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Amianto a Monfalcone LE VEDOVE DEI LAVORATORI FINCANTIERI IN SIT IN PER DUE MESI DAVANTI AL COMUNE FRANCESCA LONGO - TRIESTE . "Donne in nero" lo erano già. Vedove. Donne cui le polveri d'amianto hanno ucciso per mesotelioma della pleura il marito, lavoratore della Fincantieri o dell'indotto. Da giovedì pomeriggio, per almeno due mesi, tutte le settimane dalle 16 alle 18, sono "donne in nero" davanti al Comune di Monfalcone, in provincia di Gorizia, testimoni di un'ingiustizia che pone mercato e profitto al di sopra del diritto alla vita e alla salute delle persone. E il loro silenzio pubblico parla per le vittime innocenti, per quel silenzio omertoso che per anni ha coperto chi non ha mai pagato per la loro morte. Sono già una ventina le vedove monfalconesi costituitesi parte lesa nel processo penale intentato contro Fincantieri da tre mogli di vittime dell'asbestosi che accusano l'azienda di 'omicidio colposo plurimo, omissione di difesa e cautela contro gli infortuni sul lavoro e reato di "epidemia colposa". Sono state ricevute dal sindaco di Monfalcone, Persi, cui hanno esposto, affiancate dall'Aea (Associazione esposti amianto), il programma di iniziative intraprese (tra cui la raccolta di un centinaio di testimonianze da esibire nel corso dell'azione legale) e che intendono intraprendere. Tra cui, prossimamente, un'assemblea con una rappresentanza dell'Associazione familiari vittime dell'amianto di Casale Monferrato, nel quadro di un movimento di solidarietà in grado di superare anche la stessa situazione locale, trasferendola in un contesto più generale di rivendicazione sociale. Il sindaco ha ribadito la volontà dell'Amministrazione comunale di valutare la possibilità di presentarsi come parte lesa nel processo contro Fincantieri. Svincolate da qualsiasi etichetta partitica, queste donne sembrano riuscire a incrinare quella condizione d'intoccabilità che vantava la "company town" Monfalcone-Fincantieri. Ma non vi sono arrivate dal nulla. A Monfalcone la "vicenda amianto" non nasce, come purtroppo talvolta accade, come "monetizzazione della salute" o "escamotage per prepensionamenti". Nel 1994 Duilio Castelli, ex dipendente delle ditte esterne di coibentazione in amianto sulle navi in costruzione presso i cantieri, malato di asbestosi dal 1970, fonda la sezione locale dell'Aea, con lo scopo prioritario di controllare la messa al bando dell'asbesto e tutelare i diritti di chi ne era rimasto vittima. Organizza e informa: in vent'anni nella cittadina dei cantieri, circa 30.000 abitanti, sono morte

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Amianto a MonfalconeLE VEDOVE DEI LAVORATORI FINCANTIERI IN SIT IN PER DUE MESI DAVANTI AL COMUNE

FRANCESCA LONGO - TRIESTE . "Donne in nero" lo erano già. Vedove. Donne cui le polveri d'amianto hanno ucciso per mesotelioma della pleura il marito, lavoratore della Fincantieri o dell'indotto. Da giovedì pomeriggio, per almeno due mesi, tutte le settimane dalle 16 alle 18, sono "donne in nero" davanti al Comune di Monfalcone, in provincia di Gorizia, testimoni di un'ingiustizia che pone mercato e profitto al di sopra del diritto alla vita e alla salute delle persone. E il loro silenzio pubblico parla per le vittime innocenti, per quel silenzio omertoso che per anni ha coperto chi non ha mai pagato per la loro morte. Sono già una ventina le vedove monfalconesi costituitesi parte lesa nel processo penale intentato contro Fincantieri da tre mogli di vittime dell'asbestosi che accusano l'azienda di 'omicidio colposo plurimo, omissione di difesa e cautela contro gli infortuni sul lavoro e reato di "epidemia colposa". Sono state ricevute dal sindaco di Monfalcone, Persi, cui hanno esposto, affiancate dall'Aea (Associazione esposti amianto), il programma di iniziative intraprese (tra cui la raccolta di un centinaio di testimonianze da esibire nel corso dell'azione legale) e che intendono intraprendere. Tra cui, prossimamente, un'assemblea con una rappresentanza dell'Associazione familiari vittime dell'amianto di Casale Monferrato, nel quadro di un movimento di solidarietà in grado di superare anche la stessa situazione locale, trasferendola in un contesto più generale di rivendicazione sociale. Il sindaco ha ribadito la volontà dell'Amministrazione comunale di valutare la possibilità di presentarsi come parte lesa nel processo contro Fincantieri. Svincolate da qualsiasi etichetta partitica, queste donne sembrano riuscire a incrinare quella condizione d'intoccabilità che vantava la "company town" Monfalcone-Fincantieri. Ma non vi sono arrivate dal nulla. A Monfalcone la "vicenda amianto" non nasce, come purtroppo talvolta accade, come "monetizzazione della salute" o "escamotage per prepensionamenti". Nel 1994 Duilio Castelli, ex dipendente delle ditte esterne di coibentazione in amianto sulle navi in costruzione presso i cantieri, malato di asbestosi dal 1970, fonda la sezione locale dell'Aea, con lo scopo prioritario di controllare la messa al bando dell'asbesto e tutelare i diritti di chi ne era rimasto vittima. Organizza e informa: in vent'anni nella cittadina dei cantieri, circa 30.000 abitanti, sono morte per mesotelioma della pleura quasi 500 persone. Il problema è di tale rilevanza e gravità per cui sono poche le famiglie che non annoverano tra parenti e conoscenti una persona che non sia ammalata o morta per l'inalazione delle fibre d'amianto. Racconta un anziano "picchettino", ammalato: "Una volta non c'erano mascherine o aspiratori. Scendevi nel camino e battevi per otto, nove ore, respirando le polveri a pieni polmoni.. Eppure già dagli anni '30 si conoscevano i rischi che si correva". A Monfalcone s'è continuato a sottovalutarli ben oltre la metà degli anni '80 e pertanto si è continuato a lavorare fuori dalle norme di sicurezza. Dati i tempi di latenza del mesotelioma, l'Aea prevede che vi saranno vittime dell'amianto almeno fino al 2020. Da Monfalcone la questione si estende a tutta la fascia costiera del nord est. Se la legge del '92 ha riconosciuto dei diritti a tutti i lavoratori esposti all'amianto, essa viene applicata solo a quelle categorie che fanno riferimento all'Inail. Marittimi e ferrovieri, ad esempio, nonostante abbiamo lavorato a diretto contatto con l'amianto, ne sono esclusi. E sono circa seimila le pratiche individuali seguite da un avvocato di Padova, Amedeo Zamboni, intentate da singoli cittadini del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia. Ricorda Radovini, dell'Aea di Trieste: "Ci battiamo non per monetizzare la salute, quella non si vende e non si compra. Ma la legge deve valere anche per chi stava a contatto con l'amianto in sala macchine di una nave, magari per più dei dieci anni previsti". E' pensionato, la sua è una battaglia in difesa del diritto.

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Il Manifesto 1 Ott 2000

OPERAIO MORTO PER L'AMIANTO

Gli infortuni sul lavoro sono stati anche il tema dominante delle udienze preliminari in programma ieri dal gip. Singolare il caso di un artigiano di Camandona, Fernando Moretti, che ha patteggiato una condanna ad un anno di reclusione (ovviamente con i benefici) per il decesso di un dipendente, attribuibile alla respirazione di polveri di amianto. Secondo il capo d’imputazione la morte dell’operaio riquadratore Albino Graziano, impiegato nell’azienda Moretti dal maggio ‘72 al marzo ‘92, sarebbe stata cagionata da un male incurabile (mesotalioma pleurico) derivato appunto dalla vicinanza con questo pericoloso silicato. ……

La Stampa 24 Gennaio 2001

OFFICINE CASARALTA, 15 MORTI PER AMIANTO: DOMANI IL PROCESSO

L'amianto-killer delle Officine Casaralta entrerà domani in un'aula di tribunale. Davanti al giudice monocratico di Bologna comincerà il processo a Giorgio Regazzoni, amministratore delegato delle officine dal 1960 al 1975, e a Carlo Farina, direttore generale con delega per la sicurezza sul lavoro. Per loro l'accusa è di omicidio colposo.Sono almento 15 i lavoratori delle officine Casaralta di Bologna, ora fallite, morti per gli effetti dell'esposizione all'amianto con cui erano a contatto per coibentare le carrozze delle ferrovie. Domani, ai due dirigenti verranno contestati sei morti, quattro presenti nel rinvio a giudizio, più due lavoratori morti nel frattempo. Probabilmente, però, per una modifica intervenuta della procedura penale gli atti torneranno alla procura che così nel frattempo potrebbe contestare tutti e 15 i casi: 13 sono segnalati in un rapporto della medicina del lavoro inviato in procura a fine '97, e gli altri due riguardano i lavoratori morti successivamente. L'esposizione all'amianto - come ormai viene segnalato da molti anni (agli atti del processo c'è una rivista medica americana del 1930 che segnala il pericolo) - provoca il mesotelioma alla pleura, un tumore maligno che dà poche speranze. E l'accusa verso i dirigenti della Casaralta è proprio quella - secondo il rinvio a giudizio formulato dal pm Stefano Orsi - di non aver messo al corrente i lavoratori dei rischi ai quali erano quotidianamente esposti per le mansioni che erano state loro affidate. Inoltre, sempre secondo l'accusa, hanno omesso di rendere informati i lavoratori dei modi per prevenire i danni connessi al tipo di lavorazione e quindi non hanno fornito i mezzi di protezione. Infine gli ambienti di lavoro non hanno avuto quei sistemi necessari a impedire o ridurre il sollevamento e la diffusione di polveri di amianto. Il grande rischio, infatti, è quello di respirare le polveri di amianto che una volta nei polmoni, dopo una latenza di 15-30 anni dalla prima esposizione, provoca il mesotelioma. Tra gli atti del processo c'è anche la testimonianza drammatica di un lavoratore, poi morto, che ha raccontato di una occasione in cui, per errore, dell'amianto gli finì spruzzato in faccia. Andò per lavarsi, ma al ritorno venne mandato a rapporto dal caporeparto perchè si era allontanato. "Si tratta di un processo difficile e complesso - ha spiegato l' avvocato Passanti Scota - di cui forse i giudici non si sono resi conto". Il riferimento del legale è al fatto che il processo ha stentato a tradurre le varie segnalazioni delle morti che giungevano da Usl e Inail in un fascicolo unitario. I casi di morti dovute all'amianto sono stati trattati da almeno cinque- sei pubblici ministeri della vecchia procura circondariale. Intanto non è escluso che l'attuale procura unica (in aula andrà il pm Lazzarini), una volta che avrà tutti e 15 i casi nel capo di imputazione, riformuli l'accusa modificandola in quella più grave di omicidio colposo plurimo aggravato. (Lic)

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La Repubblica - Cronaca di Bologna 6 Marzo 2001

Il processo Casaralta dura un quarto d'ora Subito rinviato per un difetto di notifica, l'ira dei parenti dei 6 operai morti STRAGE DELL'AMIANTO E' RISCHIO PRESCRIZIONE

JENNER MELETTI . In un'aula di giustizia non erano mai entrati. Pensavano fosse come nei film, con l'accusa e la difesa che parlano con parole solenni davanti al giudice che assiste impassibile. Mogli, figli e figlie dei morti d'amianto alla Casaralta si trovano invece in una affollatissima «udienza di smistamento», dove si decide la sorte di 33 processi con 53 imputati. Cinque ore e quarantacinque minuti seduti sulle panche di legno, lì ad aspettare. Il processo per questa nuova strage di Bologna inizia alle 14,45 e finisce in un quarto d'ora. Un ufficiale giudiziario ha consegnato in ritardo una notifica, e tutto salta. Gli atti tornano al Pubblico ministero, che dovrà inviare nuove notifiche. Si dovranno aspettare almeno due mesi, prima di trovarsi in un'aula come questa, e lì attendere la data di inizio del processo vero. Se prima non scadranno i termini. Meritavano una giornata diversa, i familiari dei morti d'amianto. Si erano messi il vestito migliore, per rispettare la memoria dei loro cari. Dentro, una grande voglia di raccontare al giudice in che modo il lavoro in fabbrica si è trasformato in tragedia. E invece le ore passano, e dal processo al marocchino preso con 40 grammi di coca si passa a quello del truffatore, dalle remissioni di querela si salta al patteggiamento per oltraggio. «Ci vuole pazienza», dice Giovanna Griggio, moglie di Pietro Barilli, morto il 17 febbraio 1998. «Ha lavorato alla Casaralta solo cinque anni, poi è passato alla Weber, ma non si è salvato. Erano in tre, mi raccontava, a fare lo stucco sui vagoni ferroviari. Quando lui se n'è andato, sono andata a cercare i suoi amici. Ho trovato altre vedove e orfani, erano già morti anche loro. Sì, lui era quello che aveva preso la multa perché era andato a lavarsi la faccia dopo essere stato colpito da un getto di amianto. Quella sera quasi piangeva. Oggi ho lavorato per niente, diceva». Nell'aula colma di avvocati si ride anche, quando il giudice dice che il tale ha mandato a dire che è malato ma non ha il certificato, e che «forse» chiederà il patteggiamento. Maria Luciani, moglie di Alfiero Reali, sta stretta alla figlia Graziella. «Mi viene una grande rabbia dentro, quando penso alle sofferenze di mio marito. Era ancora giovane, ma in fabbrica non riusciva a respirare. Andava dal medico della mutua, e questo diceva: è esaurimento nervoso. A volte stava a casa per settimane e per mesi, perché gli mancava il fiato. La cosa che mi fa più rabbia è che lo facevano passare per lavativo, e invece stava già morendo». Ogni tanto si esce dall'aula, quando il giudice si ritira per decidere su un pacco di sentenze. «E' qui il processo per l'amianto? Sapete, anche mio padre è morto per un mesotelioma pleurico. Si chiamava Cesare Olivieri, aveva 80 anni e se n'è andato a luglio». Pietro Olivieri racconta che quando il padre era in chemioterapia, trovò un amico che aveva lavorato alla Casaralta solo per pochi mesi e poi aveva fatto il bidello. «Anche lui non ce l'ha fatta. E' possibile entrare nel processo? Voglio ricordare mio padre, e tutte le persone che hanno sofferto troppo. Ci sono anche quelli che ancora vivono, e lucidamente aspettano una morte certa. Non è possibile che tutto questo sia avvenuto per caso». Arrivano Giacomo Simoni, sindaco di Minerbio e Guido Canova, ex operai con 35 anni di Casaralta alle spalle. «Potremmo chiamarci "i sopravvissuti", toccando ferro. Di amianto e di salute in fabbrica si è cominciato a parlare negli anni ‘80, non prima. La Casaralta aveva chiuso nel ‘50, e aveva poi riassunto solo la metà degli 800 operai. Altri tagli nel ‘66. Insomma, il primo pensiero era il posto di lavoro. Fino agli anni ‘70 c'era un clima pesante, gerarchico. Ti davano la multa se fumavi o se mangiavi un panino. In certi capannoni non c'era il pavimento, solo terra battuta, e non si facevano pulizie, così l'amianto restava. Poi sono entrati i giovani, qualcosa è cambiato. Dopo il 1980 sono

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apparse le prime ricerche de professor Cesare Maltoni, ma per tanti di noi era troppo tardi». C'è anche Daniela Regazzoni, figlia di Giorgio, l'ex padrone della Casaralta oggi imputato. «Noi non abbiamo mai saputo. Quando ero neonata, misero una lastra d'amianto vicino alla culla, per mantenere il caldo. Né i ministeri né la Usl ci dissero nulla della pericolosità dell'amianto. Credo con il processo si possa trovare un capro espiatorio, non un colpevole». Nessun pericolo, per ora. Si rinvia e poi si vedrà. Solo per gli ex operai che hanno scoperto di avere le fibre di vetro nei polmoni non ci sarà alcuna «prescrizione».

La Repubblica - Cronaca di Bologna 6 Marzo 2001

Ma gli operai uccisi sono almeno quindici Imputati per omicidio colposo l'amministratore delegato e il direttore AMIANTO ALLA CASARALTA. PROCESSO PER SEI MORTI

CARLO GULOTTA . HANNO toccato e respirato veleno per trent'anni. L'amianto è entrato pian piano nei loro polmoni. Li ha fatti ammalare. Li ha uccisi mentre lavoravano. Un killer insidioso, lento, implacabile. Un nemico che ha ammazzato quindici volte e che nessuno ha saputo o voluto fermare. Un nemico che ora pianta la bandierina di fabbricakiller sul tetto di una delle aziende più note diBologna: le Officine Casaralta di via Ferrarese, vanto della meccanica made in Due Torri dalle cui linee produttive sono uscite centinaia di carrozze ferroviarie. Questa mattina l'amministratore delegato e il direttore generale dell'azienda (nel frattempo passata di mano e avviata al fallimento) andranno alla sbarra, imputati per omicidio colposo: Giorgio Regazzoni e Carlo Farina devono rispondere della morte per mesotelioma pleurico (un tumore ai polmoni incurabile) di sei operai dell'azienda. Due di loro erano ancora in vita quando venne aperto il fascicolo in Procura, quattro anni fa. L'asbesto li ha ammazzati nel frattempo, mentre quel fascicolo – chissà perché – passava per le mani di cinque sostituti. Sei vittime, ma i morti per il lavoro alla Casaralta sono molti di più. Quindici, secondo il rapporto del servizio di medicina del lavoro, che ha fatto aprire l'inchiesta attraverso il monitoraggio della salute degli operai nella fabbrica di via Ferrarese. E i decessi, sospettano in Procura, potrebbero essere addirittura una cinquantina se venissero conteggiate anche le persone morte per tumore ai polmoni nel 7corso delle lavorazioni congiunte con le Fs. Una strage. Stamattina, assistiti dall'avvocato Elena Passanti Scota, in aulaci saranno i familiari delle sei persone uccise dal mesotelioma. Ci saranno anche Giovanna e Marco, moglie e figlio di Pietro Barilli. Un giorno di tanti anni fa, mentre lavorava con l'amianto per coibentare una carrozza, Pietro si sporcò il viso. Corse in bagno per lavarsi via il veleno dalla faccia, sapeva che quella roba avrebbe potuto fargli male. L'amministratore delegato se ne accorse e segnalò il suo comportamento al caporeparto, che lo punì. Poteva esserci salvezza, per i dannati della Casaralta? Si sarebbe potuto fare di più per metterli al riparo dai rischi, dalla morte in nome del lavoro? Il pm Stefano Orsi, che ha firmato il decreto di rinvio a giudizio, sta ai fatti. Sostiene che Regazzoni e Farina (quest'ultimo responsabile anche della sicurezza sul lavoro) per colpa, negligenza e imperizia avrebbero cagionato la morte di sei lavoratori. Non spiegarono quali rischi correvano durante il lavoro. «Omisero di renderli edotti dei modi per prevenire i danni connessi al tipo di lavorazione, di fornire i mezzi necessari di protezione, omettendo inoltre di mantenere puliti i locali di lavoro, onde evitare il sollevamento di polveri». Non solo. Secondo il magistrato, non adottarono nemmeno i provvedimenti consentiti

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dall'evoluzione tecnica per ridurre la diffusione delle polveri in fabbrica. Nel nostro paese l'asbesto è stato messo fuori legge nel 1992, dalla legge 257. Per un certo periodo le fabbriche in cui veniva impiegato dovevano pagare dei «sovrappremi» all'Inail proprio per il pericolo di asbestosi ai quali erano esposti i dipendenti. Le prime segnalazioni sulla pericolosità dell'amianto per la salute umana risalgono agli anni Trenta. A Bologna il primo rapporto delle autorità sanitarie porta la data del '91. Alle Officine Casaralta di via Ferrarese, in trent'anni, l'amianto ha ammazzato quindici volte. Forse molto, molto di più.

La Repubblica - Cronaca di Bologna 6 Marzo 2001

Il processo Casaralta dura un quarto d'ora Subito rinviato per un difetto di notifica, l'ira dei parenti dei 6 operai morti STRAGE DELL'AMIANTO E' RISCHIO PRESCRIZIONE

JENNER MELETTI . In un'aula di giustizia non erano mai entrati. Pensavano fosse come nei film, con l'accusa e la difesa che parlano con parole solenni davanti al giudice che assiste impassibile. Mogli, figli e figlie dei morti d'amianto alla Casaralta si trovano invece in una affollatissima «udienza di smistamento», dove si decide la sorte di 33 processi con 53 imputati. Cinque ore e quarantacinque minuti seduti sulle panche di legno, lì ad aspettare. Il processo per questa nuova strage di Bologna inizia alle 14,45 e finisce in un quarto d'ora. Un ufficiale giudiziario ha consegnato in ritardo una notifica, e tutto salta. Gli atti tornano al Pubblico ministero, che dovrà inviare nuove notifiche. Si dovranno aspettare almeno due mesi, prima di trovarsi in un'aula come questa, e lì attendere la data di inizio del processo vero. Se prima non scadranno i termini. Meritavano una giornata diversa, i familiari dei morti d'amianto. Si erano messi il vestito migliore, per rispettare la memoria dei loro cari. Dentro, una grande voglia di raccontare al giudice in che modo il lavoro in fabbrica si è trasformato in tragedia. E invece le ore passano, e dal processo al marocchino preso con 40 grammi di coca si passa a quello del truffatore, dalle remissioni di querela si salta al patteggiamento per oltraggio. «Ci vuole pazienza», dice Giovanna Griggio, moglie di Pietro Barilli, morto il 17 febbraio 1998. «Ha lavorato alla Casaralta solo cinque anni, poi è passato alla Weber, ma non si è salvato. Erano in tre, mi raccontava, a fare lo stucco sui vagoni ferroviari. Quando lui se n'è andato, sono andata a cercare i suoi amici. Ho trovato altre vedove e orfani, erano già morti anche loro. Sì, lui era quello che aveva preso la multa perché era andato a lavarsi la faccia dopo essere stato colpito da un getto di amianto. Quella sera quasi piangeva. Oggi ho lavorato per niente, diceva». Nell'aula colma di avvocati si ride anche, quando il giudice dice che il tale ha mandato a dire che è malato ma non ha il certificato, e che «forse» chiederà il patteggiamento. Maria Luciani, moglie di Alfiero Reali, sta stretta alla figlia Graziella. «Mi viene una grande rabbia dentro, quando penso alle sofferenze di mio marito. Era ancora giovane, ma in fabbrica non riusciva a respirare. Andava dal medico della mutua, e questo diceva: è esaurimento nervoso. A volte stava a casa per settimane e per mesi, perché gli mancava il fiato. La cosa che mi fa più rabbia è che lo facevano passare per lavativo, e invece stava già morendo». Ogni tanto si esce dall'aula, quando il giudice si ritira per decidere su un pacco di sentenze. «E' qui il processo per l'amianto? Sapete, anche mio padre è morto per un mesotelioma pleurico. Si chiamava Cesare Olivieri, aveva 80 anni e se n'è andato a luglio». Pietro Olivieri racconta che quando il padre era in chemioterapia, trovò un amico che aveva lavorato alla Casaralta solo per pochi mesi e poi aveva fatto il bidello. «Anche lui non ce l'ha fatta. E' possibile entrare nel processo? Voglio ricordare mio padre, e tutte le persone che hanno sofferto troppo. Ci sono anche quelli che ancora vivono, e lucidamente aspettano una morte certa. Non è possibile che tutto questo sia avvenuto per caso». Arrivano Giacomo Simoni, sindaco di Minerbio e Guido Canova, ex operai con 35

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anni di Casaralta alle spalle. «Potremmo chiamarci "i sopravvissuti", toccando ferro. Di amianto e di salute in fabbrica si è cominciato a parlare negli anni ‘80, non prima. La Casaralta aveva chiuso nel ‘50, e aveva poi riassunto solo la metà degli 800 operai. Altri tagli nel ‘66. Insomma, il primo pensiero era il posto di lavoro. Fino agli anni ‘70 c'era un clima pesante, gerarchico. Ti davano la multa se fumavi o se mangiavi un panino. In certi capannoni non c'era il pavimento, solo terra battuta, e non si facevano pulizie, così l'amianto restava. Poi sono entrati i giovani, qualcosa è cambiato. Dopo il 1980 sono apparse le prime ricerche de professor Cesare Maltoni, ma per tanti di noi era troppo tardi». C'è anche Daniela Regazzoni, figlia di Giorgio, l'ex padrone della Casaralta oggi imputato. «Noi non abbiamo mai saputo. Quando ero neonata, misero una lastra d'amianto vicino alla culla, per mantenere il caldo. Né i ministeri né la Usl ci dissero nulla della pericolosità dell'amianto. Credo con il processo si possa trovare un capro espiatorio, non un colpevole». Nessun pericolo, per ora. Si rinvia e poi si vedrà. Solo per gli ex operai che hanno scoperto di avere le fibre di vetro nei polmoni non ci sarà alcuna «prescrizione».

La Repubblica - Cronaca di Bologna 6 Marzo 2001

Ma gli operai uccisi sono almeno quindici Imputati per omicidio colposo l'amministratore delegato e il direttore AMIANTO ALLA CASARALTA. PROCESSO PER SEI MORTI

CARLO GULOTTA . HANNO toccato e respirato veleno per trent'anni. L'amianto è entrato pian piano nei loro polmoni. Li ha fatti ammalare. Li ha uccisi mentre lavoravano. Un killer insidioso, lento, implacabile. Un nemico che ha ammazzato quindici volte e che nessuno ha saputo o voluto fermare. Un nemico che ora pianta la bandierina di fabbricakiller sul tetto di una delle aziende più note diBologna: le Officine Casaralta di via Ferrarese, vanto della meccanica made in Due Torri dalle cui linee produttive sono uscite centinaia di carrozze ferroviarie. Questa mattina l'amministratore delegato e il direttore generale dell'azienda (nel frattempo passata di mano e avviata al fallimento) andranno alla sbarra, imputati per omicidio colposo: Giorgio Regazzoni e Carlo Farina devono rispondere della morte per mesotelioma pleurico (un tumore ai polmoni incurabile) di sei operai dell'azienda. Due di loro erano ancora in vita quando venne aperto il fascicolo in Procura, quattro anni fa. L'asbesto li ha ammazzati nel frattempo, mentre quel fascicolo – chissà perché – passava per le mani di cinque sostituti. Sei vittime, ma i morti per il lavoro alla Casaralta sono molti di più. Quindici, secondo il rapporto del servizio di medicina del lavoro, che ha fatto aprire l'inchiesta attraverso il monitoraggio della salute degli operai nella fabbrica di via Ferrarese. E i decessi, sospettano in Procura, potrebbero essere addirittura una cinquantina se venissero conteggiate anche le persone morte per tumore ai polmoni nel 7corso delle lavorazioni congiunte con le Fs. Una strage. Stamattina, assistiti dall'avvocato Elena Passanti Scota, in aulaci saranno i familiari delle sei persone uccise dal mesotelioma. Ci saranno anche Giovanna e Marco, moglie e figlio di Pietro Barilli. Un giorno di tanti anni fa, mentre lavorava con l'amianto per coibentare una carrozza, Pietro si sporcò il viso. Corse in bagno per lavarsi via il veleno dalla faccia, sapeva che quella roba avrebbe potuto fargli male. L'amministratore delegato se ne accorse e segnalò il suo comportamento al caporeparto, che lo punì. Poteva esserci salvezza, per i dannati della Casaralta? Si sarebbe potuto fare di più per metterli al riparo dai rischi, dalla morte in nome del lavoro? Il

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pm Stefano Orsi, che ha firmato il decreto di rinvio a giudizio, sta ai fatti. Sostiene che Regazzoni e Farina (quest'ultimo responsabile anche della sicurezza sul lavoro) per colpa, negligenza e imperizia avrebbero cagionato la morte di sei lavoratori. Non spiegarono quali rischi correvano durante il lavoro. «Omisero di renderli edotti dei modi per prevenire i danni connessi al tipo di lavorazione, di fornire i mezzi necessari di protezione, omettendo inoltre di mantenere puliti i locali di lavoro, onde evitare il sollevamento di polveri». Non solo. Secondo il magistrato, non adottarono nemmeno i provvedimenti consentiti dall'evoluzione tecnica per ridurre la diffusione delle polveri in fabbrica. Nel nostro paese l'asbesto è stato messo fuori legge nel 1992, dalla legge 257. Per un certo periodo le fabbriche in cui veniva impiegato dovevano pagare dei «sovrappremi» all'Inail proprio per il pericolo di asbestosi ai quali erano esposti i dipendenti. Le prime segnalazioni sulla pericolosità dell'amianto per la salute umana risalgono agli anni Trenta. A Bologna il primo rapporto delle autorità sanitarie porta la data del '91. Alle Officine Casaralta di via Ferrarese, in trent'anni, l'amianto ha ammazzato quindici volte. Forse molto, molto di più.

La Repubblica - Cronaca di Bologna 6 Marzo 2001

La procura forma una task force per un censimento dei casi di malattia L'AMIANTO CHE UCCIDE: SEI NUOVI CASI NEL 2000

LUIGI SPEZIA . IL mesto censimento del «malaccio» che colpisce chi respira amianto si farà «con urgenza», anche con l'invito ai lavoratori malati e ai famigliari a farsi avanti al Dipartimento di Salute Pubblica (051.6079711). Verrà costituita una «task force» per conoscere meglio la dimensione del dramma, della «strage bianca», nonostante siano passati dieci, venti, forsepersino trent'anni da quando molti operai della Casaralta o dell'Officina Grandi Riparazioni delle Fs sono rimasti esposti al micidiale silicato. Proprio tra gli operai dell'Officina Fs, risultano sei nuovi casi di mesotelioma pleurico, il tumore da asbesto più tipico e più grave, denunciati nel 2000. E il dottor Vito Totire della Medicina del lavoro, consulente del giudiceveneziano Felice Casson per il caso Marghera e presidente dell'«Associazione nazionale esposti amianto», ne ha raccolti lì dentro due nuovissimi nell'ultima settimana: un caso di mesotelioma in un uomo di 49 anni e un caso di tumore ai polmoni, che ha appena denunciato all'Inail: «Nell'Officina c'è inoltre un eccesso di tumori al rene e di linfomi non Hodgkin», dice Totire. Ci sono diverse malattie tumorali correlate all'asbesto, talora non riconosciute o non dichiarate dai medici, e ci sono altre realtà a rischio oltre a Casaralta e Fs. Esiste per esempio un procedimento giudiziario per un paio di casi di malattie correlate all'amianto alla Breda Menarini, fabbrica di bus, dove decine di operai hanno chiesto o stanno per chiedere il riconoscimento anticipato della pensione. Nello zuccherificio di Molinella, inoltre, i casi di mesotelioma sono stati cinque. Ora il procuratore aggiunto Luigi Persico ha deciso di vederci chiaro e in modo completo, dopo il caos dei numeri all'apertura del processo Casaralta. Persico, come preannuciato ieri, ha mandato una direttiva alla Medicina del Lavoro dell'Asl, per chiedere la costituzione di una «speciale unità operativa per redigere con urgenza e con un impegno straordinario un completo elenco di tutti i lavoratori, a suo tempo addetti a lavorazioni con l'amianto, e a stabilire esattamente quanti decessi si sono verificati e quante malattie professionali sono state accertate» . Non è ancora quello che ha fatto il procuratore di Torino Guariniello, che ha scritto a tutti i medici per ricordare l'obbligo di referto in caso di malattie professionali, ricevendone oltre 4000 in tre anni e solo per cinque tipi di tumore, ma si tratta di un passo avanti notevole per avere un quadro «di un fenomeno di rilevante interesse sociale, che ha provocato danni a molte famiglie», scrive Persico. Invece dell'«esame caso per caso» dei tempi della vecchia Procura presso la Pretura, quando un giudice non sapeva che cosa

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faceva l'altro, parte un «pool» specializzato e unitario per fare una ricostruzione il più possibile esatta del rischio professionale da amianto. «Metto la mia professionalità adisposizione - dice Totire -. Se la Procura interviene, è per supplenza rispetto alla Regione che ha ritenuto inutile uno screening sul fenomeno, dopo aver detto di non essere sicura che serva. Bisogna invece costituire un osservatorio per i tumori professionali, non solo quelli da amianto. Avevo proposto una scheda per le anamnesi delle malattie professionali, ma non s'è fatta».

La Repubblica 11 Marzo 2001

Il paese seppellisce la fabbrica dei tumori . Dopo cinquecento morti, via alla demolizione della Eternit. Casale Monferrato, per decenni l'amianto ha avvelenato operai ed abitanti. "Una vittoria per i nostri nipoti"

MAURIZIO CROSETTI. CASALE MONFERRATO - La morte in polvere uscivada queste finestre che hanno appena tappato con il nylon, la morte bianca e liofilizzata si metteva a volare fuori da queste porte che hanno sigillato con pannelli di legno, cemento,plastica, poi sono andati a cercare anche i buchi più piccoli e li hanno siliconati perché neppure un ago di amianto possa più infilarsi nei polmoni, nella pleura, nel peritoneo dinessuno. Ora c'è come un sarcofago sopra quarantamila metri quadrati di lugubre silenzio, e una scritta sbiadita sulla facciata: «Eternit». Il palazzo è lungo e giallo, con il muschioche cresce sui tetti e le striature del tempo a stingere i colori, non i ricordi, mai il dolore.L'edificio è messo a triangolo, sull'ipotenusa scorre il canale Lanza dove i vomiti di amianto, cioè gli scarti industriali andavano a mescolarsi, ma finivano anche nel Po. Nonpassa un cane, solo un tizio che va a trovare suo padre contadino, il suo papà sopravvissuto due cascine più in là. Ferma la macchina, abbassa il finestrino: «Lei è ungiornalista? Allora scriva che la vita è solo questione di fortuna, mio papà l'ha avuta, altri cinquecento no e sono morti soffocati dall'amianto. Io me lo ricordo il polverone bianco, da bambino passavo di qui in bicicletta e mi tiravo su il bavero del cappotto per coprire la bocca». Da martedì, giorno in cui è ufficialmente cominciata la demolizione, tutta la città ha alzato il bavero. Dietro c'è la Eternit. Sepolta per sempre. «Bonifica e abbattimento degli ex stabilimenti» sta scritto sul comunicato. Breve, intensa cerimonia, vittoria silenziosa, vittoria civile, ma quanti respiri strozzati in cinquant'anni per arrivare qui. «La prima vittima è del 1947» racconta Bruno Pesce, pensionato e sindacalista, la persona che più si è battuta perché la fabbrica del cancro chiudesse, e perché una volta chiusa fosse distrutta. Quasi ci siamo. «Cinquecento morti, prima solo lavoratori, dall'88 anchecittadini comuni». Come quando in guerra cominciano a cadere i civili. «Nell'83 la denuncia di Guariniello». Proprio lui, quello che alcuni ritengono un giudice visionario, ilprotagonista, invece ne ha salvata di gente. «Fabbrica chiusa nell'86, il processo nel ‘97, ventinove imputati, mezza dozzina di condannati per omicidio plurimo colposo, concesse le attenuanti generiche, la solita prescrizione e sette miliardi di risarcimento per 1.711 parti civili, più o meno quattro milioni a testa. Ma non è questo il punto. Il punto è avere ucciso l'amianto».Uccidere l'amianto che uccide ancora: venti persone l'anno. In tre modi. Asbestosi, cioè la fibrosi polmonare. Cancro del polmone. Mesotelioma pleurico, quello che colpiscesoprattutto i civili, basta respirare pochissimo amianto, la latenza può durare anche trent'anni, la fine è sicura. Si soffoca, e la media di Casale è quindici volte superiore aquella del resto d'Italia. Al processo portarono anche i moribondi sulle barelle, come l'operaio De Michelis che morì due giorni dopo la sua testimonianza in aula. «Adessovogliamo un secondo processo penale, ci sono tanti altri morti dal ‘93 a oggi che chiedono

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giustizia».Il respiro si strozzava lentamente toccando l'eternit, il cementoamianto usato per tubi, tetti, ondulati, fognature, vasi, piastrelle, oleodotti, camini, pannelli isolanti. Ma la morte era nell'aria per tutti, una lotteria da inalare. L'eternit veniva trasportato su camion, treni, furgoni, dalla fabbrica alle piazze, nelle strade, anche i bambini ingoiavano il «polverino» e infatti ci sono già vittime trentenni, gente che ha cominciato a respirare la morte bianca nella culla. Romana Blasotti, «vedova Pavesi, il mio Mario», è la presidentessa dell'Associazione familiari vittime dell'amianto.«Ho perso il marito dopo 17 anni di Eternit, mesotelioma, se n'è andato in diciassette mesi come mia sorella Libera, mai lavorato là dentro lei, l'unica colpa che ha avuto è statarespirare l'aria di Casale. Non chiediamo soldi per l'iscrizione, solo i certificati di morte, è questo che ci rende più forti».Poi ci sono quelli che si sono suicidati, è la parola giusta, andando a prendere gli scarti di produzione in fabbrica, anche gratis, per farsi il cortiletto, il tetto, la veranda.Oppure quelli che, saputo del pericolo, hanno cominciato a smantellare da soli il veleno cementificato, magari a martellate, seminando altra polvere assassina. «Incoscienti, però ci siamo dentro tutti». C'è dentro anche Anna Maria Giovanola, per trentun anni operaia: «Ho l'asbestosi, di solito è l'anticamera del cancro al polmone. Si torniva l'eternit, immaginate cosa ci entrava in bocca. Noi siamo dei morti viventi, ma l'abbattimento della fabbrica è una vittoria civile, vale per i nostri nipoti».C'è davvero da crederlo? «Un po' scettici lo siamo» ammette il sindacalista. «Si sono sprecati tre anni solo in cavilli burocratici perché la Decam, cioè la società che aveva perso la gara d'appalto per la bonifica, ha fatto ricorso e alla fine le hanno dato ragione. Ma è logico sperare nella rapidità di una ditta che finora si è distinta solo per la sua lentezza?» Perché gli aghi di silicato la smettano di turbinare nel vento, l'Eternit è stata dunque blindata.Dovrà essere distrutta da dentro, al chiuso, area dopo area.In quelle stanze ci sono ancora tonnellate di amianto che andranno rimosse, e il resto sepolto nei vasconi di cemento che servivano per la stagionatura dei manufatti. Bisognaimmaginare una serie di colossali fosse comuni dove il veleno e i detriti saranno coperti dal sarcofago, fino all'ultima molecola nell'aria immobile. Sopra ci faranno un prato, e sul prato metteranno una croce d'acciaio. Uguale alle altre cinquecento.

La Repubblica 15 aprile 2001

Venti morti per esposizione ad amianto, alla sbarra due dirigenti della Casaraltà

Inizierà il prossimo 16 aprile a Bologna il processo per la morte di venti operai deceduti per la prolungata esposizione all’amianto – cui erano a contatto durante alcune fase di lavorazione nelle carrozze ferroviarie – per due dirigenti delle officine Casaraltà, una ditta di Bologna. Si tratta di Giorgio Ragazzoni, amministratore delegato della società dal ’65 al ’70, e di Carlo Farina, direttore generale della sicurezza sul lavoro. Il primo è imputato per tutti i venti decessi, mentre il secondo solo per sedici in quanto non ancora in Casaraltà.

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Molti i familiari delle vittime presenti in aula, che a stento sono riusciti a trattenere la commozione e la soddisfazione per il provvedimento. «È un momento di soddisfazione - ha detto l'avvocato Elena Passanti Scota, rappresentante di alcune delle famiglie - perché finalmente stiamo arrivando al dibattimento, e non è stato facile».I due dirigenti, sono già stati imputati lo scorso marzo per sei dei decessi in questione, ma un errore di notifica, allora, li scagionò. In quell’occasione, si erano costituiti parte civile anche la Cgil e la Fiom. Così ha commentato l’ultima decisione dei giudici Alberto Monti della Fiom Bologna: « Il fatto che ci sia un processo è molto significativo, come è significativo che il sindacato sia stato riconosciuto come parte civile». Ad ogni modo proseguono le trattative tra la nuova Casaraltà e le famiglie delle vittime per i risarcimenti. A prescindere dal processo, comunque, la situazione degli operai della ex Casaraltà rimane drammatica. Oltre i venti decessi, in questi anni ce ne sono stati di ulteriori, ed il numero di certo è destinato a crescere: il tumore per esposizione all’amianto si può manifestare anche dopo 30 anni, e lascia ben poche speranze.

L’Unità 20/05/02

La denuncia

Vicenza - Altra vittima dell'amianto , a Vicenza. Si tratta di Flavio Giordan, morto a soli 54 anni a causa della Mesotelioma, tumore causato esclusivamente dall'esposizione a questa micidiale sostanza. L'Associazione esposti amianto del Veneto, in una nota, ha reso nota che il vicentino «ha avuto la sfortuna di lavorare nelle officine delle Ferrovie dello Stato per le grandi riparazioni a Vicenza tra il 1969 ed il 1978». Il decesso risale allo scorso venerdì e oggi si svolgeranno i funerali alle 10.45 nella chiesa di Sant'Agostino a Vicenza. L'ex dipendente delle Ferrovie dello Stato non ha mai perso la speranza di guarire: «Personalmente - ha spiegato ieri Carmelo Mandusio dell'associazione - ho avuto la fortuna di conoscere quest'uomo, il quale dopo l'acclarazione della malattia e la successiva operazione chirurgica non aveva perso le speranze. Sentirlo parlare di progetti futuri, causava tristezza e sofferenza al cuore alla mente, perché ero consapevole che il mesotelioma non lasciava scampo e portava a morte dolorosa in breve tempo».

Il Gazzettino 11/03/03

AMIANTO L’operaio era deceduto nel marzo 1999 all’età di cinquantadue anni. La denuncia fatta dallo Spisal È morto lavando le carrozze dei treni Rinviato a giudizio il titolare di un’azienda di pulizie che operava per le Ferrovie dello Stato

A cinquantacinque anni lo ha ucciso una perforazione intestinale collegata al mesotelioma pleurico contratto lavando carrozze ferroviarie. Il processo era partito cinque anni fa con un'ipotesi accusatoria di lesioni. Ma al dibattimento l'operaio non era mai arrivato. È morto nel febbraio 1999, due mesi prima dell'apertura dell'udienza. Tutto da rifare. Si è dovuta formulare una nuova ipotesi accusatoria. Omicidio colposo. La vicenda era approdata alla Procura della Pretura circondariale nel maggio 1996, in seguito ad un rapporto dello Spisal, il servizio di prevenzione infortuni. Armando Michielon, addetto a lavori di pulizia sulle vecchie carrozze ferroviarie, aveva contratto il mesotelioma pleurico provocato dalla presumibile inalazione della polvere emessa dalle fibre di amianto . Era presente nei vagoni tra le lamiere della scocca, nella sottocassa antirombo, nei pianali ribassati, nelle "scaldiglie" sotto i sedili e dietro gli schienali, nei vani elettrici, nelle casse dell'acqua e nelle condotte dell'aria. Non solo. Date le sue caratteristiche di

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incombustibilità l'amianto veniva impiegato anche nei sistemi frenanti. Secondo l'accusa è evidente il nesso di causalità tra malattia e lavoro. Michielon era dipendente della società Cimes srl e dal 1982 operava alla ditta Omv (ex Squadra Rialzo). Con l'accusa di omicidio colposo, ieri mattina il giudice dell'udienza preliminare Cristina Cavaggion ha rinviato a giudizio Roberto Bano, cinquantacinquenne, residente a Vigonza, legale rappresentante della Omv, assistito dall'avvocato Romolo Bugaro. Deve comparire in aula il 4 giugno. Il giudice ha invece prosciolto altri due imputati. I familiari dell'operaio deceduto si sono costituiti parte civile con l'avvocato Paolo Berti. All'udienza del 3 maggio 1999 il pubblico ministero Federico Prato aveva esibito all'allora pretore Gianluca Bordon il certificato di morte dell'operaio, deceduto il 26 febbraio '99. L'ipotesi accusatoria non poteva quindi più essere quella di lesioni colpose, bensì di omicidio. Il sostituto procuratore aveva anticipato verbalmente la modifica dell'imputazione e il pretore aveva rimesso gli atti al suo ufficio per procedere alla nuova formale incolpazione. La scienza medica ha accertato la capacità dell'amianto di provocare malattie anche in presenza di bassissime concentrazioni di pulviscolo. Il mesotelioma è un tumore che colpisce il rivestimento degli alveoli polmonari. Ed è mortale. In questi ultimi anni è stato il pubblico ministero Paola Cameran ad istruire tutti i processi per amianto . Sono centinaia gli operai padovani probabilmente deceduti per aver aspirato la "fibra omicida". Il maggior numero dei casi è stato registrato nelle ex Officine di Cittadella e nelle ex Officine Stanga. Le società stanno liquidando tutti i malati e i familiari delle vittime.

Il Gazzettino – Padova 19/03/03

Morto d'amianto : era dipendente di una ditta

In riferimento all'articolo "E' morto lavando le carrozze dei treni", in qualità di diretto interessato, desidererei correggere alcune inesattezze. Sono un pensionato ex dipendente dell'Azienda Autonoma Ferrovie dello Stato (ora Trenitalia S.p.A.) presso cui ho svolto la mia attività con una qualifica dell'Esercizio (Capo Tecnico). L'Officina citata O.M.V. (Officina Manutenzione Veicoli - nome attribuito negli anni '90 in sostituzione del vecchio nome "Squadra Rialzo") è sempre appartenuta e appartiene tuttora alle Ferrovie dello Stato. In quanto tale, nessun Ministro, o Direttore Generale o Amministratore Delegato, mi ha mai conferito la legale rappresentanza della suddetta Officina. Lo sfortunato deceduto, dipendeva da una Ditta che aveva l'appalto del servizio di pulizia dei treni e delle carrozze in tutto il Compartimento di Venezia e non è mai stato alle mie dipendenze. Inoltre, l'attività di pulizia veniva esercitata solo sulle carrozze normalmente in composizione ai treni in circolazione. Gli altri assolti dal GUP erano dei "semplici" Dirigenti F. S. con la "sola" responsabilità amministrativa, economica e tecnica su tutto il personale e su tutti gli impianti della Manutenzione del Compartimento di Venezia, Padova inclusa. Roberto Bano

Il Gazzettino 23/03/03

Paternò I venti vagoni lasciati nella stazione di Sferro carichi della sostanza altamente tossica costituiscono gravissimo rischio per le popolazioni della zona È una “bomba a orologeria” il convoglio abbandonato che perde amianto

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Giuliano Rotondi. PATERNÒ – Il convoglio «maledetto» perde amianto ma nessuno sembra accorgersene. Sono infatti ben diciotto anni che una ventina di vagoni con numerosi locomotori delle Fs carichi di tonnellate di amianto sono stati abbandonati nella stazione dismessa di Sferro, nel territorio del comune di Paternò, senza alcuna protezione né vigilanza. Da qualche tempo a questa parte la ruggine ha reso friabili le pareti e le feritoie piombate di vagoni e motrici tanto da lasciare fuoriuscire un impasto fluido di sostanze tossiche che si riversa nel terreno sottostante con gravissimo pericolo di inquinamento. Il convoglio della «morte», come lo chiamano gli abitanti della frazione, è stato oggetto di grandi polemiche e di altrettanti scarica barile da parte di enti pubblici e privati in merito alle responsabilità penali che graverebbero su coloro i quali, sino a oggi, non hanno provveduto al regolare smaltimento dei rifiuti speciali, tossici e nocivi contenuti dentro le vecchie carrozze ormai ridotte a un ammasso di ferraglie. Anni addietro ci fu un tentativo di spostare il convoglio in un altro sito più sicuro ma, dopo alcuni giorni di viaggio, il treno fece dietro-front alla spicciolata e per inspiegabili motivi venne di nuovo abbandonato sul binario morto dello scalo dismesso dentro il quale, però, qualcuno ha preso dimora non rendendosi conto del pericolo che corre. Al primo piano della vecchia abitazione del capostazione c'è un contatore Enel regolarmente allacciato e funzionante ma di chi abiti dentro l'edificio, e a che titolo, nessuno lo sa. O, per meglio dire, tutti si fanno i fatti propri ricordandosi di un'omertà vecchio stampo che credevamo sepolta per sempre. Nella zona insistono diversi opifici, una fabbrica di cassette, un bar-ristorante e alcune officine ma nessuno parla. Nessuno ha il coraggio di parlare dei «misteri» del convoglio della morte che, adesso, inizia a percolare incontrollato con enorme pregiudizio di faglie acquifere, suolo e sottosuolo come recita la legge 257 del 27-3-92, disattesa da sempre in questo caso, sulla cessazione dell'impiego dell'amianto a cui fa seguito un Dpr del 8 agosto 1994 sui piani di protezione, decontaminazione, smaltimento e bonifica dell'ambiente in presenza del micidiale componente naturale causa dell'asbestosi e del subdolo mesotelioma e di altri tumori del cavo orale e intestinale, la cui eziopatogenesi, universalmente riconosciuta, vede nei silicati idrati l'unico responsabile di centinaia e centinaia di decessi con tempi lunghissimi di degenza in ospedale e senza cure specifiche. Insomma il convoglio di Sferro è diventata una bomba ad orologeria che sta per esplodere in senso fisico ma che avrebbe dovuto far saltare, da anni, i responsabili materiali di uno scempio ambientale di portata eccezionale. Ma non solo: «...Se cedessero le saldature delle feritoie e quelle delle porte scorrevoli sarebbe la fine - dice G.P. di 54 anni, operaio - ma non ci vorrà molto tempo. È una vergogna quel treno abbandonato con il suo carico di malattie. Chissà chi ha interesse affinché le cose rimangano così!...». In effetti il nostro anonimo interlocutore non ha tutti i torti perché in quasi vent'anni, giorno più giorno meno, gli innumerevoli solleciti inoltrati alle autorità competenti dalle associazioni ambientaliste siciliane e nazionali non hanno mai sortito gli effetti sperati tanto è vero che del convoglio all'amianto non se ne sentì parlare per almeno un decennio. Poi di tanto in tanto qualche notizia sui giornali sino al silenzio assoluto che uccide più del pericoloso elemento «incorruttibile», come lo chiamavano i Greci. I danni effettivi che la lunga permanenza del treno ha cagionato all'ambiente circostante non possono essere quantificabili se non dopo approfondite analisi di laboratorio ma quello che conta è intervenire subito sulle fragili strutture di contenimento travasando i materiali nocivi in discariche di II e III categoria, le uniche abilitate allo smaltimento dell'asbesto ma che non sarebbero presenti in Sicilia. È doveroso ricordare che, a parte il treno, nelle zone periferiche e centrali di Biancavilla la presenza di amianto è ancora massiccia nonostante le numerose proteste poste in essere da cittadini e comitati antiveleno i cui sforzi sono stati coronati dai soliti insuccessi misti a promesse e dilazioni dei vari politici di turno, ministri e sottosegretari all'Ambiente compresi. A meno di dieci metri dall'ultima motrice carica del minerale letale c'è una fabbrica di legname con diversi giovani dipendenti alcuni dei quali ignorano il contenuto

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dei vagoni: «Ci hanno detto che sono carichi di attrezzatura rimossa dalle stazioni - afferma Giorgio di 21 anni, il cui nome è di comodo - altri che sono carichi di materiale inerte. Che non fa male...». Il tempo di azione delle sostanze tossiche sulla salute dell'uomo è stato valutato dalla ricerca scientifica più accreditata da un minimo di quindici a un massimo di quarant'anni. I vagoni di Sferro potrebbero causare una strage. L'ennesima strage annunciata che si poteva e doveva evitare.

La Gazzetta del Sud 25/11/02

Paola Allarme amianto, il segretario provinciale Inail rivela (dati alla mano) una situazione inquietante. Centinaia di richieste danniA sottoscriverle sono ferrovieri e operai di centrali termoelettriche

Carmelo Olivella. PAOLA – Più di 200 domande, provenienti dai lavoratori delle Ferrovie, sono state presentate alla sede Inail. Sono tutte richieste di danni derivanti da amianto. Le domande si riferiscono principalmente a periodi lavorativi antecedenti il primo gennaio 1996, data dalla quale è l'Inail a gestire - quale assicuratore - le polizze relative ai rischi di infortunio sul lavoro e malattie professionali per i lavoratori delle Ferrovie. E più di 150, in tutta la provincia di Cosenza, sono arrivate da dipendenti di centrali termoelettriche. «La quantità di domande di lavoratori che si prevedono nel territorio paolano e che seguiranno all'approvazione delle nuove norme in discussione in Parlamento è di alcune centinaia». Si tratta di cifre allarmanti, snocciolate dal segretario provinciale del sindacato autonomo Inail, Maurizio Cuzzocrea. Dati che, nelle sedi sindacali, sono ben noti ma che restano sconosciuti all'opinione pubblica. E intanto Cuzzocrea invita ad «interpellare Trematerra, senatore di questo collegio e membro dell'XI Commissione permanente per sapere quali interventi sta portando avanti su questo tema e perché si protrae così a lungo l'attesa per vedere approvate le nuove norme». Da sindacalista Cuzzocrea invita «tutti i lavoratori interessati a rivendicare con forza la legittima aspettativa a vedere riconosciuti i benefici derivanti dalle norme in materia; e propongo alle altre organizzazioni sindacali di promuovere una giornata di studio e confronto sul tema, sia per gli aspetti legati al mondo del lavoro, sia per gli aspetti legati alla vita quotidiana». Intanto la presenza in città di amianto, e dei suoi derivati, è confermata dal sindacalista: «Soprattutto negli impianti ferroviari». E questa non è una sorpresa. Giusto qualche mese fa il Tribunale di Paola, nello specifico il Pretore del lavoro, ha riconosciuto in una sentenza il danno biologico da amianto ad un ferroviere macchinista ammalatosi per aver avuto contatti continuativi per anni con l'amianto. Una sentenza decisamente coraggiosa che ha permesso una liquidazione in termini ereditari ai congiunti della povera vittima assistiti dall'avvocato Nicola Gaetano. Una causa definita da molti addetti ai lavori: causa pilota. Una sentenza che si è “servita” di una giurisprudenza frutto di deliberati della Comunità europea e di tribunali internazionali. E da sempre la città di Paola è conosciuta anche per l'importanza della sua struttura ferroviaria. Qualcuno racconta di carrozze ferroviarie, realizzate in gran parte anche con amianto, semi-abbandonate in angoli del vasto impianto ferroviario cittadino. Ed intanto in città ogni giorno si sollevano allarmi per la presenza dell'amianto: nelle canalette della palazzine di rione Giacontesi, in coperture di tantissimi edifici pubblici e privati, in pertinenze di abitazioni, fino ad arrivare alla centralissima struttura dell'ex cinema Cilea ed alle tubature dell'acquedotto comunale. Gli amministratori non commentano ma sembrerebbero essere all'opera per iniziare un monitoraggio sull'esistenza del materiale in città. Lo stesso primo cittadino Roberto Perrotta, in occasione della “scoperta” delle tubazioni dell'acqua in eternit nel rione Rocchetta, ha dimostrato operatività ricordando che l'amministrazione comunale «è pronta ad intervenire. Ma - ha lamentato il sindaco - ci muoviamo solo su segnalazioni». E su

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segnalazioni, infatti, si sta muovendo anche l'assessore all'Igiene e sanità, Giorgio Zicarelli, scorto dallo stesso occhio del cronista, fornito di cartelletta con stampato sulla copertina la parola “amianto”. Una pratica da risolvere dietro segnalazione. E nel linguaggio comune la parola segnalazione corrisponde a lamentela. In effetti il problema è stato sottovalutato per anni ma ora si deve affrontare. Asl e amministrazioni comunali sarebbero al lavoro. Resta sconcertante il silenzio dei partiti politici impegnati apparentemente nella realizzazione delle mappe geopolitiche. Uniche voci presenti quelle degli ambientalisti e, solo qualche tempo fa, quella di Rifondazione comunista. E mentre i partiti parlano di altro, l'esposizione dei cittadini della zona al rischio amianto resta forte. Qualcuno però laconicamente commenta: «Dove sta il problema? E' lì da anni».

La Gazzetta del Sud 18/07/03

Amianto, discarica scoperta a Napoli

Scoperta in una vasta area di proprietà delle Ferrovie dello Stato, 300 mq circa, all'altezza del deposito container di Napoli una discarica di amianto. Il Prc di Napoli ha chiesto l'intervento urgente della magistratura per il sequestro e la messa in sicurezza del cantiere, a tutela della salute dei viaggiatori, degli abitanti della zona e degli stessi lavoratori del terminal container. «Presenteremo un interrogazione parlamentare urgente al ministro dei trasporti Lunardi - dichiarano i responsabili - affinché avvii un indagine amministrativa che faccia piena luce sulla vicenda».

Liberazione 12/11/03

Amianto alla Ferrosud«Venerdì 28 maggio i Carabinieri hanno posto sotto sequestro, per ordine della Magistratura, alcune parti dello stabilimento Ferrosud di Matera; stabilimento ceduto a suo tempo dall'AnsaldoBreda al gruppo Mancini». La segnalazione arriva da Sabina Petrucci, coordinatrice nazionale Fiom per il settore del materiale ferroviario, aggiungendo che «già nei mesi scorsi, i lavoratori avevano denunciato la presenza di amianto nello stabilimento». La Fiom e i lavoratori prenderanno tutte le iniziative possibili e utili per la salvaguardia della salute dei dipendenti e per garantire loro un lavoro sicuro.

Liberazione 1/06/04

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AMIANTO .«Al processo hanno vinto gli interessi del profitto» L'assoluzione della Breda per la morte di 17 operai. Parla il pm che ha difeso i diritti delle vittime

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FEDERICO SALLUSTI. «Nel giorno in cui si festeggia la repubblica fondata sul lavoro, è triste e amaro scoprire che si assolvono ancora le aziende che, con il loro operato, hanno provocato la morte di tante, troppe persone». Queste sono le parole di Paola Agnello Modica della Cgil, in riferimento alla sentenza di assoluzione per quattro ex dirigenti della Breda di Pistoia per la morte di 17 operai, affetti da forme tumorali riconducibili all'esposizione all'amianto. La vicenda riporta alla luce la difficoltà del sistema giudiziario italiano di palesare le responsabilità delle aziende nei confronti della salute dei lavoratori. Il «non potevano sapere», i cavilli legali che consentono di non imputare le responsabilità soggettive, le dispute mediche fra periti delle imprese ed esperti di vario rango permettono inopinatamente l'affossamento di verità che paiono incontestabili. Nel silenzio della giustizia, intanto, le malattie professionali stanno presentando il conto. Solo per l'amianto si contano migliaia di casi di malattie indotte dall'esposizione al minerale. In Italia l'incidenza del mesotelioma è cinque volte superiore alla media europea. Si stima che da oggi al 2010, quando se ne prevede il picco massimo, ci sarà una media superiore ai 2.000 casi l'anno. I primi studi che accertavano la cancerogenicità delle fibre di amianto sono degli anni `50, intorno alla seconda metà degli anni `70 la tesi era comunemente accettata (nel 1977 le Ferrovie dello stato raccomandavano prudenza nell'utilizzo dell'amianto nella produzione delle carrozze), nel 1983, infine, l'allora Cee, stabilì la necessità di ridurne l'utilizzo in tutti i settori, deputando ai singoli governi le modalità di intervento. Da noi sono passati nove anni prima che la legge che ne vietava l'utilizzo fosse ratificata.«Improvvisamente», nel 1992, in Italia scoprimmo che l'amianto era cancerogeno e se ne vietò l'utilizzo. Questo buco normativo, lungo ufficialmente nove anni, ma in realtà ben più ampio, permette oggi le sentenze di assoluzione, consente di riproporre nelle aule di tribunale le dispute medico-scientifiche, come ripetizione all'infinito di scontri di cui la storia ha già decretato il vincitore. «E' stato un processo scientifico - dice Jacqueline Magi, il pm che ha rappresentato l'accusa a Pistoia - in cui le diverse scuole di pensiero sull'eziologia del mesotelioma si contendevano la fiducia del giudice». Ebbene il giudice ha premiato la teoria sconfitta dalla storia. «Non si è riuscita a dimostrare la connessione fra le malattie riscontrate e l'esposizione all'amianto» continua la Magi, con un tono di voce poco convinto. Presenterà ricorso, ce lo conferma, in casi come questo «le sentenze di assoluzione sono una triste vittoria». Segnatamente, gli esposti che cercano di verificare le responsabilità aziendali nella morte dei lavoratori sovente non riescono nemmeno ad essere discussi in tribunale.«Come per Porto Marghera - riprende - hanno vinto gli interessi del profitto rispetto alla salute delle persone, ha vinto la mentalità menefreghista degli imprenditori. Le persone sono state trattate come strumenti». Ebbene, sempre più come strumenti verranno trattate, a quanto pare, visto che le indicazioni metodologiche del testo unico sulla salute e la sicurezza sul lavoro prevedono una maggiore deregolamentazione e depenalizzazione sul tema.«Il diritto ad un lavoro sano e sicuro, sancito dalla Costituzione tanto declamata, continuerà a non essere riconosciuto» dice la Agnello Modica. Norme di «buona prassi» e «buona tecnica» sostituiranno gli obblighi dei datori di lavoro su molti aspetti, anche importanti, dell'attuale disciplina sulla sicurezza. Derubricato, quindi, in buona parte il «reato contravvenzionale» perseguibile a livello civile e penale, visto che il rispetto delle regole di cui sopra non è più obbligatorio. Il sistema pubblico si chiama fuori persino dall'attività di monitoraggio e controllo del rispetto di ciò che rimarrà della normativa sulla sicurezza, affidando ad organismi bilaterali il

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compito (improprio) di certificarlo. I lavoratori atipici non verranno più conteggiati ai fini della determinazione del numero di dipendenti da cui il testo unico fa discendere gli obblighi. E, visto che oramai le dispute mediche annoiano anche i tribunali, verrà rimosso il criterio che stabilisce le responsabilità aziendali verso le malattie professionali «secondo le acquisizioni della scienza e della tecnica». Con buona pace dei morti, dei malati e della verità.

Il Manifesto 3/06/04

Breda di Pistoia, gli operai colpiti due volte. Dal cancro e dalla giustizia

L'amianto uccide, anche le coscienze

Una città che «concerta» con l'azienda, la monetizzazione delle vittime dell'amianto, il veleno con cui si coibentavano i vagoni. Ma la battaglia dei familiari e del magistrato tiene aperta la ricerca di una verità che la scienza ha già dimostrato

Federico Sallusti

Elisa è diffidente, al telefono, ne ha già visto troppi di sciacalli intorno al suo dolore. Quando la incontriamo, però, fra le sfumature verdognole delle iridi scorgiamo la serenità di chi morde la vita più di quanto la vita possa aver fatto con lei. Per questo non racconterò il suo dolore, per rispettarne la serenità e perché il dolore narrato perde il contatto con la conretezza delle emozioni. Basti ad ognuno chiudere gli occhi ed immaginare un padre che se ne va, lentamente, mentre la vita di una ragazzina bionda prende velocità e consuma gli ultimi lampi di adolescenza. La storia di Elisa è il particolare di un quadro inquietante, un interminabile stillicidio di rabbia, dove ogni dolore appare chiaro mentre ogni ricerca di una logica si fa nebulosa, va in polvere come le domande alle quali non si riesce a rispondere. E non per codardia o ipocrisia, men che meno per mancanza di volontà. Peggio ancora, per il fatto di trovarsi di fronte ad un muro di illogica follia: ogni cosa appare surreale, assurda, ma sinistramente parte della realtà in cui la verità va ricercata.

La vecchia fabbricaQuesta è la storia della Breda di Pistoia, della città stessa e delle migliaia di lavoratori che di Breda vivono e muoiono. Il duomo guarda altero il battistero stretto fra le viuzze del centro e la piazza del mercato, a cui Nanni Loi avrebbe voluto dare dignità di scenografia. L'Ansaldo Breda, già San Giorgio, è un pezzo di storia della città: andando verso la stazione, i vecchi capannoni dismessi a metà anni Settanta, sembrano un monumento d'arte post-industriale, lasciato al dominio del tempo e al ricordo sfocato di qualche anziano, mentre il nuovo stabilimento si mostra dalla superstrada in un bianco reso accecante dal connubio con il sole sparato di inizio estate.E' il 1956 quando le Ferrovie dello stato decidono di coibentare con l'amianto le carrozze ferroviarie. L'ordine parte ed arriva repentino alle aziende produttrici, tra cui la Breda. L'amianto è ignifugo, resistente, economico, praticamente una manna dal cielo che consente la botte piena della sicurezza e la moglie ubriaca dei bassi costi. Gli operai della ditta Siri, cui erano appaltate le operazioni di spruzzo della crocidolite, lavorano incessantemente con i compressori - ore a spruzzare polveri di amianto fino a 500 chili per carrozza - senza alcuna protezione, completamente ignari di avere fra le mani la pistola che li avrebbe uccisi. Il reparto era oltretutto in comunicazione con gli altri, non c'erano sistemi che impedissero la libera circolazione delle polveri nocive. «Il vecchio stabilimento Breda era insediato vicino ai nuclei abitati e per il sistema di emissioni

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adottato, causava esposizione ad amianto anche alle persone che frequentavano la stazione ferroviaria», dice il dottor Enzo Merler (perito della parte civile). Il lavoro continua, vengono confezionate migliaia di vagoni, per quasi venti anni gli operai sono esposti alle polveri, seppure la medicina cominci a destarsi dal torpore delle ipotesi non verificate. All'inizio degli anni Sessanta, infatti, lo studio di Wagner dimostra inequivocabilmente il nesso eziologico fra il mesotelioma pleurico (un tumore maligno incurabile) e le fibre di amianto (soprattutto a quelle della crociodolite, il cosiddetto amianto blu). Se nel mondo scientifico la tesi di Wagner viene accettata e si porta dietro un improvviso cambiamento di rotta nel dibattito sull'amianto, dal dubbio alla certezza, la stessa cosa non si può dire sia accaduta all'esterno. «I lavoratori non sono mai stati informati di nulla», dice Marco Vettori, ex sindacalista alla Breda, ora consigliere comunale. Sta di fatto che la medicina del lavoro, in Italia, si «accorge» del problema amianto a metà degli anni Settanta, cominciando timidamente ad auspicare condizioni più sicure per gli operai esposti alle polveri. Nel 1977 le stesse Ferrovie dello stato caldeggiano prudenza nelle lavorazioni, fin quando, a cavallo fra il 1982 e il 1983 ne cessa l'utilizzo nella coibentazione delle carrozze.All'inizio degli anni Novanta cominciano a venire alla luce (poi si scoprì che ce n'erano già stati molti non segnalati) i primi casi di mesotelioma. Il periodo di incubazione della malattia è di circa 20-30 anni. I settori più colpiti sono quelli della cantieristica navale e ferroviaria, oltreché il settore estrattivo amiantifero. Le malattie e le morti attraversano l'Italia, da Balangero nel torinese a Napoli e Taranto, da Livorno a Pistoia e Monfalcone: guarda caso, tutte le zone dove si riscontrano attività industriali amiantifere presentano dati anomali rispetto non solo ai casi di mesotelioma ed asbestosi (e questo sarebbe normale) ma anche di carcinoma polmonare. Il fatto poi che, perlomeno inizialmente, molti casi di mesotelioma conclamato non venivano nemmeno registrati come tali, ma come generici tumori polmonari, ha impedito un pronto monitoraggio del fenomeno (per cui i già drammatici dati emersi risultano approssimabili per difetto). Tardive sono state anche le leggi-tampone apposte sullo squarcio del problema. Dal 1983 - anno in cui una direttiva dell'allora Cee deputava i governi nazionali a prendere provvedimenti legislativi di riduzione e regolamentazione dell'utilizzo dell'amianto - è tutto un susseguirsi di provvedimenti di scarso impatto. Bisognerà arrivare al 1991 e successivamente al `92 per avere una legislazione che ne vietasse l'utilizzo.

Nonostante tutto, il velo di silenzio vola via, sospinto dalle voci che iniziano ad alzarsi e dagli esposti che intasano i tribunali competenti per zona. Accade in tutta Italia, con alterne fortune, accade per la Breda in quel di Pistoia, dove nel 1995 viene presentata una denuncia presso il tribunale. L'iter preliminare è piuttosto travagliato: sull'ipotesi di omicidio colposo per 34 operai morti, il Gup comunica il non luogo a procedere per prescrizione per 17 di essi. La Pm Jacqueline Magi non demorde e si appella contro la decisione. Intanto parte il processo per i casi non archiviati. La Breda perde, nel frattempo, il primo grado del giudizio civile in corso già da tempo e, sentendosi alle strette, alla vigilia del processo di appello firma un accordo con i lavoratori sponsorizzato dal comune di Pistoia, il quale piuttosto che presentarsi come parte lesa nel processo penale (come aveva richiesto Vettori), preferisce la linea del dialogo con l'azienda. La Breda si impegna a risarcire le famiglie dei deceduti e i malati che le avevano fatto causa (anche perché l'Inail aveva riconosciuto loro i benefici per le malattie professionali, accorgendosi, tra l'altro, che la Breda non aveva mai pagato i relativi contributi). La risoluzione «amichevole» del processo civile probabilmente influisce - non era forse uno degli intenti dell'accordo? - su quello penale, la cui storia si fa complicata e travagliata più di quanto non fosse. La Magi riesce a far riemergere dall'archiviazione i casi che il Gup aveva considerato prescrittibili

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(un processo Breda bis partirà a ottobre) e, tra mille difficoltà, prosegue i dibattimenti in aula. Il processo vede imputate otto persone, tra capi e dirigenti aziendali - quattro delle quali decederanno per mesotelioma, senza arrivare a sentire la sentenza che li scagionerà - ma agli occhi dell'opinione pubblica e della storia è la Breda stessa che siede sul banco degli imputati.

Il comune e l'aziendaLa verità spesso complica le cose. Il rapporto stretto, quasi perverso, della città con l'azienda crea intralci e problemi comprensibili e non. Molti operai rinunciano a testimoniare (dopo i risarcimenti), le istituzioni cercano la via morbida degli accordi piuttosto che presentarsi parte civile (proprio mentre la Breda è alle strette). La Magi non cede alle difficoltà, così come non demordono tutti coloro che decidono di spendersi per la causa, da Vittori all'avvocato Carlo Scartabelli. I periti di parte, tra cui Stefano Silvestri (epidemiologo del centro di medicina del lavoro di Firenze) cercano di ribattere scientificamente - peraltro senza difficoltà - alle ipotesi superate di quelli della difesa, pronti ad arrampicarsi sugli specchi di teorie sorprendenti, pur di nascondere un nesso evidente fra le morti e l'attività industriale. Il processo è lungo, la lotta snervante e portata avanti fra pressioni di vario genere (Vittori riceve una lettera intimidatoria, con minaccia di licenziamento, dalla Breda e alla Magi problemi ambientali non mancano). La Breda negò che i suoi lavoratori (gli spruzzatori erano della Siri) fossero a contatto con l'amianto, salvo poi riconoscere - ma solo di fronte alle rinvenute comunicazioni di un addetto alla sicurezza, che segnalava la presenza di polveri in molti reparti - il contrario. I legali dell'azienda hanno cercato di dimostrare come nel nuovo stabilimento vigessero misure di sicurezza migliori, se non fosse che nessuna legge regolava i limiti di esposizione (chi può, quindi, stabilire secondo quali criteri queste misure fossero «migliori»?). Il processo è comunque finito con la sentenza di assoluzione (le motivazioni si conosceranno fra circa due mesi), la Breda si è alzata dal banco degli imputati forse persino più pulita di prima agli occhi di molti disattenti.

Omissioni colposeIn Italia, la legge che vieta l'utilizzo dell'amianto risale al 1992 con un ritardo di nove anni rispetto alla direttiva Cee sull'argomento. Ciò consente oggi sentenze come quella di Pistoia (e molte altre) - lasciando al giudice la possibilità di scagionare «chi non poteva sapere». I responsabili di queste (e purtroppo molte altre) omissioni hanno condannato a morte centinaia di persone, alla disperazione coloro che oggi vedono i risultati di esami citologici che sono sentenze ben più dure di quanto poteva esserlo quella di condanna della Breda, all'angoscia tutti coloro che ci hanno lavorato. Costruiscono il dolore di tutti quelli che, come Elisa, hanno dovuto lottare più del dovuto. Eppure molti lo dicevano, molti lo sospettavano, molti parlavano, forse nessuno è stato capace di ascoltare, o forse peggio, chi ha ascoltato non ha voluto si sapesse troppo. Il silenzio uccide, e uccide lentamente.

Il Manifesto 15/06/04

Valle di Susa, l'amianto nei cantieri olimpiciLa procura di Torino sigilla la zona di Sauze d'Oulx dove è in costruzione la pista di freestyle per i campionati del 2006. L'Arpa riscontra quantità di fibre di asbesto venti volte oltre i limiti. L'allarme era già esploso sulla Tav

ORSOLA CASAGRANDE. TORINO. Allarme amianto nei cantieri per i giochi olimpici invernali di Torino 2006. Non una novità, visto che nei mesi scorsi la scoperta delle pericolose fibre di asbesto avevano indotto il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello ad

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aprire un'inchiesta. Gli organizzatori delle Olimpiadi invece erano stati costretti a spostare dall'area prevista le attività di bob, slittino e skeleton dalla zona originaria (poco distante da dove è stato nuovamente rilevato amianto in quantità consistente) a Cesana. Allora le piste non erano ancora state eseguite, perchè la presenza del minerale era stata denunciata durante sondaggi del terreno. Ma nel caso delle ultime rilevazioni, l'Arpa, l'agenzia per l'ambiente ha scoperto amianto in un cantiere, quello destinato alla pista per gli amanti del freestyle, dove i lavori erano ormai giunti alla conclusione. La zona incriminata è quella di Sauze d'Oulx. Il procuratore aggiunto Guariniello ha anche in questo caso aperto un'inchiesta, mettendo così in dubbio la conclusione dei lavori della pista freestyle prevista per il mese prossimo. Le analisi dell'Arpa invece non lasciano dubbi: tra i mesi di giugno e luglio è stata rilevata una presenza di fibre di asbesto di molto superiore ai livelli consentiti. La legge prevede un limite di 2 fibre/litro, ma in Valle di Susa ci sono stati giorni in cui i rilevatori hanno segnalato ben 33 fibre/litro. La questione dell'amianto non è una novità in Val di Susa. La presenza del minerale riguarda non solo i cantieri olimipici ma anche quelli dell'alta velocità. Proprio in questi giorni un gruppo di medici operanti in Valle hanno distribuito ai cittadini un opuscolo dall'eloquente titolo «Tav e salute pubblica». I medici ricordano i progetti previsti dalla Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) che riguardano la linea ad alta velocità Torino-Lione. La tratta nazionale, da Settimo Torinese a Bruzolo, ha una lunghezza di circa 44 chilometri e prevede una galleria unica da Grange di Brione a Borgone di quasi 23 chilometri. Inoltre sono previste almeno tre «finestre di sicurezza», cioè gallerie secondarie. La tratta internazionale invece prevede il tunnel «di base», di 53 chilometri da Venaus a St. Jean-de-Maurienne. Nel gennaio 2003, ricordano i medici, un'equipe di geologi ha svolto per conto della Rfi un'indagine finalizzata alla ricerca di amianto nelle rocce della bassa valle, con prelevamento di 39 campioni. In circa la metà dei campioni esaminati è stata riscontrata la presenza di amianto in diverse forme. I medici dunque ricordano le malattie causate dall'amianto (minerale fibroso che ridotto in polvere viene facilmente disperso nell'aria e inalato), la più grave è il mesotelioma, tumore maligno della pleura, che si manifesta dopo 15-20 anni dall'inalazione di particelle di amianto e ha una mortalità del cento per cento. Ma in Val di Susa i lavori per l'alta velocità andranno a toccare anche altre zone pericolose. In particolare quelle del massiccio d'Ambin dove sono presenti numerosi giacimenti di uranio. Anche l'uranio si disperde nell'aria e può essere inalato, ma contamina anche le falde acquifere. I linfomi sono una delle cause di inalazione o ingestione di uranio.

I medici concludono ribadendo che «la situazione per il nostro territorio è estremamente preoccupante, tale da configurare la concreta possibilità di severi danni alla salute pubblica». A gennaio l'oncologo Edoardo Gays ha redatto un documento in cui esprime la preoccupazione dei medici per la dispersione dell'amianto. Ma ha sollevato anche forti perplessità sui piani di Rfi di stoccare 500mila metri cubi di materiale di risulta dagli scavi di rocce amiantifere nell'area di Almese: dal progetto però non risulta previsto un piano di sicurezza che possa impedire la dispersione di fibre di amianto durante le fasi di lavorazione e stoccaggio. Il comitato di lotta popolare contro il Tav ricorda che «la nostra lotta contro l'alta velocità in Val di Susa è ormai decennale. Nel corso degli anni le amministrazione hanno dovuto far fronte alla crescente mobilitazione sociale che negli ultimi anni ha dato vita a comitati popolari in quasi tutti i paesi della valle».Alle recenti elezioni provinciali si è presentata anche una lista partita dal basso (perchè quella dell'alta velocità è davvero una questione che scotta, anche per i partiti di sinistra che su questo sono divisi) che aveva come slogan proprio il «no tav» che è un po' il grido di battaglia di tutti quelli che, in modo molto variegato, stanno cercando di contrastare questo progetto di devastazione ambientale e che ha insiti rischi enormi per la salute dei cittadini che in Val di Susa vivono.

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Il Manifesto 18/07/04

ALPIGNANO : E’ IL TERZO CASO SCOPERTO IN AZIENDA Amianto killer, alla Philips colpito un altro ex operaio

Un altro caso di mesotelioma pleurico provocato da amianto fra gli ex lavoratori della Philips di Alpignano. E’ stato segnalato nei giorni scorsi alla Procura della Repubblica, che da tempo sta indagando sulle malattie professionali nell’ex fabbrica di lampadine: il pm Francesca Traverso, titolare del fascicolo, ha già affidato una consulenza scientifica per accertare le cause del tumore. La vittima di questo nuovo caso di cancro da asbesto è un ex operaio di circa 60 anni, che per circa 30 anni ha lavorato come manutentore nello stabilimento di Alpignano. Si tratta del terzo caso di mesotelioma pleurico scoperto fra i dipendenti Philips, ma secondo il consulente del Pm, Franco Mollo, nei prossimi anni il numero di vittime potrebbe aumentare a dismisura. Il mesotelioma, che si contrae respirando fibre d’amianto, ha infatti un tempo di incubazione molto lento, intorno ai 20-25 anni. Secondo gli studi il picco di decessi fra gli ex operai della Philips potrebbe aversi fra il 2005 e il 2020. In base ad un’indagine epidemiologica disposta dal procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, sono già una ventina i casi di ex addetti della fabbri ca di Alpignano prematuramente scomparsi per varie forme tumorali. Due di loro erano ammalati di mesotelioma pleurico (che la letteratura scientifica riconduce direttamente al contatto con l’amianto), mentre gli altri hanno contratto il cancro alla vescica e al colon. Secondo i consulenti della Procura, anche queste patologia sarebbero conseguenza dell’esposizione a sostanze tossiche. Nelle prossime settimane riprenderà anche il processo, che vede accusati quattro ex dirigenti della Philips di omicidio colposo. Lo scorso anno l’azienda ha risarcito con 250 mila euro i familiari di Luciano Modenin, il primo dipendente ad aver denunciato la Philips per il tumore polmonare provocato dall’amianto. L’ex operaio - morto nel 2000 - si è ammalato nel 1997, cinque anni dopo aver lasciato lo stabilimento di Alpignano, nel quale lavorava fin dal 1963. Al magistrato ha raccontato di aver spesso utilizzato guanti in amianto per la lavorazione del vetro fuso.g. bal.

La Stampa - Torino Cronaca -29/09/04

MORTI SOSPETTE I pubblici ministeri Orietta Canova e Sergio Dini "visitano" la base dell’Aeronautica Sopralluogo sul Venda dei misteri Centinaia di militari esposti per anni all’amianto e alle onde elettromagnetiche

(G.Colt.) Monte Venda, base dismessa del Primo Roc, per decenni punto nevralgico della difesa Nato. Ridotta ad una sorta di cattedrale inutilizzata, ma comunque piantonata dagli avieri. Lì dentro, giorno e notte, centinaia di uomini sono stati addetti ai sistemi di controllo dei radar, a quelli di controllo della guerra aerea, ai sistemi criptati e, fino al 1984, anche al controllo del traffico aereo civile di tutto il Nord Italia. Molti di coloro che ci hanno lavorato sono morti di carcinoma. Potrebbe esserci un collegamento con l'amianto che riveste la "galleria", oppure con l'esposizione alle onde elettromagnetiche dei potenti sistemi di trasmissione. Sulla base indagano a quattro mani sia la magistratura ordinaria che quella militare. L'altro pomeriggio il sostituto procuratore Orietta Canova e il collega Sergio Dini hanno compiuto un sopralluogo con le rispettive squadre di polizia giudiziaria. La base è "smantellata" dal 1988. La maggior parte delle attrezzature ancora utilizzabili è stata trasferita a Poggio Renatico. Ma come è avvenuto il "disarmo", con quale sicurezza? L'amianto , comunque, c'è ancora. Quello non è stato portato via.

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Qualche giorno fa il Gazzettino ha pubblicato l'intervita al figlio di un maresciallo che aveva lavorato come marconista per ventun anni al Venda. In una stanza avvolta da armadi di ferro che "friggevano", a due passi da tre enormi parabole puntate verso nord. Il sottufficiale si è congedato nel 1989. È morto di tumore ai polmoni tre anni fa. «Papà lavorava in una stanzetta con una scrivania e due telefoni.... Mi diceva di non passare mai davanti alle parabole, perchè facevano male... Dagli armadi, ogni mezzo metro, spuntava il ricevitore di una cornetta». Ebbene, gli armadi che "friggevano" - come ha raccontato il figlio del maresciallo riesumando i ricordi di bambino quando il padre lo portava a giocare nella base - facevano parte del sistema integrato "Nadge". La sigla sta per Nato Air Defence Ground Environment, vale a dire ambiente terrestre per la difesa aerea della Nato. Costruito dalla statunitense Hughes Aircraft, con l'italiana Selenia coproduttrice di componenti hardware e software.

Il Gazzettino 29/09/04

ROC. Sigla di Regional Operations Centre.

ROC. Sigla di Regional Operations Centre. Negli anni della "guerra fredda" alla base del Monte Venda hanno assegnato il numero "1", perchè era considerata uno dei siti essenziali della difesa italiana e alleata contro l'ipotetico "nemico" che veniva da Est. Un nodo nevralgico delle comunicazioni. Lo è stato per decenni. La base era inserita nel sistema integrato Nadge, ovvero Nato Air Defence Ground Environment (ambiente terrestre per la difesa aerea della Nato), che collegava la Turchia alla Norvegia. Detto per inciso, lì dentro sentirono tutto della strage di Ustica, assistettero all'incrociarsi frenetico dei messaggi tra i centri radar e i vertici dell'Aviazione Militare. Oggi è una cattedrale spogliata. Rimane la "galleria" rivestita di amianto . Restano le palazzine dove gli armadi "friggevano": trasferiti a Poggio Renatico come ferraglia da riciclare. Rimangono venti fantasmi, quelli dei sottufficiali ammazzati dal carcinoma. Perchè sono morti? Lunedì pomeriggio i pubblici ministeri Orietta Canova e Sergio Dini, che stanno indagando a quattro mani sulle morti sospette per conto delle procure ordinaria e militare, hanno effettuato un sopralluogo. L'amianto è dappertutto. L'Aviazione lo ha lasciato là. E si sa che è sufficiente inalare anche una sola microscopica fibra per crepare di mesotelioma pleurico. Ma le onde elettromagnetiche prodotte dal sistema di trasmissione e dalle dalle tre grandi parabole puntate sull'arco alpino, mica erano bruscolini. Nessuno ha bonificato l'area. Per questo ieri mattina i magistrati delle due procure hanno deciso di porla sotto sequestro. Prima che il "residuato" faccia altri danni, prima che lo stato dei luoghi subisca ulteriori modifiche, a tal punto da impedire di comprendere il nesso di causalità con le malattie mortali. Per la base nelle viscere del Venda sono passati anche migliaia di avieri di leva. C'è gente che vi ha svolto il servizio militare negli anni Cinquanta e che non dorme la notte. E ci sono quelli, gli euganei, che a ridosso del monte ci vivono da intere generazioni. Tutto questo merita una risposta dallo Stato. Non reticente, non insabbiatrice. G.Colt eL.I.

Il Gazzettino 30/09/04

Eseguita ieri l’autopsia sul corpo di un ex dipendente della Fincantieri recentemente scomparso e che era affetto da mesotelioma contratto sul posto di lavoro Amianto, gli ex operai continuano a morire Il prossimo 23 novembre è prevista l’udienza preliminare sull’indagine sugli «omicidi bianchi» a Porto Marghera

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Anche di amianto si continua a morire. Ieri il dottor Bruno Murer, primario di anatomia patologica dell'ospedale Umberto I di Mestre, ha svolto l'autopsia su Alfonso Vianello, 76 anni, abitante a Marghera, ex lavoratore della Fincantieri. Vianello era affetto da mesotelioma - il tipico tumore da esposizione a fibre di amianto - ed era già nella lista di casi oggetto dell'indagine svolta dal pubblico ministero Felice Casson. I casi al centro dell'inchiesta giudiziaria comprendono dodici mesoteliomi della pleure e due carcinomi del polmone verificatisi tra dipendenti del cantiere navale Breda, ora Fincantieri. Con il decesso di Vianello i casi di morte salgono a undici: tra questi vanno ricordati anche quelli di due mogli di operai che avrebbero contratto il mesotelioma per aver lavato per anni le tute dei mariti intrise delle pericolose fibre cancerogene.L'indagine è stata chiusa di recente dal Pm Casson con la richiesta di rinvio a giudizio per sette dirigenti dei cantieri navali Breda, passati poi, dal giugno dell'84, alla società Fincantieri.Il 23 novembre, davanti al giudice Carla Maiolino, è già previsto l'avvio dell'udienza preliminare, al termine della quale si saprà se prenderà il via un processo penale. Ai dirigenti dei cantieri navali sono contestati i reati di omicidio colposo (art. 589 codice penale) per le undici morti e di lesioni colpose (art.590 codice penale) per la malattia di altri tre operai, nonché di omissione dolosa di cautela (art.437 codice penale). Tra le accuse, il Pm Casson evidenzia il fatto che, malgrado fosse confermata a partire dai primi anni Sessanta l'associazione tra esposizione ad amianto e mesotelioma della pleure o carcinoma del polmone, i dirigenti dei cantieri navali non informarono i lavoratori dei rischi e non fecero loro adottare opportuni mezzi di protezione. Tra le contestazioni si rileva anche che nello stabilimento non fu predisposto un adeguato e specifico servizio sanitario, né i lavoratori furono sottoposti ad adeguati controlli in relazione ai rischi da amianto , non fu nemmeno fatta alcuna denuncia all'Inail, né furono promossi provvedimenti tecnici ed organizzativi per impedire la diffusione delle polveri della sostanza cancerogena.Nicoletta Benatelli

Il Gazzettino 1/10/04

Otto mesi al legale rappresentante. Nove i dipendenti per i quali le patologie erano cominciate prima degli anni ’80, tre per colpa delle polveri respirate Morti da amianto alla Fervet, una condanna Già annunciato il ricorso in Appello. L’imputato: «Sono vittima di un evento imprevedibile a livello mondiale

Castelfranco . Il Pm Iuri De Biasi aveva chiesto la condanna a un anno e due mesi, la giudice dell'udienza preliminare Elena Rossi ha condannato con rito abbreviato a 8 mesi l'amministratore delegato della Fervet negli anni '80 '90, quando si verificarono nove morti attribuibili a "mesoteliomi", malattia tipica derivata dalla respirazione di polveri di amianto . Per tre di queste venne imputato di omicidio colposo l'ing. Mario De Beni, che ha detto: «Non mi sento colpevole, ma vittima di un evento imprevedibile a livello mondiale». Ancor oggi il rimedio non è stato scoperto, anche se l'amianto è stato bandito dalle lavorazioni. Eppure risulta che, solo nella città di Treviso, i fabbricati in cui è presente siano oltre mille. L'amianto ha ucciso nove operai della Fervet e ne ha fatti ammalare due; tre morti sono sicuramente attribuibili alle polveri respirate nell'azienda di Castelfranco, negli altri casi si è trattato di concausa tra fumo e amianto , e questo era quello che avevano riferito ai magistrati, a conclusione della loro perizia, il prof. Erminio Clomfero dell'Università di Padova, il dottor Luciano Romeo di Verona e la dottoressa Gabriella Guarnieri di Padova. Ma la risposta era complicatissima da dare: andavano stabilite la causa dei decessi o dei processi patologici tipici da amianto di ciascuna delle parti lese; l'epoca di insorgenza e di manifestazione della patologia; se il protrarsi della contaminazione con amianto avesse accelerato o aggravato la situazione di patologia; com'era l'ambiente di lavoro. Andava

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stabilita l'epoca in cui la malattia fosse divenuta irreversibile in chi è sopravvissuto; l'epoca in cui cominciò a diffondersi "in letteratura la pericolosità delle lavorazioni causa del decesso o della malattia" e l'epoca in cui vennero impartite alla Fervet le prime disposizioni per scongiurare la tremenda patologia causata dalla respirazione di polveri di amianto . Ma il punto più complicato, su cui si gioca il processo (e con cui ora farà i conti l'Appello, cui gli avvocati della difesa faranno ricorso) è il nesso causale tra l'ambiente e le morti. Nel processo non c'erano parti civili: la Fervet non solo ha risarcito il danno alle famiglie ma appena si è avuta conoscenza dei problemi dell'amianto , lo ha bandito dalle proprie lavorazioni e ha innovato la lavorazione. Malattie e morti vennero registrate tra il 1990 ed il 1997 tra manovali, falegnami e tappezzieri, persone che lavoravano su carrozze ferroviarie con una tonnellata di amianto ciascuna e da qui intervennero i casi di "asbestosi", le morti e le malattie invalidanti. Il Pm Iuri De Biasi aveva nominato anche un oncologo per stabilire quanto è stato determinante nelle morti il fumo delle sigarette e quanto invece le polveri di amianto . Antonella Federici

Il Gazzettino 5/10/04

LE REAZIONI

L'avvocato Roberto Magri è di Bergamo, come il suo cliente Mario De Beni. Ieri in udienza ha sostenuto come non esista nesso causale dimostrabile tra la nocività delle polveri di amianto e la possibilità che aveva il legale rappresentante della Fervet di evitare l'evento. Una tesi che è l'esatto contrario di quanto detto dal Pm Iuri De Biasi. I fatti - incredibilmente - in qualche modo rendono plausibili entrambe le versioni. Dice l'avvocato Magri che le consulenze non gli sono sembrate chiare e univoche rispetto alle prescrizioni della Cassazione sui cosiddetti eventi omissivi. «Ma cosa avrebbe dovuto fare De Beni, si chiede il legale - negli anni '80 non c'erano nemmeno gli strumenti per opporsi all'amianto e non si sapeva che causasse neoplasie. Siamo nel 2004 e ancora non c'è modo di preservarsi. L'amianto è ancora il miglior materiale possibile nel suo genere ed è impossibile evitare le sue finissime polveri. L'ingegner De Beni, appena ha saputo, ha adeguato l'azienda e anche recentemente le famiglie sono state risercite. «Comunque l'ingegner De Beni si fosse comportato in quel momento, avrebbe evitato quelle morti? No. Negli stessi anni - dice il difensore - non ci furono nè osservazioni dello Spisal nè altre forme di prevenzione». Ma, aveva detto il Pm, De Beni avrebbe potuto avvisare i dipendenti. L'altro difensore, Rizzardo Del Giudice: «Ricorreremo in Appello, del resto il giudice Rossi ha applicato tutte le attenuanti possibili; aspettiamo la motivazione della sentenza. Sul fatto che ci siano state tre morti dipendenti dal'amianto , non possiamo discutere». I legali fanno presente che sono migliaia in ogni città, i fabbricati nella cui costruzione è stato presente l'amianto ; a New York, per esempio, la struttura portante delle torri gemelle crollate era di amianto , e la massa di macerie è stata portata via. Dall'altra parte, ogni richiesta di risarcimento del danno - negli Usa- contro aziende quotate in Borsa, ha significato il crollo, con tutto quello che ne deriva per l'economia e per i posti di lavoro.

Il Gazzettino 5/10/04

I DIPENDENTI Alcuni hanno accettato la liquidazione Preoccupazione per il futuro dell'azienda

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Castelfranco . Sette morti e almeno una ventina di malati. Fra quelli in vita, alcuni sono ancora dipendenti della Fervet di Borgo Padova. Per tanti altri, invece, morti o ammalati negli anni '70 e '80, nemmeno la dignità di rientrare nelle statistiche. Sono questi i "numeri" del caso Fervet, la fabbrica più vecchia della città, che ancora oggi dà lavoro a duecento dipendenti. Molte famiglie, che hanno dovuto imparare a loro spese quale terribile malattia sia il mesotelioma pleurico legato all'asbesto, hanno ricevuto un indennizzo dall'azienda. Altre hanno rifiutato ogni contrattazione e hanno preferito proseguire le vie giudiziarie. Altre ancora non hanno ricevuto nemmeno una proposta di risarcimento. "Abbiamo trattato direttamente una decina di vertenze - spiega Antonio Bianchin della Fim-Cisl - per invalidità, ma nemmeno una si è conclusa. In alcuni casi le famiglie non hanno accettato, per gli altri la stessa azienda ha deciso di cambiare rotta. Considerato che alcune ricerche mediche non imputano esclusivamente all'amianto la responsabilità dei tumori ai polmoni, i legali dell'azienda hanno preferito non transare più e attendere la conclusione dei processi". Ma il tempo, per chi è gravemente malato, è prezioso. Diverse le posizioni seguite da Fiom e Uilm. Una ventina di casi in tutto, per i quali le vertenze giudiziarie si sono tutte concluse con una transazione. Un risarcimento da circa un miliardo di vecchie lire per ogni decesso, 200 mila euro per ogni punto di invalidità accertato dall'Inail. "Certo non è giusto che a pagare, e con la vita, siano solo i lavoratori - commenta Elio Boldo della Fiom - anche il datore di lavoro deve subire le conseguenze. Eppure ci si chiede se solo lui deve pagare, o forse se le responsabilità non sono anche a livelli più alti. La Fram per decenni ha sempre lavorato per lo Stato: erano le Ferrovie a stabilire le commesse, a chiedere la coibentazione in amianto delle carrozze negli appalti. Eppure già si sapeva delle conseguenze cancerogene dell'amianto ". Ma la sentenza di ieri desta anche preoccupazione per il futuro della Fervet, alla cui testa c'è un uomo, l'ingegner De Beni, sulla soglia degli 80 anni che potrebbe anche decidere di chiudere lo stabilimento, come ha già fatto a Bergamo, a Firenze a Napoli. "Fervet ha appena fatto investimenti consistenti, ma certo l'arrivo di condanne e i diversi miliardi di risarcimenti da pagare rappresentano una preoccupazione per il futuro dell'azienda - fa notare Fabio Benvenuti, Uilm - l'area in cui sorge l'azienda è destinata a residenziale nel Prg e l'azienda potrebbe sempre preferire la conversione, come del resto hanno fatto altri, vedi il caso Fram". Lara Santi

Il Gazzettino 5/10/04

Morti di amianto, alla ricerca della verità perduta

Monfalcone . Oltre 2000 vittime in vent'anni su un territorio che conta 60 mila abitanti? Un crimine di pace che ora chiede di trovare giustizia con un processo penale. Un processo atteso da anni dai familiari delle vittime. Ora il problema amianto a Monfalcone è a una svolta storica e decisiva: il prossimo 21 ottobre il giudice dell'udienza preliminare di Gorizia deciderà se si farà il primo processo contro l'amianto , fibra - killer usata fino ai primi anni '90 nei cantieri delle costruzioni delle navi. Dopo l'udienza preliminare nei giorni scorsi per la richiesta di rinvio a giudizio di alcuni dirigenti dell'azienda navale è dubbia per la difesa la relazione tra la fibra e il tumore che uccise un operaio. È una storia lunga e complessa quella conosciuta come la "strage di amianto ". A tracciarla Davide Bottegaro, vice presidente dell'Associazione esposti amianto di Monfalcone, (che denuncia le duemila possibili morti ed è nata per salvaguardare i diritti delle persone ammalate e di chi ha perso i familiari a causa della malattia). Ezio Bottegaro, padre di 10 figli, consigliere e assessore della Democrazia Cristiana nel comune di Monfalcone e consigliere provinciale, andò in quiescenza dopo 40 anni di

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lavoro presso l'azienda navale e morì di mesotelioma pleurico, a 67 anni nel 1998. «Quando ci furono i primi decessi a metà degli anni '80 racconta il figlio Davide Bottegaro la Procura di Gorizia a ogni morte di mesotelioma pleurico apriva un fascicolo d'inchiesta. Fino al 1999 non ci fu nessun sviluppo importante finché tre vedove Rita Nardi, Vanda Ballansin e una terza che ha chiesto l'anonimato, assieme al Partito di Rifondazione Comunista, presentarono un esposto denuncia per casi di morte da amianto . Successivamente la nostra associazione, nel gennaio 2000, ha cominciato a tutelare, seguiti da un pool di avvocati, ventiquattro vedove e familiari di deceduti per la stessa causa e attualmente le famiglie sono una cinquantina». «Le indagini sono andate a rilento. Abbiamo sollecitato l'opinione pubblica con sitin sotto il tribunale di Gorizia, manifestazioni a cui hanno dato la loro partecipazione solidale Paolo Rossi, Gioele Dix, Claudio Lolli, Tinin Mantegazza, Ricky Gianco, Loris Contarini, Stefano Tassinari, Elisa, Andrea Brambilla (Zuzzurro) e tanti altri. Poi - prosegue il racconto - l 25 giugno di quest'anno il procuratore della repubblica Carmine Laudisio ha fatto la richiesta per il rinvio a giudizio di tre dirigenti, ora in quiescenza, del cantiere navale». Il 5 ottobre scorso l'esame delle posizioni di due alti dirigenti (slittato al 21 ottobre), il 19 novembre il successivo per il terzo caso. In questi vent'anni oltre duemila persone sarebbero decedute per cancro polmonare, in un territorio che va dalla Bassa Friulana, all'Isontino arrivando a tutta la fascia costiera triestina. Uno studio del professor Claudio Bianchi, ex primario di anatomia patologica di Monfalcone, ha evidenziato che i morti per mesotelioma pleurico sono stati 600. Il mesotelioma pleurico è una malattia patognomonica quindi considerata in epidemiologia un evento sentinella dell'esposizione all'amianto . Ciò significa che il mesotelioma è un tumore causato dall'inalazione di fibre d'amianto . Lino Nonis

Il Gazzettino – Cronaca di Udine 9/10/04

121 mila ammalati per l'amianto

In Italia sono 121.674 i lavoratori che si sono ammalati a causa dell'esposizione all'amianto. Di questi, 97.096 hanno subito esposizioni per oltre 10 anni, mentre 24.578 per un periodo più breve. E dal 1998 al 2003, i tumori da amianto riconosciuti sono più che raddoppiati, passando da 258 a 578 casi. Sono questi i dati dell'Inail diffusi ieri da Antonio Pizzinato, presidente dell'associazione Alsole (Lavoro Società Legislazione), nella sede romana della Uil nel corso della presentazione della Conferenza nazionale sull'amianto che si svolgerà a Monfalcone (Gorizia) il 12 e 13 novembre. A Monfalcone, che registra oltre 800 decessi di lavoratori venuti a contatto con l'amianto, per la prima volta saranno riuniti tutti i sindacati, le associazioni impegnate e gli enti locali per trovare una soluzione che contrasti questo fenomeno.

Il Manifesto 10/11/04

Amianto, un male globale. Dal '98 al 2003 in Italia i casi di tumore sono raddoppiati. Ancora oggi nel mondo si producono 2 milioni di tonnellate della pericolosa fibra

In Italia, come in molti paesi del mondo, si muore ancora di amianto. Anche nel nostro paese dal 1992 l'amianto è stato messo al bando, gli effetti di un'economia "sviluppata" colpiscono lavoratori e semplici cittadini, magari ignari di tutto. Dal 1998 al 2003 i casi di tumore ai polmoni sono più che raddoppiati. L'amianto deve "uscire" dai luoghi di lavoro, e cominciare ad essere affrontato come un problema sociale e ambientale.

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Se ne parlerà il 12 e il 13 novembre a Monfalcone, alla prima Conferenza nazionale sull'amianto non governativa, dove per la prima volta, parteciperanno tutti i soggetti interessati: sindacati delle tre confederazioni, associazioni (A. e. a, associazione esposti amianto, Alsole Ass. lavoro società & legislazione, Snald, Snop), Enti locali, parlamentari, lavoratori esposti, mondo scientifico e giuridico. Come ha spiegato ieri alla conferenza stampa di presentazione il senatore Ds Antonio Pizzinato, «a riprova che il problema tocca non solo i lavoratori, ma anche le famiglie delle vittime e i cittadini». L'amianto è presente nei cantieri navali, nei capannoni, nelle fabbriche, ma anche nelle scuole, negli ospedali e addirittura nei vecchi impianti dell'acqua. «Il nostro paese è pieno di amianto - ha sottolineato Paola Agnello Modica della Cgil -. Non sono stati ancora rimossi i 2,5 miliardi di metri quadri di coperture di eternit su capannoni, uffici pubblici, carceri, scuole e navi»La scelta cade su Monfalcone per celebrare le 800 vittime dell'amianto: lavoratori dei cantieri navali, portuali, marittimi e cittadini dell'intera regione. Quattro i filoni sui quali si farà il punto prima che venga approvato, a marzo prossimo, il testo unico, che nel semplificare la normativa del settore, «segna un arretramento rispetto alla situazione previdenziale e delle tutele - secondo Fabio Canapa, segretario confederale della Uil, intervenuto alla conferenza stampa - perchè scompare il concetto della fattibilità, il sistema di tutela nell'applicazione delle regole regione per regione. Una semplificazione non solo normativa e procedurale ma dei diritti». La spinosa questione legislativa è tutt'altro che risolta. Il governo, con l'ultima modifica introdotta nella finanziaria 2004, ha trasformato il diritto di pensionamento anticipato, previsto da una delle leggi più avanzate in Europa del '92, in un indennizzo per tutti quei lavoratori che non hanno presentato domanda entro il 2 ottobre 2003. Più di 45mila lavoratori sono in attesa di conoscere le proprie sorti previdenziali. «Potrebbero intentare causa appellandosi alla legge del '92 che gli riconosce il diritto di accedere al pensionamento anticipato - spiega Fulvio Aurora, segretario dell'A. e. a. - indipendentemente dalla data di presentazione della domanda». Il governo non sa proprio come uscire dal pasticcio, e ritarda l'emanazione del decreto attuativo. In primo piano tra le richieste, anche la costituzione di un fondo di solidarietà per le vittime dell'amianto non coperte dagli indennizzi degli enti previdenziali e per le famiglie delle vittime, sovvenzionato dallo stato e dalle imprese, come avviene in Francia. L'estensione del trattamento previdenziale a tutte le categorie, il recupero del pensionamento anticipato per gli esposti, la ridefinizione del coefficiente di calcolo pensionistico, il problema delle bonifiche e la definizione delle responsabilità nel pubblico e nel privato sono alcune fra le tanti questioni sulle quali si discuterà per convergere a una proposta che possa approdare in Parlamento. In Italia sono 121.674 i lavoratori (dati Inail) che si sono ammalati a causa dell'esposizione all'amianto. Dal 1998 al 2003 i casi di tumore sono passati da 258 a 578. Il monitoraggio è condotto dall'Ispesl, istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, che ha realizzato in accordo con le amministrazioni locali i centri regionali per il controllo e la ricezione delle informazioni sulla sorveglianza dei casi di mesotelioma il registro nazionale e definito una procedura operativa per l'identificazione dei casi. Sono 20mila i casi di mesotelioma attesi e 209mila i potenziali esposti, di cui 120mila operai. Dal 23 al 26 novembre ci sarà il Congresso mondiale dell'amianto a Tokio dove paesi ad economia avanzata si confronteranno con i paesi in via di sviluppo per trovare una soluzione a questo male comune. L'Europa ha decretato la fine dell'amianto dal 2009. Valeria Rey

Liberazione 10/11/04

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Amianto, crimine di pace

A Monfalcone una due giorni per chiedere la messa al bando della sostanza nociva Cenni di vita vissuta di coibentatori e portuali a contatto ogni giorno, e per anni, con l'amianto, in cambio di quattro misere lire. E il risultato è una vera e propria carneficina: dei 125 operai solo 4 sono rimasti attualmente in vitaMANUELA CARTOSIOMONFALCONE «Troppe famiglie come la mia sono state distrutte dall'amianto. Sono molto arrabbiata e ancora una volta urlo: vorrei vedere la fine di questa tragedia, soprattutto per le nuove generazioni». L'urlo di Romana Blasotti, presidente dell'Associazione vittime dell'amianto di Casale Monferrato, ha chiuso la prima giornata della Conferenza nazionale sull'amianto. Che si tiene a Monfalcone, unica città in Italia - e forse nel mondo - ad avere un assessore all'amianto. E' una donna, Licia Morsolin, ex dipendente di Fincantieri, l'azienda che ha regalato alla provincia di Gorizia la più alta incidenza di tumori causati dall'amianto. Duilio Castelli ha lavorato a lungo nella pancia delle navi in costruzione. Faceva il coibentatore, era piccolo e magro e si intrufolava nei cunicoli per spruzzare l'amianto. Nel 1970, quando gli diagnosticarono l'asbestosi, quasi quasi era contento. Aveva fatto i debiti per comprarsi una casetta e due soldi d'indennità gli facevano comodo. Allora non sapeva cosa fossero l'asbestosi e il mesotelioma. «Ma lo scienza e le imprese lo sapevano da un pezzo che l'amianto era un killer. E ci hanno tenuti all'oscuro». Duilio, a modo suo, è un «salvato». Dei 125 coibentatori che lavoravano con lui solo 4 sono ancora in vita.

Gli ex portuali di Trieste siedono in platea con indosso giubbotti catarifrangenti. «Vogliamo comparire per non scomparire», ci spiega Aldo. Lui e i colleghi triestini, andati in pensione prima della legge del '92, non hanno goduto di alcun beneficio previdenziale. Per questo sono un po' risentiti. «Noi ci tiravamo i sacchi di amianto puro, lo scaricavamo dalle navi che venivano dal Sud Africa. L'amianto ci finiva anche in tasca, non è giusto che la legge ci abbia tagliato fuori».Comunque, ci ha pensato Berlusconi a mettere le cose a posto. La finanziaria dell'anno scorso non solo ha diminuito e monetizzato i benefici. Di fatto, li ha resi inesigibili. Chi vorrà averli dovrà dimostrare d'aver lavorato per dieci anni di fila in un ambiente dove c'erano oltre cento fibre d'amianto per litro d'aria. Cosa impossibile da dimostrare, perché nessuno misurava l'amianto. Di certo non lo facevano i padroni. I portuali di Trieste, che lavoravano in cooperativa, non hanno neppure un padrone con cui prendersela. Aldo ce l'ha con le «istituzioni» che non hanno informato e controllato. Altri hanno ancora il dente avvelenato con il sindacato: sulll'amianto si è mosso in ritardo, «temeva la perdita dei posti di lavoro, pensava che gli operai si sarebbero rivoltati contro».

Sono solo alcuni cenni della «vita vissuta» che si addensa nella due giorni di Monfalcone, promossa dal basso dall'Associazione esposti amianto e da Cgil, Cisl e Uil per tappare il vuoto d'iniziativa del governo che, quando fa qualcosa sull'amianto, fa male. La relazione di Fulvio Aurora ha puntualmente fotografato lo stato dell'arte, toccando i quattro temi che saranno approfonditi dalle commissioni di lavoro: salute ed epidemiologia, bonifiche, legislazione e previdenza, l'amianto in Europa e nel mondo. Le cifre sono pesanti: 3mila morti ogni anno in Italia, milioni di metri cubi di eternit da rimuovere, «c'è ancora persino negli asili», fabbriche sigillate da vent'anni con dentro ancora l'amianto puro. Guardando fuori dal cortile: i dieci paesi appena entrati nell'Ue usano ancora l'amianto. Dovranno metterlo al bando entro qualche anno, applicando una direttiva europea che sarà avanzata per i paesi dell'Est, ma peggiora di molto la legislazione italiana preesistente. Ne ha spiegato il perché Vittorio Agnoletto nella sua doppia veste di parlamentare europeo e di medico del lavoro.

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Le «vedove di Monfalcone» vogliono vedere «seduti su una sedia in tribunale» i responsabili della morte dei loro uomini. Si sono battute per portare a processo Fincantieri e ieri erano tutte orecchie per Felice Casson. Il pm veneziano, senza far nomi, ha attaccato il «garantismo peloso e a senso unico», a vantaggio dei forti e a scapito delle vittime, di alcuni giudici di merito. Per fortuna, «la Cassazione si muove in direzione opposta» e con alcune sentenze ha messo in chiaro che il principio di precauzione non è un optional. Anche prendendo per buono il ritornello «non sapevamo che facesse male», le aziende erano tenute a prendere tutte le precauzioni a protezione della salute dei lavoratori. Ad esempio: la polvere d'amianto andava abbattuta anche prima che il minerale fosse messo al bando nel `92.

Alla fine del mese a Tokyo ci sarà il summit della campagna «Ban asbestos». Se ne producono ancora 2 milioni di tonnellate all'anno; Russia, Cina e Canada coprono due terzi della produzione. Un modo per convincere la multinazionali a cessare la produzione potrebbe essere la «vertenzamianto» di Casale Monferrato: un mega esposto penale, con risarcimento danni, contro la multinazionale Eternit. Se le multinazionali saranno costrette a pagare forti indennizzi, l'amianto costerà troppo e smetteranno di produrlo.

Il Manifesto 13/11/04

Aeronautica, amianto killer nel mirino altre basi militari

Padova (L. L.) Altre tre basi dell'Aeronautica del Nordest sono finite nell'inchiesta sui presunti morti per amianto aperta dalla Procura militare di Padova. Il pm Sergio Dini ha esteso le indagini anche alla base del 51. Stormo di Istrana (Treviso), alla base del 58. Gruppo intercettatori teleguidato a Suzzolins di Cordovado (Pordenone) che gerarchicamente è collegata alla 1. Brigata aerea di Padova, e alla stessa Brigata aerea di Padova, che ha sede nei pressi dell'aeroporto Allegri. Se le gallerie del Primo Roc del Monte Venda sono state foderate di amianto , i tecnici dell'Aeronautica ne hanno fatto uso a man bassa anche quando hanno progettato le basi di Istrana, Cordovado e Padova. Interi settori sono stati isolati con la micidiale fibra che causa il mesotelioma pleurico. Lo scorso mese il pm Dini si è recato a Milano nella sede del Comando 1. Regione aerea, che ha competenza su tutte le infrastrutture del Nord Italia. Era accompagnato dal pm Orietta Canova, che sta lavorando sull'ipotesi dell'omicidio colposo in merito ai presunti 20 deceduti, tutti ex militari di carriera che hanno lavorato nelle gallerie del Venda. È stato in quell'occasione che Sergio Dini ha acquisito i progetti delle altre basi aeronautiche del Nordest. Il magistrato militare è convinto che i vertici dell'Aeronautica non abbiano informato a dovere gli ufficiali e i sottufficiali del pericolo amianto , dopo l'entrata in vigore della legge. E, soprattutto, che non si siano adoperati per smantellare i pannelli d'isolamento della fibra cancerogena. Ad esempio, quattordici anni fa sono stati fatti lavori di ristrutturazione nella base del Primo Roc. Sarebbe stata una buona occasione per bonificare le gallerie dell'amianto . Invece, non sarebbe stato fatto proprio niente. Le presunte vittime per sospetta asbestosi sono tutti sottufficiali di carriera, tutti residenti nella provincia di Padova. Militari che hanno passato una vita a simulare la guerra nelle sale operative della segreta galleria immersa nel ventre del Venda. Un bunker che doveva resistere anche all'eventuale pioggia di bombe nemiche. Lì dentro, giorno e notte, per decenni, centinaia di uomini erano addetti ai sistemi di controllo dei radar, a quelli di

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controllo della guerra aerea, ai sistemi criptati e, fino al 1984, anche al controllo del traffico aereo civile di tutto il Nord Italia.

Il Gazzettino 14/12/04

S’allarga l’inchiesta sulle morti sospette al Roc del Monte Venda Amianto alla Brigata L’isolante fu usato anche nella sede vicino all’Allegri

Anche la base della 1. Brigata aerea di Padova, che ha sede nei pressi dell'aeroporto Allegri, è finita nell'inchiesta sui presunti morti per amianto aperta dalla Procura militare. Il pubblico ministero Sergio Dini ha esteso le indagini alla base del 51. Stormo di Istrana, in provincia di Treviso, alla base del 58. Gruppo intercettatori teleguidato (IT) che si trova in località Suzzolins di Cordovado, in provincia di Pordenone, che gerarchicamente è collegata. Se le gallerie del Primo Roc del Monte Venda sono state foderate di amianto , i tecnici dell'Aeronautica ne hanno fatto uso a man bassa anche quando hanno progettato le basi di Istrana, Cordovado e Padova. Interi settori sono stati isolati con la micidiale fibra che causa il mesotelioma pleurico. Dini è convinto che i vertici dell'Aeronautica non abbiano informato a dovere i militari e non abbiano per smantellare i pericolosi pannelli di isolamento.

Il Gazzettino 14/12/04Amianto, tornano le pensioni

Per sei dipendenti Dalmine ripristinati i benefici previdenziali revocati in estate. Ora tocca agli altri lavoratori. I sindacati elogiano il nuovo corso dell'InailNon è una guerra vinta, ma è di certo una battaglia conclusa positivamente. Per 6 dei 13 ex dipendenti della Dalmine ora pensionati saranno ripristinati i benefici previdenziali riservati a chi è stato esposto all'amianto, benefici che erano stati revocati nello scorso agosto. Al tavolo delle trattative tra i sindacati confederali e l'Inail, l'Istituto nazionale per gli infortuni sul lavoro, convocato ieri dal prefetto Cono Federico per verificare la documentazione raccolta e presentata dai sindacati, l'Inail ha definitivamente riconosciuto a sei ex dipendenti della Dalmine il diritto alla pensione per l'esposizione all'amianto, aprendo così la strada al reintegro del trattamento sospeso dall'estate. «Abbiamo analizzato - spiega Fabrizio Barela, direttore generale vicario dell'Inail regionale - tutta la documentazione unita alle pratiche per la pensione per tre dipendenti e abbiamo reintegrato il pieno diritto alla pensione; per altri tre dipendenti Sismi Sipen (società in subappalto all'interno della Dalmine, ndr) è stato accertato il beneficio per il periodo svolto nello stabilimento. Ora continueremo nella verifica della documentazione per gli altri 7 ex dipendenti che sono senza lavoro e senza pensione e per un altro dipendente che fa capo ad un'altra sede dell'istituto. Terminata questa prima fase, affronteremo le posizioni degli altri 35 lavoratori ai quali è stato revocato il riconoscimento dei benefici previdenziali per l'amianto».Positivo e costruttivo il clima che si è creato in queste settimane tra le parti sindacali e l'Inail. «È certo che l'intervento dei sindacati nel raccogliere la documentazione necessaria per le verifiche - continua Barela - ci ha favorito molto nel chiarire le diverse posizioni dei pensionati e dei lavoratori».Il prefetto si è dichiarato soddisfatto per l'evoluzione della situazione. «Devo ammettere che entrambe le parti hanno cercato di trovare possibili vie di mediazione, favorendo il lavoro di entrambe le parti - osserva Cono Federico -. È un atteggiamento che dimostra saggezza, e cioè la volontà di risolvere bene e in breve tempo questa situazione che, per

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certi lavoratori, è molto critica». Commenti positivi anche da parte dei sindacati. «Siamo contenti di questo piccolo passo che dimostra un diritto acquisito da parte dei lavoratori - spiega Gigi Pezzini, della Fim-Cisl - ora continueremo nel raccogliere la documentazione necessaria per gli altri casi». «Un ringraziamento è d'obbligo per l'Inail - aggiunge Ferdinando Uliano, segretario della Fim-Cisl di Bergamo - che in questi mesi ha rivisto le pratiche svolgendo dei controlli incrociati per verificare ogni situazione. Continueremo ad offrire la nostra disponibilità per risolvere alacremente questi problemi». Nelle prossime settimane i sindacati saranno di nuovo impegnati a completare la documentazione necessaria. «Stiamo raccogliendo le dichiarazioni di altre due società, la Cividini e la Site, che hanno lavorato all'interno della Dalmine - osserva Martino Signori, segretario della Fiom-Cgil di Bergamo - e ci auguriamo che la Dalmine si renda disponibile nel favorire queste dichiarazioni». Il prossimo incontro si svolgerà verso la metà di gennaio. «Raccoglieremo la documentazione - commenta Giuliano Gritti, segretario della Uilm-Uil - per risolvere tutti gli altri casi ancora aperti».

L’Eco di Bergamo 16/12/04

M Gianmarco Passudetti, 51 anni, ex maresciallo maggiore dell’Aeronautica militare, sul monte Venda, non ce l’ha fatta L'amianto fa un'altra vittima Era ammalato da due anni: neoplasia al colon. Dal ’73 al ’91 lavorò esposto alla micidiale fibra

Gli investigatori della squadra di polizia giudiziaria della Procura della Repubblica hanno già sequestrato le sue cartelle cliniche. Con il decesso di Gianmarco Passudetti sono ormai una ventina le morti sospette tra i militari che hanno prestato servizio alla base aeronautica del Venda. Il cinquantunenne maresciallo maggiore è spirato l'altra mattina nella sua abitazione di via Carnia, in quartiere Voltabrusegana. Da un paio d'anni il sottufficiale conosceva il suo destino. Neoplasia al colon. Una patologia che non lascia scampo. Provocata con tutta probabilità dalla prolungata esposizione alle fibre di amianto . Passudetti era addetto al magazzino della base. Riforniva gli uffici di arredi e scrivanie. Nell'ultimo periodo era stato trasferito al reparto contabilità dove si occupava delle paghe. Al Venda era rimasto per diciotto lunghissimi anni, dal 1973 al 1991. Poi aveva scelto di congedarsi. Il calvario del sottufficiale è durato un paio d'anni tra atroci sofferenze. Nell'ultimo periodo i linfonodi l'avevano aggredito al collo e alle orecchie. Passudetti ha scelto di morire tra le quattro mura di casa, vicino ai familiari. Del suo caso si occuperanno i sostituti procuratori Sergio Dini e Orietta Canova che conducono due inchieste parallele, ipotizzando rispettivamente i reati di omessa esecuzione d'incarico e omicidio colposo. L'elenco dei militari deceduti o ammalati è inevitabilmente destinato ad allungarsi. Sul tavolo del Pm Dini è arrivata da qualche giorno la documentazione sanitaria relativa ad un altro sottufficiale del 1. Roc, scomparso due anni fa. Gli investigatori di via Rinaldi sono finalmente riusciti ad ottenere gli elenchi del personale che ha prestato servizio al Venda negli ultimi vent'anni. Vi figurano svariate centinaia di nominativi. Casi che dovranno essere esaminati uno ad uno. Per scoprire chi è ammalato o chi è già passato a miglior vita.

Il Gazzettino 23/12/04

MASERÀ Ha preso avvio nei giorni scorsi la causa di lavoro promossa da 40 ex dipendenti dell’Ipas nei confronti dell’Inps per ottenere i contributi. Esposti alle fibre dell'amianto killer chiedono giustizia

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Maserà . Entro un paio d'anni potrebbero veder coronati i propri sforzi. Ha preso avvio nei giorni scorsi, con la prima udienza, la causa di lavoro promossa da una quarantina di ex dipendenti dell'Ipas, azienda che produceva siringhe in vetro e plastica, nei confronti dell'Inps. Gli operai chiedono l'estensione del trattamento previdenziale e pensionistico spettante a chi è rimasto per un lungo periodo a contatto con le fibre di amianto . Sostengono di essere in possesso dei titoli necessari per ottenere l'applicazione della legge del 1992 sugli esposti alle fibre della sostanza killer. Per ogni anno di lavoro a contatto con l'amianto avrebbero diritto a un accredito pensionistico pari a sei mesi, a patto che l'esposizione sia avvenuta per un periodo minimo di dieci anni. Lo stabilimento di via Mattei era specializzato nella produzione e nella vendita di articoli sanitari. Nel momento di massimo sviluppo arrivò ad occupare circa 180 lavoratori. Gli addetti al ciclo produttivo erano giornalmente a contatto con le fibre di amianto , indispensabili alla costruzione delle siringhe. I lavoratori dell'Ipas dovevano fare i conti anche con l'ossido di etilene, sostanza altamente cancerogena contenuta negli sterilizzatori. Nel 1990 venne commissionata una perizia medico legale all'Istituto di Medicina del Lavoro dell'Usl cittadina. Fu messa in luce l'effettiva esposizione degli operai alle sostanze nocive, nella misura di 100 fibre per litro. L'Ipas si trovava però ormai in parabola discendente. Erano gli anni della cassa integrazione. Nel 1993 sopraggiunse il fallimento, con la conseguente messa in mobilità dei 140 dipendenti superstiti. Le presunte esposizioni all'amianto finirono nel dimenticatoio. A promuovere la causa per il riconoscimento dei benefici previdenziali è stata Lucia Toffanin, ex-delegata aziendale della Cgil, che dopo due anni di rinvii per la cronica carenza di giudici può finalmente tirare un sospiro di sollievo. Il fascicolo è stato assegnato al giudice Gaetano Campo, tra i massimi esperti in materia di amianto . Alla prima udienza gli ex operai si sono costituiti con gli avvocati Giancarlo Moro e Lorenza Bergamo. A patrocinare l'Inps sarà l'avvocato Anita Sciandrello. Il dottor Campo nominerà a breve un consulente d'ufficio per accertare, attraverso la documentazione dell'epoca, la presenza ed il grado di esposizione alle fibre di amianto . Luca Ingegneri

Il Gazzettino – Cronaca di Padova 24/12/04

La difesa ne chiede l’estromissione dal processo Amianto, è battaglia sulle parti civili

Enti e associazioni non possono costituirsi parte civile nel processo per le morti dovute all'esposizione all'amianto . Lo sostengono i difensori dei sette imputati, tutti dirigenti ed ex dirigenti della Fincantieri di Porto Marghera (Cantieri Navali Breda fino al 1984), i quali hanno presentato una serie di eccezioni preliminari per estromettere dal processo le pubbliche amministrazioni e le organizzazioni ambientaliste che chiedono di essere risarcite per i presunti danni subiti. L'udienza di ieri si è conclusa con un rinvio al prossimo 9 febbraio: in quell'occasione il gup di Venezia, Carla Maria Majolino, deciderà se accogliere o meno le istanze della difesa. Nei processi celebrati in passato in relazione a tematiche ambientali o morti sul lavoro, la costituzione di parte civile di enti e associazioni è normalmente accettata. Il sostituto procuratore Felice Casson ha chiesto il rinvio a giudizio dei sette imputati contestando loro una responsabilità colposa nel decesso di quattordici persone, undici dipendenti e tre familiari, colpiti da cancro all'apparato respiratorio (mesotelioma alla pleure e carcinoma al polmone): secondo il magistrato queste patologie sarebbero strettamente correlate con l'esposizione all'amianto dei lavoratori per lunghi periodi, in particolare tra gli anni Sessanta e Novanta.

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Gli indagati sono il presidente di Fincantieri Corrado Antonini, chiamato in causa in qualità di direttore generale della società Breda dal luglio 1984 al settembre 1992; Marcello Olivi, presidente della Breda dal giugno '82 al giugno '84; Rinaldo Gastaldi, direttore generale dall'aprile '71 al febbraio '80; Carlo Maria Ramacciotti, direttore generale dal febbraio '80 al giugno '84; Antonino Cipponeri, direttore dal luglio '84 all'88; Enrico Bocchini, presidente dal settembre '85 all'aprile '94; Mario Bigi, 67 anni, direttore dall'88 al maggio '96).

Il Gazzettino 24/12/04

Breda, prescrizione d'amianto

Assolti per le morti di amianto alla Breda. O meglio, prescritti, perché sono stati superati i termini stabiliti dalla legge. Si è chiuso ieri a Milano il processo contro 12 ex dirigenti degli stabilimenti di Sesto San Giovanni: a nove di loro sono state concesse le attenuanti generiche e il reato è quindi caduto in prescrizione. Per gli altri tre imputati assoluzione piena, «per non aver commesso il fatto». Urla e striscioni contro la sentenza da parte dei parenti delle vittime, gli operai che per anni hanno lavorato nella fabbrica della Breda esponendosi alla sostanza cancerogena: «Ingiustizia è fatta». «Vergogna, li avete uccisi due volte».Eppure, c'è una prima, seppure amara, consolazione: a differenza della sentenza del 2003, quando due dirigenti della Breda Fucine furono assolti in merito alla morte di 7 operai, ieri per la prima volta sono state riconosciute le responsabilità dell'azienda, salvo poi concedere le attenuanti perché gli imputati sono anziani e incensurati. Risultato magro, dopo 12 anni di dolore e denunce.

Il Manifesto 6/01/05

Tutti assolti per l'amianto della Breda

«Il reato è caduto in prescrizione»: nessuna condanna per 9 dei 12 dirigenti imputati per le morti da amianto negli stabilimenti di Sesto San Giovanni. La rabbia dei familiari Boccone amaro Il ricorso alla prescrizione riconosce di fatto che gli imputati non potevano non sapere. Ma a parenti ed ex colleghi non basta: «Li avete uccisi di nuovo»

GIORGIO SALVETTI, MILANO. Tutti assolti ma con motivazioni diverse al processo che si è chiuso ieri a Milano contro 12 ex dirigenti della Breda accusati di omicidio colposo per la morte di un operaio dovuta all'amianto. Nove sono stati assolti solo perché sono state loro concesse le attenuanti generiche e il reato è quindi caduto in prescrizione, per gli altri tre invece si tratta di una assoluzione piena «per non aver commesso il fatto». Per parenti e ex colleghi dell'operaio morto la sostanza non cambia: nessuno paga per le morti da amianto e per questo hanno reagito alla lettura del verdetto da parte del giudice Ambrogio Moccia protestando indignati, urlando slogan e srotolando striscioni. E tuttavia questa volta l'esito del processo segna un piccolo ma significativo passo avanti. Il 13 febbraio 2003 un analogo processo contro due dirigenti di Breda Fucine imputati per la morte di 7 operai si era concluso con la assoluzione piena di entrambi, ieri invece per la prima volta sono state riconosciute le responsabilità degli esponenti di dieci anni di dirigenza degli stabilimenti di Sesto San Giovanni: non potevano non sapere e non hanno fatto tutto ciò che dovevano e potevano fare per difendere la salute dei lavoratori. Lo ribadisce l'avvocato di parte civile Sandro Clementi: «Il tribunale ha concesso le attenuanti generiche perché gli imputati sono per lo più anziani e incensurati, ma ciò implica la loro colpevolezza; si tratta dunque di una sentenza storica ma che non arriva ad aver il

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coraggio di essere conseguente con quello che afferma. Una condanna avrebbe avuto un forte significato che invece non si è voluto comunicare e avrebbe reso il risarcimento ai familiari obbligatorio. E' chiaro che ora abbiamo tutte le carte in regola per ottenere i risarcimenti con procedimenti civili, ma questo costringerà familiari e colleghi a continuare questo calvario giudiziario».

«E' un passo in avanti di quelli che fanno molto arrabbiare», commenta Michele Michelino, animatore del comitato che da 12 anni lotta per il riconoscimento dei danni dell'amianto a Sesto San Giovanni. «Il ricorso alla prescrizione - continua Michelino - indica un piccolo cambiamento del clima generale anche dopo il briciolo di giustizia riconosciuto un mese fa ai 150 morti di Porto Marghera, ma non è abbastanza. Ancora una volta ci è chiaro che il diritto al profitto viene anteposto al diritto alla salute dei lavoratori e che non esiste una legge uguale per tutti né una giustizia al di sopra dei poteri forti e delle classi». Non a caso gli striscioni e gli slogan preparati dal suo comitato per accogliere la sentenza di ieri erano gli stessi che infiammarono per un paio d'ore l'aula alla conclusione del processo del 2003. «L'ingiustizia è fatta», «vergogna, li avete uccisi un'altra volta». Questa volta però la protesta per quanto vigorosa è durata alcune decine di minuti.

Adesso è già tempo di bilanci per incassare il piccolo successo e rilanciare. Bisogna decidere se ricorre in appello e immediatamente muoversi per ottenere i risarcimenti, e poi ci sono ancora molte denunce nei cassetti dei magistrati non ancora archiviate, che ora potrebbero venire sbloccate. Come quella presentata da Silvestro Capelli, dal 1992 in pensione dopo 17 anni di lavoro alla Breda. Basta sentire la sua voce roca, quasi incomprensibile, per capire la sua storia. «Non toccavo l'amianto - racconta l'operaio - facevo il fresatore nello stesso capannone in cui c'era quella maledetta macchina per saldare le aste delle trivelle di perforazione petrolifera, la polvere andava in giro dappertutto. Nel `95 mi sono ammalato, l'anno dopo mi hanno operato per cancro maligno alle corde vocali e mi è andata bene, altri colleghi sono morti».

Giancarlo Mangione, l'uomo morto nel `95 per il quale il processo di ieri è stato istruito, fu invece vittima del mesotelioma pleurico. Sua figlia Ornella non può che essere delusa dalla sentenza: «E' un passo avanti, ho sempre sperato che mio padre non fosse morto invano, ma speravo che il giudice avesse più coraggio».

Il Manifesto 6/01/05

Le denunce e il dolore Un calvario lungo 12 anni

Dal 1992 il Comitato per la difesa della salute e del territorio di Sesto San Giovanni raccoglie dati sulle morti sospette di operai che lavorarono negli stabilimenti Breda e Ansaldo. L'indagine si è concentrata su lavoratori colpiti da malattie e sintomi molto simili, tutti impiegati negli stessi reparti in cui si lavorava con amianto e cromo. Le dirigenze e la forma societaria delle aziende cambiavano, ma il lavoro e gli stabilimenti rimanevano gli stessi così come gli uomini al comando, che si limitavano solo a un giro di poltrone. Secondo parenti e colleghi delle vittime, gli imputati non potevano non sapere. Nel '95 partirono le prime denunce a Monza e Milano, a cui ne seguirono molte altre. Le morti dovute a esposizione prolungata all'amianto negli stabilimenti di Sesto sarebbero 73 solo considerando i lavoratori residenti nell'hinterland milanese. Tra continui blocchi e passaggi di pratiche da un tribunale all'altro sono passati dodici anni: 19 denunce archiviate (la stessa pratica che ha dato origine al processo conclusosi ieri in un primo tempo era stata archiviata), molte altre restano in un cassetto in attesa di essere prese in esame. Solo in

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due casi il tribunale di Milano ha aperto un processo. Il primo si è concluso il 13 febbraio 2003 con assoluzione con formula piena di due dirigenti Breda accusati di omicidio colposo di sei operai e di gravissimi lesioni di un settimo lavoratore. Il secondo, iniziato un anno fa, si è concluso ieri.

Il Manifesto 6/01/05

Amianto, le responsabilità nelle motivazioni al verdetto che ha prescritto il reato Breda, «i dirigenti conoscevano i rischi»

Sono state pubblicate nei giorni scorsi le motivazioni della sentenza del processo Breda/Ansaldo. Alla fine del 2004, nove dirigenti dell'azienda sono stati "assolti" grazie al meccanismo della prescrizione. Di tutt'altro tono le parole scritte dai giudici a corredo delle formule di legge. «La nocività dell'amianto - si legge nelle motivazioni - era nota da tempo immemorabile (...). L'amianto e solo l'amianto respirato sul luogo di lavoro può qualificarsi causa del mesotelioma letale» del lavoratore. E ancora, «se il dovere di sicurezza (e di igiene) è da sempre posto specificatamente a carico del datore di lavoro, dirigenti preposti, allora è indubbio che, nella misura in cui avevano il compito di individuare e gestire le strategie produttive (...), avevano l'obbligo giuridico di attivarsi, obbligo del tutto inatteso». Perché, quindi, non c'è stata nessuna condanna per gli imputati? Perché ai nove dirigenti, si legge ancora, «non possono essere addebitate oltre misura responsabilità che sono state sì individuali, ma che hanno affondato le loro radici nel sistema industriale dell'epoca, sistema che non tocca a un organo giurisdizionale giudicare». Secondo il "Comitato per la Difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio", «questa sentenza è importante sia per le motivazioni, sia perché è la prima volta che in Italia vengono sostanzialmente condannati dei dirigenti per una vicenda in cui l'amianto non figura come oggetto di produzione industriale, ma come strumento usato nell'attività lavorativa e di protezione dei lavoratori». Fa. Seba.

Liberazione 22/01/05

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Breda, prescrizione d'amianto

Assolti per le morti di amianto alla Breda. O meglio, prescritti, perché sono stati superati i termini stabiliti dalla legge. Si è chiuso ieri a Milano il processo contro 12 ex dirigenti degli stabilimenti di Sesto San Giovanni: a nove di loro sono state concesse le attenuanti generiche e il reato è quindi caduto in prescrizione. Per gli altri tre imputati assoluzione piena, «per non aver commesso il fatto». Urla e striscioni contro la sentenza da parte dei parenti delle vittime, gli operai che per anni hanno lavorato nella fabbrica della Breda esponendosi alla sostanza cancerogena: «Ingiustizia è fatta». «Vergogna, li avete uccisi due volte».

Eppure, c'è una prima, seppure amara, consolazione: a differenza della sentenza del 2003, quando due dirigenti della Breda Fucine furono assolti in merito alla morte di 7 operai, ieri per la prima volta sono state riconosciute le responsabilità dell'azienda, salvo poi concedere le attenuanti perché gli imputati sono anziani e incensurati. Risultato magro, dopo 12 anni di dolore e denunce.

Il Manifesto 6/01/05

Tutti assolti per l'amianto della Breda

«Il reato è caduto in prescrizione»: nessuna condanna per 9 dei 12 dirigenti imputati per le morti da amianto negli stabilimenti di Sesto San Giovanni. La rabbia dei familiari Boccone amaro Il ricorso alla prescrizione riconosce di fatto che gli imputati non potevano non sapere. Ma a parenti ed ex colleghi non basta: «Li avete uccisi di nuovo»

GIORGIO SALVETTI, MILANO. Tutti assolti ma con motivazioni diverse al processo che si è chiuso ieri a Milano contro 12 ex dirigenti della Breda accusati di omicidio colposo per la morte di un operaio dovuta all'amianto. Nove sono stati assolti solo perché sono state loro concesse le attenuanti generiche e il reato è quindi caduto in prescrizione, per gli altri tre invece si tratta di una assoluzione piena «per non aver commesso il fatto». Per parenti e ex colleghi dell'operaio morto la sostanza non cambia: nessuno paga per le morti da amianto e per questo hanno reagito alla lettura del verdetto da parte del giudice Ambrogio Moccia protestando indignati, urlando slogan e srotolando striscioni. E tuttavia questa volta l'esito del processo segna un piccolo ma significativo passo avanti. Il 13 febbraio 2003 un analogo processo contro due dirigenti di Breda Fucine imputati per la morte di 7 operai si era concluso con la assoluzione piena di entrambi, ieri invece per la prima volta sono state riconosciute le responsabilità degli esponenti di dieci anni di dirigenza degli stabilimenti di Sesto San Giovanni: non potevano non sapere e non hanno fatto tutto ciò che dovevano e potevano fare per difendere la salute dei lavoratori. Lo ribadisce l'avvocato di parte civile Sandro Clementi: «Il tribunale ha concesso le attenuanti generiche perché gli imputati sono per lo più anziani e incensurati, ma ciò implica la loro colpevolezza; si tratta dunque di una sentenza storica ma che non arriva ad aver il coraggio di essere conseguente con quello che afferma. Una condanna avrebbe avuto un forte significato che invece non si è voluto comunicare e avrebbe reso il risarcimento ai familiari obbligatorio. E' chiaro che ora abbiamo tutte le carte in regola per ottenere i risarcimenti con procedimenti civili, ma questo costringerà familiari e colleghi a continuare questo calvario giudiziario».

«E' un passo in avanti di quelli che fanno molto arrabbiare», commenta Michele Michelino,

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animatore del comitato che da 12 anni lotta per il riconoscimento dei danni dell'amianto a Sesto San Giovanni. «Il ricorso alla prescrizione - continua Michelino - indica un piccolo cambiamento del clima generale anche dopo il briciolo di giustizia riconosciuto un mese fa ai 150 morti di Porto Marghera, ma non è abbastanza. Ancora una volta ci è chiaro che il diritto al profitto viene anteposto al diritto alla salute dei lavoratori e che non esiste una legge uguale per tutti né una giustizia al di sopra dei poteri forti e delle classi». Non a caso gli striscioni e gli slogan preparati dal suo comitato per accogliere la sentenza di ieri erano gli stessi che infiammarono per un paio d'ore l'aula alla conclusione del processo del 2003. «L'ingiustizia è fatta», «vergogna, li avete uccisi un'altra volta». Questa volta però la protesta per quanto vigorosa è durata alcune decine di minuti.

Adesso è già tempo di bilanci per incassare il piccolo successo e rilanciare. Bisogna decidere se ricorre in appello e immediatamente muoversi per ottenere i risarcimenti, e poi ci sono ancora molte denunce nei cassetti dei magistrati non ancora archiviate, che ora potrebbero venire sbloccate. Come quella presentata da Silvestro Capelli, dal 1992 in pensione dopo 17 anni di lavoro alla Breda. Basta sentire la sua voce roca, quasi incomprensibile, per capire la sua storia. «Non toccavo l'amianto - racconta l'operaio - facevo il fresatore nello stesso capannone in cui c'era quella maledetta macchina per saldare le aste delle trivelle di perforazione petrolifera, la polvere andava in giro dappertutto. Nel `95 mi sono ammalato, l'anno dopo mi hanno operato per cancro maligno alle corde vocali e mi è andata bene, altri colleghi sono morti».

Giancarlo Mangione, l'uomo morto nel `95 per il quale il processo di ieri è stato istruito, fu invece vittima del mesotelioma pleurico. Sua figlia Ornella non può che essere delusa dalla sentenza: «E' un passo avanti, ho sempre sperato che mio padre non fosse morto invano, ma speravo che il giudice avesse più coraggio».

Il Manifesto 6/01/05

Amianto, a Messina il morto numero 82

E' salito a 82 il numero delle vittime tra gli ex dipendenti della Sacelit di San Filippo del Mela. Giuseppe Mannello, 68 anni, di San Filippo del Mela, è morto stroncato da asbestosi pleuro polmonare, una malattia che deriva dall'esposizione alle sostanze cancerogene. Un bilancio che diventa sempre più pesante tra i 214 lavoratori che si sono avvicendati all'interno della fabbrica di materiale per l'edilizia in cemento amianto, realizzata nel 1957 nell'area industriale di contrada Archi e chiusa nel luglio del 1993. In un esposto presentato alla Procura di Barcellona, Salvatore Nania, presidente del Comitato permanente "Ex esposti all'amianto" e anche lui ex dipendente della Sacelit, chiede che venga fatta luce sulle responsabilità di «coloro che sapevano e che ci hanno costretto, per bisogno, a lavorare senza alcuna protezione».

Liberazione 5/02/05

ESPOSTO DELLA FAMIGLIA DI UN EX DIPENDENTE. LA DIFESA: ABBIAMO SEMPRE TUTELATO I LAVORATORI Morto per amianto, l’azienda dal giudice . Udienza in giugno per gli amministratori della «Magliola»

SANTHIÁ . Per quasi tre anni, dall’81 all’83, il borgodalese Pietro Paolo Barbero ha lavorato alla «Magliola spa». Era prima agente, poi capo del reparto coloritura. Visionava

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le carrozze dei treni, coibentate in amianto, assisteva ai lavori di smontaggio e di ripristino, faceva preventivi. Poi ha cambiato lavoro: è entrato tra i dirigenti della società di pronostici Sisal. Finchè, nel settembre del Duemila, i medici gli hanno diagnosticato l’asbestosi, una malattia che colpisce i tessuti del polmone, e, poco più tardi, un pesante aggravamento: Barbero è colpito da mesotelioma pleurico, una particolare forma tumorale al polmone. Che sarebbe riconducibile ad un’unica causa: l’inalazione di polveri o fibre di amianto. Il 13 dicembre 2001, dopo un calvario di ricoveri ospedalieri, e di interventi nel tentativo di salvargli la vita, Pietro Paolo Barbero muore. Ha 41 anni, lascia la moglie e due figli: una ragazza di 19 anni, un ragazzino di 15. Soltanto un anno più tardi, nell’ottobre del 2002, la moglie presenta un esposto per quella morte: è assistita dall’avvocato Paolo Codegoni, che la seguirà passo passo, fino ad oggi. E parte l’inchiesta, seguita da due sostituti procuratori (prima Marina Eleonora Pugliese, ora Antonella Barbera) che porta Paolo e Maurizio Magliola, 53 e 56 anni, amministratori delegati della «Magliola spa», davanti al giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Vercelli. Due posizioni, di Mauro e Giancarlo Magliola, amministratori dell’azienda, deceduti nel frattempo, sono state archiviate. L’udienza è fissata per il 17 giugno: l’ipotesi d’accusa è di omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Dal non aver reso edotto il lavoratore dei rischi in cui poteva incorrere, dal non aver adottato misure idonee sul luogo di lavoro, pur essendo l’azienda già stata informata (nell’80) dalle Ferrovie dello Stato della nocività delle polveri di amianto. C’è una perizia di parte, firmata dal dottor Roberto Messina. E c’è anche una perizia disposta dal pubblico ministero, della dottoressa Anna Maria Trovato dell’Asl di Vercelli, tra le carte dell’impianto accusatorio: entrambi gli atti collegano il mesotelioma pleurico al lavoro nell’azienda che ripara i vagoni ferroviari, e indicano il periodo di incubazione della malattia sino a venti-trenta anni. La moglie ed i figli di Pietro Paolo Barbero stanno valutando se costituirsi parte civile. Finora le lettere spedite all’azienda di Santhià, la prima anche antecedente l’esposto - annota l’avvocato Codegoni - non hanno purtroppo avvicinato le parti. Paolo e Maurizio Magliola si sono affidati invece ai legali Rizzardo Del Giudice e Massimo Mussato. Ed è l’avvocato vercellese a commentare: «Il problema amianto approda nelle aule di giustizia con un ritardo connaturato di oltre vent'anni. E la valutazione della condotta tenuta da parte dei responsabili aziendali deve essere effettuata con rigoroso riferimento alle leggi, ai regolamenti ed alle conoscenze dell'epoca. Sono certo che si affronterà l'esperienza processuale da parte dei signori Magliola - e da parte nostra come collegio difensivo - con la massima serenità, nella ferma convinzione di avere sempre agito nel pieno rispetto della salute dei lavoratori».

La Stampa – Sezione Vercelli 5/05/05

AMIANTO .Disastro e omicidio, Eternit indagata

Tre avvisi di garanzia per disastro doloso, reato punito con il carcere fino a 12 anni, sono stati inviati dalla procura di Torino ai proprietari della multinazionale svizzera Eternit per la morte di quasi 1.300 persone dovuta ad esposizione all'amianto. Sono contestati i decessi avvenuti negli stabilimenti di Cavagnolo (Torino), Casale Monferrato (Alessandria), Rubiera (Reggio Emilia), Bagnoli (Napoli). Gli indagati sono i fratelli Thomas e Stefan Schmidheiny, membri di una delle più note e ricche famiglie elvetiche, e un belga, il barone Louis de Cartier de Marchienne. Il procuratore aggiunto Guariniello contesta ai tre indagati, oltre al disastro doloso, l'omicidio colposo e l'omissione di cautele contro gli infortuni.

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Il Manifesto 20/07/05

Torino, tre avvisi di garanzia per i responsabili dell'azienda . Le accuse: disastro doloso e omissioni di cautele infortunistiche. 1300 vittime dell'amianto tremano i vertici di Eternit

I legali degli operai morti chiedono un risacimento di 60mln di euro

Il controllo di una struttura in Eternit

TORINO - Disastro doloso e omissione di cautele contro gli infortuni: con queste motivazioni la procura di Torino ha inviato tre avvisi di garanzia ai membri della multinazionale Eternit. Sono circa 1300, infatti, gli italiani, che dopo aver lavorato nell'azienda svizzera o nelle sue sedi distaccate, sono morte per delle malattie, come il mesotelioma o l'asbestosi, legate all'amianto. Secondo il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, l' amianto veniva impiegato anche al di fuori degli stabilimenti: per la lavorazione di strade, tetti, opere murarie nel cortili, spesso servendosi di materiale di scarto. Questo ha portato a una situazione di pericolo per la "pubblica incolumità": gli abitanti, infatti, sempre secondo la procura, non erano stati avvertiti dei rischi derivanti dall' esposizione al minerale-tossico.

Il procedimento, avviato nel 2003 per chiarire le cause della morte di alcune decine di operai italiani, ha subito oggi una svolta. L'indagine, infatti, riguardava solo l'azienda che si trovava in Svizzera e i rappresentanti italiani di questa. Solo in un secondo momento i pubblici ministeri torinesi hanno voluto estendere i controlli anche alle filiali italiane e ai massimi vertici della multinazionale. Si è arrivati a studiare, così, i casi di 1.300 persone morte a partire dal 1970. E' prima volta che i fratelli Schmidhaeny, imprenditori svizzeri fra i più ricchi del mondo, vengono chiamati per l'interrogatorio.

In Italia gli stabilimenti messi sotto accusa sono quelli di: Cavagnolo (Torino), Casale Monferrato (Alessandria), Rubiera (Reggio Emilia), Bagnoli (Napoli).

I legali delle vittime dell'amianto in Italia chiedono alla sede italiana di Eternit il sequestro conservativo di 60 milioni di euro, cioè il patrimonio di Stephan Schmidheiny, per risarcire i lavoratori e i familiari colpiti dal mesotelioma.

La Repubblica 23 luglio 2005

Morti al Roc, caccia alle cartelle cliniche Amianto, campi elettromagnetici e gas radioattivo causa di fatali tumori nel personale dell’ex base aeronautica

Le morti sospette sul Monte Venda. Adesso è caccia alle cartelle cliniche dei sottufficiali di carriera - tutti residenti in provincia di Padova - che hanno prestato servizio nella ex base dell'Aeronautica Militare e che sono deceduti per tumore. L'indice accusatore non è solo puntato contro il rivestimento di amianto del bunker scavato nel cuore del colle, ma anche contro i campi elettromagnetici provocati dagli impianti radar e contro un gas ionizzante radioattivo naturale: il radon. Sono una ventina finora le vittime accertate. E sono due le inchieste in corso: una avviata dalla procura ordinaria, affidata al pubblico ministero Orietta Canova, che ipotizza l'omicidio colposo plurimo; l'altra aperta dalla procura militare, e affidata al sostituto Sergio Dini, che procede per omessa esecuzione di incarico. E sono due anche i consulenti tecnici che si stanno occupando della vicenda: Vorne Gianelle, dell'Agenzia per la protezione ambientale della Lombardia, e Claudio Martinelli,

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funzionario dell'Arpav di Verona in forza al Centro regionale sull'amianto . Tra il 2001 e il 2004 sono stati cinque i decessi: l'ultima vittima è stato il maresciallo Gianmarco Passudetti, cinquantunenne, padre di due figli, diciotto anni passati al Venda, stroncato da una neoplasia al colon dopo due anni di atroci sofferenze. Era stato addetto al magazzino della base e poi al reparto contabilità. Cartelle cliniche. Ci vorrà almeno un mese - perchè all'ospedale sono in ferie - per recuperare quella del maresciallo Biagio Ferlito, trentacinque anni sei mesi e un giorno nell'Aeronautica, ventuno dei quali passati nella base del Primo Roc. Marconista. Gomito a gomito con tre enormi parabole radar: una puntata verso Trieste, la seconda in direzione di Bolzano, l'ultima a nordovest, verso Torino. «Mio padre mi diceva sempre di non passarci davanti, perchè facevano male. Erano di colore grigio opaco». Maresciallo con tre binari rossi, cavaliere della Repubblica, decorato con la Mauriziana, una sfilza di encomi, è morto di tumore il 21 settembre 2001. I polmoni devastati dal carcinoma. Aveva sessantotto anni. Il figlio Francesco la scorsa settimana è stato convocato dai carabinieri della stazione di Teolo che gli hanno chiesto informazioni sulla malattia del padre e l'acquisizione della documentazione medica. «Un giorno, recatosi con un amico a prelevare del materiale per una sagra, crollò all'improvviso per terra. Era il 1997. Cominciò così la sua agonia. I medici della Casa di Cura di Abano minimizzarono. "Suo padre è solo un po' vecchio", mi dissero, "non ha niente, un paio di pastiglie e passerà tutto". Si sbagliavano di grosso...». Il perchè dell'improvviso mancamento il maresciallo - che non aveva mai preso un'aspirina in vita sua - lo scoprirà poco dopo, all'ospedale di Padova. «Nell'autunno venne operato al cervello, per la rimozione di una cellula tumorale». Una cellula "impazzita", venuta chissà da dove. Era ormai troppo tardi quando gli diagnosticarono il carcinoma ai polmoni.

Il Gazzettino 19/08/05

Le due inchieste avviate dalle Procure ordinaria e militare sui sottufficiali che prestavano servizio nel tunnel del 1. Roc deceduti per tumore Quaranta morti "sospette" sul Monte Venda Gas radioattivo nella galleria scavata nel colle. Gli americani sapevano, ma l’Aeronautica non prese precauzioni

ROC. Sigla di Regional Operations Centre. Negli anni della "guerra fredda" alla base del Monte Venda hanno assegnato il numero "1", perchè era considerata uno dei siti essenziali della difesa italiana e alleata contro l'ipotetico "nemico" che veniva da Est. Un nodo nevralgico delle comunicazioni. Lo è stato per decenni. La base era inserita nel sistema integrato Nadge, ovvero Nato Air Defence Ground Environment (ambiente terrestre per la difesa aerea della Nato), che collegava la Turchia alla Norvegia. Oggi è una cattedrale spogliata. Rimane la "galleria" rivestita di amianto . Restano le palazzine dove gli armadi "friggevano": trasferiti a Poggio Renatico come ferraglia da riciclare. Sono una quarantina i sottufficiali di carriera dell'aviazione militare stroncati da un tumore dopo aver prestato servizio nella base del Venda. Esposizione alle fibre di amianto , alle onde elettromagnetiche, ma anche al micidiale radon. Sulle morti "sospette" sono in corso due inchieste: una della magistratura ordinaria affidata al pubblico ministero Orietta Canova (omicidio colposo l'ipotesi di reato), l'altra avviata dalla procura militare e affidata al sostituto Sergio Dini (ipotesi di omessa esecuzione di incarico). Numero di massa 222, numero atomico 86, il radon è un gas raro presente in natura, derivato dall'uranio. È alfa-emittente, radioattivo, pericolosissimo. Se ne conosce l'esistenza fin dall'inizio del Novecento. In presenza di campi elettrici se a lungo inalato può procurare effetti disastrosi come il tumore ai polmoni. Si deposita nell'apparato respiratorio provocando l'irradiazione e danneggiando irreversibilmente le cellule.

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Presente nella crosta terrestre, passa attraverso i terreni, si accumula nelle sacche d'aria sotterranee, penetra nelle costruzioni e raggiunge livelli di concentrazione elevati in assenza o scarsa areazione. Negli Stati Uniti è stato valutato che per un valore medio di 40 Bq (Bequerel) per metro cubo d'aria sono previsti circa 9 mila casi di tumore polmonare tra i non fumatori. Chi fuma, in presenza del gas, ha fino a dieci volte più probabilità di contrarre il male. L'Organizzazione mondiale della sanità lo ha inserito nel gruppo 1 delle sostanze sicuramente cancerogene. Gli americani tutto questo lo sanno da un bel pezzo. Tant'è che nella metà degli anni Ottanta il governo Usa ha ordinato il ritiro di diversi contingenti dall'Italia (soprattutto dalle basi del Centro-Sud) proprio per il pericolo-radon. E nel 1988 sono stati avviati lavori di protezione alla base Usaf di Aviano per ridurre la concentrazione del gas presente al pianterreno di diversi fabbricati. Se lo sapevano gli americani lo sapevano anche i loro alleati della Nato, comprese le forze armate tricolori. Ma in Italia non s'è fatto niente. Solo nel 1998 - anno in cui la base del Venda viene abbandonata - il piano sanitario nazionale inserisce anche la riduzione del rischio da radon. E solo nel 2002 la Regione pubblica i primi parziali dati di monitoraggio del territorio, dai quali è emersa la conferma che i Colli Euganei costituiscono un punto nero, con concentrazioni assai prossime ai livelli di guardia. Ed è anche emerso che nel Veneto sarebbero circa 50 mila le abitazioni da mettere in sicurezza. Se l'aviazione Usa è corsa ai ripari ad Aviano vent'anni fa (il Friuli è una regione considerata ad Alto rischio), quali rimedi sono stati adottati nella base del 1.Roc? Nessuno, a quanto è dato conoscere. La presenza del radon in quantità notevoli nella base dismessa è stata rilevata dai due consulenti tecnici incaricati dalle procure ordinaria e militare: Vorne Gianelle, dell'Agenzia per la protezione ambientale della Lombardia, e Claudio Martinelli, funzionario dell'Arpav di Verona in servizio al centro regionale sull'amianto . La lunga galleria-bunker è stata scavata nel cuore di un insediamento di radon e il gas-killer per quarant'anni ha ristagnato nell'impianto dell'aeronautica con le stellette dove oltre a ufficiali e graduati di carriera sono transitati migliaia di giovani avieri in servizio di leva. Tra il 2001 e il 2004 sono stati cinque i decessi: Biagio Ferlito e Angelico Sanna, entrambi di Teolo, Andrea Cuazzo e Francesco Listo, residenti a Torreglia, ed infine Gianmarco Passudetti che ha preferito chiudere per sempre gli occhi nella sua casa di Voltabrusegana. A provocarne il decesso sono state patologie polmonari e respiratorie e neoplasie alla vescica e al colon. Gabriele Coltro

Il Gazzettino 23/08/05

Sapeva di essere giunto al capolinea.

Sapeva di essere giunto al capolinea. Al punto da chiedere ai medici di poter trascorrere le ultime ore di vita a casa. GIANMARCO PASSUDETTI, 51 anni, maresciallo maggiore dell'aeronautica militare, in forza alla base Nato sul Monte Venda, se n'è andato in punta di piedi il 21 dicembre scorso. Nella stessa maniera in cui aveva sopportato il suo lungo calvario. Neoplasia al colon. Aveva vestito la divisa per diciotto lunghissimi anni, dal 1973 al 1991, prima di congedarsi. Al 1° Roc di Abano aveva ricoperto varie mansioni. Fin dall'arruolamento era stato assegnato al magazzino, poi all'ufficio contabilità. Il magazzino dove trascorreva gran parte delle sue giornate era ricoperto di amianto . Aveva scoperto la malattia quasi per caso tre anni fa. Gli si era gonfiato il collo. Soffriva di improvvisi mal di pancia e aveva difficoltà di carattere intestinale. Ha lasciato la moglie Marina e i figli Stefania e Davide.

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Il Gazzettino 23/08/05

Oscar Scantamburlo, 72 anni, originario di Zero Branco, vittima di una neoplasia ai polmoni Ammiraglio stroncato da tumore contratto con l'amianto dei cantieri

L'ha stroncato dopo due mesi di sofferenze un tumore ai polmoni, provocato dall'amianto dei cantieri dove aveva lavorato per una vita. L'ammiraglio della Marina militare Oscar Scantamburlo si è spento ieri mattina all'età di 72 anni. Il suo ricordo, sebbene risiedesse da anni a La Spezia, è ancora vivo a Zero Branco, suo paese d'origine. Oscar era infatti figlio della "Ciaretta", titolare dell'osteria vicina alla chiesa. A Treviso Scantamburlo aveva frequentato il liceo classico al Pio X, negli stessi anni in cui giocava nelle giovanili del Calcio Quinto. Dopo la laurea in ingegneria navale, era entrato in Marina a Livorno e quindi a La Spezia, dove ancora risiedeva e dove oggi alle 11 si svolgeranno le esequie. Sempre in Liguria si era sposato, con una signora tedesca, Jutta. Da lei aveva avuto la figlia Claudia. A Treviso restano le sorelle, Vilma e Maria Teresa. Scantamburlo era un uomo sportivo, ma il male l'ha stroncato in brevissimo tempo. Solo a giugno aveva avuto i primi sintomi della neoplasia. Fatale, secondo i medici che l'hanno assistito nell'evolversi del tumore ai polmoni, l'amianto respirato nei cantieri navali. Serena Masetto

Il Gazzettino 24/08/05

PROPOSTA DELLA SINISTRA EUROPEA. LUNEDI’ SOPRALLUOGO ALL’ETERNIT «Sull’amianto si crei a Casale centro di ricerca tecnologico»

CASALE . La risoluzione della sinistra unita europea, votata alla fine della Conferenza sull'amianto a Bruxelles, sarà presentata la prossima settimana a Strasburgo: obiettivo un ordine del giorno che impegni il Parlamento sulle problematiche dell'amianto. La risoluzione chiede un'indagine sui legami societari delle multinazionali dell'amianto, un fondo per risarcire non solo le vittime esposte professionalmente alla terribile fibra, ma anche i cittadini che abbiano maturato malattie ad esso correlate, il divieto per le multinazionali dell'amianto di continuare la loro attività economica e, provata l’eventuale responsabilità, di corresponsione al fondo. Finanziamenti servono anche per la ricerca clinica sul mesotelioma: conta ora su pochissimi fondi, come confermato da medici provenienti da 25 Paesi. Si punta a creare a Casale un centro di ricerca tecnologico, vista l'esperienza sulle bonifiche. «Proprio da Casale è partita la bozza di legge - dice l'assessore Riccardo Revello, relatore alla Conferenza sull'esperienza della città monferrina - che in Italia ha vietato l'utilizzo e la commercializzazione dell'amianto. Ora si porterà avanti la richiesta di un'unica legislazione europea a tutela dei lavoratori». La lotta dunque si allarga a livello europeo e l'obiettivo è una moratoria nei confronti degli stati europei di recente o prossima acquisizione dell'Ue, perché vietino l'uso e la commercializzazione dell'amianto. Pare inverosimile, ma alla conferenza è stato accertato che molte aziende che producono sodio e clorosoda usano ancora oggi stampi fatti con il polverino d'amianto, la forma più pericolosa della fibra. Sull'altro fronte, quello legale, si sta prefigurando la possibilità di avviare un'unica vertenza europea che inchiodi l'Eternit alle proprie responsabilità. «Concordano Italia, Francia, Olanda, Belgio e Svizzera - dice Bruno Pesce del Comitato vertenza amianto -, i cui legali hanno costituito un coordinamento per la raccolta di documentazione, come si è fatto a Casale. Altra notizia positiva: la Svizzera entrerà a far parte della vertenza italiana per i lavoratori che, emigrati in Svizzera, lavorarono per l'Eternit. Il loro numero iniziale di una ventina di persone, è lievitato a circa 130 lavoratori, morti di mesotelioma, tumore al polmone e asbestosi». L'impegno per il coordinamento è di rivedersi a breve per scambio d'informazioni. Intanto, lunedì, è previsto

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un sopralluogo all'Eternit delle commissioni regionali Ambiente e Sanità, richiesto dal consigliere regionale Marco Botta. Potrebbe esserci una prima verifica sulle intenzioni regionali di mettere al centro dell'attenzione il problema amianto. Favorirà l'annunciata presenza dei due rispettivi assessori Nicola De Ruggiero e Mario Valpreda. E giunge notizia che dall'Asl sono state avviate le pratiche per un aumento di tre tecnici da affiancare al responsabile amianto, Angelo Mancini. f. n.

La Stampa –Sezione Alessandria 24/09/05

GORIZIA Sit-in di protesta ieri mattina di fronte al tribunale da parte dell’associazione monfalconese Le vittime dell'amianto reclamano giustizia

Gorizia . Da oltre dieci anni chiedono la stessa cosa: sostanzialmente giustizia e chiarezza per onorare le vittime dell'amianto . Così per portare avanti questo principio, oltre cinquanta persone si sono riunite ieri a Gorizia, di fronte al Tribunale, in un sit-in simbolico, per ricordare nuovamente "Amianto mai più". L'associazione Esposti Amianto di Monfalcone, capeggiata da Davide Bottegaro, ha voluto siglare la settimana di sensibilizzazione e denuncia, che è poi culminata ieri sera con lo spettacolo al Teatro Comunale di Monfalcone in cui hanno preso parte, come sostenitori della denuncia, Roberto Vecchioni, Gioele Dix, Ricky Gianco, Massimo Carlotto (per citarne alcuni). Prima della festa nel centro dei cantieri, in molti hanno voluto manifestare. Di nuovo di fronte al tribunale Goriziano (per alcuni è già la quinta volta) perché l'associazione è ancora in attesa di una risposta concreta dalla Procura: «Noi puntiamo al maxi-processo spiega Bottegaro - Il 7 novembre forse sapremo se questo sarà davvero possibile. Sulla questione sono aperti oltre 600 fascicoli. Noi chiediamo il rinvio a giudizio e il processo». Una richiesta netta che vede imputati gli allora Cantieri navali di Monfalcone (che utilizzavano il materiale per coibentare le strutture e le tubature a bordo delle navi) ed anche la Centrale Enel: nonostante le centinaia di denunce di morte giunte alla Procura in questi dieci anni, infatti, le indagini sono ancora nella fase preliminare. Il gruppo di persone (la maggior parte dei quali parenti delle vittime contaminate dall'amianto ) si è fermato davanti alla Procura in una manifestazione pacifica ed ordinata, solo per declamare per l'ennesima volta la loro rivendicazione. Fra gli altri anche alcuni componenti dello zoccolo duro del sodalizio, fondato quasi dodici anni or sono. Duilio Castelli uno dei fondatori che fra i primi che accolse le vedove dell'amianto - che ha voluto sottolineare: «il popolo non deve dimenticare il passato, altrimenti il passato ritornerà». Ed ancora, a motto di questa protesta una maglietta indossata dai partecipanti in cui a chiare lettere anche in riferimento alle donne di plaza de Majo si legge: l'unica lotta che si perde è quella che si abbandona. Martina Apollonio

Il Gazzettino 25/09/05 Cronaca di Gorizia

SOPRALLUOGO ALL’EX ETERNIT DI CASALE E C’E’ CHI CHIEDE DI AFFRONTARE IL RISANAMENTO COME ALL’ACNA Un commissario per la bonifica dell’amianto Intanto arriva un coordinatore: aiuterà i privati

CASALE MONFERRATO

Aumentano le possibilità di creare a Casale il Centro tecnologico per le bonifiche dell’amianto chiesto la settimana scorsa dalla Sinistra Unita al Parlamento europeo. Dopo il sopralluogo di ieri all'ex Eternit, effettuato dalle commissioni regionali Ambiente e Sanità,

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gli assessori Nicola de Ruggiero e Mario Valpreda ritengono infatti che la città «abbia maturato un’ampia esperienza nel campo delle bonifiche e la stessa sperimentazione che è stata condotta sul polverino (mai bonificato prima nel mondo; ndr) ne è la prova». Impressione condivisa anche dai consiglieri regionali intervenuti, tra cui il monferrino Marco Botta, promotore dell'iniziativa. La bonifica della «fabbrica della morte» vede all’opera ormai da anni la ditta Decam. Rimosso l’amianto dall’ex stabilimento, ora si procede allo smantellamento delle coperture. Finora ne sono stati eliminati 15 mila metri quadri. Ne rimangono altri 20 mila. Secondo l'amministratore delegato della Decam, Emilio Corigliano, l’intervento dovrebbe essere ultimato entro fine anno. Poi la fabbrica potrà essere abbattuta. Il più comunque è fatto. E anche i rischi sono ormai scesi. E le ingombranti tute di protezione che i visitatori dovevano indossare fino a qualche mese fa hanno lasciato il posto solo a sovrascarpe e mascherine. Si guarda inoltre alla bonifica dell’amianto sul territorio. E il sindaco Paolo Mascarino ha chiesto che venga individuato un unico coordinatore, che tenga i contatti tra Asl, Arpa, Comune, Regione, così che la bonifica di circa 1 milione di metri cubi di coperture nelle case dei privati abbia scadenze precise da rispettare e ci sia un responsabile a cui fare riferimento. Immediata l’approvazione da parte dell'assessore Valpreda. Una richiesta che va di pari passo con quella avanzata da Bruno Pesce, coordinatore del Comitato Vertenza Amianto, che ha invocato un programma preciso degli interventi, «per rispettare tempi e impegni, evitando che la bonifica duri ancora 100 anni». Anche il trasporto di piccole lastre di privati (fino a 500 metri quadrati) in discarica e gratuitamente sarà possibile, dopo la metà di ottobre, grazie all'intervento della Regione, per quei cittadini che abbiano già completato la bonifica e che quindi non potranno accedere al finanziamento di 30 euro al metro quadro destinato invece a chi deve ancora smaltire l’amianto. «Bisogna dare dignità ai malati terminali e per questo - ha detto dal canto suo l'oncologa Daniela Degiovanni - chiedo di assumere infermieri che seguano i malati di mesotelioma, un compito ora svolto solo da 3 medici e 3 infermieri volontari». Intanto giunge dall'ex assessore provinciale Bruno Rutallo, ora consigliere regionale, la sollecitazione a chiedere al governo la nomina di un commissario straordinario per le problematiche dell’amianto, analogo a quello per la bonifica dell'Acna di Cengio.

La Stampa – Sezione Alessandria – 27/09/05

CONFERENZA EUROPEA . Amianto i casalesi a Bruxelles

CASALE MONFERRATO . La lotta all'amianto si allarga all'intera Europa e Casale, con i suoi rappresentanti, avrà un ruolo centrale, grazie all'esperienza maturata nel campo. Il 21, 22 e 23 settembre, infatti, al Parlamento europeo a Bruxelles si terrà l'European Asbestos Conference: polily, status & human rights, organizzata dai gruppi europarlamentari della Sinistra Unitaria, cui parteciperà una folta delegazione casalese (Riccardo Revello, Alberto Deambrogio, Piermassimo Pozzi, Nicola Pondrano, Bruno Pesce, oltre ai sindacalisti Enrico Moroni, vice-presidente Inca Cgil nazionale e Piermassimo Pozzi, segretario provinciale Cgil). Si comincia mercoledì 21 con un coordinamento dei legali delle associazioni rappresentanti le vittime da amianto provenienti da Italia, Belgio, Francia, Svizzera, Olanda. Saranno presenti anche gli avvocati Bonetto, Pissarello, Forlenza, che da anni seguono la vertenza dell'Eternit casalese. L'obiettivo è una forte iniziativa legale europea per chiamare in causa l'Eternit dove gestiva stabilimenti che hanno causato disastro doloso, omicidi colposi, violazione delle norme di sicurezza, praticamente i capi di imputazione emessi dal procuratore torinese Raffaele Guariniello nei confronti dei fratelli svizzeri Schmidheiny e del barone belga De Cartier de Marchienne, proprietari negli anni scorsi delle rispettive multinazionali

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Eternit. Circa 2000 denunce sono state presentate al proposito e 1300 sono i morti per malattie correlate ad amianto, oltre metà delle quali solo a Casale. Si prosegue giovedì e venerdì, sui risarcimenti sia per ex-lavoratori che per cittadini ammalatisi, tema che vedrà un intervento dell'eurodeputato Vittorio Agnoletto, che chiederà la costituzione di un fondo internazionale. Altro obiettivo è quello di chiedere la messa al bando definitiva dell'amianto nei paesi dell'Est, di prossima acquisizione europea.

La Stampa – Sezione Alessandria – 28/09/05

ROMANA BLASOTTI PAVESI: «NON POSSIAMO CONTINUARE A VEDER MORIRE I NOSTRI FIGLI E NIPOTI» Amianto, basta con le lentezze «Occorre stringere i tempi su ricerca e vertenze»

CASALE MONFERRATO .«Chiunque può fare qualcosa sull'amianto lo faccia subito, senza rimandare a domani»: è l'accorato appello di Romana Blasotti Pavesi ai consiglieri regionali, venuti a Casale per il sopralluogo all'Eternit. «La mia rabbia - dice Blasotti - deve tramutarsi in lotta senza quartiere all'amianto e da questo punto di vista più si allarga la conoscenza della terribile fibra più è facile combatterla, ma bisogna fare presto, per evitare che i nostri figli e nipoti continuino a morire». Romana ne sa qualcosa: nella sua famiglia sono cinque le vittime d'amianto, l'ultima la figlia Maria Rosa appena un anno fa. Più polemico Bruno Pesce del Comitato Vertenza Amianto, che insiste «sul dare seguito alle decisioni che si prendono in questi vertici, utili certamente, ma che devono poi sortire effetti precisi». Perchè non dare corpo a un tavolo tra chi partecipa al processo di deamiantizzazione del territorio per rilevare in tempo carenze e porvi rimedio? Perché non collegare le varie istanze legali per dare un peso maggiore alle vertenze in atto? Pienamente d'accordo anche l'assessore all'Ambiente Riccardo Revello. «Stiamo lavorando - dice - proprio in questa direzione». «Una sensibilità trasversale - dice il consigliere Marco Botta, che ha promosso il sopralluogo delle commissioni Ambiente e Sanità regionali - che impegna maggioranza e opposizione, perché l'amianto non è né di destra, né di sinistra e deve vedere l'impegno di tutti su due fronti, la bonifica e la ricerca scientifica», su cui tra l'altro il consigliere ha presentato una proposta di legge chiedendo ulteriori finanziamenti per 5 milioni di euro. Positivo dunque, secondo Botta, il vertice. Meno soddisfatto Beppe Filiberti della Lega: «Dall'incontro in Comune mi aspettavo - dice - un confronto tra Asl, Arpa, Comune, che non c'è stato e che ho chiesto avvenga anche in commissione Ambiente comunale, perchè è ora di finirla che le responsabilità dei ritardi siano palleggiate da uno all'altro ente».

La Stampa – Sezione Alessandria 28/09/05

EMERGENZA AMIANTO Secondo le accuse lanciate venerdì sera sotto i capannoni ex Metallurgica ci sarebbero veleni «Chi ha le prove sporga denuncia» L’invito è dell’onorevole Maurizio Paniz che invita però il Comitato alla prudenza

Feltre (D.S.) «Se ci sono stati degli abusi, vanno sanzionati. Bisognerà stabilire se esistono delle responsabilità. Chi ha delle prove deve avere il coraggio di sporgere denuncia». L'invito è dell'onorevole Maurizio Paniz e risponde all'inquietante scenario emerso venerdì scorso durante l'assemblea convocata dal Comitato dei lavoratori della ex Metallurgica. In quell'occasione, diversi operai oggi in pensione hanno descritto il lavoro nello stabilimento prima degli anni '90 come un contatto continuo con ogni genere di veleni (dall'amianto , al cianuro, all'esacloroetano), che venivano immessi nell'acqua,

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nell'atmosfera o rovesciati all'esterno dello stabilimento. Su decine di metri cubi di rifiuti speciali, secondo Mario Gris, portavoce del Comitato, sarebbero stati costruiti i nuovi capannoni della Metallurgica. Tuttavia, Paniz (che segue il Comitato anche dal punto di vista legale in veste di avvocato) invita alla prudenza. «Molto può essere costruito senza prove certe intorno a vicende di questo tipo, e una cosa tira l'altra. Bisogna però fare attenzione e stare con i piedi per terra». Sulla vicenda relativa alla richiesta, da parte degli ex impiegati alla Metallurgica, di vedersi riconosciuti i diritti che spettano agli esposti all'amianto , Paniz sostiene che la via da seguire è quella della battaglia legale. «Non è possibile chiedere un'inchiesta parlamentare su questa questione dice rispondendo a una proposta emersa nell'assemblea poiché le inchieste parlamentari possono riguardare solo questioni di rilievo nazionale, non locale. A questo proposito è già stata fatta un'interpellanza. Quanto invece alla questione dei curricula, non ho il potere di andare a prendere qualcosa che non viene dato spontaneamente. Va seguita la strada legale». Su quest'ultimo punto i membri del Comitato sono concordi. Sono decisi tuttavia anche a seguire la via istituzionale. Atraverso una lettera al direttore generale Bortolo Simoni solleciteranno l'Ulss ad avviare il programma di tutela sanitaria. Nel corso dell'assemblea hanno chiesto inoltre maggiore attenzione al sindacato e al mondo della politica (al sindaco Alberto Brambilla e al presidente della Cmf Ennio Vigne, che non avrebbero risposto a lettere inviate dal Comitato tempo fa, nonché ai parlamentari e ai consiglieri regionali).

Il Gazzettino 4 ottobre 2005

AMIANTO-KILLER

Hanno lavorato un'intera vita all'Amag, l'ex azienda municipalizzata dell'acquedotto padovano. Ogni giorno a contatto con le condutture di cemento-amianto . La lista conta tre operai morti, uccisi dal mesotelioma pleurico. Altri sette sono stati dichiarati invalidi a causa delle placche pleuriche asbestosiche presenti nei loro polmoni. Sono gli effetti devastanti della fibra di amianto . Un ex ingegnere capo del Comune di Padova e tre ex direttori dell'Amap, poi divenuta Amag e adesso Aps spa sono accusati di concorso in omicidio colposo e lesioni colpose. Il tecnico comunale è Luigi Trombella, mentre i tre ex direttori sono Angelo Zanovello, Corinno Cera e Natalino Sottanni, che si sono susseguiti nella municipalizzata dalla fine degli anni Cinquanta agli anni Novanta. L'udienza preliminare si celebra dinanzi al giudice Cristina Cavaggion. Il pm Emma Ferrero chiede il loro rinvio a giudizio. L'udienza è stata rinviata per permettere un accordo sul risarcimento dei danni e l'unificazione con un altro procedimento. Giuseppe Schiavon abitava in città con la moglie. È morto il 22 febbraio dello scorso anno. Prima di lui era toccato a Giampaolo Bortolami, deceduto il 21 aprile 2001. L'altra vittima è Paolo Mengato, morto il 30 marzo 2000. Nel 1985 sotto le strade di Padova c'erano 590 chilometri di condotte in cemento-amianto . La rete in gran parte esiste ancora oggi, nonostante ogni anno una ventina di chilometri di tubazioni venga sostituita con condutture in ghisa. Ebbene, un tempo quei tubi di amianto venivano tagliati con ogni mezzo e senza alcuna precauzione per i lavoratori. A secco, con normali seghe e flessibili. Il che significava inevitabile dispersione delle micidiali fibre cancerogene.

Il Gazzettino 4 ottobre 2005

Pensione anticipata per chi lavora con l'amianto

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Gli operai che per oltre 10 anni lavorano a contatto con l'amianto hanno diritto al pre-pensionamento. Lo ha stabilito il giudice del lavoro del tribunale di Frosinone, che ha accolto il ricorso presentato da alcuni lavoratori della Videocolor, i cui vertici sono imputati di omicidio e lesioni colpose in seguito alla morte per asbestosi di almeno 4 operai.

Liberazione 3/12/05

Una "piece" teatrale porta in giro per l'Italia il dramma dell'amiantoLavoratori dei cantieri navali e del petrolchimico uniti dalla "Polvere"

di Giulio Di Luzio . Polvere è un coraggioso atto di denuncia contro un crimine in tempo di pace, quello che si sta consumando nell'indifferenza dei media intorno ai cantieri navali di Monfalcone, dove decine di lavoratori continuano a morire, mentre portano avanti l'impari lotta contro il nemico invisibile, l'amianto. Nella cittadina goriziana, infatti, i cantieri navali sono stati responsabili negli ultimi vent'anni di non meno di 2mila decessi, una tragedia destinata a dilatarsi secondo la previsione che stima fino al 2020 il periodo di incubazione della contaminazione di massa sul territorio, grazie alla diffusione delle micidiali microfibre in amianto, ed ai suoi esiti nefasti, il mesotelioma pleurico. Per questi motivi il teatro comunale di Mesagne, a due passi da Brindisi, ospita domani "Polvere", quasi a ratificare, in un tragico sodalizio di morte e di lotta, le condizioni dei lavoratori del petrolchimico di Brindisi ed i processi i corso per i numerosi casi di morte da amianto. "Questa rappresentazione è strumento di denuncia e di comunicazione del dramma che vive la città di Brindisi a causa della presenza di polvere d'amianto in alcuni luoghi della vita sociale e lavorativa. Dato inconfutabile sono le morti riconducibili alla polvere d'amianto e i processi avviati dalla magistratura", precisa Gino Stasi di Medicina Democratica, che ha permesso alla Compagnia "Assemblea Teatro" di Torino di giungere nel capoluogo pugliese. Allo spettacolo seguirà un dibattito che coinvolgerà operai, familiari delle vittime, medici, sindacalisti, avvocati e magistrati, che hanno seguito il processo di cui Medicina Democratica è parte civile. La giornata di domani diventa ancor più significativa dopo la sentenza emessa in uno dei processi in corso, che ha mandato assolti alcuni dirigenti in relazione alla morte di due operai brindisini per mesotelioma. E' proprio da queste ultime morti operaie che nasce la voglia di riscatto di una città che cerca di rivedere l'orizzonte ed i limiti del suo sviluppo industriale e che da lungo tempo registra un continuo attacco alla salute dei suoi cittadini. "Il teatro è allo stesso tempo rappresentazione dell'amore e attaccamento al nostro territorio -dice Gino Stasi- ribellione e lotta per il diritto alla salute, apprendimento e interiorizzazione in particolar modo per le giovani generazioni". Il testo è scritto da Massimo Parlotto, gli attori sono Giovanni Boni, Marco Pejrolo e Laura Fogagnolo, con la regia di Renzo Sicco e Lino Spadaro. Le loro parole abbattono i silenzi e le reticenze del mondo della politica, che ha preferito negli anni voltare pagina di fronte alle tante vite spezzate o piegate dall'amianto, ma anche di un'informazione miope e incapace di raccontare le ragioni e la solitaria lotta di operai e delle loro famiglie contro scelte industriali, che oggi non riescono neanche a riconoscere i loro errori. Dagli ex stabilimenti Eternit di Casale Monferrato ai cantieri Finmeccanica di Monfalcone al petrolchimico di Brindisi è possibile ricostruire volti e storie operaie dimenticate e tranciate dalla malattia. Gli attori di "Assemblea Teatro" riescono a ricostruire queste vicende umane e professionali sofferte, affidandone la rappresentazione sul palco a due dirigenti d'azienda e a un operaio. Ne vien fuori un quadro di vissuti, in cui colpisce soprattutto la forza evocativa di un teatro civile capace di abbattere i muri di silenzio e di omertà sull'intera vicenda industriale di Monfalcone, come su quella di Casale Monferrato e Brindisi

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Liberazione 18/12/05LETTERA «APERTA» DI UN SINDACALISTA AL PREFETTO GIUSEPPE ROMANO, COMMISSARIO STRAORDINARIO PER LA BONIFICA DELLO STABILIMENTO CHIMICO DI CENGIO «Aiutate chi ha lavorato tra i veleni dell’Acna» L’appello riguarda i 200 ex dipendenti esclusi dai benefici della legge sull’amianto

Lo stabilimento Acna di Cengio come si presenta oggi dopo che ha cessato la produzione ed è in corso la bonifica CENGIO

Lettera «aperta» al commissario per la bonifica dell'Acna, il prefetto Giuseppe Romano, da parte di Luigi Giovanni Pregliasco, sindacalista ed ex rappresentante della Rsu dello stabilimento chimico cengese. Una lettera di denuncia non solamente sulla questione dei mancati benefici legati alla legge sull'amianto per i circa 200 ex lavoratori di alcuni vecchi reparti, ma anche un'inequivocabile denuncia su quanto interrato nella discarica di Basso Piave, a Pian Rocchetta. Scrive Pregliasco: «Chiediamo come mai i benefici amianto all'Acna terminano nel 1991 mentre nei bilanci dell'azienda in liquidazione al 31 dicembre 1996, a pagina 7, si legge che sono stati spesi 3 miliardi delle vecchie lire per lo smaltimento di materiali contenenti amianto». Prosegue: «Ci rivolgiamo a lei commissario che, trascorsi diversi mesi all'Acna, saprà ormai tutto: dove sono interrati i fusti di 3-4 di cloronitrobenzolo, dove vi sono i catrami della 5Ct, dell'Acido H, del Bon,del Betanaftolo, del Metamisofenolo, e saprà anche quante tonnellate di amianto vi sono nella discarica di Basso Piave, sistemato lì, dopo la demolizione avvenuta negli Anni Settanta e Ottanta dei reparti Basi Bleu Anilina, Pen, Aminazioni V.I, Anidride ftalica, Fenolo Anisoli, Benzaldeide, Clorobenzolo. Sodacloro, Cloruro alluminio, solamente per citarne alcuni». Scrive ancora Pregliasco, sempre rivolgendosi al commissario Romano: «Faccia giustizia lei: dichiari che quantificando la diversità dei rifiuti tossici e dell'amianto presenti in Acna si deve dire all'Inail- Contarp e a tutta l'Italia che l'Acna era una fabbrica diversa dalle altre chimiche, e che il beneficio amianto, oltre ai lavoratori delle Officine, deve venire esteso anche ai lavoratori degli altri reparti perchè hanno respirato e ingerito amianto per 30-35 anni, e prima che si ammalino di mesotelioma pleurico faccia dare loro tale riconoscimento». Aggiunge il sindacalista, a nome di «200 operai arrabbiati, esposti all'amianto ed esclusi dal beneficio» che «Gli attuali dirigenti che hanno avuto contatti e magari dato suggerimenti all'Inail-Contarp non hanno neppure visto i reparti di cui le abbiamo scritto perché erano stati demoliti prima del loro arrivo in azienda. Una questione alla quale sono interessati i lavoratori la cui assunzione era avvenuta a partire dal 1953 e i pensionati dal 1992». Una lettera «aperta» con cui Luigi Giovanni Pregliasco entra in polemica anche con l'Ala, Associazione lavoratori Acna, di cui peraltro ha fatto parte, che non più tardi della scorsa settimana, attraverso una nota del Consiglio di amministrazione, ha dichiarato che «pur consapevole che la conquista del rischio chimico ha anche reso possibile l'ottenimento di alcuni riconoscimenti di esposizione all'amianto, la questione amianto tuttavia non rientra e non è mai rientrata nei nostri obiettivi, essendo l'argomento di esclusiva sfera sindacale».

La Stampa – Sezione Savona 4/01/06

BIANDRATE OPERAIO DI 42 ANNI, APERTA INCHIESTA Stroncato da tumore Il sospetto: l’amianto

Lavorava in una ditta che si occupava di manutenzioni in aziende a rischio. Durante l’attività sarebbe venuto a contatto con l’amianto. La diagnosi, mesotelioma pleurico,

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indica un decesso causato dall’amianto: ha fatto aprire il fascicolo alla procura di Novara. L’inchiesta è condotta dal pm Giovanni Caspani. Si ipotizza il reato di omicidio colposo. Sarebbe stata una malattia professionale a causare il decesso di Claudio Deugenio, 42 anni, deceduto il 29 dicembre all’ospedale Maggiore di Novara dopo un lungo calvario. Sedici mesi fa gli era stato diagnostico un mesotelioma pleurico, un tipo di tumore dovuto all' esposizione alle polveri di amianto. Deugenio abitava con la moglie e le due figlie a Biandrate. Lavorava per una ditta specializzata in manutenzioni industriali e probabilmente proprio nel corso di questa attività è venuto in contatto con materiali in amianto. In un primo tempo il fascicolo era stato aperto per «lesioni colpose»; la pratica si è trasformata in omicidio colposo (con nuovi termini di prescrizione rispetto alle lesioni). L’iter dell’inchiesta si presenta lungo in quanto l' uomo ha lavorato in diverse aziende nel corso della sua vita. Agli inquirenti il compito di stabilire dove e come abbia contratto il tumore e se si tratti di una malattia professionale. c. m.

La Stampa – Sezione Novara 7/01/06

Tetto di fabbrica in eternit l’Inail risarcisce un operaio Per la prima volta riconosciuta l’esposizione «passiva»

CASALE MONFERRATO . Per la prima volta l'Inail riconosce a un lavoratore il nesso tra l'esposizione «passiva» (quando non si tratta di esposizione professionale) all'amianto e l'insorgere della malattia, tanto da conferire al lavoratore casalese dal prossimo mese un indennizzo mensile che potrà aggirarsi sui 1500/2000 euro, indennizzo che arriverà alla famiglia anche dopo l'eventuale morte dell'assicurato. «È una decisione storica - dice Nicola Pondrano, responsabile della Camera del Lavoro di Casale - perché finora, e a fini pensionistici, veniva solo riconosciuta l'esposizione professionale». Questa volta invece la decisione dell'Inail ribadisce che le fibre d'amianto sono cancerogene anche per chi non le lavora direttamente, come il casalese in questione, che ha svolto la sua attività per 18 anni in un capannone che aveva le coperture in amianto. «Nonostante le coperture fossero protette da controsoffittature - dice Giuseppe Costantino, responsabile dell'Inail di Casale - le fibre sono filtrate ugualmente, provocando la malattia al lavoratore». Non è infatti la quantità di fibre che possono essere inalate a scatenare il terribile mesotelioma, ma anche tumore al polmone, malattie polmonari. Purtroppo è sufficiente una sola fibra a generare il male. «Non esiste una soglia di sicurezza al di sotto della quale il rischio si annulla - dice l'oncologa, Daniela Degiovanni -. Già venti anni fa l'Oms (Organizzazione Mondiale alla Sanità) ribadiva che il rischio cancerogeno dell'amianto si azzera solo in assenza di fibre». Ecco perché le associazioni che lottano contro l'amianto, hanno sempre osteggiato la revisione della legge che riguardava l'esposizione professionale alla terribile fibra, che prevede che l'esposizione sia a 100 fibre per 8 ore al giorno e per 10 anni continuativi. «È stata la Contarp (Consulenza Tecnica Regionale per l'accertamento dei rischi professionali) - aggiunge Costantino - a interpellare eminenti specialisti in materia e ad arrivare a questa decisione, che si lega sempre più al Dna dell'Inail che ha appunto il compito di tutelare gli assicurati». Dietro alla decisione però un ampio lavoro a più mani da parte di chi da anni lotta su questo fronte. Proprio oggi alla Cgil di Alessandria, durante il Congresso provinciale, Pondrano proporrà un ordine del giorno sull'amianto. Purtroppo, a causa della finanziaria, non si sono ancora risolti i gravi problemi di mancanza di personale della Contarp. Solo due sono le persone a Torino incaricate di esaminare le pratiche dei lavoratori, contro circa 2000 domande avanzate in provincia, il cui numero è esponenzialmente aumentato dopo il 15/6/2004 termine ultimo per la presentazione delle domande. Si tratta di tanti lavoratori, che, se avessero parere positivo dall'Inail potrebbero andare prima in pensione, vista la previsione di una loro vita breve, a causa della malattia

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contratta. Indennizzi anche a chi si ammala pur senza aver lavorato direttamente l’amianto

Domani e dopodomani Bruno Pesce del Comitato Vertenza Amianto, accompagnato dagli avvocati che da anni seguono la vertenza casalese(Paolo Pissarello di Genova e Sergio Bonetto di Torino) parteciperà a una riunione a Parigi nello studio dell'avvocato Jean-Paul Teissoniere per coordinare quanto a livello europeo è stato fatto al proposito. Verranno trattati i temi dell'indennizzo alle vittime da amianto, si esamineranno le azioni legali già in corso e lo stato delle procedure contro l'Eternit in ogni Paese e la possibilità di coinvolgere istituzioni internazionali. Saranno infatti presenti esponenti di Francia, Svizzera, Belgio, Olanda, Spagna, oltre all'Italia, con cui il Comitato ha già intessuto in passato stretti contatti, per mettere a confronto esperienze più positive che potrebbero essere «esportate» in altri paesi. In Francia per esempio esiste un fondo (75% messo a disposizione dalle imprese e 25% dallo Stato) per risarcire chi è stato colpito da malattie correlate all'amianto, un'iniziativa richiesta anche in Italia. f. n.

La Stampa – Sezione Alessandria 12/01/06

LA CLEMENCEAU PIENA DI AMIANTO VIAGGIA VERSO LO SMANTELLAMENTO L’Egitto blocca a Port Said la portaerei dei fantasmi

C'è una nave che non vuole morire, non si riesce a infliggerle il colpo di grazia, che sfugge alla ingiustizia del tempo. Si chiama «Clemenceau», una portaerei monumento (arrugginito) della «grandeur» marittima ormai poco eroicamente nuancé dai bilanci in rosso. Proprio quando ormai galleggia a mala pena, ha tutti gli oblo sigillati, è inerme, è diventata il sogno di ogni ammiraglio: la nave inaffondabile. E' protetta dalle tonnellate di micidiale amianto sciaguratamente distribuite nella sua carcassa meglio che dalle possenti corazze delle fiancate. Intoccabile, definitivamente avvelenata, burocraticamente in eterna quarantena, ecologicamente micidiale. Vaga per i mari grottesco simbolo dello sperpero militare e dell'insipienza come un vascello fantasma, respinto da ogni porto e da ogni cantiere, preso in ostaggio dai vendicativi corsari di Greenpeace, perseguitata dalle sentenze giudiziarie. C'è una grottesca epopea nella crociera di quella che era una fierezza nazionale galleggiante e ora è un rimorso che imbarazza la Francia. Radiata nel 1997 dopo quasi 40 anni questo colosso accudito ai bei tempi da duemila uomini di equipaggio non ha trovato un compratore, al contrario della gemella Foch svenduta al Brasile per meno di 15 milioni di euro. Ormeggiata a Tolone, privata delle armi e dei 40 aerei, arrugginita aspettava paziente di essere definitivamente disossata. Ma c'era il problema dell'amianto mortifero, 160 tonnellate. La Francia si è accorta che distruggere la vetusta balena di acciao era costosissimo. Alla fine, dopo anni di polemiche, si è fatto avanti un cantiere di Alang in India. Qui il criterio di rischio è più elastico, l'ecologia un lusso sconosciuto, gli operai affamati non discutono, la pospettiva di un ghiotto guadagno in ferraglia annienta qualsiasi rimorso. Un po' rossa di vergogna, la Francia ha incassato il denaro e esportato il suo incubo al Terzo Mondo,. Un classico del tartufismo occidentale, un caso da manuale. Sembrava finita. Ma gli ecologisti hanno braccia lunghe. Un ricorso alla Corte suprema indiana ha denunciato che le cifre erano false, che a bordo le quantità di amianto era molto più elevata e pericolosa di quanto giuravano i documenti francesi. In attesa di una sentenza definitiva si decide di salpare lo stesso. Poi si vedrà. L'ultimo viaggio è iniziato il 31 dicembre: le catene che la tenevano legata alle banchine dell'arsenale di Tolone si sono sciolte come una liberazione. Il gigante ormai si muove trascinato da un rimorchiatore, al massimo il monumento che filava a 23 nodi può arrancare a cinque. Lo aspettano ben quattromila miglia e due mesi di mare, una lenta

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interminabile agonia marinara. Deve passare arrancando al traino il Mar Rosso, Bab el Mandeb, Aden, i mari che aveva orgogliosamente pattugliato. Ma sulla via dell'India l'ultimo agguato: prima uno scenografico arrembaggio di Greenpeace. Poi il veto del governo egiziano: «La nave non può entrare nelle acque territoriali e neppure passare il canale di Suez, ci vuole un documento che attesti la assenza di scorie pericolose». la Clemenceau è ferma a Porto Said. Ormai a Parigi si è rassegnati a sperare nella pietosa eutanasia di un naufragio.

La Stampa 13/01/06

LA DECISIONE Un operaio residente nel Veneto morì per mesotelioma pleurico, decesso che la procura ha messo in relazione con la lavorazione in una azienda di Basiliano «Protezioni carenti per affrontare il pericolo amianto» Poco più di due mesi dalla sentenza di condanna di due imprenditori per omicidio colposo, il giudice ha depositato le motivazioni

Salvatore Panetta, di origine calabrese morì il 23 luglio del 2000 a San Donà di Piave a 48 anni. Ucciso da un mesotelioma pleurico. Per la procura la morte è in relazione con l'attività svolta in fabbrica e in particolare con l'amianto. Sono seguiti imputazione e processo nei confronti di due imprenditori. Il 24 ottobre del 2005 la sentenza di condanna, la prima pronunciata in materia di morte per amianto dal tribunale friulano. Ora il giudice Piervalerio Reinotti ha depositato le 28 pagine di motivazione in cui si analizza il fenomeno della lavorazione dell'amianto e dei rischi per il lavoratore e si spiegano le ragioni che hanno determinato la condanna a 8 mesi di reclusione, condizionale, di Giuseppe Mascarin, 60 anni, Cinto Caomaggiore legale rappresentante della Tecnoimpianti srl e l'ingegner Felice Rivalta, 75, Torino, dirigente operativo della Fusa, Fonderie udinesi srl di Basiliano.

Salvatore Panetta operò dal 1984 al 1989 alla Fusa come addetto al montaggio di caldaie e prima ancora dal 1982 al 1984 come dipendente della Tecnoimpianti, ditta che operava con proprio personale all'interno della Fusa: utilizzò guarnizioni di corda e fogli d'amianto; per l'accusa senza che venissero adottate precauzioni per evitare l'inalazione e l'aspirazione delle fibre.

«Il nesso tra assunzione di fibre di amianto e mesotelioma pleurico - ha scritto il giudice - è stato riconosciuto dall'Inail che riconobbe al Panetta dal novembre del 1998 una rendita diretta del 100 per cento». Tipo di lavorazioni cui venne adibito. «Mentre diverse - si legge nella motivazione - sono le interpretazioni di accusa e difesa riguardo alla incidenza in termini quantitativi del maneggio dell'amianto da parte del lavoratore e delle protezioni adottate nell'ambiente di lavoro, le specifiche attività cui era adibito dal 1982 all'aprile del 1989 non sono poste in discussione». Accanto alle testimonianze dei colleghi di lavoro, il giudice ha ritenuto di valorizzare quella dello stesso Panetta all'ispettore dell'Usl: «Non mi sono mai stati forniti mezzi di protezione per le vie respiratorie da utilizzare; saltuariamente per le operazioni di verniciatura mi sono state fornite mascherine di carta senza filtro». «In ogni caso - scrive il giudice - pare indubbio che nessuna istruzione specifica fosse stata data in ordine alla pericolosità dell'amianto».

Il giudice ha poi affrontato il problema dell'insorgenza della patologia, se fosse riconducibile a un momento lavorativo antecedente rispetto a quello svolto alle dipendenze delle due società e se le lavorazioni cui venne adibito presso le stesse abbiano aggravato il decorso. La difesa ha insistito sull'attività pregressa del lavoratore che operò in

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Germania nella demolizione di fabbricati con la possibilità di contatto con materiali a base di fibre di amianto. Dopo essersi richiamato a sentenze della Cassazione e alla perizia medico legale, il giudice ha ritenuto che «tutte le esposizioni successive del Panetta, e non pare dubitabile vi siano state, sia sotto l'amministrazione Tecnoimpianti sia sotto la Fusa, rispetto a un'insorgenza eventuale e antecedente della malattia, hanno avuto effetto su di essa anche condizionandone il tempo di latenza e così accelerando tanto il suo insorgere che il susseguente decesso del lavoratore». Sulla prevedibilità dell'evento e sulla codificazione all'epoca dei rischi, il magistrato richiama quanto affermato dal perito: «si può dire che nella seconda metà degli anni '60 il tumore al polmone e il mesotelioma alla pleura sono neoplasie certamente attribuibili, in base alla conoscenze a quel punto acquisite, all'esposizione ad amianto al punto che tale conoscenza trova diffusione anche in organi di informazione non specialistici».

«Che si tratti - scrive ancora il dottor Reinotti - di un prodotto tanto efficace sotto il profilo tecnologico quanto micidiale per la salute è provato oltre che dal totale abbandono in ogni produzione, dal fatto che la sua pericolosità permane anche in situazioni lavorative del tutto marginali». E conclude: «Orbene che le condizioni lavorative nelle quali era impiegato Panetta fossero del tutto carenti per fronteggiare il pericolo della respirazione di fibre di amianto e circostanza ad avviso del giudicante, incontrovertibile».

Il Gazzettino – Cronaca di Udine 18/01/06

VALENZA EX PRESIDE E ORAFO . A giudizio per la morte da amianto

ALESSANDRIA . Si può morire per mesotelioma contratto per aver respirato polvere d'amianto in un'azienda orafa? Sì, per l'accusa. Lo dimostra il provvedimento firmato ieri dal gip Magrini che ha mandato a giudizio per concorso in omicidio colposo (il processo sarà celebrato il 10 luglio) Bruno Abre, 84 anni, spalto Borgoglio, dal '61 al '64 preside dell'istituto professionale orafo «Cellini» di Valenza, e Danilo Ficalbi, 67, di San Salvatore Monferrato, via Cavalli, socio accomandatario dell’omonima ditta (chiusa da 20 anni), dove lavorava la vittima, Paolo Martinotti, classe 1946, prima allievo della scuola, poi operaio nell'oreficeria. L'accusa: esposizione a fibre d'amianto. In particolare, contenute in supporti ignifughi utilizzati per le operazioni di saldatura, guanti per movimentare cilindri durante le operazioni di microfusione e guarnizioni di tenuta dei portelli montati su forni. Il gip ha accolto la tesi del pm Michele Di Lecce e dell’avvocato Paolo Cavalli, parte civile per moglie e figlio dell'operaio («Abbiamo preso questa decisione per un dovere morale verso il defunto e cercare di capire che cosa è avvenuto esattamente in fabbrica»). Il ministero dell’Istruzione è citato come responsabile civile a garanzia del risarcimento danni. I difensori degli imputati (Tino Goglino, Giorgio Rosso, Giuseppe Lanzavecchia e Vittorio Spallasso) hanno chiesto il proscioglimento sostenendo, fra l'altro, che all'epoca non era provata la pericolosità dell'amianto, che secondo Ficalbi, oltrettuto, mai fu utilizzato nell'azienda dove si ricorreva a mattoni refrattari e altro. Inoltre Martinotti era disegnatore di modelli. La difesa di Abre poggia sul fatto che al «Cellini» svolse solo funzioni amministrative e la malattia della vittima è insorta, come riferito dai periti, fra il '64 e il '70 quando Abre non era più preside. La causa è nata da una denuncia d'ufficio presentata dopo la morte di Martinotti (aprile 2004); la malattia resta in incubazione anche per 20 anni e solo da poco più di 10 l'amianto è stato messo al bando.

La Stampa 27/01/06

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VIGODARZERE Il giudice del lavoro Caterina Santinello ha condannato la Edilit a pagare i danni alle famiglie Morte per amianto, risarciti due operai La sostanza killer arrivava in azienda in sacchi di carta o di juta e veniva conservata anche nei capannoni

Lavoravano a stretto contatto con l'amianto killer senza maschere protettive o sistemi di aspirazione delle polveri. Il giudice del lavoro Caterina Santinello ha riconosciuto l'esistenza del nesso causale tra le patologie tumorali e le condizioni di lavoro in cui erano costretti ad operare due dipendenti dell'Edilit di Vigodarzere, di proprietà della multinazionale belga Etex. L'azienda è stata condannata a riconoscere cospicui risarcimenti alle due vittime. L'operaia A.S. aveva lavorato per dieci anni - tra il 1973 ed il 1983 - nello stabilimento di via Lungargine Muson come addetta alla sfornatura dei pezzi lavorati, al trasporto della pasta di cemento-amianto e alla rifinitura manuale del prodotto. La donna ha contratto una neoplasia polmonare. Il giudice le ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno biologico e dei danni morali per circa 180 mila euro oltre agli interessi legali. Sorte ancora peggiore è toccata all'operaio L.S., alle dipendenze dell'Edilit per quasi 34 anni (1947-1981) come addetto al reparto produzione. L'uomo è deceduto nel 2001 per mesotelioma. Alla vedova e alla figlia di L.S. sono stati riconosciuti danni per un ammontare complessivo di circa 400 mila euro oltre agli interessi. In entrambi i casi le perizie medico-legali effettuate dal dottor Maurizio Banfi hanno accertato l'esistenza del nesso di causalità tra le malattie e la prolungata esposizione dei due lavoratori ad ingenti quantità di fibre di amianto disperse nell'aria. Il mesotelioma é una patologia purtroppo ricorrente tra gli esposti alla sostanza killer. Si manifesta anche a trent'anni di distanza dal contatto con le polveri. Dagli atti acquisiti durante la causa è emerso come fino all'inizio degli anni Ottanta nessun dipendente fosse dotato di maschere protettive o di dispositivi anti-polvere. L'Edilit non era dotata di sistemi di aspirazione. Non solo. Spesso i sacchi di amianto si rompevano provocando fuoriuscite di notevoli quantità di prodotto. Della pulizia dei locali si occupavano gli stessi dipendenti con scope e ramazze a secco che provocavano un'ulteriore dispersione delle polveri. Nel 2001 gli ex responsabili dello stabilimento Franco e Paolo Salomoni avevano patteggiato davanti al pretore di Padova una pena di dieci mesi di reclusione ciascuno per alcuni decessi e malattie professionali contratte da ex-dipendenti esposti all'amianto . Le cause sono state promosse dall'avvocato Giancarlo Moro. Gli operai si erano rivolti al patronato Inca-Cgil per una tutela sia sul piano previdenziale che sotto l'aspetto del risarcimento. Fino ai primi anni Ottanta all'Edilit, azienda specializzata nella produzione di onduline per tettoie, sifoni, serbatoi e tubi in cemento amianto , non sono state garantite le condizioni minime di igiene e di sicurezza nell'ambiente di lavoro, nonostante fosse notorio almeno da quarant'anni prima che l'amianto è altamente nocivo per la salute umana. Si realizzavano quantità di impasto a base di polvere di amianto , che venivano lavorate, messe in forma, cotte e poi sfornate e rifinite. La sostanza killer arrivava in azienda in sacchi di carta o di juta e veniva stoccata in parte nei locali produttivi ed in parte nel magazzino. Nel 1978 era stato stimato un uso di circa 2400 tonnellate all'anno di amianto .Luca Ingegneri

Il Gazzettino 28/01/06

SAVIGLIANO A TUTELA DEI NUMEROSI I LAVORATORI ESCLUSI DAI BENEFICI DELLA NORMATIVA DEL 1992 «Noi, fuori dalla legge amianto» Comitato spontaneo si batterà per ottenere i risarcimenti

SAVIGLIANO . Si è costituito un comitato spontaneo che si batterà per ottenere un

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risarcimento nei confronti dei lavoratori esposti al rischio amianto, che non hanno potuto usufruire dei benefici della legge del 1992, entrata in vigore dopo che loro erano già andati in pensione. Promotori dell’iniziativa sono due pensionati della ex Fiat Ferroviaria, da alcuni anni passata nel gruppo multinazionale francese Alstom: Aldo Scotta, ex consigliere comunale socialista ed ex assessore nella giunta guidata dal sindaco Alfredo Dominici dal 1993 al 1995, e Gino Grosso. «Sono molti i lavoratori che hanno operato a contatto con l’amianto – dice Scotta – e che non hanno goduto di alcun beneficio: noi vogliamo cercare contatto con altre realtà simili in Italia e costituire un gruppo di pressione sui parlamentari affinché i disegni di legge, già approntati, possano divenire presto definitivi. Il comitato agirà in tutte le sedi per fare presenti le proprie istanze». La legge del 1992 prevede che chi è stato a contatto con l’amianto abbia un premio di anzianità pari a un anno ogni due lavorati. Per esempio, chi è andato in pensione dopo 35 anni, si vede riconosciuta un’anzianità superiore che si ripercuote positivamente sulla pensione. In altri casi, può usufruire del pensionamento prima di aver raggiunto i limiti effettivi di servizio o di età. Queste agevolazioni, però, non si sono mai tradotte in vantaggi, per esempio dal punto di vista economico, per tutti quei lavoratori che andarono in pensione prima del 1992. In particolare, la data discriminante che venne fissata dalla legge fu quella del 1° maggio di quell’anno: pertanto, coloro che ebbero la disavventura di andare in pensione anche solo pochi giorni o settimane prima di quella data, furono esclusi da qualunque tipo di beneficio. Purtroppo, la diffusione del tumore al polmone tra essi è stata molto elevata: l’amianto è uno dei più pericolosi materiali che possono causare questo tipo di malattia. Esso venne diffusamente impiegato nelle lavorazioni ferroviarie e navali come isolante e coibentante, prima che ne venisse scoperta la pericolosità per la salute umana. Per quanto riguarda, in particolare, Savigliano, le carrozze dei treni realizzate, in particolare negli anni Sessanta, dalla allora Snos (Società Nazionale Officine di Savigliano), divenuta poi Fiat Ferroviaria e in seguito Alstom Ferroviaria, impiegarono notevolmente i pannelli di amianto. Più volte la Snos è stata chiamata a rispondere dai famigliari di ex dipendenti morti per cancro ai polmoni. Secondo le accuse, sarebbe stato proprio il contatto con il materiale cancerogeno all’origine della malattia, e della conseguente morte. Tale situazione era peraltro tristemente comune anche a lavoratori di altre imprese della provincia di Cuneo, quali la Golden Car di Caramagna Piemonte, la ex Ita Tubi di Racconigi e la Valeo di Mondovì. Nel Cuneese sono ancora molte le copertue di edifici che contengono amianto

La Stampa - Sezione Cuneo 8/02/06

COSTIGLIOLE UN IMPIEGATO COLPITO DA CANCRO MINACCIA CAUSA AL COMUNE PER LA COPERTURA DEL TEATRO «Quel tetto mi ha fatto ammalare»

COSTIGLIOLE . Una delicata e inquietante vicenda in questi giorni è al centro dell’attenzione in Comune di Costigliole: un impiegato (da oltre vent’anni in municipio) è ammalato di cancro e ha adombrato l’ipotesi che la sua patologia sia collegata con l’aver lavorato in un ufficio situato sopra al tetto del Teatro comunale, in cui sarebbe presente amianto. E di conseguenza con l’aver avuto un contatto prolungato con la sostanza contenuta nella copertura. L’uomo, prossimo alla pensione, in questo periodo si sta sottoponendo ad un ciclo di chemioterapia. A fine gennaio ha inviato una lettera al sindaco Luigi Solaro e ai capigruppo di minoranza consiliare, per chiedere di voler eliminare la copertura di lastre forse di Eternit sul tetto della parte ampliata del Teatro (è in via Roma sotto al municipio). Nella missiva l’impiegato ventila la possibilità di intraprendere

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un’azione legale contro il Comune, per il cancro al sistema linfatico che l’ha colpito. Una storia complessa per i risvolti umani, di cui si parla in muncipio con comprensione ma anche con qualche perplessità: pare infatti difficile che ci sia un nesso causale tra la presenza eventuale di amianto e il manifestarsi della malattia, visto che l’ufficio dove l’impiegato ha lavorato per tanti è ai piani superiori e non appaiono guasti apparenti della copertura. La minoranza consiliare della Lista Borriero sulla vicenda ha già presentato un’interrogazione, in cui si chiede di accertare la situazione del tetto del Teatro e «se si può escludere la presenza di amianto», in qualsiasi forma possa essere. Il sindaco Luigi Solaro della storia ha già parlato in giunta più volte e anticipa: «E’ un fatto certamente increscioso, ma mi pare davvero impossibile che ci siano correlazioni, ammesso oltre tutto che nel tetto ci sia dell’amianto». E aggiunge: «Daremo incarico all’Arpa di effettuare un sopralluogo ed una perizia che ci faccia capire meglio la situazione». Solaro annota inoltre l’intenzione di far eseguire analisi del’aria e propone di ascoltare anche il parere di medici specialisti su queste patologie. Conclude il sindaco: «Non appena avremo questi dati ne riferiremo ai consiglieri». e. ce.

La Stampa – Sezione Asti 24/02/06

GOZZANO E’ LA VERTENZA PIU’ GRANDE PER NUMERO DI DIPENDENTI CHE LAVORARONO A COPERTURE E RIVESTIMENTI Amianto, 400 richieste di danni Operai ex Bemberg rivendicano benefici per gli anni 1980-1990

GOZZANO .Quattrocento dipendenti della ex Bemberg, l’attuale Filatura di Gozzano, hanno fatto richiesta attraverso i patronati del sindacato Cgil, Cisl e Uil, di avere il riconoscimento dei benefici per l’esposizione all’amianto nell’ambito del loro lavoro. I lavoratori fanno riferimento al periodo intercorso fra il 1980 e il 1990, decennio in cui, nello stabilimento di Gozzano erano presenti coperture e rivestimenti contenenti amianto. La vertenza, la più grande in Italia per il numero dei dipendenti coinvolti riguardo all’amianto, è stata presentata dal sindacato anche all’assessore regionale Teresa Angela Migliasso. «La documentazione è già stata presentata - dice Maurizio Bertona, responsabile dei chimici per la Cgil, che segue il caso di Gozzano con i colleghi della Cisl, Silvano Birolo, e della Uil, Roberto Vittorio - ed è stato richiesto e sollecitato l’intervento degli ispettori regionali dell’Inail. Questa verifica consentirà di sapere per quanti addetti ed in che misura sarà possibile benficiare dei provvedimenti che spettano a chi si vede riconosciuto il danno che deriva dal lavorare a contatto con l’amianto». La vertenza sull’amianto ha un grosso rilievo per molti dipendenti della Filatura di Gozzano perchè in questo momento 428 addetti si trovano in cassa integrazione straordinaria, con scadenza a novembre, e, per quelli a cui verrà riconosciuto il beneficio derivato dall’esposizione all’amianto, sarà più facile arrivare al limite del pensionamento con l’aggiunta della mobilità. Nel frattempo l’amministratore straordinario dell’azienda, Guido Tronconi, ha presentato la proposta di concordato preventivo al comitato dei creditori: «Siamo in attesa della risposta - dice Bertona - che è molto importante per il futuro dell’azienda di Gozzano. Se infatti il piano dell’amministratore verrà accettato, come ci auguriamo, ci potrebbe essere la ripresa dell’attività, in caso contrario si prospetterebbe la vendita dello stabile». L’obiettivo, è quello di potere accedere alla legge Prodi bis, che determina la salvaguardia della occupazione e assicura il prosieguo dell’attività produttiva. Attualmente la Filatura di Gozzano ha mantenuto la linea produttiva del poliammidico, che di fatto è però ferma da un anno. Completamente diversa la situazione dell’altra società, Bembergcell, che in una parte dello stabilimento di Gozzano si occupa della produzione

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del filo cupro, la fibra sintetica che vanta ancora un grosso prestigio sul mercato internazionale e che infatti continua a venire prodotta. Bembergcell, che ha acquisito anche il marchio «Bemberg», è in fase di forte rilancio aziendale ed ha avviato con il Politecnico di Torino, sede di Alessandria, una serie di ricerche per applicare le «nanotecnologie» alle fibre tessili. Il risultato potrebbe migliorare notevolmente le proprietà fisiche e le prestazioni dei filati, oltre ad arricchirne le proprietà funzionali; nello specifico, questo si tradurrebbe in filati idrorepellenti, termoregolabili, antibatterici e antifiamma. BembergCell è infatti dotata di una struttura interna dedicata alla ricerca e sviluppo di nuovi prodotti. Esistono laboratori di ricerca e sviluppo presso i siti produttivi di Magenta e Gozzano.

La Stampa – Sezione Novara 7/03/06