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1 Cod. 141230 IN EVIDENZA: Novità in materia di Imu dopo la conversione del D.L. n. 102/2013 e la presentazione del D.D.L. di Stabilità per il 2014 Valutazioni, opportunità e limiti dell’operazione di conferimento d’azienda Retroattività della legge tributaria, violazione dell’affidamento e certezza del diritto Notifica dell’accertamento prima di sessanta giorni dal Pvc Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Tassazione dei compensi e delle royalties percepiti da artisti non residenti in Italia Giurisprudenza e Prassi tributaria Approfondimento 11 novembre 2013 Euro 7,90 Le Guide del Fisco in vendita esclusivamente in abbinamento al settimanale a soli 8,50 euro in più 41 Viale Maresciallo Pilsudski, 124 - 00197 Roma Poste Italiane S.p.a. - Sped. Abb. Postale DCB Milano D.L. n. 353/2003 (conv. in L. 27/7/2004 n. 46) art. 1, c. 1. Rivista settimanale - Anno XXXVII Contiene I.P.

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1

Cod. 141230

IN EVIDENZA:

Novità in materia di Imu dopo la conversione del D.L. n. 102/2013 e la presentazione del D.D.L. di Stabilità per il 2014

Valutazioni, opportunità e limiti dell’operazione di conferimento d’azienda

Retroattività della legge tributaria, violazione dell’affidamento e certezza del diritto

Notifica dell’accertamento prima di sessanta giorni dal Pvc

Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia

Tassazione dei compensi e delle royalties percepiti da artisti non residenti in Italia

Giurisprudenza e Prassi tributaria

Approfondimento

11 novembre2013

Euro 7,90

Le Guide del Fisco in vendita esclusivamente in abbinamento al settimanale a soli 8,50 euro in più 41

Viale Maresciallo Pilsudski, 124 - 00197 RomaPoste Italiane S.p.a. - Sped. Abb. Postale DCB MilanoD.L. n. 353/2003 (conv. in L. 27/7/2004 n. 46) art. 1, c. 1.

Rivista settimanale - Anno XXXVII

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1

Comitato scientifico

Attilio Befera direttore dell’Agenzia delle Entrate

Michele Cantillo già presidente della sezione tributaria della Suprema Corte di Cassazione

Saverio Capolupo università degli Studi di Cassino

Ivo Caraccioli già ordinario di diritto penale nell’università di Torino

Alessandro Cotto dottore commercialista in Torino, Eutekne

Flavio Dezzani ordinario di ragioneria nell’università di Torino, dottore commercialista in Torino

Augusto Fantozzi ordinario di diritto tributario nell’università Telematica “Giustino Fortunato” di Benevento

Stefano Fassina direttore scientifico di Nuova Economia - Nuova Società

Andrea Fedele ordinario di diritto tributario nell’università “Sapienza” di Roma

Antonio Iorio avvocato tributarista in Roma, pubblicista

Maurizio Leo già presidente della Commissione parlamentare di vigilanza sull’Anagrafe Tributaria, avvocato tributarista in Roma

Carlo Nocera docente della Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze, pubblicista

Alessandro Pagano componente della VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati

Leonardo Perrone ordinario di diritto tributario nell’università “Sapienza” di Roma

Marco Piazza dottore commercialista in Milano

Pasquale Saggese dottore commercialista in Napoli

Claudio Siciliotti dottore commercialista in Udine

Gianpaolo Valente dottore commercialista in Torino, Eutekne, segretario generale dell’IRDCEC

Piergiorgio Valente dottore commercialista in Milano

Enrico Zanetti dottore commercialista in Venezia, Eutekne

Approfondimento

Redazione: Viale Maresciallo Pilsudski, 124 - 00197 Roma - Tel. 199.164.164 - 06.20.381.463 - Fax 06.20.381.229

Viale Maresciallo Pilsudski, 124 - 00197 Roma Poste Italiane S.p.a. – Sped. Abb. Postale DCB Milano D.L. n. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46) art. 1, c. 1 Rivista settimanale – Anno XXXVII

41 11 novembre 2013

Gli articoli da pubblicare devono essere inviati al seguente indirizzo: Viale Maresciallo Pilsudski, 124 - 00197 Roma - Tel. 06.20.381.463 - Fax 06.20.381.229 - E-mail: [email protected] - [email protected]

I contenuti e i pareri espressi negli articoli sono da considera-re opinioni personali degli autori che non impegnano pertan-to l’editore, la direzione e il comitato scientifico.

Direttore responsabile Giulietta Lemmi

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SOMMARIO 6317

41/2013

fascicolo 1

SOMMARIO

Approfondimento

Legge di stabilità 2014. Bilancio Italian gaap al 31 dicembre 2013: i tre metodi di rivalutazione di Flavio Dezzani e Luca Dezzani ........................................................................................................................................ 1-6321

Le novità in materia di Imu dopo la conversione in legge del D.L. n. 102/2013 e la presentazione del D.D.L. di Stabilità per il 2014 di Stefano Baruzzi .................................................................................................................................................................... 1-6328

Valutazioni, opportunità e limiti dell’operazione di conferimento d’azienda di Leo Lauricella ........................................................................................................................................................................ 1-6338

La legge deve rispettare l’affidamento del contribuente di Antonio Mastroberti ............................................................................................................................................................. 1-6342

Notifica dell’accertamento prima di sessanta giorni dal Pvc di Alfio Cissello ........................................................................................................................................................................... 1-6351

Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia di Antonino Russo ..................................................................................................................................................................... 1-6357

Incentivi alle aziende: profili ricostruttivi e prime considerazioni sul bonus assunzioni “under 30” di Amedeo Tea .......................................................................................................................................................................... 1-6366

La tassazione dei compensi e delle royalties percepiti da artisti non residenti in Italia di Sante Battistini ...................................................................................................................................................................... 1-6375

Esterovestizione: elusione o evasione? di Marco Thione e Marco Bargagli ....................................................................................................................................... 1-6381

Giurisprudenza

Corte di Cassazione Accertamento - Dichiarazioni - Trasmissione telematica - Difformità della dichiarazione trasmessa in via telematica dalla copia cartacea – Rilevanza della dichiarazione presentata in via telematica

(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Cicala, Est. Caracciolo - Ord. n. 20047 del 10 luglio 2013, dep. il 30 agosto 2013) ...................................................................................................................................................................... 1-6392

Imposte dirette - Ires - Norme generali sul reddito d’impresa - Inerenza - Operazioni soggettiva-mente inesistenti - Deducibilità dei costi - Condizioni

(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Virgilio, Est. Cigna - Sent. n. 23314 del 14 marzo 2013, dep. il 15 ottobre 2013) con commento di Alessandro Borgoglio .................................................................................................. 1-6394

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6318 SOMMARIO

41/2013

fascicolo 1

Imposte dirette - Ires - Norme generali sulle valutazioni - Transfer pricing - Determinazione del va-lore normale - Modalità

(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Pivetti, Est. Valitutti - Sent. n. 24005 dell’11 dicembre 2013, dep. il 23 ot-tobre 2013) con commento di Alessandro Borgoglio ........................................................................................ 1-6397

Consiglio di Stato Diritto amministrativo - Diritto di accesso - Diritto di accesso - Richiesta di esibizione della car-tella di pagamento - Art. 26 del D.P.R. n. 602/1973

(CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, Pres. Russo, Est. De Felice - Sent. n. 4821 del 30 luglio 2013, dep. il 26 settembre 2013) con commento di Pierfranco Turis ......................................................................................... 1-6404

Commissioni tributarie Accertamento - Accertamento e controlli - Accertamento sintetico - Redditometro - Canoni di leasing - Rilevanza - Art. 38 del D.P.R. n. 600/1973

(COMM. REGIONALE di Milano, Sez. distaccata di Brescia, sez. LXV - Sent. n. 103 del 25 ottobre 2013) con commento di Pierfranco Turis ...................................................................................................................................... 1-6408

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SOMMARIO 6319

41/2013

fascicolo 1

INDICE CRONOLOGICO

Corte di Cassazione n. 20047 del 10.7.2013-30.8.2013 (Sez. trib.) (Ord.) ....................................................................................... 1-6392 n. 22314 del 14.3.2013-15.10.2013 (Sez. trib.) ................................................................................................ 1-6394 n. 24005 del 11.12.2013-23.10.2013 (Sez. trib.) .............................................................................................. 1-6397

Consiglio di Stato n. 4821 del 30.7.2013-26.9.2013 (Sez. IV) ........................................................................................................ 1-6404

Commissioni tributarie Reg. Milano n. 103 del 25.10.2013 (Sez. Distaccata di Brescia, Sez. LXV) ..................................................... 1-6408

Servizio ClientiIl numero telefonico

dell’Ufficio Abbonamenti è: 199.164.164

(€ 0,1188 + IVA a min. da rete fissa senza scatto alla risposta, da rete mobile il costo dipende dall’operatore utilizzato)

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Iscrizione al R.O.C. n. 5782 del 2005 Editore: Wolters Kluwer Italia S.r.l., Viale Maresciallo Pilsudski, 124 - 00197 Roma Rivista fondata nel 1977.

Condizioni di abbonamento 2013 va-lide per l’Italia. Abbonamento alla rivista “il fisco” PLATINO, fascicoli e , 2013, 48 numeri, con “Rassegna Tributaria” 2013, 6 numeri, 6 Pocket e il CD Rom della rivista “il fisco”, 305,00 euro (Iva inclusa). Altre combi-nazioni, vedi cedola nelle pagine precedenti. Condizioni di abbonamento 2013 va-lide per l’estero. Abbonamento alla rivista “il fisco” PLATINO, fascicoli e , 2013, 48 numeri, con “Rassegna Tributaria” 2013, 6 numeri, 6 Pocket e il CD Rom della rivista “il fisco”, 366,00 euro (Iva inclusa). Gli impiegati in servizio e non presso il Mi-nistero delle finanze e della G. di F. potran-no abbonarsi solo ai 48 numeri de “il fisco”, fascicoli e , più “Rassegna Tributaria”, 6 Pocket e il CD Rom della rivista “il fisco”, versando 179,00 euro (Iva inclusa). La decorrenza per l’abbonamento è dall’1.1.2013 al 31.12.2013 con diritto ai numeri arretrati; l’abbonamento s’intende rinnovato nel caso in cui non sia pervenuta a Wolters Kluwer Italia S.r.l. lettera racco-mandata di disdetta 30 giorni prima della scadenza di detto abbonamento. Modalità di pagamento: Versamento di-retto con assegno bancario o circolare “non

trasferibile” e barrato o con bonifico bancario presso Banca Intesa Sanpaolo SpA - Agenzia Roma Filiale 3711, Via L. Luciani 12, 00197 Roma (RM), IBAN: IT45 A030 6905 0700 0000 0700 181, oppure con versamento a mezzo c/c postale n. 61844007 intestato a Wolters Kluwer Italia S.r.l. - Viale Maresciallo Pilsudski, 124 - 00197 Roma.

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Comunicazione all’Abbonato

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6321

41/2013

fascicolo 1

APPROFONDIMENTO

Legge di stabilità 2014. Bilancio Italian gaap al 31 dicembre 2013:

i tre metodi di rivalutazione di Flavio Dezzani e Luca Dezzani

Il Disegno di legge di stabilità 2014 riattiva tutte le ipotesi di rivalutazione dei beni d’im-presa emanate dal 2000 ad oggi. In questo articolo sono esposti i tre metodi di rilevazione contabile della rivalutazione dei beni ammortizzabili: la rivalutazione sola-mente dei cespiti ammortizzabili, la riduzione del fondo ammortamento, nonché la rivaluta-zione dei cespiti ammortizzabili e del relativo fondo ammortamento.

1. Premessa

Il Disegno di legge di stabilità 2014 riprende tutte le ipotesi di rivalutazione dei beni d’impresa ema-nate dal 2000 ad oggi (art. 6, commi da 8 a 18). In sintesi, la rivalutazione presenta le seguenti principali caratteristiche1: 1 Si riportano i commi da 8 a 18 dell’art. 6 del Disegno di

legge di stabilità 2014 relativi alla rivalutazione dei beni d’impresa: “8. I soggetti indicati nell’articolo 73, comma 1, lettere a) e b), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, che non adottano i principi contabili inter-nazionali nella redazione del bilancio, possono, anche in deroga all’articolo 2426 del codice civile e ad ogni altra di-sposizione di legge vigente in materia, rivalutare i beni d’impresa e le partecipazioni di cui alla sezione II del capo I della legge 21 novembre 2000, n. 342, e successive modi-ficazioni, ad esclusione degli immobili alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività di impresa, risultanti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2012.

9. La rivalutazione deve essere eseguita nel bilancio o rendiconto dell’esercizio successivo a quello di cui al comma 8, per il quale il termine di approvazione scade successivamente alla data di entrata in vigore della pre-sente legge, deve riguardare tutti i beni appartenenti alla stessa categoria omogenea e deve essere annotata nel rela-tivo inventario e nella nota integrativa. 10. Il saldo attivo della rivalutazione può essere affranca-to, in tutto o in parte, con l’applicazione in capo alla so-cietà di una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e di even-tuali addizionali nella misura del dieci per cento da versa-re con le modalità indicate al comma 13. 11. Il maggior valore attribuito ai beni in sede di rivaluta-zione si considera riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive a decorrere dal terzo esercizio successivo a quello con rife-rimento al quale la rivalutazione è stata eseguita, median-te il versamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive e di eventuali addizionali con la misura del sedici per cen-to per i beni ammortizzabili e del dodici per cento per i beni non ammortizzabili. 12. Nel caso di cessione a titolo oneroso, di assegnazione ai soci, di destinazione a finalità estranee all’esercizio del-l’impresa ovvero al consumo personale o familiare dell’im-prenditore dei beni rivalutati in data anteriore a quella di inizio del quarto esercizio successivo a quello nel cui bi-lancio la rivalutazione è stata eseguita, ai fini della deter-minazione delle plusvalenze o minusvalenze si ha riguar-do al costo del bene prima della rivalutazione. 13. Le imposte sostitutive di cui ai commi 10 e 11 sono versate in tre rate annuali di pari importo, senza paga-mento di interessi, di cui la prima entro il termine di ver-samento del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo di imposta con riferimento al quale la rivaluta-zione è eseguita, e le altre con scadenza entro il termine rispettivamente previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relative ai periodi d’imposta successivi. Gli importi da versare possono essere compensati ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241. 14. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni

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6322 APPROFONDIMENTO – Bilancio

41/2013

fascicolo 1

1. la rivalutazione riguarda i beni d’impresa, strumentali e non, incluse le partecipazioni di controllo e di collegamento;

2. sono esclusi i beni alla cui produzione o al cui scambio è destinata l’attività d’impresa (es. beni merce);

3. la rivalutazione riguarda i beni che risulta-no dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31/12/2012 e sono ancora presenti nel bi-

degli articoli 11, 13, 14 e 15 della legge 21 novembre 2000, n. 342, quelle del decreto del Ministro delle finanze 13 a-prile 2001, n. 162, del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 19 aprile 2002, n. 86 e dei commi 475, 477 e 478 dell’articolo 1 della legge del 30 dicembre 2004, n. 311. 15. Le previsioni di cui all’articolo 14, comma 1, della legge 21 novembre 2000, n. 342, si applicano anche ai soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili inter-nazionali di cui al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parla-mento europeo e del Consiglio del 19 luglio 2002, anche con riferimento alle partecipazioni, in società ed enti, costituen-ti immobilizzazioni finanziarie ai sensi dell’articolo 85, comma 3-bis, del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. Per tali soggetti, per l’importo corrispondente ai maggiori valori oggetto di riallineamento, al netto del-l’imposta sostitutiva di cui al comma 11, è vincolata una ri-serva in sospensione di imposta ai fini fiscali che può essere affrancata ai sensi del comma 10. 16. Le disposizioni di cui ai commi 10-bis e 10-ter dell’ar-ticolo 15 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, con-vertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, si applicano anche alle operazioni effettuate a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2012. Il versamento dell’imposta sostitutiva è dovuto in un’unica rata da versare entro il termine di scadenza del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo di imposta in ri-ferimento al quale l’operazione è effettuata. L’imposta so-stitutiva dovuta per le operazioni effettuate nel periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2012 è versata entro il termine di scadenza del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013. 17. Gli effetti del riallineamento di cui al comma 16 decor-rono dal secondo periodo di imposta successivo a quello del pagamento della sostitutiva. Tali effetti si intendono revoca-ti in caso di atti di realizzo riguardanti le partecipazioni di controllo, i marchi d’impresa e le altre attività immateriali o l’azienda cui si riferisce l’avviamento affrancato, anterior-mente al quarto periodo di imposta successivo a quello del pagamento della sostitutiva. L’esercizio dell’opzione per il riallineamento di cui al comma 16 non è consentito in caso di opzione per i regimi previsti dagli articoli 172, comma 10-bis, 173, comma 15-bis, e 176, comma 2-ter, del testo u-nico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presiden-te della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e dall’articolo 15, commi 10, 11 e 12 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e viceversa. 18. Le modalità di attuazione dei commi 16 e 17 sono sta-bilite con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate”.

lancio successivo (es. 31/12/2013) sul quale la rivalutazione è eseguita;

4. il riconoscimento fiscale dei maggiori valo-ri iscritti a seguito della rivalutazione avviene mediante il versamento di un’imposta sosti-tutiva delle imposte sui redditi e dell’Irap, la cui aliquota è pari al 16% sui beni ammortiz-zabili e al 12% sugli altri;

5. l’effetto fiscale della rivalutazione viene dif-ferito al 2016;

6. è consentito affrancare il saldo di rivalu-tazione (o riserva di rivalutazione) derivante dall’iscrizione dei maggiori valori, mediante imposta sostitutiva del 10%. L’affrancamento rende da subito disponibile per la distribuzio-ne il saldo senza conseguenze impositive sulla società; in assenza di affrancamento, il saldo ha un regime di sospensione di imposta che impedisce l’utilizzo del saldo per la distribu-zione, pena la ripresa a tassazione;

7. il saldo attivo di rivalutazione – anche se non affrancato – può essere trasferito ad aumento del capitale sociale.

2. I tre metodi di rivalutazione dei beni ammortizzabili

La rivalutazione dei beni ammortizzabili – se-condo l’art. 5 del D.M. 13 aprile 2001, n. 162 (ri-chiamato dall’art. 6, comma 14, Disegno di legge di stabilità 2014) – può essere attuata mediante i seguenti metodi2: 1. la rivalutazione del costo storico del ce-

spite, unitamente alla contestuale rivaluta-zione del relativo fondo, al fine di consen-tire la conclusione del processo di ammorta-mento nel termine originario;

2. la rivalutazione solamente del costo sto-rico del cespite;

3. la riduzione del fondo di ammortamento. 2 Si riporta l’art. 5 del D.M. 13 aprile 2001, n. 162:

“Modalità di rivalutazione dei beni ammortizzabili. 1. Per i beni ammortizzabili materiali ed immateriali la ri-valutazione, fermo restando il rispetto dei principi civili-stici di redazione del bilancio, può essere eseguita, rivalu-tando sia i costi storici sia i fondi di ammortamento in misura tale da mantenere invariata la durata del processo di ammortamento e la misura dei coefficienti ovvero riva-lutando soltanto i valori dell’attivo lordo o riducendo in tutto o in parte i fondi di ammortamento. La rivalutazione può essere eseguita anche al fine di eliminare gli effetti degli ammortamenti operati in applicazione di norme tri-butarie. I criteri seguiti ai sensi del precedente periodo de-vono essere indicati nella nota integrativa al bilancio”.

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Bilancio – APPROFONDIMENTO 6323

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fascicolo 1

La rivalutazione dei beni può essere liberamente effettuata utilizzando, nel rispetto dei criteri civi-listici, uno dei metodi sopra-descritti, come con-fermato nella circ. n. 57/E del 18 giugno 20013. E ciò anche nel caso in cui l’impresa intenda rivalu-tare beni che hanno subito maggiori ammorta-menti in applicazione di norme tributarie. Il Ministero ha anche precisato che l’impresa può utilizzare metodi diversi di contabilizzazio-ne della rivalutazione dei beni senza influenzare l’omogeneità del criterio di rivalutazione; lo stesso metodo contabile – sempre secondo il Ministero delle finanze – deve essere adottato all’interno della stessa categoria di beni. Nel testo non si tiene conto della fiscalità differi- 3 In banca dati “fisconline”.

ta e del regime fiscale della riserva di rivaluta-zione, al fine di non complicare l’esposizione dei diversi metodi di rivalutazione.

3. La rivalutazione del cespite e del fondo ammortamento

Nel presente paragrafo viene esposto un esem-pio di applicazione del metodo di rivalutazione del costo storico del cespite unitamente alla con-testuale rivalutazione del relativo fondo, al fine di consentire la conclusione del processo di ammortamento nel termine originario. Si consideri, ad esempio, la rivalutazione di un macchinario iscritto nel bilancio al 31 dicembre 2013 (antecedentemente alla rivalutazione) co-me segue:

Stato patrimoniale al 31/12/2013

Macchinario 2000 Fondo ammortamento (1400) ______ 600

Si assuma, inoltre, che il coefficiente di ammor-tamento del macchinario sia pari al 10% e che il piano di ammortamento del medesimo – in as-senza della rivalutazione – preveda un ammorta-mento costante pari a 200 negli esercizi 2013, 2014 e 2015.

Ipotizzando un valore di mercato del macchina-rio pari a 800 alla data del 31 dicembre 2013 (dopo cioè il calcolo della quota di ammorta-mento dell’esercizio 2013), il calcolo richiesto dall’Agenzia delle Entrate deve seguire il sot-toindicato iter:

1) l’impresa deve conteggiare la quota di ammortamento sul costo originario di 2000,

cioè prima di effettuare la rivalutazione, con il coefficiente del 10%: Costo del bene 2000 meno: Fondo ammortamento (1400 + 200) 1600 _____ 400 =====

2) il valore di mercato del bene al 31 dicembre 2013 – cioè dopo l’imputazione della quota di ammortamento relativa all’esercizio medesimo – è di 800, cioè due volte il valore netto contabile. Il nuovo valore di bilancio del bene si ottiene moltiplicando per 2 i seguenti valori:

Costo del bene 2000 2 = 4000 meno: Fondo ammortamento 1600 2 = 3200 _____ _____ 400 2 = 800 ===== ====

3) il nuovo valore residuo di 800 corrisponde alle quote di ammortamento – sempre conteggiate con il coefficiente del 10% – per gli esercizi residui del 2014 e del 2015, corrispondenti all’originaria vita residua del cespite. Infatti, il coefficiente del 10%

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6324 APPROFONDIMENTO – Bilancio

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fascicolo 1

applicato al nuovo costo di 4000 determina una quota di ammortamento di 400 per ogni esercizio;

4) la quota di ammortamento dell’esercizio 2013 – con il suddetto meccanismo – viene conteggiata sul valore rivalutato di 4000 e non sul costo originario di 2000: nel bi-lancio al 31 dicembre 2013 viene imputata la quota di 400;

5) la scrittura contabile della rivalutazione è la seguente (il debito per l’imposta sostitu-tiva è del 16%):

Macchinario a

Diversi

2000

a a a

Fondo ammortamento Riserva di rivalutazione Debito d’imposta

1400 504

96 ======

La rivalutazione del macchinario è di 2000, del fondo di ammortamento di 1400 e la riserva di rivalutazione di 600. L’imposta sostitutiva del 16% – che è un debito verso l’Erario – viene de-

tratta dalla riserva di rivalutazione. Nel bilancio d’esercizio al 31 dicembre 2013 la rappresentazione contabile è la seguente:

Stato patrimoniale

Macchinario (2000 + 2000) 4000 Fondo ammortamento

(1400 + 1400 + 400) (3200) _____ 800

Riserva di rivalutazione (600 – 96) 504 Debito tributario 96

Conto economico

A) Valore della produzione XX B) Costi della produzione

..... 10) Ammortamento (400)

In sintesi, l’adozione del metodo di rivalutazione del costo storico del cespite unitamente alla con-testuale rivalutazione del relativo fondo di am-mortamento comporta le seguenti conseguenze: 1. il costo originario del cespite ed il corrispon-

dente fondo di ammortamento vengono ad as-sumere l’ammontare di 4000 e di 2800 anzi-ché di 2000 e di 1400: il nuovo valore netto contabile corrisponde al valore di mer-cato del cespite, pari a 800;

2. il nuovo costo del bene (es. 4000 anziché 2000) costituisce un vantaggioso parametro per il calcolo delle spese di manutenzione de-ducibili nella misura del 5% del costo dei beni.

Questo metodo non modifica il periodo di ammortamento fiscale del cespite, che conti-nua ad essere quello originario (2013-2014-2015).

4. La rivalutazione solamente del cespite

Ripercorrendo l’esempio di cui al precedente pa-ragrafo 3, il metodo della rivalutazione del solo cespite impone innanzitutto il calcolo del diffe-renziale tra il valore di mercato del macchinario alla data del 31 dicembre 2013 (es. 800) e il co-sto ammortizzato (in assenza della rivalutazio-ne) del medesimo alla data del 31/12/2013 (es. 400). Si ottiene così che la rivalutazione del bene è pari a 400 (es. 800 - 400), il costo storico non ammortizzato del bene viene ad essere di 2400 (in luogo dell’originario 2000), mentre il fondo ammortamento continuerà ad essere di 1400. La scrittura contabile è la seguente:

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Bilancio – APPROFONDIMENTO 6325

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Macchinario a

Diversi

400

a a

Riserva di rivalutazione Debiti tributari

336 64

======

La quota di ammortamento dell’esercizio 2013 è pari al 10% del nuovo costo di 2400, cioè 240. Nel bilancio al 31 dicembre 2013 i valori assumono i seguenti ammontari:

Stato patrimoniale

Macchinario (2000 + 400) 2400 Fondo ammortamento (1400 + 240) (1640) ______ 760

Riserva di rivalutazione (400 – 64) 336 Debiti tributari 64

Conto economico

A) Valore della produzione XX B) Costi della produzione

..... 10) Ammortamento (240)

L’adozione del metodo di rivalutazione del solo costo storico del cespite – così come sopra de-scritto – determina le seguenti conseguenze: si verifica l’allungamento del periodo di

ammortamento del bene; il cespite viene rivalutato solamente di 400, il

valore netto contabile dopo il calcolo della quota di ammortamento dell’esercizio 2013 (post rivalutazione) non corrisponde al valore di mercato del cespite medesimo di 800, ma solamente a 760.

In alternativa, l’impresa potrebbe rivalutare il cespite in misura tale da ottenere – dopo il con-

teggio delle quote di ammortamento dell’eserci-zio 2013 – il valore di mercato del cespite di 800: in questo caso, la rivalutazione non dovrebbe es-sere di 400 ma di 444, come viene dimostrato nella seguente simulazione. Così ritornando all’esempio, antecedentemente alla rivalutazione, il costo del bene è di 2000 ed il fondo di ammortamento di 1400; dopo il cal-colo della quota di ammortamento sul costo ri-valutato al 31 dicembre 2013, il valore netto con-tabile deve essere pari a quello di mercato di 800. Per determinare la rivalutazione del bene, l’im-presa deve impostare la seguente equazione:

(2000 + X) - [ 1400 + (2000 + X) 10 ] = 800

100 dove :

(2000 + X) = costo rivalutato del bene, cioè costo del bene 2000 ed X rivalutazione del bene medesimo [ 1400 + (2000 + X) 10 ] = 100

fondo ammortamento al 31 dicembre 2012 + quota di ammor-tamento del 10% sul costo rivalutato del bene al 31 dicembre 2013

800 = valore di mercato del bene La risoluzione dell’equazione è la seguente :

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6326 APPROFONDIMENTO – Bilancio

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fascicolo 1

2000 + X - 1400 - 200 - X = 800

10

X (1 - 1 ) = 400 10 X = 400 = 444 rivalutazione 9 10

Ne consegue che :

Costo rivalutato = 2000 + 444 = 2444

Quota ammortamento = 2444 10 = 244 100 Valore netto contabile = 2444 - (1400 + 244) = 800

Il valore netto contabile corrisponde al valore di mercato del bene medesimo.

Nel bilancio al 31 dicembre 2013, i valori assumono i seguenti ammontari:

Stato patrimoniale

Macchinario (2000 + 444) 2444 Fondo ammortamento (1400 + 244) (1644) ______ 800

Riserva di rivalutazione (444 – 71) 373 Debiti tributari 71

Conto economico

A) Valore della produzione XX

B) Costi della produzione

.....

10) Ammortamento (244)

5. La riduzione del fondo ammortamento

La rivalutazione può essere attuata anche ridu-

cendo in tutto o in parte il fondo di ammorta-mento, qualora tale fondo risulti superiore all’ef-fettivo deperimento e consumo del bene.

A) Situazione ante-rivalutazione:

Stato patrimoniale

Macchinario 2000 Fondo ammortamento (1400) ______ 600

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Bilancio – APPROFONDIMENTO 6327

41/2013

fascicolo 1

B) Situazione post-rivalutazione, corrispondente alla diminuzione del fondo am-

mortamento che si riduce da 1400 a 1000:

Stato patrimoniale

Macchinario 2000 Fondo ammortamento (1400 - 400) (1000)

Riserva di rivalutazione (400 – 64) 336 Debiti tributari 64

C) Bilancio al 31/12/2013: l’ammortamento continua ad essere calcolato sul costo o-

riginario del bene di 2000:

Stato patrimoniale

Macchinario 2000 Fondo ammortamento (1000 + 200) (1200) ______ 800

Riserva di rivalutazione (400 – 64) 336 Debiti tributari 64

Conto economico

.........

10) Ammortamento (200) In sintesi, l’adozione di questa metodologia di ri-valutazione determina le seguenti conseguenze: 1. gli ammortamenti continuano ad essere con-

teggiati sul costo storico dei beni; 2. il costo su cui calcolare le spese di ma-

nutenzione nella misura del 5% rimane im-mutato;

3. la vita utile del cespite si allunga per il pe-riodo corrispondente alla riduzione del fondo ammortamento.

6. Il valore economico dei beni

Il valore economico dei cespiti dipende dalla fun-zione che gli stessi beni svolgono nell’impresa, cioè: 1. beni che partecipano al processo produt-

tivo (es. macchinari, impianti, immobili stru-mentali);

2. beni patrimoniali (es. immobili civili, par-tecipazioni).

Il valore economico dei beni strumentali di-pende dalla capacità dei ricavi di vendita dei prodotti di assorbire le maggiori quote di am-mortamento dei beni rivalutati. Conseguente-mente, le imprese in perdita durevole non presentano i requisiti per la rivalutazione dei beni strumentali. I beni patrimoniali, invece, non partecipano al processo produttivo dei beni destinati alla vendi-ta. Conseguentemente, il valore economico di detti beni è rappresentato dal loro valore di pre-sumibile realizzo (cioè prezzo di vendita al netto dei relativi oneri). I valori economici dei beni sono confrontati con i valori di bilancio al netto delle quote ammor-tamento dedotte nell’esercizio 2013, calcolate sul costo rivalutato dei cespiti medesimi.

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41/2013

fascicolo 1

APPROFONDIMENTO

Le novità in materia di Imu dopo la conversione in legge del

D.L. n. 102/2013 e la presentazione del D.D.L. di Stabilità per il 2014

di Stefano Baruzzi

L’articolo illustra le recenti importanti novità in materia di Imu frutto della conversione in legge, con modificazioni e integrazioni, del D.L. n.102/2013, nonché del Disegno di Legge di Stabilità per il 2014 che ha avviato il pro-prio iter al Senato il 23 ottobre 2013.

1. Premessa

Il presente articolo illustra le importanti novità in materia di Imu introdotte dal D.L. 31 agosto 2013, n. 102 (pubblicato nel S.O. della G.U. n. 204 del 31 agosto 2013), conv. L. 28 ottobre 2013, n. 124. Il tema relativo all’Imu è trattato negli articoli da 1 a 3, ai quali, in sede di conversione, si è ag-giunto l’art. 2-bis. Importanti disposizioni sono inoltre contenute nell’art. 8. Vengono poi esaminate le novità in materia di Imu contenute nel Disegno di Legge di Stabilità per il 2014, illustrato dal governo all’opinione pubblica il giorno 15 ottobre 2013 e presentato il giorno 21 ottobre 2013 al Senato (AS 1120), presso il quale il 23 ottobre ha avviato il proprio iter parlamentare, che dovrà concludersi entro fine anno.

2. Abolizione della prima rata dell’Imu per abitazioni principali, alloggi di cooperative a proprietà indivisa, alloggi Iacp, terreni agricoli e fabbricati rurali a uso abitativo e strumentale

Il D.L. n. 102/2013 (art. 1), conv. L. 28 ottobre 2013, n. 124, ha abolito la prima rata dell’Imu 2013 per tutti gli immobili per i quali essa era stata temporaneamente sospesa dal D.L. 21 maggio 2013, n. 54 (convertito dalla legge 18 lu-glio 2013, n. 85), ossia per i seguenti casi: a) abitazioni principali e relative pertinen-

ze (con le ormai ben note regole previste in materia di Imu per identificare le abitazioni principali e, quanto alle pertinenze, con i limi-ti di tipologia catastale – C/2 (magazzini, loca-li di deposito, soffitte e cantine), C/6 (autori-messe) e C/7 (tettoie chiuse o aperte) – e di numero – al massimo, una sola unità per cia-scuna delle tre categorie – stabiliti dalla nor-mativa Imu). L’abolizione della prima rata Imu non opera per i fabbricati classificati nelle categorie ca-tastali A/1, A/8 e A/9 (abitazioni di lusso, ville, castelli e palazzi storici);

b) unità immobiliari appartenenti alle coopera-tive edilizie a proprietà indivisa (ossia, al-le cooperative che restano proprietarie degli alloggi concessi in uso ai soci e che, in quanto

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Tributi locali – APPROFONDIMENTO 6329

41/2013

fascicolo 1

tali, sarebbero state tenute a versare l’Imu in proprio) se adibite ad abitazione princi-pale dei soci assegnatari, nonché relative pertinenze, con i medesimi limiti sopra richia-mati previsti dalla normativa Imu per le abi-tazioni principali e per le loro pertinenze;

c) alloggi regolarmente assegnati dagli Isti-tuti autonomi per le case popolari (Iacp) o dagli enti di edilizia residenziale pubblica, co-munque denominati, aventi le stesse finali-tà degli Iacp: anche in questo caso, l’Imu sa-rebbe stata a carico degli istituti proprietari;

d) terreni agricoli e fabbricati rurali di cui all’art. 13, commi 4, 5 e 8, del D.L. “Salva Ita-lia” n. 201/2011 (L. n. 214/2011) e successive modificazioni.

3. Terreni agricoli e fabbricati rurali

Per quanto riguarda i fabbricati rurali, l’aboli-zione della prima rata Imu opera sia per quelli abitativi che per quelli ad uso strumentale di cui all’art. 9, commi 3 e 3-bis, del D.L. n. 557/1993 (convertito dalla legge n. 133/94). Condizione necessaria affinché gli immobili sia-no considerati rurali è che essi siano classificati catastalmente nelle categorie A/6 (abitazioni di tipo rurale) o D/10 (fabbricati per funzioni pro-duttive connesse alle attività agricole) o che sia stata esperita tempestivamente la procedura vol-ta ad ottenere il riconoscimento della situa-zione di ruralità al cui buon esito è annotata negli atti catastali la sigla “R”.

Circa il concetto di “terreno agricolo” ai fini del-l’Imu, occorre rammentare che per tale “si in-tende il terreno adibito all’esercizio delle attività indicate nell’art. 2135 del codice civile” (art. 2, lettera c) del D.Lgs. n. 504/1992 in tema di Ici, richiamato anche per l’Imu dall’art. 13, comma 2, del D.L. “Salva Italia” n. 201/2011), vale a dire coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. L’identificazione dei terreni agricoli può essere fatta “per differen-za”, considerando che i beni immobili rilevanti ai fini Imu sono identificabili quali fabbricati o aree fabbricabili o terreni agricoli. Per i terreni occorre verificare che non si tratti di aree fabbricabili (art. 2, lettera b) del D.Lgs. n. 504/1992 e art. 36, comma 2, del D.L. n. 223/2006): in base a quest’ultima norma, ai fini tributari, “un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo stru-mento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regio-

ne e dall’adozione di strumenti attuativi del mede-simo”. Se, in base alla valutazione “urbanistica”, un’a-rea non è fabbricabile, allora può essere conside-rata ai fini Imu quale terreno agricolo e può fru-ire dell’abolizione della prima rata dell’Imu 2013 a prescindere dal soggetto che lo possiede e dalla circostanza che in essa si svolgano attività indi-cate dall’art. 2135 del codice civile.

Occorre poi ricordare che (art. 2, u.p., D.Lgs. n. 504/1992) “sono considerati, tuttavia, non fab-bricabili anche i terreni posseduti e condotti dai soggetti indicati nel comma 1 dell’art. 9, sui qua-li persiste l’utilizzazione agro silvo-pastorale me-diante l’esercizio di attività dirette alla coltiva-zione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicol-tura e all’allevamento di animali”: per questa particolare ipotesi è essenziale la natura sogget-tiva del possessore (di almeno uno, in caso di più possessori), che per poter fruire dell’assimi-lazione del terreno edificabile a quelli agricoli deve rientrare (art. 13, comma 2, D.L. n. 201/2011) tra i “coltivatori diretti e gli imprendi-tori agricoli professionali iscritti nella previden-za agricola”. Al ricorrere dei predetti requisiti, pertanto, i ter-reni possono essere considerati agricoli ai fini Imu e beneficiare dell’abolizione dell’obbligo di versare la prima rata relativa all’anno 2013.

4. Abolizione della seconda rata dell’Imu per i fabbricati invenduti e non locati dei costruttori e previsione di esenzione per il 2014

L’art. 2, comma 1, del D.L. n. 102/2013 dispone che per l’anno 2013 non è dovuta la seconda rata dell’Imu relativa ai fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla ven-dita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati. In sede di conversione in legge è stato precisato che per il 2013 l’Imu resta dovuta fino al 30 giu-gno 2013, in tal modo chiarendo in modo più preciso l’impatto della disposizione, dal momen-to che il riferimento alla “prima” o alla “secon-da” rata appariva poco puntuale dal punto di vi-sta tecnico – tributario in relazione al possibile emergere di conguagli legati a variazioni nelle aliquote, a valere sulla rata di dicembre, ma rife-ribili in parte a periodi ricompresi nel primo semestre 2013.

Salvo che non intervengano interpretazioni e-stensive, la norma sembra applicabile ai soli fab-

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6330 APPROFONDIMENTO – Tributi locali

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fascicolo 1

bricati “di nuova costruzione” (e non anche a quelli frutto di “interventi di recupero”) fintanto che siano destinati alla vendita (ossia, contabilizzati fra i “beni merce”) e non locati. Dal punto di vista soggettivo, beneficiarie del-la norma possono essere le sole imprese costruttrici, intese nell’accezione fiscale del termine: da ciò consegue che se un’impresa dovesse acquistare un immobile di nuova co-struzione non può fruire per esso dell’esclusione da Imu, pur classificandolo fra i beni merce e te-nendolo sfitto in attesa di rivenderlo. Nessuna limitazione è prevista dalla norma per quanto riguarda la tipologia o la classificazione catastale del fabbricato che può fruire dell’esclu-sione da Imu, che potrà essere pertanto abitativo o a uso diverso. Restano escluse dal beneficio anche le aree fab-bricabili (benché anche esse costituiscano co-munque “beni merce” per le imprese di costru-zione). Il comma 2, lettera a), dell’art. 2 prevede poi, dal 1° gennaio 2014, l’esenzione da Imu per i fabbri-cati di cui sopra. Sul tema in oggetto segnaliamo che l’ANCE ha avviato un contenzioso tributario, presso alcune Commissioni Tributarie, volto a denunciare i profili di incostituzionalità del prelievo sul “ma-gazzino immobili” nelle sue possibili articola-zioni. L’abolizione della seconda rata 2013 e l’esenzio-ne a regime dal 2014 sono subordinate a 3 con-dizioni: 1) la classificazione in bilancio dei fabbricati “in-

venduti” tra le rimanenze (soli “beni merce” e non anche fabbricati patrimonializzati);

2) i suddetti fabbricati non devono essere in ogni caso locati;

3) la presentazione della dichiarazione Imu per detti fabbricati, a pena di decadenza dall’esen-zione, ai sensi di quanto disposto dal comma 5-bis dell’art. 2, del quale diremo in prosieguo.

L’abolizione dell’Imu viene, comunque, ricono-sciuta a prescindere dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione, fintanto che il fabbri-cato rimane destinato alla vendita. In merito, segnaliamo che, in fase di conversio-ne in legge del D.L. 102/2013, sono stati accolti due Ordini del Giorno, che intervengono sull’ap-plicabilità della disposizione che elimina l’Imu per il “magazzino” delle imprese edili1. 1 L’Ordine del Giorno n. 9/1544/65 impegna il Governo “a

valutare l’opportunità di precisare che le disposizioni sta-bilite dal D.L. n. 102/2013 in materia di Imu per i fabbri-

5. Alloggi Iacp regolarmente assegnati e alloggi delle cooperative a proprietà indivisa adibiti ad abitazione principale dei soci

L’art. 2, comma 2, lettera b) del D.L. n. 102/2013 interviene sull’art. 13, comma 10, sesto periodo, del D.L. “Salva Italia” n. 201/2011. L’effetto pratico è che la detrazione Imu per l’abitazione principale continuerà a essere riconosciuta ai soli alloggi regolarmente assegnati dagli Iacp o dagli enti di edilizia re-sidenziale pubblica comunque denominati aven-ti le medesime finalità degli Iacp2. Prima dell’intervento effettuato dal D.L. n. 102/2013, agli alloggi assegnati dagli Iacp erano accomunati gli alloggi delle cooperative edi-lizie a proprietà indivisa adibiti ad abita-

cati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla ven-dita, purché non locati, si applicano anche agli immobili acquistati dall’impresa e sui quali la stessa procede ad in-terventi di incisivo recupero, prima della loro vendita”. Anche tali immobili, in effetti, sono civilisticamente clas-sificati tra le “rimanenze” (quali beni finiti destinati alla vendita) e, come i fabbricati di nuova costruzione, sono oggetto dell’attività tipica delle imprese di costruzioni poiché su di essi l’impresa interviene con lavori di recupe-ro incisivo, al fine della loro reimmissione sul mercato, con caratteristiche del tutto simili alle nuove costruzioni. Tale assimilazione è stata già riconosciuta in altri ambiti impositivi, come nel D.P.R. n. 633/1972 (all’art. 10, nume-ri 8, 8-bis e 8-ter) ove si prevede il medesimo regime di e-senzione/imponibilità ad Iva per le operazioni di cessione e locazione di immobili, siano essi nuove costruzioni o immobili incisivamente ristrutturati. D’altra parte, il recupero dei fabbricati esistenti rappre-senta una quota molto rilevante delle attività delle impre-se del settore delle costruzioni cosicché appare tutt’altro che illogico che la tutela dell’invenduto ai fini Imu riguar-di tutto il magazzino delle imprese del settore, compresi gli immobili ristrutturati per la vendita. Per contro, l’Ordine del Giorno n. G2.100 impegna il Gover-no, tra l’altro, “ad adottare misure agevolative in materia di Imu rivolte ai soli fabbricati costruiti e già ultimati alla data di entrata in vigore della presente legge e destinati dall’im-presa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati”. Quest’ultimo OdG approvato, che limita l’applicabilità dell’esenzione Imu ai soli fabbricati già ultimati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 102/2013, si pone in contrasto con la finalità della norma, che riconosce l’illegittimità della tassazione patrimoniale Imu su un immobile che, per l’impresa, non è un “bene patrimoniale”, ma un “bene merce” (Rimanenza). D’altra parte, allo stato attuale la disposizione contenuta nel D.L. n. 102/2013 è una norma a regime, che si applica quando l’impresa non riesce a cedere i fabbricati costruiti per la vendita, senza nessun’altra condizione temporale relativa all’ultimazione dei lavori di costruzione.

2 Rispetto a tali alloggi, non è invece prevista l’applicazione dell’aliquota ridotta per l’abitazione principale e pertinente.

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Tributi locali – APPROFONDIMENTO 6331

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zione principale dei soci assegnatari ai qua-li, peraltro, è stata ora attribuita (art. 2, comma 4, del D.L. n. 102/2013) una completa equipa-razione legale (ossia, non subordinata all’as-sunzione di deliberazioni in tal senso da parte dei singoli comuni) alle abitazioni principali, con conseguente applicazione della corrispon-dente disciplina a ogni fine. La legge di conversione del D.L. n. 102/2013 ha precisato che tale equiparazione ha effetto dal 1° luglio 2013.

Come già indicato, la prima rata Imu 2013 è sta-ta abolita per i predetti alloggi degli Iacp così come era stata dapprima sospesa e poi abolita per gli alloggi delle cooperative a proprietà “in-divisa” adibite ad abitazione principale dei soci. Per effetto dell’intervenuta equiparazione alle abitazioni principali, per la seconda rata (se sarà dovuta e non abolita anche essa) competerà alle citate cooperative, oltre alla detrazione (che già avevano, al pari degli Iacp), anche la maggiora-zione spettante ai figli conviventi (dimoranti abi-tualmente e residenti anagraficamente) nell’al-loggio se di età inferiore a 26 anni. Ricordiamo che tale maggiorazione è stata pre-vista dall’art. 13, comma 10, del D.L. “Salva Ita-lia” solo in via transitoria, limitatamente agli an-ni 2012 e 2013, a differenza della detrazione per l’abitazione principale per la quale non sono sta-ti previsti limiti temporali.

6. Alloggi sociali

L’art. 2, comma 4, del D.L. n. 102/2011 dispone l’equiparazione alle abitazioni principali – ma solo dal 1° gennaio 2013 – oltre che per le unità immobiliari appartenenti alle cooperative a proprietà indivisa adibite ad abitazione princi-pale dei soci assegnatari e alle relative pertinen-ze, anche per i fabbricati di civile abitazione de-stinati ad alloggi sociali come definiti dal de-creto del Ministro delle infrastrutture del 22 a-prile 2008. È una ulteriore fattispecie nella quale il trattamento riservato al possessore dell’abi-tazione principale viene esteso a un soggetto che non utilizza l’alloggio in proprio ma lo loca in si-tuazioni socialmente meritevoli.

7. Immobili destinati ad attività di ricerca scientifica da parte di enti non commerciali e altri soggetti di cui all’art. 73, comma 1, lett. c), del Tuir

L’art. 2, 3° c., del D.L. n. 102/2013 estende – dal

1° gennaio 2014 – l’esenzione da Imu (art. 7, comma 1, lettera i), del D.Lgs. n. 504/1992) agli immobili posseduti dagli enti non commerciali (o dagli altri soggetti di cui all’attuale art. 73, comma 1, lettera c), del D.P.R. n. 917/1986) se destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività di ricerca scientifica (attività per la cui identi-ficazione la norma non contiene riferimenti pre-cisi). Secondo la ris. min. n. 4/DF/20133, anche nell’i-potesi in cui l’immobile posseduto da un ente non commerciale venga concesso in comodato a un altro ente non commerciale per lo svolgimen-to di una delle attività meritevoli di cui al com-ma 1, lett. i), dell’art. 7 del D.Lgs. n. 504/1992, può trovare applicazione l’esenzione in oggetto.

8. Immobili posseduti da personale delle Forze armate, di polizia, dei vigili del fuoco o appartenente alla carriera prefettizia

Con l’art. 2, comma 5, del D.L. n. 102/2013 è sta-ta introdotta una disposizione in forza della qua-le “Non sono richieste le condizioni della dimora abituale e della residenza anagrafica ai fini del-l’applicazione della disciplina in materia di Imu concernente l’abitazione principale e le relative pertinenze, a un unico immobile, iscritto o iscri-vibile nel catasto edilizio urbano come unica u-nità immobiliare, posseduto, e non concesso in locazione, dal personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia ad ordinamento militare e da quello di-pendente delle Forze di polizia ad ordinamento civile, nonché dal personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, e (…) dal personale apparte-nente alla carriera prefettizia”. Ciò in quanto tali soggetti, per ragioni di servi-zio, possono avere l’obbligo di risiedere e/o di dimorare in particolari luoghi come le caserme. La formulazione comporta che sia rimessa alla scelta discrezionale del soggetto passivo l’identi-ficazione dell’immobile – qualora ne possegga più di uno – da considerare quale abitazione principale: peraltro, la legge di conversione ha precisato che tali alloggi non devono essere censiti nelle categorie catastali A/1 (abita-zioni di tipo signorile), A/8 (abitazioni in ville) o A/9 (castelli o palazzi di eminenti pregi artistici o storici).

Come meglio chiarito in sede di conversione, la 3 In banca dati “fisconline”.

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6332 APPROFONDIMENTO – Tributi locali

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fascicolo 1

disposizione si applica dal 1° luglio 2013 (il D.L. n. 102/2013 si riferiva alla “seconda rata”).

9. Altre situazioni rilevanti ai fini Imu non modificate dal D.L. n. 102/2013

Il D.L. n. 102/2013 non ha toccato altre situazio-ni che possono assumere rilevanza ai fini Imu solo se deliberate nei singoli comuni. Ad esempio, i comuni “possono considerare di-rettamente adibita ad abitazione principale l’unità immobiliare posseduta a titolo di proprie-tà o di usufrutto da anziani o disabili che acqui-siscono la residenza in istituti di ricovero o sani-tari a seguito di ricovero permanente, a condi-zione che la stessa non risulti locata, nonché l’unità immobiliare posseduta dai cittadini ita-liani non residenti nel territorio dello Stato a ti-tolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condi-zione che non risulti locata”. Da tale eventuale assimilazione, da verificare co-mune per comune, potrebbero derivare benefici analoghi a quelli disposti in via diretta dall’art. 1 del D.L. n. 102/2013. Nessuna norma è stata introdotta dal D.L. n. 102/2013 per consentire di dedurre, almeno in parte, l’Imu dal reddito di impresa. Novità su questo tema sembra possano derivare dalla legge di Stabilità 2014, come si dirà in prosieguo.

10. Obblighi dichiarativi per fruire dei benefici di cui all’art. 2 del D.L. n. 102/2013

In sede di conversione in legge è stato introdotto nell’art. 2 del D.L. n. 102/2013 il comma 5-bis ove si dispone che: ai fini dell’applicazione dei benefici di cui

all’art. 2, il soggetto passivo presenta, a pena di decadenza entro il termine ordinario per la presentazione delle dichiarazioni di varia-zione relative all’imposta municipale propria, apposita dichiarazione, utilizzando il model-lo ministeriale predisposto per la presenta-zione delle suddette dichiarazioni, con la qua-le attesta il possesso dei requisiti e indica gli identificativi catastali degli immobili ai quali il beneficio si applica;

con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze sono apportate al predetto modello le modifiche eventualmente necessarie per l’ap-plicazione di quanto disposto dal comma 5-bis.

La disposizione riguarda, pertanto, tutti i sog-getti interessati dall’art. 2: imprese costruttrici,

Iacp, cooperative edilizie a proprietà indivisa, personale delle forze armate, di polizia, dei vigili del fuoco, appartenente alla carriera prefettizia. Peraltro, per quanto riguarda gli immobili adi-biti alla ricerca scientifica posseduti dagli enti non commerciali e dagli altri soggetti in-dicati nell’art. 73, comma 1, lettera c) del Tuir – come detto, anche essi destinatari dei benefici riconosciuti dall’art. 2 del D.L. n. 102/2013 – è da ritenere che, nonostante quanto in astratto de-sumibile dalla novità normativa sopra commen-tata, gli stessi dovranno essere invece oggetto della particolare dichiarazione prevista per la to-talità degli immobili di tali enti, per i quali può operare l’esenzione – parziale o totale – da Imu disposta dall’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 504/1992. Il relativo modello di dichiarazione dovrebbe es-sere prossimamente approvato con Decreto Mi-nisteriale e, secondo quanto anticipato dal Di-partimento delle Finanze con la ris. n. 1/DF del 1° gennaio 20134, nella stesso modello troveran-no posto, in modo analitico, tutti gli immobili degli enti non commerciali (quelli totalmente esenti, quelli esenti in proporzione all’utilizzo i-stituzionale e non commerciale e quelli soggetti a Imu).

Ricordiamo che con il Regolamento emanato con il D.M. n. 200 del 19 novembre 2012 sono stati indicati i criteri che i predetti enti devono utilizzare per suddividere in modo proporziona-le gli utilizzi promiscui (commerciali e non com-merciali) di una stessa unità immobiliare, laddo-ve non sia possibile accatastare le rispettive por-zioni in modo distinto; inoltre, con la citata ris. n. 1/DF/2013, il Dipartimento delle Finanze ha fatto presente che gli enti non commerciali (anche relativamente agli immobili esenti nel 2012) non devono presentare la dichiarazione Imu “ordinaria” approvata con D.M. del 30 ot-tobre 2012 per gli immobili per i quali l’obbligo dichiarativo è sorto dal 1° gennaio 2012, il cui termine era fissato al 4 febbraio 2013, ma devo-no attendere l’emanazione dell’apposito mo-dello dichiarativo, ancora da approvare, dove verrà indicato anche il termine di presenta-zione dello stesso.

Ricordiamo, con l’occasione, che il termine or-dinario di presentazione – ex art. 13 del D.L. n. 201/2011 – era di novanta giorni dalla data in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio o sono intervenute variazioni rilevanti ai fini della de- 4 In banca dati “fisconline”.

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Tributi locali – APPROFONDIMENTO 6333

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terminazione dell’imposta, ma che l’art. 10, com-ma 4, lettera a), del D.L. 8 aprile 2013 n. 35 (L. n. 64/2013) lo ha spostato al 30 giugno dell’an-no successivo a quello in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio o sono intervenute va-riazioni rilevanti ai fini della determinazione dell’imposta. Al riguardo, si evidenzia che la circ. del Dipar-timento delle Finanze n. 1/DF del 29 aprile 20135 ha interpretato la novità normativa in termini molto elastici, ritenendo che il nuovo termine del 30 giugno 2013 (slittato al 1° luglio 2013) fosse applicabile anche ai presupposti verificati-si nel corso del precedente anno, senza quindi la necessità di dover rispettare per essi il termine di 90 giorni ormai scaduto il 4 febbraio 2013. La medesima circolare contiene altresì importan-ti chiarificazioni per quanto riguarda l’utilizzo ai fini Imu della procedura di ravvedimento operoso per gli omessi versamenti o per la mancata pre-sentazione della dichiarazione Imu.

Merita poi di essere ricordato anche quanto da ultimo segnalato dalla citata ris. n. 1/DF/2013, ossia che il comma 6-quinquies dell’art. 9 del D.L. n. 174/2012 ha disposto che “in ogni caso, l’esenzione dall’imposta sugli immobili disposta dall’art. 7, comma 1, lettera i), del D.Lgs. n. 504/92, non si applica alle fondazioni bancarie di cui al D.Lgs. n. 153/1999”, recante la “Disci-plina civilistica e fiscale degli enti conferenti di cui all’art. 11, comma 1, del D.Lgs. n. 356/90, e disciplina fiscale delle operazioni di ristruttura-zione bancaria, a norma dell’art. 1 della L. n. 461/98”.

11. Disposizione di interpretazione autentica relativa al riconoscimento della ruralità per i fabbricati abitativi e per quelli strumentali

In sede di conversione in legge del D.L. n. 102/2013 è stata introdotta nell’art. 2, quale com-ma 5-ter, un’importante disposizione di interpre-tazione autentica, che così recita: “Ai sensi del-l’art. 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’art. 13, comma 14-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modifica-zioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di varia-zione catastale presentate ai sensi dell’art. 7, comma 2-bis, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 5 In banca dati “fisconline”.

luglio 2011, n. 106, e l’inserimento dell’annota-zione negli atti catastali producono gli effetti previsti per il riconoscimento del requisito di ruralità di cui all’articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modifi-cazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”. In estrema sintesi, tale disposizione mira a stabi-lire un punto fermo, dopo anni di contenzioso dapprima ai fini Ici e poi ai fini Imu, sulla circo-stanza che l’inserimento negli atti catastali del-l’annotazione comprovante il riconoscimento del-la ruralità delle singole unità immobiliari pro-duce effetti retroattivi fin dal quinto anno antece-dente a quello di presentazione della domanda. Il problema è rimasto aperto nonostante il D.M. Economia e Finanze del 26 luglio 2012 (G.U. n. 185 del 9 agosto 2012), all’art. 2, comma 4, aves-se disposto che “L’autocertificazione di cui al comma 1 deve contenere la dichiarazione che l’immobile possiede a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazio-ne della domanda, i requisiti di ruralità necessari ai sensi della normativa richiamata all’art. 1, comma 3” dello stesso D.M. 26 luglio 2012 (quest’ultimo richiamo normativo riguarda il fatto che “Per il riconoscimento del requisito di ruralità, si applicano le disposizioni richiama-te all’art. 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133”).

Ancora una volta, tuttavia, non è stato posto fine al contenzioso tributario – in relazione al quale si è assistito al proliferare di sentenze delle Com-missioni Tributarie di segno fra loro opposto, alcune favorevoli alla retroattività, altre invece favorevoli ai Comuni, in ragione della mancanza di una copertura normativa di rango primario. L’ennesimo problema di supposta (per talune Commissioni Tributarie) mancata copertura normativa deriva dal fatto che l’art. 13, comma 14-bis, lettera d), del D.L. n. 201/2011, ha abro-gato, a decorrere dal 1° gennaio 2012, le disposi-zioni di cui ai commi 2-bis, 2-ter e 2-quater del-l’art. 7 del D.L. n. 70/2011 (convertito, con modi-ficazioni, dalla L. n. 106/2011), la prima delle quali (il comma 2-bis, appunto) prevedeva quanto segue con riferimento alla disciplina Ici: “Ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili ai sensi dell’articolo 9 del D.L. n. 557/1993, i soggetti interessati possono presenta-re all’Agenzia del territorio una domanda di va-riazione della categoria catastale per l’attribuzio-

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6334 APPROFONDIMENTO – Tributi locali

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fascicolo 1

ne all’immobile della categoria A/6 per gli immo-bili rurali ad uso abitativo o della categoria D/10 per gli immobili rurali ad uso strumentale. Alla domanda (…) deve essere allegata un’autocer-tificazione ai sensi del D.P.R. n. 445/2000 nella quale il richiedente dichiara che l’immobile pos-siede, in via continuativa a decorrere dal quin-to anno antecedente a quello di presentazio-ne della domanda, i requisiti di ruralità del-l’immobile necessari ai sensi del citato articolo 9 del D.L. n.557/1993”.

A completamento del delicato e annoso tema (trattato, per attenerci solo agli ultimi provve-dimenti di una lunga serie pluriennale, dal D.M. 26 luglio 2012 e dalla circolare dell’Agenzia del Territorio n. 2 del 7 agosto 20126, accompagnata dal comunicato diramato in pari data dalla me-desima Agenzia, la cui fonte normativa è data dai commi 14-bis, 14 ter e 14 quater dell’art. 13 del D.L. “Salva Italia” n. 201/2011, convertito dalla L. n. 214/2011, e successive modificazioni e integrazioni) rammentiamo che, ai sensi del pri-mo e del comma 2 del D.M. 26 luglio 2012: “Ai fabbricati rurali destinati ad abitazione ed

ai fabbricati strumentali all’esercizio dell’atti-vità agricola è attribuito il classamento, in base alle regole ordinarie, in una delle categorie catastali previste nel quadro generale di qualificazione”;

“Ai fini dell’iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralità in capo ai fabbricati rurali di cui al comma 1, diversi da quelli censibili nella categoria D/10 (Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole), è apposta una speci-fica annotazione”.

In buona sostanza, tranne che per i fabbricati per i quali è già di per sé riconosciuto l’accatasta-mento nella categoria D/10, per tutti gli altri il classamento viene effettuato o mantenuto in base ai criteri ordinari applicati alle caratteristiche proprie delle singole unità immobiliari e, in pre-senza dei requisiti di ruralità previsti dall’art. 9, commi 3 e 3-bis, del D.L. n. 557/1993, viene ag-giunta negli atti catastali una semplice annota-zione attestante la sussistenza di detti requisiti. Senza, pertanto, più la necessità che le unità immobiliari vengano classate nelle categorie catastali A/6 o D/10 perché il requisito di ru-ralità possa essere fatto valere ai fini Imu e ICI, come invece aveva preteso la Corte di Cas-sazione con una lunga serie di sentenze emanate 6 In banca dati “fisconline”.

a partire dal 2009 (fra le tante, ci limitiamo a ri-chiamare la n. 18565/2009 a Sezioni Unite7).

Ricordiamo anche che (art. 29, comma 8, del D.L. n. 216/2011, convertito dalla L. n. 14/2012) e suc-cessive modificazioni e integrazioni, “Restano sal-vi gli effetti delle domande di variazione della ca-tegoria catastale presentate ai sensi del comma 2-bis dell’articolo 7 del D.L. n. 70/2011, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 106/2011, anche do-po la scadenza dei termini originariamente previ-sti dallo stesso comma e comunque entro e non oltre il 30 settembre 2012 in relazione al ricono-scimento del requisito di ruralità, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo”. Merita, inoltre, di essere osservato che la norma non contiene alcuna disposizione circa le istanze di rimborso che i contribuenti presenteranno in relazione ai contenziosi ancora pendenti, né sulla copertura degli eventuali oneri che potranno con-seguentemente emergere a carico dei comuni.

12. Applicazione dell’Imu alle unità immobiliari concesse in comodato a parenti in linea retta di primo grado (art. 2-bis del D.L. n. 102/2013)

Di grande rilevanza è anche l’inserimento, in se-de di conversione del D.L. n. 102/2013, dell’art. 2-bis, dedicato alle unità immobiliari conces-se in comodato a parenti. Il comma 1 di tale articolo stabilisce testualmen-te quanto segue: “Nelle more di una complessiva riforma della disciplina dell’imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, per l’anno 2013, limitatamente alla seconda rata dell’impo-sta municipale propria di cui all’articolo 13 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 211, con-vertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicem-bre 2011, n. 214, e successive modificazioni, i comuni possono equiparare all’abitazione principale, ai fini dell’applicazione della sud-detta imposta, le unità immobiliari e relative pertinenze, escluse quelle classificate nelle cate-gorie catastali A/1, A/8 e A/9, concesse in co-modato dal soggetto passivo dell’imposta a parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale. In caso di più unità immobiliari concesse in co-modato dal medesimo soggetto passivo dell’im-posta, l’agevolazione di cui al primo periodo può essere applicata a una sola unità immobilia- 7 In banca dati “fisconline”.

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Tributi locali – APPROFONDIMENTO 6335

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re. Ciascun comune definisce i criteri e le moda-lità per l’applicazione dell’agevolazione di cui al presente comma, ivi compreso il limite dell’indi-catore della situazione economica equivalente (ISEE) al quale subordinare la fruizione del be-neficio”.

In buona sostanza, tale norma – che opera solo rispetto ai parenti in linea retta entro il pri-mo grado e limitatamente a una sola unità im-mobiliare – rimette ai comuni la facoltà di ope-rare una completa assimilazione di tali allog-gi (e delle relative pertinenze) all’abitazio-ne principale, come spesso avveniva in vigenza dell’Ici. Tale facoltà comporta, tuttavia, che i comuni de-liberino rapidamente e, in ogni caso, con effet-to sulla sola seconda rata del tributo, da in-tendersi, più correttamente, a valere sulla rata relativa al secondo semestre 2013. Ricordiamo che la definizione data dalla norma-tiva Imu alla nozione di “abitazione principale” (art. 13, c. 2 del D.L. n. 201/2011: “(…) immobile (…) nel quale il possessore dimora abitualmente (…)”) non era sinora integrata da una norma analoga a quella presente nella disciplina Ici che consentisse di recuperare, all’interno della fatti-specie, anche i moltissimi rapporti di comodato che sovente caratterizzano i rapporti interni alla cerchia familiare e parentale. Ai fini Ici operava la norma di cui all’art. 59, comma 1, lettera e), del D.Lgs. n. 446/1997, che attribuiva ai comuni la possibilità di considerare abitazioni princi-pali, con conseguente applicazione dell’aliquota ridotta o anche della detrazione per queste previ-ste, quelle concesse in uso gratuito a parenti in linea retta o collaterale, stabilendo altre-sì il grado di parentela. Senza tale norma (espressamente abrogata dal-l’art. 13, comma 14, del D.L. n. 201/2011) la no-zione di abitazione principale ai fini Imu è rima-sta troppo angusta e priva della necessaria ela-sticità che occorre per “catturare” la multiforme realtà dei rapporti familiari, improntati a criteri solidaristici più che giuridici.

Nel corso dei mesi decorsi dall’entrata in vigore dell’Imu, il legislatore ha dovuto così man mano cercare di recuperare parte delle norme già in vigore per l’Ici al fine di “catturare” le situazioni socialmente meritevoli di attenzione. In qualche caso ciò è stato fatto prevedendo assimilazioni legali (come nel caso della ex casa coniugale as-segnata a uno dei coniugi a seguito di provvedi-mento di separazione legale, annullamento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, che

si intende ex lege – art. 4, comma 12-quinquies, D.L. n. 16/2012 – effettuata a titolo di diritto di abitazione; oppure nel caso degli alloggi delle cooperative edilizie a proprietà indivisa), altre volte rimettendo tale facoltà di assimilazione, nel rispetto delle condizioni precisate dalla leg-ge, ai singoli comuni. Si pensi all’unità immobiliare posseduta a titolo di pro-

prietà o di usufrutto da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che la stessa non risulti locata;

all’unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata;

nonché, appunto, all’unità immobiliare con-cessa in comodato a parenti entro il primo grado.

L’assimilazione all’abitazione principale consen-te di fruire dell’eventuale esonero dall’obbligo di pagare una o entrambe le rate dell’Imu, oppure, in caso di obbligo al pagamento, di fruire, co-munque, di una piena equiparazione per quanto riguarda aliquota, detrazione e maggiorazione. Per contro, la possibilità concessa ai comuni di valorizzare nell’ambito della propria autonomia regolamentare situazioni meritevoli di apprezza-mento per ragioni socio-economiche non con-sente di addivenire a una piena equiparazione, ma di operare sul solo fronte dell’aliquota (pre-vedendo riduzioni rispetto a quella ordinaria) oppure, ma solo se espressamente previsto dalla legge, anche delle detrazioni per i figli. Infine, sembra che la fissazione di limiti legati all’ISEE costituisca una mera facoltà rimessa ai comuni e non un preciso obbligo di deliberare in proposito.

13. Disposizioni in tema di Imu rivolte ai Comuni

L’art. 8 del D.L. n. 102/2013 dispone, al comma 1, l’ulteriore proroga al 30 novembre 2013 del termine per la deliberazione del bilancio an-nuale di previsione 2013 degli enti locali e ciò anche per gli enti in dissesto. Il comma 2 stabilisce poi che per l’anno 2013 le deliberazioni di approvazione delle aliquote e delle detrazioni e i regolamenti dell’Imu acqui-stano efficacia a decorrere dalla data di pubbli-cazione nel sito istituzionale di ciascun comune. In sede di conversione in legge è stato precisato

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6336 APPROFONDIMENTO – Tributi locali

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fascicolo 1

che la pubblicazione deve avvenire entro il 9 di-cembre 2013 e deve recare l’indicazione della da-ta di pubblicazione e che in caso di mancata pubblicazione entro detto termine si applicano gli atti adottati per l’anno precedente. Quanto sopra deroga alla procedura già definita dall’art. 13, comma 13-bis, del D.L. n. 201/2011, circa l’obbligo dei comuni di dare corso al tem-pestivo invio delle deliberazioni per la loro pub-blicazione nell’apposito Portale del federalismo fiscale presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Di fatto, il termine del 9 dicembre 2013 lascerà soltanto una settimana ai contribuenti e ai sog-getti preposti a fornire loro assistenza fiscale per ottemperare tempestivamente agli obblighi di versamento della seconda rata dell’Imu, il cui termine è rimasto fermo al 16 dicembre 2013.

14. Le novità del Disegno di Legge di Stabilità per il 2014

L’art. 23 del DDL di Stabilità per il 2014 contie-ne svariate disposizioni che incidono sulla disci-plina dell’Imu, in parte frutto della contempora-nea introduzione del Trise e, in particolare, della componente dello stesso denominata Tasi – “Componente diretta alla copertura dei costi re-lativi ai servizi indivisibili dei Comuni” (art. 21 del DDL), la cui base imponibile è quella prevista per l’Imu di cui all’art. 13 del D.L. n. 201/2011, mentre l’aliquota di base è pari all’1 per mille, con possibilità per il comune, con deliberazione consiliare adottata ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. n. 446/1997, di ridurla fino all’azzeramento. Inoltre, con la predetta deliberazione il comune può determinare l’ali-quota rispettando in ogni caso il vincolo in base al quale la somma delle aliquote della TASI, al netto dell’aliquota di base, e dell’Imu per ciascu-na tipologia di immobile non sia superiore al-l’aliquota massima consentita dalla legge sta-tale per l’Imu al 31 dicembre 2013, in relazione alla medesima tipologia di immobile. Per il 2014, l’aliquota massima relativa all’abita-zione principale non può eccedere il 2,5 per mille.

Nel caso in cui l’unità immobiliare sia occupata da un soggetto diverso dal titolare del diritto reale sull’unità immobiliare, quest’ultimo e l’oc-cupante sono titolari di un’autonoma obbliga-zione tributaria. L’occupante versa la Tasi nella misura, stabilita dal comune nel regolamento, compresa fra il 10 e il 30% dell’ammontare com-

plessivo della Tasi, calcolato applicando l’aliquo-ta di cui ai commi 7 e 8. La restante parte è cor-risposta dal titolare del diritto reale sull’unità immobiliare. Le principali modifiche introdotte dal DDL di Stabilità per il 2014 nel corpo dell’art. 13 del D.L. n. 201/2011 e negli articoli del D.Lgs. n. 23/2011 relativi all’Imu (7, 8, 9 e 14) sono le seguenti: l’Imu dal 2014 non si applicherà al possesso

dell’abitazione principale e delle pertinenze del-la stessa, ad eccezione di quelle classificate nel-le categorie catastali A/1, A/8 e A/9, per le quali continueranno ad applicarsi, come sinora, l’ali-quota di cui al comma 7 (0,4% modificabile in più o in meno fino allo 0,2%) e la detrazione di cui al comma 10 del D.L. n. 201/2011 (elevabile dai Comuni fino ad azzerare l’Imu), quest’ul-tima anche per Iacp ed enti similari. Non è invece più prevista la maggiorazione per i figli di età inferiore a 26 anni conviventi nell’immobile;

i comuni potranno considerare direttamente adibita ad abitazione principale l’unità immo-biliare posseduta – a titolo di proprietà o di usufrutto da an-

ziani o disabili che acquisiscono la residen-za in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che la stessa non risulti locata,

– l’unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata,

– nonché l’unità immobiliare concessa in co-modato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che la utiliz-zano come abitazione principale, preveden-do che l’agevolazione operi o limitatamente alla quota di rendita risultante in cata-sto non eccedente il valore di euro 500 oppure nel solo caso in cui il comodatario appartenga a un nucleo familiare con ISEE non superiore a 15.000 euro an-nui. In caso di più unità immobiliari, la predetta agevolazione può essere applicata ad una sola unità immobiliare.

L’ultima parte di questa disposizione, se confer-mata, differenzierà l’applicazione della norma dal 2014 rispetto a quanto di recente previsto per i comodati dal D.L. n. 102/2013 con riferi-mento alla seconda rata 2013. L’Imu non si applicherà altresì: a) alle unità immobiliari appartenenti alle coo-

perative edilizie a proprietà indivisa, adibite

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Tributi locali – APPROFONDIMENTO 6337

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fascicolo 1

ad abitazione principale e relative pertinenze dei soci assegnatari;

b) ai fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali;

c) alla casa coniugale assegnata al coniuge, a se-guito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio;

d) a un unico immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità im-mobiliare, posseduto, e non concesso in loca-zione, dal personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia ad ordinamento militare e da quello dipendente delle Forze di polizia ad ordina-mento civile, nonché dal personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, e, fatto salvo quanto previsto dall’art. 28, comma 1, del de-creto legislativo 19 maggio 2000, n. 139, dal personale appartenente alla carriera prefetti-zia, per il quale non sono richieste le condi-zioni della dimora abituale e della residenza anagrafica.

Viene poi previsto, già dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013, che “il reddito de-gli immobili ad uso abitativo non locati situati nello stesso comune nel quale si trova l’immobi-le adibito ad abitazione principale, assoggettati all’imposta municipale propria, concorra alla formazione della base imponibile dell’impo-sta sul reddito delle persone fisiche e delle re-lative addizionali nella misura del cinquanta per cento”: in forza di questa norma diventerà dun-que rilevante, ai fini Irpef e delle addizionali, il 50% della rendita catastale rivalutata del 5% e maggiorata di un terzo, limitatamente alle abitazioni non locate e solo se ubicate nel

medesimo comune in cui è ubicata l’abitazione principale del soggetto passivo, ancorché sogget-te a Imu. La norma non opera, pertanto, per le ulteriori case di abitazione ubicate in comuni diversi da quello in cui è ubicata l’abitazione principale.

Viene altresì previsto, già dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013, che l’Imu relati-va agli immobili strumentali sia deducibile ai fini della determinazione del reddito di im-presa e del reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni nella misura del 20%.

L’Imu resta invece indeducibile ai fini dell’I-rap. La deducibilità del 20% opera per tutti gli im-mobili strumentali, per destinazione e per natu-ra, così come desumibile dalla dizione generica (“strumentali”, senza ulteriori precisazioni) e co-me peraltro indicato anche dalla relazione tecni-ca al DDL di Stabilità per il 2014. La norma non formula rinvii per quanto riguar-da il criterio di deducibilità per il reddito di im-presa: ai sensi della regola generale di cui all’art. 99, comma 1, del Tuir dovrebbe operare la de-ducibilità per cassa (“Le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche fa-coltativa, non sono ammesse in deduzione. Le altre imposte sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento”) – ma non mancano opi-nioni diverse – al pari di quanto senza dubbio dovranno fare i soggetti che producono reddito di lavoro autonomo. Per il resto, fatte salve, naturalmente, future mo-dificazioni del quadro normativo, continueranno a operare le disposizioni attualmente vigenti in materia di Imu, incluse le ipotesi di esenzioni e agevolative attualmente in vigore.

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fascicolo 1

APPROFONDIMENTO

Valutazioni, opportunità e limiti dell’operazione

di conferimento d’azienda di Leo Lauricella

Il regime sospensivo previsto dall’art. 176 del Tuir che consente la neutralità d’imposta sui conferimenti d’azienda opera a condizione che al centro del conferimento vi sia un’entità economica rientrante per l’appunto nel con-cetto di azienda.

1. Premessa

Le diverse operazioni di aggregazione aziendale all’interno del nostro ordinamento vengono di-sciplinate consentendo alle imprese partecipanti l’adozione di regimi fiscali di favore. Il legislato-re ha dimostrato in ambito nazionale e sovrana-zionale di voler favorire tali forme di aggregazio-ne o quanto meno di non voler ostacolare le stes-se per mezzo di strumenti che ne ostacolino il compimento. In primis, ci apprestiamo ad analizzare il con-cetto d’azienda e le implicazioni che lo coinvol-gono nel disposto di cui all’art. 176 del Tuir, che nella vigente formulazione consente al soggetto ricevente l’azienda di continuare a portare in de-duzione dal proprio reddito gli ammortamenti in corso di esecuzione e attinenti all’attività svol-ta dall’azienda conferita. Il beneficio fiscale con-cesso dal legislatore consiste essenzialmente nel consentire la deduzione degli ammortamenti al soggetto conferitario il quale non sostiene alcun costo legato all’acquisizione dei beni che com-pongono l’azienda conferita, in quanto l’opera-zione si perfeziona con uno scambio tra i sog-

getti partecipanti nel quale figurano i beni costi-tuenti l’azienda e le partecipazioni ricevute dal soggetto conferente. I benefici sopra sinteticamente esposti vengono subordinati dal legislatore alle qualità assunte dall’oggetto dello scambio, ovvero che si tratti di un’azienda poiché è bene rammentare che tutta l’attività normativa è ispirata al favore di dette operazioni purché le stesse costituiscano forme di “aggregazione aziendale”.

La natura cruciale del concetto di azienda nel-l’ambito di tali operazioni impone un’analisi ap-profondita dello stesso valutando i tratti salienti che interessano le diverse definizioni. Ripercor-rendo la gerarchia delle fonti del diritto il dettato normativo che in via generale disciplina e defini-sce il concetto d’azienda lo troviamo contenuto nell’art. 2555 del codice civile, il quale definisce l’azienda come “Il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio d’impresa”. Si può quindi affermare che: l’azienda “configura un complesso di stru-

menti e di fattori della produzione, materiali e/o immateriali, che hanno carattere reale, u-tilizzati dall’imprenditore a prescindere dal ti-tolo che ne legittima il godimento e/o l’uso”;

il trasferimento d’azienda “deve riguardare un complesso di beni funzionalmente idoneo all’esercizio dell’impresa. Può essere anche parziale e riguardare solo una parte dei beni aziendali (o un ramo particolare dell’azienda). Le parti possono escludere determinati beni (per esempio un immobile, parte dei macchi-nari, delle scorte) senza, tuttavia, alternare l’u-nità funzionale e produttiva dell’azienda; di-

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Reddito d’impresa – APPROFONDIMENTO 6339

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fascicolo 1

versamente, si tratterà di un trasferimento di singoli beni aziendali soggetto all’ordinaria disciplina propria dell’atto di disposizione po-sto in essere”1.

2. Nozione di azienda

Sull’individuazione della nozione di azienda si sono stratificati diversi documenti di prassi e-messi da diversi enti e associazioni. Ad. esem-pio, precisazioni sono state più volte fornite dal-l’Agenzia delle Entrate2 o da associazioni di ca-tegoria3. Il punto fermo che si è consolidato negli anni in dottrina e giurisprudenza è dato dalla sussistenza di una organizzazione autonoma, funzionale allo svolgimento di un’attività d’impresa. Già in ambito comunitario la Corte di Giustizia CE, nella causa C-50/91 relativa all’applicazione della Diret-tiva 69/335/CEE del 17 luglio 1969 sulla raccolta dei capitali, aveva definito un ramo d’azienda co-me “quella parte dell’impresa costituita da un in-sieme organizzato di beni e persone idonei a con-correre alla realizzazione di una determinata atti-vità” mentre la Direttiva 90/434/CEE, sul regime fiscale delle fusioni, scissioni, conferimenti di atti-vo e scambi di azioni, aveva identificato come ra-mo di attività “il complesso degli elementi attivi e passivi costituenti da un punto di vista organizza-tivo, un’ azienda indipendente, intesa come com-plesso capace di funzionare con propri mezzi”. Anche la Corte di Cassazione ha affermato più volte il medesimo concetto, facendo riferimento a un insieme di beni coordinati ed oggettivamente 1 G. Manzana, Conferimento d’azienda, da “Contabilità e

Bilancio” maggio 2011 Sistema Frizzera pag. 7. 2 In tal senso, Ministero delle finanze, nella circ. n. 320/E

del 1997, in banca dati “fisconline”, illustrativa delle di-sposizioni del D.Lgs n. 358 del 1997, “Riordino delle im-poste sui redditi applicabili alle operazioni di cessione e conferimento di aziende, fusione, scissione e permuta di partecipazioni”. La circolare rilevava che “il termine a-zienda va inteso in senso ampio, comprensivo cioè delle cessioni di complessi aziendali relativi a singoli rami del-l’impresa” e che “l’azienda deve intendersi quale universi-tas dei beni materiali, immateriali e dei rapporti giuridi-co-economici suscettibili di consentire l’esercizio dell’atti-vità d’impresa”.

3 Assonime, già nel 1998, per mezzo della circ. n. 42, si sof-fermava sul concetto d’azienda; la circolare è un commen-to al D.Lgs. n. 358 del 1997, “Riordino delle imposte sui redditi applicabili alle operazioni di cessione e conferi-mento di aziende, fusione, scissione e permuta di parteci-pazioni”; l’aspetto di nostro interesse sul quale si sofferma il documento di prassi è le caratteristiche dell’azienda nel merito delle diverse operazioni straordinarie.

idonei allo svolgimento dell’attività d’impresa4. L’accento posto sul requisito organizzativo, tra l’altro, ha portato ad escludere che sia necessa-rio l’esercizio attuale di un’ attività d’impresa per configurare un’azienda e che sia invece suffi-ciente l’esistenza di una potenzialità produttiva del compendio organizzato5 .

È stato altresì ritenuto, sempre in questa chiave di lettura, che l’azienda deve qualificarsi come tale presso il cedente e che, dunque, non rileva il fatto che il cessionario integri il complesso rice-vuto con altri cespiti mutando l’attività produtti-va, a condizione che i nuovi beni non siano si-gnificativi e che quelli originariamente conferiti, per le loro caratteristiche, avrebbero comunque consentito lo svolgimento di una specifica attivi-tà d’impresa6.

Infine, in presenza di una organizzazione ade-guata, si può configurare un complesso azien-dale anche laddove manchi un avviamento, tenuto conto che, come già detto, l’attualità e la continuità dello svolgimento della medesima at-tività produttiva non sono determinati7. Dall’analisi fin qui esposta rileviamo che nella prassi e nella giurisprudenza si è voluto unita-mente amplificare l’interpretazione dell’art. 2555 del codice civile ovvero “il complesso dei beni or-ganizzati dall’imprenditore per l’esercizio d’im-presa”. L’interpretazione letterale è stata intesa in senso ampio, ma forse gli sforzi non sono ancora sufficienti per costruire un concetto che nelle di-namiche dell’economia contemporanea riesca ad assorbire tutte le diverse composizioni fenomeni-che che propongono le moderne economie. Ad esempio, nelle realtà della new economy tro-veremo aziende che vengono gestite attraverso un telefono o un i-phone con una sola casella e- 4 L’orientamento è ampiamente consolidato e trova riscon-

tro nelle sentenze n. 11149 del 13 dicembre 1996, in banca dati “fisconline”, n. 4009 del 18 giugno 1981 e n. 8362 del 9 luglio 1992.

5 Sentenze Cassazione n. 8678 del 9 agosto 1991 e n. 4987 del 19 maggio 1998.

6 Cass., n. 10993 del 21 ottobre 1995, in banca dati “fiscon-line”.

7 Il concetto in esame si considera ampiamente condiviso. In giurisprudenza, si veda pertanto Cass., n. 4319 del 28 aprile 1998 e n. 353 del 23 gennaio 1990, entrambe in banca dati “fisconline”, nonché, nella prassi cfr. anche la risoluzione ministeriale n. 250733 del 30 ottobre 1985, circ. Assonime n. 51 del 2008, “IRPEF-IRES-IRAP-Impo-sta sostitutiva sulle aggregazioni aziendali”. Riferimenti Giurisprudenziali” pag.17. La circolare espone un elenco della giurisprudenza che si è formata sull’argomento.

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6340 APPROFONDIMENTO – Reddito d’impresa

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fascicolo 1

mail. Spesso si tratta di realtà economiche per nulla embrionali, basti pensare a quelle strutture che si appoggiano su portali di vendita on line internazionali (uno tra tutti il portale E-Bay) e che gestiscono le spedizioni della merce tramite uno spedizioniere che tiene in deposito gratuito il magazzino aziendale, gli ordini vengo ricevuti via mail letti da un telefono cellulare e la merce viene ceduta a cura di uno spedizioniere esterno sempre contattato telefonicamente. Un’ipotesi in tal senso lascia sorgere diversi dubbi sul fatto che si possa trattare di “complesso di beni” e che gli stessi siano “organizzati dall’impren-ditore”. Se scorriamo i casi nei quali sono emerse pro-nunce che considerano insufficienti in termini di complesso di beni gestito o assenza di interdi-pendenza tra i beni e l’imprenditore, ci accor-giamo che si possono incontrare diversi ostacoli nel far confluire all’interno del concetto azienda le diverse realtà economiche, quello che emerge è il fatto che è indispensabile una valutazione di merito sull’oggetto del conferimento, la valuta-zione deve prefissarsi come scopo quello di veri-ficare se al centro del conferimento è presente una struttura economica che possiamo pacifica-mente definire come azienda.

3. Assenza di azienda

A questo punto risulta utile percorrere una ras-segna di casi nei quali è stata negata a diverso ti-tolo la condizione di azienda: non si può parlare di cessione o conferimento

d’azienda dove solo un bene abbia una fun-zione principale e gli altri ne costituiscano dei meri accessori; i singoli beni devono ricoprire una posizione il più possibile paritetica fra loro, assumendo tutti una certa importanza per l’esistenza stessa dell’azienda8;

non assume alcuna rilevanza il conferimento di singoli beni dell’azienda del conferente né la circostanza che, a seguito del loro conferi-mento, i beni che ne formano oggetto vengano organizzati in azienda o concorrano a costitu-ire un’azienda (Cass., sent n. 8417/19969);

potenziale irrilevanza dell’accordo tra le parti; per aversi un conferimento d’azienda anziché trasferimento dei singoli beni, è ne-cessario che le parti abbiano espressamente voluto non solo il trasferimento dei beni ma

8 Cass., n. 20012/2005. 9 In banca dati “fisconline”.

anche quello dei rapporti giuridici, è configu-rabile un trasferimento di azienda non solo quando la reale volontà delle parti si appunti su un complesso organizzato di beni conside-randolo come azienda, ma anche quando le parti realmente pongono come oggetto della loro volontà il trasferimento di un’azienda10;

in merito allo specifico concetto di ramo d’a-zienda, è intervenuta l’Agenzia delle Entra-te la quale, a mezzo della ris. n. 98 del 29 aprile 200311, ha ritenuto che non si trasmet-te ramo d’azienda bensì aggregato di beni nel caso in cui si tratti l’insieme dei seguenti beni: un’autorizzazione all’esercizio di attività di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, 15 tavolini da bar unitamente a 40 sedie e una porzione di un immobile di 180 mq circa; ciò in quanto non rappresentano un complesso organizzato idoneo a costituire un’organizzazione autonoma, ossia capace di mantenere ininterrotta la propria autonomia nonostante la separazione dal più vasto com-plesso aziendale12;

il conferimento del solo marchio non configu-ra la fattispecie di cessione di ramo d’azienda interessante nel caso esaminato dai giudici del-la corte suprema13 è l’applicazione dell’articolo

10 G.E Colombo, L’azienda e il suo trasferimento, in “Tratta-

to di diritto commerciale e di diritto Pubblico dell’Eco-nomia”, vol. III, Padova, 1984, pag. 26. Di senso contrario: Consiglio nazionale del Notariato, circ. 16 dicembre 1993.

11 In banca dati “fisconline”. 12 La ris. n. 98 del 29 aprile 2003 si esprime in merito alla

possibilità di un ramo d’azienda di poter beneficiare del credito d’imposta previsto dall’art. 8 della L. 23 dicembre del 2000, n. 388 “in materia di agevolazioni per investi-menti nelle aree svantaggiate” è importante sottolineare come il concetto d’azienda sia collegato a più istituti age-volativi previsti nell’ambito del diritto tributario, la risolu-zione a fondamento della propria posizione sul concetto di “ramo d’azienda” (vedi pag. 3 della risoluzione) cita la Direttiva del Consiglio CEE 90/434 che definisce quale ra-mo di attività “il complesso degli elementi attivi e passivi di un settore di una società che costituiscono, dal punto di vista organizzativo, un’azienda indipendente, cioè un complesso capace di funzionare con propri mezzi”.

13 Cassazione, sent. n. 5716 del 12 marzo 2007. I giudici ana-lizzano nella sentenza il concetto di marchio e il concetto di azienda; in merito al marchio affermano che “Il mar-chio invece, è costituito semplicemente da un contrasse-gno o un simbolo la cui trasferibilità, non solo non mi-gliora né facilita la gestione e l’organizzazione dell’azien-da già esistente, ma necessita, al fine di esplicare la pro-pria utilità economica, l’inserimento all’interno di un ap-parato produttivo organizzato”; inoltre, la sentenza pun-tualizza che “Non può, quindi trovare applicazione la nor-mativa Cee che esenta dall’imposta sui conferimenti le o-perazioni che hanno per oggetto la interezza del patrimo-

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Reddito d’impresa – APPROFONDIMENTO 6341

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fascicolo 1

7 della Direttiva CEE 69/335 del 17 luglio 1969, modificata dalla Direttiva CEE 303/1985, che riconosce esenti dall’imposta sui conferimenti, le operazioni che hanno per oggetto l’intero pa-trimonio aziendale. La Corte ha statuito che la cessione d’azienda o ramo di attività ha quale caratteristica quella di migliorare la gestione e l’organizzazione dell’azienda incorporante. Il marchio, invece, è costituito semplicemente da un contrassegno o un simbolo la cui trasferibili-tà, non solo non migliora né facilità la gestione e l’organizzazione dell’azienda già esistente, ma necessita, al fine di esplicare la propria utilità economica, l’inserimento all’interno di un ap-parato produttivo organizzato.

Dall’analisi dei punti sopra esposti rileviamo quindi che non è per niente escluso il rischio di conferire un complesso non precisamente definito di beni anziché un’azienda. Inoltre è compito degli operatori valutare caso per caso gli elementi che formano l’oggetto del conferi-mento, poiché stare al di fuori di un concetto condiviso può determinare casi di riqualificazio-ne delle operazioni da parte delle autorità pre-poste al controllo.

4. Possibile evoluzione della nozione di azienda

È bene fare presente che il concetto in esame ha una valenza internazionale e le Istituzioni co-munitarie, in particolare, pur nella diversità del-la loro composizione, risentono, nelle loro deci-sioni di un substrato culturale di common law, probabilmente anche in modo inconsapevole. Conseguentemente, soprattutto a livello giuri-sprudenziale, vengono utilizzati principi tipici di tale formazione culturale per quanto riguarda il caso specifico, e si tende ad indicare parametri oggettivi che consentano di definire, a priori e in modo certo, i presupposti per la qualificazio-ne di un’entità economica14. Rimane quindi nelle

nio aziendale o di rami di attività, nonostante si tratti di due marchi di particolare importanza e rilievo anche in-ternazionale”.

14 S. Capolupo, Ente non commerciale: un nuovo criterio di

qualità dell’operatore valutare la presenza di det-ti parametri oggettivi necessari al conseguimen-to dei relativi benefici fiscali conseguenti a tali operazioni. Nelle ipotesi del conferimento d’azienda, i rischi di contestazioni da parte degli organi di verifica sono molteplici, e l’operazione rischia di essere ri-qualificata a diverso titolo, il conferimento man-cando l’azienda viene perfezionato in carenza/as-senza di un oggetto contrattuale, questo comporta l’esposizione a molteplici forme di contestazione, e considerando che si tratta di contestazione mos-se sull’oggetto dell’operazione, l’esposizione a re-cuperi a tassazione di rilevante entità è un rischio da considerare. o Le moderne organizzazioni aziendali devono ne-cessariamente misurarsi con dette considerazio-ni, poiché il discrimen che ci porta all’interno o al di fuori di una definizione ha un carattere sot-tile. L’economia contemporanea contrariamente si sviluppa proponendo soggetti aziendali sem-pre più dinamici frutto di società liquide15 poco aderenti a rigide gabbie definitorie e poco inclini al rispetto di tratti, per così dire, caratteristici.

5. Conclusioni

In considerazione di quanto sin qui esposto, e-merge come necessario da parte dell’operatore uno sforzo valutativo. Appare pertanto opportu-no considerare l’impatto fiscale di una definizio-ne che per propria origine è civilistica. In un’operazione di conferimento d’azienda, l’og-getto deve costituire un’entità economica rien-trante in senso lato nelle disposizioni previste dal-l’art. 2555 del codice civile. Occorre quindi far confluire nel concetto di azienda soltanto quelle strutture che per ragioni economiche, storiche, e sociali, ne colgano appieno l’inquadramento giu-ridico condiviso. o qualificazione, in “il fisco” n. 48/2010, fascicolo n. 1, pag.

7769. 15 Z. Bauman, Modernità e Globalizzazione, Edizioni dell’A-

sino, Roma 2009. L’autore svolge un’analisi di tipo socio-logico sulla scarsa standardizzazione delle moderne orga-nizzazioni aziendali, e liquidità contemporanea di alcune rilevanti strutture sociali.

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fascicolo 1

APPROFONDIMENTO

La legge deve rispettare l’affidamento del contribuente

di Antonio Mastroberti

Con l’ordinanza n. 9026 del 12 aprile 2013, la Corte di Cassazione tocca il delicato tema degli effetti sui rapporti pregressi già maturati di una disposizione restrittiva introdotta suc-cessivamente a quella che accordava un bene-ficio fiscale connesso al sostenimento di de-terminati investimenti da parte del contribu-ente. Forti dubbi sono stati prospettati in me-rito alla conformità al canone della ragionevo-lezza di una disposizione ablativa di crediti di imposta (per la ricerca e sviluppo) già entrati nel patrimonio del contribuente, in quanto maturati in relazione a costi già sostenuti, e ad aspettative di crediti di imposta maturandi in relazione a costi ancora da sostenere per il completamento di attività già avviate. Il bonus fiscale ha infatti inciso nel calcolo di conve-nienza imprenditoriale posto alla base della decisione di sostenere i costi da parte del con-tribuente, che ha fatto affidamento sul rispar-mio fiscale; non è quindi ragionevole salva-guardare le esigenze di bilancio dello Stato scardinando la programmazione di bilancio delle imprese e, in generale, dei cittadini.

1. Premessa

Con l’ordinanza n. 9026 del 12 aprile 20131, la Corte di Cassazione ha ritenuto non manifesta-mente infondata la questione di legittimità costituzionale posta in merito alle disposizioni restrittive introdotte dal D.L. n. 185/2008, con- 1 In banca dati “fisconline”.

vertito con la L. n. 2/2009 (di seguito, D.L. n. 185/2008), in materia di modalità e limiti alla fruizione del credito d’imposta per l’attività di ricerca e sviluppo di cui all’art. 1, commi 280-283, della L. n. 296/2006. Detto credito poteva essere fruito, in origine, in modo automatico, e quindi senza particolari in-combenze di carattere procedurale, ma in un se-condo momento, nel corso del 2008, il Legislato-re ha ritenuto di introdurre una specifica proce-dura, basata sull’invio di un formulario e sulla concessione di un nulla osta da parte dell’Am-ministrazione finanziaria, circostanze che in qualche caso hanno rimesso in discussione la stessa fruizione del bonus, sulla base delle risor-se concretamente stanziate. Per le attività già avviate prima della data di entrata in vigore del predetto decreto (29 novembre 2008) la Corte di Cassazione ha inteso accogliere le istanze del contribuente il relazione ai rilievi di legittimità emergenti rispetto al contenuto dell’art. 3 della Costituzione. Il rinvio alla Corte Costituzionale ha preso le mosse da due diversi profili: un primo profilo incentrato sulla ragionevo-

lezza di norme che rimettono in discussione i termini di un beneficio correlato al sosteni-mento di determinate spese anche in relazio-ne a casi in cui le attività di ricerca e sviluppo erano già state avviate, ponendosi una essen-ziale questione di certezza del diritto e di le-gittimo affidamento rispetto alle attese del contribuente;

un secondo profilo che attiene alla stessa pro-cedura introdotta con il D.L. n. 185/2008, i cui esiti, secondo i giudici della Corte, pervengo-no a risultati del tutto casuali, neppure in

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Agevolazioni – APPROFONDIMENTO 6343

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fascicolo 1

grado, a ben guardare, di premiare la tempe-stività nel collegamento e nell’invio telematico del formulario (criterio cronologico).

2. I termini della vicenda

Per comprendere appieno i termini della vicenda esaminata dalla Corte di Cassazione con l’ord. n. 9026 del 12 aprile 2013 bisogna rispolverare la normativa di riferimento in materia di crediti d’imposta per attività di ricerca e sviluppo, che in origine non presentava un limite massimo alla erogazione del bonus fiscale, né prevedeva limiti di copertura del minor gettito fiscale deri-vante dalla relativa fruizione da parte dei con-tribuenti. In particolare, l’art. 1, commi da 280 a 283, della L. n. 296/2006 (legge finanziaria per il 2007)2, aveva accordato alle imprese, a decorrere dal pe-riodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2006 e fino alla chiusura del perio-do d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2009 (in linea generale, dal 2007 al 2009), un credito d’imposta, fruibile in compensazione con Mod. F24, pari al 10% dei costi sostenuti per attività di ricerca e sviluppo3. I costi su cui calcolare il credito di imposta non potevano su-perare l’importo di 15 milioni di euro per cia-scun periodo d’imposta, limite che è stato eleva-to a 50 milioni di euro con l’art. 1, comma 66, della L. n. 244/2007 (legge finanziaria 2008)4. In base a questo quadro normativo il contribu-ente non era tenuto alla preventiva presentazio-ne di un’istanza di ammissione al bonus fisca-le e poteva fruire del credito avendo la sola cura di indicare questa partita attiva nella dichiara-zione dei redditi.

Lo scenario è però mutato sensibilmente a se-guito delle disposizioni previste dall’art. 29 del D.L. n. 185/2008, con le quali si è stabilito che anche al credito di imposta in parola si applica la disciplina sul monitoraggio dei crediti di imposta dettata dall’art. 5, commi 1 e 2, del D.L. 2 Abrogati con l’art. 23, comma 7, del D.L. n. 83/2012, con-

vertito con la L. n. 134/2012, ma applicabili ratione tem-poris alla fattispecie in esame.

3 Come è noto, se i costi di ricerca e sviluppo si riferivano a contratti stipulati con università ed enti pubblici il credito di imposta era riconosciuto nella percentuale del 15%, poi aumentato al 40% con l’art. 1, comma 66, della L. n. 244/2007 (legge finanziaria 2008).

4 Per approfondimenti, A. Cotto, Circolare n. 46/E del 13 giugno 2008: credito d’imposta per l’attività di ricerca e sviluppo, in “il fisco” n. 25/2008, fascicolo n. 2, pag. 4575.

n. 138/2002, convertito con la L. n. 178/2008, con introduzione di un tetto massimo al credito di imposta fruibile dalle imprese, e previsione di ben determinati stanziamenti nel bilancio dello Stato per ciascuna delle annualità interessate dal beneficio5. In particolare, è stata prevista l’introduzione di una procedura di selezione, con obbligo di i-noltrare per via telematica all’Agenzia delle En-trate un apposito formulario, basata, in linea generale sull’ordine cronologico di arrivo dei formulari; era però previsto un binario separa-to per la prenotazione del credito di imposta per le attività di ricerca avviate a partire dalla da-ta di entrata in vigore del D.L. n. 185/2008 (il 29 novembre 2008), con ordine di priorità succes-sivo rispetto a quella relativa alle attività di ri-cerca avviate prima del 29 novembre 20086. Le due posizioni erano quindi mantenute distin-te: per le attività già avviate prima del 29 novem-

bre 2008, il sistema era basato su un nulla-osta ai soli fini della copertura finanziaria;

per le attività avviate a partire dal 29 novem-bre 2008, la risposta concerneva, a seconda dei casi, la certificazione dell’avvenuta presen-tazione del formulario, l’accoglimento della relativa prenotazione, nonché, nei successivi 90 giorni, l’eventuale diniego, in ragione del-la capienza rispetto alle risorse stanziate;

Era quindi stata prevista l’attivazione della pro-cedura per la trasmissione telematica del formu-lario entro 30 giorni dalla data di adozione del provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate di approvazione del formulario (art. 29, comma 5, D.L. n. 185/2008)7. 5 Nel dettaglio, 375,2 milioni di euro per il 2008, 533,6 mi-

lioni di euro per il 2009, 654 milioni di euro per l’anno 2010 e 65,4 milioni di euro per l’anno 2011.

6 Sul punto, si veda anche P.Alberti-A. Cotto, Provv. del Di-rettore dell’Agenzia delle Entrate del 24 marzo 2009 - Cre-dito d’imposta per le attività di ricerca e sviluppo: formu-lario di prenotazione, in “il fisco” n. 16/2009, fascicolo n. 1, pag. 2529.

7 Con provvedimento del 21 aprile 2009 il Direttore dell’A-genzia delle Entrate ha stabilito che i formulari per i pro-getti d’investimento in attività di ricerca e sviluppo già av-viati alla data del 28 novembre 2008 dovevano essere pre-sentati, a pena di decadenza dal contributo, dalle ore 10:00 del 6 maggio 2009 (c.d. click day) alle ore 24:00 del 5 giugno 2009. Sul punto la Corte di Cassazione non tra-scura di segnalare che la capienza degli stanziamenti fu esaurita con i formulari pervenuti nei primi minuti suc-cessivi all’apertura della procedura di trasmissione tele-matica, e che numerose imprese furono escluse dalla frui-zione del credito di imposta per costi sostenuti (e da so-

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6344 APPROFONDIMENTO – Agevolazioni

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fascicolo 1

In definitiva, in base alla ricostruzione dei giu-dici della Corte di Cassazione in relazione ai crediti d’imposta per i costi relativi ad attività di ricerca avviate prima dell’entrata in vigore del più volte citato D.L. n. 185/2008 sono emerse le seguenti situazioni: i crediti d’imposta maturati negli anni 2007 e

2008 e utilizzati in compensazione entro il 31 dicembre 2008 non furono “toccati” dal D.L. n. 185/2008, e rimasero validamente fruiti;

i crediti d’imposta maturati negli anni 2007, 2008 e 2009 che non erano stati utilizzati en-tro la data del 31 dicembre 2008 ma di cui era stata autorizzata la fruizione da parte delle Entrate sono rimasti validamente fruibili;

i crediti d’imposta maturati negli anni 2007, 2008 e 2009 non utilizzati entro la data del 31 dicembre 2008 e di cui non era stata autoriz-zata la fruizione da parte delle Entrate per esaurimento dei fondi disponibili sono ri-masti non fruibili.

Per queste ultime situazioni, oggetto della stessa controversia in esame, i giudici della Corte di Cassazione hanno avuto modo di osservare che con l’art. 2, comma 236, della L. n. 191/2009, (fi-nanziaria 2010) è stato successivamente autoriz-zato un ulteriore stanziamento8 e si è giunti ad autorizzare la fruizione nella misura del 47,53% dei crediti d’imposta relativi ad attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008, come derivanti dai formulari presentati telema-ticamente ad esito negativo per esaurimento delle risorse (cfr. D.M. 4 marzo 2011)9.

3. Profili di legittimità costituzionale

L’ordinanza n. 9026/2013 della Corte di Cassa-zione entra nel merito dei profili di conformità costituzionale dell’art. 29 del D.L. n. 185/2008, con riferimento ai parametri previsti dagli artt. 3, 41, 97 e 117 della Costituzione, ma in realtà l’unico nervo scoperto della normativa appena

stenere) in relazione ad attività di ricerca avviate prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 185/2008. Nell’ordinanza in esame si dà conto del fatto che, in base a quanto emer-so dagli atti del giudicato, in pochi secondi dall’apertura della procedura furono emessi dall’Amministrazione fi-nanziaria n. 29.394 atti, di cui 8.100 di accoglimento delle istanze.

8 Poi ridotto con l’ art. 4, comma 1, del D.L. n. 40/2010, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 73/2010.

9 Cfr. P. Alberti, Il credito d’imposta per la ricerca e lo svi-luppo: modalità di utilizzo, in “il fisco” n. 18/2011, fasci-colo n. 2, pag. 2907.

citata attiene, secondo i giudici, al principio fon-damentale dell’uguaglianza10, poiché negli altri casi la questione è stata ritenuta manifestamente infondata. In breve la Corte di Cassazione ha ri-tenuto che la stessa non insista in alcun modo né sulla libertà di iniziativa economica (art. 41)11, né sull’imparzialità e buon andamento del-la pubblica amministrazione (art. 97). Anche per quanto concerne l’art. 117 della Costituzione, ri-chiamato nella parte in cui, nel primo comma, assoggetta la potestà legislativa statale ai “vinco-li derivanti dall’ordinamento comunitario”, tra i quali il vincolo di tutela della concorrenza, la Corte di Cassazione ha ritenuto che l’argomento non risulti concludente, in quanto la disposizio-ne di cui sopra non pregiudica la libertà di con-correnza.

Altre conclusioni sono valse, invece, per l’ecce-zione di illegittimità costituzionale sollevata con riferimento all’art. 3 della Costituzione, poi-ché in base all’interpretazione resa dai giudici di piazza Cavour la disposizione recata dall’art. 1, comma 280, della L. n. 296/200612 depone per 10 G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Parte generale,

settima edizione, 2010, Cedam, Padova, pag. 164 e seg., ricorda che con la sua prima sentenza in materia di ugua-glianza, la n. 3/1957, la Consulta ha posto i seguenti prin-cipi: 1) il concetto di eguaglianza “non va inteso nel senso che il

legislatore non possa dettare norme diverse per situa-zioni che esso ritiene diverse”;

2) il legislatore deve “assicurare ad ognuno uguaglianza di trattamento quando eguali siano le condizioni soggetti-ve e oggettive alle quali le norme giuridiche si riferisco-no per la loro applicazione”;

3) l’accertamento della esistenza e della rilevanza delle di-versità di situazioni ricade nella sfera della discreziona-lità legislativa;

4) tuttavia la Corte può controllare le scelte discrezionali del legislatore ed annullarle se sono irragionevoli.

Viene perciò evidenziato che il canone della ragionevolez-za diventa così la barriera invalicabile di ogni scelta legi-slativa. Tra gli altri autori richiamati il Falsitta riprende la classificazione di G. Scaccia, Gli “strumenti” della ragio-nevolezza nel giudizio costituzionale, Milano, 2000.

11 Sul punto si rinvia a G. Falsitta, Manuale di diritto tribu-tario, cit., pag. 114 e seg., secondo cui la tutela dell’affida-mento non è in Italia un limite generale alla retroattività delle leggi, ma assume una portata circoscritta ad alcune materie, come quella governata dall’art. 41 della Costitu-zione (libertà dell’iniziativa economica privata). Secondo questa autorevole dottrina “La legislazione tributaria re-troattiva, alterando ex post il costo fiscale delle scelte eco-nomiche imprenditoriali, vulnera quel quadro di certezze su cui l’operatore economico deve poter fare affidamento nei suoi investimenti e finisce per confliggere col parame-tro racchiuso nell’art. 41 Cost”.

12 Si veda il paragrafo precedente.

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Agevolazioni – APPROFONDIMENTO 6345

41/2013

fascicolo 1

l’attribuzione, ope legis, del credito d’imposta, nel patrimonio dei contribuenti che sostenesse-ro, entro l’arco temporale indicato dalla legge, costi per attività di ricerca industriale e di svi-luppo precompetitivo, all’atto stesso del soste-nimento di tali costi. Siamo quindi in presenza, sostiene la Corte di Cassazione, di un diritto soggettivo perfetto, il cui fatto costitutivo è indicato dalla legge nel sostenimento di costi per attività di ricerca industriale e di sviluppo pre-competitivo nei periodi di imposta 2007, 2008 e 2009. Non è quindi da condividere, secondo la Corte di Cassazione, la tesi ministeriale secondo cui - nel lasso di tempo intercorrente tra la matura-zione del credito di imposta (cioè il sostenimen-to dei costi) e l’utilizzo del medesimo in com-pensazione di debiti tributari, tramite il Mod. F24 - il credito stesso non sarebbe qualificabile come un diritto soggettivo pieno, bensì come un diritto condizionato alla sussistenza di coper-tura finanziaria. Questa posizione si basa sul di-sposto del cit. art. 5 del D.L. n. 138/2002, rubri-cato “monitoraggio dei crediti di imposta”13, ma tale ultima disposizione non operava (fino all’en-trata in vigore del D.L. n. 185/2008) per i crediti di imposta in parola, in quanto essa, emanata nel 2002, concerne i crediti “previsti dalle vigenti disposizioni”, ossia quelli previsti dalle disposi-zioni vigenti nel 2002; mentre i crediti di im-posta de quo sono stati introdotti solo con la L. n. 296/2006. Del resto, solo nel 2008, con il più volte citato art. 29, comma 1, del D.L. n. 185/2008, il Legislatore ha esteso il principio del monitorag-gio anche ai crediti di imposta in parola, fissando il relativo limite di copertura finanziaria.

Né, per altri versi, è stata condivisa la considera-zione dell’Avvocatura Generale dello Stato se-condo cui al principio del monitoraggio dei cre-diti di imposta fissato dall’art. 5 del D.L. n. 138/2002 dovrebbe attribuirsi natura di princi-pio generale, attuativo dell’art. 81 della Costitu-zione, poiché un principio generale di limitazio-ne del diritto al credito di imposta “fino all’esau-rimento delle risorse finanziarie” non potrebbe comunque operare quando, come è avvenuto con la L. n. 296/2006, la legge istitutiva del credi- 13 Il comma 1 di tale disposizione prevede che: “i crediti di

imposta previsti dalle vigenti disposizioni di legge sono integralmente confermati e, fermo restando quanto stabi-lito dagli artt. 10 e 11, possono essere fruiti entro i limiti degli oneri finanziari previsti in relazione alle disposizioni medesime. I soggetti interessati hanno diritto al credito di imposta fino all’esaurimento delle risorse finanziarie”.

to di imposta ometta la fissazione di limiti di copertura. A parere della Corte di Cassazione al-la data del 29 novembre 2008, giorno di entrata in vigore del D.L. n. 185/2008, i contribuenti che avevano già sostenuto, a partire dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2007, costi per attività di ricerca industriale di sviluppo pre-competitivo avevano maturato il diritto sog-gettivo perfetto al credito d’imposta nella per-centuale prevista dalla legge.

4. Compressione effettiva del diritto al credito d’imposta

A giudizio della Corte di Cassazione la disposi-zione recata dall’art. 29 del D.L. n. 185/2008, nel-la misura in cui ha fissato un limite, prima i-nesistente, alle risorse disponibili per la coper-tura finanziaria del bonus consistente nel credi-to d’imposta, ha inciso sulla posizione dei con-tribuenti in relazione a due diversi aspetti: 1. in primo luogo, nella misura in cui ha messo

in conto l’esclusione dalla fruizione del cre-dito per soggetti che avevano già avviato l’atti-vità di ricerca industriale e sviluppo precom-petitivo, in relazione ai costi già sostenuti; qui l’effetto lesivo delle legittime aspettative del contribuente è marcato ed evidente;

2. opera una limitazione prospettica, in ordine all’aspettativa al credito di imposta maturata sui costi da sostenere per attività già avviate.

Non è poi condivisibile, secondo la Corte di Cas-sazione, la tesi della Commissione Tributaria Regionale Abruzzo secondo cui la disposizione recata dall’art. 29 del D.L. n. 185/2008, non a-vrebbe eliso il diritto del contribuente al credito d’imposta maturato alla data del 29 novembre 2008, ma ne avrebbe solo rinviato la fruizione nel tempo agli esercizi successivi al 2011, poiché in sostanza nulla vieterebbe che pur in presenza del diniego di nulla osta il credito di imposta (maturato e) denegato possa poi formare oggetto di un futuro utilizzo in funzione delle disponi-bilità finanziarie eventualmente stanziate ne-gli esercizi successivi14. Siamo cioè in presen- 14 Si tratta, peraltro, di una tesi che, come evidenziato dalla

Corte di Cassazione, era emersa anche nei contenuti della ris. dell’Agenzia delle Entrate n. 100/E del 19 ottobre 2011, in banca dati “fisconline”, in cui era stato sostenuto che “Dall’esame della normativa istitutiva dell’agevolazio-ne e del delineato quadro interpretativo si evince che per le attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008 il diniego del predetto nulla-osta non impedisce la matura-zione del credito di imposta ma inibisce l’utilizzo del cre-

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za, osserva la Corte, di una impostazione che può assumere una portata esclusivamente me-tagiuridica. Pur essendo ovvio che il diniego di nulla osta non esclude la possibilità che il Legi-slatore, reintervenendo sulla materia, disponga, stanziando i necessari finanziamenti, la soddi-sfazione di quei crediti per i quali il nulla osta sia stato negato, rimane del pari fermo e cristal-lino che, in assenza di ulteriori e futuri interven-ti, il diniego del nulla osta precluda la possibilità giuridica di soddisfare il credito d’imposta già maturato ed abbia, quindi, efficacia estintiva di tale credito.

Anche l’affermazione della Commissione Tribu-taria Regionale Abruzzo, secondo cui il cit. art. 29 del D.L. n. 185/2008 non avrebbe estinto il di-ritto del contribuente al credito d’imposta matu-rato alla data del 29 novembre 2008, ma ne a-vrebbe solo rinviato la fruizione agli esercizi successivi al 2011, risulta, secondo gli ermellini, del tutto sfornita di fondamento normativo, poi-ché detta disposizione non presenta alcuna di-sposizione che differisca agli esercizi successivi al 2011 la fruizione del credito di imposta dei contribuenti ai quali il nulla-osta a tale fruizione sia stato negato per esaurimento delle risorse fi-nanziarie15. Viene osservato, in particolare, che la disposi-zione secondo la quale “la fruizione del credito di imposta è possibile nell’esercizio in corso ov-vero, in caso di esaurimento delle risorse dispo-nibili in funzione delle disponibilità finanziarie, negli esercizi successivi” – contenuta nella se-conda parte dell’art. 29, comma 3, lett. a), – si ri-ferisce alla fruizione del credito d’imposta negli esercizi 2008, 2009, 2010 e 2011 (per ciascu-no dei quali lo stesso art. 29, comma 2, prevede un apposito stanziamento di bilancio) e non agli esercizi successivi al 2011 (per i quali il D.L. n. 185/2008 non prevede alcuno stanziamento). In conclusione, secondo i giudici della Corte di Cassazione il D.L. n. 185/2008 non ha dettato

dito di imposta maturato, nei termini in precedenza speci-ficati, nei relativi periodi di imposta, a causa dell’esauri-mento delle risorse disponibili, senza tuttavia escludere la possibilità di un futuro utilizzo in funzione delle disponi-bilità finanziarie eventualmente stanziate negli esercizi successivi”.

15 Ved., in questa stessa ottica, le considerazioni di M. A. Procopio, Diniego retroattiva del nullaosta al credito d’im-posta: alcune riflessioni di carattere giuridico, in GT Rivi-sta di Giurisprudenza Tributaria n. 7/2011, pag. 600 e seg., a commento della sentenza C.T.R. Abruzzo n. 116 del 25 marzo 2011 (ved. anche C.T.R. Abruzzo sentenza n. 127/ 2011).

una disciplina tendente a differire nel tempo il godimento dei diritti già sorti – o, altrimenti detto, una disciplina dell’esercizio del diritto che, ferma la relativa sussistenza, ne subordini l’esigibilità all’avveramento di eventi futuri ma certi – ma ha abolito tali diritti per tutti colo-ro che, in base alla procedura di selezione nor-mativamente fissata, non rientrassero nella ca-pienza finanziata dal medesimo decreto legge. A conferma di questo assunto, la Corte di Cassa-zione evidenzia gli stessi contenuti della succes-siva L. n. 191/2009 (legge finanziaria 2010), con la quale si è disposta, con apposito stanziamento di bilancio, una parziale soddisfazione - nella percentuale del 47,53%, dei crediti in questione. Questi crediti, evidenziano i giudici di piazza Cavour, hanno subito una falcidia del 52,47%, della quale nessuna norma di legge, ad oggi, prevede forme di futura reintegrazione; si deve anzi sottolineare, osservano conclusivamente gli stessi giudici, che le disposizioni che dopo il 2010 hanno istituito ulteriori e diversi crediti di imposta per ricerca e sviluppo16, ma non hanno più rifinanziato la fruizione dei crediti di impo-sta previsti dalla L. 296/2006 per le attività di ri-cerca avviate prima del 29 novembre 2008.

5. Violazione dell’affidamento del cittadino e certezza del diritto

La disciplina prevista dal più volte citato art. 29 del D.L. n. 185/2008 risulta quindi, secondo la ricostruzione effettuata dai giudici della Corte di Cassazione, sospettabile di illegittimità costi-tuzionale con riferimento all’art. 3 della Costi-tuzione, nella parte in cui non salvaguarda i di-ritti e le aspettative al credito di imposta per la ricerca e sviluppo, sorti in relazione ad attività avviate prima del 29 novembre 2008. Tale contrasto viene ad essere riscontrato in re-lazione a due diversi aspetti. Il primo e basilare profilo attiene, in base ad un preciso orientamento della Corte Costituzionale, osserva la Cassazione, all’affidamento del citta-dino sulla certezza delle situazioni giuridiche, quale essenziale elemento dello Stato di di-ritto, che non può essere leso da disposizioni retroattive, le quali trasmodino in un regola-mento irrazionale di situazioni sostanziali fon-date su leggi precedenti17. Tra i vari interventi sul tema la Corte costituzionale (Pronuncia 4 16 D.L. n. 70/2011, art. 1, convertito con la L. n. 106/2011, e L.

n. 228/2012, art. 1, commi 95 e 97 (Legge di stabilità 2013).

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aprile 1990, n. 155)17ha evidenziato che l’irre-troattività costituisce un principio generale del nostro ordinamento (art. 11 delle preleggi), che, sebbene non abbia assunto rilievo costitu-zionale fuori dall’ambito penale18, rappresenta pur sempre una preciso punto di riferimento del sistema civilistico e tributario19. A questo principio, fuori dai casi in cui emerga un’effetti-va causa giustificatrice, il Legislatore deve ra-gionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei rapporti costituisce un caposaldo della civi-le convivenza e della stessa tranquillità dei citta-dini20, principio enucleabile, a maggior ragione anche per l’ambito tributario, anche a prescin-dere dai contenuti dello stesso Statuto21, per i quali, peraltro, detto principio è essenzialmente correlato sui soli artt. 3 e 53 della Costituzione, senza che sia stato richiamato, stranamente22, il principio previsto in materia di libera iniziativa economica (art. 41 Costituzione).

Tornando ai contenuti dell’ord. n. 9026 del 2013, se da un lato non possono ipotizzarsi limiti co-stituzionali alla potestà legislativa di eliminare o limitare un beneficio fiscale previsto dalla legge per determinate iniziative imprenditoriali, con riferimento alle attività successive all’entrata in vigore della norma abolitiva o limitativa - for-ti dubbi sono stati esternati dalla Corte di Cas-sazione, invece, rispetto alla conformità al ca-none della ragionevolezza di una disposizione ablativa di crediti di imposta già entrati nel pa-trimonio del contribuente, in quanto maturati in relazione a costi già sostenuti, e di aspettative di crediti di imposta maturandi in relazione a costi ancora da sostenere per il completamen- 17 Vengono richiamate le seguenti pronunce della Corte Co-

stituzionale: nn. 155/1990, 390/1995, 111/1998, 525/2000, 446/2002, tutte in banca dati “fisconline”, 364/2007, 349/1985, 211/1997, 416/1999.

18 Con l’importante eccezione dell’ambito penale, per il qua-le ved. l’art. 25, comma 2, della Costituzione.

19 Evidenzia G. Marongiu, Retroattività e affidamento nel-l’applicazione della legge tributaria, in “Corriere Tributa-rio” n. 29/2004, pagg. 2290 e seg., che per almeno due se-coli è stato un valore fondante della civiltà giuridica la lo-cuzione latina “Nulla poena sine lege previa; nullum tribu-tum sine lege previa”.

20 Ved. anche Corte Costituzionale, 8 luglio 1957, n. 118. 21 L’art. 3, comma 1, della L. n. 212/2000, prevede che salvo

l’eccezione di cui all’art. 1, comma secondo (norme inter-pretative) le disposizioni tributarie non hanno effetto re-troattivo.

22 Si esprime in questo senso G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, cit., pagg. 114 e seg.

to di attività già avviate. Qui il rischio di prevaricazione e le esigenze di affidamento appaiono sostanziali, poiché siamo in presenza di un insieme di norme che si pre-figgono (propriamente) di favorire determinati comportamenti da parte del contribuente, pro-mettendo benefici fiscali il cui successivo disco-noscimento assume il retrogusto amaro del vero e proprio raggiro erariale23. Secondo quanto affermato dai giudici di piazza Cavour si deve infatti considerare, al riguardo, che nel calcolo di convenienza imprenditoria-le posto alla base della decisione di sostenere detti costi il contribuente abbia fatto legittimo affidamento sul risparmio fiscale agli stessi normativamente connesso e, secondo gli stessi giudici, non appare ragionevole salvaguardare le esigenze di bilancio dello Stato scardinando la programmazione di bilancio delle imprese e, in generale, dei cittadini24. Come autorevolmente sostenuto in dottrina25 “la tutela della certezza, dell’affidamento, è imma-nente, è consustanziale ai princìpi primi dell’ordi-namento, mentre è l’esigenza della deroga ad es-sa, dell’eccezione, che va provata nel concreto”. È questo un punto centrale, a parere di chi scri-ve, poiché non se da un lato non si può mettere in dubbio che la situazione economica degli ul-timi anni e lo stesso scenario internazionale de-ponessero per l’adozione di misure assai re-strittive26, d’altro canto nemmeno può essere 23 Sul punto ved. le considerazioni di M. Damiani, La fruizio-

ne dei crediti d’imposta tra ragion di Stato e tutela del dirit-to dei contribuenti, in “Corriere Tributario” n. 23/2011, pagg. 1901 e seg.

24 La Corte di Cassazione rinvia anche alla cit. pronuncia della Corte Costituzionale n. 211/1997, e in particolare a questo passaggio: “se il legislatore, nell’esercizio del suo potere discrezionale, può, a salvaguardia dell’equilibrio di bilancio, modificare la disciplina pensionistica fino al punto di ridurre il quantum del trattamento previsto, deve invece escludersi che, come è avvenuto nella fattispecie, possa addirittura eliminare retroattivamente una presta-zione già conseguita”. Viene poi fatto rinvio alla sentenza della Corte Costituzionale n. 156/2007, dichiarativa dell’il-legittimità costituzionale di una norma di legge regionale che sacrificava “all’esito di una arbitraria ponderazione, la posizione di altri soggetti (nella specie Azienda Napoleta-na Mobilità s.p.a.), che, a distanza di un periodo di tempo considerevolmente ampio, avevano fatto giustificato affi-damento nell’avvenuto consolidamento della situazione sostanziale nel frattempo creatasi”.

25 G. Marongiu, Retroattività e affidamento nell’applicazione della legge tributaria, cit., pagg. 2290 e seg.

26 In dottrina, M. A. Procopio, Diniego retroattiva del nulla-osta al credito d’imposta: alcune riflessioni di carattere giuridico, cit., pagg. 600 e seg., ha sostenuto che “Il prov-

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sottaciuto l’importante nodo giuridico col quale queste attese tendono a scontrarsi; va cioè stabi-lito fino a che punto questo genere di misure sotto il profilo della certezza del diritto e dell’af-fidamento ingenerato nel contribuente possano spingersi, incrinando alcune basilari regole di comune convivenza fiscale. Secondo quanto osservato dalla Corte di Cassa-zione nella sent. n. 17129 del 13 novembre 2003, il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che trova la sua base costituzionale nel principio di egua-glianza dei cittadini dinanzi alla legge (art. 3 Co-stituzione)27, e costituisce un elemento essenzia-le dello Stato di diritto e ne limita l’attività legi-slativa e amministrativa, è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico ed anche nell’ambito della materia tributaria, dove è stato reso espli-cito dall’art. 10, comma 1, della L. n. 212/200028.

Secondo i giudici della Corte di Cassazione, pe-raltro, anche il richiamo dell’Avvocatura Genera-le dello Stato alla giurisprudenza della Corte Co-stituzionale (ordinanze nn. 124/2006, 180/2007, 185/200929) sull’evoluzione della disciplina del credito d’imposta sui nuovi investimenti nelle aree svantaggiate individuate dalla Commissione CE non si dimostra pertinente, e quindi non è in grado di mettere in discussione il rilievo di le-

vedimento modificativo ha quindi fatto venire meno le le-gittime aspettative dei soggetti passivi d’imposta che ave-vano investito in attività di ricerca e sviluppo, nel convin-cimento che sarebbe stato loro riconosciuto un incentivo fiscale facendo quindi affidamento sul ‘promesso’ credito d’imposta. È tuttavia fuori discussione che la (sostanziale) ‘revoca’ dei benefici tributari previsti nella legge n. 296/1996 abbia tratto origine dall’eccezionale stato di crisi dei mercati finanziari che ha ‘investito’, senza eccezione alcuna, tutti i Paesi del globo; ne deriva che tale causa ge-neratrice della norma retroattiva ha ‘giustificato’ la scelta governativa attuata con il citato D.L. n. 185/2008. Per tale ragione la irretroattività in parola non appare irragionevo-le”. Contra, ved. M. Damiani, La fruizione dei crediti d’im-posta tra ragion di Stato e tutela del diritto dei contri-buenti, cit., pagg. 1901 e seg.

27 Cfr. la pronuncia n. 525 del 22 novembre 2000, della Corte Costituzionale.

28 Secondo l’impostazione resa con la cit. sent. n. 17129/2003 quest’ultima, a differenza di altre che presentano un conte-nuto innovativo rispetto alla legislazione preesistente, costi-tuisce una delle disposizioni statutarie che, per essere e-spressive – ai sensi dell’art. 1 della stessa L. n. 212/2000 – dei principi generali, anche di rango costituzionale, già imma-nenti nel diritto e nell’ordinamento tributario, vincolano l’in-terprete in forza del canone ermeneutico dell’interpretazione adeguatrice a Costituzione, ed è pertanto applicabile anche ai rapporti tributari sorti in epoca anteriore alla entrata in vigore dello Statuto.

29 In banca dati “fisconline”.

gittimità costituzionale del D.L. n. 185/2008, poi-ché si tratta di questioni del tutto distinte, che non presentano specifici aspetti in comune, atte-sa la sostanziale diversità tra l’intervento effet-tuato dal D.L. n. 138/2002 e la L. n. 289/2002, art. 62, sulla disciplina per il credito d’imposta connesso a nuovi investimenti nelle aree svan-taggiate e l’intervento effettuato dal D.L. n. 185/2008 sulla disciplina del credito d’imposta connesso ad investimenti in ricerca e sviluppo.

In sintesi, a parere della Corte di Cassazione nel caso del credito d’imposta per nuovi investimenti nelle aree svantaggiate le modifiche normative re-cate dal D.L. n. 138/2002 sono state introdotte nel rispetto dell’affidamento dei contribuenti nella certezza delle situazioni giuridiche pregresse, e nessuna portata retroattiva può ascriversi alla suc-cessiva imposizione, recata dalla L. n. 289/2002, di un obbligo informativo a carico sia delle imprese che avevano già conseguito in via automatica il diritto al contributo, sia di quelle che avevano conseguito tale diritto col previo assenso dell’am-ministrazione; come infatti precisato nell’ord. n. 124/2006 della Corte Costituzionale, l’art. 62 della L. n. 289/2002 non dispone per il passato, ma fissa per il futuro un obbligo di comunicazione di dati a pena di decadenza dal contributo, a nulla rile-vando che tale decadenza abbia ad oggetto un contributo già conseguito. Diversamente, nel caso del credito di imposta sui costi sostenuti per attività di ricerca e sviluppo, la disciplina introdotta dal D.L. n. 185/2008 ha abo-lito, per i contribuenti esclusi dalla fruizione del credito d’imposta per esaurimento delle risorse finanziarie, diritti e aspettative già maturati pri-ma dell’entrata in vigore decreto legge.

6. I limiti della procedura selettiva

In second’ordine la Corte di Cassazione ha rite-nuto non manifestamente infondato anche al-tro dubbio di legittimità dell’art. 29 del D.L. n. 185/2008, rispetto ai contenuti dell’art. 3 della Costituzione, basato sulle caratteristiche della procedura prevista per selezionare, nell’ambito della platea dei contribuenti che alla data del 29 novembre 2008 avevano già avviato attività di ri-cerca e sviluppo precompetitivo, quelli concre-tamente destinati a fruire del credito. Tale procedura si compendia nell’inoltro in via telematica all’Agenzia delle Entrate di un formu-lario valevole come prenotazione e nell’acquisi-zione ed evasione, da parte della predetta Agen-zia, dei formulari alla stessa pervenuti, secondo

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l’ordine cronologico di arrivo. Al riguardo, la Corte di Cassazione osserva che – se in linea ge-nerale non può ritenersi irrazionale il ricorso al criterio selettivo, di antichissima tradizione, prior tempore potior jure – nel caso specifico in esame, in cui la selezione si doveva svolgere tra una platea vastissima di concorrenti e si fondava sul momento di arrivo al destinatario di atti tra-smessi per via telematica, questo criterio pervie-ne a risultati completamente scollegati non solo dal merito delle ragioni di credito, ma an-che dalla solerzia nell’esercizio delle stesse. La risultante di fattori quali la sproporzione tra risorse disponibili e domande, l’ampiezza del numero dei concorrenti, la velocità dei meccani-smi di trasmissione informatica determina una selezione sostanzialmente casuale, che si e-saurisce in un tempo brevissimo e produce ri-sultati dipendenti prevalentemente dalla poten-za e sofisticatezza delle apparecchiature informatiche di cui dispongono i singoli con-tribuenti o i professionisti che li assistono. Secondo l’interpretazione resa dalla Corte di Cassazione nell’ord. n. 9026/2013, questo ordine di effetti determina una disparità di tratta-mento (in ordine alla fruizione del credito di imposta, ad alcuni concessa e ad altri negata) di situazioni eguali (di contribuenti tutti egual-mente titolari di crediti di imposta derivanti da attività già avviate alla data del 29 novembre 2008) in base ad un criterio di priorità cronolo-gica che, per le sue concrete modalità di attua-zione, non è stato ritenuto ragionevole30.

7. Considerazioni conclusive

In definitiva, la Corte di Cassazione ha ritenuto non manifestamente infondata, con riferi-mento all’art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale, sollevata in re-lazione ai contenuti dell’art. 29 del D.L. n. 185/2008, sia perché tali misure non fanno salvi i diritti e le aspettative sorti ex L. n. 296/2006, in relazione ad attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008 (primo profilo), sia per l’in-troduzione di un meccanismo di selezione dei 30 La Corte di Cassazione non ha mancato di osservare che

detto criterio è stato poi accantonato in sede di definizio-ne delle modalità di utilizzo del rifinanziamento disposto dalla L. n. 191/2009, per le quali il D.M. 4 marzo 2011 ha fatto ragionevolmente ricorso ad un criterio tipicamente concorsuale, assegnando a ciascun contribuente una per-centuale del proprio credito corrispondente al rapporto tra il totale delle risorse disponibili e il totale delle preno-tazioni da soddisfare.

soggetti autorizzati alla fruizione del credito i cui esiti risultano sostanzialmente casuali e forieri di ingenerare incomprensibili disparità di trattamento (secondo motivo, accolto in via subordinata).

In tempi di crisi economica come quelli che il no-stro sistema Paese patisce, oramai da troppi anni, le affermazioni con le quali viene ad essere corre-dato e motivato il rinvio alla Corte Costituzionale della normativa recata dal D.L. n. 185/2008, con-tenute nell’ordinanza n. 9026 del 12 aprile 2013 della Corte di Cassazione, si pongono quasi come un vero e proprio monito al Legislatore, il qua-le viene invitato, in qualche modo, a non mettere nero su bianco misure irragionevoli, tese a sal-vaguardare semplicisticamente solo le esigenze di bilancio dello Stato, scardinando così la pro-grammazione di bilancio delle imprese e, in generale, dei cittadini. Sul punto occorrerà attendere la pronuncia della Corte Costituzionale, ma la questione dell’affida-mento della posizione dei soggetti che pianifica-no il sostenimento di determinati costi in fun-zione dell’ottenimento di vantaggi fiscali poi ri-messi in discussione in virtù di inopinabili esi-genze erariali si pone da qualche tempo sempre più all’ordine del giorno (si pensi alla questione delle Zone Franche Urbane31) e ci sembra emble-matica delle contraddizioni in cui versa il siste-ma tributario, poiché sta proprio nella (in)cer-tezza delle regole uno dei principali problemi che assillano la nostra asfittica economia; qui si sta parlando, invero, di instaurare almeno un rapporto di serietà tra sistema fiscale ed impre-se, che se sono invitate a dar corpo a determina-ti investimenti non possono poi registrare un nulla di fatto sul piano della concreta fruizione del bonus “promesso” dal Legislatore, e que-sto in tempi di stretta finanziaria in cui la di-sponibilità o meno di una determinata posizione attiva può rivelarsi essenziale ai fini della stessa sopravvivenza dell’iniziativa economica. In que-sto senso la postuma negazione del bonus, nella misura in cui rischia di incidere sul sogget-to meno strutturato ma che comunque ha soste-nuto i costi per l’investimento preventivando an-che di disporre del credito, si pone certamente in piena rotta di collusione con il dettato dell’art. 3 della Costituzione, ostacolando, ad ogni buon conto, per via normativa, anche il libero agire dell’iniziativa economica. 31 Ved. sul punto A. Mastroberti, Zone franche urbane in via

di transizione, in “Italia Oggi” del 26 luglio 2010.

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Conclusivamente, la ragionevolezza di una norma tendente a revocare un beneficio fiscale deve pro-babilmente essere soppesata anche alla luce delle finalità che animavano il provvedimento che in origine aveva introdotto un determinato bonus fi-scale, e deve comunque essere inquadrata nel complesso delle disposizioni fiscali di favore per le imprese, disposizioni che spesso tendono a fa-vorire determinati investimenti economici; se, cioè, una disposizione restrittiva come quella contemplata dal D.L. n. 185/2008 viene a colli-dere con il quadro sistematico di riferimento in materia di agevolazioni fiscali all’impresa, col-to attraverso la ratio o la funzione oggettiva, ri-spetto al quale l’oggetto della questione costitui-sce un quid estraneo o dissonante, si pone eviden-temente un problema di ragionevolezza della norma esaminata rispetto al complesso delle norme di settore che intendono favorire in questo modo la realizzazione di investimenti e la ripar-tenza dell’economia di settore. L’obbligo di ragio-nevolezza, nel campo tributario, infatti, prende le forme, eminentemente, di un obbligo di coeren-za e di non contraddizione32. Se si intendevano favorire gli investimenti in un dato settore, occorre anche valutare se il ri-torno in termini di risparmio erariale connesso alla negazione dello stesso bonus sul quale era le-gittimamente maturata l’aspettativa del con-tribuente basterà a contrastare il senso di repul-sione ad investire che monta quando si perde la fiducia in un sistema Paese, da considerarsi a dir 32 Così G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, cit., pagg. 164

e seg. L’autore riprende, a questo specifico proposito, la clas-sificazione di G. Scaccia, Gli “strumenti” della ragionevolez-za nel diritto costituzionale, Giuffrè, Milano, 2000.

poco “ballerino” in termini di rispetto delle rego-le e sicurezza del panorama normativo in cui si intenderebbe immettere capitali. È proprio con questo genere di norme a visuale limitata che il sistema Paese perde, pezzo dopo pezzo, la pro-pria consistenza e solidità sul piano interna-zionale. Di certo stiamo parlando di tematiche di stretta competenza della discrezionalità del Legislatore, ma il punto nodale sollevato dalla Corte di Cassazione consiste nei limiti di ordi-ne costituzionale cui lo stesso Legislatore deve andare incontro nel momento in cui si incam-mina lungo l’impervio sentiero della ricerca di risorse. Questi limiti, nel caso specifico, vanno individuati nel principio generale di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione, il che sembra volersi tradurre nell’esigenza che tutti i soggetti che han-no dato corpo ad investimenti per ricerca e svi-luppo prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 185/2008 trovino speculare risposta in termini di fruizione del bonus, poiché questo la legge origi-naria prevedeva, sostanzialmente, mentre la nor-ma limitatrice, intervenuta poscia, nel corso del 2008, si è posta in netta rotta di collisione con il basilare principio dell’affidamento e della certezza del diritto, ostacolando, tra le altre co-se, anche il libero esercizio delle iniziative econo-miche (aspetto giudicato non rilevante dalla Cor-te di Cassazione). Quando si ha a che fare con le concrete esigenze economiche delle imprese va messa al bando la stessa idea che queste ultime possano utilmente operare in un vero e proprio far west normativo; uno scenario come questo, un Paese storicamen-te avvezzo a fregiarsi del titolo di “culla del dirit-to”, probabilmente non se lo può permettere.

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fascicolo 1

APPROFONDIMENTO

Notifica dell’accertamento prima di sessanta giorni dal Pvc

di Alfio Cissello

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza 29 luglio 2013, n. 18184, ha sancito che l’avviso di accertamento emesso prima del decorso di sessanta giorni dalla consegna del verbale di constatazione è nullo per viola-zione del contraddittorio, principio che trae origine dall’ordinamento costituzionale e dal diritto comunitario. La nullità, però, non si verifica se l’Agenzia delle Entrate dimostra, anche nel corso del giudizio, che sono presen-ti ragioni di “particolare e motivata” urgenza, che, secondo alcune sentenze, possono consi-stere nell’imminenza del decorso dei termini di decadenza.

1. Premessa

La fase del contraddittorio tra uffici finanziari e contribuente ha una notevole importanza, siccome proprio tramite il confronto fra le parti può essere evitato il contenzioso. Tale diritto attua l’art. 97 della Cost., secondo cui la Pubblica Amministrazione deve agire se-condo i canoni di efficienza ed imparzialità.

In genere, la giurisprudenza sembra ancora ne-gare che nel sistema fiscale esista un generale diritto al previo confronto tra le parti. Non a ca-so, secondo l’orientamento maggioritario l’o-messa instaurazione del contraddittorio con il contribuente non causa la nullità dell’atto né ne-gli accertamenti scaturenti dalle indagini finan-ziarie1 né in quelli relativi al “redditometro” ante D.L. n. 78/20102. Premesso ciò, è doveroso rammentare che il le-

gislatore ha assunto un atteggiamento di favor nei confronti del contraddittorio tra contribuen-te e Amministrazione finanziaria, introducendo, oltre all’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000, norma oggetto del presente approfondimento, anche altre ipotesi in cui l’ente impositore, pri-ma di emanare l’atto, deve confrontarsi con il contribuente. 12 Basti pensare agli accertamenti basati sugli stu-di di settore3, sulla c.d. “clausola antielusiva”4, sul disconoscimento dei costi black lists5 e, da ultimo, sul “redditometro”6.

È importante evidenziare come la necessità del contraddittorio sia stata palesata dalla Corte di Giustizia, con una pronuncia che, sebbene relati-va al comparto dei diritti doganali, contiene principi suscettibili di applicazione per tutte le imposte. Infatti, il diritto ad un confronto tra le parti non origina solo dall’applicazione del dirit-to comunitario, ma anche dalla Costituzione. Nel caso sottoposto all’esame della Corte di Giu-stizia, è stato domandato se può ritenersi compa-tibile con il diritto comunitario una norma (art. 10 della legge generale tributaria n. 398/1998 del 1 Cass. 7 febbraio 2008, n. 2821, Cass. 23 luglio 2008, n.

20268 e Cass. 24 gennaio 2013, n. 1682, tutte in banca dati “fisconline”.

2 Cass. 27 marzo 2010, n. 7485, in banca dati “fisconline”. 3 Art. 10 della L. n. 146/1998. 4 Art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973. L’operatività di detta

norma nel caso degli accertamenti relativi al recupero del-l’imposta di registro in virtù della riqualificazione degli at-ti ex art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 è stata esclusa da Cass. 19 giugno 2013, n. 15319, in banca dati “fisconline”.

5 Art. 110, comma 11, del Tuir. 6 Art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 post D.L. n. 78/2010.

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6352 APPROFONDIMENTO – Accertamento

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fascicolo 1

Portogallo) che, dopo aver previsto il diritto al-l’audizione del contribuente, contempli che “il termine per esercitare oralmente o per scritto il diritto all’audizione non può essere inferiore a 8 giorni né superiore a 15 giorni”. La Corte di Giu-stizia ha sancito che in linea di principio, la legge oggetto del giudizio è compatibile con il diritto comunitario, ma che spetta al giudice nazionale l’accertamento delle circostanze di causa sull’uti-lità del termine effettivamente concesso all’im-portatore dalle autorità doganali nonché l’indagi-ne sulla concreta valutazione delle osservazioni difensive presentate dall’importatore da parte delle autorità doganali avuto riguardo al momen-to di presentazione delle stesse ed al lasso di tem-po trascorso sino all’emanazione del provvedi-mento adottato nei confronti dell’operatore eco-nomico7. Il carattere rilevante della menzionata sentenza è stata sostenuta anche dalle Sezioni Unite con la pronuncia 29 luglio 2013, n. 181848, oggetto del presente articolo.

L’art. 12 u.c. della L. n. 212/2000 riconosce al contribuente il diritto al contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria, successivamente al rilascio del Pvc. È stabilito, infatti, che, nel rispetto del principio di cooperazione tra Amministrazione e contri-buente, dopo il rilascio della copia del Pvc da parte degli organi di controllo, quest’ultimo può comunicare, entro sessanta giorni, osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impo-sitori.

L’avviso di accertamento non può essere emana-to prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di “particolare e motivata” urgenza (c.d. “accertamento anticipato”).

Le memorie possono avere il contenuto più va-rio, volgendo all’evidenziazione di lacune, in-certezze e imprecisioni correlate alla verifica e risultanti nel processo verbale o alla richiesta degli opportuni approfondimenti.

Queste ultime possono anche essere presentate dopo i sessanta giorni, in quanto nessun elemen-to normativo induce ad affermare la perentorie-tà del termine, che costituisce solo un lasso tem-porale utile ad evitare l’emanazione dell’accer-tamento, per cui quando esso è decorso, da un lato l’atto può essere notificato, dall’altro nulla 7 Corte di Giustizia UE 18 dicembre 2008 causa C-349/07,

c.d. sentenza “Sopropè”, in banca dati “fisconline”. 8 In “il fisco” n. 32/2013, fascicolo n. 1, pag. 4975.

vieta al contribuente di produrre ugualmente le memorie. È chiaro che in tale fattispecie sarà più difficile censurare l’atto se, nella parte motiva, le memo-rie non sono state prese in considerazione, spe-cie ove tra la notifica della memoria e quella del-l’accertamento sia intercorso un tempo breve, ad esempio di due o tre giorni.

2. Valenza dell’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000 e rispetto del termine

L’accertamento non può essere emanato prima della scadenza dei termini per la presentazione delle osservazioni e delle richieste del contribu-ente, quindi prima di sessanta giorni dalla consegna del Pvc. I suddetti termini possono non essere rispettati solo in casi di urgenza “particolare e motivata”.

Questa prescrizione, essendo contenuta nella L. n. 212/2000, vale per tutti i comparti impositi-vi, non essendo circoscritta alle imposte sui red-diti e all’Iva, con l’eccezione dei diritti doganali di cui all’art. 34 del D.P.R. n. 43/1973, per i qua-li, come prevede l’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000, opera l’art. 11 del D.Lgs. n. 374/19909. Pertanto, la violazione relativa alla mancata os-servanza del termine dilatorio dei sessanta gior-ni dalla consegna del Pvc può essere fatta valere, a titolo esemplificativo e fermo restando quanto si esporrà in merito alle c.d. “indagini a tavolino”, per i tributi locali, per l’imposta di registro e per l’imposta sostitutiva sui finanziamenti.

Nonostante l’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000 faccia espresso riferimento all’avviso di accertamento, si ritiene che il termine di sessan-ta giorni debba essere rispettato anche nel caso di provvedimenti che, sebbene non siano deno-minati formalmente come accertamenti, abbia-no funzione accertativa. È il caso, ad esempio, degli avvisi di liquidazio-ne, tipici delle imposte d’atto, emessi magari per richiedere l’imposta di registro derivante dal maggior valore accertato, oppure l’imposta sosti-tutiva sui contratti di finanziamento non dichia-rati, o ancora per la riqualificazione degli atti. Alle stesse conclusioni bisogna pervenire per gli avvisi di recupero dei crediti d’imposta, in quanto atti aventi valore accertativo, e non me-ramente liquidatorio10. 9 Anche nel comparto doganale esiste una procedura simile,

che consente la produzione delle memorie entro trenta giorni dalla redazione del verbale di constatazione.

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Accertamento – APPROFONDIMENTO 6353

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fascicolo 1

Invece, non rientrano nell’ambito applicativo dell’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000 gli atti tipici della riscossione, come quello di determi-nazione delle somme ex art. 29 del D.L. n. 78/2010, la cartella di pagamento, le intimazioni di pagamento e i vari atti a tal fine emessi per ri-scuotere le entrate locali. 10

Sugli effetti circa il mancato rispetto del termine di sessanta giorni la giurisprudenza si è espressa in senso discordante, ragion per cui la questione è stata demandata alle Sezioni Unite11.

All’interno della Suprema Corte si erano formati diversi orientamenti: un primo, che ritiene non possibile la nullità

dell’accertamento, in quanto la tutela del con-tribuente è garantita sia mediante l’autotute-la ordinaria sia all’interno della fase conten-ziosa12;

un secondo, secondo cui la nullità può essere dichiarata in quanto la violazione della norma impedisce al contribuente di interagire con la parte pubblica, e di evitare l’emanazione del-l’accertamento13;

un terzo, secondo cui la nullità, sulla scia di quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n. 244/200914, può essere di-chiarata solo se l’ufficio, nella parte motiva, non abbia specificato le ragioni di “particola-re e motivata” urgenza che hanno dato origi-ne all’emanazione dell’accertamento in via an-ticipata15.

Le Sezioni Unite risolvono il contrasto rigettan-do la tesi, fortemente lesiva nei confronti del contribuente, secondo cui la nullità dell’accerta-mento “anticipato” non potrebbe mai essere di-chiarata in quanto non prevista dalla norma, e comunque perché la difesa del contribuente può 10 Non dovrebbe rappresentare un precedente contrario

Cass. 23 marzo 2012, n. 4687, in banca dati “fisconline”, ove è stata negata l’applicabilità dell’art. 12, comma 7, del-la L. n. 212/2000. Detta sentenza prende le mosse dal fatto che l’avviso di recupero del credito d’imposta è propedeu-tico all’emissione dell’accertamento, cosa che, secondo l’art. 1, comma 421, della L. n. 311/2004, non può essere affermata, posto che dopo l’atto di recupero vi è diretta-mente il ruolo.

11 Cass. 11 maggio 2012, n. 7318, in banca dati “fisconline”. 12 Cass. 18 luglio 2008, n. 19875, in banca dati “fisconline” e

Cass. 18 febbraio 2011, n. 3988. 13 Cass. 15 marzo 2011, n. 6088, in banca dati “fisconline”. 14 In banca dati “fisconline”. 15 Cass. 3 novembre 2010, n. 22320 e Cass. 12 maggio 2011,

n. 10381, entrambi in banca dati “fisconline”.

essere espletata non solo in un momento antece-dente alla notifica dell’atto, ma anche in sede di autotutela e in sede contenziosa. Viene sancito che, nonostante la L. n. 212/2000 non abbia un valore superiore a quello delle norme primarie, essa contiene principi che costituiscono diretta attuazione dei canoni costituzionali del buon andamento della Pubblica Amministrazione e del diritto di difesa. In virtù di ciò, l’accertamento notificato ad un contribuente nei cui confronti sia stato disposto un accesso, una verifica o un’ispezione nei locali destinati all’attività commerciale e/o profes-sionale è nullo se il termine dilatorio dei ses-santa giorni non viene rispettato, salva la pre-senza dell’urgenza16.

Sul punto si era, prima dell’intervento delle Se-zioni Unite, espressa la Corte Costituzionale, che, con la sentenza 24 luglio 2009, n. 244, si era pronunciata a favore del contribuente, dichia-rando la manifesta inammissibilità della que-stione di legittimità dell’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000, nella parte in cui non prevede che l’accertamento emanato prima di sessanta giorni dalla consegna del Pvc sia nullo. Per i giu-dici costituzionali, il fatto che non sia prevista espressamente la nullità non comporta, di per sé, un contrasto con il dettato costituzionale, siccome il giudice a quo avrebbe dovuto adotta-re un’interpretazione costituzionalmente orien-tata della norma, saggiando “la possibilità di ri-tenere invalido l’avviso di accertamento emanato prima della scadenza del suddetto termine di sessanta giorni, nel caso in cui tale avviso sia privo di una adeguata motivazione sulla sua par-ticolare urgenza”.

Sempre prima dell’intervento delle Sezioni Uni-te, è stata altresì sostenuta l’incondizionata il-legittimità dell’accertamento “anticipato” e-messo senza motivazioni al riguardo, non aven-do nemmeno rilievo il fatto che, comunque, il contribuente avesse già prodotto le memorie difensive17. 16 Cass., SS.UU., 29 luglio 2013, n. 18184, in “il fisco” n.

32/2013, fascicolo n. 1, pag. 4975. La necessità di rispettare l’art. 12, comma 7, della L. n.

212/2000 non viene meno quando i verificatori formino due Pvc, uno in sede di accesso contenente la richiesta di esibi-zione di determinati documenti e l’altro in occasione del successivo contraddittorio con il contribuente. In questa fat-tispecie, l’accertamento è nullo se notificato prima del de-corso di sessanta giorni decorrenti dal secondo Pvc (Comm. trib. prov. Reggio Emilia 8 novembre 2012, n. 159/4/12).

17 Cass. 5 ottobre 2012, n. 16999, in banca dati “fisconline”.

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6354 APPROFONDIMENTO – Accertamento

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fascicolo 1

In altra occasione è stato affermato che le me-morie difensive possono essere prodotte pure in caso di verbali descrittivi della verifica, ovvero privi di contestazioni, per cui in dette ipotesi se l’accertamento venisse emesso prima del termi-ne, sussiste la nullità18.

Bisogna anche evidenziare che qualora l’accerta-mento sia notificato prima del decorso di trenta giorni dalla consegna del Pvc, tale condotta po-trebbe contrastare con l’art. 5-bis del D.Lgs. n. 218/1997, che, in determinate fattispecie relative a imposte sui redditi, Iva e Irap, dà diritto al contribuente di definire il Pvc fruendo della ri-duzione delle sanzioni a un sesto del minimo, se la comunicazione di adesione viene inviata entro trenta giorni dalla consegna del verbale19. Vi è da dire che l’omessa formazione del Pvc non sempre lede i diritti del contribuente relativa-mente alla possibilità di fruire dell’adesione, po-sto che se l’accertamento viene emanato senza essere stato preceduto dal verbale opera, almeno per le imposte sui redditi e per l’Iva, l’art. 15, comma 2-bis, del D.Lgs. n. 218/1997, per cui il contribuente può fruire dell’acquiescenza bene-ficiando della riduzione delle sanzioni a un sesto dell’irrogato20.

3. Ragioni di “particolare e motivata” urgenza

L’avviso di accertamento, come stabilito dall’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000, può essere emanato in via anticipata in caso di “particolare e motivata” urgenza.

La nullità non può dunque essere dichiarata se sono presenti i menzionati requisiti che, secon-do la tesi delle Sezioni Unite, non necessaria-mente devono essere indicati nell’atto di accer-tamento, in quanto la loro presenza, su ecce-zione del contribuente, può essere dimostrata nel corso del processo21. Invece, secondo la Corte Costituzionale, la man-cata indicazione, nell’accertamento, dei requisiti 18 Cass. 15 marzo 2011, n. 6088, in banca dati “fisconline”. 19 Comm. trib. reg. Firenze 11 dicembre 2012, n. 84/21/12. 20 Sotto questo aspetto, i diritti del contribuente verrebbero

dunque lesi ove l’Agenzia delle Entrate irrogasse le sanzio-ni in misura superiore al minimo: infatti, in tal caso la ri-duzione, a differenza di quanto avverrebbe nell’adesione al Pvc, sarebbe a un sesto dell’irrogato, e non a un sesto del minimo.

21 Cass., SS.UU., 29 luglio 2013, n. 18184.

che integrano la “particolare e motivata” urgen-za cagiona la nullità dell’atto per vizio di moti-vazione22.

L’accoglimento della tesi espressa dalle Sezioni Unite piuttosto che di quella della Corte Costitu-zionale non è privo di risvolti operativi: infatti, se si afferma che rileva non l’indicazione nella parte motiva dell’atto dell’urgenza, ma la pre-senza oggettiva di tale circostanza, il contribu-ente non può sollevare nel ricorso il vizio di mo-tivazione, siccome la necessità di emanare l’atto senza rispettare il termine dilatorio può essere dimostrata nel contenzioso. Le Sezioni Unite ritengono che la motivazione dell’accertamento abbia rilievo solo per ciò che concerne i requisiti sostanziali dell’atto, ovve-ro i presupposti di fatto e di diritto che hanno determinato la decisione amministrativa. Non è allora necessario, nella parte motivazionale, dare conto del rispetto delle regole procedimen-tali, argomento che potrà essere oggetto di di-scussione sia in sede di autotutela che in sede contenziosa.

Tanto premesso, vista la presa di posizione della Corte Costituzionale, nulla vieta di censurare l’at-to per difetto di motivazione, sostenendo che, di conseguenza, la questione relativa alla presenza della “particolare e motivata” urgenza non può essere eccepita per la prima volta in giudizio23.

3.1. Timore di perdita del credito erariale

Il timore di perdita del credito erariale legittime-rebbe, secondo la visione ufficiale, l’emanazione “anticipata” dell’atto24.

A nostro avviso, l’assunto desta perplessità, in quanto gli uffici finanziari, in caso di fondato ti-more di perdita del credito fiscale, possono già beneficiare di altri istituti quali i ruoli straor-dinari e le misure cautelari di cui all’art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997, queste ultime adottabili proprio sulla base del Pvc.

3.2. Fattispecie connesse a reati tributari

Il processo penale ed il processo tributario sono caratterizzati da completa autonomia, per cui la presenza di violazioni penali, a differenza di 22 Corte Cost. 24 luglio 2009, n. 244. 23 Si tratterebbe di un’indebita integrazione della motivazio-

ne in corso di causa. 24 Nota Agenzia delle Entrate 14 ottobre 2009, n. 142734, in

banca dati “fisconline”.

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Accertamento – APPROFONDIMENTO 6355

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fascicolo 1

quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate25, non dovrebbe rilevare ai fini della possibilità di emanare l’atto in via “anticipata”.

Anche la Comm. trib. reg. Torino, con la senten-za 7 giugno 2007, n. 18, si è espressa in tal sen-so, sulla base del fatto che la comunicazione di reato può essere inoltrata a prescindere dalla notifica dell’avviso di accertamento.

3.3. Imminente decorso dei termini per l’accertamento

È opportuno domandarsi se tra i casi di “partico-lare e motivata” urgenza, legittimanti il c.d. “ac-certamento anticipato”, possa rientrare l’immi-nenza dello spirare dei termini decadenziali. In caso di risposta affermativa, l’ufficio potrebbe notificare “accertamenti anticipati” al fine di non incorrere nella violazione dei termini.

Con la circ. 17 agosto 2000, n. 250400 (§ 4)26, la Guardia di Finanza ha sostenuto che il divieto di emanazione dell’accertamento prima del termi-ne determina “la necessità che il direttore della verifica ed il capo pattuglia, nell’effettuare le pertinenti valutazioni sull’urgenza dell’ultima-zione dei controlli, considerino l’opportunità di concludere l’ispezione relativa ai periodi d’im-posta in decadenza con almeno quattro mesi di anticipo sui termini legali”. In base a ciò, è possibile affermare che, secondo il Comando della Guardia di Finanza, sussiste-rebbe la cogenza del termine di cui all’art. 12 del-la L. n. 212/2000 anche con riferimento ai periodi d’imposta in decadenza.

Per l’Agenzia delle Entrate, invece, ciò potrebbe costituire un caso di “particolare e motivata” ur-genza, a condizione che la necessità di effettua-re accertamenti a ridosso del termine di sca-denza non provenga da un’errata pianificazione del controllo27.

La giurisprudenza di merito ha più volte sancito che l’imminenza dello spirare dei termini, di per sé, non legittima l’emissione anticipata dell’ac-certamento28. 25 Nota Agenzia delle Entrate 14 ottobre 2009, n. 142734. 26 In banca dati “fisconline”. 27 Nota Agenzia delle Entrate 14 ottobre 2009, n. 142734. 28 Comm. trib. prov. Genova 23 febbraio 2006, n. 15, Comm.

trib. prov. Brescia 7 marzo 2002, n. 12, Comm. trib. prov. Milano 10 maggio 2010, n. 126, Comm. trib. prov. Asti 15 ottobre 2012, n. 85/1/12 e Comm. trib. prov. Torino 25 gennaio 2013, n. 10/11/13.

Interessante appare la decisione di Comm. trib. prov. Savona 8 giugno 2012, n. 56/2/12, secondo cui la motivata urgenza sussiste qualora i dati utili per l’accertamento siano stati acquisiti da un reparto della Guardia di Finanza sito nel luo-go ove materialmente operava il contribuente, il quale aveva però un diverso domicilio fiscale, che lo faceva rientrare sotto la competenza di una Direzione provinciale situata in una città differente rispetto a quella della sede della Guar-dia di Finanza. La diversa sede dei due organi (Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate) le-gittima l’emanazione anticipata dell’accertamen-to, per evitare la decadenza, posto che l’urgenza, in questo caso, non è dovuta ad un’errata piani-ficazione del controllo. Altra giurisprudenza ha sostenuto che, di per sé, il tardivo invio del Pvc ad opera della Guardia di Finanza non è un fatto opponibile al contribuen-te, siccome trattasi di una circostanza non im-prevedibile, che è “l’esito di un’attività mal pro-grammata che si è conclusa con tale ritardo da compromettere il basilare principio della coope-razione tra amministrazione e contribuente”29.

La Suprema Corte, però, ha stabilito che l’urgen-za è in re ipsa quando vi è l’imminenza del de-corso dei termini di decadenza30. Detta presa di posizione è stata ribadita da Cass. 11 settembre 2013, n. 2076931, in quanto, secondo la censurabile visione dei giudici, la ratio di evita-re la decadenza risponde a esigenze di carattere pubblicistico, connesse all’efficienza della Pub-blica Amministrazione nel recupero dei tributi.

I giudici, richiamando l’art. 97 Cost., affermano che l’emanare l’atto in via anticipata per rispettare la decadenza attua l’efficienza della Pubblica Amministrazione, ma ciò non può che essere errato: come rilevato dalla stessa Agenzia delle Entrate, il controllo deve essere pianificato in an-ticipo, proprio per evitare la potenziale violazione dell’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000.

Pertanto, sostenere che l’imminenza del decorso della decadenza legittima il mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni significa giu-stificare l’errata o omessa pianificazione del con-trollo, il che è inaccettabile. A conclusioni diverse sono invece giunte Comm. trib. reg.

Firenze 1° aprile 2009, n. 26, 22 settembre 2009, n. 96 e Comm. trib. reg. Roma 8 aprile 2010, n. 69.

29 Comm. trib. prov. Torino 15 febbraio 2012, n. 10/9/12. 30 Cass. 13 luglio 2012, n. 11944, in banca dati “fisconline”. 31 In “il fisco” n. 35/2013, fascicolo n. 1, pag. 5449.

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6356 APPROFONDIMENTO – Accertamento

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fascicolo 1

Come stabilito da altra giurisprudenza, una tale conclusione porrebbe nel nulla la norma32.

4. Mancata considerazione delle memorie

La Suprema Corte ha stabilito che la mancata considerazione delle memorie non può, di per sé, cagionare alcuna nullità33.

Parte della giurisprudenza ha invece annullato avvisi di accertamento che, nella parte motiva, non hanno contraddetto le deduzioni difensive del contribuente34. Interessante si profila il ra-gionamento di Comm. trib. reg. Milano sez. Bre-scia 24 maggio 2012, n. 70/65/12, secondo cui, 32 Comm. trib. prov. Torino 15 febbraio 2012, n. 10/9/12. 33 Cass. 22 febbraio 2011, n. 4324. 34 Comm. trib. prov. Ragusa 25 gennaio 2002, n. 426/2/02 e

Comm. trib. prov. Milano 20 aprile 2009, n. 233.

ove il giudice esaminasse il merito della prete-sa senza annullare l’atto per questo motivo, si sostituirebbe indebitamente nelle prerogative degli uffici finanziari.

La necessità di vagliare le deduzioni difensive del contribuente è stata comunque sostenuta dall’A-genzia delle Entrate35.

È fondamentale che l’ente impositore, almeno nella maggior parte delle ipotesi, esamini con spirito critico le memorie del contribuente. Ove si sostenesse che il mancato esame delle stesse sia irrilevante, la necessità del contradditto-rio esternata dall’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000 sarebbe di fatto vanificata. Il contribuente, quindi, ben può proporre ricor-so sollevando anche il mancato esame delle me-morie prodotte, il che si sostanzia in una viola-zione indiretta dell’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000 e, più in generale, del contraddittorio. 35 Nota Agenzia delle Entrate 14 ottobre 2009, n. 142734.

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fascicolo 1

APPROFONDIMENTO

Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia

di Antonino Russo

Lo strumento del rinvio pregiudiziale consen-te, ai giudici degli Stati membri dell’Unione Europea, di affidare alla Corte di Giustizia un responso sull’esatta interpretazione o sulla va-lidità di una disposizione comunitaria. La pro-nuncia successiva non vincola solo il giudice del caso concreto. Lo scritto ripercorre sintetica-mente i tratti fondamentali dell’istituto.

1. Profilo generale del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia

Nell’ordinamento comunitario la corretta appli-cazione delle norme è ripartita fra giurisdizione comunitaria e giurisdizioni nazionali mentre l’in-terpretazione delle disposizioni comunitarie spet-ta in esclusiva alla giurisdizione comunitaria. Lo strumento, che raccorda queste due esigenze, è il rinvio pregiudiziale1 e il relativo procedi- 1 Bibliografia: P. Adonnino, Il rinvio pregiudiziale alla Cor-

te di Giustizia della Comunità europea, in “Rass. Tributa-ria” n. 5/2005, R. Conti, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. Dalla pratica alla teoria, in “Questione Giusi-tizia online” e incontro di studio “Gli strumenti a disposi-zione del giudice nazionale per l’applicazione del diritto europeo”, Brescia il 21 settembre 2012, Distretto della Corte di appello di Brescia; D.P. Domenicucci, Il meccani-smo del rinvio pregiudiziale; Relazione svolta all’incontro di studio organizzato dal CSM a Roma, 25-27 ottobre 2010, in www.csm.it e Il ruolo del giudice nazionale e la presentazione delle questioni pregiudiziali, Relazione te-nuta a Trier all’interno del seminario su “Le direttive con-tro la discriminazione 2000/43 e 2000/78 nella pratica”, 9 -10 maggio 2011; G. Nicastro, La pregiudiziale innanzi la Corte di Giustizia. Tecniche di redazione dell’ordinanza di remissione, CSM. Incontro di studio in materia civile ri-

mento, che ha natura incidentale2 e non conten-ziosa, ammette – e, in alcuni casi, obbliga3 – il giudice nazionale a sottoporre alla Corte di Giu-stizia Europea un quesito circa l’interpretazione o la validità di una norma dell’UE4, la cui solu-zione sia determinante per decidere la contro-versia dinanzi a lui pendente.

L’incidentalità di tale meccanismo è riscontra-bile nel fatto che esso non comporta la soluzione della controversia sottoposta al Giudice naziona-le ma fornisce a questo gli elementi di diritto

servato ai magistrati nominati con D.M. 5 agosto 2010 de-stinati a svolgere funzioni civili, promiscue, lavoristiche e giudici del lavoro. Roma 12-16 marzo 2012; R. Mastro-ianni, Il rinvio pregiudiziale, Università degli Studi di Na-poli, Federico II; i citati Autori sono occasionalmente ri-chiamati nelle note che seguono.

2 Secondo P. Adonnino, op. cit.: “Il rinvio pregiudiziale da parte dei Giudici nazionali alla Corte di Giustizia della Co-munità europea è una fase del processo. È assimilabile al-l’istituto delle questioni pregiudiziali del processo civile in quanto in ambo i casi si tratta di decidere questioni senza le quali non possono esserne decise altre che costituiscono l’oggetto principale del processo; […]. Vi sono purtuttavia delle diversità di non piccolo conto in quanto nel rinvio pre-giudiziale alla Corte di Giustizia si ha il cambio della sede del Giudice che deve decidere, in questo essendo assimilabi-le alle questioni pregiudiziali di illegittimità costituzionale, secondo meccanismi noti in Paesi quali l’Austria, la Germa-nia, l’Italia o anche il Belgio e la Spagna”.

3 Sulla distinzione tra facoltà e obbligo di rinvio si rimanda a successivo paragrafo.

4 Nessun giudice nazionale può dichiarare invalido un atto comunitario e ciò comporta la necessità di rivolgersi alla Corte di accertarne la validità; cfr. Corte Giust., sent. 22 ottobre 1987, Foto-Frost, 314/85, Racc. p. 4199; Corte Giust., sentt. 6 dicembre 2005, C-461/03, Gaston Schul, Racc. p. I-10513; 10 gennaio 2006, C- 344/04, IATA e EL-FAA, Racc. p. I-403.

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comunitario necessari per emettere la sentenza5. Così, in pratica, la Corte di Lussemburgo è chia-mata a pronunciarsi in via pregiudiziale sull’in-terpretazione del diritto dell’Unione Euro-pea (nel prosieguo: “UE”) e sulla validità degli atti adottati dalle istituzioni, dagli organi e or-ganismi della stessa UE, alla stregua dei poteri conferiti dall’art. 19, par. 3, lett. b), Trattato sul-l’Unione europea e dall’art. 267 Trattato sul fun-zionamento dell’Unione europea (già art. 2346 del Trattato istitutivo della Comunità europea) e, sul versante procedurale, dagli artt. 23 e 23 bis Statuto CE e 1054 e 1075 del Reg. proc. appro-vato il 25 settembre 2012)7 8.

Sollevata la questione pregiudiziale per mezzo del rinvio alla Corte e disposta la simultanea sospen-sione del processo a quo, si instaura un particola-re procedimento, correntemente definito “da giu-dice a giudice”9, ove le parti del giudizio principa-le svolgono le loro difese in un contraddittorio che prevede l’intervento delle istituzioni e degli Stati membri che decidano di parteciparvi. Proprio dai suindicati Trattati il rinvio pregiudi-ziale assorbe quegli elementi fondamentali per sviluppare – tramite l’immediata applicabilità e la supremazia delle norme comunitarie sugli ordinamenti dei Paesi membri – la più am-pia efficacia cosicché il rinvio pregiudiziale as-solve tre funzioni. La prima è tipicamente nomofilattica, cioè de- 5 L. Ferrari Bravo, Art. 177, in “Commentario CEE”, Mila-

no, pag. 1310. 6 L’art. 234 del Trattato prevede che la Corte è competente a

pronunziare, in via pregiudiziale: a) sull’interpretazione del Trattato; b) sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle Istituzioni della Comunità e dalla BCE; c) sull’interpretazione degli statuti degli organismi creati con atto del Consiglio quando sia previsto dagli statuti stessi.

7 L’art. 256 TFUE, modificato dal trattato di Nizza, ha eli-minato l’ultima “riserva di competenza” che il precedente testo dello stesso articolo garantiva alla Corte di giustizia, relativa proprio al trattamento delle questioni pregiudizia-li, prevedendo la possibilità di attribuire al Tribunale la competenza a conoscere di tali questioni, seppur in mate-rie specifiche espressamente indicate nello Statuto. Ad oggi, comunque, questa possibilità non si è ancora tradot-ta in formali attribuzioni di competenze.

8 Restano ovviamente escluse, dal rinvio pregiudiziale di va-lidità, le norme del trattato le quali, collocandosi in posi-zione apicale nella gerarchia delle fonti dell’Unione, non possono essere messe in discussione di fronte alla Corte, rappresentando anzi il principale parametro di legittimità degli atti di diritto derivato.

9 M.C. Reale-M.Borraccetti, Da giudice a giudice. Il dialogo tra giudice italiano e Corte di giustizia delle Comunità eu-ropee, Milano, 2008.

stinata – proprio attraverso le monopolizzanti conclusioni dei propri procedimenti interpretativi – alla formazione di una applicazione uniforme del diritto tra gli Stati membri dell’intera UE. Va da sé che solo una interpretazione “centralizza-ta”, posta in posizione di indubbia supremazia ri-spetto a quelle nazionali, può effettivamente sot-tintendere alla emarginazione di quelle difformità applicative del diritto, tipiche di un sistema in cui in giudici comuni sono, di fatto, decentrati.

Le altre due funzioni del rinvio pregiudiziale so-no forme di controllo destinate a diversi oggetti: una (indiretta) sulla compatibilità degli atti in-terni (di una legge, ma anche di un atto ammini-strativo o di una prassi amministrativa) rispetto al diritto dell’UE, l’altra (giurisdizionale) di legitti-mità degli atti dell’UE. Quest’ultimo controllo av-viene attraverso un esame di validità che trae ori-gine dall’impugnazione del provvedimento interno che attua, appunto, la normativa europea presup-posta; attraverso il rinvio pregiudiziale di validità, è possibile allora chiamare in causa la Corte di Giustizia al fine di ottenere una pronuncia che po-trà (o meno) confermare la legittimità dell’atto dell’Unione Europea o dichiararne l’illegittimità. II compito, assegnato alla Corte, di assicurare il rispetto del diritto nella interpretazione ad ap-plicazioni del Trattato è indicato dall’ art. 220 del Trattato stesso10. Il supremo consesso eu-ropeo esercita tale assegnazione facendo un rife-rimento estremamente estensivo della nozione di fonti di diritto del sistema comunitario, ri-comprendendovi sia le fonti di diritto originario sia quelle di diritto derivato, tipiche ed atipiche. La dottrina, a tal proposito, ha rammentato che appartengono al diritto di cui la Corte cura il ri-spetto, anche le regole della cosiddetta soft law (raccomandazioni, pareri, note interpreta-tive, codici di condotta, eccetera) e del di-ritto non scritto (law in action) che espri-mono principi elementari e generali su cui si ba-sa ogni ordinamento11.

2. La composizione “trifasica” del rinvio pregiudiziale e la giurisdizione “dichiarativa” della Corte di Giustizia

Il meccanismo del rinvio pregiudiziale nasce in-nanzi al giudice nazionale che decide di sospen- 10 La medesima statuizione è prevista nell’art. I-28 del proget-

to di trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa. 11 P.Adonnino, op. cit.

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dere e di interpellare la Corte12 e si conclude sempre al cospetto di quest’ultimo che – nel ri-spetto di quanto indicato dalla Corte nella se-conda delle tre fasi qui indicate – risolve la controversia13. In effetti, la condotta della CG – quale giudice “common law” che valuta sulla base della “sub-stance over form” – obbedisce alla esigenza di fornire l’interpretazione del diritto UE o di statuire sulla sua validità, residuando al giudice dello Stato membro l’applicazione di tale diritto alla situazione di fatto sulla quale verte il proce-dimento pendente innanzi allo stesso. È tuttavia di palmare evidenza che le sentenze14 così rese dalla Corte – e conclusivamente ricon-ducibili ad una interpretazione della norma co-munitaria che “osta” o che “non osta” all’appli-cazione di una norma nazionale – finiscano co-munque con l’indicare al Giudice nazionale l’incompatibilità della norma interna ovvero la compatibilità con il sistema della normativa co-munitaria. Ciò vuol dire, a contrario, che il giu-dice di Lussemburgo non può essere chiamato, nemmeno indirettamente, a interpretare il dirit-to interno.

Alla luce delle considerazioni che precedono è fa-cile cogliere, in un assetto normativo così com-posto, la c.d. “giurisdizione dichiarativa” rap-presentata dalla Corte di Giustizia. Come autorevolmente affermato in dottrina15, la funzione dichiarativa, sostanzialmente, non si 12 La cancelleria del giudice rinviante procede alla notifica,

dell’ordinanza di rinvio del giudice, alle parti del processo a quo, agli Stati membri e alla Commissione, nonché al Consiglio e al Parlamento, quando l’atto di cui si chiede l’interpretazione emani da questi ultimi. Gli interessati possono presentare, ai sensi dell’art. 96 reg. proc., una memoria scritta (le “osservazioni”), entro il termine tassa-tivo ed improrogabile di 2 mesi (oltre al termine forfetario di 10 giorni per la distanza).

13 Va ricordato che, a seguito della sentenza della Corte, il processo deve poi essere riassunto conformemente a quanto disposto dalle disposizioni processuali nazionali.

14 R. Conti, op. cit., ricorda che la Corte di Giustizia, nel ri-spondere ai quesiti posti dal giudice nazionale può risponde-re con una sentenza o con un’ordinanza. Nel secondo caso, la Corte, su proposta del giudice relatore e sentito l’Avvocato Generale, adotta un’ordinanza motivata quando la questione pregiudiziale è identica ad altra già decisa, quando la rispo-sta ai quesiti può essere agevolmente desunta dalla giuri-sprudenza esistente (un po’ evocando il principio dello stare decisis di matrice anglosassone) quando la risposta al quesi-to non dà adito al alcun dubbio ragionevole (art. 99 Reg. Corte Giust.). La sentenza della Corte di Giustizia, invece, può essere oggetto di nuovo sindacato da parte della stessa Corte di Giustizia ove sorga difficoltà sul suo senso e la sua portata(art. 158 Reg. Corte Giust.).

limita15all’enunciazione dei principi dell’ordina-mento ma crea un fenomeno di sviluppo e di inte-grazione, colmando le lacune che necessariamen-te discendono dal carattere non completo dell’or-dinamento comunitario; tale funzione di inte-grazione – sempre ad avviso della medesima fonte di pensiero – si compone di una integra-zione negativa – che si ha quando la Corte, con sentenza, dichiara incompatibile, con il diritto comunitario, le norme degli ordinamenti nazio-nali – e di una integrazione positiva che si con-cretizza quando le sentenze eliminano norme che ostacolano il corretto funzionamento dei principi fondamentali del Mercato Unico, anche se non possono creare sistemi compatibili. In particolare, poi il rinvio pregiudiziale di validità, rientrando nell’ambito della funzione di controllo sulla validità degli atti dell’UE attri-buita alla CG, va collegato e coordinato con le altre procedure di controllo che sono l’azione di annullamento (art. 263 TFUE), l’eccezione di in-validità (art. 277 TFUE) e l’azione di responsabi-lità (artt. 268 e 340 TFUE).

3. L’oggetto del rinvio

L’oggetto del rinvio pregiudiziale di interpre-tazione è molto ampio e ricomprende tutto il sistema giuridico comunitario, dai trattati istitu-tivi agli accordi di associazione, dagli atti delle istituzioni, anche quelli non vincolanti, ai prin-cipi generali del diritto comunitario; questo, in-dipendentemente dal fatto che tali atti siano tal-volta atipici o innominati, vincolanti (o meno), direttamente o indirettamente efficaci. Ne deriva che le norme – costituenti oggetto di questioni pregiudiziali – sono quelle che appartengono al diritto dell’UE complessivamente inteso, com-prendente anche il diritto non scritto. Pertanto, possono essere investiti dal rinvio pregiudiziale sia il diritto primario dell’UE (appunto: i Tratta-ti, istitutivi, integrativi e modificativi, i protocol-li ad essi annessi e gli accordi di adesione), sia gli “atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’UE”16. L’interpretazione può vertere anche: sui princípi generali (non scritti) del diritto 15 P. Adonnino, op. cit. 16 In pratica gli atti di tutte le istituzioni dell’UE elencate

dall’art. 15 TUE: Parlamento europeo, Consiglio europeo, Consiglio, Commissione europea, Corte di giustizia dell’U-nione europea, Banca centrale europea, Corte dei conti; in secondo luogo, gli atti degli organi e degli organismi crea-ti con provvedimenti delle istituzioni.

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dell’UE17; sugli accordi internazionali stipulati dall’UE18

19, in particolare, gli accordi di associazione, come pure gli atti posti in essere da organi i-stituiti da un accordo internazionale20;

sulle sentenze della Corte, siano esse pregiu-diziali o di altro tipo21.

Sebbene l’art. 267 TFUE non imponga l’obbligo di rinvio alle giurisdizioni che non giudicano in ultima istanza, la Corte ha statuito che esse non possono dichiarare illegittimo un atto dell’UE, senza averla previamente investita di una que-stione pregiudiziale c.d. di validità22. Peraltro, la Corte ha ammesso che il giudice na-zionale che nutre gravi dubbi sulla validità di un atto dell’UE possa sospendere l’esecuzione dell’atto nazionale basato sull’atto dell’UE (sem-pre che sottoponga alla Corte la questione di va-lidità di quest’ultimo

e sempre che sussistano i

requisiti per la concessione della misura caute-lare23). All’interno di tale sistema non mancano le ecce-zioni sulla competenza attribuita alla CG: esse, sono contenute nell’art. 276 TFUE e riguardano l’esame di validità o proporzionalità di operazio-ni effettuate dalla polizia o da altri servizi inca-ricati dell’applicazione di una legge di uno Stato membro o dell’esercizio delle responsabilità in-combenti dagli Stati membri per il mantenimen-to dell’ordine pubblico e la salvaguardia della si-curezza interna. 17 Fenomeno riscontrabile nella giurisprudenza comunitaria

attinente i princípi sovrastanti il tema delle garanzie dei diritti fondamentali nel diritto dell’Unione (CG, sentenza 16 dicembre 2008, causa C-213/07, Michaniki, in Racc., p. I-9999).

18 L’interpretazione della Corte di Giustizia ha, ovviamente, effetto però solo per l’UE.

19 Corte di Giustizia, 30 aprile 1974, causa 181/73, Haege-man, in Racc., p. 449.

20 Corte di Giustizia, 20 settembre 1990, causa C-192/89, Se-vince c. Staatssecretaris van Justitie, in Racc., p. I-3461, punto 10.

21 Corte di Giustizia, ord. 5 marzo 1986, causa 69/85, Wuen-sche Handelgesellschaft GmbH & Co c. Germania, in Racc., p. 947.

22 Corte Giust., sent. 22 ottobre 1987, Foto-Frost, 314/85, Racc. p. 4199. La Cg rammenta che “l’esistenza di diver-genze fra i giudici degli Stati membri sulla validita degli atti potrebbe compromettere la stessa unita dell’ordina-mento giuridico ed attentare alla fondamentale esigenza della certezza del diritto”.

23 Corte Giust., sent. 21 febbraio 1991, Zuckerfabrick, C-143/88 e C-92/89, Racc. p. I-415.

4. L’inderogabile requisito della “giurisdizionalità” dell’organo rinviante

Il rinvio pregiudiziale può essere operato da qualsivoglia giurisdizione di uno Stato mem-bro, purché essa sia effettivamente qualificabile come tale. Si tratta di una precisa previsione dei commi 2 e 3 dell’art. 234. Va premesso che la nozione di “giurisdizione” di cui all’art. 267 TFUE è una nozione di diritto “au-tonoma” e “unitaria”dell’UE, con la conseguenza che l’organo rimettente deve possedere la qualità di giurisdizione soprattutto in senso funzionale, deve cioè realmente esercitare, in una concreta fattispecie, la funzione di giudice e non quella di autorità amministrativa 24

quindi, ai fini di tale

configurazione non rileva il nomen iuris o la qua-lificazione data all’organo dall’ordinamento dello Stato membro, atteso che quest’ultima deve essere definita in base ad una interpretazione comu-nitaria che ne assicuri l’uniformità di applicazio-ne negli Stati membri (sentenze Danfoss C-109/88, Broekmeulen C-246/80). Numerosi sono stati, infatti, i casi in cui – sul tema del requisito della giurisdizionalità – la CG è giunta a conclusioni opposte a quella degli Sta-ti membri relativamente ad organi appartenenti a questi ultimi25.

Per meglio descrivere il quadro giurisprudenzia-le esternato, va rappresentato che – ad avviso della CG – rispondono al criterlo di giurisdizio-nalità gli organi che presentano i seguenti requi-siti26: i) l’origine legale; ii) il carattere permanente; iii) l’obbligatorietà della giurisdizione; iv) la natura contraddittoria del procedimento; v) il fatto che applichino norme giuridiche27 e 24 Corte Giust., ord. 18 giugno 1980, Borker, 138/80, Racc. p.

1975; sent. 12 novembre 1998, Victoria Film, C-134/97, Racc. p. I-7023; ord. 12 gennaio 2010, Amiraike Berlin, C-497/08, Racc. p. I-101.

25 È stato, per esempio, riconosciuto carattere giurisdiziona-le al Consiglio di Stato quando svolge funzione consultiva nel contesto del ricorso straordinario al Capo dello Stato (Corte Giustizia, 16 ottobre 1997, cause C-69/96 e C-79/96, Garofalo e altri, in Racc., p. I-5306).

26 Corte Giust., sentt. 30 giugno 1966, Vaassen-Göbbels, 61/65, Racc. p. 408; 17 settembre 1997, Dorsch Consult, C-54/96, Racc. p. I-4961; 31 maggio 2005, Syfait e a., C-53/03, Racc. p. I-4609; 10 dicembre 2009, Umweltanwalt von Kärnten, C-205/08, Racc. p. I-11525.

27 Sentenze Waassen C-61/65, Dorsch C-54/96.

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non si pronuncino secondo equità; vi) l’indipendenza28 e la terzietà; vii) un’ attività svolta dall’Organo rinviante, inte-

sa come funzionale a una decisione di natura giurisdizionale (sentenza Politi C-43/71).

Tal tipo di identificazione ha consentito la “rice-vibilità”, da parte della Corte di Lussemburgo, di rinvii effettuati da organi incardinati nell’ordine giudiziario nazionale nel corso di procedimenti cautelari, sommari, fallimentari, esecutivi. In particolare, un organo giurisdizionale nazio-nale che decide su un gravame avverso un lodo arbitrale deve essere considerato “giurisdizione nazionale” ai sensi dell’art. 267 TFUE anche quando, in base al compromesso concluso tra le parti, deve giudicare secondo equità29.

L’espressione “giudizio” è stata intesa dalla CG in senso lato30, riprova ne è l’esclusione di quei procedimenti relativi all’esercizio di funzioni amministrative31, sia pure nell’ambito del po-tere giudiziario, ovvero quei procedimenti in cui l’organo di rinvio espleta una funzione non già prettamente giurisdizionale, bensì meramente consultiva32 33 34. Parimenti la CG ha negato35 il 28 Sentenza Corbiau C-24/92. 29 R. Mastroianni, op. cit. 30 Problematica la soluzione su organi come la Corte dei

Conti italiana (v. nota n. 35) e il Consiglio di Stato italiano che si pronuncia in sede consultiva. La CG ha riconosciu-to la giurisdizionalità e quindi l’idoneità a rimettere que-stioni pregiudiziali, al Consiglio di Stato quando emette pareri sui ricorsi straordinari al Capo dello Stato (senten-ze Garofano C-69-79/96).

31 Altrettanto problematica la soluzione sulle “autorità am-ministrative indipendenti”; la CG ha ritenuto irricevibile un rinvio pregiudiziale proposto dall’organismo spagnolo (Asoc. Espanola de Banca Privada) che si occupa di tutela della concorrenza, mentre è giunta ad una conclusione opposta per l’autorità antitrust greca, motivando (tra l’al-tro) la decisione sul legame stretto di tale organo con l’es-ecutivo; R. Mastroianni, op. cit.

32 Corte Giust., ord. 5 marzo 1986, Greis Unterweger, 318/85, Racc. p. 955.

33 Affermativo il riscontro sul requisto di giurisdizionalità effettuato dalla CG in ordine alle figure ( ormai scompar-se) del giudice conciliatore (Corte Giust., sent. 15 luglio 1964, Costa/ENEL, 6/64, Racc. p. 1141 ) e del pretore (Corte Giust., sent. 11 giugno 1987, Pretore di Salò/X, 14/86, Racc. p. 2545); sempre affermativo il riscontro de quo per il giudice per le indagini preliminari (Corte Giust., ord. 15 gennaio 2004, Saetti e Frediani, C-235/02, Racc. p. I-1005; sent. 28 giugno 2007, Dell’Orto, C-467/05, Racc. p. I-5557), il giudice di pace, il giudice cautelare ed il giudice del processo monitorio.

34 Si veda D.P. Domenicucci, op. cit.

carattere di giurisdizionalità ai collegi arbitrali privati, ai Consigli degli ordini professionali nel-la loro funzione decisoria in materia disciplina-re, alla pubblica accusa e agli organi che eserci-tano funzione giurisdizionale in casi eccezionali. Riconoscendo giurisdizionalità ad un rinvio ef-fettuato in sede di procedimento monitorio, la CG si è dimostrata, invece, poco rigorosa per quel che attiene il requisito del contradditto-rio, ossia quello che riguarda la possibilità – in capo alla parti – di fare valere i loro diritti da-vanti al giudice rinviante36.

5. Facoltà e obbligatorietà del rinvio pregiudiziale

L’art. 267 TFUE stabilisce un obbligo di rinvio solo in capo agli organi giurisdizionali “avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno” (terzo comma) mentre gli altri organi hanno una facoltà di rin-vio (secondo comma). La differenza tra facoltà ed obbligo del rinvio pregiudiziale è stata chiari-ta nella sentenza Rheinmühlen (C-166/73) e non vi è dubbio che la soluzione scelta dal Trattato riesca a ben coniugare la garanzia dell’interpre-tazione e dell’applicazione uniforme del diritto dell’UE, con l’interesse al buon funzionamento della CG e alla ragionevole durata dei procedi-menti interni, stante la residuale obbligatorietà del rinvio de quo; la “ratio” dell’obbligo è poi di facile individuazione e risiede nell’esigenza di evitare l’inefficacia di una interpretazione della norma comunitaria in una lite ove non fosse più possibile proporre un ricorso giurisdizionale di diritto interno. Il rinvio pregiudiziale obbligatorio pur tuttavia non è automatico ovvero non è conseguente alle mera istanza di parte37 e non è altresì am-missibile la richiesta, formulata alla Corte da una delle parti, di provvedimenti provvisori qua-le la sospensione dell’applicazione di un provve-dimento nazionale sospettato di incompatibilità con norme dell’Unione. 35 Oltre al procuratore della Repubblica, nella sua qualità di

magistrato inquirente e alla Corte dei conti in sede di con-trollo degli atti del governo e delle amministrazioni dello Stato.

36 Ne è un esempio la sentenza Birra Dreher del 1974, ove il rinvio era del Pretore di Roma,investito (appunto) di un procedimento di ingiunzione ex artt. 633 e seguenti c.p.c.; v.si G. Nicastro, op. cit.

37 Sentenza Cilfit (C-283/81).

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È piuttosto importante rimarcare il fatto che, pre-giudizialmente, la questione deve essere riferita a un caso concreto e questo nel rispetto dell’art. 234 del Trattato che impone alla Corte di contri-buire all’amministrazione della giustizia negli Sta-ti membri e vieta alla stessa di esprimere pareri consultivi su questioni generali o ipotetiche38. La presenza di un caso concreto “apre” la com-petenza alla pronuncia della Corte sulla inter-pretazione di norme comunitarie anche quando la fattispecie non è regolata dal diritto comuni-tario ma dal diritto nazionale, a condizione che quest’ultimo operi un rinvio a disposizioni del diritto comunitario perché sia determinato il contenuto o l’interpretazione delle norme (na-zionali) applicabili ad una situazione puramente interna od anche nel caso in cui la norma in questione riproduca pressoché testualmente una norma comunitaria39. È bene specificare che, oltre la mancata automa-ticità del rinvio su istanza di parte, il mancato esame di un’eccezione tendente a far sollevare dalle commissioni tributarie rinvio pregiudiziale – così come per il mancato esame di una que-stione di legittimità costituzionale da parte del giudice di merito – non costituisce causa di nul-lità della sentenza, potendo essere riproposta innanzi al giudice superiore. Diverso è invece il caso in cui il giudice del rinvio si discosti dall’in-terpretazione fornita dalla CG, circostanza che legittima, per tale ragione, l’impugnazione della sentenza emessa40.

6. Violazione dell’obbligo di rinvio

Nonostante sia pacifica la possibilità del giudice nazionale di scatenare l’overruling su una fatti-specie già regolata dalla CG, è principio ormai consolidato che la sussistenza di un precedente della Corte fa cessare l’obbligo del rinvio in capo al giudice di ultima istanza41; quella appena de-scritta non è l’unica eccezione all’obbligo di rin-vio, infatti è ritenuto possibile non provvedere in tal senso anche, come rammentato in dottrina42, 38 Questo in ragione del fatto che il sistema del rinvio pre-

giudiziale è concepito al fine di contribuire a risolvere una controversia effettiva e attuale (sentenze Meilicke C-83/91, Falciola C-286/88, Zabala Erasun e a., C-422-423-424/93).

39 Si veda in dottrina P. Adonnino, op. cit., e in giurispru-denza Fournier, causa C-73/89.

40 G. Nicastro, op. cit. 41 Cass., 9 ottobre 2006, n. 21635. 42 R. Mastroianni, op. cit.

nei casi di: manifesta irrilevanza della questione43; fittizietà della controversia (sent. Foglia - No-

vello, 11 marzo 1980); inesistenza di un “vero” dubbio interpretativo,

stante: a) la pacificità della questione (sent. Da Costa en Shaake, 27 marzo 1963) e la pos-sibile riproposizione (sent Eurico Italia ed al-tri, 3 marzo 1994), b) l’appartenenza del caso alla alla c.d. “teoria dell’atto chiaro” (sent. Cil-fit 6 ottobre 1982; Cass. Civ n. 10558/1996).

Tuttavia, escluse le eccezioni di cui sopra, una in-giustificata violazione dell’obbligo di rinvio, costi-tuendo violazione di una norma del Trattato, comporta la responsabilità dello Stato mem-bro che può essere accertata con la procedura al-lo scopo prevista dall’art. 226 del Trattato.

A tutela del soggetto che subisce un pregiudizio avente origine nella mancata osservanza della interpretazione de qua, valgono i principi della sentenza “Francovich”, che ha aperto la strada al risarcimento del danno ingiusto, causato della violazione del diritto dell’Unione da parte di uno Stato membro, per opera della domanda avanza-ta al giudice interno (v.si anche sent. Kobler). Lo Stato membro, su ricorso dell’interessato è tenuto al risarcimento dei danni causati ai sin-goli dalle violazioni del diritto comunitario, po-tendosi, in via alternativa, far ricorso all’avvio di una procedura di infrazione ex artt. 258 e 259 FUE nei confronti dello Stato inadempiente quale responsabile delle violazioni del diritto co-munitario da parte dei giudici nazionali.

7. Il particolare aspetto del rinvio pregiudiziale da parte della Corte Costituzionale

Peculiare è poi l’aspetto del rinvio per opera del-la Corte Costituzionale in quanto deve eviden-ziarsi che il giudice delle leggi opera diversa-mente, a seconda della presenza di un giudizio incidentale di costituzionalità o di un giudizio in via principale.

Nel primo caso, la Consulta – non essendo giu-dice della controversia e assistendo ad un pro-cedimento dinanzi ad essa che è già incidentale rispetto al processo del giudice a quo – non può sollevare eventuali questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia, salva la possibilità di pronun-ciarsi successivamente ex artt. 11 e 117 Cost. 43 Per un caso estremo, sentenza Falciola, 26 gennaio 1990.

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Contenzioso – APPROFONDIMENTO 6363

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nella medesima causa (c.d. “doppia pregiudi-zialità”).

Invece, nel caso in cui la Corte sia chiamata a decidere in via principale – non essendovi al-cun giudice a quo che possa sollevare il rinvio e trattandosi di giudizi che si svolgono in unica ed ultima istanza – sussiste addirittura, ai sensi del-l’art. 267, terzo comma, TFUE, l’obbligo (e non solo la competenza) del rinvio pregiudiziale. In tal senso, tangibile è stato il segno rilasciato con l’ord. 15 aprile 2008, n. 10344, provvedimen-to con il quale la Corte costituzionale, nell’am-bito di un giudizio in via principale avente ad oggetto la legittimità di una serie di imposte fis-sate dalla Regione Sardegna, ha deciso di solle-vare un rinvio pregiudiziale alla Corte di giusti-zia.

8. Il quesito

In considerazione della forma “interpretativa” che assumerà la conclusione della Corte, anche il quesito – rivolto a quest’ultima dal giudice na-zionale – è formulato come quesito interpre-tativo, tant’è che il giudice a quo, in altre paro-le, chiede alla Corte se l’interpretazione della norma dell’UE osti all’applicazione della norma-tiva nazionale così come la stessa dispone se-condo il proprio contenuto letterale; è bene però rimarcare che la Corte può interpretare il quesi-to e rilevarne i profili di diritto che necessitano al proprio responso anche rappresentando una pronuncia avente relazione con norme non chia-mate in causa dai quesiti ad essa pervenuti45. La procedura di remissione della questione pre-giudiziale è per alcuni aspetti non formale quanto alla formulazione del quesito ed alla pre-cisazione dell’oggetto, ma è tuttavia indispensa-bile che il giudice a quo rappresenti alla Corte gli elementi identificativi delle questioni di diritto comunitario di cui si chiede l’interpreta-zione (sentenze C-244/78, C-4/79, C-54/80)46 re- 44 In banca dati “fisconline”. 45 G. Tesauro, Diritto Comunitario, Padova 1955, pag. 271. 46 Dopo aver tollerato, a lungo, le motivazioni succinte (sen-

tenze Bertini C-98, 162 e 258/85) la Corte ha iniziato ad esprimere un orientamento maggiormente rigoroso, forse spinta in questo senso anche dall’abnorme carico di lavo-ro, dichiarando irricevibili domande pregiudiziali sinteti-che e non chiare; l’irricevibilità ha trovato motivazione nel fatto che tal difetto, mancando di definire il quadro di fat-to e di diritto nel quale si inseriscono le questioni solleva-te, non consentono alla Corte di fornire un’interpretazione utile al diritto comunitario, così come non consentono a-

stando salva una eventuale riformulazione del quesito e l’ammissione di interpretazione di nor-me non menzionate che la CG, di recente, ha in-teso salvaguardare alla luce del principio della cooperazione fra Corte e Giudici nazionali che, sicuramente, sottintende una valutazione ed una attività di assistenza della stessa Corte.

9. Gli effetti della sentenza

La domanda di pronunzia pregiudiziale porta, normalmente, alla emanazione di un responso della Corte in forma di sentenza che – oltre ad essere una pronunzia a contenuto dichiarati-vo (e, per quanto tale, inidonea a formare giudi-cato in senso sostanziale, ma di carattere obbli-gatorio per il Giudice nazionale, che non si può discostare dalla stessa47 48) – si configura, per-tanto, pregiudiziale sia in senso temporale, poiché precede la sentenza del giudice naziona-le, sia in senso funzionale, poiché è strumentale rispetto all’emanazione di quest’ultima. Come già accennato, la pronuncia della Corte, proprio in ragione della sua natura “chiarificatri-ce”, ha una sua efficacia retroattiva o ex tunc, nel senso che la norma dell’UE oggetto della que-stione pregiudiziale si dovrà interpretare in con-formità a quanto chiarito dalla Corte sin dal mo-mento della sua entrata vigore (sentenza BP C-62/96) . In tal modo l’intervento della CG fornisce

gli Stati membri delle altre parti interessate, di svolgere puntuali osservazioni sulla controversia (sentenze Tele-marsicabruzzo C-320, 321, 322/90, Monin I C-386/92).

47 P. Biavati-F. Carpi, Diritto processuale Comunitario, Mi-lano 2000, pag. 423.

48 Se, tuttavia, il giudice nazionale dovesse accorgersi che “la ratio decidendi della sentenza della Corte di Giustizia è derivata da una vicenda non coincidente con quella posta al suo vaglio, lo stesso giudice non sarà tenuto ad unifor-marsi alla decisione della Corte europea, ma dovrà sem-mai sollevare chiare; l’irricevibilità ha trovato motivazione nel fatto che tal difetto, mancando di definire il quadro di fatto e di diritto nel quale si inseriscono le questioni solle-vate, non consentono alla Corte di fornire un’inter-pretazione utile al diritto comunitario, così come non consentono agli Stati membri delle altre parti interessate, di svolgere puntuali osservazioni sulla controversia (sen-tenze Telemarsicabruzzo C-320, 321, 322/90, Monin I C-386/92); un nuovo rinvio o decidere egli stesso la causa sulla base dell’interpretazione del diritto comunitario rite-nuta congrua. Il che, in definitiva, da un lato dimostra quanto la sentenza interpretativa della Corte di Giustizia non determina affatto un ingessamento del diritto vivente della Corte e, per altro verso, ancora una volta valorizza l’opera del giudice nazionale, chiamandolo ad un operato che si avvicina parecchio a quello proprio del sistema di matrice anglosassone, tutto incentrato sul distinguishing” così R. Conti, op. cit.

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6364 APPROFONDIMENTO – Contenzioso

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contezza di quale avrebbe dovuto essere (e di quale dovrà essere) l’interpretazione, e quindi la conseguente portata applicativa, dei rapporti giu-ridici sorti prima della sentenza interpretativa49, purché non esauriti50 (ad esempio, perché sono decorsi i termini di decadenza o prescrizione posti dal diritto interno per l’esercizio del diritto o dell’azione a esso collegata). Tale principio non prevede eccezioni con riguar-do agli effetti endoprocessuali. Quanto agli ef-fetti che si producono al di fuori del processo, premesso che l’ efficacia “esterna” della pronun-cia pregiudiziale esonera gli altri giudici dall’ob-bligo di rinvio (v. sentenza Cilfit), va sottolineato poi che la regola della retroattività può essere temperata in ragione di alcune condizioni come il principio del legittimo affidamento e la por-tata “innovativa” della sentenza pregiudiziale.

Generalmente, il responso interpretativo della Corte di Giustizia non intacca quanti avessero già azionato la propria pretesa in giudizio ante-riormente alla pronuncia pregiudiziale51 52. Il problema della limitazione (eccezionale) ex nunc degli effetti delle pronunce53 si è posto nel-la prassi soprattutto con riferimento all’applica-zione di tributi nazionali di cui era contestata la compatibilità con il diritto dell’UE. La Corte ha ritenuto che la limitazione ex nunc degli ef-fetti delle proprie sentenze, come rammentato in dottrina54, può avvenire in presenza di due cir-costanze: necessità che vi sia il rischio di gravi ripercus-

sioni economiche, normalmente riconducibili alle finanze pubbliche, per via dell’elevato nu-

49 Corte Giust., sentt. 27 marzo 1980, Denkavit italiana,

61/79, Racc. p. 1205; 3 ottobre 2002, Barreira Pérez, C-347/00, Racc. p. I-8191.

50 CG, sentenza 13 febbraio 1996, cause C-197/94 e C-252/94, Bautiaa, in Racc., p. I-505, punto 47.

51 Corte Giust., sent. 4 maggio 1999, Sürül, C-262/96, Racc. p. I-2685.

52 Nelle cause C-292/04, Meilicke e a. c. Finanzamt Bonn-Innenstadt e C-475/03, Banca Popolare di Cremona Soc. coop. a r.l. c. Agenzia delle Entrate, Ufficio di Cremona, relative a tributi nazionali contrastanti con norme del-l’UE. In tali casi gli avvocati generali, sul presupposto che nessuna protezione giurisdizionale meriterebbe chi si è at-tivato tardivamente – e a tutela delle finanze statali –, han-no suggerito alla Corte una limitazione degli effetti della sentenza idonea o coinvolgere le cause in corso al mo-mento della pronuncia; G.Nicastro, op. cit.

53 Corte di Giustizia, 15 settembre 1998, causa C-231/96, E-dilizia Industriale Siderurgica Srl (Edis) c. Ministero delle finanze, in Racc., p. I-4951, punto 16.

54 G. Nicastro, op. cit.

mero di rapporti costituiti in buona fede in base a una normativa nazionale ritenuta vali-da sulla scorta di una erronea interpretazione del diritto dell’UE;

induzione dei singoli e delle autorità nazionali a un comportamento non conforme alla nor-mativa europea in ragione di una obiettiva e rilevante incertezza la cui valutazione poggia, in modo rilevante, sui comportamenti tenuti da altri Stati membri55.

La sentenza vincola, come più volte scritto, con tutta evidenza il Giudice a quo, che è giudice de-centrato (o, se si preferisce, “ giudice comune”) del diritto dell’UE, con la sola riserva, per lo stesso, di adire nuovamente la Corte, non per contestare la validità della sentenza56, ma all’uni-co fine di chiedere ulteriori chiarimenti (senten-za C-69/85). e per sottoporle una nuova questio-ne di diritto o nuovi elementi di valutazione . La decisione della Corte di Lussemburgo, pro-prio perché fondata su punti di diritto produce effetti anche al di fuori del contesto processuale che l’ha provocata, tant’è che – oltre ad altri giu-dici57 – deve essere osservata anche dalle Ammi-nistrazioni nazionali, così come le norme inve-stite da esame sono state interpretate dalla Cor-te58. In sostanza, il principio di diritto definito dalla questione pregiudiziale ha nei Paesi membri la medesima efficacia del Trattato (sentenze C-113/85 e C-186/91) e può portare alla disapplica-zione delle norme anche senza modifica, e può e deve essere considerato anche al di fuori del con-testo processuale che l’ha provocato (sentenze del-la Corte Costituzionale italiana nn. 113/1985, 168/1999, e della Cassazione, Sezioni Unite penali del 27 marzo 1992)59. Venendo alle sentenze di validità, nell’art. 267 TFUE manca una norma a-naloga a quella presente nell’art. 264, primo com-ma, TFUE, secondo cui se il ricorso di annulla-mento è fondato, l’atto è “nullo e non avvenuto”. Tuttavia, è generalmente riconosciuto che la sen-tenza pregiudiziale che accerta l’invalidità dell’atto è definitiva (nel senso che l’atto dichiarato inva- 55 CG, 20 settembre 2001, causa C-184/99, Grzelczyk c. Cen-

tre public d’aide sociale d’Ottignies-Luovain-la-Neuve, in Racc., p. I-6193, punto 53.

56 Corte Giust., ord. 5 marzo 1986, Wünsche, 69/85, Racc. p. 947; sent. 11 giugno 1987, Pretore di Salò/X, 14/86, Racc. p. 2545.; D.P. Domenicucci, op. cit.

57 A maggior ragione quelli di grado superiore al rinviante; 58 P. Biavati-F. Carpi, op. cit., pag. 424. 59 P.Adonnino, op. cit.

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Contenzioso – APPROFONDIMENTO 6365

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lido non potrebbe in séguito essere ritenuto vali-do) e ha effetti che, pur strettamente limitati alle censure del caso di specie60 e pur producendo ef-fetti inter partes, però costituiscono per ogni altro giudice ragione sufficiente a conside-rare tale atto come invalido ai fini della de-cisione e quindi rileva come quella di annulla-mento61; pertanto, l’interpretazione di un atto del-l’UE effettuata dalla Corte, al fine di dichiararne la validità, assume anch’essa la stessa efficacia vin-colante della decisione finale proprio perché a questa inscindibilmente correlata.

10. Il giudice tributario nella sua funzione rinviante

Il rinvio pregiudiziale, nel corso della sua appli-cazione, ha assunto grande rilevanza per la cor-retta applicazione delle norme tributarie e que-sto anche in considerazione del fatto che il dirit-to tributario di ciascuno Stato membro è diffe-rente, essendo diverse le politiche fiscali degli Stati aderenti, e il rinvio pregiudiziale ha la fun-zione di realizzare una interpretazione e quindi 60 G. Tesauro, op. cit., pag. 285. 61 Infatti, come si legge nella sentenza ICC del 1981, se la

Corte dichiara l’invalidità di un atto, “alle esigenze relative all’applicazione uniforme del diritto comunitario si ag-giungono esigenze particolarmente imperiose di certezza del diritto. Risulta infatti dalla natura stessa di una siffat-ta declaratoria che i giudici nazionali non potrebbero ap-plicare l’atto dichiarato invalido senza creare nuovamente gravi incertezze per quanto concerne il diritto comunita-rio da applicare”.

un’applicazione uniforme del diritto tributario in tutti i Paesi, quanto meno con riferimento ai principi generali62. Oltre, ovviamente, alla Corte di cassazione quale giudice di legittimità, la Commissione tributaria – proprio perché dotata del richiesto requisito di “giurisdizionalità” – è legittimata ad effettuare il rinvio pregiudiziale. In linea con quanto già af-fermato in dottrina63 si ritiene che la commis-sione tributaria debba provvedere al rinvio con “ordinanza” (e non con “decreto” ) contenente una succinta motivazione, utile a consentire alla Corte, agli Stati membri e organismi internazio-nali interessati legittimati di presentare osserva-zioni, di intendere la questione sollevata davanti alla Corte di Giustizia, con riferimento al diritto interno dello Stato.

Del resto, va ricordato che anche per le liti non appartenenti al giudice tributario, per il provve-dimento del giudice nazionale non è prevista una “forma” processuale predeterminata, essen-do tuttavia pacifico che debba trattarsi di un provvedimento “interlocutorio”, atto a determi-nare un effetto “sospensivo del giudizio”. Resta comunque incontrovertibile che le com-missioni tributarie devono applicare le disposi-zioni comunitarie fino a quando la Corte di Giu-stizia europea non abbia riconosciuto la loro in-validità. 62 Per l’Italia si rammenta la nota questione, affrontata dalla

CG sul c.d. “incentivo all’esodo”. 63 D. Chindemi, Il rinvio pregiudiziale davanti alla Corte di

Giustizia, in www.altalex.it.

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fascicolo 1

APPROFONDIMENTO

Incentivi alle aziende: profili ricostruttivi e prime considerazioni

sul bonus assunzioni “under 30” di Amedeo Tea

L’art. 1 del D.L. 28 giugno 2013, n. 76 (conv. L. 9 agosto 2013, n. 99) introduce un nuovo incen-tivo per tutti quei datori di lavoro – ad eccezio-ne di quello domestico – che assumeranno, fino al 30 giugno 2015, con contratto a tempo inde-terminato (anche part time), giovani lavoratori con un’età compresa tra i 18 e i 29 anni, che siano privi di un impiego regolarmente retri-buito da almeno 6 mesi o senza un diploma di scuola media superiore o professionale. Inoltre, la norma in argomento stabilisce che le nuove assunzioni devono realizzare un incremento occupazionale netto, calcolato sulla base della differenza tra il numero dei lavoratori rilevato ogni mese e il numero di quelli mediamente occupati nei 12 mesi precedenti la nuova as-sunzione. Ciò detto, il datore di lavoro potrà contare per 18 mesi su un incentivo riconosciu-to dall’Inps, pari a un terzo della retribuzione mensile lorda, ma con un tetto massimo mensi-le per un importo pari a 650 euro per lavorato-re, conguagliabile con i contributi dovuti.

1. Premessa

Al fine di comprendere l’appeal del bonus “un-der 30” ai sensi dell’art. 1 del D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 991 la Fondazione Studi 1 Incentivo sperimentale per l’assunzione a tempo indeter-

minato di giovani under 30, privi d’impiego regolarmente

Consulenti del lavoro ha effettuato un’indagi-ne che ha interessato la platea dei consulenti del lavoro che si sono “cimentati” con l’applicazione del bonus assunzioni previsto dal “Decreto oc-cupazione”2. Deludenti ma presumibilmente at-

retribuito da almeno sei mesi ovvero privi di diploma di scuola media superiore o professionale.

2 Vd. per esteso il comunicato stampa della Fondazione CDL del 21 ottobre 2013, Bonus assunzioni, un flop. Un’a-zienda su quattro ha richiesto l’utilizzo del bonus assun-zioni per assumere una unità lavorativa. È questo, in sin-tesi, il dato che emerge dal sondaggio della Fondazione Studi sulla platea dei Consulenti del Lavoro che, da Nord a Sud, si sono cimentati con l’applicazione del bonus as-sunzioni voluto dal nuovo decreto lavoro di agosto. Un’in-dagine, quella della Fondazione, che ha cercato di com-prendere quale fosse stato l’appeal del bonus nei confronti delle imprese e quali i risultati dell’attuale situazione lavo-ro nella marea delle piccole imprese che costituiscono, ad oggi, il 90% del tessuto produttivo italiano. Se il 73% degli intervistati ha riferito che le imprese che assistono non hanno sfruttato il bonus occupazione, gli stessi garanti-scono che un aumento del limite di età, dai 29 previsti ai 35 ipotizzati, sarebbe stato più incisivo. Ma c’è di più, la maggior parte delle imprese che hanno snobbato l’agevo-lazione risiedono al Sud laddove la convenienza del bonus è di gran lunga inferiore ad altri incentivi (si pensi alla L. n. 407/1990, che dura trentasei mesi a fronte dei dodi-ci/diciotto del bonus Giovannini), che tra l’altro non ri-chiedono nemmeno l’incremento occupazionale quale condizione principale per fruire dell’incentivo. Su tali con-dizioni, infatti, il 96% degli intervistati ha ritenuto l’in-cremento un freno al desiderio delle imprese di porre in essere nuove assunzioni così come quasi l’80% delle a-ziende ricorre oggi all’applicazione di forme flessibili di lavoro, con il tempo determinato che la fa da padrone se-guito dal lavoro accessorio e dai tirocini. Insomma, c’era da aspettarselo. E se in alcune regioni il budget per le assunzioni ha ancora risorse, difficilmente nell’immediato futuro ci sarà la ressa per richiederlo visto

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Lavoro – APPROFONDIMENTO 6367

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fascicolo 1

tesi i risultati. In sintesi, infatti, gli intervistati affermano che sarebbe stato meglio un aumento del limite d’età dai 29 anni previsti ai 35 ipotiz-zati mentre il 96% degli intervistati ha conside-rato un grosso freno il requisito dell’incre-mento occupazionale.

Soprattutto al Sud, poi, il ricorso a questo incen-tivo si sta dimostrando molto scarso. Sembra fondata dunque, almeno in prima battuta, la previsione secondo cui non vi sarà una “corsa” al bonus dato che le aziende vorrebbero non tan-to incentivi a termine quanto una (sostanziale) riduzione del cuneo fiscale e contributivo: “Infatti, è noto a chi segue da vicino le aziende che il problema attuale non è come assumere con incentivi ma tornare a produrre e a creare sviluppo. In assenza di nuovo lavoro risulta in-fatti assolutamente privo di efficacia qualsiasi provvedimento che incentiva nuovi assunzioni”.

Non trascurabile, infine, è stato l’aspetto proce-durale. Almeno nei primi 60 minuti di inoltro delle candidature, il 63% degli intervistati ha ri-levato problematiche a cui comunque risultano avvezzi non soltanto gli addetti ai lavori ogni-qualvolta è necessario inoltrare anche solo sem-plici domande telematiche. È in considerazione di questa interessante indagine compiuta dalla Fondazione Studi Cdl che si inquadra il presente lavoro il cui scopo è quello di analizzare la nor-mativa di questa tipologia di agevolazione, evi-denziarne gli aspetti operativo-procedurali, al fine di pervenire ad alcune considerazioni cir-ca taluni aspetti problematici emergenti.

che le imprese gradirebbero una riduzione del cuneo fi-scale e contributivo anziché incentivi a termine. Infatti, è noto a chi segue da vicino le aziende che il problema attu-ale non è come assumere con incentivi ma tornare a pro-durre e a creare sviluppo. In assenza di nuovo lavoro ri-sulta infatti assolutamente privo di efficacia qualsiasi provvedimento che incentiva nuovi assunzioni. Anche le procedure, e in particolare il software predispo-sto dall’Inps, non sono esenti da critiche tanto che il 63% degli intervistati ha riscontrato problematiche nei primi 60 minuti di inoltro delle candidature. Un problema, quel-lo dei click day, che si ripresenta ogni qualvolta le parti siano l’Inps e l’Inail, nonostante le strutture si giudichino pronte a ricevere connessioni multiple. Ma nel nostro Pa-ese non si può non tenere conto che la banda larga in molte zone è un sogno o funziona a singhiozzo. Realtà che non può essere sottovalutata se si decide di applicare la regola della priorità nella presentazione. Non dare a tutti le stesse potenzialità di successo potrebbe significare una grave violazione della concorrenza tra imprese, oltre che avere profili di rilievo costituzionale. (Fondazione Studi Consulenti del Lavoro)

2. Profili soggettivi: datori di lavoro “beneficiari” e soggetti under 30

Ai sensi dell’art. 1 del D.L. n. 76/2013, conv. in L. n. 99/2013, il bonus in commento interessa la vasta platea dei datori di lavoro quali destina-tari dell’incentivo. Più in dettaglio, dunque, si tratta di: a) esercenti arti e professioni; b) imprenditori agricoli; c) imprenditori commerciali; d) società di persone e soggetti ad essi equi-

parati; e) società di capitali, società cooperative e

società di mutua assicurazione; f) enti pubblici o privati commerciali; g) enti pubblici o privati non commerciali; h) società ed enti di ogni tipo, con o senza per-

sonalità giuridica, non residenti nel territo-rio dello Stato, nonché soggetti non residenti, per le stabili organizzazioni nel territorio dello Stato italiano.

Per poter fruire dell’agevolazione i beneficiari interessati dovranno assumere con contratto a tempo indeterminato3 lavoratori4 di età com- 3 Anche part time (tempo parziale). 4 Sul concetto di lavoratore “svantaggiato”, cfr. art. 40, Reg.

UE n. 800/2008: 1. i regimi di aiuti per l’assunzione di lavoratori svantag-

giati sottoforma di integrazioni salariali sono compati-bili con il mercato ai sensi dell’art. 87, par. 3, del tratta-to e sono esenti dall’obbligo di notifica di cui all’art. 88, par. 3, del trattato, purché siano soddisfatte le condi-zioni di cui ai paragraffi da 2 a 5 del presente articolo;

2. l’intensità di aiuto non supera il 50% dei costi ammissi-bili;

3. i costi ammissibili corrispondono ai costi salariali du-rante un periodo massimo di 12 mesi successivi all’as-sunzione. Tuttavia, nel caso in cui il lavoratore interes-sato è un lavoratore molto svantaggiato, i costi ammis-sibili corrispondono ai costi salariali su un periodo massimo di 24 mesi successivi all’assunzione;

4. nei casi in cui l’assunzione non rappresenti un aumento netto del numero dei dipendenti dell’impresa interessa-ta rispetto alla media dei dodici mesi precedenti, il po-sto o i posti occupati sono resi vacanti in seguito a di-missioni volontarie, invalidità, pensionamento per rag-giunti limiti d’età, riduzione volontaria dell’orario di la-voro o licenziamento per giusta causa e non in seguito a licenziamenti per riduzione del personale;

5. fatto salvo il caso di licenziamento per giusta causa, al lavoratore svantaggiato è garantita la continuità dell’im-piego per un periodo minimo coerente con la legisla-zione nazionale o con contratti collettivi in materia di contratti di lavoro. Qualora il periodo d’occupazione sia più breve di 12 mesi, o se applicabile, di 24 mesi, l’aiuto sarà ridotto pro rata di conseguenza.

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6368 APPROFONDIMENTO – Lavoro

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presa tra i 18 e 29 anni5 rientranti in una delle seguenti condizioni (alternative): 1) siano privi di impiego regolarmente retribui-

to da almeno 6 mesi6; 2) siano privi di un diploma di scuola media

superiore o professionale7.

3. Profili oggettivi: assunzioni a tempo indeterminato e trasformazioni a tempo indeterminato e rapporti non incentivati

In considerazione della circostanza che – come espressamente previsto dall’art. 1, comma 1, del D.L. 76/2013 e in conformità con l’art. 40, para-grafo 5, del Reg. (CE) n. 800/2008, cui il decreto legge rinvia – l’incentivo è finalizzato a promuo-vere occupazione stabile, l’incentivo non spetta per i seguenti rapporti di lavoro: intermittente (lavoro a chiamata); domestico; ripartito (job sharing).

Rientrano, invece, nell’agevolazione i seguenti rapporti di lavoro: a) assunzioni a tempo indeterminato anche part

time; b) per i rapporti di lavoro subordinato a tempo

indeterminato instaurati in attuazione del vin-colo associativo stretto con una cooperati-va di lavoro, ai sensi della L. n. 142/2001;

c) apprendisti in quanto contratti a tempo in-determinato8;

5 Per analogia con quanto evidenziato dal D.Lgs. n. 167/2011

in tema di apprendistato e dunque 29 anni di età e 364 gior-ni.

6 Su questa condizione si veda quanto specificato dalla circ. M.L. n. 34/2013 che fa riferimento al D.M. 20 marzo 2013 in Gazzetta Ufficiale del 2 luglio 2013, n. 153. Indipenden-temente, quindi, dall’accertamento dello stato di disoccu-pazione, l’espressione “privo di impiego regolarmente re-tribuito” si riferisce a coloro i quali: a) non hanno avuto un rapporto di lavoro subordinato; b) hanno svolto attività di natura autonomo nella soglia di

€ 4.800 c) hanno svolto attività di natura parasubordinata nella

soglia di € 8.000. In sintesi e schematizzando:

se lavoro subordinato Td < 6 mesi

Se lavoro autonomo Reddito sottosoglia € 4.800

Se lavoro parasubordinato Reddito sottosoglia € 8.000

7 Ci si riferisce ai giovani privi di un diploma di scuola su-

periore o professionale (ISCED 3) e che qui siano in pos-sesso solo del diploma di scuola secondaria di I livello.

d) assunzioni a tempo indeterminato a scopo di somministrazione, sia a tempo indetermi-nato sia a tempo determinato. Naturalmente l’incentivo non spetta durante i periodi in cui il lavoratore non risulta essere sommini-strato (viene a mancare la base di commisu-razione dell’incentivo stesso considerando poi che l’indennità di disponibilità non è da re-tribuzione)9;

e) trasformazioni con contratto a tempo in-determinato. Si tenga presente che in que-sto caso il lavoratore non deve avere com-piuto 30 anni al momento delle decorrenza della trasformazione. In questo senso la tra-sformazione può tranquillamente essere anti-cipata al fine di garantire la spettanza del be-neficio. L’incentivo, infatti, è attribuito per la trasformazione di un rapporto instaurato con un lavoratore “privo di impiego regolar-mente retribuito da almeno 6 mesi”. Per-tanto per poter godere dell’agevolazione la trasformazione deve iniziare entro 6 mesi dalle decorrenze del rapporto da trasformare (anche in via anticipata).

4. Decorrenza, misura e durata del beneficio

L’art. 1, comma 10, del D.L. n. 76/2013 e la circ. Inps n. 131/2013 stabiliscono che, per l’intero territorio nazionale, l’incentivo spetta per le assunzioni e trasformazioni effettuate a decorre-re dal 7 agosto 2013 e sino al 30 giugno 201510. 8 Si veda la precisazione della circ. Inps n. 131 del 17 set-

tembre 2013, secondo cui in “considerazione della circo-stanza che per il rapporto di apprendistato l’ordinamento già prevede una disciplina di favore - caratterizzata da for-me di contribuzione ridotta rispetto alla contribuzione ordinaria, altrimenti dovuta dal datore di lavoro -, l’incen-tivo previsto dall’articolo 1 del D.L. 76/2013 per l’assun-zione di un apprendista non può mensilmente superare l’importo della contribuzione dovuta dal datore di lavoro per il medesimo”.

9 Cfr. Circ. Inps n. 131 del 17 settembre 2013, par. 2. 10 Ovvero dalla data in cui è stato adottato l’atto di ripro-

grammazione delle risorse del Fondo di rotazione di cui alla L. 16 aprile 1987, n. 183 (cfr. Decreto n. 48 del 7 ago-sto 2013 del Ministero dell’Economia e delle Finanze di “Rideterminazione del finanziamento a carico del Fondo di rotazione, di cui alla L. n. 183/1987 per l’attuazione de-gli interventi previsti dal Piano di Azione Coesione, dispo-sto con decreto n. 25/2013” - allegato 3). Non sarà più possibile essere ammessi all’incentivo dopo che saranno esaurite le risorse stanziate per ciascuna regione e provin-cia autonoma. Sul tema delle risorse, con decreto diretto-

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Lavoro – APPROFONDIMENTO 6369

41/2013

fascicolo 1

Il c. 4 dell’art. 1 stabilisce che per ogni lavorato-re assunto l’incentivo si traduce in uno sgravio contributivo pari a 1/3 delle retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali che non può superare € 650 euro mensili11. Detto incentivo verrà corrisposto mediante conguaglio nelle denunce contributive mensili del periodo di riferimento12. In caso di assunzio-ni a tempo indeterminato l’incentivo spetta per 18 mesi mentre in caso di trasformazione a tempo indeterminato di un rapporto a termine l’agevolazione spetta per 12 mesi13.

riale sono state ripartite le risorse stanziate dall’art. 1, comma 12, D.L. n. 76/2013, sulla base dei criteri di riparto dei Fondi strutturali. In particolare: a) nella misura di 100 milioni di euro per l’anno 2013, 150

milioni di euro per l’anno 2014, 150 milioni di euro per l’anno 2015 e 100 milioni di euro per l’anno 2016, per le regioni del Mezzogiorno, a valere sulla corrispondente riprogrammazione delle risorse del Fondo di rotazione di cui alla L. 16 aprile 1987, n. 183 già destinate ai Pro-grammai operativi 2007/2013, nonché, per garantirne il tempestivo avvio, alla rimodulazione delle risorse del medesimo Fondo di rotazione già destinate agli inter-venti del Piano di Azione Coesione, ai sensi dell’art. 23, comma 4, della L. 12 novembre 2011, n.183, previo con-senso, per quanto occorra, della Commissione. Le pre-dette risorse sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate alle finalità di cui al presen-te art. ai sensi del c. 13;

b) nella misura di 48 milioni di euro per l’anno 2013, 98 mi-lioni di euro per l’anno 2014, 98 milioni di euro per l’anno 2015 e 50 milioni di euro per l’anno 2016, per le restanti regioni, ripartiti tra le Regioni sulla base dei criteri di ri-parto dei Fondi strutturali. La regione interessata all’atti-vazione dell’incentivo finanziato dalle risorse di cui alla presente lettera è tenuta a farne espressa dichiarazione entro il 30 novembre 2013 al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e alla Presidenza del Consiglio dei Mini-stri - Ministro per la coesione territoriale.

11 Come precisato dal Ministero del Lavoro: “si prevede un beneficio economico equivalente alla decontribuzione to-tale per le retribuzioni fino a 1.950 euro mensile (per un periodo di 18 mesi) per nuove assunzioni a tempo indeter-minato di giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni (1.950 1/3= 650,00)”.

12 Con eccezione delle diverse regole vigenti per il versamen-to dei contributi in agricoltura.

13 In caso di assunzione (ovvero trasformazione) a tempo in-determinato a scopo di somministrazione, l’incentivo non spetta durante i periodi in cui il lavoratore non è sommini-strato a nessun utilizzatore, né è commisurabile all’inden-nità di disponibilità; come detto al paragrafo precedente, ta-li eventuali periodi non determinano uno slittamento della scadenza del beneficio (es.: il 1° ottobre 2013 l’agenzia as-sume Tizio a tempo indeterminato e lo somministra per 12 mesi ad Alfa; durante ottobre 2014 l’agenzia non sommini-stra il lavoratore a nessun utilizzatore; a novembre 2014 l’agenzia somministra il lavoratore per 12 mesi a Beta; non spetta il beneficio per ottobre 2014; spetta nuovamente il beneficio per novembre 2014, fino al 31 marzo 2015).

La circolare Inps n. 131 del 17 settembre 2013 precisa, al par. 3, che nell’ipotesi in cui l’assun-zione o la trasformazione non decorrano dal primo giorno del mese di calendario, i massi-mali del primo e dell’ultimo mese di vigenza dell’incentivo sono convenzionalmente ridot-ti ad una misura pari a tanti trentesimi di € 650 quanti sono i giorni del rapporto agevolato com-presi nel mese di riferimento; in tali casi, qualo-ra sia necessario rapportare l’incentivo ad una quota della retribuzione mensile, anche la base convenzionale di computo dell’incentivo è ridotta ed è rappresentata da tanti trentesimi della retribuzione mensile quanti sono i giorni del rapporto agevolato compresi nel mese di ri-ferimento. In particolare, se, per esempio, si as-sume a tempo indeterminato il 15 ottobre 2013; il beneficio spetta fino al 14 aprile 2015; per ot-tobre 2013 l’incentivo è pari a 1/3 della retribu-zione di ottobre 2013, nei limiti di 17/30 di € 650; per aprile 2015 l’incentivo è pari a 1/3 di 14/30 della retribuzione di aprile 2015, nei limiti di 14/30 di € 650.

5. Le condizioni per l’accesso al beneficio

Tra gli aspetti negativi emersi dall’indagine con-dotta dalla Fondazione studi Cdl vi è, senza dub-bio, il rispetto delle condizioni poste a base della stessa agevolazione. L’ammissibilità al-l’incentivo è, infatti, subordinata: a) alla regolarità prevista dall’art. 1, commi

1175 e 1176, della L. n. 296/2006 relativi: all’adempimento degli obblighi contri-

butivi; all’osservanza delle norme poste a tutela

delle condizioni di lavoro; al rispetto degli accordi e contratti col-

lettivi nazionali nonché di quelli regiona-li, territoriali o aziendali, laddove sotto-scritti, stipulati dalle organizzazioni sin-dacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;

b) al rispetto dei principi indicati dall’art. 4, commi 12, 13 e 15, della L. n. 92/201214 a men-te del quale tali incentivi non spettano se: l’assunzione costituisce attuazione di un

14 Si tratta dei principi generali concernenti gli incentivi alle

assunzioni che fissano alcuni limiti e condizioni al fine del riconoscimento dello sgravio contributivo a fronte di particolari tipologie di assunzioni.

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6370 APPROFONDIMENTO – Lavoro

41/2013

fascicolo 1

obbligo preesistente, stabilito da norme di legge o della contrattazione collettiva (anche nel caso in cui il lavoratore avente diritto all’assunzione viene utilizzato me-diante contratto di somministrazione);

l’assunzione viola il diritto di preceden-za, stabilito dalla legge o dal contratto col-lettivo, alla riassunzione di un altro lavora-tore licenziato da un rapporto a tempo in-determinato o cessato da un rapporto a ter-mine. Rimangono esclusi anche nel caso in cui, prima dell’utilizzo di un lavoratore me-diante contratto di somministrazione, l’utilizzatore non abbia preventivamente of-ferto la riassunzione al lavoratore titolare di un diritto di precedenza per essere stato precedentemente licenziato da un rap-porto a tempo indeterminato o cessato da un rapporto a termine;

se il datore di lavoro (o utilizzatore con contratto di somministrazione) hanno in atto sospensioni dal lavoro connesse ad una crisi o riorganizzazione azienda-le, salvi i casi in cui l’assunzione, la tra-sformazione o la somministrazione siano finalizzate all’acquisizione di professiona-lità sostanzialmente diverse da quelle dei lavoratori sospesi oppure siano effet-tuate presso una diversa unità produttiva;

in caso di lavoratori che siano stati licen-ziati, nei 6 mesi precedenti, da parte di un datore di lavoro che, al momento del li-cenziamento, preseti assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli del datore di lavoro che assume ovvero ri-sulti con quest’ultimo in rapporto di col-legamento o controllo15;

c) alla realizzazione e mantenimento dell’incre-mento netto dell’occupazione, rispetto alla

15 Secondo l’art. 2359 c.c. sono considerate controllate:

1. le società in cui un’altra società dispone della maggio-ranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;

2. le società in cui un’altra società dispone di voti suffi-cienti per esercitare un’influenza dominante nell’assem-blea ordinaria;

3. le società che sono sotto influenza dominante di un’al-tra società in virtù di particolari vincoli con essa.

Ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del comma 1 si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta; non si computa-no i voti spettanti per conto di terzi. Sono considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si pre-sume quando nell’assemblea ordinaria può essere eserci-tato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la so-cietà ha azioni quotate in borsa.

media della forza occupata nell’anno prece-dente l’assunzione ovvero la trasformazione (art. 1, commi da 6 a 7, D.L. n. 76/2013). Il venir meno dell’incremento fa perdere il be-neficio per il mese di calendario di riferi-mento; l’eventuale successivo ripristino del-l’incremento consente la fruizione del benefi-cio dal mese di ripristino fino alla sua origi-naria scadenza16 (si veda il successivo par. 6 del presente lavoro);

d) alle condizioni generali di compatibilità con il mercato interno, previste dagli articoli 1 e 40 del Reg. (CE) n. 800/2008 della Commis-sione del 6 agosto 2008. Si evidenziano le se-guenti subordinazioni: la circostanza che il datore di lavoro non

rientri tra coloro che hanno ricevuto e, successivamente, non rimborsato o depo-sitato in conto bloccato, gli aiuti indivi-duali definiti come illegali o incompa-tibili dalla Commissione Europea (art. 1, par. 6, Reg. (CE) n. 800/2008 e art. 46 L. 24 dicembre 2012, n. 234);

la circostanza che il datore di lavoro non sia un’impresa in difficoltà, come defi-nita dall’art. 1, paragrafo 7, del Reg. (CE) n. 800/2008 (art. 1, par. 6, Reg. (CE) n. 800/2008).

6. L’incremento (e mantenimento) occupazionale ULA

I commi 3, 6, 7 dell’art. 1 del D.L. n. 76/2013 sot-tolineano che l’incentivo spetta se l’assunzio-ne (ovvero la trasformazione a tempo indetermi-nato di un rapporto a termine) comporta un in-cremento netto dell’occupazione rispetto alla media dei lavoratori occupati nell’anno pre-cedente l’assunzione stessa. Inoltre occorre che tale incremento sia mantenuto per ogni mese di calendario di vigenza dell’incentivo (calcolo dinamico). Per poter comprendere e valutare questo requisi-to, il numero dei dipendenti è calcolato in Unità di Lavoro Annuo (ULA), secondo quanto pre-visto dal diritto comunitario17. In caso di assun- 16 A titolo esemplificativo, ALFA assume in data 1° ottobre

2013; il beneficio scade il 31 marzo 2015; se non mantiene l’incremento per il 4° mese e lo ripristina per il 7° mese, non spetta il beneficio per i mesi dal 4° al 6°, mentre spet-ta nuovamente dal 7° e – se il nuovo incremento è mante-nuto – per i mesi successivi fino al 31 marzo 2015.

17 La Guida al calcolo dell’incremento netto dell’occupazione e alla verifica mensile del suo mantenimento costituisce

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Lavoro – APPROFONDIMENTO 6371

41/2013

fascicolo 1

zione a tempo indeterminato l’incremento netto dell’occupazione deve essere mantenuto per 18 mesi e verificato confrontando due valori medi convenzionali. Il primo termine di confronto è sempre costituito dalla forza media occupata nei 12 mesi precedenti l’assunzione. Il secon-do termine di confronto è rappresentato dalla forza media relativa al primo anno successivo all’assunzione (relativamente ai primi dodici me-si di vigenza del rapporto agevolato). Per il terzo semestre di vigenza del rapporto agevolato (quin-di 6+6+6=18) il secondo termine di confronto è costituito dalla forza media occupata nel secondo anno successivo all’assunzione.

Nel caso di lavoratori part time a tempo inde-terminato, il calcolo della base occupazionale do-vrà essere effettuato in misura ridotta, propor-zionale al rapporto tra le ore prestate dal lavora-tore part time e le ore ordinarie previste dal re-lativo contratto nazionale di lavoro, secondo quanto previsto dall’art. 6 del D.Lgs. n. 61/2000.

È importante evidenziare che, in caso di trasfor-mazione a tempo indeterminato di un rapporto a termine, in forza della previsione contenuta al-l’art. 1, comma 5, del D.L. n. 76/2013, l’incremento netto dell’occupazione può essere realizzato alla data di decorrenza della trasformazione oppure mediante un’assunzione compensativa succes-siva entro 1 mese da tale data. Tale norma signifi-ca che, al fine di garantire il rispetto della con-dizione dell’incremento occupazionale, l’assun-zione compensativa deve ritenersi necessaria solo nelle ipotesi in cui non si realizzerebbe l’incre-mento. Ai sensi dell’art. 40, paragrafo 4, del Reg. (CE) n. 800/2008, l’incentivo è comunque appli-cabile, qualora l’incremento non sia realizzato o non venga mantenuto per18: dimissioni volontarie del lavoratore, diver-

se dalle dimissioni per giusta causa; invalidità sopravvenuta o decesso del lavo-

ratore; pensionamento per raggiunti limiti di età; riduzione volontaria dell’orario di lavoro; licenziamento per giusta causa o giustificato

motivo soggettivo.

Si fornisce, di seguito, un’importante esemplifica-

l’allegato n. 5 della (più volte citata) circ. Inps n. 131 del 17 settembre 2013. Al fine di agevolare la comprensione circa le modalità di valutazione dell’incremento netto del-l’occupazione e del suo mantenimento vengono fornite 14 esemplificazioni alle quali, pertanto, si rinvia quale utile approfondimento operativo.

18 Definite anche “cause neutre”.

zione tratta dalla Guida al calcolo dell’incremento netto dell’occupazione e alla verifica mensile del uso mantenimento.

Esempio 1 Assunzione a tempo indeterminato che decorre dal primo giorno di un mese; è il caso più sem-plice; serve ad evidenziare le principali proble-matiche attinenti alla verifica del mantenimento dell’occupazione e le peculiarità relative all’ulti-mo semestre di vigenza del rapporto agevolato. Il 1° ottobre 2013 ALFA assume Tizio a tempo pieno e indeterminato. Deve essere in via preliminare verificato se è ini-zialmente realizzato l’incremento netto dell’oc-cupazione, in relazione al giorno dell’assunzione per cui si chiede il beneficio (1° ottobre 2013) applicando i criteri già illustrati nella circ. n. 111/2013: 1. si devono sommare i valori in ULA dei lavora-

tori in servizio nell’anno precedente l’assun-zione; pertanto dovranno essere considerati i lavoratori in servizio nel periodo 1° ottobre 2012-30 settembre 2013; ipotizziamo che la forza aziendale di Alfa sia così costituita: a) un lavoratore assunto a tempo pieno e inde-

terminato il 1° ottobre 2012 e rimasto alle dipendenze del datore di lavoro (L1): vale 12/12 di ULA (=1);

b) un lavoratore assunto a tempo pieno e inde-terminato il 1° aprile 2013 e rimasto alle dipendenze del datore di lavoro (L2): vale 6/12 di ULA (= la metà di 1);

c) un lavoratore assunto a tempo pieno e de-terminato, per 7 mesi, per il periodo 1° giu-gno 2013-31 dicembre 2013 (L3): vale 4/12 di ULA (=un terzo di 1);

la forza media occupata da Alfa nell’anno pre-cedente l’assunzione (L1+L2+L3 ovvero fmap) è pari a 22/12 di ULA;

2. si devono sommare i valori in ULA dei lavora-tori in servizio il giorno dell’assunzione, riferi-te al primo anno successivo all’assunzione; per il momento non si considera Tizio; nell’e-sempio fatto: – il lavoratore sub a) vale 12/12, perché si trat-

ta di un lavoratore a tempo pieno e indeter-minato che – in base alle caratteristiche del rapporto – rimarrà alle dipendenze del dato-re di lavoro per tutto l’anno successivo;

– il lavoratore sub b) vale 12/12, per lo stesso motivo di cui sopra;

– il lavoratore sub c) vale 3/12, perché il suo rapporto è destinato a cessare dopo tre mesi;

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6372 APPROFONDIMENTO – Lavoro

41/2013

fascicolo 1

la forza media occupata da Alfa nel primo anno successivo all’assunzione (escludendo Tizio, cioè il neo assunto del 01 ottobre 2013), calcolata in relazione ai lavoratori in servizio il giorno del-l’assunzione di Tizio, è pari a 27/12 di ULA; 3. si devono sommare i valori in ULA dei lavora-

tori in servizio il giorno dell’assunzione, riferite al primo anno successivo all’assunzione e com-preso il lavoratore assunto; nell’esempio fatto: – Tizio, il lavoratore assunto il 01 ottobre

2013 a tempo pieno e indeterminato, vale 12/12 di ULA;

la forza media occupata da Alfa nel primo an-no successivo all’assunzione, comprensiva del neo assunto Tizio, calcolata in relazione ai la-voratori in servizio il giorno dell’assunzione di Tizio, è pari a 39/12 di ULA (fm1as0 = 39/12);

4. si confrontano i valori ottenuti (forza media di anno precedente ad assunzione e forza me-dia di primo anno successivo ad assunzione, comprensiva dell’assunzione rispetto cui si vuole valutare l’idoneità a determinare l’incre-mento occupazionale - punti 1) e 3) ); se la forza media del primo anno successivo è mag-giore (anche di un valore inferiore all’unità) alla forza media dell’anno precedente, l’assun-zione di Tizio ha inizialmente realizzato l’in-cremento. Nell’esempio fatto: – forza media di anno precedente (fmap=-

L1+L2+L3)) è pari a 22/12 di ULA; – forza media di primo anno successivo, cal-

colata in relazione ai lavoratori in servizio il giorno dell’assunzione di Tizio, (fm1as0-=L1+L2+L3+Tizio) è pari a 39/12 di ULA;

– fm1as0 (39) è maggiore di fmap (22), quin-di l’assunzione di Tizio ha inizialmente rea-lizzato l’incremento occupazionale, in rela-zione al giorno dell’assunzione di Tizio (se lo stesso giorno vengono effettuate più as-sunzioni astrattamente incentivate, si ripe-tono più volte il punto 3 e 4; non è possibile considerare insieme le varie assunzioni a-strattamente incentivate effettuate lo stesso giorno, perché l’incremento potrebbe essere realizzato solo in conseguenza di una o al-cune di esse).

Non è ancora possibile affermare che spetta il beneficio per il mese di ottobre 2013; deve infat-ti attendersi che trascorra interamente il primo mese di calendario di vigenza del rapporto (ot-tobre 2013) per cui si chiede il beneficio e poi verificare se l’incremento inizialmente realizzato è stato mantenuto:

5. si attende che trascorra il mese di ottobre 2013; poiché nel periodo compreso tra il gior-no successivo all’assunzione e la fine dello stesso mese (2 ottobre 2013-31 ottobre 2013) non sono intervenute cessazioni anticipate dei rapporti considerati per la determinazione i-niziale dell’incremento occupazionale, si con-clude che l’incremento è mantenuto e quindi spetta il beneficio per ottobre 2013, primo mese di calendario vigenza del rapporto in-staurato con Tizio;

6. si ripete la stessa operazione per i mesi suc-cessivi, fino settembre 2014 (12° mese di ca-lendario di vigenza del rapporto con Tizio); nell’ipotesi qui formulata in nessuno dei mesi successivi intervengono cessazioni anticipate dei rapporti a suo tempo considerati; pertanto l’incremento è mantenuto e il beneficio conti-nua a spettare. N.B. A decorrere dal 1° gennaio 2014 cessa il rapporto di lavoro di L3; tale cessazione non incide negativamente sul mantenimento del-l’incremento occupazionale, perché non è an-ticipata rispetto ai rapporti già considerati; in-fatti tale cessazione è stata già considerata quando, in sede di calcolo di fm1as0, si è at-tribuito a L3 il valore di 3/12 di ULA.

In relazione a ottobre 2014 (13° mese di calen-dario) – in considerazione della circostanza che l’incremento iniziale e il suo mantenimento sono state valutati attribuendo ad ogni lavoratore un valore convenzionale (espresso in ULA) riferito al periodo fisso dei 12 mesi successivi all’origi-naria assunzione (1° ottobre 2013-30 settembre 2014) – l’incremento deve essere ora nuovamen-te valutato nel seguente modo: 7. si considera sempre (espressa come somma di

ULA) la forza media occupata nei dodici mesi anteriori all’originaria assunzione agevolata (01 ottobre 2012-30 settembre 2013): fmap = 22/12 di ULA;

8. si considerano i lavoratori in servizio nel mese di ottobre 2014, compreso il lavoratore della cui assunzione agevolata si tratta (13° mese di calendario di vigenza del rapporto agevolato); ipotizziamo che Alfa non abbia effettuato né licenziamenti né nuove assunzioni; la forza aziendale di Alfa nel mese di ottobre 2014 è costituita pertanto da L1, L2 e Tizio (L3 è sta-to in servizio solo fino a 31 dicembre 2013);

9. si sommano i valori in ULA di tali lavoratori; tali valori sono riferiti al secondo anno suc-cessivo all’assunzione agevolata (nell’esempio formulato, si considerano i valori in ULA rife-

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Lavoro – APPROFONDIMENTO 6373

41/2013

fascicolo 1

riti al periodo 1° ottobre 2014-30 settembre 2015): a) L1 vale 12/12, perché si tratta di un lavora-

tore a tempo pieno e indeterminato che – in base alle caratteristiche del rapporto – ri-marrà alle dipendenze del datore di lavoro per tutto il secondo anno successivo all’as-sunzione;

b) L2 vale 12/12, per lo stesso motivo di cui sopra;

c) L3 vale zero, perché a ottobre 2014 non è più in servizio;

d) Tizio vale 12/12, per lo stesso motivo espo-sto per L1 e L2.

La forza media occupata da Alfa nel periodo 1° ottobre 2014-30 settembre 2015 (secondo anno successivo all’assunzione), calcolata in relazione ai lavoratori in servizio a ottobre 2014 (13° mese di calendario di vigenza del rapporto agevolato), è pari a 36/12 di ULA (fm2as13 = 36/12); 10. poiché la forza media del secondo anno suc-

cessivo all’assunzione, calcolata in relazione ai lavoratori in servizio a ottobre 2014 (13° mese di calendario di vigenza del rapporto agevolato), è maggiore della forza media del-l’anno precedente l’assunzione, si conclude che l’incremento è mantenuto per il mese di ottobre 2014 e quindi per tale mese continua a spettare il beneficio:

[fm2as13 = 36/12] > [fmap = 22/12].

In relazione a novembre 2014 (14° mese di ca-lendario di vigenza del rapporto agevolato) si deve verificare se è mantenuto l’incremento nel seguente modo: 11. poiché durante novembre 2014 non sono in-

tervenute cessazioni anticipate dei rapporti che erano in essere il 13° mese, si conclude che l’incremento è mantenuto e quindi spetta il beneficio anche per novembre 2014.

Si ripete la stessa operazione per i mesi succes-sivi, fino marzo 2015 (18° mese di calendario di vigenza del rapporto con Tizio); nell’ipotesi qui formulata in nessuno dei mesi successivi inter-vengono cessazioni anticipate dei rapporti che erano in essere il 13° mese; pertanto l’incremen-to è mantenuto e il beneficio continua a spettare fino alla sua naturale scadenza.

7. Aspetti procedurali: modulo di istanza on line “76-2013”

Secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 14, del D.L. n. 76/2013 al fine di poter essere am-

messi all’incentivo in trattazione occorre esple-tare l’adempimento operativo consistente nel-la presentazione di una domanda prelimi-nare all’Inps in cui si indicano: il lavoratore nei cui confronti è intervenuta o

potrebbe intervenire l’assunzione a tempo in-determinato ovvero la trasformazione a tempo indeterminato di un rapporto a termine;

la regione di esecuzione delle prestazione la-vorativa.

La domanda deve essere inoltrata esclusivamen-te avvalendosi del modulo di istanza on line “76-2013”, messo a disposizione all’interno del-l’applicazione “DiResCo - Dichiarazioni di Re-sponsabilità del Contribuente”, sul sito internet http://www.Inps.it/. Il modulo è accessibile seguendo il percorso “servizi on line”, “per tipologia di utente”, “aziende, consulenti e professionisti”, “ser-vizi per le aziende e consulenti” (autentica-zione con codice fiscale e PIN), “dichiarazioni di responsabilità del contribuente”; all’i-stanza non deve essere allegata alcuna docu-mentazione. Entro 3 giorni dall’invio dell’istanza, l’Inps – mediante i propri sistemi informativi centrali – verifica la disponibilità residua della risorsa in relazione alla regione di pertinenza e, in caso di disponibilità, comunica – esclusivamente in modalità telematica – che è stato prenotato in favore del datore di lavoro l’importo mas-simo dell’incentivo (per la durata di 18 o 12 me-si, rispettivamente per l’assunzione e la trasfor-mazione) per il lavoratore indicato nell’istanza preliminare. La comunicazione dell’Inps è ac-cessibile all’interno dell’applicazione “DiRe-sCo”. Entro 7 giorni lavorativi dalla ricezione della comunicazione di prenotazione positiva dell’Isti-tuto, il datore di lavoro – per accedere all’incen-tivo – deve, se ancora non lo ha fatto, stipulare il contratto di assunzione ovvero di trasfor-mazione. Entro 14 giorni lavorativi dalla ricezione della comunicazione di prenotazione positiva dell’Isti-tuto, il datore di lavoro ha l’onere di comunica-re l’avvenuta stipulazione del contratto di la-voro, chiedendo la conferma della prenotazione effettuata in suo favore; la comunicazione deve essere effettuata mediante l’apposita funzionali-tà disponibile all’interno dell’applicazione “Di-ResCo.”; l’istanza di conferma costituisce do-manda definitiva di ammissione al beneficio. Nell’ipotesi di trasformazione a tempo inde-

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6374 APPROFONDIMENTO – Lavoro

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fascicolo 1

terminato di un rapporto a termine, il datore di lavoro deve presentare la domanda definitiva entro lo stesso termine, anche se non è stato

ancora realizzato l’incremento netto dell’occupa-zione19.

Esempio

Il 1° ottobre 2013 Alfa chiede all’Inps la prenotazione della risorsa per la possibile assunzione di Tizio; il 4 ottobre 2013 l’Inps comunica l’avvenuta prenotazione; il 12 ottobre 2013 Alfa stipula con Tizio il contratto di lavoro, che prevede l’inizio del rapporto per il 21 ottobre 2013; Alfa può comunicare all’Inps l’avvenuta stipulazione del contratto nel periodo compreso tra il 12 ottobre 2013 e il 21 ottobre 2013.

8. Conclusioni 19

L’analisi condotta ha delineato in maniera si-stematica le caratteristiche dell’incentivo intro-dotto. Tuttavia appare condivisibile la posizione 19 I termini previsti per la stipulazione del contratto e per la

presentazione dell’istanza definitiva di conferma della pre-notazione – con contestuale domanda di ammissione all’in-centivo – sono perentori; la loro inosservanza determina l’i-nefficacia della precedente prenotazione di somme.

di coloro i quali avrebbero preferito una soluzio-ne più facilmente spendibile e comunque esen-te da tutta una serie di cavilli burocratici che non fanno altro che scoraggiare un tessuto im-prenditoriale già di per sé ridotto allo stremo. Se è la mancanza di lavoro il maggior nemico in questo momento allora bisogna “pensare” ad al-tri tipi di provvedimenti che possono incidere in maniera sostanziale come ad esempio la ridu-zione del cuneo fiscale.

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fascicolo 1

APPROFONDIMENTO

La tassazione dei compensi e delle royalties percepiti da artisti

non residenti in Italia di Sante Battistini(*)

Il presente contributo approfondisce le impli-cazioni fiscali in relazione ai compensi di na-tura artistica e alle royalties pagati a un artista fiscalmente non residente in Italia, con riferi-mento alle prestazioni artistiche rese nel ter-ritorio nazionale; dopo aver offerto una pano-ramica sulle norme che presiedono alla tassa-zione dei compensi artistici secondo la nor-mativa interna, passeremo ad analizzare i ri-flessi sulla tassazione di tali redditi ai sensi delle disposizioni previste dalle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. Un occhio di riguardo sarà riservato alle con-seguenze tributarie derivanti dal pagamento di royalties – sempre a favore di una persona fisica non residente – sia nel caso in cui l’ar-tista dispone nel territorio dello Stato di una base fissa per l’esercizio della sua attività, sia nel caso in cui non ne dispone.

1. Tassazione dei compensi artistici secondo la normativa interna(*)

La normativa interna non prevede un regime di tassazione particolare per gli artisti e gli sportivi in quanto l’art. 23 del Tuir menziona il reddito di lavoro autonomo in genere. Un artista profes-sionista può erogare le proprie prestazioni in base ad un contratto di collaborazione coor-dinata e continuativa di cui all’art. 50, comma (*) Dottore commercialista in Milano.

1, lett. c-bis del Tuir, ovvero in base a un con-tratto d’opera stipulato in qualità di lavoratore autonomo.

In base all’art. 3 del Tuir, i soggetti non residenti sono tassati solamente sui redditi prodotti in Ita-lia. L’elenco di tali redditi è contenuto nel suc-cessivo articolo 23. In particolare sono prodotti in Italia sia i redditi di lavoro autonomo de-rivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato (art. 23, comma 1, lett. d), sia i red-diti di collaborazione coordinata e conti-nuativa corrisposti da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni italiane di soggetti non residenti (art. 23, comma 2 lett. b). I soggetti non residenti, tuttavia, non sono tenuti a presentare la dichiarazione dei redditi in Italia in quanto è previsto che il sostituto d’imposta operi una ritenuta alla fonte a titolo d’impo-sta. Infatti, con riferimento ai compensi di lavo-ro autonomo, l’art. 25, comma 2 del D.P.R. n. 600/1973 prevede l’applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30%.

Alla luce delle considerazioni che precedono e con particolare riferimento al caso di specie, i compensi di lavoro autonomo percepiti dall’arti-sta a fronte delle prestazioni artistiche rese in ter-ritorio italiano dovranno essere assoggettati a ri-tenuta d’acconto a titolo d’imposta nella misura del 30%, in quanto si riferiscono a prestazioni di lavoro autonomo rese in Italia da un soggetto ivi fiscalmente non residente. La base imponibile ai fini dell’applicazione della ritenuta sarà deter-minata dai compensi lordi imputabili all’attività

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6376 APPROFONDIMENTO – Fiscalità internazionale

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artistica svolta in Italia. Nel caso in cui i compen-si siano fatturati per il tramite di una partita Iva estera, nella fattura non dovrà essere esposta l’im-posta estera e la società italiana, al momento del ricevimento della fattura, dovrà integrare questo documento applicando l’Iva italiana attraverso il meccanismo del reverse-charge. Può tornare utile alla fattispecie in esame il caso dei ciclisti1, che riguardava una società sportiva professionistica italiana che gestiva una squadra di ciclisti professionisti, alcuni dei quali residen-ti in Germania. L’Agenzia delle Entrate ha cor-rettamente collocato la fattispecie nell’art. 23, comma 2, lett. b), del Tuir ed ha ammesso la tassabilità dei redditi in Italia per il semplice fat-to di essere stati corrisposti dallo Stato, da sog-getti residenti nel territorio dello Stato o da sta-bili organizzazioni nel territorio stesso di sogget-ti non residenti. Di conseguenza, la ritenuta del 30% prevista dal-l’art. 24, comma 1-ter, D.P.R. n. 600/1973 deve essere operata sull’intero corrispettivo pagato al non residente. Conformemente alle indicazioni del Modello Ocse, la tassazione del reddito pre-scinde quindi sia dalla residenza del soggetto pa-gatore che dalla sussistenza di una stabile orga-nizzazione ed è legata esclusivamente al luogo in cui le prestazioni sono svolte. Non po-tranno quindi essere tassati in Italia i redditi imputabili a giornate di gara svolte all’estero. La risoluzione ha chiarito che in presenza di un contratto che regoli unitariamente il rapporto di lavoro tra una società residente e uno sportivo non residente, sia possibile ripartire il compenso contrattuale in relazione al rapporto tra le gior-nate di gara (tappe ciclistiche) svolte in Italia e quelle svolte all’estero.

2. Inquadramento fiscale dei compensi artistici secondo le Convenzioni contro le doppie imposizioni e le osservazioni del Commentario Ocse

La norma di riferimento è l’art. 17, paragrafo 1, della schema di Convenzione Ocse contro le doppie imposizioni che al riguardo prevede che “nonostante le disposizioni degli articoli 14 e 15 della presente Convenzione, i redditi che un re-sidente di uno Stato contraente ritrae dalle sue prestazioni personali esercitate nell’altro Sta-to contraente in qualità di artista dello spettaco- 1 Si veda al riguardo, la ris. dell’Agenzia delle Entrate n.

79/E del 16 giugno 2006, in banca dati “fisconline”.

lo, quale artista di teatro, del cinema, della radio o della televisione o in qualità di musicista, non-ché di sportivo sono imponibili in detto altro Stato”. La suddetta disposizione convenzionale discipli-na i redditi derivanti dall’attività personale, pre-stata nell’ambito di un rapporto di lavoro dipen-dente o indipendente, percepiti da professionisti dello spettacolo, musicisti e sportivi. In considerazione delle particolari caratteristi-che dell’attività svolta, gli artisti e sportivi non residenti rimangono nel territorio dello Stato per un periodo di tempo molto ridotto, stret-tamente necessario all’esecuzione della presta-zione programmata, e generalmente non dispon-gono di alcuna base fissa in Stati diversi da quel-lo di residenza. Nonostante la ridotta permanen-za nello Stato, peraltro, gli artisti e sportivi pos-sono conseguire redditi di ammontare rile-vante, giustificando così la presenza nel Model-lo OCSE di un articolo a loro esclusivamente dedicato. L’esigenza di tutelare la potestà impositiva dei singoli Stati ha infatti suggerito l’opportunità di adottare un criterio di imponibilità diverso da quelli previsti dagli artt. 7 e 15 con riferimento ai professionisti indipendenti e ai lavoratori di-pendenti, in modo da prevedere che i redditi da essi conseguiti siano imponibili nello stesso Sta-to in cui traggono origine. In deroga a quanto previsto dagli artt. 14 e 15, pur in assenza di una base fissa o di un periodo minimo di permanenza nello Stato della fonte, i redditi conseguiti dagli artisti e sportivi sono dunque imponibili nello Stato in cui viene svolta l’attività da cui traggono origine. La ratio della norma risiede nella necessità di as-soggettare a tassazione nello Stato in cui si ma-nifestano, prestazioni artistiche che per la loro intrinseca natura permettono di conseguire no-tevoli redditi in un arco temporale molto ristret-to, nonché di prevenire il manifestarsi di feno-meni elusivi tendenti a localizzare i redditi deri-vanti dall’attività artistica e sportiva negli Stati caratterizzati da una pressione fiscale meno ele-vata.

Con riferimento all’ambito soggettivo di applica-zione, l’art. 17 risulta applicabile ai professioni-sti dello spettacolo, quali artisti di teatro, artisti di cinema, artisti della radio o della televisione, ai musicisti ed agli sportivi. Nonostante il carat-tere eccezionale della norma richiederebbe una definizione quanto più precisa e puntuale del suo ambito di applicazione, l’elencazione non ha

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Fiscalità internazionale – APPROFONDIMENTO 6377

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carattere esaustivo, ma si limita a richiamare le categorie di contribuenti a cui l’art. 17 risulta applicabile. Inoltre, la molteplicità delle forme con cui l’attività artistica e sportiva può essere esercitata non permette di definire in modo uni-voco il contenuto della nozione di artista o spor-tivo e si limita ad elencare, a titolo esemplifica-tivo, alcune categorie di soggetti che devono es-sere considerati tali. Nella pratica, possono presentarsi situazioni in cui è difficile stabilire se l’attività svolta da un determinato soggetto possa essere qualificata come attività di un professionista dello spettaco-lo, un musicista, uno sportivo o se sia invece e-stranea a tale nozione. Sotto un primo profilo, potrebbe porsi il problema di individuare quale tipo di attività di spettacolo possieda il caratte-re della professionalità richiesto, ma non de-finito, dall’art. 17. In considerazione della ratio della norma di as-soggettare ad imposizione nello Stato della fonte i redditi derivanti da prestazioni connesse all’atti-vità dello spettacolo di carattere personale, sem-bra possibile affermare che il requisito della pro-fessionalità non deve essere inteso in senso ecces-sivamente restrittivo, in modo da non limitare la portata applicativa della norma. In altre parole, sembra possibile escludere l’applicabilità dell’art. 17 in favore di altre norme convenzionali unica-mente nei casi di palese assenza del requisito del-la professionalità, avendo riguardo non solo al carattere di abitualità dell’attività svolta e alla presenza di una remunerazione ma anche ad o-gni altro carattere che può essere di volta in volta di aiuto nella soluzione del problema.

Un secondo aspetto riguarda l’individuazione delle persone che, nell’ambito della realizzazione di uno spettacolo, svolgono un’attività di con-tenuto artistico nel senso definito dall’art. 17 e quali svolgono invece un’attività di carattere per-sonale regolata dagli artt. 7 e 15. In proposito, il Commentario chiarisce che non rientra nel-l’ambito di applicazione dell’art. 17 il personale amministrativo o di supporto, tra cui vengono espressamente richiamati i tecnici delle riprese, i produttori, i registi, i coreografi, il personale tecnico, ecc. Sotto il profilo oggettivo, va in primo luogo rile-vato che gli artisti e sportivi possono percepire una vasta gamma di corrispettivi in forme diffe-renti i quali, a seconda dei rapporti contrattuali da cui traggono origine, possono essere qualifi-cati ai fini convenzionali quali redditi di impresa o derivanti da attività professionale (art. 7), ca-

noni (art. 12), redditi da lavoro dipendente (art. 15) ovvero redditi derivanti dall’attività artistica e sportiva in senso stretto nei confronti dei quali trova applicazione l’art. 17 del Modello OCSE. A livello OCSE, si è quindi posto il problema di stabilire quali fattispecie ricomprendere nell’am-bito applicativo dell’art. 17 e quali invece assog-gettare ai regimi ordinariamente previsti dalle norme convenzionali. Al riguardo, avrebbero po-tuto essere adottate due diverse interpretazioni. La prima, di tipo più restrittivo, tende ad assog-gettare al regime speciale previsto dall’art. 17 unicamente i redditi derivanti dalla parteci-pazione a un’esibizione artistica o sportiva, quale ne sia la natura. Le altre fattispecie reddi-tuali sono invece escluse da tale ambito e devono quindi essere ricondotte alle norme convenzionali ad esse specificamente applicabili.

Secondo un’altra impostazione, invece, la molte-plicità delle attività svolte dagli artisti e sportivi e la complessità ed articolazione dei contratti da cui sono regolate non permettono un’agevole indivi-duazione dei diversi elementi che compongono i corrispettivi complessivamente percepiti da tali soggetti. Anzi, la separazione tra le diverse componenti reddituali potrebbe a volte appari-re artificiosa. Si pensi al caso di un celebre arti-sta che percepisce un compenso per un’attività non strettamente artistica o sportiva ma il cui am-montare è sicuramente influenzato, in senso posi-tivo, dalla notorietà che il medesimo ha acquisito tramite l’attività artistica o sportiva. Il Comitato Affari fiscali dell’OCSE, pur pren-dendo atto delle difficoltà in ultimo evidenziate, ha peraltro ritenuto opportuno privilegiare la prima interpretazione sulla base delle seguenti considerazioni: ricondurre ad unità tutti i corrispettivi perce-

piti dagli artisti e sportivi ricomprendendoli nell’ambito dell’art. 17 avrebbe considerevol-mente ridotto la portata applicativa delle altre norme che possono altrimenti trovare applica-zione con riferimento ai redditi di provenien-za non strettamente artistica o sportiva;

le autorità fiscali dei diversi Stati avrebbero comunque difficoltà ad individuare tutti i red-diti che l’artista o sportivo può percepire in modo diretto o indiretto, anche all’estero, in dipendenza dell’attività esercitata nell’ambito del territorio del proprio Stato, con il conse-guente rischio di doppie imposizioni o, al con-trario, di non imposizione.

Sulla base delle indicazioni fornite dal Commen-

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6378 APPROFONDIMENTO – Fiscalità internazionale

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tario2, l’art. 17 deve dunque ritenersi applicabile ai redditi percepiti dall’artista o sportivo in di-pendenza dell’attività propriamente artistica o sportiva svolta in un determinato Stato. In assenza di un rapporto di dipendenza diretta tra l’attività esercitata e il reddito conseguito, la norma convenzionale correttamente applicabile non deve essere ricercata nell’art. 17 quanto piuttosto in uno degli altri articoli del Modello OCSE. In applicazione del principio appena e-nunciato, i redditi corrisposti all’artista o sporti-vo in dipendenza dell’annullamento di uno spet-tacolo, o di un altro evento già programmato non rientrano nell’ambito di applicazione del-l’art. 17 ma delle altre norme convenzionali di volta in volta applicabili3. In tal caso, infatti, l’ar-tista non ha esercitato alcuna attività di caratte-re personale nel territorio dello Stato e, proprio per tale circostanza, percepisce un’indennità dal-la parte organizzatrice nazionale che non è im-ponibile nello Stato della fonte se non in forza di disposizioni convenzionali diverse da quelle di cui all’art. 17. Va peraltro sottolineato che né il Modello OCSE né il Commentario non contengono alcuna indi-cazione in merito alle modalità di determinazio-ne del reddito imponibile derivante dall’attività artistica o sportiva e delle aliquote ad esso appli-cabili rimandando così alle disposizioni pre-viste dalla normativa interna degli Stati con-traenti4. Le norme interne possono quindi istitu-ire forme di imposizione diverse, con o senza il ricorso all’istituto della ritenuta alla fonte, pre-vedendo oneri deducibili ed aliquote variabili da Stato a Stato.

Infine, per completezza, il paragrafo 2 dell’art. 17 della Convenzione in esame stabilisce: “quando i redditi derivanti da prestazioni che un artista dello spettacolo o uno sportivo esercita personal-mente e in tale qualità sono attribuiti ad una persona diversa dall’artista o dallo sportivo medesimo, detti redditi sono imponibili nello Sta-to contraente in cui le prestazioni dell’artista o dello sportivo sono esercitate, nonostante le di-sposizioni degli articoli 7, 14 e 15 della presente 2 Si veda il paragrafo 1 del Commentario. 3 Si veda il paragrafo 9 del Commentario. A conclusioni op-

poste a quelle previste dalla soluzione accolta dall’OCSE, invece, si sarebbe giunti se fosse stato adottato il principio secondo il quale i redditi percepiti a titolo di indennità o risarcimento in sostituzione di altri redditi sono da assog-gettare al medesimo trattamento impositivo dei redditi non conseguiti o perduti.

4 Si veda il paragrafo 10 del Commentario.

convenzione”. Si tratta di una disposizione an-tielusiva che stabilisce che quando il reddito de-rivante dall’attività svolta dall’artista o dallo spor-tivo sia imputato ad un altro soggetto (che può essere una “star company”, cioè una società e-stera che assume l’artista incaricandolo di esibirsi in vari paesi), i relativi redditi possono comunque essere tassati nello Stato in cui è erogata la pre-stazione.

3. Eliminazione della doppia imposizione: brevi considerazioni alla luce delle disposizioni convenzionali

Al fine di attenuare la doppia imposizione inter-nazionale dei redditi conseguiti dagli artisti e sportivi, quindi, il Commentario suggerisce di a-dottare il metodo del credito d’imposta, in ba-se al quale il reddito di fonte estera conseguito dall’artista o sportivo residente è comunque im-ponibile nello Stato di residenza, salvo il ricono-scimento di un credito tendenzialmente pari alle imposte assolte all’estero sul medesimo reddito. A mero titolo esemplificativo, l’art. 24 della Con-venzione tra Italia e Regno Unito contro le dop-pie imposizioni (che poi ricalca il tenore della maggioranza dei Trattati bilaterali stipulati dal-l’Italia), prevede quale meccanismo per elimina-re la doppia imposizione il credito d’imposta, co-sì come espressamente previsto: “l’imposta ita-liana dovuta ai sensi della legislazione italiana conformemente alla presente convenzione, sia direttamente che per detrazione, sugli utili o redditi provenienti da fonti site in Italia … è am-messa in deduzione dall’imposta del Regno Uni-to calcolata sugli stessi redditi per i quali è stata calcolata l’imposta italiana”. Laddove un compenso percepito da un lavoratore residente di un altro Paese, a corrispettivo della prestazione artistica resa in Italia, venga assogget-tato a tassazione sia in Italia (quale Paese della fonte) sia nello Stato di residenza, si verifica una doppia imposizione giuridica, per effetto di una duplice potestà impositiva spettante: al paese di residenza dell’artista (poniamo

il Regno Unito), che vanta il diritto di tassare la globalità dei redditi percepiti dal soggetto, in virtù del principio di tassazione su base mondiale, ivi compresi i compensi fatturati al-la società italiana in relazione all’attività arti-stica prestata in Italia;

allo Stato italiano, quale Paese della fonte (ossia dello Stato nel quale è svolta l’attività che genera i relativi redditi) che ha diritto di

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Fiscalità internazionale – APPROFONDIMENTO 6379

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tassazione limitatamente ai compensi ivi per-cepiti dall’artista.

La predetta doppia imposizione sarà, come det-to, eliminata nel Paese di residenza (nell’esem-pio fatto, il Regno Unito) attraverso il meccani-smo del credito d’imposta per le imposte assolte in Italia sullo stesso reddito.

4. Royalties pagate all’artista in relazione alle prestazioni d’opera rese in Italia

In primo luogo, occorre distinguere tra royalties corrisposte a un soggetto non residente che di-spone di una base fissa in Italia per l’esercizio della sua attività, e royalties corrisposte a un sog-getto non residente privo di base fissa in Italia. Nel primo caso, tutti i redditi di fonte italiana so-no assoggettati a tassazione in Italia, per il prin-cipio di attrazione, secondo le stesse regole ap-plicabili nei confronti dei soggetti residenti. Per-tanto, anche le royalties corrisposte da un’im-presa italiana a un soggetto non residente che di-spone di una base fissa (a condizione che vi sia un collegamento diretto tra la base fissa e la ge-nerazione delle royalties) concorrono alla deter-minazione del suo reddito di lavoro autonomo e, quindi, dovrebbero essere inserite all’interno del quadro RE della dichiarazione dei redditi. Nel caso di royalties corrisposte a un soggetto non residente – che non dispone di una base fissa in Italia per l’esercizio della sua attività – le royalties percepite dal beneficiario non resi-dente sono soggette a ritenuta alla fonte a ti-tolo di imposta. L’obbligo da parte del sogget-to erogante di operare la ritenuta è sancito dal-l’art. 25, ultimo comma, del D.P.R. n. 600/1973, il quale recita: “i compensi di cui all’art. 23, comma 2, lett. c), del Tuir, corrisposti a non re-sidenti, sono soggetti ad una ritenuta del 30% a titolo d’imposta sulla parte imponibile del loro ammontare …”. Nel caso di compensi di cui all’art. 23, comma 2, lett. c) (royalties per lo sfruttamento di beni im-materiali), al fine di determinare la parte impo-nibile del compenso sul quale deve essere opera-ta la ritenuta, occorre fare riferimento all'art. 54 comma 8 del Tuir per le royalties pagate diret-tamente all’autore e all’art. 71 comma 1 del Tuir per le royalties corrisposte a soggetti diversi dall’autore. Sulla base delle disposizioni citate, il compenso lordo sarà abbattuto forfetariamente del 25% se il beneficiario del compenso è l’au-tore del bene immateriale o se ne è il titolare in

virtù di un acquisto a titolo oneroso; se, vicever-sa, il beneficiario ha acquisito i diritti di utiliz-zazione del bene a titolo gratuito, la ritenuta verrà applicata sull’intero ammontare delle ro-yalties corrisposte. Pertanto, ove l’artista – fiscalmente non residen-te in Italia – continui ad operare nel territorio nazionale attraverso una base fissa (quindi, sup-ponendo che continui ad incidere le proprie o-pere artistiche in Italia), i compensi pagati a ti-tolo di diritti d’autore possono essere qualificati come reddito professionale soggetto a Irpef se-condo le regole ordinarie del reddito di lavoro autonomo, di cui all’art. 54 del Tuir. Ove, invece, l’artista operi in Italia senza il tramite di una ba-se fissa, i compensi pagati a titolo di diritti d’au-tore sconteranno una ritenuta a titolo d’imposta del 30% sulla parte imponibile.

5. Considerazioni in tema di royalties ai sensi del Modello di convenzione OCSE

Il criterio di tassazione delle royalties adottato dalla maggior parte delle convenzioni stipulate dall’Italia (tra cui, prendiamo sempre in consi-derazione – a puro titolo di esemplificazione - quella stipulata dall’Italia con il Regno Unito) si discosta in modo sensibile da quello enunciato dal modello OCSE, poiché, pur riconoscendo il principio di tassazione nello Stato del percetto-re, prevede la possibilità, da parte dello Stato della fonte, di operare una ritenuta sulle ro-yalties in uscita. Infatti, il Modello OCSE (rela-tivo all’art. 12, paragrafo 1) prevede il principio basato sulla potestà impositiva esclusiva dello Stato di residenza dell’effettivo beneficiario dei canoni provenienti da uno Stato contraente e pa-gati ad un residente dell’altro Stato contraente.

Tuttavia, l’art. 12 della esaminanda Convenzione tra Italia e Regno Unito prevede quanto segue: “i canoni provenienti da uno Stato contraente e pagati ad un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato. Tuttavia, ta-li canoni possono essere tassati anche nello Sta-to contraente dal quale essi provengono ed in conformità alla legislazione di detto Stato, ma se la persona che percepisce i canoni ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta così applicata non può eccedere l’8% dell’ammontare lordo dei ca-noni”. Quindi, alla luce della suddetta disposizione con-venzionale, si prevede un diritto di tassazione con-corrente del Paese della fonte (nel caso di specie,

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6380 APPROFONDIMENTO – Fiscalità internazionale

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Italia) e del Paese di residenza (poniamo, come in precedenza, il Regno Unito), con riferimento al pagamento dei diritti di autore all’artista che si qualifica fiscalmente non residente in Italia. In conformità al paragrafo 2 dell’art. 12 della convenzione tra Italia e Regno Unito, è prevista la possibilità di recuperare la ritenuta eccedente la misura massima convenzionale attivando la procedura di rimborso nello Stato della fonte ai sensi della normativa ivi vigente. Questo signi-fica che considerata una ritenuta convenzionale massima dell’8% da applicarsi in Italia (Stato della fonte), la parte eccedente (ossia il 22%) po-trà essere richiesta a rimborso all’Amministra-zione finanziaria italiana. Al riguardo, quest’ulti-ma5 non ha escluso esplicitamente il venir meno dell’obbligo da parte del soggetto erogante resi-dente di operare la ritenuta piena ai sensi del-l’art. 25 del D.P.R. n. 600/1973, ma ha ammesso che il sostituto d’imposta applichi, sotto la propria responsabilità, il più favorevole trat-tamento previsto a livello convenzionale, previa presentazione, da parte del soggetto non resi-dente, di un’apposita domanda corredata dei do-cumenti che comprovino l’esistenza dei requisiti per l’applicazione delle norme pattizie.

Nel caso in cui il sostituto decida comunque di applicare la ritenuta di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 600/1973, il soggetto non residente potrà ri-chiedere all’amministrazione finanziaria italiana il rimborso della differenza rispetto alla ritenuta convenzionale. L’istanza di rimborso dovrà esse-re presentata con la modulistica approvata con 5 Circ. 13 dicembre 1977, n. 86/12/1973 e circ. 4 febbraio

1980, n. 2/12/063, entrambe in banca dati “fisconline”.

provv. Agenzia delle Entrate 10 luglio 2013, dal beneficiario non residente o dal suo rappresen-tante, ai sensi dell’art. 38, comma 2, del D.P.R. n. 602/1973, entro il termine di decadenza di 48 mesi dalla data in cui l’imposta è stata preleva-ta. Il rimborso potrà essere richiesto, in alterna-tiva, dal sostituto d’imposta che ha corrisposto le royalties e, in tal caso, il termine di decadenza dei 48 mesi decorre dalla data di versamento dell’imposta. Infine, si precisa che la compe-tenza, per l’intero territorio nazionale, per la ri-cezione e la gestione delle istanze di rimborso da parte dei soggetti non residenti in base alle pre-visioni stabilite dalle convenzioni internazionali, è stata attribuita al Centro Operativo dell’Agen-zia delle Entrate di Pescara. A parere di chi scrive, l’approccio più prudente in relazione al trattamento fiscale riservato alle somme corrisposte all’artista a titolo di diritti di autore dovrebbe essere quello di applicare la ri-tenuta a titolo d’imposta nella misura del 30% e, poi, presentare l’istanza di rimborso per la diffe-renza recuperabile ai sensi della convenzione (nel caso, giova ricordarlo, non sia presente nel territorio dello Stato una base fissa, poiché in caso contrario gli importi pagati a titolo di dirit-ti d’autore concorrono a tassazione ordinaria in misura piena quali compensi di lavoro autono-mo). Infine, ai sensi dell’art. 24 della convenzione tra Italia e Regno Unito, verificandosi una doppia imposizione giuridica (in Italia quale Paese della fonte delle royalties e nel Regno Unito quale Pa-ese di residenza) l’artista potrà recuperare il cre-dito d’imposta per le imposte assolte in I-talia sullo stesso reddito assoggettato a doppia imposizione.

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41/2013

fascicolo 1

APPROFONDIMENTO

Esterovestizione: elusione o evasione?

di Marco Thione e Marco Bargagli

Il presente lavoro intende fornire elementi di valutazione utili a rispondere al seguente inter-rogativo: l’esterovestizione è un fenomeno elu-sivo o evasivo? Secondo la Suprema Corte l’e-sterovestizione societaria rientra tra le fattispe-cie che possono configurare abuso di diritto. La prevalente dottrina, invece, ritiene che il feno-meno debba essere inquadrato tra quelli aventi natura evasiva. Viene evidenziata l’ineludibile necessità di un intervento chiarificatore, di am-pio respiro, specie nell’ottica del disegno di leg-ge delega della riforma fiscale, formulando l’au-spicio a che sia il legislatore a tracciare nitida-mente i confini tra le condotte evasive elusive e/o abusive.

1. Premessa

Il presente intervento si prefigge lo specifico sco-po di alimentare il dibattito circa la natura del fenomeno di esterovestizione. Infatti, i recenti interventi della Suprema Corte hanno esplicita-mente annoverato il fenomeno de quo tra quelli di carattere elusivo. Più precisamente, nella de-finizione che ne dà la giurisprudenza di legitti-mità1 l’esterovestizione consiste nella “localizza-zione di una società in uno Stato a fiscalità più favorevole allo scopo di sottrarsi al più gravoso regime fiscale azionale” e, pertanto, essa “rientra tra le fattispecie che possono configurare abuso di diritto”. Un’ulteriore conferma di tale impo- 1 Sentenza n. 2869 del 7 febbraio 2013, in “il fisco” n.

8/2013, fascicolo n. 1, pag. 1169.

stazione è rinvenibile nella nota sentenza “Dolce e Gabbana”2 nell’ambito della quale il fenomeno dell’esterovestizione diviene il presupposto per delineare principi di ordine generale circa l’an-nosa querelle della rilevanza penale dell’elusione fiscale. Ciò premesso, gli autori intendono forni-re elementi di valutazione utili a rispondere al seguente interrogativo: l’esterovestizione è un fenomeno elusivo o evasivo? Non si tratta di una domanda meramente “dottrinale” ed “acca-demica”, costituendo, invece, un indispensabile punto di partenza: le categorie concettuali non rappresentano, infatti, sterili schematizzazioni, ma necessarie premesse da cui partire per elabo-rare un percorso logico-giuridico basato su soli-de fondamenta. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle considerazioni circa la rilevanza penale delle condotte riconducibili all’esterovestizione.

Collocare il fenomeno della “fittizia residenza” nell’ambito dell’evasione ovvero dell’elusione, a-vrebbe differenti riflessi anche a livello sanzio-natorio. A giudizio di chi scrive, dunque, occorre scongiurare il rischio di approcci generalizzati e, come tali, inopportunamente “generici”, non po-tendo trasformare il principio “antiabuso” in un ‘“onnivoro contenitore”3. Da qui l’avvertita esi- 2 Sentenza n. 7739 del 28 febbraio 2012, in banca dati “fi-

sconline”. 3 L’efficace espressione è tratta dall’autorevole intervento di G.

Falsitta, Spunti critici e ricostruttivi sull’errata commistione di simulazione ed elusione nell’onnivoro contenitore detto “abuso del diritto”, in “Riv. dir. trib.”, 2010, II, pag. 350. L’Autore, già qualche anno fa, rilevava, acutamente, come si stia consolidando un orientamento della giurisprudenza “che tende ad inglobare nella categoria dell’abuso del diritto tributario una serie di comportamenti del contribuente che si possono ascrivere de plano, e da che mondo è mondo

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6382 APPROFONDIMENTO – Fiscalità internazionale

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fascicolo 1

genza di risolvere il quesito in rassegna: l’este-rovestizione è elusione o evasione? Quindi, dopo avere delineato le “definizioni concettuali” degli argomenti coinvolti – coerentemente al perseguito scopo di individuare i “confini” logici e giuridici – si procederà all’esame di un con-fronto comparativo tra le argomentazioni a fa-vore della “tesi elusiva” e quelle a favore della “tesi evasiva”.

2. Definizioni concettuali

Per rispondere all’interrogativo che dà il titolo al presente contributo (“l’esterovestizione è elusione o evasione?”) occorre, necessariamente, affronta-re talune questioni di carattere pregiudiziale, de-finendo, univocamente, il concetto di: esterovestizione; evasione; elusione; abuso del diritto.

Di seguito, si propongono talune possibili “defini-zioni concettuali”, le quali – pur non avendo al-cuna pretesa di esaustività, considerata la com-plessità degli argomenti trattati – hanno lo scopo di individuarne, in estrema sintesi, i principali e-lementi distintivi e caratterizzanti.

2.1. L’esterovestizione

“Esterovestizione” è un termine di recente for-mazione, un neologismo assunto con una con-notazione prevalentemente negativa per indicare chi, di norma gruppi di società4, usa le tecniche di pianificazione fiscale internazionale, costitu-endo società in altro Stato a minore tassazione (spesso nei paradisi fiscali, intendendosi per tali gli Stati che non garantiscono un adeguato scambio di informazioni), al fine di sottrarsi ai tributi nazionali dello Stato in cui sono residen-ti. In particolare, l’esterovestizione consiste nella fittizia localizzazione della residenza fiscale in Paesi o territori diversi dall’Italia (in ambito UE o extra UE), così da beneficiare del regime fiscale più favorevole vigente nello Stato estero5. Nello specifico, l’esterovestizione societaria è ri-

sempre sono stati incasellati, nella categoria della simula-zione o, detto diversamente, della ingannevole (falsa) rap-presentazione – messa in scena da contribuente – dei feno-meni della realtà rilevanti per il diritto tributario”.

4 L’esterovestizione può riguardare, come noto, sia le per-sone fisiche che quelle giuridiche (c.d. “foreign-dressed companies”). Da un punto di vista concettuale i due feno-meni sono, perfettamente, sovrapponibili.

conducibile ad un’operazione attraverso la quale una legal entity riesce formalmente ad allocare in un altro Paese la residenza fiscale, nonostante conduca nel territorio italiano la propria attività principale, ovvero abbia in Italia la sede della propria amministrazione. In buona sostanza, si realizza una “dissociazione” tra residenza reale e residenza formale/fittizia del sogget-to passivo, al fine di “localizzare” i redditi con-seguiti in un Paese o in un territorio a fiscalità privilegiata, ovvero in uno Stato o territorio ove sono previsti particolari vantaggi in termini di tassazione. 5

2.2. Evasione

L’evasione tributaria (c.d. tax evasion) rappre-senta la condotta “classica” di sottrazione all’ob-bligo fiscale. Non esistendo una specifica defini-zione normativa del fenomeno, occorre rifarsi alla dottrina, la quale definisce evasione fisca-le “qualsiasi fatto commissivo od omissivo del soggetto passivo dell’imposizione che, avendo 5 Numerosi gli interventi della dottrina nella subiecta materia.

Si richiamano, ex multis e tra i più recenti: C. Sacchetto, E-sterovestizione societaria, disciplina tributaria e profili tec-nico-operativi, Giappichelli Editore, giugno 2013; A. Furlan, Esterovestizione: il vademecum dell’Agenzia, in “Fiscalità e commercio internazionale” n. 1/2012; D. Avolio-B. Santacro-ce, Le linee guida dell’Agenzia delle Entrate sull’esterove-stizione, in “il Corriere Tributario” n. 9/2012, pag. 613; M. Gabelli-D. Rossetti, Società esterovestite: gli elementi di pro-va per fisco e contribuente, in “Fiscalità e commercio inter-nazionale” n. 1/2012; M. Bargagli-M. Thione, Esterovestizio-ne e stabile organizzazione occulta: due facce (diverse) di una stessa medaglia, in “il fisco” n. 4/2012, fascicolo n. 1, pag. 505; M. Pennesi-C. Benigni, Esterovestizione: la sede dell’amministrazione determina la residenza fiscale, in “il Corriere Tributario” n. 24/2012, pag. 1878; P. Valente-S. Mattia, Esterovestizione e residenza: i gruppi italiani ope-ranti nel settore dell’autotrasporto, in “il fisco” n. 8/2012, fa-scicolo n. 1, pag. 1155; A. Roma, Comm. trib. prov. Savona, n. 46 del 10 marzo 2011 - La prova dell’esterovestizione in assenza di presunzioni legali, in “il fisco” n. 20/2011; M. Thione-M. Bargagli, Presunzione di esterovestizione e reite-rabilità del meccanismo presuntivo lungo la catena parteci-pativa, in “il fisco” n. 18/2011; M. Grazioli-M. Thione, L’este-rovestizione societaria, caratteristiche distintive del fenome-no e riflessi penali-tributari, in “il fisco” n. 31/2010, fascicolo n. 1, pag. 4994; M. Thione, L’esterovestizione societaria: di-sciplina sostanziale e profili operativi, in “il fisco” n. 4/2010, fascicolo n. 1, pag. 542; M. Bargagli, Residenza fiscale delle società e presunzione di esterovestizione, in “Azienda e Fi-sco” n. 11/2009, pag. 9 e ss.; I. Caraccioli-P. Valente, Resi-denza ed esterovestizione: profili penal-tributari della riqua-lificazione, in “il fisco” n. 25/2008, fascicolo n. 1, pag. 4488; A. Ballancin, Note in tema di esterovestizione societaria tra i criteri costitutivi della nozione di residenza fiscale e l’in-terposizione elusiva di persona, in “Riv. Dir. Trib.”, 2008, I, pagg. 975 e seguenti.

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posto in essere il presupposto del tributo, si sottrae, in tutto o in parte, ai connessi obbli-ghi previsti dalla legge”6. Il contribuente, pertan-to, nasconde il fatto imponibile, che già esiste nella sua integrità, sottraendosi illegalmente agli obblighi formali e sostanziali che discendono dal presupposto d’imposta. L’evasione fiscale è, pertanto, un fenomeno giuridicamente illecito, contra legem, contrastato dall’ordinamento, in quanto realizza una vera e propria violazione di una norma giuridica.

2.3. Elusione

È pacificamente considerato lecito il comporta-mento di chi, nell’operare una scelta tra più pos-sibili alternative, persegue il fine di conseguire il risultato economicamente e fiscalmente più van-taggioso7. Quando la normativa fiscale, in via strutturale o per scelta del sistema, offre al con-tribuente più alternative aventi pari dignità giuridica e tendenti verso il medesimo risultato, non si può biasimare chi sceglie la strada meno onerosa, dal punto di vista dell’onere tributario. Sebbene la pianificazione fiscale, pertanto, non possa essere “demonizzata”, è necessario indivi-duare i confini tra il legittimo risparmio di imposta (c.d. tax saving) e l’elusione fiscale (c.d. tax avoidance): nel primo caso, il risparmio è “fisiologico”, nel secondo, “patologico”. La pia-nificazione fiscale può essere effettuata “a testa alta, senza doversi giustificare (…) Nel rispar-mio di imposta fisiologico il contribuente si li-mita ad ‘usare’ la legislazione vigente, mentre in quello patologico il contribuente ne abusa, ritor-cendone a proprio favore incompletezze o difetti in modo da ottenere risultati che (pur formal-mente legittimi) ripugnano al sistema nel suo complesso”8. L’elusione fiscale, pertanto, rap-presenta una “via di mezzo” (illecita, in quanto disapprovata dall’ordinamento) tra l’evasione fi-scale e il legittimo risparmio di imposta. La differenza sostanziale rispetto all’evasione è la seguente: nell’evasione, il presupposto del tributo

c’è, ma il contribuente lo nasconde; 6 A. Lovisolo, L’evasione e l’elusione tributaria, in “Enciclo-

pedia dir.”, III aggiornamento, Giuffrè, Milano, 1988. 7 Per conformi considerazioni già elaborate da chi scrive

cfr. M. Thione, La simulazione contrattuale e il potere di disconoscimento del Fisco, in “il fisco” n. 45/2008, fascico-lo n. 1, pag. 8100.

8 Così R. Lupi, Elusione e legittimo risparmio d’imposta nella nuova normativa, in “Rassegna tributaria” n. 5/1997, pag. 1099.

nell’elusione, invece, il contribuente si impe-gna a non far sorgere il presupposto d’im-posta strumentalizzando le regole fiscali, ovvero violandone lo spirito, la ratio ispi-ratrice.

La violazione dello “spirito della legge” rap-presenta la differenza tra elusione e legittimo ri-sparmio di imposta. Possiamo identificare il con-cetto di elusione fiscale con l’insieme delle tecni-che e dei comportamenti del soggetto passivo di imposta che impedisce, in tutto o in parte, il sorgere della fattispecie legale imponibile, mediante l’uso accorto di istituti giuridici, con il risultato di far ricadere la capacità contributiva sotto una configurazione giuridica diversa da quella sua propria, al fine di ridurre o annullare l’onere fiscale. Per comprendere l’elusione è suffi-ciente pensare alle leggende sul diavolo che co-struiva un ponte, chiedendo in cambio di avere in suo potere l’anima del primo che ci fosse passato sopra. Le storie medievali narrano di astuti valli-giani che eludevano il patto facendo inaugurare il ponte al solito gatto nero9. L’elusione ha trovato una propria “codificazione” nell’ambito del no-stro ordinamento. Infatti, oltre alle cosiddette “clausole antielusive specifiche”, il legislatore fi-scale ha altresì predisposto una norma antielusiva cosiddetta “semi-generale” (art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973).

2.4. Abuso del diritto

L’“abuso del diritto” costituisce un principio di elaborazione giurisprudenziale. I giudici della Suprema Corte hanno, con una giurispru-denza ormai consolidatasi, rilevato l’esistenza di una clausola generale antiabuso, individuan-done il fondamento direttamente nelle norme co-stituzionali contenute in seno all’art. 53, comma 1 e 2 della Costituzione, laddove sono disciplinati i principi di capacità contributiva e progressività dell’imposizione. Tali principi, infatti, risultano le-si nel caso in cui l’utilizzo distorto di strumenti giuridici – in assenza di valide ragioni economi-che – sia finalizzato a trarre indebiti vantaggi fi-scali. Si legge, infatti, nelle cosiddette “sentenze di 9 L’esempio è noto ed è tratto da autorevole dottrina: R.

Lupi, L’elusione come strumentalizzazione delle regole fi-scali, in “Rassegna tributaria” n. 2/1994, pag. 225. Nella sua semplicità il caso esemplificativo è, indubbiamente, il-luminante: il comportamento del valligiano è elusivo, in quanto, pur rispettando la lettera del dettato normativo (il patto con il diavolo), ha violato, consapevolmente e frau-dolentemente, la finalità della normativa medesima (otte-nere un’anima umana).

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Natale” (sentenze n. 30055, 30056, 30057 del 23 dicembre 2008 della Corte di Cassazione, SS.UU. civili10): “non può non ritenersi insito nell’or-dinamento come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti van-taggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un ri-sparmio fiscale, in difetto di ragioni economi-camente apprezzabili che giustifichino l’operazio-ne, diverse dalla mera aspettativa di quel rispar-mio fiscale”. In estrema sintesi, a giudizio di chi scrive, è, dunque, possibile affermare che abuso del dirit-to ed elusione costituiscono: formalmente, due concetti distinti, in quanto

l’elusione trova un proprio fondamento norma-tivo (clausole antielusive e art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973), mentre l’abuso costituisce una clausola di derivazione giurisprudenziale, non espressamente codificata11;

sostanzialmente, due concetti sovrapponibi-li, come confermato dal disegno di legge dele-ga di riforma del sistema fiscale, nell’ambito del quale il legislatore delegante affida all’Ese-cutivo il compito di provvedere alla “revisio-ne delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell’abuso del diritto”12.

3. L’esterovestizione quale fenomeno “elusivo” o “abusivo”

In virtù della “sovrapponibilità concettuale” tra elusione ed abuso del diritto, ai fini del presente intervento, diviene possibile affrontare unitaria-mente il tema, accomunando la tesi secondo cui il fenomeno esterovestizione sia “elusivo”, ovve-ro “abusivo”. Di seguito, si illustrano i princi-pali spunti a favore di tale impostazione erme-neutica, tratti dalla giurisprudenza e dalla prassi nazionale, dalla giurisprudenza comunitaria e dalla dottrina. 10 In banca dati “fisconline”. 11 Si tralasciano in questa sede, in quanto non di stretta per-

tinenza, i numerosi profili di criticità derivanti da tale di-stinzione, quali, in primis, la non estendibilità delle ga-ranzie procedimentali previste dall’art. 37-bis anche alle ipotesi di abuso del diritto.

12 Art. 5 del Disegno di legge A.S. 1058 del 17 ottobre 2013, Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fi-scale più equo, trasparente e orientato alla crescita.

3.1. Giurisprudenza nazionale e il leading case n. 7739/2012

Nella definizione che ne offre la giurisprudenza di legittimità13 – come accennato in premessa – l’esterovestizione societaria è da ascrivere alla categoria generale dell’abuso di diritto: “l’este-rovestizione societaria, intesa in senso ampio, quale localizzazione di una società in uno Stato a fiscalità più favorevole allo scopo di sottrarsi al più gravoso regime fiscale azionale rientra tra le fattispecie che possono configurare abuso di diritto”.

Analoga impostazione interpretativa è rinvenibi-le nella nota sentenza della Cassazione penale n. 7739 del 28 febbraio 2012 (caso “Dolce e Gab-bana”), la quale ha affrontato il tema della rile-vanza penale delle condotte elusive, prendendo le mosse da un caso di specie ritenuto inquadra-bile nel più ampio fenomeno dell’esterovestizio-ne societaria. Per comprendere le successive ar-gomentazioni e, in particolar modo, le critiche mosse dalla dottrina alla sentenza in rassegna14, risulta necessario descrivere il caso con-creto oggetto di controversia, almeno nei suoi elementi essenziali15. La fattispecie afferisce ad una complessa opera-zione di cessione – secondo l’accusa a valori in-feriori a quelli di mercato – di noti marchi commerciali da parte di due, altrettanto noti, sti-listi. I marchi, dapprima di proprietà delle per-sone fisiche residenti sul territorio dello Stato, sono stati ceduti a una royalty company costitui-ta ad hoc nel Lussemburgo, nei confronti della quale è stata contestata l’esterovestizione. Tale royalty company ha, successivamente, provvedu-to ad affidare in licenza i marchi medesimi a una società operativa dell’omonimo gruppo im-prenditoriale italiano (con facoltà di sub-licen-za), in cambio della corresponsione di significa-tivi canoni. Il risultato complessivo, dal punto di vista fiscale, è stato quello di delocalizzare materia imponibile dall’Italia al Grandu-cato, sfruttando una tassazione più favorevole. Trattasi, dunque, dal punto di vista descrittivo di 13 Sentenza n. 2869/2013. 14 Tali critiche sono oggetto di successivo sintetico esame

nel paragrafo 4.1. 15 Per un’efficace e chiara ricostruzione del caso, di recente

elaborata, cfr. anche F. Antonacchio, Elusione fiscale e abuso del diritto: gli ultimi pronunciamenti della Cassa-zione sul regime sanzionatorio, in “il fisco” n. 38/2013, fa-scicolo n. 1, pag. 5906.

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un caso di base erosion mediante profit shifting, alias “BEPS”, utilizzando la recente espressione di derivazione Ocse16.

Schematicamente, la complessa operazione può essere così esemplificata:

L’Amministrazione finanziaria, muove un “in-treccio” di contestazioni – definibile, a giudizio di chi scrive, una sorta di “contestazione plu-rima” – rilevando: 16 la fittizia residenza della royalty compa-

ny e, conseguentemente, contestando l’este-rovestizione della predetta legal entity, ai sensi dell’articolo 73, comma 3, del Tuir. A so-stegno di tale tesi si evidenziava come la sede lussemburghese fosse solo formale (poiché lo-calizzata presso una società di domiciliazione societaria dove si avvicendavano dipendenti con funzioni di meri segretari), nonché il fatto che i consigli di amministrazione si tenessero solo apparentemente in Lussemburgo;

che l’impiego di tale schermo societario este-rovestito era finalizzato a sottrarre a tassazio-ne una manifestazione reddituale in realtà de-terminatasi nel territorio dello Stato, in quan-to la reale titolarità dei marchi, attraverso la catena societaria, era riferibile ai due stilisti apparentemente cedenti, residenti in Italia. Trattasi, pertanto, di una contestazione di “interposizione fittizia di persone”, che trova il proprio fondamento normativa nel-l’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973. L’interposizione costituisce, più nel dettaglio, una particolare forma di “simulazione relati-va” riferita ai soggetti. Essa è finalizzata a na-scondere la vera persona con la quale si vuole contrattare; l’interposizione fittizia di persone costituisce, dunque, un caso di “simulazione relativa soggettiva”, ossia una species del più ampio genus della simulazione;

16 Il riferimento è all’Action Plan on Base Erosion and Profit

Shifting (cosiddetto “Action plan BEPS”) dell’Ocse del lu-glio 2013.

in capo alle persone fisiche cedenti i marchi la configurabilità del delitto di dichiarazione in-fedele ex art. 4 D.Lgs. n. 74/2000, in relazione all’annualità in cui era stata dichiarata la vendita dei marchi a prezzi inferiori a quelli di mercato.

Ciò premesso, la Cassazione si prefigge quale obiettivo del proprio percorso logico-giuridico quello di verificare “se nella condotta attribuita agli imputati possa ravvisarsi in ipotesi un reato previsto e punito ex D.Lgs. n. 74 del 2000”. Sullo specifico punto, i giudici: rilevano che “la condotta attribuita agli

imputati costituisce un fenomeno noto come esterovestizione, che trova specifico riconoscimento nella legislazione di settore. La eventuale riqualificazione in Italia della re-sidenza fiscale di società ed enti esteri è previ-sta dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 73, comma 3, testo unico delle imposte sui redditi”, nonché dall’art. 4, par. 3, del Modello OCSE;

riconducono il fenomeno esterovestizio-ne alla più ampia categoria dei fenomeni elusivi/abusivi. Infatti, per verificare la pu-nibilità penale della condotta, la Cassazione elabora un percorso logico-giuridico di rico-struzione delle norme antielusive nazionali, alla luce del principio di derivazione giuri-sprudenziale dell’abuso del diritto. Le conclu-sioni cui perviene la Corte sono, in estrema sintesi, le seguenti: l’elusione è, in linea ge-nerale, penalmente sanzionabile solo se “codificata” in una norma espressa17 – ciò al

17 Nella pronuncia in commento si legge espressamente che

“deve affermarsi il principio che non qualunque condotta

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fine di garantire il rispetto del principio di le-galità e tassatività – quale l’art. 37-bis o le nor-ma antielusive specifiche18.

3.2. Prassi

L’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Nor-mativa e Contenzioso, con la circolare n. 28/E del 4 agosto 200619, ha fornito i primi chiari-menti in ordine alle disposizioni introdotte dal-l’articolo 35, commi 13 e 14, del D.L. n. 223 del 4 luglio 2006 che, a far data dall’esercizio 2006, ha novellato l’articolo 73 del Tuir, mediante l’inseri-mento del comma 5-bis (la c.d. presunzione le-gale relativa in tema di esterovestizione societa-ria). Il paragrafo 8 della citata circolare chiarisce che la norma “persegue l’obiettivo di migliorare l’efficacia dell’azione di contrasto nei confronti di pratiche elusive, facilitando il compito del verificatore nell’accertamento degli elementi di fatto per la determinazione della residenza effet-tiva delle società”.

Con la successiva ris. n. 312/E del 5 novem-bre 200720, l’Agenzia delle Entrate ha, altresì, affermato che la dimostrazione della prova con-traria deve avvenire “sulla base non solo del dato documentale, ma anche sulla base di tutti gli e-lementi concreti da cui risulti, in particolare, il luogo in cui le decisioni strategiche, la stipula-zione dei contratti e le operazioni finanziarie e bancarie siano effettivamente realizzate”. Ciò è essenziale “per permettere quella valutazione

elusiva ai fini fiscali può assumere rilevanza penale, ma so-lo quella che corrisponde ad una specifica ipotesi di elusio-ne espressamente prevista dalla legge. In tal caso, infatti, si richiede al contribuente di tenere conto, nel momento in cui redige la dichiarazione, del complessivo sistema norma-tivo tributario, che assume carattere precettivo nelle speci-fiche disposizioni antielusive. In altri termini, nel campo penale non può affermarsi l’esistenza di una regola generale antielusiva, che prescinda da specifiche norme antielusive, così come, invece, ritenuto dalle citate Sezioni Unite civili della Corte Suprema di Cassazione, mentre può affermarsi la rilevanza penale di condotte che rientrino in una specifi-ca disposizione fiscale antielusiva”.

18 La Corte, inoltre, attraverso il richiamo all’art. 16 del D.Lgs. n. 74/2000, opera un riferimento anche all’art. 21 della L. n. 413/1991 (cosiddetto “interpello speciale antie-lusivo”) e, dunque, opera, altresì, un ulteriore riferimento anche all’art. 37, comma 3 del D.P.R. n. 600/1973 (ipotesi di interpello prevista dal citato art. 21). Tuttavia, l’interpo-sizione fittizia di persone di cui al citato art. 37, comma 3, è un fenomeno ben distinto dal fenomeno elusivo, essendo riconducibile, come più volte la dottrina ha evidenziato, a una condotta tipicamente “evasiva”.

19 In banca dati “fisconline”. 20 In banca dati “fisconline”.

caso per caso necessaria al fine di garantire la proporzionalità della norma rispetto al fine per-seguito, a mitigare la portata generale della di-sposizione antielusiva in questione e, per-tanto, a confermare la compatibilità della stessa con la normativa comunitaria (...)”. La norma presuntiva viene, dunque, definita, esplicitamen-te, come norma “antielusiva”.

3.3. Giurisprudenza comunitaria

Appare meritevole menzionare, in relazione al tema in rassegna, due noti casi nell’ambito dei quali la Corte di Giustizia UE si è pronunciata sulla compatibilità delle legislazioni nazionali che incidono sul diritto di stabilimento rico-nosciuto dal Trattato UE (artt. 43 e 48). Si evi-denzia, tuttavia, che le sentenze in rassegna non riguardano espressamente casi di e-sterovestizione, ma affrontano il distinto – benché correlato – tema della compatibilità delle normative nazionali con il diritto di stabili-mento. Da tali pronunce, dunque, non appare direttamente ricavabile la natura “elusiva” del-l’esterovestizione, ciò in quanto il punto di vista della Corte è di più ampia portata. Infatti, le c.d. “strutture artificiose” ben potrebbero essere uti-lizzate per pratiche “elusive”, senza che le stes-se siano, necessariamente, esterovestite; si pensi, a titolo esemplificativo, ai fenomeni di treaty shopping. In tale contesto, infatti, una legal en-tity ben può essere utilizzata quale conduit com-pany senza essere esterovestita. Ad ogni modo, fatte salve le sopra riportate considerazioni, ri-sulta opportuno menzionare anche tali arresti giurisprudenziali europei, in quanto essi si sof-fermano sul concetto di abuso del diritto di stabilimento, tracciandone i confini.

Il caso “Centros” (sent. 9 marzo 1999, causa C-212/97 della Corte Giust. CE21) La Corte afferma che il combinato disposto degli artt. 43 e 48 del Trattato riconosce alle società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro – e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro dell’atti-vità principale all’interno della Comunità – il di-ritto di svolgere la propria attività in un altro Stato membro, a prescindere dall’effettivo svol-gimento di attività nel Paese di costituzione. Pur riconoscendo, dunque, in linea di principio, che gli Stati membri possono adottare misure volte ad impedire che i cittadini si avvalgano fraudo- 21 In banca dati “fisconline”.

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lentemente del diritto comunitario per sottrarsi a disposizioni nazionali imperative, si afferma che la costituzione di una società soggetta ad un ordinamento le cui norme appaiano meno seve-re per poi svolgere attraverso succursali una at-tività in Paesi dotati di ordinamenti più rigidi, non costituisce di per sé abuso del diritto di stabilimento. Si legge espressamente nella pro-nuncia: “il fatto che un cittadino di uno Stato membro che desideri creare una società scelga di costituirla nello Stato membro le cui norme di diritto societario gli sembrino meno severe e crei succursali in altri stati membri non può costituire di per sé un abuso del diritto di stabilimento”. I giudici lussemburghesi hanno, inoltre, precisato che “questa interpretazione non esclude che le autorità dello Stato membro interessato possano adottare tutte le misure ido-nee a prevenire o sanzionare le frodi, sia ne con-fronti della stessa società, eventualmente in co-operazione con lo Stato membro nel quale essa è costituita, sia nei confronti dei soci rispetto ai quali sia dimostrato che essi intendono in realtà, mediante la costituzione di una società, eludere le loro obbligazioni nei confronti dei creditori privati o pubblici nel territorio dello Stato mem-bro interessato”.

Il caso “Cadbury Schweppes” (Sent. del 12 settembre 2006, causa C-196/04 della Corte Giust. UE22) La nota sentenza in rassegna tratta della compa-tibilità della legislazione CFC inglese con la li-bertà di stabilimento. La Corte comunitaria ha precisato che: “il concetto di stabilimento nel-l’ambito del significato delle disposizioni del Trattato sulla libertà di stabilimento implica l’ef-fettivo svolgimento di un’attività economica (…)”. Pertanto, “affinché la restrizione alla liber-tà di stabilimento possa ritenersi giustificata dall’esigenza di contrastare pratiche abusive, tale restrizione deve avere come obiettivo la pre-venzione di quelle pratiche che implicano la cre-azione di strutture fittizie le quali non riflettono la realtà economica”. Ne deriva che le società ir-landesi (controllate dalla casa madre Cadbury Schweppes) possono avvalersi della tutela loro riconosciuta dagli artt. 43 e 48 del Trattato UE, in quanto esercitino effettivamente un’attività economica in Irlanda. La decisione della parent company di costituire proprie controllate sul territorio irlandese, solo per usufruire di un re-gime fiscale più favorevole, non costituisce un 22 In banca dati “fisconline”.

abuso del principio della libertà di stabilimento. La legislazione nazionale può prevedere un o-stacolo alla libertà di stabilimento, solo per con-trastare “costruzioni artificiose intese ad eludere la normativa nazionale”. Si legge, infatti, espressamente al paragrafo 55 della sen-tenza in commento: “ne consegue che, perché sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabili-mento deve avere lo scopo specifico di ostacola-re comportamenti consistenti nel creare costru-zioni puramente artificiose, prive di effettivi-tà economica e finalizzate ad eludere la nor-male imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale”.

3.4. Dottrina

Considerato che, evidentemente, non è possibile “censire” l’intero panorama dottrinale alla ricer-ca di posizioni “pro-elusione”, basti rilevare, in questa sede, che, raramente, la dottrina ha af-frontato “di petto” il tema in rassegna, chieden-dosi a quale categoria (tra “elusione” ed “evasio-ne”) sia ascrivibile il fenomeno dell’esterovesti-zione. A mero scopo illustrativo è, tuttavia, pos-sibile “bipartire” gli interventi dottrinali che so-stengono la natura elusiva del fenomeno estero-vestizione tra quelli che: prendono atto dall’asserita natura antielu-

siva delle presunzioni legali relative di cui all’art. 73 del D.P.R. n. 600/1973, rilevando, conseguentemente, che “la reazione dell’ordi-namento giuridico italiano rispetto al feno-meno dell’esterovestizione ha inteso contra-stare i comportamenti sostanzialmente elusivi posti in essere mediante la costituzio-ne e il mantenimento di strutture giuridico-formali ‘fittizie’ all’estero (…)”23;

si sforzano di individuare possibili argomen-tazioni logico-giuridiche a sostegno della po-sizione assunta dalla Suprema Corte nel 2012 la quale, come rilevato in precedenza, ha af-fermato la natura elusiva del fenomeno. È sta-to autorevolmente affermato, infatti, che “contro queste forme moderne di ‘evasio-ne’ che non derivano più da manifesta violazioni di norme imperative, ma più spesso celate sotto vesti giuridico formali non coerenti con sostanziali finalità economiche ed esclusivamente in funzione di risparmio fi-scale, più opportuno appare qualificarle

23 F. Carrirolo, Presunzione di esterovestizione per spa ita-

liana controllata da società olandese, in “Azienda & Fisco” n. 18/2008, pag. 46.

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come elusioni o abuso del diritto”24.

4. L’esterovestizione quale fenomeno “evasivo”

La teoria circa la natura evasiva del fenomeno esterovestizione trova il suo campo più fertile in dottrina. Anche in questo caso, rinunciando ad individuare tutte le posizioni – per evidenti ra-gioni di sinteticità espositiva – è possibile “bi-partire” gli interventi dottrinali che sostengono la natura evasiva del fenomeno esterovestizione tra quelli: critici rispetto alla sentenza “Dolce e Gabbana”; antecedenti l’elaborazione giurisprudenziale del

2012 che, pertanto, non risultano “influenzati” dalle argomentazioni della Corte di Cassazione.

4.1. Le posizioni “critiche” alla sentenza “Dolce e Gabbana”

La dottrina ha criticato la posizione assunta dal-la suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 7739/2012. Secondo tale filone dottrinale, la sen-tenza si fonda sull’equivoco consistente nell’ac-comunare le condotte di evasione, commes-se tramite l’interposizione fittizia di soggetti, all’elusione quale strumento di ottimizzazione fiscale25. Più nel dettaglio, la dottrina evidenzia: “come la sentenza riguardi un caso che la

stessa Corte inquadra, per la parte della sua articolazione che qui interessa, nella c.d. e-sterovestizione e segnatamente di (pretesa) fittizia residenza estera di una società (nella specie costituita in Lussemburgo), ossia un

24 C. Sacchetto, Esterovestizione societaria, disciplina tribu-

taria e profili tecnico-operativi, op. cit. L’Autore, inoltre, scrive in tale contesto: “esterovestizione” (“Foreign-dres-sed companies”) è termine di recente formazione, un neo-logismo assunto con una connotazione prevalentemente negativa per indicare chi, di norma gruppi di società, usa le tecniche di pianificazione fiscale internazionale, costi-tuendo società o stabili organizzazioni in altro Stato a minore tassazione (di norma paradisi fiscali nel senso at-tuale di Stati che non garantiscono lo scambio di infor-mazioni) al fine di evadere od eludere i tributi nazionali dello Stato di cui sono residenti”. Nella definizione che ne dà la giurisprudenza (es. Cass. 17 ottobre 2012, n. 2869) essa è da ascrivere alla categoria generale dell’abuso di di-ritto: “l’esterovestizione societaria, intesa in senso ampio, quale localizzazione di una società in uno Stato a fiscalità più favorevole allo scopo di sottrarsi al più gravoso regime fiscale azionale rientra tra le fattispecie che possono con-figurare abuso di diritto”.

25 Conformemente cfr. A. Monti - CAT Milano - commento alla sentenza n. 7739/2012, www.uncat.it/argomenti/377.

caso che con l’elusione e l’abuso del di-ritto tributario nulla ha a che fare, rap-presentando, diversamente, un’ipotesi paradigmatica di evasione”. E ancora: “sulla base di tale curiosa, sebbene non isola-ta, commistione di concetti (elusione/abu-so, da un lato, ed evasione, dall’altro) e muo-vendo comunque da una loro concezione uni-taria, la Suprema Corte teorizza la sanziona-bilità penale ex artt. 4 o 5 del D.Lgs. n. 74/2000, a seconda dei casi, dell’esterovesti-zione inteso come comportamento elusi-vo tipizzato in specifiche disposizioni del Tuir e comunque più in generale delle condot-te che rientrino in una specifica disposizione fiscale antielusiva”26;

che nella vicenda “Dolce e Gabbana” emergono “anche altri tipi di contestazione, dalla simula-zione all’esterovestizione, che ove provati a-vrebbero dato luogo a dei fatti di evasione, e non ad una elusione o abuso del diritto”27;

che “la sentenza della Commissione Tributa-ria di Milano n. 1 del 4 gennaio 2012 sul caso “Dolce & Gabbana” si inserisce nel solco del filone giurisprudenziale che utilizza impro-priamente lo strumento dell’abuso di diritto come comoda “scorciatoia” per decidere in merito a controversie riguardanti fe-nomeni del tutto diversi dall’elusione o abuso in senso stretto”28;

che “la ricostruzione della Corte (…) contrad-dice quanto elaborato in tema di sostanziale differenza tra elusione ed evasione tri-butaria da una parte della giurisprudenza nonché dalla dottrina maggioritaria”29;

che “la condotta elusiva non può trovare automatica coincidenza con il concetto di esterovestizione”, in quanto quest’ultima “si sostanzia nello stabilire una residenza fit-tizia all’estero (simulazione soggettiva reale) al fine di sottrarsi all’oneroso principio del “world wide taxation” e beneficiare così di re-

26 Così, autorevolmente, E. Della Valle, Brevi note in tema di

rilevanza sanzionatoria della condotta elusiva/abusiva, in “Rassegna Tributaria”, n. 5 del 2012, pag. 1118.

27 Cfr. L. Troyer-D. Stevanato e R.L., Profili penali dell’elu-sione: conferme sull’irrilevanza penale dell’elusione, in “Dialoghi Tributari” n. 1/2012.

28 Cfr. M. Giaconia-A. Pregaglia Sentenza «dolce & gabba-na»: preoccupanti orientamenti in tema di abuso del dirit-to, in “Fiscalità e commercio Internazionale” n. 7/2012.

29 E.M. Simonelli-F. Ferini, L’abuso del diritto: da principio immanente nell’ordinamento tributario a fattispecie pe-nalmente irrilevante, in “Rivista dei dottori commerciali-sti”, anno LXIV, Fasc. 1-2013.

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gimi fiscali più convenienti, e potrà integrare il reato di evasione di imposta soltanto qua-lora si riscontri il dolo specifico nell’omessa presentazione della dichiarazione, cioè la co-scienza e volontà di aver dato vita ad una so-cietà residente all’estero solo sulla carta con l’intento precipuo di conseguire il beneficio fi-scale in questione”30;

che “la Cassazione (…) tende (…) ad equi-parare i due concetti (ndr: evasione ed elu-sione) e a confondere i due piani, assor-bendo quello dell’elusione nella categoria dei fenomeni evasivi in ragione della sola (indebi-ta) riduzione del carico fiscale”31;

che l’esterovestizione consiste in una “condot-ta costituita dalla cosciente e volontaria viola-zione degli obblighi dichiarativi attraverso la fittizia e strumentale delocalizzazione della sede societaria in territorio estero, finalizzata ad ottenere un indebito risparmio di imposta nella completa assenza di alide ragioni econo-miche”. E ancora: “in presenza di simili condotte, si ritiene che l’analisi debba (…) prescindere da valutazioni (…) in ordine alla rilevanza penale della condotta elusiva ver-sando, in tal caso, nel campo dell’eva-sione fiscale tout court”32.

4.2. Le “vecchie” elaborazioni dottrinali in tema di esterovestizione

Da ultimo appare interessante approfondire an-che i “vecchi” spunti della dottrina, ossia quelli elaborati in passato senza subire l’influenza del-la recente giurisprudenza di legittimità. Di par-ticolare rilievo, le considerazioni di perdurante attualità contenute in un intervento di oltre dieci anni or sono33 che, con estrema chiarezza, indi-vidua i profili essenziali del fenomeno esterove-stizione34. L’Autore sembra qualificare l’esterove- 30 E.M. Simonelli-F. Ferini, L’abuso del diritto: da principio

immanente nell’ordinamento tributario a fattispecie pe-nalmente irrilevante, op. cit.

31 E.M. Simonelli-F. Ferini, L’abuso del diritto: da principio immanente nell’ordinamento tributario a fattispecie pe-nalmente irrilevante, op. cit.

32 Cfr. A. De Nisi-D. Frustaglia, L’esterovestizione societaria quale pratica elusiva: profili penali e sanzionatori, in “Ri-vista della Guardia di Finanza” n. 3/2013, pag. 775 e ss.

33 M. Di Siena, Il fenomeno della fittizia residenza estera nella prospettiva criminale tributaria, in “il fisco” n. 6/2003, fascicolo n. 1, pag. 853.

34 L’intervento tratta dell’esterovestizione delle persone fisi-che, fenomeno concettualmente identico rispetto all’este-rovestizione delle persone giuridiche.

stizione come forma di evasione fiscale in-ternazionale, senza nutrire alcun dubbio circa tale impostazione interpretativa, non citando mai – né indirettamente evocandolo – il con-cetto di elusione. Tra i passaggi più significa-tivi si riportano i seguenti: “nell’attuale panorama della fiscalità naziona-

le, uno dei temi che emerge con maggiore fre-quenza in sede di dibattito sull’individuazione delle più efficaci linee di contrasto all’evasio-ne fiscale è – senz’altro – quello della fittizia residenza estera delle persone fisiche”;

“la sostanza del fenomeno è (…) nitida: facolto-si individui che (…) fingono di risiedere in tax havens più o meno esotici al fine di minimizza-re indebitamente il proprio carico fiscale”;

“la tendenziale semplicità con la quale si rie-sce a dissimulare il reale luogo di resi-denza, ha recentemente indotto il legislatore nazionale ad introdurre talune modifiche al-l’assetto normativo interno (…)”;

le condotte di trasferimento fittizio della resi-denza non sono prive di idoneità ingannato-ria, tutt’altro: “per certi versi (…) esse rive-stono il massimo della potenzialità falsi-ficatoria in quanto attribuiscono una sem-bianza di veridicità (proprio perché rappre-sentano situazioni oggettivamente riscontra-bili) ad una situazione (la residenza) che, invece, risulta sostanzialmente falsa”. E ancora, trattasi di “comportamenti in cui l’e-ventuale omissione si coniuga ad un’alte-razione della realtà giuridica e fattuale di riferimento”.

“se si analizza la posizione dei fittizi residenti dichiaranti, non è difficile verificare come non tutto, nella loro condotta, sia perfet-tamente conforme alla fattispecie legale”.

Tali considerazioni appaiono riferirsi, a fattor co-mune, a una condotta evasiva: infatti, la “frau-dolenza”, la “simulazione”, la “falsificazione”, “la finzione” sono tutte categorie concettuali riferibili all’evasione.

5. Conclusioni

Dopo aver preso atto della presenza di due o-rientamenti distinti – l’uno che qualifica l’e-sterovestizione quale fenomeno elusivo, l’altro quale fenomeno evasivo – ci si pone ancora il quesito iniziale: l’esterovestizione è elusione o evasione? L’interrogativo potrebbe essere, sinteticamente, trasformato nel seguente: nel ca-so di esterovestizione le norme in materia di re-

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sidenza (e, conseguentemente, le connesse nor-me che impongono obblighi dichiarativi) sono “violate” ovvero “aggirate”?35. Dopo avere illustrato le differenti posizioni as-sunte dalla dottrina, dalla prassi e dalla giuri-sprudenza, a giudizio di chi scrive, l’esterovesti-zione appare essere caratterizzata da indubbi profili “evasivi”: le specifiche norme di ri-ferimento (ossia quelle che definiscono la resi-denza fiscale e quelle in materia di obblighi di-chiarativi) non appaiono “aggirate”, quanto, piuttosto, semplicemente non applicate. Non applicare una norma significa, con tutta eviden-za, assumere un comportamento contra legem. Sotto un’altra angolazione, non può sottacersi che l’esterovestizione non costituisce una forma classica di “evasione”: non siamo di fronte ad una tipica condotta evasiva consistente nel na-scondere la base imponibile. Nel fenomeno in rassegna, infatti, la materia imponibile viene oc-cultata attraverso un “vestito” diverso (quello e-stero) e non attraverso un “mero nascondimen-to” come avviene nelle tradizionali condotte di evasione.

Alla luce delle molteplici considerazioni elabora-te, appare efficace poter affermare, in sintesi, che l’esterovestizione costituisce un feno-meno stricto sensu evasivo e – solo – lato sensu elusivo36. In altre parole, l’esterovestizio-ne rappresenta: 35 Chi scrive ha già affrontato il quesito in altra sede, benché

attraverso un rapido obiter dictum. Cfr. M. Thione-M. Bargagli, Esterovestizione societaria, disciplina tributaria e profili tecnico-operativi, Giappichelli editore, giugno 2013, pag. 153. In tale contesto è stata sostenuta una posi-zione diversa, almeno di primo acchito, rispetto a quella che sarà proposta nel presente intervento, rilevando quan-to segue: “(…) l’esterovestizione societaria (…) indica la dissociazione fra residenza formale e residenza sostanzia-le attuata al fine di beneficiare di un regime fiscale più vantaggioso rispetto a quello del Paese di effettiva appar-tenenza. Pertanto, tale fenomeno appare assumere – a giu-dizio di chi scrive – caratteristiche più propriamente “elu-sive” piuttosto che “evasive”. Infatti, il soggetto esterove-stito pone in essere delle tecniche e dei comportamenti (quest’ultimi, sinteticamente, individuabili nell’ubicazio-ne, dal punto di vista formale, della residenza fiscale all’e-stero) finalizzati ad impedire il sorgere della fattispecie legale imponibile nel proprio territorio”. Tali considera-zioni hanno subito sicuramente l’influenza delle sentenza della Corte di Cassazione e rientravano in un tentativo – a parere di chi scrive doveroso – di giustificare la tesi giuri-sprudenziale, considerata la sua portata “storica”. Tutta-via, l’esito degli approfondimenti qui esposti consente a chi scrive di riattualizzare la propria posizione, secondo le presenti – e più complete – riflessioni conclusive.

36 Tale affermazione è in linea con le considerazioni elabo-rate da autorevole dottrina in materia di transfer price.

dal punto di vista tecnico-giuridico un comportamento evasivo, ciò in quanto la “tesi evasiva” appare essere sostenuta, per le motivazioni sopra esposte, da argomentazioni più convincenti;

dal punto di vista “fenomenologico” una condotta elusiva, laddove si voglia indicare l’effetto complessivo di dislocare base impo-nibile oltre confine “aggirando”, appunto, le norme convenzionali in tema di riparto del right to tax, dello ius impositionis (ossia del riparto della pretesa impositiva riferibile ai singoli Stati).

Quale argomento di sostegno di tale “chiave di lettura” proposta da chi scrive, si evidenzia uno specifico inciso contenuto nella sentenza n. 2869/2012 (in precedenza richiamata): “l’estero-vestizione societaria, intesa in senso ampio, quale localizzazione di una società in uno Stato a fiscalità più favorevole allo scopo di sottrarsi al più gravoso regime fiscale azionale rientra tra le fattispecie che possono configurare abuso di diritto”. Da notare come i giudici inseriscano l’inciso “intesa in senso ampio”; appare, dun-que, possibile ricavare dalla lettura della pro-nuncia in rassegna, la possibilità – nonché l’op-portunità e/o la necessità – di intendere il feno-meno esterovestizione non solo in “senso am-pio”, ma anche “in senso stretto”. In conclusione, specie nell’ottica dell’approvazio-ne del disegno di legge delega della riforma fisca-le37, non può che essere formulato l’auspicio a che sia il legislatore a tracciare nitidamente i con-

Cfr. E. Della Valle, «Transfer price» ed elusione, in “Cor-riere tributario” n. 29/2009, pag. 2395. L’Autore, infatti, da un lato disconosce natura antielusiva all’art. 110 comma 7, affermandone la natura “anti-evasiva”; dall’altro lato, ri-leva, altresì, nel fenomeno de quo una possibile “prospet-tiva antielusiva”. Si legge, infatti, testualmente: “la pratica che il comma 7 dell’art. 110 del T.U.I.R. vuole ostacolare non può essere ricondotta tra quelle che tradizionalmente vengono considerate le più tipiche forme di evasione. In questo senso, dunque, la regola in oggetto può dirsi antie-lusiva. Non lo è, tuttavia, se ci si pone nella prospettiva del ricordato art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, il quale è con-siderato dalla Suprema Corte quale espressione di un principio generale anti abuso ricavabile, in materia tribu-taria, dall’art. 53 Cost. L’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, infatti, decreta l’elusività della sola condotta del contribu-ente volta a strumentalizzare la normativa tributaria, ad aggirarla. Una connotazione che evidentemente manca nella anzidetta manipolazione dei prezzi di trasferimento che, invece, costituisce una diretta violazione, appunto, dell’art. 110, commi 2 e 7, del T.U.I.R.”.

37 Art. 5 del Disegno di legge A.S. 1058 del 17 ottobre 2013, Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fi-scale più equo, trasparente e orientato alla crescita.

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fini tra le condotte evasive (tra le quali rien-trano quelle simulatorie), elusive e/o abusive. Ciò in quanto, i differenti fenomeni riverberano distintamente, soprattutto sotto il profilo penale-tributario. Pertanto, nella ricostruzione di una complessa operazione nazionale e/o transnaziona-le è necessario che il Fisco individui, specificata-mente, le ragioni dell’eventuale rettifica. Più precisamente il materiale probatorio raccolto do-vrà38: dimostrare l’esistenza di un contratto dissi-

mulato (nel caso di simulazione relativa og-gettiva), ovvero la riferibilità del reddito ad al-tri soggetti diversi da quelli interposti (nel ca-so di simulazione relativa soggettiva);

individuare i presupposti applicativi delle nor-me antielusive (ovvero del principio antia-buso), laddove sia stato riscontrato che il con-tribuente abbia tratto indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici previsti dall’ordinamento, violandone lo spirito e la ratio.

L’evasione (e, conseguentemente, la simulazio-ne, quale species del genus evasione39) esclude l’abuso: se si simula, non si elude, in quanto si “falsifica”, si altera la realtà giuridica e fattua-le di riferimento. Nell’abuso e nell’elusione non vi è alterazione del fatto economico, mentre nella simulazione ciò che rileva è il na-scondimento (totale o parziale) del presupposto. La questione è stata risolta sia in Germania sia in Spagna, i cui ordinamenti giuridici tributari prevedono una netta distinzione tra simulazione ed elusione40. 38 Le due ipotesi accertative sono alternative, in quanto un

fenomeno esclude l’altro. 39 La dottrina discute se la simulazione, nel nostro ordina-

mento, sia regolata dal comma 3 dell’art. 37 del D.P.R. n. 600/1973, anche se la norma viene, normalmente, circo-scritta alla sola interposizione fittizia.

40 La tematica è disciplinata al comma 2 del par. 41 della Abgabenordnung tedesco, stabilendo che: “sono irrilevanti per l’imposizione i negozi simulati e gli atti simulati”; e an-

Appare, dunque, emergere un’imprescindibile necessità, ovvero quella di “fare chiarez-za”. Ci sia consentito esprimere il concetto con una metafora, dal lessico forse poco elegante e non certo accademico, ma dall’elevata capacità espressiva: occorre scongiurare di condire il “piatto accertativo” con un pizzico di elusione, qualche grammo di simulazione, una spruzzati-na di interposizione, amalgamando con un ri-chiamo all’art. 37-bis e mescolando il tutto con l’abuso del diritto. Insomma, occorre definire le singole “portate accertative” ovvero, fuor di me-tafora, è necessario garantire la certezza del diritto.oNon resta che attendere l’evoluzione del disegno di legge per la riforma del sistema fisca-le, condividendo le autorevoli riflessioni di chi ha rimarcato l’ineludibile necessità di una pun-tuale “regolamentazione che, ponendo fine alla (innaturale) funzione di supplenza sinora svolta dalla giurisprudenza, dia coerenza e sistematici-tà all’abuso del diritto”41. o cora “se mediante un negozio simulato si nasconde un al-

tro negozio giuridico, il negozio giuridico dissimulato è ri-levante per l’imposizione tributaria”. Il par. 42 si occupa, invece, al comma 1, dell’elusione e al secondo comma del-l’abuso. Su quest’ultimo, è affermato che “un abuso sussi-ste quando viene scelta una forma giuridica inadeguata che comporta per il soggetto d’imposta o un terzo, in con-fronto a una forma adeguata, un beneficio fiscale non pre-visto dalla legge. Questo non vale quando il soggetto d’im-posta prova per la forma giuridica scelta delle ragioni e-xtrafiscali, che secondo il quadro complessivo dei rapporti siano meritevoli di tutela”. Analoga differenziazione tra simulazione ed elusione è rinvenibile nella Ley spagnola. Sullo specifico tema cfr. D. Deotto, Abuso del diritto, iter su misura, in “Il Sole 24 Ore” dell’11 gennaio 2012. L’Au-tore auspica un intervento chiarificatore anche da parte del nostro Legislatore affermando quanto segue: “in so-stanza, la simulazione dovrebbe entrare, con alcune modi-fiche, nell’articolo 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973, senza la garanzie procedimentali dell’elusione (se un con-tratto di comodato nasconde una locazione non c’è elu-sione ma evasione e, quindi, non ha senso dare le garanzie dell’elusione). Per l’abuso, invece, si tratta di stabilire una sorta di ‘condensazione’ dei principi di abuso del diritto ed elusione, come accade in Germania”.

41 S. Capolupo, Abuso del diritto, teoria e pratica in ambito tributario, in “Rivista della Guardia di Finanza” n. 3/2013.

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6392

41/2013

fascicolo 1

GIURISPRUDENZA

Difformità tra dichiarazione inviata per via telematica e copia cartacea del contribuente Accertamento - Dichiarazioni - Trasmissione telematica - Difformità della dichiarazione tra-smessa in via telematica dalla copia cartacea - Rilevanza della dichiarazione presentata in via telematica

La dichiarazione che deve considerarsi presentata dal contribuente è quella trasmessa in via telematica, mentre la copia cartacea sottoscritta dal contribuente è uno strumento utile ai soli controlli, eventuali e successivi, da effettuarsi da parte dell’Amministrazione finanziaria in ordine alla genuinità ed alla pa-ternità della dichiarazione trasmessa per via telematica. In caso di difformità tra i dati risultanti nella dichiarazione presentata in via telematica e la copia con-servata con modalità cartacea, non vi è ragione di attribuire preferenza a questi ultimi e perciò ritenere che la predetta copia cartacea sia opponibile all’Amministrazione finanziaria a preferenza di quella tra-smessale per via telematica (n.d.r.). (Oggetto della controversia: credito d’imposta anno 2004)

(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Cicala, Est. Caracciolo - Ord. n. 20047 del 10 luglio 2013, dep. il 30 agosto 2013)

Svolgimento del processo Motivi della decisione

La Corte, ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione: Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati: Osserva: La CTR di Torino ha accolto l’appello proposto dalla “C. srl” contro la sentenza n.45/16/2010 della CTP di Torino che aveva respinto il ricorso della “predetta società avverso cartella di paga-mento emessa a seguito di liquidazione automa-tizzata D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis della dichiarazione presentata in via telematica il 27.10.2005 per l’anno d’imposta 2004, cartella contenente rettifica dell’imposta corrisposta, sul-la premessa che nella predetta dichiarazione non era stato esposto (al quadro R.U.) il credito di imposta relativo ad incentivi per la ricerca scientifica utilizzato in compensazione per l’im-porto di Euro 39.999,00.

La predetta CTR – dopo avere rilevato che la di-chiarazione redditi debitamente sottoscritta è quella conservata dal contribuente in base al di-sposto del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 3, comma 9 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 – motivava la decisione nel senso che la società aveva indi-cato il credito di imposta nella dichiarazione cartacea, sebbene il file inviato per via telemati-ca non contenesse detta indicazione; e nel senso che l’Ufficio era comunque a conoscenza delle informazioni richieste nel predetto quadro RU desumendole dai modelli F/24 in cui era stata operata la compensazione; infine nel senso che si era trattato di un “mero errore formale che non ha arrecato alcun danno all’Erario”. L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato ad unico motivo. La società contribuen-te non ha svolto difese. Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. asse-gnato allo scrivente relatore – può essere defini-to ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

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GIURISPRUDENZA 6393

41/2013

fascicolo 1

Infatti, con il motivo di impugnazione (impron-tato alla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 1 e del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 3) la parte ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito abbia – per quanto fosse pacifico che nella dichiarazione dei redditi trasmessa per via telematica il credito d’imposta non risultasse – erroneamente ritenuto irrilevan-te detto difetto, per quanto – a termini dell’art. 3 dianzi citato – soltanto la trasmissione telemati-ca della dichiarazione costituisce “presentazio-ne”, indipendentemente dal fatto che i contri-buenti siano tenuti a conservare anche la copia cartacea della dichiarazione ed indipendente-mente dal fatto che il versamento delle imposte avvenga a mezzo di un modello (F/24) da cui è possibile desumere l’ammontare del versato. Il motivo appare fondato ed accoglibile. Il menzionato art. 3 prevede infatti: “1. Le di-chiarazioni sono presentate all’Agenzia delle en-trate in via telematica ovvero per il tramite di una banca convenzionata o di un ufficio della Poste italiane S.p.a. secondo le disposizioni di cui ai commi successivi. I contribuenti con peri-odo di imposta coincidente con l’anno solare ob-bligati alla presentazione della dichiarazione dei redditi, dell’imposta regionale sulle attività pro-duttive e della dichiarazione annuale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, presentano la dichiarazione unificata annuale”.... “9. I contri-buenti e i sostituti di imposta che presentano la dichiarazione in via telematica, direttamente o tramite i soggetti di cui ai commi 2-bis e 3, con-servano, per il periodo previsto dal D.P.R. 29 set-tembre 1973, n. 600, art. 43, la dichiarazione debitamente sottoscritta e redatta su modello conforme a quello approvato con il provvedi-mento di cui all’art. 1, comma 1, nonché i do-cumenti rilasciati dal soggetto incaricato di pre-disporre la dichiarazione. L’Amministrazione fi-nanziaria può chiedere l’esibizione della dichia-

razione e dei suddetti documenti”. A mente della disposizione qui sopra trascritta, la dichiarazio-ne che ha da intendersi presentata dal contribu-ente è appunto quella trasmessa in via telemati-ca, mentre la copia cartacea sottoscritta dal con-tribuente è strumento utile ai soli controlli, e-ventuali e successivi, da effettuarsi da parte del-l’Amministrazione in ordine alla genuinità ed al-la paternità della dichiarazione trasmessa per via telematica. Non vi è perciò ragione per ritenere che in ipote-si di contraddizione tra i dati risultanti nella di-chiarazione presentata in via telematica e la co-pia conservata con modalità cartacea il giudi-cante possa attribuire preferenza a questi ultimi e perciò ritenere che la predetta copia cartacea sia opponibile all’Amministrazione a preferenza di quella trasmessale per via telematica. Poiché il giudicante non si è attenuto a detti principi, appare necessario cassare la pronuncia impugnata e restituire la causa al medesimo giu-dice di appello che – in funzione di giudice del rinvio – provvedere a rinnovare l’esame delle questioni oggetto di appello. Pertanto, si ritiene che il ricorso può essere de-ciso in camera di consiglio per manifesta fonda-tezza. Che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti; che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie; che il Collegio, a seguito della di-scussione in camera di consiglio, condivide i mo-tivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto; che le spese di lite possono essere regolate dal giudice del rinvio.

P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Piemonte che, in di-versa composizione, provvedere anche sulle spe-se di lite del presente grado.

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6394 GIURISPRUDENZA

41/2013

fascicolo 1

Deduzione dei costi da reato e fatture soggettivamente inesistenti Imposte dirette - Ires - Norme generali sul reddito d’impresa - Inerenza - Operazioni soggetti-vamente inesistenti - Deducibilità dei costi - Condizioni

I costi afferenti a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti sono deducibili dal reddito a condi-zione che risultino integrati i requisiti ordinariamente previsti dal Tuir per la deduzione dei componenti negativi di reddito, quali l’effettività, l’inerenza, la competenza, la certezza e la determinatezza. Il caso esaminato dai giudici è quello tipico di una frode carosello, peraltro in un settore molto a rischio come quello del commercio di metalli e rottami. La srl accertata aveva utilizzato fatture d’acquisto e-messe da una “cartiera”, che di fatto risultava interposta rispetto al vero cedente. Il Fisco, quindi, recu-perava a tassazione gli importi afferenti a dette fatture, ritenendo tali costi indeducibili dal reddito d’impresa. I costi ascrivibili ad operazioni soggettivamente inesistenti non possono essere contestati in base alla nuova disciplina dei costi da reato, atteso che l’indeducibilità da questa prevista colpisce soltanto i costi relativi a beni e servizi “direttamente utilizzati” per il compimento degli atti illeciti, mentre nel caso di specie, così come generalmente accade in tutte le frodi di questo tipo, i beni sono acquistati ai fini commerciali (di solito per la rivendita), non essendo impiegati per la commissione del delitto (n.d.r.). (Oggetto della controversia: avviso di accertamento, anno 1998)

(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Virgilio, Est. Cigna - Sent. n. 23314 del 14 marzo 2013, dep. il 15 ot-tobre 2013)

Svolgimento del processo Sulla scorta di p.v.c. della Guardia di Finanza 11-9-2000, l’Agenzia delle Entrate di Bergamo emetteva, nei confronti della R. S. M. srl (eser-cente l’attività di commercio all’ingrosso di rot-tami metallici), avviso di accertamento per l’an-no 1998, con il quale contestava alla società la contabilizzazione di fatture relative ad opera-zioni soggettivamente inesistenti, rettificava al-cuni valori di ammortamento e disconosceva la deducibilità di alcuni costi non di competenza; siffatto avviso veniva notificato anche a R.S., l.r. della società, quale autore materiale delle viola-zioni D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 11. La società e R.S. proponevano distinti ricorsi di-nanzi alla CTP di Bergamo, che, previa riunione degli stessi, con sentenza 20-07-2003, li acco-glieva parzialmente, confermando solo le riprese a tassazione relative ai costi non di competenza ed alla rettifica di alcuni valori di ammortamen-to. Con sentenza 126/65/07 del 20-9/15-10-2007 la CTR di Milano, sez. distaccata di Brescia, riget-tava l’appello proposto dall’Agenzia; in partico-lare la CTR rilevava che le operazioni erano ine-sistenti solo sul versante soggettivo, mentre non vi era prova di operazioni oggettivamente fitti-zie; al contrario, parte delle merce acquistata (rottami metallici) risultava giacente nel magaz-zino della società;

di conseguenza, doveva ritenersi che la compra-vendita/scambio di mercé fosse realmente avve-nuta e che legittimamente la società aveva de-dotto i costi relativi alle fatture “soggettivamente inesistenti”. Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidato a tre motivi; la società contribuente non svolgeva atti-vità difensiva.

Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia, dedu-cendo ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora art. 109), rilevava che dalle indagini svolte dalla Guardia di Finanza era emerso che I. srl e M. snc erano delle mere “cartiere” (cioè società fittizie costituite unicamente per l’emissione di fatture false); di conseguenza, i costi di cui alle fatture “soggettivamente inesistenti” emesse da tali “cartiere” non erano deducibili ai fini delle imposte dirette, in quanto, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora art. 109), i componenti negativi di reddito dovevano risultare certi nella loro esistenza e determinati nella loro quantifi-cazione; il che non poteva affermarsi nel caso di specie, in quanto, a prescindere dall’eventuale effettività degli acquisti, la fittizietà, sia pure so-lo soggettiva, delle fatture annotate in contabili-tà e la conseguente inattendibilità degli imponi-

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GIURISPRUDENZA 6395

41/2013

fascicolo 1

bili indicati nelle dette fatture, impedivano qual-siasi determinazione certa ed oggettiva dei costi sostenuti; formulava, in conclusione, quesito di diritto, chiedendo a questa Corte di affermare “se, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora art. 109), i costi rappresentati da fatture af-ferenti ad operazioni soggettivamente inesistenti siano deducibili ai fini delle imposte dirette, se-gnatamente nell’ipotesi (qui rilevante) in cui tali fatture corrispondano ad acquisti effettivi e non sia ravvisabile alcun comportamento doloso in capo all’acquirente (come ritenuto dalla CTR) o se, invece, tali costi siano comunque indeducibi-li per mancanza dei requisiti di certezza ed og-gettiva determinabilità, rimanendo irrilevante sia l’eventuale effettività degli acquisti sia l’even-tuale buona fede dell’acquirente”. Con il secondo motivo l’Agenzia, deducendo – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applica-zione degli D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 2 e 11, ri-levava che la CTR, nell’escludere la responsabili-tà dell’amministratore, non aveva considerato: che,in base alle dette disposizioni, le sanzioni previste per la violazione di norme tributarie so-no riferibili alla persona fisica che ha commesso la violazione, presumendosi autore della viola-zione chi ha sottoscritto o compiuto gli atti ille-gittimi; che, nel caso di specie, la persona fisica R.S., quale l.r. della società, aveva presentato nel 1999 la dichiarazione infedele IRPEG ed IRAP, poi rettificata con l’impugnato avviso di accer-tamento, in relazione alla quale erano state irro-gate le sanzioni pecuniarie in questione. Con il terzo motivo l’Agenzia, deducendo – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, rilevava che, ai sensi delle detta norma, pur in presenza di una rettifica di tipo analitico concernente i costi, ben si poteva procedere, come avvenuto nel caso di specie, a ricostruire i ricavi effettivi facendo ricor-so al metodo analitico-induttivo, e cioè ridetermi-nando, attraverso il ricorso a parametri induttivi, le percentuali di ricarico operate dalla società; er-roneamente, pertanto, la CTR, uniformandosi alla CTP, aveva statuito che l’accertamento analitico era alternativo con quello induttivo. Il primo motivo è fondato. Va, invero, innanzitutto condiviso il principio, di recente affermato da questa Corte, secondo cui “in tema di imposte sui redditi, a norma della L.

24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4 bis, nella formulazione introdotta con il D.L. 2 mar-zo 2012, n. 16, art. 8, comma 1, sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, per il solo fatto che essi sono sostenuti nel quadro di una cosiddetta “frode carosello”, anche per l’ipotesi che l’acqui-rente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità” (Cass. 10167/2012; conf. 3258/20131). Nella fattispecie in esame, pertanto, nella quale è ormai definitivamente accertato (per mancan-za di idonea censura al riguardo) che i costi de-dotti sono relativi a fatture solo soggettivamente inesistenti e che la società acquirente non ha te-nuto alcun comportamento doloso, va rilevato che la CTR, da un lato, correttamente ha affer-mato in astratto la deducibilità dei detti costi, e dall’altro, ha invece omesse ogni valutazione in ordine all’eventuale contrasto, in concreto, di siffatta deducibilità con i su menzionati principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, de-terminatezza o determinabilità. L’accoglimento di siffatto motivo di ricorso, di natura pregiudiziale, rende superfluo l’esame degli altri motivi. In conclusione, quindi, in accoglimento del ri-corso, va cassata l’impugnata sentenza e rinviato per nuovo esame, alla stregua del su esposto principio, alla CTR Lombardia, diversa compo-sizione, che provvederà, previa la valutazione del contrasto di cui sopra, a nuova decisione della presente controversia nonchè alla regolamenta-zione delle spese di lite relative al presente giu-dizio di legittimità.

P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri; cassa l’impugnata sentenza e rinvia per nuovo esame alla CTR Lombardia, diversa com-posizione, che provvederà anche alla regolamen-tazione delle spese di lite relative al presente giudizio di legittimità.. 1 In banca dati “fisconline”, n.d.r.

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6396 GIURISPRUDENZA

41/2013

fascicolo 1

Commento I costi relativi a fatture emesse per operazioni soggetti-vamente inesistenti sono in astratto deducibili, atteso che la nuova disciplina sui costi da reato non preclude tale facoltà, ma a tal fine devono sussistere tutti i requisiti ordinariamente previsti dal Tuir per la deduzione dei componenti negativi di reddito, quali l’effettività, l’ine-renza, la competenza, la certezza, la determinatezza o determinabilità. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la pronuncia in oggetto. Il caso esaminato dai Giudici di piazza Cavour riguarda una fattispecie relativa ad un settore che risulta partico-larmente esposto al rischio di fatturazione per operazioni inesistenti, quello del commercio di rottami. Dai fatti di causa emerge che una S.r.l. aveva utilizzato fatture solo soggettivamente inesistenti, i cui relativi im-porti erano stati ordinariamente dedotti dalla società. Il Fisco, in sede di verifica, ne contestava la deducibilità, atteso che tali documenti erano stati emessi da soggetti rivelatisi “cartiere” e, quindi, i costi soggettivamente ine-sistenti ad essi afferenti non avrebbero potuto essere de-dotti per carenza dei requisiti di cui all’articolo 109 del Tuir, quali l’effettività, l’inerenza, la competenza, la cer-tezza, la determinatezza o determinabilità. La Cassazione ha ricordato, innanzitutto, come da sua giurisprudenza pregressa, che la nuova disciplina dei co-sti da reato introdotta con il decreto sulle semplificazioni del 2012 non consente più di precludere a priori la dedu-cibilità dei costi relativi alle operazioni soggettivamente inesistenti. Più precisamente, come stabilito dai Giudici del Palazzaccio, ai sensi dell’articolo 14, comma 4-bis, della legge n. 537/1993, nella formulazione introdotta con l’articolo 8, comma 1, del D.L. n. 16/2012 sono dedu-cibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti anche se essi sono sostenuti nel quadro di una cosiddetta “frode carosello”, anche per l’ipotesi che l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del Tuir siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatez-

za o determinabilità1. La Suprema Corte ha osservato, quindi, che nel caso di specie la Commissione tributaria regionale – posto che risultava accertato in punto di fatto che si trattava di o-perazioni solo soggettivamente e non oggettivamente i-nesistenti, attesa anche la circostanza del rinvenimento di parte dei beni oggetto di fatturazione presso i locali aziendali – aveva correttamente statuito che i costi ri-conducibili a dette fatture erano in astratto deducibili, ma aveva poi omesso di valutare in concreto la sussisten-za, contestata dal Fisco, dei requisiti di effettività, ine-renza, competenza, certezza, determinatezza o determi-nabilità previsti dall’articolo 109 del Tuir per l’ordinaria deduzione di componenti negativi di reddito. In conclusione, quindi, la Suprema Corte ha cassato l’im-pugnata sentenza ed ha rinviato la causa ad altra sezione della Commissione tributaria regionale affinché valuti, appunto, la sussistenza dei predetti requisiti ai fini della deducibilità dei costi contestati. È appena il caso di aggiungere, in conclusione, che la Cassazione ha sempre affermato, per consolidata giuri-sprudenza, che, nel quadro dei generali principi che go-vernano l’onere della prova, spetta all’amministrazione finanziaria dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi del-la maggiore pretesa tributaria azionata, fornendo quindi la prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggiore imponibile, mentre grava sul contribuente l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno luogo ad oneri e/o a costi deducibili, ed in ordine al requisito dell’inerenza degli stessi all’attività svolta2.

Alessandro Borgoglio 1 Cass. n. 10167 del 20 giugno 2012 e n. 3258 dell’11 febbra-

io 2013, entrambe in banca dati “fisconline”. 2 Ex plurimis, Cass. n. 11205/2007, n. 1709 del 26 gennaio

2007, in banca dati “fisconline”, n. 3305/2009, n. 26851/2009, n. 18930/2011.

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GIURISPRUDENZA 6397

41/2013

fascicolo 1

Determinazione del valore normale nel transfer pricing Imposte dirette - Ires - Norme generali sulle valutazioni - Transfer pricing - Determinazione del valore normale - Modalità

Ai fini dell’individuazione del valore normale, cui è ancorata la normativa sui prezzi di trasferimento di cui all’art. 110, comma 7, del Tuir, occorre, in via prioritaria, fare riferimento ai listini e alle tariffe del venditore dei beni o del prestatore di servizi ovvero, in caso di inesistenza, di inapplicabilità, o di inat-tendibilità del listino o della tariffa, alle mercuriali e ai listini delle Camere di commercio o alle tariffe professionali, tenendo conto anche degli sconti d’uso; solo in via sussidiaria potrà farsi riferimento al prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni o i servizi della stessa specie o similari in condi-zioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati; tale ultimo mercato, nell’ambito delle vendite infragruppo, può essere rappresentato dal mercato nazionale del venditore. Nel caso concreto, la Suprema Corte ha quindi accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria la quale aveva rideterminato i corrispettivi relativi alla cessione di merci effettuate dalla stabile organizza-zione italiana in favore della società madre belga, in quanto notevolmente inferiori al valore normale delle cessioni stesse, e, in particolare, ai prezzi praticati in Italia dalla stessa società venditrice (n.d.r.). (Oggetto della controversia: avviso di accertamento Irpeg e Ilor, anno 1997)

(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Pivetti, Est. Valitutti - Sent. n. 24005 dell’11 dicembre 2013, dep. il 23 ottobre 2013)

Premesso in fatto 1. Con sentenza n. 117/14/05, depositata il 20.3.07, la Commissione Tributaria Regionale della To-scana rigettava l’appello proposto dall’Agenzia del-le Entrate - Ufficio di Livorno avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato accolto il ri-corso proposto dalla S. s.a. (societe anonyme), con sede principale in Belgio ((Bruxelles) e sede secondaria in Italia (R. M.), nei confronti dell’av-viso di accertamento con il quale era stata rettifi-cata la dichiarazione della contribuente ed accer-tata una maggiore IRPEG ed una maggiore ILOR, per l’anno di imposta 1997. 2. La CTR riteneva, invero, che la determinazio-ne del valore normale dei beni ceduti dalla S. I-talia alla casa madre belga S. s.a. e ad altre società estere collegate si sarebbe do-vuto determinare sulla base delle transazioni comparabili operate nel mercato dell’acquirente, ovverosia nel mercato belga (c.d. controllo e-sterno), e non sulla base di operazioni similari effettuate nel mercato italiano (c.d. controllo in-terno). Ne sarebbe conseguita – a parere del giu-dice di appello – l’illegittimità dell’atto impositi-vo impugnato dalla contribuente. 3. Per la cassazione della sentenza n. 117/14/05 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, affi-dato a due motivi, ai quali il contribuente ha re-plicato con controricorso e con memoria.

Osserva in diritto 1. Con i due motivi di ricorso – che vanno esa-minati congiuntamente, attesa la loro evidente connessione – l’Amministrazione ricorrente de-nuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 76, commi 5, 9 e 3, (nel testo previgente), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. 1.1. Avrebbe, invero, errato il giudice di appello – a parere dell’Agenzia delle Entrate – nel ritene-re che per la determinazione del prezzo di tra-sferimento, nell’accertamento dei redditi di im-prese assoggettate a controllo della casa madre estera, il mercato rilevante fosse individuabile in quello del destinatario dei beni oggetto delle transazioni commerciali (nella specie, il mercato belga), dovendo tenersi conto, secondo la CTR, dei prezzi ivi praticati in operazioni comparabili a quella oggetto di verifica. Tale asserzione del giudice di seconde cure non avrebbe – secondo la ricorrente – tenuto conto di quanto dedotto dall’Ufficio nell’atto di appello avverso la decisione di primo grado, ovverosia del fatto che nel caso concreto sarebbe stato im-possibile effettuare il confronto con imprese o-peranti nel mercato belga, atteso che i soli sog-getti comparabili, ivi operanti, erano ancora so-

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6398 GIURISPRUDENZA

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fascicolo 1

cietà collegate del gruppo S.. Di qui la denuncia del vizio motivazionale, da cui sarebbe affetta la sentenza di seconde cure, ad avviso dell’Amministrazione ricorrente. 1.2. Ma detta decisione – ad avviso dell’Agenzia delle Entrate – non sarebbe neppure rispettosa del disposto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 76, commi 5, 9 e 3, (nel testo previgente, temporal-mente applicabile alla fattispecie), atteso che il “valore normale” della merce ceduta da una so-cietà appartenente allo stesso gruppo della so-cietà cessionaria non potrebbe che essere deter-minato, alla stregua delle disposizioni succitate, tenendo conto del prezzo mediamente praticato per beni o servizi similari, in “condizioni di libe-ra concorrenza”, per tali dovendo intendersi le condizioni praticate dalla S. Italia, sul mercato nazionale, nelle transazioni effettuate con im-prese dello stesso settore. Tanto più che – come dianzi detto – siffatte condizioni sarebbero, di contro, certamente inesistenti in un mercato, come quello belga, nel quale i soli soggetti ope-ranti nel medesimo ambito merceologico della contribuente – ai quali riferirsi, dunque, per la comparazione dei prezzi di trasferimento – sa-rebbero costituiti da imprese appartenenti allo stesso gruppo della S. s.a. 2. Le censure suesposte si palesano fondate e vanno accolte. 2.1. Dall’esame degli atti del presente giudizio, si evince, invero, che, a seguito di verifiche effet-tuate dalla Guardia di Finanza nei confronti del-la società italiana S. Italia, i cui risultati veniva-no trasfusi nel processo verbale di constatazione del 5.2.98 l’Ufficio rideterminava i corrispettivi relativi a cessioni di merci (soda e bicarbonato di sodio) effettuate da detta società a favore di società estere appartenenti allo stesso gruppo e, segnatamente, nei confronti della casa madre S. s.a. I prezzi praticati, in relazione alle suddette cessioni infragruppo, risultavano, infatti, note-volmente inferiori al “valore normale” delle ces-sioni stesse – determinabile ai sensi del combi-nato disposto del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 9 e 76 – e, in particolare, ai prezzi praticati in Italia dalla stessa società venditrice, risultati superiori di oltre il 44%, rispetto a quelli risultanti dalle predette transazioni infragruppo. L’Amministra-zione finanziaria provvedeva, pertanto, a recu-perare a tassazione il maggiore importo dei ri-cavi conseguiti dalla società madre acquirente (S. s.a.) attraverso la consociata italiana S. Italia – sottratti all’imposizione in Italia con il trasfe-rimento di utili all’estero, operato mediante l’ap-plicazione di prezzi inferiori al valore normale dei beni ceduti – rispetto al minore importo con-tabilizzato dalla contribuente per l’anno 1997,

per una somma complessiva di Euro 1.023.862. Avverso l’avviso di accertamento, con il quale l’Amministrazione ha – di conseguenza – rettifi-cato la dichiarazione della S. s.a. per l’anno 1997, accertando una maggiore IRPEG ed una maggiore ILOR, è insorta, quindi, la contribuen-te denunciando nel merito, oltre a violazioni di carattere formale dell’atto impositivo, disattese nel primo e secondo grado del giudizio l’erronea individuazione del “valore normale”, operata con riferimento al prezzo praticato in Italia, an-ziché a quello praticato nello Stato di destina-zione della mercé. La tesi della S. s.a. ha trovato accoglimento, sia da parte della CTP che da par-te della CTR, avverso la cui pronuncia l’ammini-strazione insorge con i due motivi di ricorso suesposti. 2.2. Premesso quanto precede, va osservato che la vicenda in esame ripropone la complessa e de-licata problematica del c.d. transfer price o tran-sfer pricing (la prima espressione pone l’accento sul profilo statico del fenomeno, la seconda su quello dinamico), che si incentra sulla corretta applicazione della normativa in materia di prez-zi di trasferimento tra parti correlate. Tale nor-mativa ha – per vero – la finalità di consentire al-l’amministrazione finanziaria un controllo dei corrispettivi applicati alle operazioni commer-ciali e/o finanziarie intercorse tra società colle-gate e/o controllate residenti in nazioni diverse, al fine di evitare che vi siano aggiustamenti “ar-tificiali” di tali prezzi, determinati dallo scopo di ottimizzare il carico fiscale di gruppo, ad esem-pio canalizzando il reddito verso le società di-slocate in aree o giurisdizioni caratterizzate da una fiscalità più mite. 2.2.1. Un ruolo centrale in tale prospettiva as-sume oggi, nel nostro ordinamento, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, comma 7, (art. 76, com-ma 5, del testo previgente, temporalmente appli-cabile alla fattispecie in esame), a norma del quale i componenti del reddito derivanti da ope-razioni con società non residenti nel territorio dello Stato che, direttamente o indirettamente controllano l’impresa o ne sono controllate, o che sono controllate dalla stessa società che con-trolla l’impresa nazionale, sono valutati in base al “valore normale” dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni ricevuti, determinato ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, “se ne deriva aumento del reddito”. La ratio della disposizione in oggetto è del tutto evidente. La norma succi-tata costituisce, difatti, una deroga al principio per cui, nel sistema di imposizione sul reddito, questo viene determinato sulla base dei corri-spettivi pattuiti dalle parti della singola transa-zione commerciale (D.P.R. n. 917 del 1986, art.

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GIURISPRUDENZA 6399

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fascicolo 1

75, ora art. 109). Nelle ipotesi in cui tali corrispettivi risultano scarsamente attendibili e possono essere mani-polati in danno del Fisco italiano, come nel caso degli scambi transnazionali tra soggetti i cui processi decisionali sono condizionati, poiché funzionali ad un unitario centro di interessi, i corrispettivi medesimi sono – per vero – sostitui-ti, per volontà di legge, dal “valore normale” dei beni o dei servizi oggetto dello scambio, qualora tale sostituzione ricada, in concreto, a vantaggio del Fisco italiano. 2.2.2. Sotto il profilo in esame, dunque, può dir-si che la previsione in parola completi il catalogo delle garanzie offerte dalla legislazione a favore dell’Erario, con riferimento a tutte quelle ipotesi nelle quali il corrispettivo pattuito – data la so-stanziale unicità del soggetto economico, trat-tandosi di rapporti commerciali tra articolazioni dello stesso gruppo – può non riflettere il reale valore dei beni e dei servizi scambiati. La dispo-sizione di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 76, comma 5 (ora art. 110, comma 7), pertanto, in presenza di norme specificamente dirette ad im-pedire il dirottamento di flussi reddituali, ad e-sempio verso Paesi a fiscalità agevolata (art. 110, commi 10, 11 e 12, D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 167 e 168), mediante condotte “simulatorie” danti luogo a fenomeni di tipo “evasivo”, ha la finalità ulteriore di evitare che, mediante feno-meni non simulatori come l’alterazione del prez-zo di trasferimento, l’Erario italiano abbia a su-bire comunque un concreto pregiudizio. In altri termini, l’applicazione delle norme sul transfer pricing non combatte l’occultamento del corri-spettivo, costituente una forma di evasione, ma le manovre che incidono sul corrispettivo palese, consentendo il trasferimento surrettizio di utili da uno Stato all’altro, sì da influire in concreto sul regime dell’imposizione fiscale. Per tali es-senziali connotazioni, pertanto, deve ritenersi che tale disciplina costituisca – secondo l’inter-pretazione più diffusa anche nella giurispruden-za di questa Corte – una “clausola antielusiva”, in linea con i principi comunitari in tema di a-buso del diritto, finalizzata ad evitare che all’in-terno del gruppo di società vengano effettuati trasferimenti di utili mediante l’applicazione di prezzi inferiori o superiori al valore normale dei beni ceduti, al fine di sottrarli all’imposizione fi-scale in Italia a favore di tassazioni estere infe-riori (cfr. Cass. 22023/06, 11226/071), o comun-que a favore di situazioni che rendano fiscal-mente conveniente l’imputazione di utili ad arti-colazioni del gruppo diverse da quelle nazionali. 1 Entrambe in banca dati “fisconline”, n.d.r.

2.2.3. La norma in esame, va letta, poi, in com-binato disposto con l’art. 9 del modello di con-venzione fiscale OCSE del 1995-1996, secondo il quale “quando le condizioni convenute o impo-ste tra le due imprese, nelle loro relazioni com-merciali o finanziarie, sono diverse da quelle che sarebbero state convenute tra imprese indipen-denti, gli utili che in mancanza di tali condizioni sarebbero stati realizzati da una delle due im-prese, ma che a causa di dette condizioni non lo sono stati, possono essere inclusi negli utili di questa impresa e tassati di conseguenza”. Il cri-terio cardine, per la valutazione dei prezzi di tra-sferimento tra le imprese associate di un gruppo multinazionale, è costituito, quindi, dal princi-pio di libera concorrenza, fondato, cioè, sul re-gime che si instaura tra “imprese indipendenti”; principio, pertanto non a caso fiscalmente posto in diretta correlazione con la definizione del “va-lore normale” dei beni o dei servizi, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, richiamato dall’art. 76, commi 2 e 5, (ora art. 110, commi 2 e 7) del-lo stesso decreto. Le norme suindicate stabili-scono, in definitiva, l’irrilevanza, ai fini fiscali, dei valori concordati dalle parti nell’ambito di transazioni “controllate” e l’inserimento automa-tico nelle transazioni medesime di valori legali, ancorati al regime della libera concorrenza (va-lore normale, D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 9). In difetto di un’effettiva alterità tra le imprese partecipanti a dette transazioni, invero, ricorre un’elevata probabilità che il corrispettivo possa essere fissato dalle parti, anziché in rapporto al valore del bene scambiato o del servizio reso, piuttosto in funzione dei disegni di pianificazio-ne fiscale del gruppo cui le imprese contraenti appartengono. Con la conseguenza che – in for-za delle disposizioni succitate – nella determina-zione del reddito d’impresa, non rileva, in rela-zione alle vicende in esame,’ il corrispettivo ef-fettivamente convenuto, bensì quello che sareb-be stato stabilito, ove le imprese fossero state indipendenti l’una dall’altra (c.d. arm’s lenght principle). 2.3. Da quanto fin qui esposto, si deduce, per-tanto, che il profilo più complesso e delicato, in relazione all’applicazione della disciplina in e-same – e la cui corretta impostazione si palesa decisiva per la risoluzione del caso di specie – è costituito dall’individuazione del “valore norma-le”, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, comma 3, al quale l’Amministrazione finanziaria ancora la determinazione del componente del reddito di impresa, costituito dal corrispettivo derivante dalla cessione di beni o servizi effet-tuata tra società appartenenti allo stesso gruppo. Il problema che si pone al riguardo, sul piano in-

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6400 GIURISPRUDENZA

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fascicolo 1

terpretativo, concerne anzitutto il rapporto tra la prima e la seconda parte dell’art. 9, comma 3, del decreto cit. Non a caso, infatti, la non facile esegesi della disposizione ha indotto – nel caso concreto – dapprima la CTP, poi anche la CTR, a ritenere applicabile tout court alle alienazioni infragruppo, al fine di determinare il prezzo di libera concorrenza, il metodo del c.d. confronto esterno, per di più ritenuto applicabile alle ope-razioni commerciali che si svolgono nel mercato estero dell’acquirente. Entrambi i giudici di me-rito hanno ritenuto, invero, che l’Amministrazio-ne avrebbe dovuto considerare il prezzo pratica-to in transazioni comparabili a quelle oggetto di verifica, avvenute tra soggetti indipendenti ope-ranti nel mercato dell’acquirente, ovverosia nel mercato belga, e non fare riferimento – come è, in concreto, accaduto – alle condizioni di vendi-ta degli stessi beni praticate nel mercato del venditore, ossia nel mercato italiano. 2.3.1. Ciò posto, va osservato, in proposito, che la disposizione di cui all’art. 9, comma 3, nella prima parte, definisce il “valore normale” come “il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesi-mo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acqui-siti o prestati e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi”. La seconda parte della me-desima disposizione, poi, enuncia i criteri per la determinazione del valore normale, disponendo che debba farsi riferimento, a tal fine, “in quan-to possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di com-mercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso”. È evidente, pertanto, che la clausola antielusiva di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 76, comma 5 (o-ra art. 110, comma 7), che regola il c.d. transfer pricing, nel richiamare il disposto dell’art. 9 dello stesso decreto, non fa che disporre l’applicazione – per la determinazione del reddito di impresa nelle operazioni infragruppo con società estere, e per le ragioni di politica fiscale sopra evidenziate – dei medesimi criteri che devono ispirare l’accerta-mento dello stesso reddito, da parte dell’Ammini-strazione finanziaria, nei confronti di imprese che operino esclusivamente sul territorio nazionale. È, invero, acquisizione pacifica – nella giurispruden-za di questa Corte – quella secondo cui dal men-zionato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, deve trarsi un principio generale, in base al quale l’Ammi-nistrazione è tenuta a valutare, ai fini fiscali, le va-rie prestazioni che costituiscono le componenti attivi e passive del reddito secondo il valore di

mercato. Ed invero, l’Ufficio non è in alcun modo vincolato – nella valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiara-zioni, ed anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giu-ridici d’impresa – ai valori o ai corrispettivi indica-ti nelle delibere sociali o nei contratti (Cass. 10802/02, 9497/082). A fortiori, dunque, tali determinazioni contabili e convenzionali dei contribuenti non potrebbero vincolare l’Amministrazione – come dianzi detto – nelle operazioni commerciali poste in essere all’interno di un gruppo di società, forte essendo il sospetto – che ha indotto il legislatore ad adot-tare la suddetta previsione antielusiva – che in siffatta evenienza vengano applicati dalle parti prezzi inferiori al valore normale dei beni ceduti all’acquirente estero, onde sottrarli alla tassa-zione in Italia, a favore di regimi fiscali stranieri più favorevoli. 2.3.2. Ebbene, tale essendo la ratio della previ-sione di cui al combinato disposto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, e art. 76, comma 5 (ora art. 110, comma 7), è del tutto evidente l’errore nel quale è incorsa, nel caso concreto, la CTR, nel ri-tenere che l’Ufficio, in sede di accertamento del reddito di impresa, avrebbe dovuto compiere una comparazione tra i prezzi praticati nel solo mercato di destinazione delle merci cedute dalla S. Italia alla S. s.a., ossia nel mercato belga, a-vendo la società madre sede principale a Bruxel-les, e non in quello dell’impresa cedente, ossia nel mercato italiano. Tale erronea valutazione del giudicante di seconde cure si è, difatti, tra-dotta – a giudizio della Corte – nella falsa appli-cazione delle norme summenzionate, oltre che in un palese vizio motiva-zionale, avendo la CTR del tutto pretermesso l’esame delle argomenta-zioni esposte, in proposito, dall’Amministrazio-ne finanziaria. Va – per vero – osservato al riguardo che, tra i diversi criteri indicati dal modello OCSE del 1995, per la valutazione dei prezzi di trasferi-mento tra le imprese associate di un gruppo multinazionale, il legislatore italiano ha prescel-to quello del “confronto del prezzo” (comparable uncontrolled price method), la cui disciplina si articola nella prima e seconda parte – summen-zionate – del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, comma 3. Sennonché, l’opzione ermeneutica seguita – ne caso di specie – dal giudice di appello, ha indot-to la Commissione a trascurare del tutto il nesso logico-giuridico sussistente tra le predette due parti della norma suindicata, per concentrare la 2 Entrambe in banca dati “fisconline”, n.d.r.

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GIURISPRUDENZA 6401

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fascicolo 1

propria attenzione esclusivamente sulla prima parte di detta disposizione, erroneamente consi-derata come il criterio cardine per la determina-zione del prezzo di trasferimento infragruppo. Di più, la CTR ha inteso – in maniera del tutto incongrua, e con motivazione stringata ed apo-dittica – il confronto tra i corrispettivi praticati, in relazione a vendite di prodotti similari, “nel tempo e nel luogo in cui i beni (...) sono stati ac-quisiti”, previsto dalla suddetta disposizione nor-mativa, come riferito al mercato del destinatario dei beni oggetto della transazione (nella specie, il mercato belga). Sennonché – in senso contrario a quanto opina-to dal giudice di appello – deve ritenersi che il criterio prioritario per stabilire il “valore norma-le” dei corrispettivi, nelle vendite tra imprese appartenenti ad un gruppo multinazionale, non possa essere che quello – enunciato dalla secon-da parte del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, com-ma 3, che disciplina specificamente le modalità “per la determinazione” del valore in questione – secondo cui deve farsi riferimento “in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso”. La norma, in altri termini, impone all’Amministrazione di prendere in considerazio-ne, nell’accertamento del reddito di impresa, in via principale, i “listini” e le “tariffe” del vendito-re dei beni o del prestatore di servizi a società dello stesso gruppo, tenuto conto anche degli sconti che il medesimo è usualmente disposto a praticare nel mercato di appartenenza. Quindi – in caso di inesistenza o di inattendibilità del li-stino o della tariffa – la medesima disposizione dispone di prendere in esame, in via subordina-ta, i “mercuriali” ed i “listini delle camere di commercio”, o le “tariffe professionali”. Ne discende che la definizione del “valore nor-male” contenuta nella prima parte del citato art. 9, comma 3 – sebbene non possa essere intesa come una mera declaratoria di principio, avendo anch’essa un innegabile valore precettivo – svol-ge, tuttavia, un ruolo sussidiario e suppletivo, ri-spetto a quello prioritario svolto dai criteri per la “determinazione” del valore normale dei prezzi per le cessioni infragruppo. Siffatta definizione opera, cioè, nel solo caso in cui il riferimento ai listini, alle tariffe ed ai mercuriali, in uso nel mercato del venditore, si riveli di nessuna utilità pratica, per la loro inesistenza, o per la loro inat-tendibilità. 2.3.3. Da quanto suesposto discende, dunque, che la motivazione dell’impugnata sentenza si rivela erronea sotto un duplice profilo.

Anzitutto è, invero, da rilevarsi che nel caso con-creto, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, del tutto corretto è da ritenersi il ricorso, da parte dell’Ufficio, alla comparazione tra i prezzi praticati dalla S. Italia sul mercato nazio-nale, desumibili dai listini e dalla documenta-zione contabile della contribuente, e quello sta-bilito nella transazione con la casa madre S. s.a. In altri termini, l’applicazione da parte dell’Am-ministrazione finanziaria del criterio enunciato dalla seconda parte del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, comma 3, non ha fatto che tradursi nell’e-satta osservanza della norma, laddove stabilisce che, nella determinazione del “valore normale” dei prezzi delle cessioni infragrup-po, ci si debba riferire, in primis, ai listini ed alle tariffe adope-rati dal cedente italiano. In considerazione di quanto suesposto, è – per vero – del tutto evidente che nell’applicazione del metodo del “confronto di prezzo” occorre dare preferenza al c.d. confronto interno, basato sui listini e le tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi nel rapporto tra l’impresa con-trollata ed un’impresa indipendente, atteso che è ai suddetti elementi documentali di raffronto che l’Amministrazione deve anzitutto riferirsi, “in quanto possibile”, e tenuto conto di eventuali “sconti d’uso”. In seconda battuta, l’Amministra-zione dovrà fare riferimento alle mercuriali ed ai listini delle camere di commercio, ovvero alle ta-riffe professionali, nell’esame delle transazioni comparabili tra imprese indipendenti (c.d. con-fronto esterno) appartenenti allo stesso mercato. Infine, ed in via del tutto sussidiaria e suppleti-va, l’Ufficio potrà fare ricorso – ai sensi della prima parte dell’art. 9, comma 3 succitato – al prezzo “mediamente praticato” ed in “condizioni di libera concorrenza” per beni o servizi similari, “nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi so-no stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi”; questi ultimi ben potendo essere determinati da mercati esteri più vicini a quello nazionale del venditore. Ebbene, anche a voler considerare, in via di me-ra ipotesi, come prioritario tale ultimo criterio – contenuto, peraltro, in una disposizione che ha dichiarato fine definitorio – il ragionamento se-guito dalla CTR si palesa comunque erroneo, an-che sotto tale profilo. 2.3.4. Deve osservarsi, infatti, che la lettura uni-taria e complessiva delle due parti dell’art. 9, comma 3, nella connessione dei due enunciati normativi ivi esposti, non può che evidenziare come per prezzo o corrispettivo praticato nelle vendite operate in regime di “libera concorren-za”, nel “tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati”, non può che in-

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6402 GIURISPRUDENZA

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fascicolo 1

tendersi il prezzo o corrispettivo relativo a ven-dite effettuate nel mercato del cedente. Il riferi-mento ai listini, tariffe e mercuriali del fornitore dei beni o dei servizi, contenuto nella seconda parte della stessa disposizione, non avrebbe, al-trimenti, alcun significato logico. Come pure del tutto significativo, in tal senso, è il riferimento normativo agli “sconti d’uso”, per tali dovendo indubbiamente intendersi quelli usualmente praticati nei propri listini, sul mercato naziona-le, dall’impresa venditrice nelle operazioni com-merciali con soggetti estranei al proprio gruppo economico, e non, quindi, le riduzioni percentu-ali di prezzo – agevolmente riconducibili a ma-novre elusive – operate nei soli rapporti infra-gruppo (c.d. “remise”) (Cass. 7343/113). Per “libera concorrenza” deve intendersi, dun-que, l’esistenza di un prezzo di mercato determi-nato dal libero gioco di acquirenti e venditori. Sicché per l’operatività del criterio del “valore normale” è necessario e sufficiente che in Italia sia venduto un prodotto similare, in assenza di vincoli di legge nella determinazione del prezzo, ovverosia che nello Stato del venditore manchi, in relazione a beni dello stesso genere di quello oggetto della transazione soggetta a verifica, un prezzo stabilito d’imperio dal legislatore (Cass. 13233/014). Ad ogni buon conto, va soggiunto che a risultato non diverso si perverrebbe co-munque, laddove si intendesse considerare – come ha fatto la CTR – il solo contenuto della prima parte del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, comma 3, senza operarne la suindicata lettura integrata con la seconda parte della stessa di-sposizione. Ed invero, non appare condivisibile l’assunto del giudice di appello, secondo il quale si dovrebbe ritenere che per mercato del “luogo in cui i beni (...) sono stati acquistati” debba in-tendersi necessariamente quello dell’acquirente dei beni stessi. Non va, infatti, tralasciato di considerare il di-sposto dell’art. 1510 c.c., a tenore del quale “in mancanza di patto o di uso contrario, la conse-gna della cosa deve avvenire nel luogo dove que-sta si trovava al tempo della vendita, se le parti ne erano a conoscenza, ovvero nel luogo dove il venditore aveva il suo domicilio o la sede del-l’impresa”. D’altronde, il rilievo che riveste la consegna del bene ceduto secondo le modalità di cui alla norma succitata – ovverosia presso il venditore e comunque nel luogo in cui la cosa si trovava al momento della vendita, e non certo presso il compratore – per il verificarsi dell’ef-fetto traslativo ai fini della determinazione del 3 In banca dati “fisconline”, n.d.r. 4 In banca dati “fisconline”, n.d.r.

reddito di impresa, è dimostrato anche dal rilie-vo decisivo che la consegna stessa assume, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 2 (ora art. 109, comma 2), ai fini della individu-azione dell’esercizio di competenza per i corri-spettivi delle cessioni e le spese di acquisizione dei beni (Cass. 341/065). Ne discende che l’assunto del giudice di appello, per quanto concerne l’individuazione del merca-to cui deve farsi riferimento, ai fini del riscontro delle transazioni comparabili con quella oggetto di controllo, appare del tutto destituito di fon-damento. 2.3.5. A tutto quanto suesposto, va – infine – sog-giunto che, sul piano della censura concernente il vizio di motivazione, deve rilevarsi che la CTR non ha in alcun modo preso in considerazione, neppure per disattenderle, le deduzioni dell’Am-ministrazione circa l’impossibilità di effettuare il confronto con imprese attive sul mercato belga, atteso che i soli soggetti comparabili, ivi operan-ti nel settore merceologico di appartenenza della contribuente, erano esclusivamente società col-legate del gruppo S. Con la conseguenza che il “valore normale” della merce ceduta da una so-cietà appartenente allo stesso gruppo della so-cietà cessionaria non avrebbe potuto essere in concreto determinato, se la comparazione fosse stata effettuata con imprese operative nel merca-to estero, tenendo conto del prezzo mediamente praticato per beni o servizi similari, in “condi-zioni di libera concorrenza”. 3. Per tutte le ragioni che precedono, dunque, in accoglimento del ricorso dell’Amministrazione finanziaria, l’impugnata sentenza deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della CTR della Toscana, che dovrà procedere a nuovo e-same della controversia, attenendosi al seguente principio di diritto: “il criterio prioritario per stabilire il valore normale dei corrispettivi, nelle vendite tra imprese appartenenti ad un gruppo multinazionale, è quello enunciato dalla seconda parte del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, comma 3, che lo individua nel riferimento, in via princi-pale ed in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi, ed in via subordinata – in caso di mancanza o inat-tendibilità di tali elementi – alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso; solo in via sussidiaria potrà farsi riferimento al criterio enunciato dalla prima parte del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, comma 3, che va inteso nel senso che il mercato al quale occorre fare rife-rimento, ai fini della determinazione del valore 5 In banca dati “fisconline”, n.d.r.

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GIURISPRUDENZA 6403

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fascicolo 1

normale dei prezzi e dei corrispettivi nelle vendi-te infragruppo, è quello nazionale del venditore, ossia il mercato italiano”. 4. Il giudice di rinvio provvederà, altresì, alla li-quidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricor-so; cassa la sentenza impugnata, con rinvio ad al-tra sezione della Commissione Tributaria Regio-nale della Toscana, che provvederà alla liquida-zione anche delle spese del presente giudizio.

Commento Per l’applicazione del valore normale alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi nell’ambito delle rettifiche da transfer pricing occorre che l’Ufficio consideri priori-tariamente i listini di vendita del fornitore italiano nei confronti di clienti indipendenti e, solo nel caso in cui detti listini siano inattendibili o inesistenti, il Fisco può far riferimento a listini, tariffe e mercuriali delle Camere di Commercio o alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. Soltanto in via sussidiaria, nell’ipotesi in cui le preceden-ti non siano esperibili, l’Ufficio, per determinare il valore normale di cui trattasi, può rifarsi ai prezzi o ai corri-spettivi mediamente praticati per i beni o servizi della stessa specie o similari in condizione di libera concor-renza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o i servizi sono stati ac-quistati o prestati. È quanto stabilito dalla Cassazione, con la pronuncia in commento. Il principio di diritto sopra riportato, invero, fa seguito, a distanza di poco tempo, alla decisione del medesimo te-nore assunta dalla Suprema Corte, con la pronuncia n. 22010 del 25 settembre 20131. In entrambi i casi, i fatti riguardano accertamenti con cui l’Amministrazione Finanziaria ha recuperato a tassa-zione materia imponibile sulla base del controllo del transfer pricing. In particolare, per quel che concerne la pronuncia odierna, una società italiana appartenente ad un gruppo belga aveva venduto dei beni alla casa madre in Belgio ad un prezzo notevolmente inferiore, circa il 44%, rispetto a quello me-diamente praticato in Italia agli altri clienti della società. Il Fisco, quindi, aveva contestato tali prezzi di trasferi-mento e li aveva rideterminati sulla base del valore nor-male, come previsto dall’articolo 110, comma 7, del Tuir, secondo cui nei rapporti infragruppo o comunque con imprese collegate, le operazioni devono essere valorizza-te, in deroga al criterio generale del corrispettivo di cui all’articolo 109 del Tuir, al valore normale determinato ai sensi dell’articolo 9 del medesimo testo unico, se ne deri-va un aumento del reddito imponibile. Come nuovamente ribadito dalla Suprema Corte, la di-sposizione testé richiamata ha una chiara finalità antie-lusiva, atteso che il suo obiettivo non è quello di far e-mergere l’evasione derivante dall’occultamento di corri-spettivi, ma impedire la traslazione di materia imponibi-le dall’Italia ad altri stati esteri, mediante specifici inter-venti sui prezzi applicati nelle operazioni infragruppo e quindi con manovre di tipo elusivo. In questi casi, stante 1 In banca dati “fisconline”.

l’unicità sostanziale del soggetto a cui sono riconducibili le operazioni pur formalmente poste in essere tra società distinte, non può essere utilizzato il corrispettivo come criterio di valorizzazione delle operazioni, atteso che es-so può facilmente essere manipolato al fine di trasferire materia imponibile laddove la tassazione complessiva per il gruppo si presenta fiscalmente più conveniente. È necessario, pertanto, in queste ipotesi, ricorrere al va-lore normale di cui all’articolo 9 del Tuir, richiamato dal-lo stesso articolo 110 del medesimo testo unico. La Cassazione ha osservato, a tal proposito, che il legisla-tore italiano ha scelto per la valutazione dei prezzi di tra-sferimento il metodo del confronto del prezzo (Compa-rable Uncontrolled Price Method), la cui disciplina è re-cata dal già citato articolo 9, comma 3, prima e seconda parte, del Tuir. Gli Ermellini hanno chiarito che, a differenza di quanto potrebbe erroneamente desumersi, non è la prima parte del comma a dettare il principio cardine per la determi-nazione del valore normale, ma è, invece, la seconda, laddove è la norma stessa a prescrivere che per la deter-minazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha forni-to i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai li-stini delle camere di commercio e alle tariffe professiona-li, tenendo conto degli sconti d’uso. Il primo criterio per la determinazione del valore norma-le che l’Amministrazione Finanziaria deve utilizzare, quindi, è quello del cosiddetto “confronto interno”, basa-to sui listini di vendita del soggetto che fornisce i beni o servizi nei confronti di altre imprese indipendenti; sol-tanto in mancanza di tali listini o se essi appaiono inat-tendibili, l’Ufficio deve fare ricorso al secondo metodo di determinazione del valore normale, ovvero al cosiddetto “confronto esterno”, basato sui listini, mercuriali e tariffe relativi alle transazioni comprabili tra imprese indipen-denti appartenenti al medesimo mercato del soggetto fornitore dei beni o servizi di cui trattasi. Il terzo ed ultimo metodo per la determinazione del valore normale, secondo i Giudici di piazza Cavour, è quello del prezzo “mediamente praticato”, di cui alla prima parte del predetto comma 3 dell’articolo 9 del Tuir, secondo il quale per valore normale si intende il prezzo o corrispettivo me-diamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al mede-simo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi (ben poten-do questi ultimi essere determinati dai mercati esteri più vicini a quello nazionale del venditore). La Cassazione ha precisato, a tal proposito, che il “luogo

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6404 GIURISPRUDENZA

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in cui i beni sono stati acquistati” non deve intendersi ne-cessariamente quello dell’acquirente, atteso che l’articolo 1510 del codice civile dispone che la consegna della cosa deve avvenire nel luogo in cui essa si trovava al tempo della vendita ovvero dove il venditore aveva il suo domi-cilio; inoltre, l’articolo 109, comma 2, del Tuir attribuisce rilevanza alla consegna per la determinazione dell’eserci-zio di competenza per i corrispettivi delle cessioni e le spese di acquisizione dei beni. Pertanto, per “luogo in cui

i beni sono stati acquisiti” può intendersi anche il merca-to del venditore. Nel caso di specie, in conclusione, il Fisco aveva corret-tamente determinato il valore normale delle cessioni di beni da parte della filiale italiana alla casa madre belga, considerando i prezzi, risultanti dai listini prezzi azien-dali e dalla documentazione contabile, che erano stati praticati dalla stessa società agli altri clienti non facenti parte del gruppo.

Alessandro Borgoglio

Obbligo di esibizione della cartella di pagamento e diritto di accesso agli atti amministrativi Diritto amministrativo - Diritto di accesso - Diritto di accesso - Richiesta di esibizione della cartella di pagamento - Art. 26 del D.P.R. n. 602/1973

Deve essere riconosciuto il diritto di accesso agli atti amministrativi nel caso in cui il contribuen-te/debitore chieda ad Equitalia di visionare la copia della cartella di pagamento, che assume mai notifi-cata, in quanto presupposto per eventuali azioni espropriative e/o cautelari. Ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 602/1973, l’Agente della riscossione ha l’obbligo di conservare, per cin-que anni, la copia della cartella di pagamento notificata al contribuente, e di esibirla al contribuente che ne faccia richiesta. Implicitamente, dal testo della sentenza si desume che non è sufficiente l’esibizione, ad opera di Equita-lia, degli estratti di ruolo (n.d.r.). (Oggetto della controversia: silenzio rigetto su istanza di accesso a cartelle esattoriali)

(CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, Pres. Russo, Est. De Felice - Sent. n. 4821 del 30 luglio 2013, dep. il 26 settembre 2013)

Svolgimento del processo Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Am-ministrativo Regionale per la Calabria, Catanza-ro, l’attuale appellante società M. T. srl in liqui-dazione, agiva per l’annullamento del silenzio ri-getto sulla istanza di accesso ai documenti inol-trata in data 24 aprile 2012 e ricevuta in data 26 aprile 2012, al fine di ottenere copia con relativi referti di notifica, di tutte le cartelle esattoriali emesse nei propri confronti motivando la richie-sta in considerazione della notizia, informal-mente appresa, della esistenza di svariate cartel-le esattoriali emesse nei confronti della A. C. spa, ora M. T. srl, pur senza avere mai ricevuto la relativa notifica. Rispetto a tale richiesta Equitalia rimaneva si-lente e inerte, con conseguente necessità di atti-vare il rimedio proposto. In giudizio resisteva Equitalia, deducendo la tar-

dività del ricorso, perché, risalendo la istanza al 26 aprile 2012, il silenzio rifiuto si sarebbe con-cretizzato in data 26 maggio 2012, mentre il ri-corso è stato notificato in data 26 giugno 2012 e cioè oltre i trenta giorni; deduceva la inammis-sibilità riguardando la richiesta tutte le cartelle esattoriali emesse; rilevava la inesistenza del di-ritto di accesso trattandosi di procedimenti tri-butari. Il giudice di primo grado, in accoglimento della dedotta eccezione, dichiarava la tardività del ri-corso, che avrebbe dovuto essere proposto entro il giorno 25 giugno 2012 (lunedì) mentre era sta-to proposto il giorno dopo (il 26 giugno 2012). Avverso tale sentenza viene proposto appello de-ducendo: 1) in primo luogo la tempestività del ricorso per avvenuta consegna del ricorso all’uf-ficiale giudiziario della Corte di Appello di Ca-tanzaro in data 25 giugno 2013 e costituendo

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GIURISPRUDENZA 6405

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fascicolo 1

principio in materia che debba aversi riguardo, ai fini del perfezionamento da parte di chi è o-nerato, al momento della consegna e non della effettiva notifica (che rileva invece nei confronti del destinatario da tale data); 2) nel merito, la fondatezza della pretesa, dovendosi ritenere che anche l’avvenuto deposito degli estratti di ruolo in giudizio non sarebbe sufficiente a considerare assolti gli obblighi di accesso in favore dell’istan-te, dovendosi ritenere necessaria la integrale produzione di ciascuna cartella esattoriale con relative notifiche per consentire all’interessato o ricorrente di avere certezza in ordine al com-plessivo ammontare ed alle relative causali delle pretese tributarie o fiscali a suo nome. Si costituiva Equitalia deducendo la infondatez-za del ricorso, ribadendo la tardività del ricorso originario, la sua inammissibilità per estrema genericità e la sua infondatezza. Alla camera di consiglio del 30 luglio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione L’appello è fondato. È errata la pronuncia di prime cure, laddove ha concluso per la tardività del ricorso originario. Con riguardo alla tardività del ricorso origina-rio, l’art. 116 c.p.a. al primo comma dispone che il ricorso per l’accesso vada proposto mediante notificazione entro trenta giorni dalla conoscen-za della determinazione impugnata o dalla for-mazione del silenzio. Come deduce l’appellante e contrariamente a quanto ha statuito il primo giudice, deve tenersi conto del principio (espresso dal Giudice delle leggi con sentenza n. 477 del 20021) secondo cui il momento in cui la notifica deve ritenersi per-fezionata per il notificante deve distinguersi da quello in cui deve ritenersi perfezionata nei con-fronti del destinatario. A seguito della sentenza della Corte Cost. n. 477 del 26 novembre 2002, le cui statuizioni sono state poi recepite in via legislativa dall’art. 2 comma 1 lett. e), L. 28 dicembre 2005, n. 263, è stato stabilmente introdotto nell’ordinamento giuridico il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione, di guisa che per il notificante essa si intende perfezionata al mo-mento della consegna del plico all’ufficiale giu-diziario, mentre per il notificatario il perfeziona-mento si determina solo al prodursi della legale conoscenza dello stesso (tra tante, Consiglio Sta-to sez. V, 9 marzo 2009, n. 1365). Sotto tale profilo, quindi, la sentenza è errata e deve accogliersi il primo motivo di appello, es- 1 In banca dati “fisconline”, n.d.r.

sendo il ricorso originario stato proposto entro i trenta giorni dal termine in cui si era formato il silenzio avverso la richiesta di accesso. In ordine alla richiesta di accesso, ai sensi del-l’art. 26, D.P.R. n. 602 del 1973, è fondata l’i-stanza del contribuente, spiegata nei confronti del concessionario della riscossione (nella spe-cie, a fronte del timore dell’esposizione ad una azione di pignoramento presso terzi), finalizzata ad accedere alle cartelle esattoriali ed alle relati-ve intimazioni, assumendo di non avere mai ri-cevuto le corrispondenti notifiche. L’avvenuto deposito degli estratti di ruolo non sarebbe sufficiente a considerare assolti gli ob-blighi di accesso richiedendosi la integrale pro-duzione di ciascuna cartella esattoriale con rela-tive notifiche per consentire all’interessato odier-no appellante di avere certezza in ordine al com-plessivo ammontare ed alle relative causali delle pretese fiscali o tributarie a suo nome. Non costituisce giusta ragione del diniego il fat-to che si tratti di procedimenti tributari, al fine di escludere il diritto all’accesso, né che la ri-chiesta della M. T. riguardi ben 55 cartelle di pagamento. Sebbene l’art. 24, L. n. 241 del 1990 escluda il diritto d’accesso, tra l’altro, nei procedimenti tri-butari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano, è da ritenere che la detta norma debba essere intesa, secondo una lettura della disposizione costituzionalmente orientata, nel senso che la inaccessibilità agli atti di cui trattasi sia temporalmente limitata alla fase di pendenza del procedimento tributario, non rile-vandosi esigenze di segretezza nella fase che se-gue la conclusione del procedimento con l’ado-zione del procedimento definitivo di accerta-mento dell’imposta dovuta sulla base degli ele-menti reddituali che conducono alla quantifica-zione del tributo. In ragione di ciò deve ricono-scersi il diritto di accesso qualora l’Amministra-zione abbia concluso il procedimento, con l’e-manazione del provvedimento finale e quindi, in via generale, deve ritenersi sussistente il diritto di accedere agli atti di un procedimento tributa-rio ormai concluso. D’altra parte, l’interesse del contribuente alla o-stensione degli atti che sono posti a presupposto o propedeutici a procedure di riscossione è rico-nosciuto anche in via legislativa, ponendo preci-si obblighi in capo al concessionario alla riscos-sione. Ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, recante disposizioni sulla riscossione del-le imposte sul reddito, “il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta noti-

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6406 GIURISPRUDENZA

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fascicolo 1

ficazione o l’avviso del ricevimento ed ha l’obbli-go di farne esibizione su richiesta del contribu-ente o dell’amministrazione”. L’art. 26 comma 4, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel disporre che il concessionario di esattoria deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento ed ha l’ob-bligo di farne esibizione su richiesta del contribu-ente o dell’amministrazione, introduce due obbli-ghi per la Società concessionaria: la conservazio-ne per cinque anni; l’obbligo di esibizione a richie-sta del contribuente; conseguentemente, dal mo-mento che la cartella esattoriale costituisce pre-supposto della iscrizione di ipoteca immobiliare, la richiesta di accesso, ai sensi degli artt. 22 ss., L. n. 241 del 1990, alla cartella è strumentale alla tu-tela dei diritti del contribuente in tutte le forme consentite dall’ordinamento giuridico ritenute più rispondenti ed opportune; la cartella esattoriale deve essere rilasciata, in copia, dalla società con-cessionaria al contribuente che abbia proposto, o voglia proporre ricorso avverso atti esecutivi ini-ziati nei suoi confronti. La norma introduce due obblighi per la Società concessionaria: la conservazione per cinque an-ni; l’obbligo di esibizione – quale forma di acces-so speciale – a richiesta del contribuente. Dal momento che la cartella esattoriale costitui-sce presupposto di procedure esecutive la richie-sta di accesso alla cartella è strumentale alla tu-tela dei diritti del contribuente in tutte le forme consentite dall’ordinamento giuridico ritenute più rispondenti ed opportune essa deve essere ri-lasciata, in copia, dalla società concessionaria al contribuente che abbia proposto, o voglia pro-porre ricorso, avverso atti esecutivi iniziati nei suoi confronti. Ritenere (come vorrebbe la società resistente) di-versamente implicherebbe, sostanzialmente, in-trodurre una limitazione all’esercizio della difesa in giudizio del contribuente, o, in ogni caso, ren-dere estremamente difficoltosa la tutela giurisdi-zionale del contribuente che dovrebbe impegnarsi

in una defatigante ricerca delle copie delle cartel-le. La detta limitazione colliderebbe con i principi costituzionale che garantiscono la tutela giuri-sdizionale, e con il principio, di rango costitu-zionale, di razionalità. Ciò è sufficiente a sostenere l’azione dell’appel-lante, il quale, temendo di trovarsi esposto ad una azione di pignoramento da parte del conces-sionario per la riscossione, ha chiesto di poter accedere alle cartelle esattoriali ed alle relative intimazioni proprio in quanto assume di non avere mai ricevuto le corrispondenti notifiche, aspetto questo che evidenzia in punto di interes-se, quale sia la posizione di diritto che il ricor-rente possiede in ordine all’accesso medesimo. Il ricorso in appello è dunque fondato e come ta-le va accolto, ordinando alla resistente società Equitalia spa di esibire i documenti richiesti dal ricorrente e di rilasciarne copia. Per le considerazioni che precedono in accogli-mento dell’appello e in riforma dell’appellata sentenza il ricorso va accolto, e per l’effetto va ordinato alla appellata società Equitalia di esibi-re copia delle cartelle e delle relative notifiche all’appellante. La condanna alle spese del doppio grado di giu-dizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Se-zione Quarta), definitivamente pronunciando sul-l’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto ordina alla appellata società Equitalia di esibire copia delle cartelle e delle relative noti-fiche all’appellante entro il termine di giorni tren-ta dalla notificazione o comunicazione in via am-ministrativa della presente sentenza. Condanna la parte appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, liquidandole in complessivi Euro tremila. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dal-l’autorità amministrativa.

Commento La pronuncia in rassegna del massimo Consesso dei Giu-dici amministrativi rappresenta ulteriore, autorevole, conferma dell’orientamento assunto in diverse decisioni dei Tribunali amministrativi regionali aditi dal contribu-ente per l’attivazione delle facoltà di accesso ai documen-ti amministrativi prevista sin dalla L. n. 241 del 1990, c.d. “legge sulla trasparenza”. In subiecta materia, è stato affermato che “… il potere di verifica fiscale è istituzionalmente esercitabile in funzio-

ne strumentale all’accertamento tributario e la relativa attività – avendo ontologicamente una funzione prepara-toria del futuro provvedimento definitivo – di norma non fa sorgere il diritto di accesso ai documenti in relazione alla chiusura delle operazioni di verifica ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990, nel caso in cui non si sia stato ancora notificato alcun avviso di accer-tamento e, cioè, non sia stato adottato alcun atto di im-posizione.

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GIURISPRUDENZA 6407

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fascicolo 1

Deve tuttavia deve ritenersi consentito il diritto dell’in-teressato di accedere agli atti del procedimento tributario nel momento in cui – conclusosi tale procedimento – sia stato adottato l’atto impositivo, potendo quest’ultimo es-sere, in astratto, immediatamente lesivo di posizioni giu-ridiche e, quindi, impugnabile, ancor prima che in sede giudiziaria”1. Il principio ora esposto, oltre agli uffici dell’Amministra-zione finanziaria, deve ritenersi applicabile altresì al con-cessionario in materia di atti della riscossione: il “… con-tribuente è ammesso all’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi anche se detenuti presso un ente privato che vesta funzioni di pubblico interesse qua-le l’agente della riscossione”2. Peraltro, va sottolineato come i Giudici amministrativi abbiano affrontato anche le questioni inerenti alle dispo-sizioni regolamentari preclusive in materia di attività i-spettiva anche da parte di enti, organismi ed uffici diversi da quelli tributari. Più in generale, “… in tema di diniego di accesso opposto dall’Amministrazione sulla base di norme … che preclu-dono l’accesso alla documentazione contenente le dichia-razioni rese in sede ispettiva da dipendenti delle imprese che richiedono l’accesso. In tali ipotesi, le finalità che so-stengono tale tipo di disposizioni preclusivo fondate su 1 Così, T.A.R. Lazio, sent. n. 9516 del 31 ottobre 2008, e

Cons. di Stato, dec. n. 3825 del 9 luglio 2002, entrambe in banca dati “fisconline”.

2 T.A.R. Lazio, sent. n. 10765 del 3 novembre 2009, in ban-ca dati “fisconline”.

un particolare aspetto della riservatezza, quello cioè atti-nente all’esigenza di preservare l’identità dei dipendenti autori delle dichiarazioni allo scopo di sottrarli a poten-ziali azioni discriminatorie, pressioni indebite o ritorsio-ni da parte del datore di lavoro – recedono a fronte dell’e-sigenza contrapposta di tutela della difesa dei propri in-teressi giuridici, essendo la realizzazione del diritto alla difesa garantita “comunque” dall’art. 24, comma 7 della legge n. 241 del 1990”3. In questa ottica, il diritto costituzionalmente garantito alla difesa trova la massima espansione allorquando il Consiglio di Stato ha avuto modo di pronunciarsi sul de-licato tema dell’acquisizione di notizie da parte di terzi e consacrate in una denuncia inoltrata all’Amministrazio-ne finanziaria: “… non può essere negato l’accesso a do-cumenti che riguardano espressamente la posizione giu-ridica dell’istante e che possono essere da questi utilizzati a fini di tutela giurisdizionale. A tale regola non si sottra-e, in virtù della sua stessa natura, la denuncia presentata da un privato ad una pubblica amministrazione, ovvero anche da un soggetto pubblico all’autorità giudiziaria, poiché, per un verso, l’ordinamento giuridico non tutela il diritto all’anonimato del denunciante; per altro verso, non può in tal modo comprimersi il diritto costituzio-nalmente garantito alla tutela giurisdizionale”4.

Pierfranco Turis 3 Cons. di Stato, sent. n. 9102 del 16 dicembre 2010, in ban-

ca dati “fisconline”. 4 Cons. di Stato, sent. n. 4769 del 10 agosto 2011, in banca

dati “fisconline”.

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6408 GIURISPRUDENZA

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fascicolo 1

Rilevanza dei canoni di leasing nel “vecchio” redditometro Accertamento - Accertamento e controlli - Accertamento sintetico - Redditometro - Canoni di leasing - Rilevanza - Art. 38 del D.P.R. n. 600/1973

Nel redditometro disciplinato dal D.M. 10 settembre 1992 non possono avere rilievo i canoni di leasing, in quanto tale voce di spesa è stata considerata solo nel D.M. 24 dicembre 2012. Viene pertanto disattesa la tesi delle Entrate, secondo cui i canoni di leasing sarebbero comunque stati conteggiabili, in quanto spese che contribuiscono al successivo incremento patrimoniale, che si sarebbe verificato nel momento di riscatto dell’autovettura. Oltre a ciò, si afferma che la determinazione sintetica introdotta dal D.M. 24 dicembre 2012 non può es-sere oggetto di applicazione retroattiva, in quanto l’art. 22 del D.L. n. 78/2010 stabilisce espressamente che essa opera solo a partire dai controlli sull’annualità 2009 (n.d.r.). (Oggetto della controversia: avvisi di accertamento Irpef, anni 2007 e 2008)

(COMM. REGIONALE di Milano, Sez. distaccata di Brescia, sez. LXV - Sent. n. 103 del 25 ottobre 2013)

Svolgimento del processo Lo. Ma. ha presentato due distinti ricorsi alla Commissione Tributaria Provinciale di Cremona avverso altrettanti avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate - Direzione Provincia-le di Bergamo relativamente a IRPEF per gli an-ni 2007 e 2008. L’oggetto del contendere riguardava la rideter-minazione del reddito dichiarato sulla base degli elementi di capacità contributiva risultanti dal pagamento di canoni di leasing di due autovet-ture e del canone di locazione di un’abitazione secondaria. In sede di ricorso la parte sosteneva che gli im-porti versati a titolo di leasing non erano inclu-dibili nell’accertamento e considerava comun-que erronea la valorizzazione effettuata del ca-none di locazione dell’immobile. La Commissione adita ha respinto il ricorso, condannando parte soccombente alla rifusione delle spese per Euro 2.000,00. Il primo giudice riteneva non ipotizzabile che circa l’ottanta per cento del reddito dichiarato fosse destinato al pagamento di canoni di locazione per l’abitazio-ne secondaria. Appella il contribuente eccepen-do preliminarmente il difetto di motivazione e la contraddittorietà della sentenza. Nel merito os-serva che il 05.01.2013 sono stati promulgati i decreti attuativi del DL 78/2010 ed è pertanto in vigore il “redditest” sostitutivo del redditometro, applicabile retroattivamente in quanto strumen-to più evoluto e preciso del precedente. Ribadi-sce che i canoni di leasing devono essere esclusi dalla determinazione del reddito sintetico non

rappresentando incremento patrimoniale, né un elemento di spesa valutabile in quanto i decreti ministeriali non contemplano le rate del leasing tra gli elementi costitutivi di ricchezza. In ogni caso contesta l’importo dei canoni come indicati dall’ufficio e precisa che nel periodo 2007-2008 la A.M. era oggetto di sequestro e non originava pertanto costi di gestione. Chiede la riforma del-la sentenza impugnata. Contestualmente chiede che venga disposta la sospensione dell’esecuzio-ne e propone istanza di discussione in pubblica udienza. Si costituisce in giudizio l’Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale di Bergamo eccependo preliminarmente che il richiamo della parte al “redditest” in vigore dal 2013 rappresenta do-manda nuova. In ogni caso, la nuova disciplina non è applicabile retroattivamente e comunque la parte non ha dimostrato la propria congruità al nuovo strumento. Nel merito rileva che i ca-noni di leasing partecipano all’incremento pa-trimoniale derivante dal successivo acquisto del-la proprietà della autovettura A.M. di 41 cv a se-guito del riscatto del leasing. Non rileva invece il fatto che l’autovettura sia stata sottoposta a se-questro, dato che le minori spese di manteni-mento del veicolo a fronte della sua minore di-sponibilità è da ritenersi bilanciata dalle spese legali sostenute per la sua restituzione. Quanto al canone di locazione della residenza seconda-ria rileva che l’importo reale è stato indicato dal-la parte in sede di questionario. Insiste per la conferma della sentenza impugnata e si oppone alla sospensione dell’esecuzione della sentenza.

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GIURISPRUDENZA 6409

41/2013

fascicolo 1

Avendo l’appellante proposto tempestiva istanza di discussione in pubblica udienza, regolarmen-te notificata a controparte, si procede in forma pubblica.

Motivazione La Commissione osserva preliminarmente che la sentenza di primo grado risulta sufficientemente motivata laddove contiene – seppure in forma succinta – l’indicazione del percorso logico-giu-ridico che ha portato al rigetto del ricorso della parte. In ogni caso, l’accertata mancanza di mo-tivazione del provvedimento di primo grado co-stituirebbe nullità relativa, sanabile dal giudice d’appello qualora – come nel caso di specie – in sede di impugnazione vengano riproposte le do-mande che si assume essere rimaste prive di a-nalisi da parte del primo giudice e che diventano oggetto di esame. L’appello di parte contribuente neppure può es-sere accolto nella parte in cui richiede l’applica-zione dei decreti attuativi del DL 78/2010. L’art. 22 di detto decreto prevede espressamente che le modifiche all’articolo 38 DPR 600/73 hanno “ef-fetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore’’ del decre-to, ossia per gli accertamenti relativi ai redditi dell’anno 2009 e seguenti. L’appello di parte contribuente deve peraltro es-sere accolto nel merito. Il “redditometro” costi-tuisce accertamento di natura statistica, come ribadito anche dalla più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale l’ac-certamento sintetico disciplinato dall’art. 38 DPR 600/73 tende a determinare il reddito com-plessivo presunto del contribuente “attraverso l’utilizzo di presunzioni semplici”, mediante l’ap-plicazione di “elementi indicativi di capacità contributiva stabiliti dai decreti ministeriali con periodicità biennale” (Cass. Civ., Sez. Trib., sent. 23554/20121). Possono pertanto valere le mede-sime considerazioni che la giurisprudenza ha e-spresso in ordine a parametri e studi di settore, rilevando che la motivazione dell’atto di accer-tamento non può esaurirsi nel mero scostamen-to dai parametri di legge, in quanto l’inversione dell’onere probatorio presuppone un “complesso quadro” che deriva dal fatto che all’esito del con-traddittorio la motivazione sia “integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni solle-vate dal contribuente in sede di contraddittorio: 1 In banca dati “fisconline”, n.d.r.

è da questo più complesso quadro che emerge la gravità, precisione e concordanza attribuibile al-la presunzione basata sui parametri e la giustifi-cabilità di un onere della prova contraria (ma senza alcuna limitazione di mezzi e di contenu-to) a carico del contribuente” (Cass. Civ., SS.UU., sent. 26635/20092). Principio ribadito nella recente sentenza n. 2368/20133 della Cassa-zione Civile - Sezione Tributaria, in forza della quale “la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard pre-scelto e con le ragioni per le quali sono state di-sattese le contestazioni sollevate dal contribuen-te”, con la conseguenza che è “l’amministrazione a dovere dimostrare, anche sulla base degli ele-menti offerti nel contraddittorio antecedente al-l’emissione dell’avviso, l’applicabilità degli speci-fici parametri utilizzati all’attività in concreto svolta dal contribuente sulla base degli elementi sopra indicati o di altri elementi dalla stessa in-dividuati ...”. In definitiva, stante la natura me-ramente presuntiva del redditometro, gli ele-menti di accertamento da esso derivanti devono essere corredati da ulteriori dati idonei a soste-nerne le risultanze, così come stabilito in mate-ria di parametri e studi di settore. Prova che nel caso di specie l’Ufficio non ha fornito. Ma quand’anche si volesse attribuire al reddito-metro una portata probatoria più ampia, deve evidenziarsi che nel caso di specie risultano ap-plicati elementi non contemplati nei decreti at-tuativi; in particolare, i canoni di leasing su beni di lusso rientrano tra i costi rilevanti al fine del “redditometro” soltanto a seguito di espressa di-sposizione introdotta dal DL 78/2010 che, come sopra esposto, è norma non applicabile retroat-tivamente. Per l’effetto il risultato cui porta il redditometro risulta in ogni caso viziato. Stante l’incertezza della materia del contende-re, oggetto di costante evoluzione normativa nonché di diverse valutazioni giurisprudenziali espresse dalla Corte di Cassazione anche nelle more del presente giudizio, sussistono i motivi per compensare tra le parti le spese del giudi-zio.

P.Q.M. In riforma della sentenza appellata, dichiara il-legittimi gli avvisi di accertamento. Spese com-pensate. 2 In banca dati “fisconline”, n.d.r. 3 In banca dati “fisconline”, n.d.r.

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6410 GIURISPRUDENZA

41/2013

fascicolo 1

Commento La decisione resa dalla Corte territoriale lombarda attie-ne alla corretta applicazione dello strumento del c.d. “redditometro”, ovvero al quel complesso di indici di ca-pacità contributiva che possono integrare la ricostruzio-ne con metodo sintetico del reddito imponibile. Richiamando la disciplina ed i principi espressi dalla giu-risprudenza di legittimità in materia di adozione di strumenti statistici (parametri, studi di settore) giusta i quali “… la procedura di accertamento tributario stan-dardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichia-rato rispetto agli standards in sé considerati – meri stru-menti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contrad-dittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente”1, il Collegio rileva come l’accertamento deve essere motivato secondo de-terminati criteri in funzione dell’utilizzo delle risultanze degli strumenti di verificata standardizzata. Peraltro, occorre ricordare come le peculiari caratteristi-che dell’accertamento sintetico non rendano completa- 1 Ex multis, Cass. sent. n. 12558 del 21 maggio 2010, in

banca dati “fisconline”.

mente sovrapponibile i canoni valutativi. Ciò per la con-siderazione che costituisce ius receptum il principio se-condo il quale “… il giudice tributario, una volta accerta-ta l’effettività fattuale degli specifici elementi rilevatori di capacità contributiva, non può privare tali elementi della capacità presuntiva che la legge ha inteso annettere alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non red-dituale delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma”2. Sotto questo profilo, i Giudici di merito sottolineano co-me, agli effetti del regime probatorio che vede comunque l’Amministrazione finanziaria quale attore sostanziale del processo tributario, sia l’ufficio tributario chiamato alla dimostrazione circa l’applicabilità dell’indice di ca-pacità contributiva alla concreta realtà fattuale (e reddi-tuale) del contribuente. Prova che ritiene, nel sindacato ed apprezzamento del fatto al medesimo Giudice riserva-to, non essere stata raggiunta anche in virtù dell’inam-missibile estensione retroattiva di elementi contemplati soltanto posteriormente in rapporto alla disciplina appli-cabile ratione temporis.

Pierfranco Turis 2 Così, Cass., sent. n. 9549 del 29 aprile 2011 e n. 16284 del

23 luglio 2007, entrambe in banca dati “fisconline”.

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