, i venditori dovrebbero far maggior pressione sull’amministrazione
comunale affinché questa metta in atto qualche provvedimento in tal senso ed un’ottima
idea potrebbe essere quella di montare coperture con pannelli solari. Concludendo è
possibile affermare che in questo caso l’amministrazione comunale debba tentare di
risolvere i problemi legati all’accesso al mercato, alla mancanza di parcheggi e
all’installazione di coperture adeguate e i venditori non devono perdersi d’animo e
continuare a far pressione sulla stessa affinché le cose migliorino.
134
4.4- Relazioni tra variabili dei questionari tramite modelli statistici di
regressione
4.4.1- Introduzione
In questo paragrafo mi occuperò di approfondire alcune relazioni tra le variabili dei
questionari dei consumatori e degli operatori su area pubblica attraverso l’utilizzo di
alcuni modelli statistici di regressione, il modello di regressione logistica ed il metodo
ANOVA. Relativamente al questionario dei consumatori ho deciso di studiare le
relazioni tra le seguenti coppie di variabili:
- l’acquisto di beni alimentari o meno e i dati generali (sesso, età, professione e
titolo di studio) relativi ai consumatori, per verificare se l’acquisto o meno di
prodotti alimentari potesse essere influenzato dalle caratteristiche socio-
demografiche appartenenti agli stessi;
- la tipologia di frequenza al mercato, cioè se bassa o medio-alta, e le
caratteristiche socio-demografiche dei consumatori (sesso, età, professione,
titolo di studio), per verificare se anche in questo caso vi potesse essere
un’influenza delle suddette variabili sulla frequenza;
- la volontà o meno dei consumatori di apportare miglioramenti al mercato e i dati
generali relativi agli stessi.
Per quanto riguarda il questionario degli operatori ho deciso, anche in questo caso, di
studiare le relazioni tra le seguenti coppie di variabili:
- la volontà di apportare miglioramenti al mercato e le caratteristiche
demografiche (sesso, età, titolo di studio) degli stessi;
- il numero di mercati frequentati dagli operatori durante la settimana e i loro dati
generali;
- il numero di anni di svolgimento dell’attività lavorativa e le caratteristiche socio-
demografiche degli operatori.
Come è possibile osservare, le variabili esplicative che ho scelto sono sempre relative
alle caratteristiche socio-demografiche di consumatori ed operatori ambulanti e questo
perché spesso sono ritenute variabili importanti nello spiegare i comportamenti di
consumo. Tuttavia, esse possono non essere le sole in grado di farlo e, come ho
135
affermato nel paragrafo relativo agli obiettivi della ricerca, la mia indagine personale
vuole andare a verificare anche questo aspetto.
Ho deciso di utilizzare tre modelli di regressione logistica per analizzare tutte le
relazioni relative al questionario dei consumatori dato che le tre variabili di risposta
(acquisto o meno di beni alimentari; tipologia di frequenza al mercato e volontà di
apportare miglioramenti al mercato) sono di tipo bernoulliano, cioè possono assumere
valore 1 con probabilità π e 0 con probabilità 1- π. Per quanto riguarda le relazioni tra
variabili relative al questionario degli operatori, ho utilizzato il modello di regressione
logistica per analizzare la relazione tra la volontà di apportare miglioramenti o meno al
mercato e le variabili socio-demografiche, mentre per analizzare gli altri due tipi di
relazioni ho utilizzato due modelli ANOVA (Analysis of Variance Methods) dato che le
variabili di risposta (numero di mercati frequentati dagli operatori e numero di anni di
svolgimento dell’attività lavorativa) sono di tipo quantitativo mentre le variabili socio-
demografiche di tipo bernoulliano. Tengo a precisare che i precedenti modelli si basano
sull’ipotesi che i dati siano un campione casuale della popolazione. Nel mio caso per gli
operatori essi possono essere utilizzati dato che ho svolto un censimento della
popolazione. Per i consumatori ho utilizzato, invece, un campionamento per quote.
Tuttavia, il campione è assimilabile ad un campione di tipo casuale stratificato perché:
- non ho effettuato interviste di comodo a parenti e amici. Inoltre, l’inferenza che
farò sarà limitata al target dei consumatori che frequentano il mercato di Pisa e
non all’intera Provincia di Pisa;
- le quote sono state formate in relazione alla distribuzione di sesso ed età dei
residenti della Provincia di Pisa e sono assimilabili a strati della popolazione;
- la selezione dell’individuo per l’intervista è stata effettuata randomizzando la
scelta (1 individuo a caso ogni 5 che passavano).
4.4.2- Descrizione dei modelli statistici utilizzati
Per stimare le relazioni tra le variabili ho utilizzato due differenti tipologie di modelli, il
modello di regressione logistica e il modello ANOVA. Di seguito descriverò le
caratteristiche delle due tipologie di modelli.
136
4.4.2.1-Il modello di regressione logistica
Il modello di regressione logistica viene utilizzato per variabili di risposta di tipo
binario, cioè che presentano due soli possibili risultati: 1 che denota il successo e 0 che
denota l’insuccesso. Il presupposto per l’utilizzo di questo tipo di modello è che la
variabile di risposta presenti una distribuzione di tipo Bernoulli. Il modello è descritto
dalla seguente equazione:
log[P(y=1)/(1-P(y=1))] = α + βx
Il rapporto P(y=1)/(1-P(y=1)) equivale all’odds che esprime un rapporto tra probabilità
di successo e probabilità d’insuccesso. Per esempio, quando P(y=1) = 0,75 l’odds
equivale a 0,75/0,25 = 3 e questo significa che un successo è 3 volte più probabile di un
fallimento. Un’equazione alternativa per il modello di regressione logistica è espressa
direttamente dalla probabilità di successo:
P(y=1)= eα+βx
/(1 + eα+βx
)
Il segno di β ci dice se la probabilità di successo cresce o decresce al crescere della x.
Come possiamo inoltre interpretare β? Diversamente dal modello di probabilità lineare,
β non è la pendenza che esprime la variazione in P(y=1) al variare della x. Dal momento
che la curva di P(y=1) è una curva ad S, il tasso al quale la curva sale o scende cambia
al variare del valore della x. Il modo più semplice di usare β per interpretare la pendenza
della curva, fa riferimento ad una linea retta che approssima la curva ad S. La linea retta
tangente alla curva ha pendenza β*P(y=1)*[1-P(y=1)], dove P(y=1) è la probabilità nel
punto di tangenza. Un’altra interpretazione del parametro β si basa sulla misura di
associazione odds ratio. Applicando gli antilogaritmi ad entrambi i lati dell’equazione di
regressione logistica log[P(y=1)/(1-P(y=1))] = α + βx otteniamo il modello espresso in
termini di odds:
P(y=1)/[1-P(y=1)] = eα+βx
= eα (e
β)
x
Il lato destro di questa equazione ha la forma della regressione esponenziale, una
costante moltiplicata per un’altra costante elevata alla potenza di x. Questa relazione
esponenziale implica che ogni incremento unitario nella x ha un effetto moltiplicativo di
eβ sugli odds. Per esempio, se prendiamo in considerazione la seguente equazione
logit[P(y=1)] = -3,518+0,105*x, dove la variabile di risposta indica la probabilità di
137
possedere una carta di credito e la variabile esplicativa il reddito annuo dell’individuo,
possiamo calcolare l’antilogaritmo di che equivale a e0,105
=1,11. Quando il reddito
annuo cresce di 1000 euro, l’odds stimato di possedere una carta di credito è
moltiplicato per 1,11. Quando x=25 (migliaia di euro) l’odds stimato di possedere una
carta di credito è 1,11 volte superiore rispetto a quando x=24 (migliaia di euro). Per
effettuare inferenza dal modello di regressione logistica possono essere utilizzati tre tipi
di test:
- il test z che viene utilizzato per grandi campioni ed è ottenuto dividendo il j
per la sua deviazione standard. Per grandi campioni la statistica test è distribuita
come una normale con media 0 e varianza 1. Le ipotesi che si mettono a
confronto sono: l’ipotesi nulla H0= βj=0 indica che la x non ha effetto sulla
P(y=1) e l’ipotesi alternativa H1= βj≠0 indica che la x ha effetto su P(y=1);
- il test di Wald che presenta la stessa statistica test del test z solo elevata al
quadrato ed ha una distribuzione chi-quadrato con 1 grado di libertà. Viste le
caratteristiche di questi due test il ricercatore deve giungere agli stessi risultati
sia che utilizzi il test z che quello di Wald;
- il test del rapporto di verosimiglianza che può essere usato anche per piccoli
campioni ed è un modo generale per testare due modelli, uno completo ed uno
ridotto. Testa che i parametri extra contenuti nel modello completo siano uguali
a zero. Per esempio testa H0=β=0 comparando il modello logit[P(y=1)]= α + βx
con il modello logit[P(y=1)] = α. Questo test usa la funzione di massima
verosimiglianza. Denotata dalla lettera l dà la probabilità del dato osservato
come una funzione del valore dei parametri. La stima della massima
verosimiglianza massimizza questa funzione. L0 denota il massimo della
funzione di verosimiglianza quando H0 è vera e l1 denota il massimo senza
quest’assunzione. La formula utilizzata per il calcolo della statistica test è la
seguente:
-2log (l0/ l1) = (-2logl0) – (-2logl1)
138
Questa statistica test ha una distribuzione chi-quadrato con un numero di gradi di
libertà pari alla differenza tra numero di parametri nei due modelli57
.
4.4.2.2-Il metodo ANOVA(Analysis of Variance Methods)
Il metodo ANOVA viene utilizzato per comparare le medie di diversi gruppi che
riguardano l’associazione tra una variabile di risposta quantitativa e una o più variabili
esplicative qualitative. La media della variabile di risposta quantitativa è comparata tra
gruppi che rappresentano le categorie della variabile esplicativa. Per esempio, per
comparare il reddito medio annuo tra neri, bianchi e ispanici la variabile quantitativa di
risposta è il reddito annuo e quella qualitativa è il gruppo etnico. Il cuore dell’analisi del
metodo ANOVA è un test di significatività che usa la distribuzione F per rilevare
differenze tra un insieme di medie della popolazione. La lettera g denota il numero di
gruppi da comparare, per esempio g=3 se teniamo in considerazione l’esempio sopra
illustrato tra neri, bianchi e ispanici. Le medie della variabile di risposta nella
popolazione corrispondono a μ1,μ2,…μg. Nel nostro esempio μ1 rappresenta il reddito
medio annuo dei neri, μ2 il reddito medio annuo dei bianchi e μ3 il reddito medio annuo
degli ispanici. Le corrispettive medie campionarie sono y 1, y 2,… y g. L’analisi della
varianza (ANOVA) è un test F per:
- H0: μ1=μ2=…=μg;
- H1: almeno due medie della popolazione sono diverse.
Le assunzioni per effettuare questo tipo di test sono le seguenti:
- Per ogni gruppo la distribuzione della variabile di risposta è normale;
- La deviazione standard della distribuzione della popolazione è la stessa per ogni
gruppo;
- I campioni estratti dalla popolazione sono campioni casuali indipendenti.
Perché un metodo di confronto tra medie della popolazione è chiamato analisi della
varianza? La ragione è che la statistica test compara le medie usando due stime della
varianza, σ2, per ogni gruppo. Una stima usa la varianza tra ciascuna media campionaria
y i e la media generale y . L’altra stima usa la variabilità entro ogni gruppo delle
57Statistical methods for the social sciences; A.Agresti,B.Finlay;4th edition; Pearson Prentice Hall; 2009; pag.684-
697.
139
osservazioni campionarie confrontando ciascuna osservazione dei gruppi con la media
di ciascun gruppo. Generalmente, più grande è la variabilità tra le medie campionarie e
più piccola è la variabilità entro ogni gruppo, più forte è l’evidenza contro l’ipotesi nulla
che afferma l’uguaglianza delle medie della popolazione. Per testare H0: μ1=μ2=…=μg,
la statistica test è il rapporto tra le due stime della varianza della popolazione. La stima
che usa la variabilità tra ogni media campionaria y i e la media campionaria generale y ,
è chiamata stima tra gruppi. La stima che usa la variabilità entro ogni campione è
chiamata stima entro i gruppi. La statistica test F ha la seguente forma:
F = (stima della varianza tra gruppi)/(stima della varianza entro i gruppi)
Il metodo descritto fino ad ora è il metodo ANOVA ad un fattore o ad una via, cioè
prevede l’esistenza di una sola variabile esplicativa qualitativa, tuttavia esiste un altro
metodo chiamato ANOVA a più fattori o a più vie che viene utilizzato in presenza di
due o più variabili esplicative qualitative. In quest’ultimo caso possono essere testati
anche gli effetti d’interazione tra le variabili esplicative presenti nel modello e sono
proprio questi effetti che andrebbero testati per primi. Per quanto riguarda la costruzione
delle statistiche test e la loro distribuzione risultano essere le medesime del modello ad
un fattore. Il metodo ANOVA può essere considerato come un caso speciale di
regressione multipla. Variabili esplicative artificiali nel modello di regressione possono
rappresentare i gruppi. Queste variabili sono uguali a 1 se un’osservazione proviene da
un determinato gruppo mentre sono uguali a 0 in caso contrario. Per esempio, se
abbiamo 3 gruppi costruiamo 2 variabili artificiali. La prima, che indichiamo con z1,
vale 1 se l’osservazione proviene dal primo gruppo e vale 0 altrimenti. La seconda, che
indichiamo con z2, vale 1 se l’osservazione proviene dal secondo gruppo e vale 0
altrimenti. Non è necessario creare una variabile per il terzo gruppo perché il valore 0
per z1 e 0 per z2 identifica le osservazioni provenienti da questo. Le variabili artificiali
z1 e z2 sono chiamate variabili dummy e indicano il gruppo di appartenenza delle
osservazioni. Per le variabili dummy che abbiamo appena definito nell’esempio
precedente si può considerare la seguente equazione della regressione multipla:
E(y) = α + β1z1 + β2z2.
Per le osservazioni provenienti dal gruppo tre, z1=z2=0 l’equazione risultante è la
seguente:
140
E(y) = α
Quindi, α rappresenta la media della popolazione μ3 per l’ultimo gruppo.
Il coefficiente β della variabile dummy rappresenta la differenza tra la media del gruppo
che la variabile dummy rappresenta e la media del gruppo che non ha quella variabile
dummy. Una domanda che potrebbe venire in mente è: perché usare la regressione per
modellare il metodo ANOVA? Una ragione è che è più utile avere un approccio
unificato grazie al quale vengono utilizzati metodi statistici che rappresentano casi
particolari dello stesso. Un’altra ragione è che essendo abili a gestire predittori
qualitativi usando un modello di regressione abbiamo un meccanismo per modellare
molti predittori che possono essere qualitativi o un mix tra qualitativi e quantitativi58
.
4.4.3- Variabili utilizzate nei modelli
4.4.3.1-Variabili utilizzate nei modelli relativi ai consumatori
Come precedentemente affermato, per analizzare le relazioni tra variabili relative al
questionario dei consumatori ho utilizzato tre modelli di regressione logistica e di
seguito elencherò i nomi delle variabili usate per la costruzione degli stessi. Per il
modello che analizza la relazione tra l’acquisto di beni alimentari e i dati generali dei
consumatori le variabili costruite sono: Acquisto (=1 se l’individuo acquista beni
alimentari; 0 se acquista beni non alimentari; questa è la variabile di risposta); Sex(=1
se l’individuo è maschio; 0 se è femmina); Age1(=1 se l’individuo ha un’età compresa
tra 15 e 34 anni; 0 altrimenti); Age2(=1 se l’individuo ha un’età compresa tra 35 e 54
anni; 0 altrimenti); Job1(=1 se l’individuo è un operaio; 0 altrimenti); Job2(=1 se
l’individuo è un insegnante; 0 altrimenti); Job3(=1 se l’individuo è un libero
professionista; 0 altrimenti); Job4(=1 se l’individuo è un impiegato; 0 altrimenti);
Job5(=1 se l’individuo è un artigiano; 0 altrimenti); Job6(=1 se l’individuo è un
commerciante; 0 altrimenti); Job7(=1 se l’individuo è uno studente; 0 altrimenti);
Job8(=1 se casalinga; 0 altrimenti); Job9(=1 se l’individuo è in cerca di occupazione; 0
altrimenti); EQ(=1 se l’individuo possiede una licenza elementare o media inferiore; 0
se possiede una licenza media superiore o una laurea triennale/magistrale; EQ è
l’abbreviazione di education qualification, cioè titolo di studio). Tutte le variabili
58 Statistical methods for the social sciences; A.Agresti,B.Finlay;4th edition; Pearson Prentice Hall; 2009; pag.526-
552.
141
seguenti Acquisto sono variabili esplicative. Per quanto riguarda il modello che mette in
relazione l’intensità di frequentazione del mercato da parte dei consumatori e le variabili
socio-demografiche, l’unica differenza rispetto al modello precedente nel costruire le
variabili è rappresentata dalla variabile di risposta che ho nominato Frequency e assume
valore pari a 1 se la frequenza al mercato è bassa (meno di una volta al mese; 1-2 volte
al mese) mentre assume valore pari a 0 se è medio-alta (dalle 3-4 volte al mese in su).
Relativamente al modello che mette in relazione la volontà di apportare miglioramenti
al mercato da parte dei consumatori e i dati generali, anche in questo caso l’unica
differenza è rappresentata dalla variabile di risposta che ho chiamato Improvements e
assume valore pari a 1 se il consumatore ha risposto che vuole apportare miglioramenti
al mercato e 0 in caso contrario.
4.4.3.2-Variabili utilizzate nei modelli relativi agli operatori
In questo caso, per analizzare le relazioni tra variabili ho utilizzato un modello di
regressione logistica e due modelli ANOVA. Per il primo modello la variabile di
risposta che ho costruito è Improvements (=1 se l’operatore ambulante voleva apportare
miglioramenti al mercato; 0 altrimenti). Per quanto riguarda le variabili esplicative
queste sono le stesse presentate per i modelli costruiti per i consumatori ad eccezione,
per ovvie ragioni, delle variabili relative alla professione svolta. Per il secondo modello
che analizza la relazione tra il numero di mercati frequentati e i dati generali, la
variabile di risposta che ho costruito è Y che indica il numero di mercati frequentati
settimanalmente dagli operatori, mentre le variabili esplicative sono le medesime del
modello presentato precedentemente per gli operatori. Per il terzo modello che analizza
la relazione tra numero di anni di svolgimento dell’attività lavorativa e variabili socio-
demografiche, la variabile di risposta che ho costruito è Y che indica il numero di anni
di svolgimento dell’attività lavorativa e le variabili esplicative, anche in questo caso,
sono le stesse presentate per gli altri due modelli.
142
4.4.4- Risultati
4.4.1-Risultati relativi alle relazioni tra variabili del questionario dei consumatori
4.4.1.1-Relazione tra acquisto di beni alimentari e variabili socio-demografiche
Per analizzare la relazione tra acquisto o meno di beni alimentari e variabili socio-
demografiche ho costruito un file Excel in formato csv contente tutti i dati dei
consumatori e le rispettive variabili e attraverso il software R ho effettuato le
elaborazioni. Per prima cosa ho costruito un modello contenente tutte le variabili e poi
ho applicato una procedura di selezione delle variabili chiamata stepwise (che seleziona
le variabili aventi il più basso p-value e contemporaneamente toglie quelle che perdono
di significatività quando ne vengono introdotte altre nel modello) dalla quale ho
ottenuto il seguente modello finale che presenta il più basso valore di AIC rispetto agli
altri modelli che vengono costruiti applicando la suddetta procedura.
Tabella 30: Coefficients of logistic regression model
Estimate Std. Error z value Pr(>|z|)
(Intercept) 1.2730 0.4276 2.977 0.00291 **
JOB7 -2.4769 0.7850 -3.155 0.00160 **
Null deviance: 59.667 on 44 degrees of freedom
Residual deviance: 47.666 on 43 degrees of freedom
AIC: 51.666
Prendendo in considerazione un livello di α (che rappresenta la probabilità di
commettere un errore di primo tipo, cioè rifiutare l’ipotesi H0 quando è vera) pari a 0,05
possiamo notare come il coefficiente JOB7 risulti significativo dato che il suo p-value è
pari a 0,00160 e quindi inferiore ad α. Il coefficiente di JOB7 è negativo e questo
indica che la probabilità di acquistare beni alimentari (P(ACQUISTO=1)) è
inversamente correlata con la condizione di essere studente. Se l’individuo è uno
studente la probabilità di acquistare beni alimentari decresce. Calcolando l’effetto di
questa variabile esplicativa sulla probabilità di acquistare un bene alimentare otteniamo
le seguenti informazioni: quando JOB7 vale 0 e cioè l’individuo non è uno studente la
probabilità che acquisti un bene alimentare è pari al 78% circa mentre quando JOB7
143
vale 1 e cioè l’individuo è uno studente questa probabilità è pari al 23%, quindi è
possibile affermare che il tipo di professione svolta dall’individuo influenza
notevolmente la tipologia di acquisto che effettuerà. Calcolando l’odds relativo alla
variabile JOB7=0 otteniamo il seguente risultato: Odds0=0,78/(1-0,78)= 3.571429;
questo significa che se l’individuo non è uno studente è circa 3,5 volte più probabile che
acquisti un bene alimentare piuttosto che non lo acquisti. Allo stesso modo calcolando
l’Odds relativo alla variabile JOB7=1 otteniamo il seguente risultato: Odds1=0,23/(1-
0,23)=0,30; come possiamo notare in questo caso se l’individuo è uno studente è circa 3
volte più probabile che non acquisti un bene alimentare. Se calcoliamo l’odds ratio, cioè
il rapporto tra Odds0 e Odds1, vediamo come questo sia pari a 11,90 e questo significa
che la variabile JOB7 (il fatto di essere studenti) ha una notevole influenza sull’acquisto
dei beni alimentari. Adesso passiamo all’analisi dell’inferenza nel modello. Applicando
il test della massima verosimiglianza confronto il modello completo con quello ridotto
composto soltanto dall’intercetta, avrò:
H0= L0 = L1
H1= L1 > L0
La prima ipotesi afferma che non vi è differenza tra le verosimiglianze dei due modelli,
mentre la seconda che la verosimiglianza del modello completo (L1) è maggiore di
quella del modello ridotto (L0). Dal calcolo della statistica test dato da devianza nulla –
devianza residua, dove la devianza nulla è pari a (-2logl0) e quella residua è pari a (-
2logl1), ottengo 59.667 - 47.666= 12,001 che confronto con il valore critico della
distribuzione chi-quadrato con α =0,05 e un grado di libertà. Questo valore è pari a
3,8415 e quindi la statistica test cade nella zona di rifiuto e di conseguenza il modello
completo spiega meglio i dati rispetto a quello con soltanto l’intercetta.
144
4.4.1.2-Relazione tra la frequenza al mercato e le variabili socio-demografiche
Per analizzare la relazione tra la frequenza al mercato e le variabili socio-demografiche
ho utilizzato lo stesso procedimento visto per il primo modello e dall’applicazione della
procedura stepwise ho ottenuto la seguente tabella:
Tabella 31: Coefficients of logistic regression model
Estimate Std. Error z value Pr(>|z|)
(Intercept) 0.2877 0.2303 1.249 0.2116
AGE1 1.6094 0.6606 2.436 0.0148 *
Null deviance: 130.68 on 99 degrees of freedom
Residual deviance: 122.98 on 98 degrees of freedom
AIC: 126.98
Prendendo in considerazione un livello di α pari a 0,05 possiamo notare come il
coefficiente AGE1 risulti significativo dato che il suo p-value è pari a 0,0148 e quindi
inferiore ad α. Il coefficiente di AGE1, che indica il fatto che l’individuo appartenga
alla fascia d’età 15-34 anni, è positivo e questo significa che la probabilità di
frequentare poco il mercato (P(FREQUENCY=1)) cresce se l’individuo appartiene a
questa fascia d’età. Calcolando l’effetto di questa variabile esplicativa sulla probabilità
di frequentare poco il mercato otteniamo le seguenti informazioni: quando AGE1 vale 0
e cioè l’individuo non appartiene alla fascia d’età 15-34 anni la probabilità di
frequentare poco il mercato è pari al 57% circa mentre quando AGE1 vale 1 e cioè
l’individuo appartiene alla fascia d’età 15-34 anni questa probabilità è pari all’ 87%,
quindi è possibile affermare che l’appartenenza dell’individuo ad una data classe d’età
influenza la tipologia di frequentazione (bassa o medio-alta) del mercato. Calcolando
l’odds relativo alla variabile AGE1=0 otteniamo il seguente risultato: Odds0=0,57/(1-
0,57)= 1.333333 e questo significa che quando l’individuo non appartiene alla fascia
d’età 15-34 anni è quasi equamente probabile che frequenti poco o molto il mercato.
Questo risultato è dovuto quasi sicuramente alla suddivisione in classi che comprendono
fasce d’età ampie, se fosse stato possibile rilevare un maggior livello di dettaglio
probabilmente si potevano ottenere risultati diversi. Calcolando l’odds relativo alla
variabile AGE1 =1 otteniamo il seguente risultato: Odds1=0,87/(1-0,87)= 6.666667 e
145
questo significa che quando l’individuo appartiene alla classe d’età 15-34 è circa 7 volte
più probabile che abbia una bassa frequenza del mercato piuttosto che una media o
elevata. Effettuando il rapporto tra Odds0 e Odds1 otteniamo il seguente risultato: Odds
ratio=1.333333/6.666667=0.2 e questo significa che dato che l’odds1 è 5 volte più
grande rispetto all’odds0 la variabile AGE1 ha una discreta influenza nello spiegare la
differente tipologia di frequenza il mercato. Adesso effettuerò l’inferenza sul modello
attraverso il test della massima verosimiglianza mettendo a confronto il modello
completo, con tutte le variabili, con quello ridotto avente solo l’intercetta, avrò:
H0= L0 = L1
H1= L1 > L0
Dal calcolo della statistica test ottengo: 130.68-122.98 = 7,7. Questo valore lo confronto
con il valore critico della distribuzione chi-quadrato con α = 0,05 e un grado di libertà
che è pari a 3,8415 ed anche in questo caso rifiuto l’ipotesi nulla, anche se di poco, e
quindi il modello completo descrive meglio la relazione tra la frequenza al mercato e le
variabili socio-demografiche rispetto a quello con solo l’intercetta.
4.4.1.3-Relazione tra l’apporto di miglioramenti al mercato e le variabili socio-
demografiche
Anche in questo caso per analizzare la relazione tra apporto di miglioramenti al mercato
e dati generali relativi ai consumatori ho effettuato lo stesso tipo di procedimento
utilizzato per gli altri due modelli e dopo aver applicato la procedura stepwise ho
ottenuto il seguente risultato:
Tabella 32: Coefficients of logistic regression model
Estimate Std. Error z value Pr(>|z|)
(Intercept) 0.5363 0.2261 2.372 0.0177 *
JOB1 1.4096 0.7890 1.787 0.0740 .
146
Null deviance: 126.84 on 99 degrees of freedom
Residual deviance: 122.68 on 98 degrees of freedom
AIC: 126.68
Come è possibile osservare in questo caso il coefficiente di JOB1, che indica se
l’individuo è un operaio o meno, sarebbe significativo solo per un livello di α = 0,10;
tuttavia, questa significatività non è così elevata visto che 0,074 < 0,10 ma non molto.
E’ quindi possibile affermare, in questo caso, che la volontà di apportare miglioramenti
al mercato da parte di un consumatore non è influenzata dalle sue caratteristiche socio-
demografiche.
4.4.2-Risultati relativi alle relazioni tra variabili del questionario degli operatori
4.4.2.1-Relazione tra la volontà di apportare miglioramenti al mercato e variabili socio-
demografiche
Per effettuare la relazione tra la volontà di apportare miglioramenti al mercato da parte
degli operatori e le variabili socio-demografiche ho utilizzato la stessa metodologia
impiegata per costruire i modelli dei consumatori e dall’applicazione della procedura di
selezione delle variabili di tipo stepwise ho ottenuto il seguente risultato:
Step: AIC=75.38
IMPROVEMENTS ~ 1
Questo risultato indica che la volontà di apportare miglioramenti o meno al mercato da
parte dei venditori ambulanti non è influenzata dalle loro caratteristiche socio-
demografiche.
4.4.2.2-Relazione tra numero di mercati frequentati dai venditori ambulanti e variabili
socio-demografiche
Per effettuare la relazione tra numero di mercati frequentati e dati generali degli
operatori ho utilizzato, in questo caso, il metodo ANOVA adattandolo ad un modello di
regressione multipla, visto che la variabile di risposta è di tipo quantitativo. Ho costruito
anche in questo caso un file Excel di tipo csv e tramite il software R ho effettuato le
elaborazioni. Prima ho costruito un modello con tutte le variabili e dall’applicazione
della procedura stepwise ho ottenuto il seguente risultato:
147
Tabella 33: Coefficients of regression model
Estimate Std. Error t value Pr(>|t|)
(Intercept) 3.5152 0.1787 19.68 <2e-16 ***
AGE2 0.4998 0.2183 2.29 0.0242 *
Multiple R-squared: 0.05078, Adjusted R-squared: 0.0411
F-statistic: 5.243 on 1 and 98 DF, p-value: 0.02418
In questo caso prima di poter effettuare qualunque tipo di considerazione sui
coefficienti delle variabili esplicative è necessario controllare i valori di R2
(Multiple R-
squared) ed R2 corretto (Adjusted R-squared). R
2 è chiamato coefficiente di
determinazione multipla ed indica il miglioramento nell’effettuare previsioni apportato
dall’uso della retta di regressione piuttosto che dalla media semplice ( y ). La sua
formula è data da
2
22
)(
)ˆ()(
yy
yyyy, nella quale al numeratore troviamo la
differenza tra devianza totale e devianza residua e al denominatore la devianza totale. R2
misura la proporzione della varianza totale della y che è spiegata dal potere predittivo di
tutte le variabili esplicative utilizzando il modello di regressione multipla. R2 può
assumere un valore compreso tra 0 e 1, nel primo caso le variabili esplicative non hanno
alcun potere nello spiegare il valore della variabile dipendente mentre nel secondo caso
il modello si adatta perfettamente ai dati. Ovviamente più il valore di R2 è vicino ad 1
maggiore è il potere predittivo delle variabili esplicative prese in considerazione.
Tuttavia dato che il valore di R2 non può diminuire nel momento in cui vengono
introdotte nuove variabili entra in gioco un altro indicatore che invece tiene conto della
loro numerosità che si chiama R2 corretto =
)1(
)1( 22
pn
pRR , nella quale p indica il
numero di variabili esplicative e n il numero di osservazioni appartenenti al campione59
.
Dalle elaborazioni risultanti è possibile affermare che questo modello non ha alcuna
utilità nello spiegare i dati visto che sia R2 che R
2 corretto presentano valori prossimi
allo 0, rispettivamente pari a 0.05078 e 0.0411. E’ quindi possibile affermare che la
variabile esplicativa AGE2, cioè il fatto che l’individuo appartenga alla classe d’età 35-
54 anni non ha influenza sul numero di mercati frequentati dai venditori ambulanti.
59 Statistical methods for the social sciences; A.Agresti,B.Finlay;4th edition; Pearson Prentice Hall; 2009; pag.468-
471.
148
4.4.2.3-Relazione tra numero di anni di svolgimento dell’attività lavorativa e variabili
socio-demografiche
Come nel precedente modello, per analizzare la relazione tra numero di anni di
svolgimento dell’attività lavorativa dei venditori su area pubblica e dati generali degli
stessi ho utilizzato il metodo ANOVA, adattandolo ad un modello di regressione
multipla, dato che la variabile di risposta è di tipo quantitativo. Seguendo lo stesso
metodo applicato per il precedente modello e utilizzando la procedura di selezione delle
variabili stepwise ho ottenuto la seguente tabella:
Tabella 34: Coefficients of multiple regression model
Estimate Std. Error t value Pr(>|t|)
(Intercept) 22.889 2.649 8.641 1.32e-13 ***
SEX 6.154 1.995 3.085 0.00266 **
AGE1 -18.081 4.202 -4.303 4.09e-05 ***
AGE2 -8.940 2.229 -4.011 0.00012 ***
EQ 4.018 1.963 2.046 0.04348 *
Multiple R-squared: 0.3279, Adjusted R-squared: 0.2996
F-statistic: 11.59 on 4 and 95 DF, p-value: 1.051e-07
Prendendo in considerazione come prima informazione i valori di R2 e R
2 corretto per
valutare la significatività del modello possiamo osservare come, in questo caso,
entrambi spieghino circa il 30% della varianza totale. Non è un valore elevato, tuttavia
il modello può essere utilizzato per spiegare, almeno parzialmente, da cosa dipende la
variabilità dei dati. Probabilmente se le classi d’età fossero state meno ampie e sarebbe
stato possibile giungere ad un maggior livello di dettaglio, la varianza poteva essere
spiegata meglio, ma a causa di vincoli temporali e costi necessari per effettuare la
ricerca non è stato possibile raggiungere quest’obiettivo. Un’altra considerazione che
merita attenzione è che questo modello è stato costruito con dati reali ed in questo caso
è difficile che i valori di R2 e R
2 corretto siano elevati. Invece, nello studio teorico dei
modelli di regressione, è più probabile trovare valori di R2 e R
2 corretto vicini ad 1
perché i dati sono fittizi e quindi costruiti per creare un modello ad hoc che descriva al
meglio la relazione intercorrente tra di essi. Prendendo un livello di α pari a 0,05 è
possibile osservare come le variabili SEX, AGE1, AGE2 risultino altamente
significative in quanto i loro p-value rispettivamente pari a 0.00266, 4.09e-05, 0.00012
sono notevolmente inferiori a 0,05. Discorso diverso vale per la variabile EQ (che
149
indica il titolo di studio degli operatori ambulanti) che ha un p-value pari a 0.04348 che
è inferiore ad α ma di poco, quindi la variabile EQ può essere esclusa dal modello ed è
possibile affermare che non ha influenza sul numero di anni lavorativi svolti dai
venditori. Per quanto riguarda i Beta delle variabili esplicative, risultate significative,
possiamo evidenziare i seguenti risultati:
- nel caso di SEX il suo beta è positivo e questo significa che se l’individuo è
maschio (SEX=1) il numero di anni lavorativi che il venditore svolge incrementa
di circa 6 unità, controllando per AGE, mentre se l’individuo è femmina questo
non accade;
- nel caso di AGE1 il beta è negativo e questo significa che se l’individuo
appartiene alla fascia d’età 15-34 anni (AGE1=1) il numero di anni di
svolgimento dell’attività lavorativa decresce di circa 18 unità, controllando per
SEX;
- nel caso di AGE2 il beta è negativo e questo significa che se l’individuo
appartiene alla fascia d’età 35-54 anni (AGE2=1) il numero di anni di
svolgimento dell’attività lavorativa decresce di circa 9 unità, controllando per
SEX.
4.4.3- Osservazioni finali
Dai risultati di quest’analisi statistica emerge sicuramente il fatto che le variabili socio-
demografiche degli individui sono una componente importante, in alcuni casi, per
fornire spiegazioni parziali dell’adozione di determinati tipi di comportamenti ma in
altri casi non hanno alcuna influenza nello spiegare gli stessi. Prendendo in
considerazione la tipologia di acquisti effettuati e il tipo di frequentazione del mercato
notiamo, come emerso anche dalle precedenti analisi svolte attraverso l’utilizzo di
tabelle pivot, che i giovani e gli studenti frequentano poco il mercato e nel momento in
cui decidono di recarvisi sicuramente non acquisteranno beni alimentari. Gli operatori
dovrebbero, quindi, mettere in atto azioni per cercare di attrarre in misura maggiore
questa fascia di clientela. Per quanto riguarda la volontà di apportare miglioramenti al
mercato vediamo come questa, sia da parte degli operatori che dei venditori, non sia
influenzata dalle loro caratteristiche socio-demografiche. Come ho evidenziato nei
paragrafi precedenti l’analisi statistica della ricerca, la volontà di apportare
miglioramenti è molto sentita da consumatori ed operatori ed è un atteggiamento
150
trasversale che li coinvolge tutti indipendentemente da sesso, titolo di studio o fascia
d’età d’appartenenza.
4.5- Conclusioni
In seguito alla svolgimento di questa ricerca è possibile affermare che il mercato
ambulante continua a rivestire una posizione importante nelle scelte di acquisto dei
consumatori dato che ben il 64% degli intervistati ha affermato di recarvisi più di una
volta al mese e considerando la periodicità con cui viene svolto può essere considerato
un dato positivo. Inoltre per alcune categorie di consumatori con reddito medio-basso
risulta essere il punto di riferimento principale per gli acquisti consentendo loro di
trovare articoli di qualità a prezzi contenuti. Del mercato i consumatori apprezzano la
convenienza economica, la possibilità di trovare in un unico luogo molte tipologie di
prodotti diversi e la qualità. Merita ancora una volta sottolineare il fatto che il 20% dei
consumatori appartenenti al campione ritiene che il mercato non presenti alcun aspetto
negativo e soprattutto gli operatori ambulanti dovrebbero interpretare positivamente
questo dato nei riguardi della loro offerta e continuare a svolgere il loro mestiere con
passione, nonostante il difficile momento di recessione che il Paese sta vivendo e che ha
colpito anche loro. Nonostante gli aspetti positivi notevoli che il mercato riveste tuttavia
vi sono delle problematiche che devono essere al più presto risolte e sulle quali
soprattutto l’amministrazione comunale deve interrogarsi. E’ necessario trovare una
soluzione al problema del difficile accesso al mercato e della mancanza di parcheggi,
lamentata sia da venditori su area pubblica che da consumatori. L’amministrazione
comunale potrebbe provare ad individuare aree maggiormente idonee al suo
svolgimento oppure se ciò non è possibile cercare di intensificare le corse degli autobus
diretti al mercato. Poi dovrebbe tenere in debita considerazione la proposta innovativa
ma soprattutto “amica dell’ambiente” suggerita dal 12% degli operatori intervistati e
cioè quella di installare coperture del mercato con pannelli solari, in questo modo oltre a
garantire un maggior afflusso di clientela al mercato il Comune avrebbe a disposizione
energia che potrebbe fornire sia agli operatori che ai cittadini. Altro problema che non
può più attendere di essere risolto è rappresentato dall’abusivismo che danneggia
enormemente gli operatori regolari perché sottrae loro clientela ma che può costituire un
danno anche per i consumatori che potrebbero acquistare merce di provenienza illecita
senza saperlo o merce dannosa per la loro salute perché non costruita in base a
normative nazionali o internazionali di sicurezza. Legato a questo problema vi è anche
151
quello della sicurezza, come i furti, lamentato dal 43% degli operatori intervistati e che
sia l’amministrazione comunale che le forze dell’ordine dovrebbero risolvere al più
presto, anche semplicemente effettuando giri di perlustrazione per scoraggiare i
malfattori. Dal canto loro i venditori su area pubblica dovrebbero mettere in atto
politiche di marketing sia a livello di singolo banco che soprattutto di mercato cercando
di evidenziare i suoi punti di forza nei riguardi, in primis, dei centri commerciali che
risultano essere i principali concorrenti del mercato come affermato da consumatori e
operatori, ma anche nei riguardi di altre forme distributive poiché il consumatore
differenzia molto i suoi acquisti.
152
Indagine sul comportamento del consumatore nel settore del commercio
ambulante
Il presente questionario ha come obiettivo l’analisi del comportamento dei consumatori nel
momento in cui decidono di recarsi al mercato.
Le informazioni fornite resteranno assolutamente anonime e saranno usate esclusivamente
per la stesura di una tesi di laurea magistrale svolta da una studentessa del Dipartimento di
“Economia e management” dell’Università di Pisa.
La ringrazio in anticipo per il contributo che darà per questa indagine.
Sezione 1: Comportamento del consumatore al mercato
1) Quante volte in un mese si reca al mercato?
a) Meno di una volta al mese;
b) 1-2 volte al mese;
c) 3-4 volte al mese;
d) 5-6 volte al mese;
e) 7-8 volte al mese;
f) Più di 8 volte al mese
2) Quali sono le ragioni che la spingono a frequentare il mercato? (max 2 risposte)
a) Per svagarsi/passare il tempo;
b) Per socializzare;
c) Per curiosare e se c’è qualcosa che le piace acquistare;
d) Per fare acquisti mirati;
e) Altro(specificare)_________________________________
3) Secondo lei, quali sono gli aspetti positivi del mercato? (max 4 risposte)
a) La qualità dell’offerta;
b) La freschezza e genuinità dei prodotti alimentari;
c) La possibilità di avere un’offerta variegata;
d) La convenienza economica;
e) Il rapporto umano che si instaura con l’ambulante;
f) La possibilità di toccare la merce (per i prodotti non alimentari);
g) Altro (specificare)__________________________
h) Non ha alcun aspetto positivo
4) Secondo lei, quali sono gli aspetti negativi del mercato? (max 2 risposte)
a) L’offerta non è di qualità;
b) Difficoltà nel trovare parcheggio/di accesso al mercato;
c) E’ troppo dispersivo;
d) C’è troppa confusione;
e) L’offerta non è molto variegata;
f) Poca convenienza economica;
g) C’è poca sicurezza (per esempio furti);
h) Ci sono ambulanti abusivi;
i) Altro (specificare)__________________________
j) Non ha alcun aspetto negativo
153
5) Tra le seguenti categorie di prodotti, quali acquista?
a) Abbigliamento e accessori;
b) Calzature;
c) Articoli per la casa;
d) Alimentari(frutta e verdura);
e) Alimentari(salumi, formaggi);
f) Alimentari(pesce);
g) Fiori e piante;
h) Altro(specificare)________________;
i) Non acquisto nessun prodotto (vai alla domanda 7)
6) Indichi il grado d’importanza (dal più importante al meno importante) di ogni acquisto
(es. 1 Frutta e verdura, 2 Abbigliamento, ecc) _____________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________
7) Perché non effettua alcun acquisto al mercato? _____________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________
8) Chi sono i diretti concorrenti del mercato per lei? (max 2 risposte)
a) Negozi tradizionali;
b) Centri commerciali;
c) Supermercati;
d) Discount;
e) Outlet (per l’abbigliamento e accessori);
f) Altri mercati ambulanti;
g) Altro (specificare)________________
9) Secondo lei, il mercato ha bisogno di miglioramenti?
a) Si (vai alla domanda 10);
b) No (vai alla domanda 11)
10) Quali miglioramenti sarebbero necessari? (max 2 risposte)
a) Spostare il mercato in una zona della città più facilmente accessibile,con maggiore
possibilità di parcheggio;
b) Installare tendoni per poter venire al mercato anche con le intemperie;
c) Riduzione del numero di banchi;
d) Ampliamento del numero di banchi;
e) Diversa disposizione dei banchi;
f) Altro (specificare)________________________________________
154
Sezione 2: Dati generali
11) Sesso:
a) maschio;
b) femmina.
12) Fascia d’età:
a) 15-34 anni;
b) 35-54 anni;
c) 55-65 anni;
d) Più di 65 anni
13) Professione lavorativa:
a) In cerca di occupazione;
b) Operaio/a;
c) Insegnante;
d) Dirigente;
e) Libero professionista;
f) Impiegato/a;
g) Artigiano/a;
h) Commerciante;
i) Studente/studentessa;
j) Casalinga;
k) Pensionato/a;
l) Altro(specificare)_____________
14) Titolo di studio:
a) Licenza elementare;
b) Licenza media inferiore;
c) Licenza media superiore;
d) Laurea triennale;
e) Laurea specialistica/magistrale;
f) Altro(specificare)______________
Il/La sottoscritto/a, acquisite le informazioni di cui all’art. 13 della D. Lgs. 196/2003, ai sensi
dell’art. 23 della legge stessa conferisce il proprio consenso al trattamento dei propri dati personali.
155
Indagine rivolta ad evidenziare le principali caratteristiche
degli operatori del settore del commercio ambulante
Il presente questionario ha come obiettivo l’analisi delle caratteristiche degli operatori
che svolgono la loro attività nel settore del commercio ambulante con riferimento al
mercato di Pisa.
Le informazioni fornite resteranno assolutamente anonime e saranno usate
esclusivamente per la stesura di una tesi di laurea magistrale svolta da una studentessa
del Dipartimento di “Economia e management” dell’Università di Pisa.
La ringrazio in anticipo per il contributo che darà per questa indagine.
Sezione 1: Caratteristiche degli operatori ambulanti
1) Quanti giorni lavora durante la settimana?
a) 6 giorni;
b) 4-5 giorni;
c) 2-3 giorni;
d) Meno di 2 giorni;
2) Quanti mercati frequenta durante la settimana?
_______mercati
3) Quali?
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
4) Da quanti anni svolge questo mestiere?
_______anni
5) Perché ha deciso di intraprendere questo mestiere?
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
6) Fatto 100 il numero di clienti che frequentano il mercato,indichi le percentuali di
composizione della clientela (esempio: occasionale 30% abituale 70%, oppure se non vi
è alcun cliente occasionale o abituale indichi 0%):
a) Abituale___;
b) Occasionale___
7) Nel corso degli ultimi due anni la clientela di questo mercato è:
a) Aumentata;
b) Diminuita;
c) Rimasta pressoché invariata
156
8) Chi sono i diretti concorrenti del mercato per lei? (max 2 risposte)
h) Negozi tradizionali;
i) Centri commerciali;
j) Supermercati;
k) Discount;
l) Outlet (per l’abbigliamento e accessori);
m) Altri mercati ambulanti;
n) Altro (specificare)________________
9) Secondo lei, quali sono gli aspetti positivi del mercato? (max 4 risposte)
i) La qualità dell’offerta;
j) La freschezza e genuinità dei prodotti alimentari;
k) La possibilità di avere un’offerta variegata;
l) La convenienza economica;
m) Il rapporto umano che si instaura con l’ambulante;
n) La possibilità di toccare la merce (per i prodotti non alimentari);
o) Altro (specificare)__________________________
p) Non ha alcun aspetto positivo
10) Secondo lei, quali sono gli aspetti negativi del mercato? (max 2 risposte)
k) L’offerta non è di qualità;
l) Difficoltà nel trovare parcheggio/di accesso al mercato;
m) E’ troppo dispersivo;
n) C’è troppa confusione;
o) L’offerta non è molto variegata;
p) Poca convenienza economica;
q) C’è poca sicurezza (per esempio furti);
r) Ci sono ambulanti abusivi;
s) Altro (specificare)__________________________
t) Non ha alcun aspetto negativo
11) Secondo lei, il mercato ha bisogno di miglioramenti?
c) Si (vai alla domanda 12);
d) No (vai alla domanda 13)
12) Quali miglioramenti sarebbero necessari?
______________________________________________________________________
__________________________________________________________________
______________________________________________________________________
_________________________________________________________________
______________________________________________________________________
157
Sezione 2: Dati generali
13) Sesso:
a) maschio;
b) femmina.
14) Fascia d’età:
a) 18-34 anni;
b) 35-54 anni;
c) 55-65 anni;
d) Più di 65 anni
15) Titolo di studio:
a) Licenza elementare;
b) Licenza media inferiore;
c) Licenza media superiore;
d) Laurea triennale;
e) Laurea specialistica/magistrale;
f) Altro(specificare)______________
16) Nazionalità:
a) Italiana;
b) Straniera(specificare)_____________
Il/La sottoscritto/a, acquisite le informazioni di cui all’art. 13 della D. Lgs. 196/2003, ai sensi
dell’art. 23 della legge stessa conferisce il proprio consenso al trattamento dei propri dati
personali.
158
Bibliografia
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- Coreglia Antelminelli patria del figurinaio, P. Tagliasacchi;
- Gazzetta ufficiale del Regno D’Italia del 20 luglio 1940 n° 169;
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Infelise, Ghedina e Tassotti edizioni, 1990;
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regolamento di esecuzione della legge 112/1991, Gianfranco Cardosi, Maggioli
edizioni, 1993;
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- Pietro Leopoldo D’Asburgo Lorena. Relazioni sul governo della Toscana,
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- Statistical methods for the social sciences; A.Agresti,B.Finlay;4th
edition;
Pearson Prentice Hall; 2009;
- Storia di Barga, B.Sereni, Notiziario Filatelico Numismatico, anno XXV n° 3,
ottobre 1985;
- Sulle strade del commercio ambulante. L’emigrazione toscana nella prima metà
del XX secolo, Giampaolo Giampaoli, Erreci edizioni, 2011.
Risorse web
- http://augusto.digitpa.gov.it/;
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- http://processo_esecuzione.diritto.it/docs/29884-la-metamorfosi-del-commercio-
su-aree-pubbliche-come-hanno-inciso-la-direttiva-sui-servizi-ed-il-mercatino-
del-biologico;
- http://www.banchedati.ilsole24ore.com/doc.get?uid=sole-SS20130524041CAA;
- http://www.comune.pisa.it/it/ufficio-scheda/6834/Mercato.html;
- http://www.fiva.it/news_436_tutti_i_documenti_del.asp;
- http://www.laportadeltirreno.it/rubriche-aziende/il-mercato-centrale-di-livorno;
- http://www.regione.toscana.it/burt;
- http://www.sba.unipi.it/;
- http://www.treccani.it/;
- http://www.wakeupnews.eu/consumi-alimentari-in-calo-lallarme-della-
coldiretti/.
160
Ringraziamenti
Questo lavoro di ricerca è stato il frutto non solo dei miei sacrifici ma anche del lavoro
di tante altre persone che hanno contribuito alla sua realizzazione e per questo motivo
voglio dire grazie a:
- Il Professor Roberto Sbrana, per i consigli che mi ha fornito durante la stesura
della tesi e per averla puntualmente corretta e migliorata;
- La Professoressa Monica Pratesi, per l’aiuto che mi ha dato relativamente alla
parte statistica della ricerca;
- I venditori su area pubblica del mercato di via Alberto Paparelli e i consumatori
che hanno deciso di partecipare alle interviste, senza il loro contributo lo
svolgimento di questa ricerca non sarebbe stato possibile;
- La Dottoressa Rosalinda Bruno, per aver predisposto il programma con cui
caricare on-line le versioni dei questionari dei consumatori e dei venditori su
area pubblica;
- I dipendenti dell’Ufficio Sviluppo Attività Produttive dei Comuni di Pisa,
Cascina e Pontedera, per avermi fornito le informazioni relative ai mercati che si
svolgono nei suddetti Comuni;
- Tutte le persone che mi hanno supportato e sopportato durante la redazione della
tesi, specialmente i miei genitori.