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1 1° GIORNO Il primo incontro: gli sguardi faticano ad incrociarsi, è difficile trovare l’occasione ideale per aprire un varco nell’intimità degli altri. Oggi però abbiamo un motivo grande per farlo: questo è il campo delle nuove occasioni, dove culture e pensieri diversi si mischiano per abbracciare uno Scautismo che annulla ogni distanza. Noi dobbiamo essere parte di un’unica forza per far sì che questa forza ritorni a noi equamente distribuita. La nostra legge scout ci insegna ad impostare la nostra vita: sentirsi fratelli leali l’uno verso l’altro, cortesi e gentili, gioiosi e corretti. Non sprechiamo questi momenti per starcene in disparte, ognuno faccia proprio un messaggio che dice “Non stentare a tendere la tua mano, per dare o per chiedere aiuto, per far pace o per allontanare chi non lo è, per guidare o per accompagnare, per formare una catena che si chiude in un cerchio d’amore”. preghiamo: UN GIORNO DA NON BUTTARE Padre, oggi come sempre, fammi trovare il tempo per quello che più conta: aiutarci ad essere felici. Non lasciare che si spenga in me il desiderio di incontrare gli altri e di stare con loro per rendere più abitabile, più accogliente, più umano, il luogo che ci hai donato per vivere. Aiutami a non dimenticare che dobbiamo vivere tutti come amici. Fammi ricordare sempre che non mi verrà chiesto il conto di tante cose, ma che sarò giudicato sull’amore. Padre, donami la forza di non restare in disparte ed isolato, ma di essere interessato, sincero, vivace e amico di tutti.

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1° GIORNO

Il primo incontro: gli sguardi faticano ad incrociarsi, è difficile trovare l’occasione ideale per aprire un varco nell’intimità degli altri. Oggi però abbiamo un motivo grande per farlo: questo è il campo delle nuove occasioni, dove culture e pensieri diversi si mischiano per abbracciare uno Scautismo che annulla ogni distanza. Noi dobbiamo essere parte di un’unica forza per far sì che questa forza ritorni a noi equamente distribuita. La nostra legge scout ci insegna ad impostare la nostra vita: sentirsi fratelli leali l’uno verso l’altro, cortesi e gentili, gioiosi e corretti. Non sprechiamo questi momenti per starcene in disparte, ognuno faccia proprio un messaggio che dice “Non stentare a tendere la tua mano, per dare o per chiedere aiuto, per far pace o per allontanare chi non lo è, per guidare o per accompagnare, per formare una catena che si chiude in un cerchio d’amore”.

preghiamo: UN GIORNO DA NON BUTTARE

Padre,

oggi come sempre,

fammi trovare il tempo per quello che più conta:

aiutarci ad essere felici.

Non lasciare che si spenga in me

il desiderio di incontrare gli altri e di stare con loro

per rendere più abitabile, più accogliente, più umano,

il luogo che ci hai donato per vivere.

Aiutami a non dimenticare

che dobbiamo vivere tutti come amici.

Fammi ricordare sempre che non mi verrà chiesto

il conto di tante cose,

ma che sarò giudicato sull’amore.

Padre,

donami la forza

di non restare in disparte ed isolato,

ma di essere interessato, sincero, vivace

e amico di tutti.

2

Una minestra per tutti (fonte non specificata)

Uno straniero, che camminava verso un villaggio si fermò sulla soglia di una

povera capanna.

Chiese alla donna, che stava seduta fuori della capanna qualcosa da

mangiare.

– "Mi dispiace al momento non ho niente".

– "Non si preoccupi. Ho nella bisaccia un sasso per minestra: se mi darete

il permesso di metterlo in una pentola di acqua bollente, preparerò la

zuppa più deliziosa del mondo. Mi occorre una pentola molto grande per

favore".

La donna era incuriosita, gli diede una pentola e andò a confidare il

segreto del sasso per minestra a una vicina di casa. Quando l'acqua

cominciò a bollire, c'erano tutti i vicini, accorsi a vedere lo straniero e il

suo sasso. Egli depose il sasso nell'acqua, poi ne assaggiò un cucchiaio ed

esclamò con aria beata:

– "Ah, che delizia! Mancano solo delle patate".

– "Io ho delle patate in cucina".

Pochi minuti dopo era di ritorno con una grande quantità di patate tagliate

a fette, che furono gettate nel pentolone. Allora lo straniero assaggiò di

nuovo il brodo.

– "Eccellente... Se solo avessimo un po' di carne e un po' di verdura,

diventerebbe uno squisito stufato". Un'altra massaia corse a casa a

prendere della carne; un'altra portò carote e cipolle. Dopo aver messo

anche quelle nella zuppa, lo straniero assaggiò il miscuglio e chiese ancora:

– "Manca solo un po' di sale!"

– "Eccolo!"

– "Scodelle e piatti per tutti".

La gente corse a casa a prendere scodelle e piatti. Qualcuno portò anche

frutta e manioca. Tutti sedettero mentre lo straniero distribuiva grosse

porzioni della sua incredibile minestra. Tutti provavano una strana felicità,

ridevano, chiacchieravano e gustavano il loro pasto in comune.

Dopo essere rimasto un po' con loro, lo straniero, in mezzo all'allegria

generale scivolò fuori silenziosamente. Lasciò però il sasso miracoloso

affinché potessero usarlo tutte le volte che volevano per preparare la

minestra più buona del mondo.

3

cantiamo: CANTO DELL’AMICIZIA

In un mondo di maschere dove sembra impossibile

riuscire a sconfiggere tutto ciò che annienta l’uomo;

il potere, la falsità, la violenza, l’aridità,

sono mostri d’abbattere noi però non siamo soli…

RIT. Canta con me, batti le mani, alzale in alto,

muovile al ritmo del canto,

stringi la mano del tuo vicino

e scoprirai che è meno duro il cammino cosi.

Ci hai promesso il tuo spirito, lo sentiamo in mezzo a noi

e perciò possiam credere che ogni cosa può cambiare;

non possiamo più assistere impotenti ed attoniti

perché siam responsabili della vita attorno a noi.

ATTI degli APOSTOLI (2, 42-47)

42

Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli

apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del

pane e nelle preghiere.43

Un senso di timore era in

tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli

apostoli.44

Tutti coloro che erano diventati

credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in

comune;45

chi aveva proprietà e sostanze le

vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il

bisogno di ciascuno.46

Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e

spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di

cuore,47

lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo.

4

SIMBOLO

I ragazzi tolgono il proprio fazzolettone e lo annodano per le punte a

quelli dei propri vicini, fino a formare una ideale catena che viene

chiusa a formare un cerchio.

I ragazzi depositano la terra di casa propria in una ciotola ai piedi

del capo campo, che a sua volta consegna il fazzolettone del campo.

Ciotola e fazzolettoni vengono depositati sull’altare e lì vi rimarranno

fino alla fine del campo.

Cantiamo: INSIEME

Insieme abbiam marciato un dì / per strade non battute,

insieme abbiam raccolto un fior / sull'orlo di una rupe.

RIT. Insieme, insieme: / è un motto di fraternità.

Insieme, nel bene crediam.

Insieme abbiam portato / un dì lo zaino che ci spezza,

insieme abbiam goduto / al fin del vento la carezza. RIT.

Insieme abbiamo appreso ciò / che il libro non addita,

abbiamo appreso che l'amor / è il senso della vita. RIT,

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2° GIORNO La mancanza di motivazioni è la causa principale degli insuccessi e degli abbandoni, soprattutto perché è la madre della noia. Che cosa occorre per avventurarsi in un territorio sconosciuto? Fiducia in sé stessi, spirito d’indipendenza e mente flessibile, capacità di adattarsi a circostanze insolite e rapidamente mutevoli. Per procurarsi la forza trascinante necessaria a lanciarsi in una avventura, occorre essere fortemente motivati, avere la volontà di riuscire e il desiderio di porsi degli obiettivi e di lottare per raggiungerli.

CHE COSA C’’E’ DOVE FINISCE IL MONDO di Bruno Ferrero

In un regno lontano lontano, c'era una volta un re che aveva 3 figli.

Sentendosi ormai vecchio, il re decise di lasciare il trono ad uno dei figli

e di ritirarsi in pensione. Così un bel giorno chiamò I 3 figli e disse :«

Cari figli miei, ho deciso di lasciare il trono a quello di voi che mi saprà

dire che cosa c'è alla fine del mondo».

Il figlio maggiore partì immediatamente. Si chiamava Gedeone, era

grande e grosso, con la voce tonante e grande abilità nel maneggiare la

spada. Ma, fin da piccolo,era sempre stato molto diffidente: diffidava di

tutto, delle cose e della gente. Così, dovendo partire per i confini del

mondo, si circondò di un potente esercito. L'armata cominciò o muoversi

lentamente, con circospezione, guardando avanti, guardando alle spalle,

temendo agguati da ogni parte. Finché, un bel giorno, la marcia fu

fermata da un grande albero.

L'albero disse a Gedeone:« Figlio maggiore del re, là dove vai tu fa molto

freddo. Avrai bisogno di legno per fare un bel fuoco. Prendi questo seme

d’ albero, ti donerà tutto il legno che ti serve».

Ma Gedeone era molto diffidente. Brontolò:« Con un piccolo seme così ci

vorranno degli anni per avere un po’ di legna».

Buttò via il semino e ordinò ai suoi di abbattere l’albero e di portar via il

suo legno. Ma appena l’albero fu fatto a pezzi, tutto il suo legno

scomparve. I soldati si trovarono in mano solo un mucchietto di cenere.

Gedeone riprese la marcia, circondato dai suoi valorosi soldati. Più

avanzavano, più faceva freddo.

La terra era gelata sotto i loro piedi. Invano scrutavano davanti a loro,

tutto era bianco, gelido, quasi trasparente. Dovunque si dirigessero,

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trovavano solo ghiaccio. Gedeone tornò a casa e dichiarò:« Dove finisce il

mondo, c'è solo un freddo deserto di ghiaccio che non finisce mai».

Il giorno dopo fu il secondo figlio del re a partire per il confine del

mondo. Si chiamava Modesto e, fin da piccolo, era sempre stato molto

pauroso. La paura l’assaliva soltanto quando faceva buio. Prima di partire,

Modesto dichiarò:« D'accordo, io parto, ma devo arrivare dove finisce il

mondo, ad ogni costo, prima di sera».

Così attaccò alla sua carrozza i mille cavalli più veloci del regno e

cominciò a frustarli perché corressero più veloci del vento. Li frustò

senza posa con la sua lunga frusta di cuoio.

Attraversò in un lampo il grande deserto di ghiaccio e arrivò sull'orlo di

un grande burrone. In fondo al burrone vide la notte che cominciava a

salire. Un albatro dalle grandi ali si avvicinò e gli sussurrò:« Se vuoi

trovare la luce, devi tuffarti nella notte. Sali sul mio dorso, io ti

guiderò».

Ma Modesto aveva troppa paura e non lo ascoltò nemmeno.

Voltò la carrozza e ricominciò a frustare i cavalli per rientrare al

palazzo al galoppo.

Quando si presentò al padre, Modesto dichiarò:« Il mondo finisce in un

grande burrone e questo burrone è pieno di notte».

L'indomani mattina, toccò al figlio minore del re, Beniamino. Non aveva

guerrieri con sé e neanche cavalli. Partì tutto solo, a piedi. Camminava

senza fretta, guardava tutto, ascoltava tutto.

Quando arrivò all'inizio del grande deserto di ghiaccio, vide l'albero

ridotto in cenere e anche il piccolo seme che suo fratello maggiore aveva

buttato via. Allora lo raccolse, scavò una buchetta e lo piantò

delicatamente.

Terminato il lavoro si addormentò profondamente. Quando si risvegliò,

Beniamino non sapeva quante ore aveva dormito, ma nel frattempo un

bell'albero era cresciuto. Il ragazzo ne tagliò qualche ramo e poté

riscaldarsi al loro fuoco. Poi, pieno di coraggio riprese il cammino.

Quando arrivò ai bordi dell'immenso precipizio, trovò il grande albatro

che l'aspettava. Il vecchio uccello fece a Beniamino la stessa proposta

che aveva fatto al fratello più grande.

Beniamino aveva un po’ di batticuore ma accettò e salì sul dorso

dell'uccello, che con ampi colpi d'ala si immerse nella notte. Avanzava

senza vedere nulla, ma a poco a poco, attraversò lo notte.

Il grande albatro depositò Beniamino davanti alla porta della fine del

mondo. Quando la porta si aprì, Beniamino intravide che di là tutto era

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più chiaro e fulgido, molto più bello, molto più gaio di un giorno nuovo.

Beniamino aveva una gran voglia di andare verso lo luce ma aveva

promesso al re di ritornare per raccontargli tutto. Prese una manciata di

luce e la portò con sé.

Allora tornò al palazzo e disse semplicemente al padre:« Non ho mai

visto tanta luce come dall'altra parte della porta dove finisce il mondo».

Il vecchio re si alzò in piedi e disse:« Il cammino della diffidenza

conduce al deserto, il cammino della paura porta alla notte, il cammino

della fiducia porta alla luce. Il cammino di Beniamino è quello che

preferisco. Sarà lui il nuovo re».

Cantiamo: VIVERE LA VITA

Vivere la vita con le gioie e coi dolori di ogni giorno:

è quello che Dio vuole da te.

Vivere la vita e inabissarsi nell'amore è il tuo destino:

è quello che Dio vuole da te.

Fare insieme agli altri la tua strada verso Lui

correre con i fratelli tuoi.

Scoprirai allora il cielo dentro di te:

una scia di luce lascerai, una scia di luce lascerai.

Vivere la vita è l'avventura più stupenda dell'amore:

è quello che Dio vuole da te.

Vivere la vita è generare ogni momento il Paradiso:

è quello che Dio vuole da te.

Vivere perché ritorni al mondo l'unità,

perché Dio sia nei fratelli tuoi.

Scoprirai allora il cielo dentro di te:

una scia di luce lascerai, una scia di luce lascerai.

(strofa muta)

Vivere perché ritorni al mondo l'unità,

perché Dio sia nei fratelli tuoi.

Scoprirai allora il cielo dentro di te:

una scia di luce lascerai, una scia di luce lascerai.

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Preghiamo: MANDAMI SU STRADE NUOVE

Fammi vivere l’avventura, Signore,

vorrei che la mia vita fosse una strada sempre nuova, che non ci fossero

parole ripetute, che non ci fossero soste, che non ci fossero momenti

vuoti.

Fa che gli altri siano per me una continua scoperta.

Fa che sappia rompere il silenzio,

la diffidenza, la noia, la consuetudine.

Fa che sappia trovare negli altri parole vere.

Dammi il coraggio di essere libero, il coraggio di provare, di sbagliare, di

riprovare ancora.

Il coraggio di andare portando con me solo il mio sacco.

Il coraggio di avvicinare gli altri

con amore.

Il coraggio di affrontare chi mi

deriderà.

Fammi vivere questa avventura,

Signore,

Fa che io possa portarti in mezzo

alla gente

per arrivare un giorno a portarti

insieme con la gente.

Fammi vivere questa avventura di

sincerità,

di semplicità, di amore.

Mandami su strade nuove, Signore.

SIMBOLO: AVERE FIDUCIA – 4 coppie di ragazzi si dispongono in fila e ravvicinati, con le mani incrociate, trattenendosi, per coppia, per i polsi (come per la formazione di uno sgabello per il trasporto di una persona). Uno tra i ragazzi sale su una piattaforma rialzata (deve essere, il più possibiole, al livello delle mani dei compagni); mantenendo il corpo rigido e dritto si lascia cadere tra le braccia dei compagni che lo dovranno trattenere senza scomporsi. Ovviamente a turno ci si scambia di ruolo per dar modo a tutti di poter provare

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Cantiamo: SERVO PER AMORE

Una notte di sudore

sulla barca in mezzo al mare

e mentre il cielo s’imbianca già

tu guardi le tue reti vuote.

Ma la voce che ti chiama

un altro mare ti mostrerà

e sulle rive di ogni cuore

le tue reti getterai.

OFFRI LA VITA TUA

COME MARIA AI PIEDI DELLA CROCE

E SARAI … SERVO DI UN UOMO

SERVO PER AMORE

SACERDOTE DELL’UMANITA’

Avanzavi nel silenzio

tra le lacrime speravi

che il seme sparso davanti a te

cadesse sulla buona terra.

Ora il cuore tuo è in festa

perché il grano biondeggia ormai

è maturato sotto il sole

puoi riporlo nei granai.

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3° GIORNO Pensare positivo vuol dire affrontare la vita con una sana e responsabile misura di ottimismo;é’ la gioia di vivere che si esprime nei piccoli gesti come un semplice sorriso, un abbraccio, una mano tesa nel tentativo di portare pace o separare chi non lo è, per guidare chi non vede o non vuol vedere, per accogliere chi si sente ai margini di qualcosa. La gioia, un sorriso, un abbraccio o un bacio non diventano tesori se trattenuti nel proprio cuore, ma moltiplicano il loro valore quando riusciamo a distribuirli tra coloro che ne hanno bisogno.

“FILIPPO CON L’ARCOBALENO IN TASCA” di Bruno Ferrero

«Ma guarda che pasticcio hai combinato! Sei il solito sbadato!».

Tanto per cambiare, la giornata di Filippo era cominciata con una solenne

sgridata della mamma. Quella del papà era grandinata la sera

precedente: la colpa era di un giudizio pesante dell'insegnante di inglese

che non sopportava il suo modo troppo disinvolto di trattare la lingua

della signora Thatcher.

«Ma quando ne combinerai una giusta?», aveva gridato il papà.

Se non altro, quella era un giorno di vacanza e Filippo uscì di casa. Dopo

dieci minuti entrò nel cortile dell'oratorio dove un gruppetto di suoi

amici stava organizzando una partitella di calcio. Filippo si fece contare,

si tolse il maglione e cominciò a giocare.

Purtroppo era finito nella squadra di Maurizio, il più bravo di tutti, tanto

che l'avevano soprannominato Platinì. Filippo si mise d'impegno, ma il

calcio non era esattamente il suo sport. Lisciò clamorosamente il primo

pallone che gli capitò sui piedi.

«Ma cosa fai, schiappone!» gridò Maurizio.

Poco dopo si trovò involontariamente sulla traiettoria di un tiro calciato

in porta proprio da Platinì. Il colpo gli fece pure male. Ora chi teneva

Maurizio? Si awicinò a Filippo tutto acceso in volto.

« Vattene, ritirati, datti all'ippica!».

Anche gli altri ragazzi si misero a ridere e Filippo, mogio mogio, con le

orecchie rosse, uscì dal campo. E anche dall'oratorio.

Si incamminò per il lungo viale alberato che portava alla stazione. Teneva

lo testa china e brontolava tra sé a voce alta. « Uffa! Sono una schiappa,

un pasticcione, non ne combino mai una giusta ... accidenti, come faccio ad

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accontentare tutti? L'unica cosa che posso fare è sparire, andare in un

posto dove nessuno mi trovi più ... ».

Una voce gentile interruppe i suoi pensieri, sempre più scuri.

«Dai, non te la prendere per così poco. Puoi farcela tranquillamente».

Filippo girò lo testa di qua e di là, per vedere chi aveva parlato. Ma il

,viale era completamente vuoto. Cera solo un vento leggero che a tratti

faceva frusciare le foglie nuove degli alberi.

« Chi ha parlato?», chiese comunque, un po’ inquieto. Magari qualcuno gli

stava combinando uno scherzo e non voleva cascarci come un pollo.

« Io, naturalmente».

« Io chi?». « Il vento, no?».

«Non sapevo che il vento parlasse».

« Sono il più gran chiacchierone dell'universo. Un tempo gli uomini mi

ascoltavano, Oggi non mi sentono più. Il mondo è pieno di fretta e di

aggeggi rumorosi e puzzolenti. Chi vuoi che abbia ancora tempo per

ascoltare il vento ... eppure so tante di quelle cose, io!».

« Per esempio?».

« La medicina che serve a te. Per toglierti tutto quell'umor nero che ti

pesa sul cuore».

« E qual è la medicina per me?».

« Un arcobaleno. Tu hai bisogno di un arcobaleno». « E come faccio a

prendere un arcobaleno?».

« Non è facile, ma devi provarci. Procurati un secchio, riempilo di tutte

le cose belle che trovi e vedrai...».

Filippo corse a casa. La mamma lo vide entrare come un tornado in cucina

e ritornare poco dopo con un grosso secchio di plastica blu. Filippo le

mise il secchio sotto il naso.

« Mamma, per piacere, metti un bacio nel mio secchio!». « Ma?!».

« Per piacere. mamma».

Sbalordita e sorpresa, la mamma di Filippo mandò un bacio nel secchio.

Filippo sparì di corsa. Cominciò a raccogliere tutte le cose belle che

trovava: una foglia verde, gli spruzzi della fontana, un po’ di cielo, due

nuvole, una preghiera della nonna, una carezza del nonno, il riflesso degli

occhioni blu di Lucia, un pesciolino rosso, l'abbaiare di un cane e così via,

per tutta lo mattinata.

Alla fine, trafelato, il ragazzo tornò nel viale, trascinando il suo secchio.

« Hai fatto un buon lavoro», disse il vento.

« Ma, manca una cosa».

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« Che cosa?», chiese Filippo.

« Un a cosa molto semplice. Un tuo sorriso».

Filippo si chinò sull'orlo del secchio e si rispecchiò nell'acqua che aveva

raccolto.

Felice e leggero per lo mattina speciale che aveva avuto, schioccò il più

smagliante sorriso del suo repertorio. In quel momento dal secchio, con

una curva elegantissima, sprizzò uno stupendo arcobaleno. Un vero

arcobaleno con tutti e sette i colori in fila, più sfolgoranti che mai.

« Oh, che bellezza!». Filippo prese delicatamente "arcobaleno in mano.

Poi lo arrotolò con cura come una sciarpa, se lo mise in tasca e iniziò il

ritorno a casa,

Mentre Filippo lasciava il viale, una bambina che correva tra gli alberi

inciampò in un sasso e cadde. Una gamba gli sanguinava e la bambina

cominciò a piangere,

«Ahi, ahi, ahi, la mia gamba mi fa male! Aiutami, Filippo, fasciamela!». Che

poteva fare? Filippo estrasse dalla tasca l'arcobaleno e fasciò lo gamba

della bambina. Ce ne volle un bel pezzo. Filippo rimise in tasca il pezzo di

arcobaleno che gli rimaneva.

La bambina affascinata dalla sua fasciatura colorata corse via gridando:

« Che bellezza! E non sanguina nemmeno più!».

Filippo si sentiva un gran medico. Ripassò all'oratorio. Il solito gruppo di

amici stava giocando la tredicesima partita della giornata. Naturalmente

stavano litigando per un "fuori" che c'era e non c'era.

« Filippo perché non fai l'arbitro?», disse Platinì. «D'accordo, ma chi non ubbidisce all'arbitro sarà espulso!».

Filippo tirò fuori un pezzo di arcobaleno e se lo annodò al braccio come

distintivo e un altro pezzettino lo infilò tra le labbra per fare da

fischietto.

Fu una partita bellissima. Neppure Filippo sapeva di essere così bravo a

fare l'arbitro. Alla fine Platinì gli passò un braccio sulle spalle:

«Sei stato proprio in gamba. E il tuo fischietto è favoloso!».

Tornando a casa, Filippo passò davanti alla signora Severina. Era una

signora un po’ bisbetica. Se per caso cadeva nel suo giardino qualche

palla, invece di restituirla ai bambini lei la cuoceva nel forno fino a farla

diventare nera come il carbone.

Quando vide Filippo lo chiamò.

«Ragazzo, mi daresti un pezzetto di quell'arcobaleno che spunta dalla

tua tasca? Sono molto malata e il dottore ha detto che se berrò uno

sciroppo all'arcobaleno».

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Filippo non aveva nessuna voglia di consumare un altro pezzo del suo

arcobaleno, ma la signora Severina, sempre burbera e triste, gli faceva

pena e le allungò un bel po’ di arcobaleno. Lei lo afferrò, lo mise in un

bicchierone e cominciò a mescolare. Poi bevve.

« Buonissimo, sento già che mi sta facendo bene alla salute. E' troppo

tempo che sto sola qui. Voglio invitare i bambini a venire a giocare nel mio

giardino».

Le guance della signora Severina, che prima erano giallognole, divennero

rosa e l'espressione del viso quasi sorridente.

« Funziona», pensò Filippo. « Ne metterò un po’ nel caffelatte di papà

e mamma».

Corse a casa stringendo nel pugno il suo arcobaleno.

Ne era rimasto un pezzetto piccolo piccolo. Sentì un bisbiglio

all'orecchio. Era il vento.

« Allora?».

« Avevi ragione tu. Ma vedi, me n'è rimasto poco» ..

« Ora però conosci il segreto dell'arcobaleno. Apri la mano e soffia».

Filippo aprì la mano nella quale teneva il pezzettino di arcobaleno e

soffiò. Il pezzetto di arcobaleno cominciò a crescere alzandosi e

arcuandosi fino a traversare tutto il cielo: il più brillante e grande

arcobaleno che Filippo avesse mai visto.

Poi l'arcobaleno svanì lentamente nell'aria.

Domani avrai un altro arcobaleno, se lo vorrai. Dipende da te. »il mormorò

il vento.

« Ora lo so», disse Filippo. E corse a far merenda.

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Cantiamo: GRANDI COSE

RIT: Grandi cose ha fatto il Signore per noi,

ha fatto germogliare i fiori tra le rocce.

Grandi cose ha fatto il Signore per noi,

ci ha riportati liberi alla nostra terra.

Ed ora possiamo cantare, possiamo gridare

l’amore che Dio ha versato su noi.

Tu che sai strappare dalla morte,

hai sollevato il nostro viso dalla polvere.

Tu che hai sentito il nostro pianto,

nel nostro cuore hai messo un seme di felicità.

RIT: Grandi cose ha fatto il Signore per noi …

Preghiamo: CONDIVIDERE TUTTO

Gesù, Tu hai insegnato ai tuoi amici

a condividere quanto possedevano.

Quando nel tuo nome distribuiscono i pani e i pesci essi scoprono la

bellezza della condivisione.

Signore, noi non abbiamo grandi ricchezze da distribuire.

Ma Tu ci inviti a donare quello che abbiamo:

la gioia a chi ci sta attorno, l’amicizia a quelli

lasciati da parte,

le nostre idee a quelli che si annoiano,

un aiuto a quelli che soffrono

perché soli e dimenticati.

Signore, donando quello che abbiamo,

con tutto il cuore,

noi moltiplicheremo la gioia:

la condivisione abiterà la terra.

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SIMBOLO Ognuno avrà a disposizione una fettuccia di carta colorata,

sulla quale bisognerà esprimere il proprio ringraziamento a Dio per

qualcosa che è accaduto e che ci riguarda; fatto ciò le fettucce verranno

pinzate ad anello formando una catena con le altre.

Cantiamo: TI RINGRAZIO MIO SIGNORE

Amatevi l'un l'altro come Lui ha amato noi:

e siate per sempre suoi amici;

e quello che farete al più piccolo tra voi,

credete l'avete fatto a Lui.

RIT. Ti ringrazio mio signore

non ho più paura, perché,

con la mia mano nella mano

degli amici miei,

cammino fra la gente della mia città

e non mi sento più solo;

non sento la stanchezza e guardo dritto

avanti a me,

perché sulla mia strada ci sei Tu.

Se amate veramente perdonatevi tra voi:

nel cuore di ognuno ci sia pace;

il Padre che è nei cieli vede tutti i figli suoi

con gioia a voi perdonerà. RIT.

Sarete suoi amici se vi amate fra voi

e questo è tutto il suo Vangelo;

l'amore non ha prezzo, non misura ciò che dà:

l'amore, confini non ne ha. RIT.

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4° GIORNO Quante volte abbiamo visto i nostri sogni infrangersi contro un muro; prevedere gli ostacoli sul nostro cammino, non è sempre possibile; ma quando sappiamo, comunque, accettare serenamente le prove che la vita ci propone, scopriamo che il tutto è parte di un grande progetto che Dio ha su di noi. Per crescere, bisogna saper guardare avanti senza paura, e allo stesso tempo, occorre conoscere e capire la propria storia, le esperienze della gente che ci vuole bene, le loro prove e loro speranze in noi.

"I TRE ALBERI" da NUOVE STORIE di BRUNO FERRERO

Sulla vetta di una montagna, coperta di pascoli e di pinete profumate di

resina, spuntarono un giorno tre piccoli alberi. Nei primi tempi erano così

teneri e verdi che si confondevano con l'erba e i fiori che prosperavano

intorno a loro.

Ma, primavera dopo primavera, il loro piccolo tronco si irrobustì. Le sfide

autunnali e invernali per fronteggiare i venti e le bufere li riempivano di

gioia baldanzosa, dall'alto della loro casa verde guardavano il mondo e

sognavano.

Come tutti coloro che stanno crescendo, sognavano quello che avrebbero

voluto diventare da grandi.

Il primo albero guardava le stelle che brillavano come diamanti

trapuntati sul vestito di velluto nero della notte.

«Io sopra ogni cosa vorrei essere bello. Vorrei custodire un tesoro»

disse. «Vorrei essere coperto d'oro e contenere pietre preziose.

Diventerò il più bel scrigno per tesori del mondo».

Il secondo alberello guardava il torrente che scendeva serpeggiando

dalla montagna, aprendosi il cammino verso il mare. L'acqua correva e

correva gorgogliando e scherzando con i sassi, un momento era lì e poco

dopo già era scomparsa all'orizzonte. E niente riusciva a fermarla.

« Io voglio essere forte. Sarò un grande veliero» disse. « Voglio navigare

sugli oceani sconfinati e trasportare capitani e re potenti. lo sarò il

galeone più forte del mondo».

Il terzo alberello contemplava la valle che si stendeva ai piedi della

montagna e guardava la città che si indovinava nella foschia azzurrina.

Laggiù formicolavano uomini e donne. « lo non voglio lasciare questa

montagna» disse. « Voglio crescere tanto che quando la gente si fermerà

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per guardarmi dovrà alzare gli occhi al cielo e pensare a Dio. lo diventerò

il più grande albero del mondo!».

Gli anni passarono. Caddero le piogge, brillò il sole, e i piccoli alberelli

divennero tre alberi alti e imponenti. Un giorno tre boscaioli salirono

sulla montagna con le loro scuri a tracolla.

Uno dei boscaioli squadrò ben bene il primo albero e disse:« E' un

bell'albero. E' perfetto».

Dopo pochi minuti, stroncato da precisi tronchi d'ascia il primo albero

piombò al suolo.

«Ora sto per trasformarmi in un magnifico forziere» pensò l'albero. «Mi

affideranno in custodia un tesoro favoloso».

Il secondo boscaiolo guardò il secondo albero e disse :« Quest’albero è

vigoroso e solido. E' proprio quello che ci vuole». Sollevò la scure, che

lampeggiò al sole e abbatté l'albero.

«D'ora in poi, navigherò sui mari infiniti e i vasti oceani» pensò il secondo

albero. « Sarò una nave importante, degna dei re».

Il terzo albero si sentì mancare il cuore quando il boscaiolo lo fissò.

«Per me va bene qualunque albero» pensò il boscaiolo. L'ascia balenò

nell'aria e, dopo poco, anche il terzo albero giaceva sul terreno.

I loro bei rami, che fino a poco prima avevano scherzato con il vento e

protetto uccelli e scoiattoli, furono stroncati uno ad uno.

I tre tronchi furono fatti rotolare lungo il fianco della montagna fino alla

pianura.

Il primo albero esultò quando il boscaiolo lo portò da un falegname. Ma il

falegname aveva ben altri pensieri che mettersi a fabbricare forzieri.

Con le sue mani callose trasformò l'albero in una mangiatoia per animali.

L'albero che era stato un tempo bellissimo non fu ricoperto di lamine

d'oro né riempito di tesori. Era coperto di rosicchiature e riempito di

fieno per nutrire gli animali affamati della fattoria.

Il secondo albero sorrise quando il boscaiolo lo trasportò al cantiere

navale, ma quel giorno nessuno pensava a costruire un veliero. Con grandi

colpi di martello e di sega, l'albero fu trasformato in una semplice barca

da pescatori. Troppo piccola, troppo fragile per navigare su un oceano o

anche solo su un fiume, la barca fu portata su un laghetto. Tutti i giorni,

trasportava carichi di pesce che la impregnavano di odore sgradevole.

Il terzo albero divenne tristissimo, quando il boscaiolo lo squadrò per

farne rozze travi che accatastò nel cortile della sua casa.

«Perché mi succede questo?» sì domandava l’albero, ricordando il tempo

in cui lottava con il vento sulla cima della montagna. « Tutto quello che

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volevo era svettare sul monte per invitare la gente a pensare a Dio».

Passarono molti giorni e molte notti. I tre alberi quasi dimenticarono i

loro sogni.

Ma una notte, la luce dorata di una stella accarezzò con i suoi raggi il

primo albero, proprio nel momento in cui una giovane donna con infinita

tenerezza sistemava nella mangiatoia il suo bambino appena nato.

«Avrei preferito costruirgli una culla» mormorò suo marito. La giovane

mamma gli sorrise, mentre la luce della stella scintillava sulle assi lucide

e consunte che un tempo erano state il primo albero.

«Questa mangiatoia è magnifica» rispose lo mamma.

Il quel momento il primo albero capì di contenere il tesoro più prezioso

del mondo.

Altri giorni e altre notti passarono. Una notte, un viaggiatore stanco e i

suoi amici si imbarcarono sul vecchio battello da pesca, che un tempo era

stato il secondo albero.

Mentre il secondo albero, diventato barca, scivolava tranquillamente

sull'acqua del lago, il viaggiatore si addormentò.

All'improvviso, dopo lo schianto di un tuono, in una ridda di fulmini e

violente ondate, scoppiò la tempesta.

Il piccolo albero tremò. Sapeva di non avere lo forza di trasportare in

salvo tante persone con quel vento e con la violenza di quelle onde. Le sue

fiancate scricchiolavano penosamente per lo sforzo.

Preoccupati, gli amici svegliarono il misterioso viaggiatore. L'uomo si alzò,

spalancò le braccia, sgridò il vento e disse all’acqua del lago:«Fa’ silenzio!

Calmati!». La tempesta si quietò immediatamente e si fece una grande

calma. In quel momento il secondo albero capì che stava trasportando il

re dei cieli, della terra e degli infiniti oceani.

Poco tempo dopo un venerdì mattino, il terzo albero fu molto sorpreso

quando le sue rozze travi furono tolte di malagrazia dalla catasta di

legname dimenticato.

Furono trasportate nel mezzo di una folla vociante e irosa, sbattute sulle

spalle torturate di un uomo, che poi su di esse fu inchiodato. Il povero

albero si sentì orribile e crudele. E piangeva reggendo quel povero corpo

tormentato.

Ma la domenica mattina quando il sole si levò alto nel cielo e tutta la

terra vibrò di una gioia immensa, il terzo albero seppe che l’amore di Dio

aveva trasformato tutto.

Aveva fatto del primo albero il meraviglioso scrigno del più tenero e

incredibile dei tesori. Aveva reso il secondo albero forte portatore del

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Creatore del cielo e della terra.

E ogni volta che una persona avesse pensato al terzo albero, avrebbe

pensato a Dio.

E questo era molto meglio che essere soltanto il più bello, il più forte o il

più grande albero del mondo.

Cantiamo: VOCAZIONE

Era un giorno come tanti altri e quel giorno Lui passò.

Era un uomo come tanti altri e passando mi chiamò.

Come lo sapesse che il mio nome era proprio quello.

Come mai volesse proprio me nella sua vita non lo so.

Era un giorno come tanti altri e quel giorno mi chiamò.

RIT: Tu Dio, che conosci il nome mio

fa che, ascoltando la tua voce

io ricordi dove porta la mia strada

nella vita, all'incontro con Te.

Era l'alba triste e senza vita e qualcuno mi chiamò

era un uomo come tanti altri ma la voce quella no.

Quante volte un uomo con il nome giusto mi ha chiamato

una volta sola l'ho sentito pronunciare con amor.

Era un uomo come nessun altro e passando mi chiamò. RIT.

Preghiamo: COME UN GIARDINIERE

Con te, Signore,

Come un giardiniere mi metto al lavoro

perché, sull’albero della mia vita,

la violenza inaridendosi muoia

e perché si colga la bontà a piene mani.

Con te, Signore,

come un giardiniere sradico il risentimento

che cerca di fissare le sue radici in me

in modo che, sull’albero della mia vita,

possano sbocciare ogni giorno

l’ accoglienza e la pace.

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Con te, Signore,

come un giardiniere con premure costanti

accudisco l’albero della mia vita

perché cresca e produca cesti colmi,

di bei frutti, di amore di Dio

e di amore del prossimo.

SIMBOLO: I SANDALI Ognuno, aiutandosi con una sagoma di cartone, dovrà ricavare da alcuni ritagli di pelle, un piccolo sandalo che appenderà al proprio fazzolettone. Il sandalo sarà il simbolo del costante cammino verso il progetto che Dio ha fatto su noi

Cantiamo: TE, AL CENTRO DEL MIO CUORE

Ho bisogno d'incontrarti nel mio cuore

di trovare te, di stare insieme a te;

unico riferimento del mio andare,

unica ragione Tu, unico sostegno Tu,

al centro del mio cuore ci sei solo Tu.

Anche il cielo gira intorno e non ha pace

ma c'è un punto fermo, è quella stella là

la stella polare fissa ed è la sola

la stella polare Tu, la stella sicura Tu,

al centro del mio cuore ci sei solo Tu.

Tutto ruota intorno a Te, in funzione di Te

e poi non importa il "come", il "dove" e il "se"...

Che Tu splenda sempre al centro del mio cuore

il significato allora sarai Tu,

quello che farò sarà soltanto amore,

unico sostegno Tu, la stella polare Tu,

al centro del mio cuore ci sei solo Tu.

Tutto ruota intorno a Te, in funzione di Te

e poi non importa il "come", il "dove" e il "se"...

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5° GIORNO Quante volte in preda a chissà quale sete di protagonismo, sogniamo di essere unici nelle nostre azioni e di conseguenza di emergere sugli altri. Rincorrere questa illusione, però può portare all’inaridimento del nostro progetto sulla vita. Gli egoismi e le presunzioni frenano lo scambio di esperienze con gli altri e ciò che noi valutiamo come un arricchimento materiale potrebbe diventare la causa dell’impoverimento dei nostri valori. Condividere, quindi, non può essere ridotto al solo mettere le proprie

azioni su un piatto comune ma diventa una somma di emozioni e di

speranze; vuol dire mettere insieme forze, intuizioni, idee e valori.

L’ISOLA DELLE MARMOTTE di Bruno Ferrero

In mezzo alle montagne del Gran Zebù faceva occhiolino un laghetto

azzurrissimo. In mezzo al laghetto c'era un isolotto. Le sue spiagge

erano piene di sassi lisci come uova e fiori e rododendri ed erba grassa

coprivano i verdi pendii. Tutt'intorno al laghetto sorgevano le tane delle

marmotte.

Sull'isolotto, in mezzo al laghetto, si davano appuntamento tutti i giorni

tre vispe marmottine: Riccardo, Adriano e Valerio. Benché fossero

sempre insieme litigavano dall'alba al tramonto.

Quando bevevano al ruscello erano urla e spintoni.

«Levati dall'acqua!» , gridava Riccardo. «L'acqua è mia!».

Se, balzando di pietra in pietra, arrivavano all'isolotto , era ancora

peggio.

« Via dall'isola!», urlava Valerio.« La terra è mia!».

« L'erba è mia!», strillava Adriano, mentre girava a brucare l'insalatina

più tenera e i fiorellini più profumati.

Un bel giorno, da una macchia di rododendri, sbucò una grossa tartaruga.

«lo vivo dall'altra parte del lago», disse pacatamente. «Ma tutto il giorno

non sento che gridare: E' mio! E' mio! E' mio! A causa dei vostri continui

litigi non c'è più pace. Vi accorgerete un giorno che non è questo il modo

migliore di vivere!».

Detto questo, la tartaruga si girò e sparì nei folti cespugli di rododendri.

Non appena se ne fu andata, Riccardo corse via con una grossa radice di

liquirizia in bocca. Gli altri lo rincorsero gridando:« Le radici sono di

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tutti!». Ma Riccardo, con la bocca piena, borbottò:« Questa no! E' mia!».

A poco dopo tutte e tre le marmottine si davano zampate e colpi di coda

per conquistare l'isolotto.

«E' mio!», gridavano all'unisono.

Ad un tratto il cielo si oscurò e tuoni minacciosi riempirono l'aria intorno

al lago. Una pioggia violenta e scrosciante investì l'isolotto, che fu

rapidamente inghiottito dall'acqua che saliva e saliva. Le tre marmotte

tremavano di paura.

Tentarono disperatamente di aggrapparsi alle poche pietre scivolose che

ancora spuntavano dalle acque n tempesta. Ma anche queste furono

sommerse.

Non rimase che un'unica roccia e su quella le tre marmotte si

arrampicarono, tremando di freddo e di paura.

Si tennero vicine vicine, e così abbracciate, accomunate dalle. stesse

paure e dalle stesse speranze, si sentirono più tranquille. Ciascuna

sentiva il cuoricino delle altre due battere accanto al suo.

A poco poco la acque calarono. La pioggia si fece più rada e poi finì del

tutto. Solo allora le marmotte scoprirono che la grande pietra sulla quale

si erano arrampicate non era affatto una pietra: era niente meno che la

tartaruga! «Ci hai salvate!», gridarono tutte insieme.

Il mattino dopo l'acqua era ancora limpida.

Sul fondo sabbioso del lago il sole rincorreva i pesciolini d'argento.

Piene di gioia, le marmottine si misero a fare il bagno insieme e insieme

cercarono sassolini colorati. Insieme correvano nell'erba grassa e

profumata a cercare radici di liquirizia.

Più tardi, mentre si riposavano al fresco di un'altura erbosa, si sentirono

felici come non mai.

«Che pace!», disse Riccardo.

«E che bellezza!», disse Valerio.

«E sai che cosa?», disse Adriana.

«Che cosa?», chiesero le altre due marmottine.

“E’ nostro!”.

Cantiamo: Se m’accogli

Tra le mani non ho niente, spero che mi accoglierai

chiedo solo di restare accanto a te.

sono ricco solamente dell’amore che mi dai:

è per quelli che non l’hanno avuto mai.

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SE M’ACCOGLI, MIO SIGNORE, ALTRO NON TI

CHIEDERO’, E PER SEMPRE LA TUA STRADA

LA MIA STRADA RESTERA’ NELLA GIOIA E

NEL DOLORE, FINO A QUANDO TU VORRAI

CON LA MANO NELLA TUA CAMMINERO’.

Io ti prego con il cuore, so che tu mi ascolterai

rendi forte la mia fede più mai.

Tieni accesa la mia luce fino al giorno che tu sai,

con i miei fratelli incontro a te verrò.

Preghiamo: PREGHIERA DELLA GUIDA E DELLO SCOUT

Signore:

ci hai donato il corpo

perché sia sempre la tua dimora

piena di gioia e di speranza…

Ci hai donato la mente,

per cercare nelle piccole e grandi cose,

il senso della nostra esistenza.

Ci hai donato il creato e la natura,

per dirci che uno solo è il Creatore

e che a Lui tutto deve ritornare.

Ci hai donato tanti amici

per vivere la comunità

e creare un mondo migliore.

Ci hai donato la vita,

perché possiamo liberamente consumarla

al servizio di chi ha più bisogno.

Per tutto questo: GRAZIE SIGNORE!

SIMBOLO: L’UNIONE FA LA FORZA Ogni squadra avrà a disposizione un foglio rettangolare di circa 1,00 x 0,70 (es. foglio di giornale) steso a terra: tutti dovranno salirvici sopra con almeno un piede ciascuno (non necessariamente, bisogna tenere tutto il piede a terra) ; a prova riuscita (quando tutti sono sopra il foglio

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contare fino a 10) il foglio verrà ridotto per un successivo passaggio. La sfida consiste nel ridurre il più possibile la superficie di appoggio cercando di far stare in equilibrio tutta la squadra.

Cantiamo: STRADE E PENSIERI PER DOMANI

Sai, da soli non si può fare nulla,

sai aspetto solo te

noi voi tutti vicini e lontani

insieme si fa...

sai, ho voglia di sentire la mia storia

dimmi quello che sarà

il corpo e le membra nell'unico amore

insieme si fa...

RIT. Un arcobaleno di anime

che ieri sembrava distante

lui traccia percorsi impossibili

strade e pensieri per domani.

Sai, se guardo intorno a me, c'è da fare,

c'è chi tempo non ne ha più

se siamo solidi e solidali,

insieme si fa...

sai, oggi imparerò più di ieri

stando anche insieme a te

donne e uomini, non solo gente

e insieme si fa... RIT.

Sai, c'è un'unica bandiera in tutto il mondo

c'è una sola umanità

se dici "pace, libero tutti"

insieme si fa...

sai, l'ha detto anche B.P. "lascia il mondo

un po' migliore di cosi'"

noi respiriamo verde avventura

e insieme si fa... RIT.

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6° GIORNO Tutti aspiriamo ad un mondo dove regni l’amicizia, la giustizia, la pace…dove l’obiettivo finale sia la felicità per tutti! Tutti perciò siamo chiamati ad “agire” in prima persona, a rimboccarci le maniche, ad essere persone significative, che mettono la propria vita al servizio degli altri. Tutto ciò che abbiamo imparato in questi giorni insieme, tutto ciò che abbiamo cantato, giocato, pregato…”vissuto” non deve rimanere chiuso nel nostro cuore, ma deve essere portato a tutti…perché condividano con noi i nostri doni e insieme si possa “lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato”

IL NEGOZIO ORIGINALE

Sulla via principale della città c’era un negozio originale.

Un’insegna luminosa diceva: “Doni di Dio”.

Un bambino vi entrò e vide un angelo dietro al banco.

Sugli scaffali c’erano grandi contenitori di tutti i colori.

“ Cosa si vende?” chiese incuriosito.

“ Ogni bene di Dio!

Vedi, il contenitore giallo è pieno di sincerità, quello verde è pieno di

speranza, in quello rosso c’è l’amore, in quello azzurro la fede,

l’arancione contiene il perdono, il bianco la pace, il violetto il sacrificio e

l’indaco la salvezza.”

“ E quanto costa questa merce?”

“ Sono doni di Dio e i doni non costano niente.”

“ Che bello! Allora dammi: 10 chili di fede, cinque di amore, uno di

speranza, un barattolo di perdono e tutto il negozio di pace.”

L’angelo si mise subito al lavoro. In un attimo confezionò un pacchetto

piccolo come il suo cuore.

“ Ecco, sei servito” disse l’angelo porgendo il pacchettino.

“ Ma, così piccolo?”

“ Certo, nella bottega di Dio non si vendono i frutti maturi ma soltanto i

piccoli semi da coltivare.”

Vai nel mondo e fai germogliare i doni che Dio ti ha dato!

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Cantiamo: ANDATE PER LE STRADE

RIT: Andate per le strade di tutto il mondo

chiamate i miei amici per far festa:

c'è un posto per ciascuno alla mia mensa.

Nel vostro cammino annunciate il Vangelo,

dicendo: "E' vicino il Regno dei Cieli".

Guarite i malati, mondate i lebbrosi,

rendete la vita a chi l'ha perduta. RIT.

Vi è stato donato con amore gratuito:

ugualmente donate con gioia e per amore.

Con voi non prendete ne' oro ne' argento

perché l'operaio ha diritto al suo cibo. RIT.

Preghiamo: Lettera ai Romani, 12, 10-16

“…amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi

a vicenda…siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti

nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi

nell’ospitalità.

Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite.

Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono

nel pianto.

Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri…”

Beati voi

che nel ragazzo meno bravo, in quello costretto a lavorare

in quello ignorante e poco educato,

in quello preso in giro ed emarginato, in quello timido e malato

sapete ascoltare l’invito a costruire un mondo migliore.

Beati voi

che non rispondete al male con il male;

che non vi arrendete alle ingiustizie,

alla miseria e alla fame di tanti fratelli,

alla volgarità e alla violenza

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ma date sempre il vostro contributo.

Beati voi

che non sciupate scioccamente l’intelligenza, le qualità,

il vostro tempo

sottraendovi alla costruzione di un mondo più giusto.

Beati voi

che non vi accontentate del “vostro” star bene,

delle “vostre” amicizie, del “vostro” benessere

ma faticate perché anche gli altri stiano bene come voi.

SIMBOLO: Il capo-campo semina nella terra raccolta durante la

cerimonia d’apertura, alcuni semi di fiori simbolo della condivisione e

della continuità. Ad ogni ragazzo viene consegnata una manciata della

terra appena seminata, che porterà a casa con l’impegno di provare a far

attecchire i fiori seminati : il risultato non è assicurato, ma è convinzione

comune che il semplice tentativo sta a testimoniare la voglia di non far

spegnere la bella avventura condivisa al campo.

I ragazzi ricevono gli attestati del campo, il fazzolettone del loro gruppo

e gli abbracci dei capi.

Solo i Capi per gli allievi

La strada vi venga sempre dinnanzi

E il vento vi soffi aale spalle

E la rugiada bagni sempre l’erba

Su cui poggiate i passi.

E il sorriso brilli sempre

Sul vostro volto.

E il pianto che spunta

Sui vostri occhi

sia solo pianto di felicità.

E qualora dovesse trattarsi

Di lacrime di amarezza e di dolore,

ci sia sempre qualcuno

pronto ad asciugarvele.

Il sole entri a brillare

Prepotentemente nella vostra casa,

a portare tanta luce,

tanta speranza e tanto calore.

(Don Tonino Bello)