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ACCADEMIA DEI ROZZI Anno XVI - N. 30 IL SALUTO DEL NUOVO DIRETTORE Sono particolarmente orgoglioso del compito che il Collegio ha voluto conferirmi affidando- mi la direzione di “ACCADEMIA DEI ROZZI”, la nostra rivista divenuta ormai un presti- gioso veicolo di conoscenza della storia di Siena e di diffusione del suo straordinario patri- monio culturale. Molti importanti enti italiani e stranieri: università, biblioteche, centri di studio e di ricerca storica ne fanno richiesta e non vogliono perderne nemmeno un numero, a conferma di un apprezzamento che onora la nostra Accademia ed avvalora le numerose eccellenze nei campi dell’arte e della scienza che Siena ha generato nella sua storia plurisecolare . Anche per questo motivo non posso esimermi dall’esprimere la mia gratitudine a chi mi ha preceduto nell’importante incarico, l’Avv. Giancarlo Campopiano, a cui si deve riconoscere pure il merito di aver fatto nascere la rivista ormai 15 anni fa, nonchè alla redazione ed al coor- dinatore editoriale, Dr. Ettore Pellegrini, che curando la rivista con amorevole e proficuo impegno, assicura ed assicurerà il rispetto della linea editoriale e il livello dei contributi che saranno pubblicati nei prossimi numeri. A tutti i Soci, con il mio cordiale saluto, vada l’augurio di buona lettura, nella certezza che sapranno apprezzare la qualità dei contenuti e la ricchezza iconografica della nostra pubbli- cazione accademica. Renzo Marzucchi

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Page 1: ACCADEMIA DEI ROZZI · Dopo la pace, sancita nel 1372 tra Federico IV d’Aragona e Giovanna d’Angiò, il riavvici-namento della Sicilia all’area culturale parte-

ACCADEMIA DEI ROZZIAnno XVI - N. 30

IL SALUTO DEL NUOVO DIRETTORE

Sono particolarmente orgoglioso del compito che il Collegio ha voluto conferirmi affidando-mi la direzione di “ACCADEMIA DEI ROZZI”, la nostra rivista divenuta ormai un presti-gioso veicolo di conoscenza della storia di Siena e di diffusione del suo straordinario patri-monio culturale.

Molti importanti enti italiani e stranieri: università, biblioteche, centri di studio e di ricercastorica ne fanno richiesta e non vogliono perderne nemmeno un numero, a conferma di unapprezzamento che onora la nostra Accademia ed avvalora le numerose eccellenze nei campidell’arte e della scienza che Siena ha generato nella sua storia plurisecolare .

Anche per questo motivo non posso esimermi dall’esprimere la mia gratitudine a chi mi hapreceduto nell’importante incarico, l’Avv. Giancarlo Campopiano, a cui si deve riconoscerepure il merito di aver fatto nascere la rivista ormai 15 anni fa, nonchè alla redazione ed al coor-dinatore editoriale, Dr. Ettore Pellegrini, che curando la rivista con amorevole e proficuoimpegno, assicura ed assicurerà il rispetto della linea editoriale e il livello dei contributi chesaranno pubblicati nei prossimi numeri.

A tutti i Soci, con il mio cordiale saluto, vada l’augurio di buona lettura, nella certezza chesapranno apprezzare la qualità dei contenuti e la ricchezza iconografica della nostra pubbli-cazione accademica.

Renzo Marzucchi

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Fig. 1 Maestro del Polittico di Trapani, Madonna con Angeli e Santi, (Trapani, Museo Regionale Agostino Pepoli). Gli studi su questoignoto maestro hanno fatto pensare ad un artista senese e in particolare a Taddeo di Bartolo.

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Questo testo è la sintesi di una conferenza tenutadal Prof. Ingaglio il 7 novembre 2007, a Siena, nelcorso di una serata organizzata dal “Centro StudiFarma Merse”.

Ogni studio o ricerca sulla produzione arti-stica e sulla cultura figurativa di un determi-nato arco cronologico e contesto geograficonon può prescindere dalla riflessione che pre-cedentemente altri studiosi, sebbene conapprocci, metodi e principi diversi, hannocompiuto.Questo “racconto” sulla presenza degli artistisenesi e toscani nella Sicilia del Trecento nonpuò non raccogliere le precedenti esperienzedi chi s’è interessato dell’arte tardo medievalein Sicilia e più specificatamente della pitturatrecentesca. Lo stato delle ricerche su taleargomento attualmente, se da una parte havisto una crescente attenzione di studiosiqualificati insieme ad una “letteratura sponta-nea e locale”, dall’altro attende ancora un suoapprofondimento ed una sua sistemazione.Ciò è dovuto per una molteplice serie dimotivi, che qui si tenta di sintetizzare in alcu-ni punti principali e preminenti: la frammen-tarietà delle fonti coeve, che non sono gene-rose di notizie circa la produzione, commit-

tenza e circolazione delle opere e degli artisti; la precarietà delle testimonianze artistiche,non di rado riemerse dalle sedimentazionicon lacune e sovente a livello di frammenti,nonostante la ricchezza e la qualità della pro-duzione; la complessa situazione storica epolitica della Sicilia del Trecento caratterizza-ta da insicurezze e contraddizioni.Nella Sicilia del XIV secolo, infatti, nonostan-te la debolezza del potere centrale e le incer-tezze politiche, che hanno portato a definire ilTrecento in Sicilia come il secolo dell’anarchiafeudale, s’è sviluppata una feconda stagioneartistica, soprattutto ricca di diversi apporticulturali. Ciò è dovuto in gran parte non sol-tanto agli scambi commerciali, particolarmen-te vivaci nelle città portuali siciliane, maanche alle alleanze, non sempre costanti edurevoli, tra le diverse famiglie feudali e fraqueste con gli esponenti delle dinastie coin-volte nella contesa della corona di Sicilia ericonducibili a diverse aree culturali italianeed europee: Napoli, Toscana, Francia eCatalogna. Tale situazione culturale aveva giàle sue radici nell’età precedente, normanna efedericiana, e perdurerà anche nel secolo suc-cessivo, con una spiccata influenza culturaleiberica a seguito del nuovo assetto politico.

“Un misto di forme senesi-pisane-siciliane”. Testimonianze della cultura artistica toscana nella Sicilia del ‘300: esempi pisani e senesidi GIUSEPPE INGAGLIO

“Un misto di forme senesi-pisane-siciliane”

(Maria Accascina)

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Fig. 2 Madonna con Bambino tra Sant’Agata e San Bartolomeo (Messina, Museo Regionale).

Fig. 4 Sant’Anna con la Madonna e il Bambino tra due santi(Palermo, Museo Diocesano).

Fig. 5 Flagellazione di Cristo tra i confrati(Palermo, Museo Diocesano).

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In questa trama di rapporti commerciali eculturali, direttamente ovvero indirettamentetramite Napoli, è più evidente ed individua-bile l’apporto della cultura artistica di tutta laToscana e di Pisa e Siena in particolare. Tra lediverse culture che figurano nel patrimonioartistico trecentesco dell’Isola quella toscana,nelle sue diverse inflessioni, è la più forte siacome numero di presenze che di qualità.A seguito delle migrazioni delle famiglie feu-dali e mercantili (la nuova “aristocrazia citta-dina”), nonché dietro la diffusione degliOrdini religiosi, soprattutto mendicanti, edegli spostamenti dei loro esponenti, per-mangono ancor oggi le testimonianze di unaserie di opere d’importazione.Sono tuttavia pochi gli artisti che si trasferi-scono in Sicilia per un soggiorno più o menoprolungato: tale tendenza continuerà neisecoli successivi, soprattutto alla fine delCinquecento e nella prima metà del secolosuccessivo, con figure di rilievo, quale l’inge-gnere militare senese Tiburzio Spannocchi edil pittore Filippo Paladini.Da Siena viene Andrea Vanni, documentatodal 1353 al 1413, che nel 1384 è «ito inCicilia a dipengere» e le cui opere sono raf-frontabili a quelle del Maestro del Polittico diTrapani, di cui più avanti si tratterà.Senese è anche Nicola Di Magio ( o Di Maggio Di Magino), dimorante dalla fine del seco-lo fino al terzo decennio del Quattrocento aPalermo, dove è custodito un frammento diun polittico con Maria in trono e s. Caterina.Egli, infatti, nel Trittico di s. Cristina si firmerànel 1402 cives de urbe Panormi. Dal 1405 lavo-rerà a Trapani per i Domenicani.Giovanni Di Pietro, dopo un soggiorno aNapoli, il pisano giunge in Sicilia: la sua atti-vità, nella seconda metà del Trecento, è quirappresentata dalla tavola del S. Nicola in cat-tedra, proveniente dalla chiesa San Nicolò laLatina in Sciacca ed oggi conservato nellaGalleria Regionale della Sicilia PalazzoAbatellis a Palermo.Vi è tuttavia un cospicuo numero di opere diautori, il cui nome è ancora inesorabilmenteignoto. Di esse, testimoniando una paternitàdecisamente toscana, pur tuttavia non si può

affermare se siano state eseguite in Siciliaovvero siano opere d’importazione. Non mancano opere che, pur presentandoascendenze senesi e toscane, nel coacervodegli intrecci culturali siciliani, si arricchisco-no di cifre orientaleggianti, importate inSicilia dall’area veneto bizantinadell’Adriatico. Tra queste si può qui ricordareuna Madonna con Bambino tra s. Agata e s.Bartolomeo, conservato nel Museo Regionaledi Messina, risalente alla prima metà del sec.XIV (fig. 2). Il trittico presenta nell’articolataposizione del Bambino uno spiccato accentosenese, ma nelle vesti della Vergine e di s.Agata si colgono temi decorativi tipici dellaproduzione orientale. Messina, com’è noto,aveva un ruolo di primaria importanza nellostoccaggio delle merci siciliane, soprattuttodella seta grezza, e nei traffici commercialicon il Mediterraneo orientale e con Venezia,data la sua posizione geografica; non è dameravigliarsi che, accanto e frammisti a moti-vi toscani e senesi, convivano elementi dinatura orientale, sia islamica che bizantina,riletti e tradotti dalla sintesi veneziana. Siviene così a determinare a Messina una sta-gione feconda nella quale le botteghe localiacquistano un ruolo di mediazione tra le

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diverse culture e favoriscono l’importazionedi artisti, opere e modi figurativi.Addentrandosi nel secolo, tuttavia, sarannoprevalenti le influenze toscane e senesi, anchenelle oreficerie. Il calice di s. Antonio abate,proveniente dalla chiesa eponima di Sciaccaed oggi conservato nel tesoro della localeChiesa Madre, è stato assegnato da MariaAccascina ad una bottega messinese, che neltardo Trecento si sarebbe ispirato a modellisenesi (fig. 2). Il poco consueto piede circola-re si può riscontrare, infatti, anche in altre rea-lizzazioni toscane e senesi tardo trecenteschee quattrocentesche. Nella stessa chiesa sicilia-na si conserva un altro calice, pressochécoevo, la cui coppa però è stata sostituita nelcorso del Settecento da un argentiere trapa-nese, come dichiara il marchio.Questi esempi testimoniano un’intensa circo-lazione di prodotti e di modelli senesi e tosca-ni che hanno influenzato le botteghe sicilia-ne. È molto difficile costruire un percorsorigorosamente cronologico delle opere ed indiversi casi non si hanno elementi certi perpoter affermare se si tratti di opere d’impor-tazione ovvero realizzate in loco.Dopo la pace, sancita nel 1372 tra FedericoIV d’Aragona e Giovanna d’Angiò, il riavvici-namento della Sicilia all’area culturale parte-nopea porta come conseguenza anche l’aper-tura di rinnovati commerci e rapporti artisti-ci con la Toscana. Pisano, ad esempio, è il setaiolo Colad’Amato che nel 1387 fa firmare a Jacopo diMichele detto Gera da Pisa il trittico prove-niente dalla chiesa B. M. V. Annunziata (rica-dente proprio nel quartiere dei pisani) aPalermo ed oggi conservata nel locale MuseoDiocesano, raffigurante S. Anna con laMadonna ed il Bambino tra s. Giovanni evange-lista e s. Giacomo apostolo, la cui figura centra-le è caratterizzata da una forte costruzionespaziale (fig. 4). All’artista, di cui si hannonotizie dal 1371 al 1395, è stata attribuita daFederico Zeri un frammento di un’altra com-posizione, conservato anch’esso a Palermo ecostituita da due tavole raffiguranti rispettiva-mente S. Giorgio e S. Agata.

Dalla Sicilia transita anche Antonio diFrancesco, detto Antonio Veneziano, forseperché veneziano di nascita. Nel 1360 è cita-to nei libri del Duomo di Siena per alcuneopere, oggi perdute; tra il 1384 ed il 1387lavora a Pisa sia nel Camposanto per le Storiedi s. Ranieri, sia in Duomo. Da qui si trasferi-rà in Spagna, dove si spegnerà sul finire delsecolo. Nel 1388 firma a Palermo la tavola delRuolo della Confraternita San Nicolò Reale, oggial Museo Diocesano di Palermo: l’opera,caratterizzata da una suggestiva scena dellaFlagellazione di Cristo tra i confrati (fig. 5) secon-do Maria Concetta Di Natale, fu inviata daPisa ed ha influenzato diversi autori sicilianisuccessivi per la realizzazione delle tavole sucui venivano dipinti gli elenchi dei sodalizireligiosi, siano essi confraternite, conventi,collegi di canonici ed abbazie.Proprio per l’abbazia di San Martino delleScale, nei pressi di Palermo, il noto pittorepisano Turino Vanni, nato nel 1348 e mortonel 1438, firma nell’ultimo decennio delTrecento, la tavola trilobata della Madonna introno con Angeli e Santi, oggi alla Galleria diPalazzo Abatellis a Palermo.La maturità di questo artista ha influenzatoanche un altro pittore, il Maestro del Politticodi Trapani, scoperto da Maria Accascina esuccessivamente molto studiato, con diversitentativi di assegnargli un nome. Attivo tral’ultimo quarto del Trecento e gli inizi delsecolo successivo, gli sono state attribuite ungruppo di opere d’importazione o fatte inSicilia: si tratta certamente di un artista sene-se o comunque riconducibile a Siena esoprattutto a Taddeo di Bartolo. Gli studi sulMaestro del Polittico di Trapani, così notodal suo capolavoro conservato al MuseoRegionale Agostino Pepoli di Trapani (fig. 1),hanno evidenziato la sua influenza e/o pre-senza in tanti dipinti, diffusi dai mercantipisani a Trapani (Madonna del latte con angeli)e Palermo (Crocifisso nella chiesa SantoSpirito, S. Giovanni evangelista, GalleriaRegionale di Palazzo Abatellis). In quest’ulti-ma città la famiglia dei Chiaramonte, al cul-mine della sua potenza, affida ad alcuni mae-

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stri la decorazione del soffitto della SalaMagna della propria dimora: tra questi mae-stri è stata individuata la presenza anche delMaestro del Polittico di Trapani, il cui catalo-go, si va sempre progressivamente arricchen-do. L’influsso del Maestro si estende anchenei territori dei Chiaramonte, soprattutto nel-l’agrigentino. Qui anche negli inizi delQuattrocento circoleranno opere senesiovvero di pittori siciliani di chiara deriva-zione senese, come testimonia unatavola con la Vergine conBambino, conservata nelMuseo Civico di Agrigentoo gli affreschi della cosìdetta cappella delcastello di Naro, incui sono più evi-denti le inflessio-ni francofonedella commistio-ne dei rapportitra la cultura arti-stica senese equella francese.Molto vicino alMaestro del Po-littico di Trapaniè un altro pitto-re; anche di lui lastoria non ci haancora rivelato ilnome e che ènoto come Mae-stro delle Inco-ronazioni, cuisono state asse-gnate alcune si-gnificative operedal medesimosoggetto: l’Inco-ronazione di Ma-ria, tutte conservate nelle collezioni pubblicheed ecclesiastiche palermitane: nel MuseoDiocesano è inoltre conservata un’interessantetavola con Abramo ed i tre angeli (fig. 6).Questo “racconto” non si può chiudere senzaaver accennato alla produzione scultorea. Di questa, che certamente doveva essere

molto più ricca di quella che ci è pervenuta,si citano soltanto due esempi distanti crono-logicamente. Agli inizi del secolo Goro diGregorio, che domina la scena senese dopo lapartenza di Tino da Camaino per Napoli,lavora a Messina per il vescovo Guidotto deTabbiatis (o de Habbiate), eletto vescovodella Città dello Stretto nel 1304. Qui Goro di Gregorio è ricordato in un

atto del 1326, mentre lavora al portaledel Duomo coi suoi collaboratori

senesi Bartoluccio di Mino eSimone di Bindo.

Per il medesimo vescovo rea-lizza nel 1333 la sepoltu-

ra nel Duomo, di cuic’è rimasta la Ma-

donna con Bam-bino, detta Ma-donna degli Storpi(fig. 7, pag. 8),oggi conservataal Museo Regio-nale di Messinae caratterizzatada l l ’ i n t en s i t àdello sguardo traMadre e Figlio.Da Pisa pervienea Trapani la ve-neratissima Ma-donna con Bam-bino, detta ap-punto Madonnadi Trapani (fig. 8,pag. 8), commis-sionata a NinoPisano dai car-melitani per lachiesa dedicataalla Vergine An-nunziata trami-

te i mercanti pisani residenti nella riccacittà mercantile. La raffinata composizione è culminata dal-l’intensità dello sguardo del Bambinoverso la Madre, la quale rivolge verso l’os-servatore devoto il suo volto illuminato daun sorriso.

Fig. 6 Abramo e i tre angeli.

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BIBLIOGRAFIAS’è voluto mantenere nel testo il carattere del “racconto”, senza appe-santirlo delle note bibliografiche. I ragionamenti qui esposti fannoriferimento ad una ricca letteratura, di cui qui si riportano alcuni piùsignificativi contributi, sui quali il lettore potrà approfondire gli argo-menti narrati.

MARIA ACCASCINA, Pitture senesi al Museo Nazionale diPalermo, in “La Diana”, anno V, fasc. I, 1930.MARIA ACCASCINA, Pitture senesi in Sicilia, in “La Diana”,anno V, fasc. VI, 1930.MARIA ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia dall’XI al XIX secolo,Flaccovio editore, Palermo 1974.MARIA CONCETTA DI NATALE, La pittura pisana del Trecento edei primi del Quattrocento in Sicilia, in Immagine di Pisa aPalermo. Atti del convegno di studi sulla pisanità a Palermo e inSicilia nel VII centenario del Vespro, Palermo-Agrigento-Sciacca, 9-12 giugno 1982, Istituto Storico Siciliano,Palermo 1983.VINCENZO ABBATE-GIULIO CARLO ARGAN-EUGENIO

BATTISTI, Palermo. Palazzo Abatellis, Editrice Novecento,Palermo 1991.VINCENZO ABBATE-GENEVIEVE BRESC BAUTIER-MARIA

CONCETTA DI NATALE-ROSSELLA GIGLIO, Trapani. MuseoPepoli, Editrice Novecento, Palermo 1991.FRANCESCA CAMPAGNA CICALA-FEDERICO ZERI, Messina.Museo Regionale, Editrice Novecento, Palermo 1992.

LUIGI SARULLO, Dizionario degli artisti siciliani, vol. II, Pittura,a cura di Maria Antonietta Spadaro, Editrice Novecento,Palermo 1993.VINCENZO SCUDERI, La Madonna di Trapani, in Il tesoronascosto. Gioie e argenti per la Madonna di Trapani, catalogodella mostra a cura di Vincenzo Abbate e Maria Concetta DiNatale, Editrice Novecento, Palermo 1995.Capolavori d’Arte del Museo Diocesano di Palermo. Ex sacris ima-ginibus magnum fructum…, a cura di Maria Concetta DiNatale, Edizioni O. DI. PA., Bagheria (PA) 1998.Il Maestro del Polittico di Trapani. Opere restaurate del MuseoPepoli, a cura di Maria Luisa Famà e Gaetano Bongiovannicon i contributi di Vincenzo Abbate e Anna Occhipinti,Paceco (TP) 2002.NICOLETTA BONACASA, Due contributi di Maria Accascina: pit-ture senesi del XIV secolo in Sicilia, in Storia, critica e tutela del-l’arte nel Novecento. Un’esperienza siciliana a confronto con ildibattito nazionale. Atti del Convegno Internazionale di Studi inonore di Maria Accascina, a cura di Maria Concetta Di Natale,Salvatore Sciascia Editore, Bagheria (PA) 2007.R. BARTALINI, Scultura gotica in Toscana, Amilcare Pizzi perBanca Monte dei Paschi, Milano 2007.GIUSEPPE INGAGLIO, La cappella San Bartolomeo nellaCattedrale di Agrigento ed aggiunte alla storia della pittura trecen-tesca nel territorio agrigentino, in La cattedra di Gerlando.Giornate di studi in memoria del can. Domenico De Gregorio, acura di Giuseppe Ingaglio, in corso di stampa.

Fig. 7 Goro di Gregorio, Madonna con Bambino(Messina, Museo Regionale).

Fig. 8 Nino Pisano, Madonna con Bambino (Trapani,Chiesa della Vergine Annunziata).

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Nato a Pratovecchio nel Casentino il 15Giugno 1736, Bardo Maria Soldani trascor-se la vita nell’ambito dell’istituzione eccle-siastica. Entrato tredicenne nel collegio deipadri camaldolesi a Poppi e sentitosi benpresto attratto dall’Ordine di SanRomualdo, che annoverava uomini di cul-tura e di scienza,a 16 anni si tra-sferì a Firenzepresso il mona-stero di SantaMaria degliAngeli. Terminatigli studi e dive-nuto sacerdotecon il nome diAmbrogio, con-seguì a 24 anni iltitolo di Lettore,che gli consentìdi insegnare filo-sofia, teologia,chimica e storianaturale all’inter-no del monaste-ro fiorentino. A34 anni gli fuassegnato il com-pito di dirigere labiblioteca delmonastero di S.Michele a Pisa,ove riordinò in 54 volumi i manoscritti delPadre Luigi Guido Grandi, già professore dimatematiche presso il locale Ateneo. Infine,divenuto prima Abate e poi Cancellieredell’Ordine, ricevette a 44 anni l’incarico didirigere il monastero di S. Mustiola dettodella Rosa a Siena, città che dal 1780 al

1807 non abbandonerà più tranne che pereffettuare viaggi (in numerose località dellaToscana, in Romagna, a Roma, a Napoli, inSicilia, in Germania ed in Austria) a soloscopo di ricerca scientifica. Nel 1781 saràincaricato come docente presso l’Ateneosenese, ove insegnerà Geometria per quasi

quindici anni. La predilezionedi Soldani per lescienze naturali,l’osservazione sulcampo e lo stu-dio sistematicodei campioni rac-colti, oltre adindurre l’Ac-cademia dei Fi-siocritici a nomi-narlo suo Segre-tario, si concre-tizzò autorevol-mente nel 1780nella pubblica-zione del SaggioOrittografico, ov-vero osservazionisopra le terre nauti-litiche ed ammoni-tiche della Toscana,dedicato al Gran-duca di ToscanaPietro Leopoldo

d’Asburgo-Lorena. L’opera descriveva i ter-reni fossiliferi di quasi tutta la Toscana, figu-rando perciò nella storia del pensiero scien-tifico come la prima trattazione sui micro-fossili dotata di supporto geologico adimensione regionale. Nell’effettuare le suericerche, l’abate camaldolese aveva spesso

Il Fisiocritico Ambrogio Soldaninel secondo centenario della mortedi ROBERTO FONDI e MARIO TANGA

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incontrato, inglobati come fossili nei lettisedimentari, organismi non conosciuti trale forme attuali. Convinto che tali organi-smi dovessero ancora vivere da qualcheparte e che perciò si trattasse soltanto discoprirli, egli si prefisse di rintracciarli neisedimenti marini attuali e di studiarne lecondizioni di vita al fine di ricavarne infor-mazioni e deduzioni da applicare allo stu-dio ed alla genesi dei sedimenti fossiliferimedesimi. Questo suo proposito lo portò arealizzare le Testaceographiae acZoophytographiae parvae et microscopicae,opera densa di dati e di concetti che richie-se almeno una ventina di anni di assiduolavoro, un imponente apparato iconografi-co (circa 2.500 figure riunite in 228 tavole)e la suddivisione in due volumi, il primodei quali in due parti, pubblicati separata-mente alla distanza di quasi un decennio(1789, 1798). Nel 1794 Soldani pubblicò il suo terzo lavo-ro più importante, ovvero Sopra una piogget-ta di sassi accaduta nella sera de’ 16 Giugno del1794 in Lucignan d’Asso nel sanese. Lo scrittosi riferisce ad una celebre caduta di meteo-riti che destò nel pubblico grande meravi-glia ed indicibile spavento. Alcune di talimeteoriti vennero consegnate a Soldani equesti, dopo averle studiate, si accorse chenon somigliavano ad alcuna roccia terrestreda lui conosciuta. L’abate si recò sul luogoin cui era accaduto il fenomeno, osservòtutto, chiese spiegazioni e notizie, raccolsetestimonianze e, finalmente, sicuro delfatto suo, diede alla stampa la memoriasostenendo che le pietre cadute non eranodi provenienza terrestre ed ipotizzando chesi fossero originate dalla condensazione deivapori della “bolide” che aveva attraversatoil cielo. Poiché tali conclusioni generarono

molte perplessità fra i suoi contemporanei,suscitando le opposizioni - peraltro espres-se sempre in forma molto cortese - di natu-ralisti eminenti quali Giorgio Santi, LazzaroSpallanzani, Ottaviano Targioni-Tozzetti edAngelo Fabroni, l’abate casentinese ritennedoveroso non sottrarsi al dibattito scientifi-co e scrisse altri tre lavori sul tema ribaden-dovi le opinioni sostenute nella primamemoria. Nel 1803 Soldani ebbe l’alto onore di esse-re nominato Generale dell’Ordine deiCamaldolesi. Ma con l’avvento diNapoleone Bonaparte alla presidenza dellaRepubblica Italiana l’Ateneo senese vennesoppresso e il monastero della Rosa fu con-fiscato assieme a molti altri istituti ecclesia-stici. Nell’agosto del 1807, pertanto, Soldanidovette tornare a stabilirsi a Firenze a SantaMaria degli Angeli; ed in tale monasteromeno di un anno dopo, il 14 luglio del1808, cessò di vivere in seguito ad ictuscerebrale. Preoccupato che la collezione micropaleon-tologica di Soldani – consistente in centi-naia di piccoli vasi di vetro e di vetriniappaiati ed incollati su celletta di cartone alfine di renderne visibile al microscopio ilcontenuto da entrambe le parti – finisse perdisperdersi, Napoleone inviò a Siena unaCommissione guidata dal grande GeorgesDagobert de Cuvier. Questa, rispettando la volontà dell’abatecamaldolese, stabilì di affidarlaall’Accademia dei Fisiocritici, della qualecostituisce oggi una delle collezioni più pre-ziose. Di Ambrogio Soldani la Società Paleonto-logica Italiana ha celebrato a Siena, proprioall’Accademia dei Fisiocritici, nel settembre2008, il secondo centenario della morte.

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Frontespizi di edizioni delle opere di Ambrogio Soldani.

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Un viaggio erudito in Toscanaalla fine dell’Ottocento di NICCOLA ULACACCI

Introduzione e trascrizione di ANNAMARIA ROMANA PELLEGRINI e ANTONELLA FRANCI

Questo piccolo diario di viaggio (un viaggio daLivorno a Siena passando per il Casentino e laVal di Chiana) risalente all’ottobre del 1878 èstato affettuosamente conservato tra le carte difamiglia dai Franci Fratini, ed oggi èricomparso grazie alla signoraAntonella Franci Cortese.Niccola Ulacacci, “professoredi Lingua Greca e BelleLettere … fù distintis.Pittore ed abile incisore” e“scrisse varie Opere diStoria Patria”, comerecita la didascaliadella foto datata 1865conservata nella Bi-blioteca Villa Mariadi Livorno che ci pre-senta una bella figuradi artista ottocentescocon fluente barba bian-ca. Molte sono le qualitàdel personaggio in que-stione, come si vede, allequali si deve aggiungerequanto emerge dalle paginedel diario, vale a dire una schiet-ta sensibiltà e umanità ed un belsenso dell’umorismo, che ren-dono assai godibile la letturadi questo resoconto. Il diarioè stato scritto per i suoi cari, dai quali, come ci dicefin dalla descrizione della partenza, si allontanamesto: “perché, mesto?” perché “lasciavo la miafamiglia, la quale per me, è il mio santuario, il miotutto, e stare da essa lontano anche per un giorno,ne provo pena e privazione grandissima”. L’uso familiare di questo scritto spiega la linguanon ricercata, i numerosi errori lessicali e la pun-teggiatura latitante, che abbiamo volutamente

conservato per non togliere nulla alla spontanei-tà del racconto. Spiega, inoltre, le imprecisioni nelriferire dati attinenti a luoghi ed opere d’arte, che

vengono più che altro descritti in modo da ren-dere partecipi i suoi, particolarmente

l’adorata moglie Enrichetta Fratini,della commozione che opere e siti

provocano nell’animo del viag-giatore. Il linguaggio è ben

lontano da quello, spessoanche ridondante, usatodall’autore nelle sue pub-blicazioni: identica èinvece la sensibilità, l’e-motività tutta ro-man-tica. Anche nel diarioin data 17, quandoracconta del percorsoda Chiusi a Sinalungae riferisce il suo dialogocon un capitano che

viaggia in compagniadella moglie, poiché tra di

loro scatta una immediatafacilità di dialogo (che per il

nostro doveva essere abituale),questi vuol sapere dello scrivente

“vita, morte e miracoli … diman-datomi poi di dove io era, esentendo ch’io italo greco, sifece le meraviglie, e mi strin-

se la mano affettuosamente”. Sarà ancora un sen-timento, quello dell’ amicizia, a suggerire alnostro la stesura di “Pietro Avoscani-Cenni bio-grafici di N. U .”: una piccola pubblicazione nondatata in possesso della Biblioteca degliIntronati. L’autore è animato da sentimenti affet-tuosi anche nei confronti di FerdinandoMagagnini, artista poliedrico, per il quale scrissedue novelle in occasione delle nozze della figlia

Ritratto fotografico di Niccola Ulacacci.

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Artemisia. Le precisazioni fin qui fornite rendo-no qualche ragione dell’Ulacacci scrittore, macome si ricorderà la didascalia della foto lo qua-lifica anche come pittore ed abile incisore. Di quest’ultima attività ci testimonia ilServolini1, che lo definisce “disegnatore per lalitografia, attivo a Parigi”. Tra le sue incisioni piùnote sono le cinque appartenenti alla raccolta delCastello Sforzesco, stampate a Parigi da Becquet,quattro delle quali dedicate a momenti solenni delpontificato di Pio IX2. E’ il nostro stesso poi, neldiario, a ricordare la propria opera di pittore nelcorso della dolceamara visita a Castelmuzio:“Ho veduto con piacere le mie povere pitture e ticonfesso, o mia carissima, che me ne sono com-piaciuto un tantino. La Natività della Madonna e l’Assunta mi sonosembrate cose non spregevoli, e la composizionedella prima pregiata. Vedi modesto!” L’autore parla di un piccolo olio

su tela ancora visibile nella Compagnia della Ss.Trinità e di San Bernardino raffigurante laNatività della Madonna e di un’opera molto piùimpegnativa, oggi scomparsa, eseguita per laPieve di Santa Maria Assunta, che comprende-va non solo l’Assunzione di Maria Vergine por-tata in cielo da Angeli e Serafini “figura dal vero,dipinta a fresco”, ma anche dieci lunette dipintesulle pareti “con istorie della vita di Gesù Cristoe della Vergine, eseguite a chiaro scuro” e “neipeducci le quattro virtù teologali. Figure poco sotto il vero, dipinte a tempera sulmuro” 3. Proprio queste notizie relative alle terresenesi ed altre interessanti considerazioni che sileggono nella seconda parte del diario di Ulacaccici hanno indotto a pubblicarla come un singola-re, fresco e suggestivo resoconto del suo viaggioerudito, nonchè come una preziosa testimonianzadelle emozioni provate dal romantico gentiluomonel rivedere luoghi cari e dilette opere d’arte.

1 Luigi Servolini, Dizionario illustrato degli incisori ita-liani moderni e contemporanei, Milano 1955, voI. II, p.808. Ma per una visione più ampia della vita e delleopere dell’Ulacacci cfr. il saggio di Laura Dinelli,Niccolò Ulacacci. Un livornese “Versatissimo in ogni nobiledisciplina”, in “Nuovi Studi Livornesi”, vol. XII - 2005

2 Paolo Arrigoni e Achille Bertarelli, Le stampe stori-che conservate nella raccolta del Castello Sforzesco Catalogodescrittivo, Tipografia del “Popolo d’Italia”,MCMXXXII: 3418 - “Il 16 luglio 1846”. Allegoria dell’amnistia deicondannati politici. Nicola Ulacacci inv. e dis.,Maggiolo litogr. Paris, Lit. Becquet, 460 x 520. Dueesemplari. (Cart. g. 7 - 29 e 30) 3426 - “Dimostrazione di giubbilo, del popoloRomano nella sera del 17 luglio 1846, In occasione delperdono accordato con somma clemenza, dall’adoratoPontefice Pio IX” Niccola Ulacacci inv. e dis. Maggiolo

lit. Paris, Lith. Becquet, 460 x 520 (Cart. g. 7 - 33)3427 - “Il 19 luglio 1846”, Niccola Ulacacci inv. e dis.Maggi litogr. Parigi, Lit. Becquet. Dimostrazione fattaal Pontefice nell’andata al convento dei Pp. dellaMissione per la festa di S. Vincenzo. Lit. 445 x 515(Cart. g. 7 - 34) 3449 - “L’otto novembre 1846”, Niccola Ulacacci inv.e dis., J. Corot litog., Parigi, Lit. Becquet. 457 x 530.Solenne possesso del S. P. Pio IX, nella BasilicaLateranense. (Cart. g. 7 - 35) 3474 - “Il 5 luglio. Il 1 e 4 settembre 1847. Dedicatoalla Guardia Nazionale Italiana” Niccola UIacacci dis.nel settembre 1847, Thomas litogr. Parigi, pressoBecquet. Lit. 515 x 635 (Cart. g. 7 - 36).

3 Inventario Generale Oggetti d’Arte della provincia diSiena, compilato da F. Brogi, 1862 - 63. Qui il nomeUlacacci, per un errore di lettura del manoscritto, èdiventato Macacci.

Nel diario compaiono:Bruno: Bruno Santoro, giovane allievo di N.U.Enrichetta: Enrichetta Fratini, di Castelmuzio. Moglie diN.U., già sua allieva-pittrice, a lei è dedicato il diario.Figlia di ser Tommaso, notaio, e Adelaide Bandini.Giangio: Michelangelo Fratini, fratello di Enrichetta.Adolfo: Adolfo Fratini, medico, fratello di Enrichetta.Fann:, Fanny Fratini, figlia di Adolfo, sposerà Giannino,cioè Giovanni Ulacacci, figlio di N.U. Caterina: Caterina Carraresi, di Trequanda, moglie diAdolfo.Sposa: Elisabetta Squarciglia, moglie di Giangio.

Noemi: Noemi Ulacacci, figlia dell’autore. Sposerà LuigiLang di Livorno.Arturo: Arturo Fratini, figlio di Adolfo e Caterina.Temistocle: Temistocle Bandini, di Siena, fratello della suo-cera di N.U., Adelaide Bandini.Pompeo: Pompeo Lurini, di Firenze, marito di Clementina. Clementina,: Clementina Fratini, sorella di Enrichetta.

La prima parte del diario vede il nostro N.U. partire, il 7ottobre, da Livorno, per il Casentino. Dopo una settimanagiunge ad Arezzo.

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Arezzo 15 dettoIeri sera alle otto e mezzo giungevo in que-sta città, molto travagliato di stomaco peravere viaggiato quattr’ore e mezzo sopra uncattivissimo legno della Posta. La partenzada Pratovecchio mi fu penosa tanto: lascia-vo Pompeo ammalazzato e molto disgusta-to della sua precaria situazione: l’ottimaClementina tartassata, sgomenta, del suoavvenire. Oh! quanto mi è divenuta piùcara ora che l’ho conosciuta quanto vale:Povera Clementina, Iddio ti sia largo dicoraggio, e di quiete; e ti faccia provaretutte le felicità della pace domestica! A Poppi, dunque montai sul tristissimolegno della Posta, ove trovai già seduto ungobetto, da me veduto il giorno inanzi nelPalazzo Pretorio (di Poppi) che ritraeva nonso che cosa; egli pure mi ravvisò e prestoc’ingolfamo in un mare di cose artistiche,giacché il gobetto dice di essere scultore edallievo del Rivalta4. A Bibbiena vi salì pureun tale, che al primo vederlo faceva nascerein mente un miscuglio di caratteri allaTrufaldino e peggio. Anche con costuiattaccai discorso e venni a sapere esserestato un laico di Camaldoli mandato a spas-

so da questi birboni, diceva egli, senzatimore di Dio, ne’ paura del diavolo. Senon fosse che molto sofrivo di stomaco, lacompagnia di costui mi avrebbe moltodivertito. La Chiave d’Oro è una bellaLocanda: si dorme e si mangia bene, esiamo serviti a meraviglia, dimani mattinasentiremo la bussata. Per mera curiosità viracconterò il nostro pranzo di quest’oggi.Zuppa all’erba eccellentissima, lesso divitello ottimo, fritto di funghi impareggia-bile, arrosto di tordi e alodole senza pari:buon vino, e frutta eccellenti. Che ve nepare? ci trattiamo bene! Tutta la notte il tempo ha imperversato;questa mattina, sembrava rimesso al buono,e siamo usciti per visitare Arezzo. O miaEnrichetta, quante ricchezze artistiche sitrovano in San Francesco, in SanDomenico, nella Cattedrale, nella pieve, inBadia e nella Pinacoteca bartoliniana. Il diredi tutti ci vorebbe una risma di carta. In SanFrancesco5 fece da Cicerone una donnettaper bene: io mi divertivo a sentirla parlared’arte a mo’ di canzoncina. Vi è, in questachiesa un crocifisso più grande del vero diGiotto6 che mi ha sorpreso. Vi è l’altare così

4 Augusto Rivalta, scultore (Alessandria, 1838-Firenze, 1925).

5 L’autore confonde qui il San Francesco con la

badìa di Santa Flora e Lucilla.6 Il crocifisso è del pittore senese Segna di

Bonaventura.

Veduta generale di Arezzo agli inizi del XIX sec. dal Viaggio Pittorico della Toscana dei fratelli Terreni (Firenze, 1801-3).

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detto del Vasari7 perché adornato delle suepitture, forse le più belle che mai facesse: ilritratto del babbo, di esso stesso e dellamoglie, sono vivi, e la mia ciceronessa midiceva: guardi come era divota la moglie delVasari, la dice il rosario, lo tiene fra le mani,ma se vogliono vedere un quadro che tutti iforestieri vanno a vedere, vadano qui vicinodove si legge l’Unità Cattolica. Ella inten-deva dire l’accademia petrarchesca ove sitrova la cena di Assuero del Vasari8. Diffatti guardata e riguardata la finta cupo-la del P. Pozzi9, miracolo di prospettiva, siandò a vedere il quadro del Vasari, da megià conosciuto, e che non merita la fama incui è tenuto. Ben meritano di essere vedute,e ammirate le pitture (di Piero) dellaFrancesca alla Pieve10. Vi sono nudi e partitidi pieghe da contentare lo stesso Urbinate.Benvenuti11 era aretino, come tu ben sai omia Diletta, ed i suoi eredi hanno regalatoal Comune di Arezzo i cartoni ch’egli feceper dipingere la cupola dei principi aFirenze12; e il Comune li ha disposti in que-

sta chiesa: sono finitissimi e mostrano unsapere grandissimo. La figura di Cainodopo il misfatto, è sorprendente, è terribile,mentre il Cristo appeso in Croce è unameraviglia di disegno e di anatomia. LaGiuditta (dello stesso autore) che si vedenella cattedrale questa volta non mi ha sod-disfatto. Mi sembra accomodata con tropp’arte: le figure sono disegnate panneggiateassai bene, ma sono là per far comodo alPittore e non al soggetto. La luce non èbene intesa; e l’introduzione del sommosacerdote in abito pontificale è un errore:prima perché in Bettaglia non vi era sommosacerdote, secondo perché quando vi fossenon poteva ammantarsi dell’abito pontifi-cale essendo vietato dalla legge: solo potevail sommo Sacerdote indossarlo quandoentrava nel santa santorum per consultarel’Eterno. E meno poi mi è piaciuto l’Abigaildel Sabatelli13. Un poco di nudo stupenda-mente inteso e dipinto non forma un buonquadro. I vetri dipinti della cattedrale sonouna meraviglia14, come lo sono le tavole

7 Il vasari aveva destinato l’altare come tomba perse’ e per la sua famiglia.

8 Oggi la Cena di Assuero del Vasari si trova inPalazzo Bruni-Ciocchi, Galleria e Museo medievale eModerno.

9 Nel 1703 Andrea Pozzo dipinse su tela la cupola.10Qui il nostro autore confonde S. Francesco con la Pieve.

11 Nella navata sinistra: il Martirio di San Donato diPietro Benvenuti (1794), mentre nella cappella dellaMadonna del Conforto, dello stesso artista, la tela:Giuditta mostra la testa di Oloferne (1804).

12 Cappelle Medicee.13 Abigail placa Davide di Luigi Sabatelli (1806). 14 Le vetrate sono di Guillaume de Marcillac.

Veduta di Chiusi in una rara incisione della seconda metà del XIX sec.

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(dei) Della Robbia nella Capella dellaMadonna15 e l’altare maggiore di GiovanniPisano16 e il monumento del vescovo Tarlatidi Agostino e di Angiolo di Siena17 descrit-to minutamente dal Vasari, con un qualcheerrore nel compartimento delle storie. Ilbuon Margaritone18 ha qui un sepolcro diun pontefice che mostra quanto valeva nelmaneggiare lo scalpello. Nella sacrestia visono buoni quadretti del Signorelli daCortona, del Vasari, ed uno di Santi diTito19, La Natività della Vergine, bellissimo:bello è pure un San Girolamo di FraBartolomeo della Gattina. Finita la visitadelle chiese principali, si andò allaPinacoteca del Bartolini20. Anche ilBartolini era di Arezzo, e morendo lasciòalla sua città natìa i suoi quadri, i suoi dise-gni, e i suoi studi: un tesoretto d’Arte. Iltutto è raccolto e disposto assai bene, e clas-sificato con ordine e chiarezza mirabile. Visono certi Angioli dello Spinello che noninvidiano quelli dell’Angelico; unaMadonna di Jacopo da Pratovecchio di unabellezza leonardesca; e fra i moderni un epi-sodio della guerra del ‘48, ossia la poveragiovinetta che ardì in mezzo al fischiar dellepalle uscire di sua casa, ove si trovavano ibersaglieri, per correre al pozzo vicino perattingere l’acqua e vi trovò la morte dalpiombo tedesco, (il dipinto) dell’ Adamolloè pregevolissimo, vuoi per l’effetto verità,voi per il patetico che ti sveglia la vista dellamisera giovinetta estinta a pié del pozzo,voi per la furia dei nostri bersaglieri spintialla vendetta. Bravo Adamollo! IlBuonarroti non sdegnò prendere dal

Signorelli l’idea di qualche sua figura nelGiudizio universale; tanta era la stima chedi lui faceva. Nella Pinacoteca Bartolinianasi ammira un quadro di gran merito di que-sto artista. David che canta accompagnatodal Salterio è una cosa divina. La faccia èpiena della grandezza dell’Eterno e dallabocca escono inni ispirati dal cuore tuttoassorto in Dio! Il tempo continua piovoso: le ore fuggono,il povero Bruno soffre di denti, l’appetito sifa sentire, sicché data la mancia alla custodedella Pinacoteca, scritto il nostro nome nellibro dei visitatori, si lascia la Pinacoteca perla locanda, ove seduti comodamente si faun ottimo pasto. Domani mattina volgeremo le spalle adArezzo per Chiusi, ove mi regolerò secondoil tempo, se buono prenderò i biglietti perAsinalunga21, se cattivo per Siena. 17 dettoAlle dieci si partiva dalla bella stazione diArezzo lasciando (la città) con un tantino dirincrescimento, perché molte belle cose cirestavano a vedere, e più che vedere gustare,poiché viste così alla sfuggita lasciano sullamente una vaga cognizione delle medesi-me. La strada è sempre bella, e dilettevoleoffrendo dappertutto vedute bellissime. Ma quello che veramente mi ha sorpreso fula veduta del Trasimo placido e chiaro comeuno specchio. Quante mai cose questo lagomi diceva; quanto mi affacciava alla memo-ria. La fortuna cartaginese qui trionfavadella costanza romana; ma non la prostra-va. Qui l’ombra di Amalassunta si aggiraimprecando al tristo e feroce Teotato. Qui si

15 Nella Cappella della Madonna del Conforto:Assunta di Andrea della Robbia; sull’altare destro:Crocifisso e i Santi Donato e Francesco di Andrea dellaRobbia, sul sinistro: Madonna con Bambino in trono eSanti, della bottega di Andrea; sotto la Cantoria:Madonna con Bambino e due santi di Andrea.

16 Probabilmente qui l’autore allude alla cosiddettaArca di San Donato, parte superiore dell’altare maggio-re, opera gotica di artisti fiorentini, senesi e locali delXIV. Sec.

17 Il Cenotafio del vescovo e signore di ArezzoGuido Tarlati, morto nel 1327, fu portato a termine nel1330 da Agostino di Giovanni e Agnolo di Ventura,celebri scultori senesi.

18 Il mausoleo di Gregorio X (morto nel 1276) giàattribuito a Margaritone d’Arezzo.

19 La Sagrestia è composta di tre ambienti, nel secon-do ci sono il San Girolamo penitente, affresco staccato,e la sinopia dello stesso; nel terzo, Museo Diocesano,sono due stendardi del Vasari e dello stesso unaMadonna della Misericordia dipinta su seta, inoltreGesù e le sorelle di Lazzaro di Santi di Tito.

20 Lo scultore Ranieri Bartolini di Arezzo legò nel1850 alla città la sua collezione, da allora al MuseoCivico: N. U. cita Otto angeli che suonano di ParriSpinello, Madonna e due Santi di Jacopo daPratovecchio, nonché opere “moderne” di Ademollo.

21 Sinalunga.

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vuole che succedesse il miracolo del corpo-rale22! La città di Bolsena in fondo al lagomi rammentava che nel 1821 io intravo inuna oscura locanda accompagnato da unbuon Prete Barnabita che mi conduceva aRoma, e nella sala trovavo una bella donnaintenta a calmare un suo figliuoletto che siteneva in grembo: il bambinello piangevadirottamente: una cara donzelletta, ed unuomo sulla trentina, di piacevole aspetto,gli stavano intorno e con quei modi che ipadri e le madri sanno trovare, cercavano diraffrenare il pianto. Questa donna, que-st’uomo, quel bambino, e quella giovinetta,componevano la famiglia Gazzerrini che diRoma si riconduceva a Firenze. Viddi quell’uomo, e mi piacque ... e dopo una serie dianni divenne mio amico: e spesso vedendole mie composizioni mi diceva “coraggio,coraggio: lei compone bene: venga aFirenze, non stia a intristire a Livorno.”Buono ed ottimo Gazzerrini, l’amiciziaforse ti spingeva sulle labbra queste parole eti dettava poi l’attestato lusinghiero che rila-sciavi al Pucci intorno la mia composizio-ne: Dante alla presenza di Bonifacio VIII. Diletta mia, in un baleno tutte queste cose

mi si schieravano alla mente percorrendoquasi di volo il lago di Bolsena. Ecco Chiusi la città dei Lucumoni, la cittàdi Porsenna tanto malmenato dalla storiaparziale, o per dir meglio municipale.Vincitore, lo fa vinto; magnianimo, lodipinge pusilanime. La giornata che nella mattina si mostravanebbiosa, tutto ad un tratto si mostra splen-dida e bella e m’invoglia di prendere ibiglietti per Asinalunga e aderire alle pres-santi premure di Adolfo nostro di recarmi aCastello23.Da Chiusi fino ad Asinalunga ebbi graditis-sima compagnia. Una suora, un capitano esua moglie: questa graziosa quanto mai, luicortese ed istruito, la suora modesta e con-tegnosa, senza affettazione e di una fisiono-mia assai piacente. I luoghi che essi percor-revano erano a me noti sicché la facevo daCicerone, aggiungendo un poco di storia diciascuno. A Turita24 si parlò di Ghin daTacco, e per conseguenza del Guerrazzi ido-latrato dal Capitano, il quale volle saper dame vita e miracoli di lui. Dimandatomi poidi dove io era, e sentendo ch’io (ero) italogreco, si fece le meraviglie, e mi strinse la

22 Confondendo il lago Trasimeno con quello diBolsena è indotto a ricordare episodi relativi in realtà allago laziale.

23 Castelmuzio, nel comune di Trequanda.24 Torrita di Siena.

L’Ottocentesca veduta della Val di Chiana, tra Montepulciano, Cortona e il lago Trasimeno mostra il paesaggio ammiratodall’Ulacacci nel suo viaggio verso Chiusi. Incisione dal Viaggio Pittorico della Toscana dei fratelli Terreni (Firenze, 1801-3).

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mano affettuosamente, e molto mi dispiac-que di non accompagnarlo fino a Siena.(Ma) gli promisi di andare a trovarlo colàfra qualche giorno. Ero nella stazione diAsinalunga (e) mi diedi a cercare un legnoper condurmi a Castello: con fatica trovaiun trabiccolo guidato da un ragazzottosudicio lercio da figurare fra i poveri delCollotta25. A misura che mi avvicinavo a Castello sen-tivo una pena, uno sconforto indicibili. Quanta diversità da altri tempi! Il cuorevolava sopra le ali del desiderio la immagi-nazione faceami pregustare le gioje dei baci,degli abbracciamenti, i saluti, l’esultanza distringerci la mano. Passato il Madonninodel Marri, appena vidi Castello una strettanel cuore m’avvertì. Oh! Diletta mia, queste

carte siccome sono dettate per te, nonvoglio qui dirti quanto penai... non vogliocolle mie parole richiamarti alla memoria imorsi della Morte! Sotto Montebbi26,incontrai il Pievano ed il figlio di Natale, edopo poco Giangio che mi disse “oh! sei tu?come Adolfo non è con te? da dove vieni;non t’aspettavo”. Questo primo saluto nonfu troppo bello per dire il vero: lo sbiascicaie lo buttai giù. Per fortuna la famiglia diAdolfo era tuttora a Castello sicché mi ebbiuna gran festa da tutti specialmente daFanny. Giangio era corso al quartiere disopra per darne l’avviso alla Sposa; né luiné la sposa si videro per un pezzo: final-mente viene lui con la sua bimba: parla dicena, fa mille scuse del poco che ci potràdare, e fugge. Dimando alla Caterina dove

25 Il celebre incisore francese Jacques Callot.

La Carta geometrica della Toscana ricavata dal vero… da Giovanni Inghirami nel 1831 è considerata la prima rilevazionetopografica della regione realizzata con tecnologia moderna. Poiché la sezione qui riprodotta mostra l’area tra la val di Chiana e Sienapriva ovviamente di riferimenti topografici relativi alle strade ferrate che furono realizzate solo nella seconda metà del XIX sec., èopportuno chiarire i mezzi di trasporto impiegati dall’Ulacacci nelle varie tappe del suo viaggio: in treno da Chiusi a Sinalunga per la

26 Podere fra Petroio e Castelmuzio.

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si trova la Sposa, e mi risponde, “si vergo-gna perché non è vestita ammodo, ed ora siprepara”27. Vado al terrazzo per vedervi le novità fatteda Giangio, e ritornando in Sala trovo laSposa in gran tenuta, le vado incontro e ledico, m’immagino ch’ella sia... “la suacognata”, mi rispose. Rotto il ghiaccio, le domandai del neonato,se lo allevava bene; ed eccoti la fantescarecarcelo in gran pompis, ed eccoti Giangio achiamarlo bellino carino! Per ora non vi ènulla né di carino né di bellino; è sì un belmaschietto della stampa della sorellina, e

questa della madre, la quale tolto quel fiordi giovinezza, ed un po di colorito vermi-glio non è un granchè.(18 detto)Dirti, o mia Diletta, l’impressione provataal primo entrare nella sala trasformata in unarsenale fiammingo, nel vedere certe seggio-le vuote e trovarmi circondato di tantefacce nuove, non tenterò definirlo, tropposoffrirebbe il tuo povero cuore. Né ti diròpure qual notte passai nella cameretta, ovetante volte vi dormii lieto e contento conl’aspettativa di un più lieto giorno rallegra-to dal tuo amore, e benedetto dai nostri

27 La casa di cui si parla è Palazzo Fratini, sito nellapiazza del paese, che ereditato da Michelangelo sarà inseguito venduto. Oggi è detto Palazzo Pretorio ed è sededi un ristorante. Qui Nicola Ulacacci aveva affrescatocon la moglie un salotto, oggi diviso tra la sala da pran-

zo del ristorante ed una casa privata, in quanto l’immo-bile è stato diviso successivamente alla vendita. L’unicitàdi concezione nella decorazione delle volte è del tuttoevidente, anche se nella parte che oggi si trova nell’abi-tazione privata ci sono aggiunte decorative successive.

Strada Ferrata Centrale, che era stata completata nel luglio 1862; in un “legno” o calesse da Sinalunga a Castel Muzio attraverso Badiaa Sicelle, Madonnino dei Monti (o del Marri, come lo definisce l’Autore) e Petroio; ancora in calesse da Castel Muzio a Montisi e daMontisi a San Giovanni d’Asso per strade poco più che campestri; da qui a Siena in ferrovia attraverso, prima, una tratta della lineaAsciano Grosseto completata nel maggio 1865 e poi nella tratta da Asciano al capoluogo, che era in funzione fin dal settembre 1859.

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Babbi. Ne’ la visita che per tempissimo fecinei luoghi ove riposano… oh! mio Dio,piangendo baciai tre Croci; e pregai dicuore, e provai un non so che di celestialeconforto. Alzai gli occhi al cielo e mi sem-brò sorridermi! Di lassù i nostri Cari mibenedivano. Uscì dal sacro luogo e m’im-battei nel Pievano che andava a Petrio28 agliUffizi: mi disse varie cose, quali non giovaqui ripetere: poi aditandomi certi sassi scal-pellinati, soggiunse: “vede queste sono lepietre per il famoso monumento”29.Vergogna! Quanti passano non fanno chedire: “il Sig. Giangio non trova la via di farnulla”. Io che avevo inanimo che il monumentofosse fatto, il trovare invecequelle masse, molto midolse, e ne feci motto aGiangio, che andò in furiaoltre il debito.Le accoglienze di Castellinie Castelline, è stata grandis-sima, tutti, e tutte, si ram-mentavano del maestro; ledimande di te, e di Noemiincessanti, e sembravanouscire dal cuore e non dalfrasario del consueto. Ho veduto con piacere lemie povere pitture e ti con-fesso, o mia carissima, cheme ne sono compiaciuto un tantino. LaNatività della Madonna e l’Assunta mi sonosembrate cose non spregevoli, e la composi-zione della prima pregiata. Vedi modesto!Verso le dieci venne Adolfo da Pienza e conpiacere ci siamo abbracciati. Arturo e Brunoandarono con due brave ciuche aSant’Anna. La buona Caterina e la sposa diGiangio si danno un gran dafare per il pran-zo, il quale verso al tocco fu all’ordine. Enon per nulla ho detto pranzo perché talefu di fatto. Alla fine del medesimo Giangio

si alza e dice: si deve gustare i resti del bat-tesimo: portò a tavola una bottiglia di vinod’Asti mussante, e si bevette alla salute delneonato, che rispondeva ai nostri brindisicon forti guaiti, per cui la mamma e ilbabbo corsero nella stanza vicina a calmar-lo una con il latte e l’altro con le smorfie. Le cose viste da lontano sono poi moltodiverse quando si debbano porre in pratica.“Bada di venire da noi: passare per laValdichiana e non dare una corsa alCastello sarebbe una improntitudine. Ledifficoltà del viaggio sono nulla: adAsinalunga si prende un calesse: da Castello

si va a S. Giovanni d’Assocon facilità. Vieni dunquenon pensare ad altro”: cosìsi scrive, ma quando siamoall’ergo, ad Asinalungaappena si trova per miraco-lo un legnaccio, e per SanGiovanni, né legno nébestia. Si va a Montisi eper grazia si trova una vec-chia mula che attaccata adun legnaccio, in due inter-minabili ore ci conduce aS. Giovanni. Quivi perpassare la noja di aspettarechiedo un po’ d’inchiostroper continuare il mio dia-rio e non lo posso avere.

Allora prendo il lapis e butto giù quello chetu hai letto, o mia Diletta. Da S. Giovannia Siena il viaggio fu oltre modo nojosointerminabile: e mi riebbi un poco entran-do nella locanda dell’Aquila30 che era tuttarimodernata e messa in tutto lusso. Quipure chiedo un calamajo e me lo portanosenza inchiostro: per disperazione vado acerca al pianterreno della Locanda, ovetrovo un francese e un calabrese, e s’inco-minciò a chiacchierare, di vini, di preti, divasi etruschi, di medaglie, delle cose di

La Natività dipinta dall’Ulacacci per laConfraternita di Castelmuzio. Castelmuzio,Museo della Confraternita.

28 Petroio.29 Giangio avrebbe dovuto occuparsi dell’edifica-

zione di un monumento al “sasso di San Bernardino”di Castelmuzio, all’ingresso del paese, per ricordare illuogo nel quale il Santo sostò, secondo la leggenda,su consiglio dei paesani, perché il Castello era minac-ciato dalla peste. Qui i fedeli gli portavano il cibo per

cui il Santo, per riconoscenza, divise miracolosamen-te col bastone il sasso, metà del quale oggi si trovanella Confraternita di San Bernardino, mentre l’altrametà è contenuta nel monumento che oggi esiste inloco, anche se non fu Giangio ad occuparsene.

30 Hotel dell’Aquila in via Cecco Angiolieri.

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21La facciata del Duomo nel bel dipinto di Alessandro Maffei (1851) mostra ancora nelle tre cuspidi le antiche decorazioni bronzee,che furono sostituite nel 1878 dai mosaici descritti dall’Ulacacci. Collezione privata

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Siena, degli artisti e di tante e tante cose chesi fecero le undici… si andò a letto e sidormì. (19 detto)Alle ore otto di mattina si faceva colazioneal caffè del Greco: verso le nove nell’attoche faccio osservare a Bruno la bellezzadelle civiche stanze, vedo lo zio Temistocle,gli vado incontro… e te poi immaginare ilresto, massimamente avendomi detto, “houna lettera d’Enrichetta per te”. Via alla spe-zieria per averla, e leggermela alla qualesubito risposi; tosto s’incominciò il nostrogiro. La famosa Piazza del Campo col suomonumentale palazzo con l’altissima torre

del Mangia, la restaurata fontana (diJacopo) della Quercia, i gioielli di cappelladi piazza, fecero poca impressione nell’ani-mo di Bruno, gli occhi suoi correvano soprale donne del mercato, e ammirava certitordi con certi colli grassi da far venire lavoglia… e a me pur venne la voglia, non giàper mangiarli, ma per mandarli a Ergina acucinarveli in salmì: ma come fare? Ladistanza è troppa… sicché diedi di frego aquesto mio desiderio, e condussi Bruno aPalazzo Petrucci e alla bellissima chiesa delCarmine opera del Peruzzi31. In questa chie-sa vi sono due quadri veramente belli:l’Ascensione del Pacchierotti, e il SanBarolomeo del Casolani. Guido Reni allavista di questo quadro esclamò: questi èveramente pittore! Ed io mirando quellodel Pacchiarotti esclamai pure: questo è unPerugino: tanto gli era vicino nelle arie delleteste, nel colore, e nel disegno. Finalmente conduco Bruno sulla piazza delDuomo; e per la prima volta lo sento escla-mare “Oh! Bello; oh! Bello; questo mipiace”. La facciata si presenta tutta restaura-ta con molto giudizio: è stato tolto quantodi barocco la detturpava, e nei triangolidelle cuspidi si vedono tre dipinti in mosai-co di Venezia nel bello stile del quattrocen-to, due del Mussini, ed uno del Franchi.Farvi una descrizione del Duomo non èopera di questo ricordo: solo vi dirò che viho passato due ore deliziosamente: le paro-le mi uscivano dalla bocca come miele, esenza stancarmi, né fermarmi un minuto,feci al Bruno da più che Cicerone. In sagre-stia, o come la chiamano, Biblioteca, lostesso custode Fratini32 ne rimase meravi-gliato, e mi prese per un gran coso, e volleche mi firmassi nel libro dei visitatori, sulquale volli pure che si firmasse Bruno congrandissima sua soddisfazione. Il padre diquesto Fratini doveva sposare una Bandini:guarda incidenza di cose! Da lui ho saputo

I Fratini, custodi del Duomo per tradizione familiare, nonerano privi di erudizione artistica: un avo del Fratini citatodal nostro Autore, Giuseppe, era stato custode del Duomonella seconda metà del Settecento ed aveva scrittoun’importante guida dell’edificio sacro, oggi rarissima.

31 S. Niccolò in Carmine, chiesa del sec. XIV rima-neggiata probabilmente dal Peruzzi nel 1517. Nella pare-te a sinistra della navata: il Martirio di San Bartolomeodi Alessandro Casolani (1604); quindi, al secondo alta-re, l’Ascensione di Gesù di Girolamo del Pacchia.

32 Il Fratini incontrato in Duomo da N. Ulacaccinon è un parente della moglie Enrichetta. Come siprecisa nella didascalia della figura, i Fratini sono statiper generazioni custodi della Cattedrale Senese.

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un bell’anedoto circa il Tenerani33, cheavevo incontrato. Tralascio pure di raccon-tarvi la visita alla zia Erminia inconsolabileper la perduta sua Lidia, perché mi coste-rebbe pure il farlo, e a voi l’udirlo. Ho vedu-to pure la zia Eraclide che sta molto bene, emi rammentò che la precedente volta che lavidi, la trovai con la nipotina sulle ginoc-chia che pareva in preda alla morte: questabimba ora, mi dice, si è fatta una bella gio-vane, alta robusta che a vederla fa piacere.Questa bella giovane non l’ho veduta, per-ché si trova a Badia da Icilio: ho vedutoperò Icilio e la moglie, i quali vi salutanotanto. Volevo partire jeri 19, alle ore otto emezzo per Firenze, ma la bramosia di vede-re il Camposanto nuovo di Siena, e le operedi Dupré e di Sarrocchi mi ha trattenutofino alle quattro P. M. La nuova necropolifa onore ai Senesi, ed in breve diverrà unmonumento all’Arti belle. I giornali ne ave-vano parlato tanto del Tobia del Sarrocchi34,

ma non mai tanto quanto si merita. E’ uncapolavoro, e di un sentimento senza pari.Volli andare al suo studio per stringergli lamano e non lo trovai: ma vi trovai taliopere uscite dalle sue mani che benedissimille volte il momento di esservi andato.Un Ezechiello35, o mia diletta, da mettere ibrividi in chi lo mira. Egli è ispirato dallospirito di Ieova, anzi egli improvvisa quicome Ieova, e grida alle ossa avide: Sorgete,rivestitevi, di nervi e polpa: sorgete! E’ unameraviglia ti dico. Ma qui si passa di mera-viglia in meraviglia. Il monumentodell’Alliata36 entusiasma per la bellezza del-l’arte, commuove i cuori più duri per lapietà del concetto. Muore l’Aliata nel fioredell’età, e lascia la moglie e un tenero figlio-letto, il carissimo Ruffo, e questi dopopochi mesi raggiunge nella sede dei beati ilPadre. Il Sarrocchi ha voluto rappresentarequesto momento: il padre steso sopra a ungiaciglio, sorge con la metà della persona e

Tito Sarrocchi in un’incisione coeva di Rotello Rotellini. Ritratto fotografico di Giovanni Duprè.

33 Pietro Tenerani, scultore (Torano, 1789 – Roma,1869).

34 Tito Sarrocchi comincia a lavorare nel 1870 alTobia che seppellisce un morto commissionatogli daClaudio Pozzesi. Nel 1873, poiché l’opera è stata col-locata in quella data nella Cappella Pozzesi delCimitero della Misericordia di Siena, è costretto amandare il gesso all’Esposizione Universale diVienna. Il gruppo otterrà comunque la medaglia

d’oro. (Questa, e le successive notizie su Tito Sarrochisono nel catalogo della mostra a lui dedicata a Sienanel 1999, catalogo e mostra curate da Marco Pierini).

35 La Visione di Ezechiele è stata collocata nellaCappella Placidi del Cimitero della Misericordia nel1879.

36 Il Monumento funebre di Giuseppe RuffoAlliata Campiglia è stato collocato nel CimiteroSuburbano di Pisa nel 1880.

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si stringe con la destra il caro suo pargolo,che tutto festante stende le braccia per cin-gere il collo dell’amato genitore. L’atto non può essere più naturale, più affet-tuoso, né la testa del padre esprimere piùsentito affetto. Mi dicono che, la vedovaAlliata, andata a visitare questo monumen-to fatto alla memoria del marito, vedendo-lo si svenne. Ecco la potenza dell’Arti. Alle quattro P. M. venne il Sarrocchi a tro-varmi e ne fui lietissimo di rinnovare laconoscenza con un artista di tanta vaglia. Alle quattro e cinquanta P. M. noi si parteda Siena e felicemente si giunge a Firenzealle nove, e si va a trovare la Luna, locandas’intende, tutta rimodernata ed in granlusso, con specchi per le scale, con tappeti etante bellurie da mettere lo spavento a chi sitrovasse pochi fogli in tasca. E qui darò fine a questo povero diario, scrit-to in fretta, e solo a fine di farvi piacere, o

mie Carissime, e per stare meno peggiostando con voi in ispirito. Oggi, dimani, e poi sarò, a Dio piacendo,fra le vostre braccia.

Ringraziamenti

Per il ritrovamento della foto di Niccola Ulacacciringraziamo vivamente il Dott. Marco Pierini;la nostra gratitudine va poi al Dott. AlbertoCornice, già funzionario della Sovrintendenzaai Beni Artistici e Storici di Siena, per le prezio-se informazioni fornite sull’opera di N. U.; alDott. Pier Giacomo Petrioli per gli opportunisuggerimenti e al Dott. Ettore Pellegrini per lapubblicazione del diario su “Accademia deiRozzi”, nonchè per la scelta e il commento delleillustrazioni che lo corredano.

Tito Sarrocchi: monumento funebre a Giuseppe e Ruffo Alliata di Campiglia. Pisa, Cimitero Suburbano.

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Il lungo freddo

Esploso fragorosamente a metà del secoloXVIII, il conflitto fra Rozzi e Intronati sisarebbe concluso soltanto nel 1844 inun’aula di giustizia, sia pure con i successo-ri degli Intronati nell’attività teatrale, cioè iRinnuovati1. Diversi per origini e per sviluppo, i duesodalizi, sulla scorta di una sostanziale equasi noncuranza reciproca (a parte qualcheepisodico e velato rimprovero intronatoverso la Congrega nel corso delCinquecento2) avrebbero probabilmentecontinuato ad evitare accuratamente diincrociare le proprie strade se la chiusuracosimiana delle accademie senesi terminatanel 1603 e la crisi del ceto manifatturierolocale non avessero ratificato definitiva-mente la rottura dei Rozzi con l’ambitosociale/artigiano originario di riferimento,incamminandoli, negli anni Sessanta del

Tutta un’altra storia.Un’aspra polemica tra Rozzi eIntronati a metà SettecentoCon un inedito saggio sulle accademie senesi di Giovanni Antonio Pecci

di MARIO DE GREGORIO

1 Cfr. Sentenza del tribunale di prima istanza di Sienanella causa vertente fra l’I. e R. Accademia dei Rinnuovati diSiena e la Sezione teatrale dell’I. e R. Accademia dei Rozzi,Siena: Tip. Bindi, Cresti, e comp., [1844].

2 Significativa, fra le altre, la testimonianzadell’Intronato Alessandro Piccolomini: «Ma volse l’or-din delle cose che ad alcune di voi una certa sorte d’in-tertenimenti andasse a grado molto diversa da quella del’Intronati. In cambio de i componimenti, de i sacrifi-cii, delle commedie e simili, cominciarono a poco apoco piacerli (le buffonarie, i ciaffi e simili altre proveche prima tanto biasimavano). Né mancaronol’Intronati, or l’uno, or l’altro, di avvertirle e cercare dirimuoverle da così fatti giuochi indegnissimi del valoreloro...» (L’Alessandro. Edizione critica di F. Cerreta, Siena,

Accademia senese degli Intronati, 1966, prologo, pp.109-110). Sui Rozzi della Congrega la bibliografia èvastissima, mentre sulla strutturazione accademica nonaltrettanto. Si rinvia comunque, di recente a G.CATONI-M. DE GREGORIO, I Rozzi di Siena: 1531-2001,Siena : Il Leccio, 2001. La fonte principale per appro-fondimenti sulla storia accademica dei Rozzi è costitui-ta in ogni modo dall’archivio, davvero ricco di spunti,come questo saggio dimostra. Sull’archiviodell’Accademia cfr. ACCADEMIA DEI ROZZI, L’archiviodell’Accademia. Inventario a cura di Mario De Gregorio,Siena : Protagon Editori Toscani, 1999 e ACCADEMIA

DEI ROZZI, L’archivio dell’Accademia. Archivi aggregati.Inventario a cura di Mario De Gregorio, Renato Lugarini,Siena : Industria Grafica Pistolesi, 2006.

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secolo XVII, dopo la riunione con i RozziMinori e con altre formazioni accademichesenesi, lungo un percorso di frequentazionedi forme di esercizio letterario cortigianofino ad allora esclusivo appannaggio degliIntronati. Ma ad ingenerare davvero aperta rivalità frale due accademie senesi nel corso delSettecento sarebbe intervenuta la gestionedegli spazi teatrali cittadini: il TeatroGrande all’interno del Palazzo Pubblico, diproprietà degli Intronati, e il Saloncino, con-cesso nel 1690 dal granduca Cosimo III de’Medici all’Accademia dei Rozzi, erede del-l’antica Congrega del secolo XVI. Proprioquesta assegnazione, giunta a turbare inqualche modo l’egemonia intronata nellagestione dell’attività teatrale cittadina, chedurava ormai da diversi decenni e che con-duceva di fatto gli stessi Rozzi a servirsi epi-sodicamente della struttura di spettacolodegli Intronati, avrebbe fatto precipitarel’insofferenza degli accademici raccoltisotto il segno della zucca verso un sodaliziooriginariamente fondato, a loro dire, da«gente vile», e tradizionalmente portato adindirizzare la propria attività di spettacoloverso i ceti più popolari. Da qui il tentativodeciso da parte intronata di stabilire,mediante l’intervento dell’autorità grandu-cale, una sorta di differenziazione socialedel pubblico senese e una divisione nettadegli spazi di esercizio teatrale.

A teatro nobili e plebei

Esplicita in questo senso la memoria che gliaccademici Intronati indirizzavano al gran-duca nel 1754:

«Dopo l’uso che il serenissimo granduca Cosimodiede a’ Rozzi del Regio teatro, costruirono questicon lieve spesa, per comodo loro, e delle loro donnealcune gallerie pensili, ossia balconi fissi alle duemuraglie laterali di dove goder le commedie. Per ledame e per la nobiltà restava il solo parterre, e la con-venienza de’ i Rozzi d’allora pensò a trovare perdovuta distinzione, e per commodo moltissime sedieposte in fila, e poi vi collocarono più ordini di ban-che con spalletta alla nobiltà sola assegnate, e conquesta distinzione la ritrovò, e la vidde l’augustonostro sovrano, quando nel 1729 onorò con la suapresenza reale la città nostra, e pazientò d’ascoltareuna commedia all’improviso di quegli accademici.Continuarono a conoscere così doverosa questadistinzione e sì conveniente questo commodo per lanobiltà, che nel parterre godeva le loro commedie apago, che il signor abate Giovanni Claudio Pasquiniarcirozzo nel 1751 assegnò con deliberazione delcorpo accademico le otto prime banche, cioè quattroper parte divise dalla corsia, che in questa occasioneriattarono, e a miglior commodo ridussero. NelCarnevale 1753, essendone capo il cancelliereGiannelli tolsero de fatto senza alcun motivo questadistinzione alla nobiltà, ed alle dame, quali volleroristringere in sole quattro delle otto banche già perdecreto loro assegnate, destinando le altre (per veroorgoglio giacchè luogo sufficiente ne avevano negliaccennati balconi) nella linea mediana alle lorodonne, che tripudiarono di questa uguaglianza.L’angustia e lo scarso luogo delle sole quattro bancherestate, necessitavano le dame ad occuparne moltealtre indietro col pericolo di trovarsi miste, e confusefra la più vile, e minuta plebaglia»3.

3 BIBLIOTECA COMUNALE DI SIENA, ms. Y II III: Zucchino XI, cc. 90v-91r.

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Era necessario insomma, una volta pertutte, a detta degli Intronati, mettere manod’autorità allo «scandalo» della confusionefra nobili e «plebaglia» durante gli spettaco-li. Ma questa memoria di strenua difesa deiprivilegi e degli spazi consoni alla nobiltànon era che il seguito di una polemica,anch’essa evidentemente ispirata dagliIntronati, che si era protratta per diversotempo proprio riguardo alla gestione del-l’indebitamente concesso Saloncino: un’at-tribuzione che, evidentemente, sotto ilsegno della zucca non era mai stata piena-mente digerita. Una memoria dell’accade-mico Rozzo Giovanni Francesco Andreuccitestimonia infatti che il 9 gennaio 1752 erastato deliberato dai Rozzi che «per quietarei lamenti delle dame e cavalieri riguardantiche quando venivano alle commedie per lopiù trovano sempre occupate le prime ban-che coll’appoggio», con tutto che la pretesafosse mal fondata e «destituita di ragionituttavia perché ne teatri dove si paga illuogo spetta a chi l’occupa prima», tuttavia.«sul reflesso che siamo in Siena, con tuttoche in niuna città sia stata eccitata una talpretesa, e [...] attese le prudenti insinuazio-ni dell’illustrissimo sig. Auditore Generale,per quietare prudentemente tali pretenzio-ni, che haveriano potuto portar pregiudizioall’Accademia essendosi molte dame, ecavalieri che minacciavano di non venirepiù alle commedie, si decise di riservare cin-que banche vicino al palcoscenico, tenendouna soldato di guardia a quei posti, soloperò fino a che la commedia non fosse ini-ziata»4. Ma evidentemente era bastato poco perchéla deliberazione non venisse rispettata eritornasse a farsi strada la nuova imposta-zione imprenditrice degli aderenti allasughera e la loro vecchia anima «popolare».Nel 1757, non a caso, una supplica dell’ar-chintronato Sigismondo Finetti al grandu-ca, per liberarlo – come diceva – «da queldisturbo, che da alcuni anni in qua suol

ricevere in sentir parlare delle controversie,che nascono fra i nobili, ed i non nobilidella città di Siena, a motivo delle feste diballo [...] nel Carnevale»5, proponeva ilTeatro Grande come luogo deputato per lefeste dei primi e la sala in concessione aiRozzi per gli altri. Il che se approfondiva ilsolco di diffidenza già ampio fra i due grup-pi, soprattutto, fra le righe, riconfermavaancora una volta la distanza fra due oppostimodi di concepire l’attività teatrale e più ditutto i suoi destinatari, definitivamente sta-biliti – secondo gli Intronati – dalle diffe-renti e mai riscattabili origini dei rispettivisodalizi. La risposta dei Rozzi non poteva mancare.Anche in questa occasione si trattava infattidi contrastare con forza il tentativo da parteintronata di appropriarsi definitivamentedegli spazi riservati alle abituali ricreazionidella nobiltà, e quindi del ceto più ricco,nel corso del Carnevale, relegando ancorauna volta i Rozzi a gestori del divertimentoriservato ai ceti più popolari e menoabbienti6.

Guerra a colpi di storia

Il conflitto aperto e continuato fra i duesodalizi, maturato nello specifico contestodella rivendicazione per quanto possibileesclusiva degli spazi di intrattenimentoorganizzato per il ceto nobile cittadinovenne uleriormente acuito però a metàSettecento da un episodio ben più graveagli occhi dei Rozzi, considerato che atte-neva direttamente alla storia dell’anticaCongrega, minando alla base la credibilitàdella sughera. Si trattava dell’articolatarisposta alla lettera che un libraio parigino,Augustin Martin Lottin7, nel corso del 1753aveva inviato agli Intronati, sottoponendoloro, in vista della pubblicazione di una sto-ria delle accademie italiane, alcuni quesitirelativi ai sodalizi senesi. Venuta a cono-scenza della missiva e dell’intenzione degli

4 BIBLIOTECA COMUNALE DI SIENA, ms. A XI 43:ACCADEMIA DEI ROZZI. Memorie, cc. 48r-49r.

5 ARCHIVIO DELL’ACCADEMIA DEI ROZZI, II:Deliberazioni del corpo accademico, 3: 1755-1806, cc. 12v-13r.

6 Per la risposta dei Rozzi al memoriale degliIntronati cfr. ibidem, cc. 14v-19r.

7 Sul Lottin cfr. Biografia universale antica e moderna...,vol. XXXIII, Venezia : Presso Gio. Battista Missiaglia,

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Intronati di elaborare una relazione com-plessiva sull’argomento senza consultare lealtre accademie, nel corso dell’anno succes-sivo, il 15 giugno 1754, l’Accademia deiRozzi, attraverso il proprio segretario,avrebbe scritto direttamente agli Intronati,chiedendo conto esplicitamente dell’acca-duto8. E non era un’iniziativa isolata: glistessi Rozzi avevano anche provveduto arisentirsi direttamente con l’AuditoreGenerale per il grave torto che, a loro dire,avevano subìto nell’occasione9.Ma qual era davvero il tenore di quella let-tera, e di che carattere erano quei quesiti,così importanti per i Rozzi? Nonostanteche gli Intronati ne negassero addirittura l’e-sistenza, rispondendo che «è stato falsa-mente supposto alle Signorie Loro chel’Accademia nostra degl’Intronati abbia daParigi ricevuto l’incarico di dettagliare lapositura delle Accademie di Siena, e molto

meno che sia in obligo di comunicare adalcuno una lettera ad essa particolarmentediretta, onde non sa vedere su qual fonda-mento si siano le Signorie Loro incomoda-te di favorirci de loro caratteri», il «questio-nario» del Lottin sulle accademie senesi esi-steva davvero ed era piuttosto articolato.

Monsieur,Ayant dessein de donner, vers le commencement dechaque année, un petit ouvrage destiné à renfermerun précis de tout ce qui regarde l’état des Science &Arts, soit en France, soit hors de France; j’espère quevous voudrez bien contribuer de votre part à m’enfaciliter l’exécution; c’est une faveur que j’ai dejareçue de plusieurs Sécrétaires d’autres Académies, &je vous la demande avec la même confiance.Voici , Monsieur, les questions auxquelles je vous priede répondre le plus diligemment qu’il vous sera pos-sible, & dans l’ordre ciaprès.1° Quel est le vrai nome de votre Académie, ouSociété2° L’histoire, ou au moins l’époque, de son origine.

dalla tipografia di Alvisopoli 1827, pp. 250-251.8 «Venuta già da Parigi alle Signorie Loro privata-

mente una circolare, per dettagliare la positura, e dellaloro, e di altre accademie di Siena, con molti quesiti,stava pertanto l’Accademia dei Rozzi in attenzione diaverne un riscontro nelle forme, per poter ella ancoraminutarne e per se stessa la relazione opportuna.Presente adesso, che si voglino dar loro l’incommodo di

fare le veci dei Rozzi, e questi vorrebbero con la lorpenna accennare ogni occorrente, senza riportarsi allealtrui rappresentanze. Sono io incaricato di parteciparealle Signorie loro illustrissime e vivamente questo sen-timento, perché si compiacciano di comunicare quellacircolare di Parigi e sospendere intanto la spedizioned’ogni recapito o notizia, che concernesse l’Accademiadei Rozzi, per non sottoporsi a contradizioni, o a guer-

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3° La date des Lettres-Patentes, si elle en a.4° La date de la vérification des Lettres-Patentes, aucas qu’il y en ait.5° Le nom de son Protecteur.6° Le nombre des Academiciens, s’il est fixe, ou non.7° L’objet des travaux de l’Académie.8° Les jours réglés de ses séances particulières.9° Les jours réglés de ses séances publiques.10° Le lieu où elle les fait.11° La note au moins des matières qui y ont été trai-tées dans le courant de cette année 1753.12° Les nomes de MM. les Officiers, commeDirecteur, Sécretaire, & c. S’ils sont perpétuels, ounon.13° S’il y a des Prix fondés: s’ils sont annuels: l’his-toire de leur fondation: le nom du Fondateur: enquoi consiste le Prix: l’objet & le genre de la compo-sition: le nom de celui qui l’a remporté l’année pré-cédente; l’objet & le genre de la composition pour lePrix de l’ánnée prochaine: qui sont ceux qui peuventconcourir: dans quel terme, & à qui il faut remettre lacomposition: enfin, quel jour on la couronne.14° Les Armes, ou la devise, de votre Académie.15° Le nom de votre imprimeur.16° S’il existe un recueil des ouvrages de votreAcadémie; combien il forme des volumes: chez qui ilse trouve; & à quelle année il commence.17° Les ouvrages particuliers des Académiciens, quiauront paru pendant l’année 1753.18° Le nom des académiciens morts pendant l’année1753; un mot de leur éloge: & une notice de leursouvrages.19° le nom des Académiciens reçus pendant l’année1753; le jour de leur réception, & le nom de ceux àqui ils succédent.20° Enfin, tout ce qui, indipéndamment des travauxde votre Académie, a rapport à l’Histoire Littéraire devotre Ville: par exemple 1° S’il y a des Universités,Colléges; si dans ces Colléges il y a des Prix fondés: lenom des Fondateurs des Collèges, & des Prix. 2° S’ily a des Bibliothéques publiques: et en quel genre ellessont le plus fournies. 3° S’il s’y fait des Journaux lit-téraires, ou Ecrits périodiques. 4° Si en faitd’Architecture même, ou autres Arts, il s’y est fait (enl’année 1753) quelque chose digne d’etre écrit.Par l’énumération de ces diverses questions, vousvoyez toute l’étendue de mon objet.

La place que vous occupez , Monfieur, eft pour lePublic une preuve de votre amour pour les Lettres, &pour moi l’assurance d’obtenir de vous, ce que jeprends la liberté de vous demander.Comme vous avez droit sur un exemplaire de ce petitouvrage, dés qu’il parroîtra, je vous prie de me mar-quer la voye par la quelle je pourrai vous le faire par-venir sans frais de votre part.J’ai l’honneur d’être avec respect & reconnoissance, Monsieur,

Votre trés-humble & trés-obeissant serviteurLottinLibraire& Imprimeur, rue S. Jacquesvis-à-vis S. Yves, au Coq, à Paris

Je vous prie, Monsieur, de ne me faire l’envoi de votreréponse qu’aprés la revolution de l’année présente1753, c’est-à-dire, dans le courant de Janvier 1754; enmettant, sur la première enveloppe. Mon adresse,ainsi qu’elle est ci-dessus marquéè; & sur la seconde,c’est-à-dire, celle qui sera en dessus, l’adresse deMonsieur.

Era altrettanto vero che la risposta ai quesi-ti del libraio, compilata dal ColoritoIntronato, Giovanni Antonio Pecci, termi-nata nella sua stesura pochi giorni dopo lalettera dei Rozzi, il 29 aprile 1754, si era sof-fermata diffusamente sul sodalizio sottol’insegna della zucca, e – non certo a caso –aveva glissato sulle accademie dei Rozzi edei Fisiocritici. Oltre a tutto l’erudita edenfatica relazione del Pecci, qui ripropostain calce10, letta agli Intronati, aveva riscossoun lusinghiero successo, tanto che primadella sua spedizione a Parigi ne sarebbestata ordinata subito una copia da inserirenell’archivio dell’accademia11.Alla sleale operazione di parte intronata larisposta dei Rozzi sarebbe stata immediata:nella successiva riunione del corpo accade-

re letterarie su questo articolo non convenienti...»(ARCHIVIO DELL’ACCADEMIA DEI ROZZI, VII, Memorie,documenti e opere dei Rozzi e Rozzi Minori, 4: Memorie,documenti e opere dei Rozzi, c: Memorie concernenti la stam-pa della Storia dell’Accademia de’ Rozzi compilata nell’anno1756 con l’originale della medesima, c. 52r). La confermadell’esistenza della circolare del Lottin i Rozzi l’avreb-bero avuta da Firenze. Cfr. il post scriptum di una letteradi Andrea Benedetto Artieri all’Accademia del 29 giu-gno 1754 (ibidem, c. 51r).

9 Posta dell’Auditore: «L’eccellentissimo signor PioGiannelli potrà far ciò che voglino i suoi accademici,ma l’Auditore Generale non può prender alcuna parte

ne’ i loro passi, trattandosi d’un privato litterario car-teggio d’un’altra Accademia con uno stampatore pari-gino. Se poi il Consiglio di reggenza ordinerà allo scri-vente d’informarlo sopra questa pendenza, lo farà conquella esattezza, e imparzialità che conviene…». (ibi-dem, c. 42r).

10 Relazione delle accademie di Siena fatta dal cavaliereGiovanni Antonio Pecci. Ottobre 1754, in ARCHIVIO

DELL’ACCADEMIA DEI ROZZI, VII cit., 4: Memorie, docu-menti e opere dei Rozzi, c: Memorie concernenti la stampadella Storia dell’Accademia de’ Rozzi compilata nell’anno1756 con l’originale della medesima, cc. 3r-11v.

11 Compendio della vita letteraria del nobile signor conte

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mico avrebbero stabilito, «stante le circo-stanze presenti», di affiancare un coadiuto-re all’archivista, al fine di «poter mettere insesto l’archivio nostro, e fare l’opportunaistoria tanto necessaria per i vantaggi dinostra Accademia»12. La scelta per questoruolo di aiuto all’archivista e, soprattutto,per compilare la vera storia del sodalizio

sarebbe caduta su Giuseppe Fabiani, che ineffetti, nel 1757 avrebbe trasmesso un’altrarelazione a Parigi13.Ma da parte intronata ormai la guerra eradichiarata. L’azione del Pecci: fin troppoabituato alle contestazioni ai suoi lavorieruditi14, sarebbe continuata, nonostanze lerimostranze e la controstoria commissiona-

Giovanni Antonio Pecci, cavaliere dell’Ordine di SantoStefano, e patrizio sanese, scrittagli da amico fedele, e benissi-mo informato, c. 15v. Sul seguito della vicenda cfr. ibi-dem: « e come che con esso discorso alla necessità difavellare, in ristretto, della Congrega de’ Rozzi, eglino,che il nome accademico, impropriamente, vanno affet-tando, e che tanto i loro principii, quanto i progressi,sortiti da bassi, e ignoranti plebei, vorrebbero nascon-dere, si dolsero, a torto, d’un tal libero, ma veridico par-lare, onde altro, ma lontano dalla storica verità ne tra-smessero, per lo che il cavalier Pecci, volendo quindisostenere il giustissimo, e ben fondato impegno, si figu-rò, che detto stampatore parigino restato per le duediverse relazioni confuso, per schiarire la verità, ne scri-vesse a Siena a Lorenzo Ricci venditore di libri usati, eda esso ne ottenesse un chiarissimo dilucidamento». Lecitazioni ora anche in M. DE GREGORIO, “Rigoroso cen-sore de’ fatti fittizii, e favolosi”. L’autobiografia letteraria diGiovanni Antonio Pecci, “Bullettino senese di storiapatria”, 109 (2002), pp. 319-392.

12 AAR, II, 2: Deliberazioni del corpo accademico, 3:1755-1806, cc. 193v-194r.

13 Cfr. G. FABIANI, Raguaglio dell’origine, e progresso

della stampa fatta per l’Accademia de’ Rozzi intorno allememorie dell’Accademie principali di Siena, in ARCHIVIO

DELL’ACCADEMIA DEI ROZZI, c, 1: Memorie concernenti lastampa della Storia dell’Accademia de’ Rozzi compilata nel-l’anno 1756 con l’originale della medesima. L’opera com-plessiva del Fabiani sulle accademie senesi sarebbe statain seguito pubblicata con il titolo Memoria sopra l’origi-ne, ed istituzione delle principali accademie della città di Sienadette degl’Intronati, dei Rozzi, e dei Fisiocritici, in Nuovaraccolta d’opuscoli scientifici, e filologici, III, Venezia: 1757(in seguito con la stessa data anche in estratto).

14 Cfr. ad esempio la vicenda dell’Elogio istorico delcavaliere Gio. Antonio Pecci, In Siena: Nella Stamperia diLuigi, e Benedetto Bindi, 1768. Pubblicato anche nelle“Novelle letterarie” del 1768, l’opuscolo si incontrararamente da solo. Ben più conosciuta è la sua riedi-zione annotata e postillata uscita nel corso dello stessoanno (cfr. Elogio istorico del cavaliere Giovanni AntonioPecci illustrato con note di varie maniere, In Lucca: PerLeonardo Venturini, 1768). Attribuite in principio alprovveditore dello Studio di Siena Ansano Luti, unodel «saporito crocchietto» alfieriano della Teresa RegoliMocenni, le chiose, pesantemente critiche nei confron-

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ta dai Rozzi. Immaginò anzi che di frontealle due diverse relazioni il Lottin rimanes-se disorientato. Per questo si adoperò per pubblicare sottonome di Lorenzo Ricci un opuscolo che,stampato a Lucca, avrebbe ampliato e pun-tualizzato quanto aveva esposto all’adunan-za degli Intronati, in verità en passant,riguardo ai Rozzi e alla loro storia15, preci-sando nelle pagine introduttive che la rela-zione del Fabiani inviata a Parigi si configu-rasse come «contraria ne’ principii, e nelproseguimento, e forse, totalmente, oppo-sta alla verità de’ fatti, e delle circostanze»16.L’escamotage letterario inventato dal Pecciper giustificare questo suo nuovo attaccoaccademico era alquanto scoperto, ma digrande impatto: il libraio parigino, interdet-to di fronte a tanta diversità di parerisull’Accademia dei Rozzi («une certaineassemblée […] que je n’avois point recher-ché, car je puis vous assurer en honnetehomme, que je ne savois pas non plus,qu’elle fut au monde…»17), si era rivoltocon una lettera a un libraio pratico del con-testo culturale senese, che aveva potuto sod-disfare alla richiesta di Lottin di notizie veri-tiere e non inficiate da spirito polemicomediante una relazione fornitagli da unamico ben informato dei trascorsi dellaCongrega e dell’Accademia dei Rozzi.

Era su queste basi che Pecci in realtà costrui-va la controstoria dei Rozzi di parteIntronata. Quella controstoria a cui avrebberisposto soltanto un ventennio più tardi,quando il Pecci era già morto, lo stessoFabiani con un’edizione destinata in qual-che maniera ad inaugurare un’azienda tipo-grafica che avrebbe fatto epoca18 .

ti del Pecci, furono in seguito assegnate a GiovanniDomenico Stratico e a Candido Pistoi, ambedue prota-gonisti della attiva stagione culturale senese secondo-settecentesca, ma alla fine dell’Ottocento AlfonsoProfessione, sulla scorta di quanto contenuto nelmanoscritto A IV 13 della Biblioteca Comunale diSiena, le ricondusse alla penna di Pio Giannelli, perso-naggio originale, esponente dell’Accademia dei Rozzi ein più occasioni sceso in aperta polemica con il Pecci.Sui rapporti del Pecci con il Giannelli cfr. Giornale sane-se cit., III, cc. 81r-81v. Sull’opera di Pietro Pecci cfr. “Novelle letterarie”,Firenze 1768, col. 549, 617, 642, 659; A. PROFESSIONE,Alcune notizie inedite di storia letteraria senese, Torino 1894(estr. da “Atti della R. Accademia delle scienze diTorino”, vol. XXIX), pp. 9-11; ID., Una polemica contro il

letterato senese Antonio Pecci, “Bullettino senese di storiapatria”, 1 (1894), pp. 221-223. Cfr. la scheda e la biblio-grafia del volume in La passione d’aver libri. Una collezio-ne privata in Valdichiana, a c. di M. C. Calabri, S. Centi,K. Cestelli, M. De Gregorio, Siena: Gli ori, 2002, p.110.

15 Relazione storica dell’origine, e progresso della festosaCongrega de Rozzi di Siena. Diretta al sig. Lottimj stampa-tore in Parigi da maestro Lorenzo Ricci mercante di libri vec-chi, Parigi [ma Lucca]: 1757.

16 Ivi, p. 7.17 Ivi, p. 8.18 Cfr. G. FABIANI, Storia dell’Accademia de’ Rozzi

estratta da’ manoscritti della stessa dall’AccademicoSecondante e publicata dall’Acceso, in Siena: nella stampe-ria di Vincenzo Pazzini Carli, e Figli, 1775.

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Gli stemmi di antiche accademie senesi litografati da Cirinei nella seconda metà del XIX secolo.

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Relazione delle Accademie di Siena fatta dal cavaliere GiovanniAntonio Pecci. Ottobre 1754

Non poche sono le accademie presentemente in Siena esistenti (oltre le numerose, che in diversi tempiandarono a terminare) e tra queste la principale, e facilmente più antica si è quella, che fu degli Intronatiaddimandata, volendo con simil denominazione i nostri primi fondatori, dare a dimostrare, che scia-borditi, e intronati al di fuora, non rimaneva al di dentro lesa la costanza loro, né offeso il senno nel-l’applicazione alle letture, ed agli studi, conforme dall’impresa che inalberano facilmente ad evidenza,da chiunque si comprende.Col nome d’intronatico letterario istituto ebbe principio l’accademia nostra (lasciate per ora da parte lestudiose adunanze, che in tempi più remoti in Siena si pratticavano, delle quali più oltre si parlerà) nelprincipiare del secolo XVI, e Mino Celsi in una di lui lettera riferita dal Beierlingh, nel di lui gran Teatroafferma, che avesse principio nel 1525, oppure circa il tempo, in cui seguì il sacco di Roma, conformenon disapprova Scipione Bargagli nell’orazione recitata in occasione del nuovo riaprimento, che didetta Accademia l’anno 1603 venne fatta, facendo saviamente riflessione a quelle parole, che leggonsinel Proemio de’ vecchi statuti intronatici, conservati nell’archivio nostro, dove si legge, che i nostripadri eressero una tale adunanza nel tempo che le crudelissime armi de’ barbari penetrarono fino alla sacramagione del vicario di Cristo. Io certamente confesso, che con rispetto deve venerarsi l’opinione de’ sud-detti autorevoli scrittori, e documenti, ma se mi sarà permesso, affirmarei con tutta sicurezza, che èvero, che il principio dell’Accademia seguì ne’ tempi di sopra esposti, e che i precetti, e le costituzionile ricevè nel 1515, come nella storia contemporanea di Sigismondo Tizio al Tomo VIII si legge col-l’appresso precise parole Cum Card. Agenensi profectus est Bernardinus flius Antonii Bellantii magni civis,quamvis pleni capite a Popularibus putabant quidem Bernardinum ab Agenensi forsitan arcanorum consciumeffectum, propterea emigrasse. Eratienim Bernardinus hic facilis homo, et mansueta natura, ditissimus in primis, etsine uxore more vivens philosophico, negociis suis tantum vacans, alienus a pubblicis nisi cum ad pubblicos hono-res vocatus erat via ordinaria latinis, recisque litteris imbutus. Hic praetera velut philosophos dogma suum, suosquearticulos proposuerat ad bene beateque vivendeum, tres quidem negaturus, videlicet, nulli credere, neminem ledere,de mundo non curare, tre autem affirmativus scilicet gaudere, studere, singuloque die argentum nummus unum,quem catolinum vocant, pro vivendo habere. Poco diversi appunto sono i precetti, che dall’Intronati s’os-servarono e tuttavia fino al presente s’attendono, e se di simil tenore ci vengono additati dall’inven-zione di Bernardino Bellanti nel 1515, chi potrà dunque negare, che in detto anno l’accademia intro-nata non prendesse a osservare le prime sue costituzioni? Certamente pare, che rimanga schiarita ognidubbiezza fissata l’epoca del nascimento, conforme mi sono sforzato a provare ma però derivò d’e-stinzione d’altra accademia, nominata con nome generico la grande nata più anni avanti, e che facil-mente ne furono forse inventori i medesimi soggetti iullustri per la letteratura, e celebri per il nome loroappresso tutta la repubblica de letterati. Que’ tali dunque, che diedero principio a sì lodevole istitutofurono Antonio Vignali denominato l’Arsiccio, Francesco Bandini Piccolomini, che fu poi l’arcivesco-vo di Siena detto lo Scaltrito, l’architetto Politi, che poi passato alla religione domenicana prese il nomedi frate Ambrogio Catterino noto al mondo per le dotte opere sue detto il Vigilante, monsignorClaudio Tolommei illustre in ogni genere di letteratura, chiamato il Sottile, Luca Contile, anch’esso dot-tissimo detto il Furioso, Mariano Sozzini il giovine giureconsulto di gran merito, lo Sgualcito,Bartolommeo Carli Piccolomini il Borioso, e Mino Celsi, che (del quale assai mi meraviglio, che abbiascritto diversamente dalla verità istorica alienandosi, se però vogliamo dar fede all’autorità delBeierlingh) non mi è noto il noto nome accademico, e che in vecchiaia, passando ne’ Griggioni abbrac-ciò l’eresia, soggetto di squisita letteratura, e però degno d’esserli modernamente scritta la vita daGiovanni Giorgio Schelthornio stampata in Ulma nel 1702, di cui ancora ne parlano con distinta lodele novelle letterarie fiorentine del 7 agosto 1750, e molti altri accademici e letterati, che fiorirono inSiena in quel tempo. Questa letteraria adunanza può facilmente congetturarsi, che prendesse a norma,conforme numerosi scrittori sanesi, e stranieri asseriscono da altra più antica, e non meno illustre nelpregio delli scientifici avanzamenti, che parimente nacque in Siena nel principiare del secolo quattor-dicesimo a tempi di Dante, la quale, se non aveva nome d’Accademia, i soggetti però, che la compo-nevano tenevano le loro conferenze, e communicavano l’uno all’altro i componimenti e che sia veroquanto asserisco leggansi da chicchessia i nomi loro, registrati nella gran cartella appesa nello stanzonedella nostra presente Accademia, e ritrovansi che furono Meo Mocata da Dante mentovato Mico daSiena, di cui con particolare stima parla il Boccaccio, Cecco Angelieri, Simone di ser Dino, Folcachiere

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Folcachieri, Cecco Salimbeni, Meiuzzo, e Gransione Tolommei, il Ciseranna de’ Piccolomini, NuccioPiacente, Ciampolo di Meo Ugurgeri, con tutti quegli altri, le rime de’ quali raccolse da codici dellaVaticana Leone Allacci e ne parlò con distinzione particolare il Crescimbeni in più luoghi della di luiStoria della volgar poesia. Tali soggetti veramente non formarono leggi, e statuti particolari, né menoinalberarono impresa, e non praticarono assegnazione di nome accademico, ma convenirono però benespesso nelle case delle nobili matrone, ed in altre virtuose assemblee, ed ivi colla recita de’ poetici com-ponimenti rallegravano la brigata e porgevano stimolo agli accostanti per seguire le tracce loro.L’esempio de’ soprascritti immitò Enea Silvio Piccolomini nel tempo che avanti l’inalzamento allesupreme dignità della Chiesa Cattolica in Siena per apprendere gli studi si tratteneva, raccogliendo nellasala del Vescovado, o piuttosto in uno stanzone sotto il Duomo una scelta compagnia di giovani dedi-ti per naturale inclinazione alla dilettevole applicazione della poesia (senza però trascurare la più impor-tante delle scienze, conforme molto bene si scorge da soggetti che la componevano, e da’ profitti, chedi quelle ne ritraerono) e facilmente per essere così numerosa, se subito non prese nome d’AccademiaGrande poco dopo la conseguì. I soggetti più rinomati che la componevano si leggono anche essi nellatavola accademica nel secondo ordine registrati, che furono Mariano Sozzini il vecchio, Ugone Benzifilosofo di gran nome, Tommè Docci maestro nella giurisprudenza di Pio secondo, Bartalo di TuraBandini filosofo, e medico, Agostini Dati poi segretario della Republica, Leonardo e BartolommeoBenvoglienti, Alessio Cesarei dopo arcivescovo di Benevento, Gregorio Loli, che fu segretario di Piosecondo, Galgano Borghesi, Pietro, e Geri Bulgarini, Pietro , e Tommaso Pecci, Francesco Patrizii, dopovescovo di Gaeta, Niccolò Ricorari, Francesco e Giovanni Nini, Lugi Campani, Francesco Aringhieri,poi senatore di Roma, Francesco Tolommei canonico, Bartolomeo Rimbotti, Lodovico Petroni,Lorenzo Buoninsegni, Giorgio Andrense, Cesare Campani, Barnaba Barni, Francesco Luti e molti altri.Di questi, e della letteraria loro conversazione ne fa più volte menzione Enea Silvio nelle di lui opere,e particolarmente nella Pistola 19. Ma dovendo passare al 1431 il medesimo Enea Silvio a Basilea tuttala figliolanza rimanesse raccomandata (scrivono Bellisario Bulgherini, e il Gigli) a Agostino Dati, cre-duto, benché di tenera età uno de’ più capaci a governarla. Fortemente a un tal sentimento s’oppose ilPadre Giovanni Niccola Bandiera nella Vita d’Agostino Dati stampata in Roma nel 1733 a 44, e 45,adducendo per ragione di molto valore, che il Dati in quel tempo non correva di sua età più che l’an-no decimo. Io a tal forte obiezione ardisco rispondere, che il Dati contava allora anni 13, perché se morìnel 1478 d’anni sessanta, conforme i medesimo Bandiera più oltre si asserisce, dunque si ritrovava dital età. In oltre da Bulgherini, e dal Gigli non si afferma che subito seguita la partenza del Piccolominidivenisse il Dati capo dell’accademia, onde accordando, che potesse seguire cinque, o se[i] anni dopo,perché dunque non poteva esserne il mantenitore? Della continuazione di tali conferenze ne ragiona ilDati suddetto nel di lui Aporeto 27 e indica il luogo, ove si adunavano, essere stato subrupe AugustiSacelli, che probabilmente poteva essere qualche stanzone nella parte che corrisponde sopra le scale,per le quali si scende alle scale di San Giovanni Battista.Dal suddetto enunciato tempo se ne deduce la continuazione fino a quello di Lattanzio, e ClaudioTolommei, fissandovi l’epoca nel 1512 da un testimonio, che se ne trova in un libro intitolato il Polito,di cui da Uberto Benvoglienti in un discorso esposto avanti alla pubblica adunanza ne viene credutoautore lo stesso Tolomei. Imperocché nel detto libro stampato in Roma nel 1524 trattandosi a 44 del-l’alfabeto della lingua toscana, si racconta, che sopra il medesimo fu disputato nella Accademia Seneselungamente per lo spazio di 12 anni, e questo è quell’alfabeto, ovvero giunta, o alcuni elementi, per lapiù giusta espressione del dialetto toscano, che si volevano accrescere ne’ caratteri, invenzione de’ nostriSanesi, quali volle a se stesso attribuire il Trissino, conforme esso dichiara in una lettera scritta al pon-tefice Clemente VII de’ nuovi stesi caratteri composta, benché accuratamente osservandola chiaro sicomprenda, che per non averne il pieno possesso, come cosa di non sua invenzione, malamente in qua,e in là quelle nuove lettere senz’ordine dispose.Il signor Uberto Benvoglienti, e monsignor Francesco Piccolomini vescovo di Pienza ne’ loro discorsiaccademici recitati nell’adunanza intronatica, è vero che sono di parere, che l’Accademia nostra non rice-vesse più antichi precetti che nel pontificato di Leone X o in quel torno, ma non escludono però, che a’tempi d’Enea Silvio Piccolomini non tenessero i letterati sanesi le loro conferenze, conforme si è prova-to di sopra, e con altri argumenti, e ragioni, che si potrebbero addurre, onde particolar pregio si è dellacittà di Siena coll’essere stata la prima inventrice di letterarie adunanze, col nome, e impresa d’accade-mia, ad immitazione degli antichi Greci, che ne trassero la denominazione dalla villa d’Accademo, dovequella nazione copiosa in ogni genere di uomini studiosi si raccoglieva per disputare. Chi dunque potràcontrovertere un simil pregio e chi contrastare ai letterati sanesi una tale prerogativa?

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Niuno certamente produrrà ragioni convincenti in opposto, e cessando ogni dubbio, si vedrà chiara-mente, che non giustamente ma a torto scrisse Antonio Minturno, asserendo, che la prima accademianascesse in Napoli nel felicissimo grembo della sirena della quale fu il Padre Pontano, cui si nutrì, ecrebbe il Sincero, con que’ rari ingegni, che ragionarono del dilettevole studio della poesia. Neppuresarà vero, che la seconda accademia, scaturisse in Firenze raccolta sotto l’ombra e protezione dellasomma liberalità, e magnificenza di Lorenzo de’ Medici, dove mirabilmente fiorirono il Mirandola, ilFicino, e il Poliziano, e che la terza traesse i suoi natali nella corte del duca d’Urbino, celebrata dalBembo, e dal Castiglione, e ponendosi in quarto luogo dal Minturno l’Accademia Senese, non s’ac-corge, che per qualunque ragione doveva collocarla in primo luogo, come più antica di tutte le altre, el’argomento riman chiaro, perché se appelliamo alle conferenze letterarie, essendo queste state tenutea’ tempi d’Enea Silvio Piccolomini, e forse a’ tempi di Dante (conforme indietro si è dimostrato) sonopiù antiche di tutte le altre e se fissiamo l’epoca dalle leggi stabilite, e da’ nomi accademici agl’adunatiassegnati, questi ancorché siano del principiare del XVI secolo, sono nondimeno alle tre accademietutte anteriori, e che sia la verità (lasciate da parte tante altre autorità, e documenti, per non stancare illettore) leggasi l’eruditissima Orazione del nostro Scipione Bargagli stampata in Firenze nel 1569 e ritro-verassi con chiarezza quanto da me in questo ragionamento è stato asserito.Non è antico l’uso introdotto nella nostra Accademia per la spedizione delle lettere patenti, perché nonl’oltrepassa il principio del corrente secolo, e simil contegno solamente si pratica negli ascritti letteratinon nazionali, che sono moltissimi, a’ quali col nome assegnatogli s’invia del presente tenore

Virtuosissimo SignoreEssendo stato fatto noto alla nostra Accademi[a] degl’Intronati il desiderio, che avete, virtuosissimo signore d’esse-re ammesso fra gli accademici Intronati di questa città di Siena, ed essendo parimente note le vostre singolari virtù,ed il possesso delle più nobili scienze, di cui va adorno il genoroso animo vostro, l’Accademia predetta ha condesce-so di buona voglia all’istanze, che sono state fatte per voi, e vi ha dichiarato nostro accademico Intronato col nomedi … Vi se ne reca pertanto l’avviso, perché abbiate una sicura testimonianza dell’onor meritato dal vostro nobile,e chiarissimo ingegno.Dall’Accademia degl’Intronati di Siena questo dì…N. N.ArchintronatoN. N. SegretarioLuogo del sigillo

La data delle lettere patenti rimane registrata col giorno ed anno in cui resta firmata, soscrittadall’Archintronato (che è il principe dell’Accademia) e dal segretario col sigillo della zucca, e pestelli ecol motto meliora latent, insegna propria della medesima accademia.Fin dalla sua istituzione, prese per protettrice Maria santissima Assunta ed in contrassegno a perpetuamemoria d’un tal patrocinio, ha sempre sopra la residenza ritenuta inalberata una tela, esprimente ilmistero dell’Assunzione, ed i serenissimi granduchi di Toscana, che di tempo in tempo hanno regnato,siccome l’augustissimo presente sovrano imperatore, hanno insignito colla loro protezione questonostro letterario congresso.Il numero degli accademici sì paesani, come stranieri non è determinato, ma è bensì assai copioso, e sene tiene di essi il registro, non solo nei libri custoditi dall’archivista, e dal segretario, ma ancora in diver-se amplie cartelle appese nell’antrone, per il quale si dà l’accesso alla nostra sala deputata per adunarsi.L’oggetto de’ suoi studi non è limitato, ma s’estende non solamente alle scienze più sode, e massiccie,ma ancora alle belle lettere, alla poesia, e alla comica particolarmente, e a tal’effetto custodisce, e con-serva un maestoso teatro dove continuamente si sono usate, e si praticano sceniche rappresentanze sìin prosa, che in poesia, come in musica, e in altre diverse maniere.I giorni regolati delle private sessioni consistono fissatamente ogn’anno nella seconda domenica delmese di maggio, allor quando si devono eleggere, o confermare gli officiali, dove gli adunati non pos-sono deliberare in minor numero di dodici; l’altre lezioni private, che possono spesse volte occorrere,non hanno giorni fissati, ma quando la necessità, e l’urgenza degli affari richiede purchédall’Archintronato con cartella publicamente il giorno precedente affissata, si considera opportuna.Non ha publiche adunanze fissate, se non la prima domenica o altro susseguente giorno, passata, chesia la festa della Santissima Assunta, ed in essa con publicazione e precedente invito s’espongono conla recita al popolo diversi componimenti in onore di Maria santissima Assunta, che regolarmente con-

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sistono nell’introduzione portata dall’Archintronato in un’orazione toscana, in un poema, o latino, otoscano, dipoi altri poetici componimenti in ogni metro e in ogni rima, e in fine una corona di quat-tordici sonetti. Altri giorni non rimangono fissati, ma solamente seguono o in occasione dell’inalsa-mento al trono, o in morte dei propri sovrani, o quando alcuno degli accademici voglia far sentire agliintendenti qualche dissertazione, o scientifica, o storica, o in una scelta raccolta di poesie, per diverti-mento delle gentildonne paesane, o forestiere, conforme bene spesso si è praticato, ed in tali occorrenzesi publicano dal segretario i nomi degli accademici, nuovamente arruolati.Il luogo ove presentemente s’aduna da poco tempo in qua (lasciato l’antico, che era una sala contiguaalla chiesa metropolitana di pertinenza dell’Opera della medesima) è un vastissimo salone con altreminori stanze annesse situato dentro l’abitazione della senese Università, che volgarmente si nomina laSapienza, dove per ornamento si vedono appese diverse cartelle, co’ nomi degli accademici, che vi sonostati annoverati dal suo primo nascimento fino al presente anno, diverse imprese, e altri geroglifici allu-sivi a nomi nelle medesime espressi, e non pochi ritratti di principi e letterati, che hanno decorato ilvirtuoso congresso. A publica veduta, sopra la porta principale scolpitosi in pietra si legge GLI INTRO-NATI e dalla parte interiore nel frontespizio della medesima porta

Vetus Intronat. AccademiaIn Senen. Lyceum

Decreto publ. ExceptaMarcello Tegliacci Ædituo

A. D. 1728

Sopra l’altra porta laterale che corrisponde ne’ corridori per i quali si dà ingresso alle scuole per servi-zio dell’Università si legge

Memoriæ causaIntronatorun Accademiam

Eius Principe Cosmo FinettiCurantibus

Equite F. Alexandro MarsiliEt Rainaldo Buoninsegni

In Scholam hanc maiorem recipitEques Marcellus Tegliacci Æditurus

A. D. 1729

In questo prossimo passato anno 1753 senza tralasciare il solito annuo letterario esercizio, hanno atte-so gli accademici con tutto lo spirito alla nuova riedificazione del gran Teatro, ed in breve tempo, macon gran costo, e dispendio gli è riuscita, non solo coll’assistenza, ma col disegno, ed operazione delcelebre pittore, ed architetto signor Antonio Galli detto il Bibiena da Bologna, ridurla alla sua ultimaperfezione, e farvi in meno d’un anno un’accompagnatura de’ più esperti professori di ballo, e nume-rosi musicali strumenti reitatare [recitare] in musica l’opera intitolata il Tito Maglio, ed in tale occor-renza si sono fatte vedere con universale acclamazione quattordici mutazioni di scene, venendosi in talguisa a riparare a’ danni d’altro teatro abbruciato il 31 di luglio 1742.Capo di questa nostra Accademia col nome d’Archintronato si è il nobile signor abate RutilioSansedoni dottore di giurisprudenza e soggetto, che oltre la vigilanza, e premurosa attenzione per ognistudioso avanzamento, ha dato spesse volte non pochi saggi del di lui talento nella recita di plausibilicomponimenti, sì in prosa, come in versi, e però meritamente da più anni confermato nel suddettoincarico. Al suddetto signor Archintronato assistono col nome di consiglieri due altri accademici illu-stri per diversi componimenti loro, che sono i nobili signori cavaliere conte Cosimo Pannocchieschid’Elci, e Vincenzio Fortini de’ Perfetti figliuolo dell’incoronato poeta cavaliere Bernardino di tal cogno-me, e segretario di tutto questo rispettabile corpo si è il nobile signor Alessandro Finetti dottore di giu-risprudenza e giovine d’indole docile, e applicato agli studi delle belle lettere, e delle arti liberali.Questo complesso, che si domanda la Sedia, o i Residenti, dovrebbesi ogn’anno mutare, ma attesi i lorolodevolissimi portamenti, uniti alla premurosa attenzione verso gli studi, è stato più volte confermato,e continua tuttora con acclamazione di tutti gli accademici. Invigila continuamente alla custodia de’libri, documenti e scritture, e componimenti, un altro accademico con titolo d’archivista, e questi si è

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il nobile signor cavaliere Antonio Maria Bargagli, non meno chiaro nell’arte oratoria, che nella poesia,e comica, e degno immitatore de’ di lui antenati Girolamo, e Scipione, l’elezione del quale impiego èa vita, e siccome a vita si è l’altro della deputazione de Censori, e de’ Segreti incaricati, i primi per rive-dere, approvare, o disapprovare le composizioni, che escono alla luce, e gli altri pubblicano il loro sen-timento negli affari più importanti, tanto d’economia, che di letterarie incombenze, e segretario di que-ste due deputazioni si è il nobile signore cavaliere Fulvio Martinozzi dottore di gius civile, e canonicoe versato nell’arte oratoria, e poetica. A vita pure si elegge un accademico deputato sopra la custodia, econservazione del teatro, la quale incumbenza, con premurosa attenzione presentemente esercita ilnobile signor cavaliere fra Francesco Sansedoni. Per la conservazione del denaro, col nome diCamarlingo amministra l’azzienda economica il nobile signor cavaliere Lelio del Taia, e per registrare,e scrivere i componimenti, decreti, lettere, e scritture si tiene salariato uno scrivano, che non è accade-mico, siccome un altro anch’esso salariato per tutto il servizio più basso, e faticoso, che si domandaBidello.Non conferisce l’Accademia Intronata premio alcuno a’ suoi alunni ma solamente lasica [lascia], che acarico di ciascuno per proprio stimolo, e reputazione rimanga l’avansarsi nell’acquisto delle materiescientifiche, e nel possedimento delle belle lettere, e con tale importante incentivo superiore assai all’al-tro del premio, e del lucro, moltissimi in ogni età, e in ogni secolo hanno dato amplissimi saggi connumerose opere date alla luce delle loro commendevoli operazioni.Fin da’ primi tempi della nostra nascente accademia venne per impresa inalberata una di quelle zucche,che usano gli abitanti di contado, per custodirvi il sale, unita a due pestelli, per ridurlo in minutissimapolvere, pretendendo in simil maniera volere esprimere, che se al di fuori comparisce un vaso vilerozzo, e fragile al di dentro custodisce il miglioramento quale si è il sale, e così spiegando il nomeIntronati dare a conoscere che l’esteriore benché maculato, di niun conto, può con la mente pensare acose sublimi, e importanti, quali sono i progressi nell’avansamento delle scienze, e delle belle arti, e permiglior chiarezza del loro sentimento vi unirono il motto tratto da Ovidio Meliora latent come in appiè

Nel tempo stesso, che inalberarono l’impresa fissarono per costituzione l’osservanza dei precetti quidescritti che sono

Deum colereStudereGaudere

Neminem lædereNon temere credere

De Mundo non curare

Poco diversi da quelli, che per proprio sistema inventò ed osservò Bernardino Belanti nel 1515, con-forme indietro si è descritto.Non ha l’Accademia Intronata stampatore fisso, ma si prevale nell’occorrenze, ora di paesano, ora distraniero, secondo le opportunità, il sentimento degli accademici, che danno alle stampe, ovvero del

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piacimento, e dependenza del corpo intiero che per tempo presiede, e governa, s’aspetta l’eleggerlo.La raccolta de’ componimenti accademici ha moderno principio e non passa il fine del passato secolo,e fino a quest’anno 1754 in ventisette voluminosi libri addimandati li Zucchini si conserva, la custodiade’ quali s’aspetta all’accademico archivista, e se per il passato non esistono insieme raccolti, cagionene fu perché l’archivio non era stato istituito, sicché sparsi nelle mani di più particolari (ma in gran parteperduti) si ritrovano.In quest’anno prossimo scorso, stante l’universale applicazione al resarcimento del teatro non si sonovedute alla luce, se non alcune poche poesie, un libro di 370 sonetti impresso i[n] Siena pressoFrancesco Rossi 1753 con note erudite tratte dalli scritti de’ Santi Padri, e tutti in onore di MariaSantissima, de’ quali n’è stato autore il dottore e sacerdote Pietro Rossi, e una versione in lingua tosca-na degli Offici di Cicerone stampata in Lucca presso i Marescandoli, tradotta dal nobile signor capita-no Domenico Antonio Borghesi, dove ha fatto conoscere, che all’impiego nell’armi, si può ancora unirel’altro dell’applicazione alle lettere.Degli accademici che passano all’altra vita, per essere molto numerosi, non se ne tiene registro, riser-vando alla fama, e al nome loro particolare il rendersi eterni nella memoria dei posteri.Gli accademici ammessi nell’anno 1754 saranno circa 30 ma per non esserli ancora stato assegnato ilnome accademico, e non aver dato saggio de talenti loro, non sono finora stati posti nell’amplia car-tella, dove si leggono registrati gli antecessori loro.Siena ha Università antica fin dal 1321 sempre proveduta di celebri lettori in ogni scienza, e in ogniprofessione, che ha prodotto elevati ingegni, e rinomati scrittori in tutti le materie, e fondatori di que-sta ne furono i governatori della Republica, alla quale i sommi pontefici Gregorio XII, e Pio II conce-derono amplissimi privilegi, e la maestà dell’imperatore Carlo IV nel 1357 anch’esso la decorò con pri-vilegio distinto, e forse superiore ne’ pregi, e preminenze alle altre università italiane.Da’ progressi, e avansamenti dell’Università ne ritraerono li studiosi sanesi così mirabil profitto, che sus-seguentemente i dottorati nelle materie teologiche, circa l’anni 1420 formarono un libro di costituzio-ni, ove leggesi Sanctiones reformatae universitatis Theologorum le quali in progresso di tempo soffrironoaltre mutazioni, i iureconsulti istituirono collegio poco dopo alla fondazione dell’Università, ed i filo-sofi, e medici seguirono l’esempio de giureconsulti adunando ciascuno dei suddetti Collegi i loro ret-tori, in stanze particolari, o in chiese, e formandone i primi il decano, e gli altri i priori, e diversi offi-ciali pel buon regolamento degli incarichi loro.Dall’esempio degli Intronati pigliarono norma molte altre accademie in Siena instituite delle qualicome troppo numerose, non poche vennero a mancare, e altre, o in quella degli Intronati, o nell’altrade’ Rozzi rimasero incorporate. Sicché nel presente anno 1754 restano in piedi le sole seguenti.Quella denominata de Rozzi, poco doppo all’altra degli Intronati istituita da diversi festosi sanesi arti-sti, che per divertimento si presentarono, colà chiamati in Roma avanti il pontefice Leone X per rap-presentare le loro sceniche pastorali recitazioni, ricevé leggi, e impresa nel 1531 conforme le memorieloro ci dimostrano. Questa dilettevole Congrega, perché tale era il di lei nome, ne’ suoi principi haavuto sempre per costume di tenere allegro il popolo, o co’ giuochi del pallone, e delle pugna (anti-chissimo costume nella nazione sanese) o colle mascherate, altri giocosi spettacoli, o nella venuta inSiena d’alti personaggi, o nelle carnovalesche conversazioni, o nelle nozze della più distinta nobiltà,senza però diviarsi dalle teatrali dimostrazioni, e dalle materie studiose, e dalla poesia, nel qual eserci-zio da diversi soggetti di questa adunanza si sono publicati spesse volte numerosi componimenti.Elegge per capo un accademico con titolo d’Arcirozzo, al quale assistono i consiglieri, e gli altri offizialisubalterni, custodisce il piccolo teatro, situato nelle stanze dell’Opera del Duomo donatoli dal serenis-simo Gran Duca Cosimo III, aduna i suoi seguaci in un proprio salone fabbricato avanti la chiesa diSan Pellegrino, e usa per impresa una sugara col motto Chi qui soggiorna acquista quel che perde.L’Innominati istituiti dal Padre Giovanni Giacomo Ghezzi gesuito senese nel terminare del passatosecolo. A questa nobile accademia vengono solamente arruolati i nobili signori convittori del pregiabi-lissimo Collegio Tolommei, composti dalla più cospicua nobiltà d’Italia, i quali esercitandosi conti-nuamente sotto la savia condotta de’ Padri della Compagnia di Gesù negli studi, e nelle arte liberali, hasomministrato a ogni nazione soggetti di distinzione, e di gran merito nelle scienze, e nelle dignità piùeminenti, usa per impresa i satelliti di Giove, o siano le stelle medicee col motto Nomen meruere sequen-do, esercita le letterarie adunanze nel palazzo Piccolomini dove il medesimo Collegio dimora, ed eleg-ge per capi un principe nelle scienze, e l’altro per le arti cavalleresche.I Fisiocritici, che è accademia unita agli Arcadi di Roma, riconosce il suo incominciamento contem-poraneamente all’altra di sopra degli Innominati mentovata, istituita dal celebre dottore Pirro Maria

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Gabbrielli filosofo, e medico sanese. Usa per impresa una pietra di parragone col motto Veris quod pos-sit vincere falsa, elegge anche questa i suoi officiali, e s’aduna in alcune stanze della publica Università,dove per gli sperimenti fisici custodisce, oltre a altri strumenti la macchina boiliana, conserva un’esat-ta linea meridionale sie, fabbricata dalla direzione del fondatore, sopra la quale per una più chiara spie-gazione compose, e diede alle stampe una dotta dichiarazione, e bene spesso in diverse occorrenze pra-tica le di lei letterarie adunanze.Gli Ardenti ancora fioriscono, adunandosi ogni domenica ne mesi della estate, principiando dallaprima di maggio e continuando per tutto settembre in una stanza situata nella strada detta di Pantaneto,dove continuamente si esercitano i giovani in diverse controversie di medicina, farmacea, o bottanica,della quale a norma dei precetti lasciati dall’insigne Pietro Mattioli nella metà del passato secolo, daprofessori di farmacea venne istituita. Ha questa per impresa un fornello al vento con la caldaia bol-lente, e con la spiegazione patens magis. Non s’ascrivono a questo congresso, se non medici, speziali, edelegge il capo con altri subalterni ministri.I sopraddetti Collegi, e accademie non assegnano premio alcuno a’ soggetti loro più avanzati, e piùbenemeriti, se non la reputazione, e la gloria, che per la fama ne potranno ritrarne dalla republica deletterati.Librarie, che rimanghino a publico benefizio degli studiosi (oltre a molti particolari d’ogni genere dimateria) la città di Siena ne ha due, una di queste si custodisce nella publica Sapienza, dove con asse-gnato stipendio deve dimorarvi un bibliotecario nelle ore deputate per somministrare alla gioventù ilcommodo per trattenersi nelle studiose occupazioni. Altra si conserva presso i Padri Agostiniani moltoamplia, e copiosa d’ogni genere di letteratura, e questa ancora per mezzo d’un publico bibliotecario diquella religione concede agli studiosi amplio commodo per avansarsi nelle cognizioni, e profittare nellescienze.E in proposito d’architettura si è nel prossimo scorso anno 1753 rifabbricato il publico teatro sotto ladirezione degli accademici Intronati, conforme di sopra si è descritto ed in esso oltre la vaghezza delcolorito grareggiano la prospettiva, e l’architettura, non solo nella disposizione delle scene, e teloni,quanto nella disposizione de’ palchetti, e dell’uditoriori [sic], e molto più nella grandiosa imboccaturache può meritamente apparire a fronte di tutti gli altri meglio disposti teatri d’Italia, e che meritamen-te se ne desidererebbe, conforme si spera, colle stampe la publicazione.

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Questo volume (La Chigiana di Siena.GuidoChigi Saracini e la sua Accademia musicale,Fondazione Monte dei Paschi di Siena-Pacini, Pisa 2008, pp. 280), piacevole alla let-tura e godibile allo sguardo, è scritto, anzicomposto, da due autori ma con una solamano e adottando un punto di vista solidal-mente comune. Guido Burchi , raffinato edesperto musicologo di sterminata erudizio-ne, e Giuliano Catoni, appassionato e argu-to indagatore di archivi e ambienti senesi,non si son divisi la materia: hanno accettatola sfida di una scrittura unitaria, pensata e

ponderata insieme, in un continuo rapportodi scambio. Così ne risulta un’opera eccel-lente anche per la fusione tra biografia delmecenate, rassegna delle vicende musicali einformazioni sulle traversie politico-ammini-strative. Al centro si collocano insieme ilConte e la sua Accademia: due realtà inscin-dibili e, almeno fino al 1965, rette da unasola volontà. Il bel libro, egregiamente curato dalleIndustrie Grafiche Pacini, ha un corredofunzionale di immagini, disposte come in unalbum che si sfogli mentre si legge, in modo

La Chigiana di SienaGuido Chigi Saracini e la sua Accademia Musicale narrati da Guido Burchi e Giuliano Catoni

di ROBERTO BARZANTI

Guido Chigi Saracini mentre ascolta un saggio violinistico della Regina del Belgio in un salotto del Palazzo di Via di Città.

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che rischiari o avvalori descrizioni, spunti,collegamenti. Essendo provvisti di salutareironia, entrambi gli autori hanno articolatola loro fatica – e di fatica si parla in sensoproprio: così per ridere sono 60.000 le lette-re conservate in un Archivio del qualeBurchi è sovrano conoscitore – in cinquecapitoli tematici, intitolati con la terminolo-gia in uso negli spartiti. Si apre con unAndante maestoso (gli inizi fino all’aperturadel Salone), per proseguire in Adagio conbrio (l’esordio della “Micat in vertice”, l’ori-gine della Settimana), quindi con un esplosi-vo Presto con fuoco (avendo a fulcro i corsidi perfezionamento), con un più distesoAndante ma non troppo (circa le questionisulla gestione del patrimonio dopo la mortedel Conte) per finire in un maliziosoMinuetto. Malizioso: dal momento chesotto questa cifra – che induce a immaginarelievi passi di danza – vengono raccontate leperipezie degli ultimi anni dell’Accademia,trasformata già in Fondazione nel 1958 e daultimo, dopo ulteriori modifiche statutarie –altre sono imminenti – in Onlus. L’etichettadi minuetto allude alle manovre diplomati-che e agli accorti, taciti talvolta, escamotagesche hanno consentito via via di coinvolgerenella gestione rappresentanze ministeriali eregionali o di rafforzare il rapporto con ilMonte, oggi con la Fondazione MPS, fino amodificare sostanzialmente, anche se non

nello spirito, la fisionomia di un organismotransitato dall’imperioso, tutto personale(privato) mecenatismo del Conte Guidoverso i canoni amministrativi consentiti dal-l’avaro quadro legislativo (pubblico) del set-tore: ma “settore” non è adeguato alla classi-ficazione di un Ente singolare. Oggil’Accademia, o la Chigiana come si chiamaper brevità, non è più solo un luogo straor-dinario di perfezionamento della formazio-ne musicale o di critico ascolto. Non la solaEuterpe regna nelle auliche stanze del tem-pio, o della cittadella, di via di Città: alle sta-gioni concertistiche e alla SettimanaMusicale, messa a punto ormai, dal 1969,dalla Fondazione stessa, fanno corona con-vegni di studio, preziose edizioni, anche diCD, periodicamente sono organizzate espo-sizioni su settori specifici dell’ingente patri-monio (anche sugli strumenti musicali), adimostrazione che ci troviamo di fronte aduna presenza plurale. Il museo aperto dapoco nel Palazzo ereditato da Guido Chiginel fatale 1906 dallo zio paterno Fabio nonha nulla dei freddi labirinti nei quali oggettie reperti sfilano in lambiccata sequenza:omaggio alla frenesia collezionistica diGalgano, costituisce affascinante sezione diun mondo da ripercorrere nelle sua screziatapolivalenza di vocazioni. Si tratta di capire –e questo volume che si distende lungo tuttoil Novecento efficacemente sostiene l’argo-

Il Conte Chigi Saracini al conclave che avrebbe eletto pontefice Giovanni XXIII.

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mentazione – che per Siena la Chigiana nonè una realtà come tante altre, ma uno deglielementi fondanti della sua riconoscibilitànel mondo, e proprio per questo da consi-derare strategico, prioritario, e non compara-bile a momenti che pur hanno positiva-mente arricchito il panorama. In tempi cheinducono a selezionare e scegliere, privilegia-re la Chigiana è un investimento sicuro. Ecredo si dovrebbe progettarne con convin-zione maggiore uno slancio ancor più fecon-do quale centro propulsore di ricerca e dioriginale produzione. La concorrenza si èfatta acerrima: occorre un volume di risorsenon banale perché la Chigiana eviti i rischidi diventare, a poco a poco, un’importantema rapsodica scuola estiva e un’agenzia ingrado di organizzare ottime stagioni. All’origine del cammino, non privo di osta-coli e difficoltà, si erge la figura del Conte –altra abbreviazione che individua per i sene-si, in un moto di orgogliosa confidenza edevota ammirazione, il Mecenate di un’ati-pica Corte – e la sua generosa smania dimunifiche iniziative nel campo predilettodella musica. A lui “si deve – per citare unadi quelle frasi fulminee nelle quali CesareBrandi aveva la capacità di fissare un giudi-zio definitivo – se questa città del silenzio èanche diventata una città della musica”.“Città del silenzio” era, del resto, per Sienacategoria applicabile fino a un certo punto esulla scia, magari, di fortunate suggestionidannunziane, perché come ben si evidenzia,il retroterra dal quale muove il Conte risuo-nava da tempo di note e melodie: IsidoroUgurgieri era ammirato nel “vedere in Sienauna picca ostinatissima tra la nobiltà di favo-rire i virtuosi ed attendere a così belli orna-menti dell’animo, come sono il canto e ilsuono” (1649). E nel 1787 nasce l’Accademiadei Distinti, poco dopo quella dei Ravvivati,che verrà ribattezzata dei Rospi “perché –informa il Bandini, che quanto a criticarenon era inferiore nessuno – tra loro vi è sem-pre che ridire” . Tra i nomi che sovvengonoecco quello di Rinaldo Ticci, che se la piglia– siamo nel 1842 – con la mode effimereattecchite anche tra gli amanti della musica.La Musa che suscita nel giovane Guido –nato a Siena l’8 marzo 1880 da Antonio e

Giulia Griccioli – primissime emozioni e glifa avvertire un insopprimibile richiamo èGemma Bellincioni, “trionfale interprete diSantuzza”, conosciuta negli anni trascorsi dastudentello al Collegio fiorentino AllaQuerce.Quando parte volontario per la Grande guer-ra Guido Chigi Saracini è già sposato conBianca Kaschmann – l’unione durerà pocopiù di vent’anni, dal 1905 al 1926 – e già si èprodigato nel far svolgere al QuintettoSenese una certa attività, a fini anche dibeneficenza. Già si è manifestata l’endiadiche accoppia passione per la musica e trattomecenatesco. È del marzo 1913 la celebra-zione del primo centenario verdiano dellanascita di Giuseppe Verdi con solenni esecu-zioni della Messa da requiem. Presidente delComitato cittadino preposto alle celebrazio-ni è Arrigo Boito. Nel ’14 dirige al Teatro della Lizza un grandeconcerto Ferruccio Busoni. Il “Diario” tenuto dal maggio 1915 al giugno1917 è testimonianza vivacissima di un tem-peramento e di una sensibilità, meriterebbeun’edizione integrale: “Una partenza mi èsembrata sempre – vi si legge sotto la datadel 28 giugno 1915 – una specie di morte edella morte mi ha dato tutte le sensazionidolorose […] Ostrica nata, ho bisogno delmio scoglio!”. La villa di Castelnuovo erastata trasformata in ospedale per convale-scenti da Bianca prima che partisse verso ilfronte dove ella presta servizio come croce-rossina. Questa drammatica successione difatti è il quadro a tinte forti, tra ardoripatriottici e angosciata riflessione sulla trage-dia dell’Europa, entro il quale si coagulanoidee che avrebbero molto dilatato il prologodegli iniziali assaggi. E non si deve trascura-re Guido Chigi nelle sue prove di giovanecompositore: “Bacio reso”, “Maldicenza”,“Bimba che canti”, “Dispettosa”. Le illustra-zioni e i titoli bastano a intravedere la com-media sentimentale di una “belle époque” altramonto. “La musique lui était – come perun suo ammiratissimo eroe letterario, quasiun alter ego –, comme la foi, un abri contrela lumière trop vive du jour”. E contro lelacerazioni intollerabili del mondo. Non è errato tirar fuori per spiegare la nasci-

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ta dell’Accademia – fino a un certo punto: sitende spesso a spiegar storicisticamentetutto, quando a volte conviene far ricorsoalla volontà gratuita e illuminata di un sin-golo – la nozione di “partenogenesi”, comegià fece Luciano Alberti in un bel saggio diampio respiro. Il felice parto segue quellodella primogenita creatura, la società di con-certi “Micat in Vertice”, e il clamoroso festi-val molto speciale del 1928, poi trasformatostabilmente, nel 1939, in Settimana MusicaleSenese dalla regolare cadenza estiva.Obiettivo ben evidente innanzitutto dellastagione concertistica fu quello di accordarealla musica strumentale un’attenzione cheera andata sminuendo a vantaggio del melo-dramma. E fu indicazione che portava allastrada di un vigoroso rinnovamento. “GuidoChigi – si nota – riuscì a far venire e far tor-nare a Siena i grandi concertisti che percor-revano l’Italia in tournée e che fino ad alloramai si erano fermati in questa città”.A parte l’abilissima egemonia di AlfredoCasella e l’impronta di alta ricerca di opera-

zioni quali il revival vivaldiano, non è datorilevare una linea di quella che si sarebbedetta “politica culturale”. Nel laboratoriochigiano, che riluce in modernità e liberalità,si persegue anzitutto il primato della qualità,la sicurezza dell’eccellenza. Anche se Chiginon si trattiene dall’annotare che la suaSiena fu, nel ’28, “inondata spietatamente –nel corso del sesto festival internazionaledella S.I.M.C. (Società Internazionale per laMusica Contemporanea) – da […] orribilimusiche”, non per questo è sordo ai consiglidel suasivo Casella. Perfino l’ostracismo con-tro Beethoven, che ha fatto sul Conte fiorirecento aneddoti, è smentito, documenti allamano, con incontrovertibili confutazioni.Aveva le sue idiosincrasie, sbottava in sbriga-tive liquidazioni, ma intollerante non fu:questo contrasto attesta quanto fosse in luisentito il fascino dell’autorità intellettuale edeterminante lo stile dell’interlocutore.Sono fuori strada quanti hanno voluto farneuna caricatura di impenetrabile passatismo.Analizzando i programmi e soffermandosi

Il Conte Chigi Saracini con Maria Callas al Teatro dei Rozzi nel 1954...

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sui nomi degli esecutori è verificabile il pas-saggio sempre più netto da appuntamentinon esenti da una salottiera propensione alvirtuosismo a scelte rigorose, e ad un’apertu-ra sempre più marcata verso il contempora-neo. Sicché ad una valutazione sulla lungadurata si ricompongono in un unico flussodifferenze di gusto e di linguaggi, prudenzeo censure conservatrici e audaci sperimenta-lismi. La Chigiana ha seguito un suo itinerario,sapendo ben dosare il rispettoso ricordo delfondatore con l’indispensabile apertura alletendenze e alle interpretazioni contempora-nee, mantenendosi fuori da indebite pressio-ni, dai circuiti consueti e da non disinteres-sati sostegni “pubblici”. Era qualcosa di piùd’una gelosia aliena da ibridanti commistio-ni la tenacia con la quale Guido ChigiSaracini si professava contrario ad ogni inne-sto esterno e per qualche verso obbligante.Al pari di un Re Sole si rivolgeva con tonicompiaciuti a Cassadò ( 26 dicembre 1957):“Carissimo il mio Gaspar, l’Accademia sonoio e non altri che io…”. Se alfine si arrendeal Monte, è perché a Siena dire Monte signi-ficava evocare la sede di una paterna e dome-stica provvidenzialità. Danilo Verzili ritennepure lui l’Accademia una sorta di proiezionenaturale dell’impegno dell’istituto bancario:è giusto collocarlo accanto al fondatorecome un entusiasta interprete dello stessospartito, in anni piuttosto tempestosi.

Ricorrenti sono state lefasi di difficoltà econo-mica e finanziaria: gra-vissima quella tra il ’53e il ’55: tutte superategrazie non soltanto alMonte, ma alle istitu-zioni cittadine, sollecitecon differenziata densi-tà d’impegno. Talvoltala ricerca affannosa disoluzioni sul momentoprevalse sull’elabora-zione di prospettive piùcerte. Ora la situazionesembra stabilizzata, lebasi del futuro sonoabbastanza solide. Nel

volume si elencano passo dopo passo atti edeliberazioni, soffermandosi su meriti eperiodi. Dopo Verzili è stata la volta diGiovanni Coda Nunziante, GiovanniGrottanelli de’ Santi, Giuseppe Mussari, oradi Gabriello Mancini, il quale esalta l’impor-tanza di una più costante diramazione terri-toriale. E la direzione artistica – retta piùrecentemente da Mario Fabbri, LucianoAlberti, Guido Turchi, Aldo Bennici –hanno ciascuna innestato sul tronco delrobusto albero nuovi germogli. Alberti, adesempio, volle un nesso più stringente trafestival e scuola, con “Chigiana novità”e“Musica nuova per l’Europa” assegnò unposto di riguardo a giovani autori contem-poranei. Scorrere l’indice dei nomi dà un’i-dea, vertiginosa, della capacità attrattivadell’Accademia, della sua unicità. Solo chi hafatto della Chigiana ragione di studio e divita – come Guido Burchi – poteva aiutarcia far emergere in tutta la sua ricchezza la per-severante tessitura di rapporti, collaborazionie committenze. Il protagonista, il Conte, è sovente chiamatoalla ribalta. S’indovina il garbo discretamen-te narrativo di Giuliano Catoni in pagineanimate da scrupoloso equilibrio. Degli annidi guerra si é detto e dell’infatuazione dan-nunziana, essenzialmente estetica. Forse nonè sbagliato accostare la cultura del Conte aifermenti di un’estenuata Scapigliatura –

...e con Renata Tebaldi nel 1960.

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Giacosa testimone di nozze e Boito ospiteprivilegiato –, vistosamente debitrice dimoduli tardoromantici. Il Conte si tenne allalarga da ogni diretto impegno politico. Fueletto nel consiglio provinciale nel 1910 perl’Unione Liberale Monarchica, un raggrup-pamento vicino ai radicali moderati: più peruniformarsi ad una consuetudine dinasticache ubbidendo ad un’effettiva determinazio-ne. Nel ventennio del regime fascista non siesibì in forme di plateale appoggio. Senzascambiare il suo altezzoso isolamento perpresa di distanza non si dovranno sottovalu-tare atteggiamenti di aperta indisciplina.Così fu quando insorse la diatriba circa lapartecipazione di rappresentanze in costumedelle Contrade alle cerimonie previste aFirenze, nel 1938, in onore di Hitler. Così inun episodio assai sintomatico: al quotidianoche gli rimproverava che agli applausi delpubblico gli allievi avrebbero dovuto rispon-dere con il braccio teso del saluto romanoGuido Chigi Saracini risponde sbeffeggian-do il “bigottismo provinciale, falso e bugiar-do” (settembre 1939). Nella Deputazione delMonte dei Paschi resisté per poco: toccata efuga come gli capitava spesso quando si trat-tava di ricoprire cariche che non lo coinvol-gevano. Ad un prefetto che gli disse d’aver“in pectore” l’intenzione di proporlo all’o-nore del laticlavio rispose – lo ricordòGiovanni Grazzini – che non intendevaoccuparsi di politica e non gli sarebbe pia-ciuto recarsi in Senato in orbace: “Perciò milevi subito dal suo pectore”. Verso il potere –ogni potere – nutriva un risentito distacco,preferendo dedicare le possibilità che la suaposizione sociale gli permetteva al regnosupremo delle arti e alla dimensione civicadelle tradizioni. Come Rettore, a lungo, delMagistrato delle Contrade, e Prioredell’Istrice, difese l’autonomia degli antichisodalizi: indossando agli occhi di molti levesti di un Principe ombra, erede di un pas-sato glorioso, non solo individuale. Neldopoguerra naturalmente votò Monarchia.In una lettera vergata all’indomani del refe-rendum, il 3 giugno 1946, se la prende con inuovi “federali”, che “hanno uguale anche

l’appellativo di quegli altri” e osserva schifitoalle tensioni della lotta politica democratica: “Che orrore e che triste barometro per gliitaliani questa lotta vergognosa ed immon-da, purtroppo sotto gli occhi dei….padronistranieri! Oh povera nostra Italia! Dio neassista…!”. Ci teneva a far colpo dimostran-do che esisteva “finalmente un italiano ‘nonsucchione’ alle mammelle americane”. Un capitolo a sé è – scendendo ad un’anali-si di taglio psicologico – il suo rapporto con le donne, con la donna. Delle vicendematrimoniali poco si viene a sapere. Da gio-vane, scorgendo nella vetrina di un negoziodi Udine lo spartito della romanza da luimusicata “Veglie d’anima”, dedicata allafiglia dell’autore dei versi, Guido Donegani,si rammarica: “Ora Baby è una ragazza damarito, mi si è detto, moderna nel senso dipratica, quasi americana, un po’ maschileinsomma. Peccato!”. Uno scambio di letterecon Sibilla Aleramo offre indizi piuttostoprobanti di un’idealizzazione della figurafemminile avversa ad ogni velleità emanci-pazionistica, e non solo. Una frase dellascrittrice ribelle è più utile di complicate,quanto delicate, disamine: “Io non sono, adonta di tutto ciò che ho scritto e fatto, ionon sono una …‘carnivora’” ( 17 giugno1929). Non ammetteva che donne in panta-loni varcassero la soglia del suo Palazzo: untempio dove muovesi con religiosa circospe-zione. L’appellativo di “creature” attribuitoripetutamente all’Accademia e alle sue sorel-le è facile ascriverlo alla funzione di surroga-to sentimentale che avevano per lui, privo difigli e di paterne effusioni. Della sua impazienza di aristocratico chenon sopportava di sottostare alle procedureburocratiche o all’ossequio di leggi macchi-nose – “un signore di gran razza, e dell’anti-ca razza ha lo stile e il capriccio” di lui scris-se Guido Piovene – è testimonianza coloritala vicenda delle bronzea Porta dellaRiconoscenza, preparata da Vico Consorti esistemata all’ingresso laterale del Duomocon solenne cerimonia il 16 agosto 1946.L’amico Ranuccio Bianchi Bandinelli, alloraDirettore delle Belle Arti, gli aveva assicura-to che si sarebbe dato da fare per sveltire aRoma la pratica, ma aggiungendo che aveva

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47Il Palazzo di Via di Città, sede dell’Accademia Chigiana, nel luminoso disegno di Arturo Viligiardi (1927).

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“qualche dubbio che si possa arrivare intempo per il 16 agosto”. Nulla, da fare: perChigi il calendario senese la vince su ogniindugio. Bianchi Bandinelli scriverà alloSoprintendenza di Siena una lettera dirichiamo, spedita per conoscenza al Contesenza un rigo di commento, sottolineandoche per opere destinate a edifici pubblici eraopportuna l’assegnazione per concorso enecessaria la previa approvazione degli orga-ni di tutela. La lettera arrivò tre giorni dopol’inaugurazione. E non ci fu strascico alcuno. Non ammetteva esitazioni o ritardi . Consarcastico sprezzo aveva definito il podestà“Fabius cunctator”, lamentandosi della fasti-diosa e prolungata inagibilità del Teatro deiRinnovati. E l’arcivescovo Mario Toccabelli si era preso– in una lettera, finora inedita, da me rin-tracciata mentre stavo seguendo tutt’altrofilone di ricerca, indirizzata a Ranuccio il 24agosto 1946 – del “Duce-Arcivescovo”, per-ché aveva voluto traslare sull’Altar maggioredella cattedrale l’immagine della Madonnadel Voto, malgrado i paventati rischi di dan-neggiamenti: lui perseverò nell’opporsi confranchezza a inutili spostamenti da un altareall’altro. Figurasi oggi!Un’abitudine del Conte di solito non riferi-ta – eppur indizio anch’essa di una sensibili-tà molto moderna – è la sua quasi maniaca-le passione per il cinema. Negli AnniCinquanta pressoché ogni pomeriggio assi-steva alla proiezione di un film, in compa-gnia della marchesa Fabiola Lenzoni deOjeda. Era frequente incontrarlo in gallerianelle affollate e fumose sale di allora: alSupercinema, al Rex, al Moderno, al Senese.Le girava tutte. Si entra nel Palazzo di via di Città, che dovràrestare per sempre cuore pulsante dellaChigiana; si sale su per le antiche scale; enon si può far a meno di essere assaliti daemozioni e ricordi. I fantasmi di una grandestoria lo popolano non meno che i gruppidei curiosi e ignari visitatori che vi s’affaccia-no. Vien fatto di rivolgere il pensiero a tutticoloro che, con varie mansioni ed egualecoscienza del servizio, hanno qui lavorato,sentendosi membri di una stessa famiglia.Tutte le volte che sediamo nel Salone che

parla la lingua di “un gaio Settecento pienodi vita e vario” – cito dalla cronaca dell’i-naugurazione del 22 novembre 1923 –, tor-nano in mente brani e autori, date e pro-grammi. È stato ed è anche un teatro di vita:dove dalla sinuosa balconata si sono intrec-ciati sguardi d’intesa, e tra una stanza e l’al-tra finalizzate traiettorie, non incidentaliincontri. La “nostra” Chigiana è stata ancheun insieme di frammenti di vita. Guido Chigi Saracini si era fino all’ultimorispecchiato – lo fa intendere nel “Diario” –nelle peripezie, nelle disillusioni e nellenobili speranze di Jean-Christophe, il musi-cista al centro dell’omonimo romanzo-fiume (in dieci volumi apparsi tra il 1904 e il1912) di Romain Rolland, che aveva avuto ilcoraggio di condannare le due coalizioni inlotta nella fratricida Grande Guerra. Quelromanzo di formazione è – credo – la chia-ve di volta per capire la personalità delConte o almeno il modello al quale si ispi-rava. Par coniata per lui la confessione testa-mentaria del giovane Jean-Christophe, cheaveva trovato nella parossistica fedeltà allamusica il sospirato ancoraggio contro la san-guinaria violenza e le assurde rivalità fratrici-de: “Je ne t’ai jamais trahie, tu ne m’as jamaistrahi, nous sommes sûr l’un de l’autre”.Uno dei cartigli del Salone, inaugurato nel1923 (il barbuto e faunesco Viligiardi avevapresentato il progetto di ristrutturazione findal 1914) riferisce al luogo stesso, al Salone,una storicizzante dichiarazione a futuramemoria: “Farò risuonare all’infinito le lodidella pace, non ti meravigliare ospite, dacchéson sorto in mezzo ad una vasta e violentis-sima guerra che i popoli europei combatte-rono tra loro con enorme dispiegamento diforze”. Sapremo meglio – dopo la lettura diquesto magnifico saggio – che la costruzionedi questo spazio, così protetto e luminoso dasembrar sottratto ad ogni ombra, fu ancheuna splendida sfida, un’esortazione alla fra-tellanza dopo il turbine della “guerra civileeuropea”. Quell’invito che scende da lonta-no, nel ritmo d’una dotta iscrizione classi-cheggiante, declinato oggi in altro senso esecondo mutate condizioni, non ha persobellezza, urgenza e verità.

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Siena, che nella sua storia fu piuttosto avaradi compositori di spicco, dette invece inatali ad illustri personalità nel campo delcanto lirico. Universalmente noti sono can-tanti come Ettore Bastianini, uno dei piùgrandi baritoni dell’epoca, o comeFrancesco Bernardi detto “Il senesino”, cele-berrimo castrato del XVIII secolo a cuiHaendel dedicò 17 opere (entrambi fra l’al-tro ricordati nella toponomastica delle stra-de di Siena). Ad essi si deve aggiungere ilsoprano Marietta Piccolomini che a metàOttocento, nella sua breve car-riera, fu acclamata in tuttaEuropa e Nord America comeinterprete indimenticabile diVioletta nella Traviata di Verdi.Un'altra importante personali-tà è tuttavia degna di esserenominata accanto ai preceden-ti: il basso Giulio Neri.Nato a Torrita di Siena nel1909, studiò al Teatro dell’O-pera di Roma e, dopo essersiesibito con successo in concer-ti pubblici, si affermò definiti-vamente nel 1933 vincendo ilConcorso indetto dal Teatro Comunale diFirenze. Iniziò così una rapida carriera che lo feceimmediatamente distinguere come uno deipiù importanti bassi della sua generazione.Giulio Neri debutta quindi nei maggioriteatri italiani, quali l’Opera di Roma (1938),La Scala di Milano (1941), il San Carlo diNapoli, il Lirico di Milano, il MaggioMusicale Fiorentino, ed europei, cantandoal Covent Garden di Londra, al Liceu di

Barcellona, all’Opera di Monaco di Bavierae altrove in Egitto, Portogallo e Francia.Varca ben presto l’Oceano Atlantico perdebuttare al Teatro Colón di Buenos Aires,a Rio de Janeiro (insieme a BeniaminoGigli) e soprattutto al Metropolitan di NewYork, dove fu ospite acclamato in numero-se produzioni. La critica internazionale èunanime nell’apprezzare la sua voce altiso-nante e poderosa, nonché la sua prestanzafisica che lo faceva spiccare anche scenica-mente. Giulio Neri concluse la sua carriera

nel Teatro dell’Opera di Romache in tante occasioni lo avevavisto protagonista. Cantòinfatti per l’ultima volta nellaNorma il 4 gennaio 1958interpretando per l’ultimavolta quell’opera a fianco, fragli altri, di Maria Callas, unacantante con cui aveva colla-borato in diverse occasioni (siricorda La Gioconda nel 1952e Aida nel 1953). Neri colla-borò con tutti i più grandicantanti della sua epoca e conmolti importanti direttori (da

Gui a Barbirolli, da Previtali a Giulini).Morirà poco dopo, il 21 aprile 1958, peruna malattia cardiaca, poco dopo esserestato chiamato da Karajan al Festival diSalisburgo. Giulio Neri terminò così, pre-maturamente, una carriera internazionaleche lo aveva ormai fatto entrare a buondiritto nella storia dell’interpretazione del-l’opera. Per la tradizione canora italiana fupiuttosto una rarità in quanto si distinse neiruoli di basso profondo, uno dei pochi

Giulio Neri,un basso senese sui palcoscenici del mondodi GUIDO BURCHI

Il basso Giulio Neri.

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esempi nel nostro paese, anche se seppeaffrontare quelli di basso buffo.Egli infatti seppe sfruttare la sua voce, dota-ta di un timbro scurissimo, di vigorosapotenza e di una grande estensione verso ilgrave, affrontando una repertorio che benesi adattava alle sue qualità. Fu un grandeinterprete di Wagner, del quale cantò i prin-cipali ruoli della Tetralogia, del Tristano edel Parsifal, e di Verdi. Si ricordano in par-ticolare i ruoli di Sparafucile (Rigoletto),Padre Guardiano (La forza del destino),Fiesco (I due Foscari), Ramfis (Aida) esoprattutto Grande Inquisitore (DonCarlo), del quale è ritenuto fra i massimiinterpreti di tutti i tempi (fra l’altro cantò inquesto ruolo a Firenze nel 1956 con unacompagnia di cui faceva parte anche EttoreBastianini).Né si possono dimenticare i personaggi delbelliniano Oroveso (Norma) e del rossinianoDon Basilio (Il barbiere di Siviglia), oltre allagià citata Gioconda di Ponchielli, La favoritae il Don Sebastiano di Donizetti, e altre.Un posto a sé merita la sua interpretazionedel Mefistofele di Boito, nella quale GiulioNeri sempre eccelse e che ci è stata traman-data anche in alcune registrazioni.Chi oggi volesse ascoltare la sua voce puòtrovare riversate in cd alcune fra le sue piùimportanti registrazioni, salvo trovare sulmercato “antiquario” i vecchi lp originali.Prima fra tutte si deve citare l’edizione delDon Carlo di Verdi rimasterizzata e pubbli-cata dalla Emi nel 2000 (memorabile il dia-logo fra Neri e Boris Christoff); poi Aida(cd Testament) con Maria Callas e JoanSutherland, e Norma (cd Myto) con laCallas; ancora Aida diretta da Gui (cdPreiser; nel catalogo della stessa etichetta èpresente una raccolta di varie arie).Notevole anche La Bohème con RenataTebaldi e Giacomo Lauri Volpi (cd IstitutoDiscografico Italiano), il Don Sebastiano diDonizetti diretto da Carlo Maria Giulini, eper finire il celebrato Mefistofele di ArrigoBoito diretto da Angelo Questa (cdWarner). Di quest’ultima opera esiste anche

una registrazione con Giulio Neri diretta daFranco Capuana (cd Presiser).Giulio Neri apparve anche in alcuni filmd’opera diretti negli anni Cinquanta delNovecento da Carmine Gallone, fra cuisono da ricordare Rigoletto (con TitoGobbi) e La forza del destino, e Aida, diret-to da Clemente Fracassi, dove RenataTebaldi presta la sua voce alle attraenti sem-bianze di Sophia Loren.Sempre nel cinema, Giulio Neri nel 1956ebbe l’occasione di collaborare con AlbertoSordi nel divertente film di Mario BonnardMi permette, babbo!

La sua vita di artista è stata tracciata nelvolume:Cesare Clerico, Giulio Neri, una vita nellavoce, Torino, Casa Editrice Scomegna,1981.

Nel 2005 il Comune di Torrita di Siena havoluto ricordare l’illustre cittadino istituen-do il Concorso Internazionale di Canto“Giulio Neri”.

Giulio Neri, sullo sfondo, con Maria Callas e FrancoCorelli nella Norma al Teatro dell’Opera di Roma (1958).

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In questa colonna i manifesti dei film:Aida, di Clemente Fracassi, con Sophia Loren (1953).Mi permette, babbo! di Bonnard, con Alberto Sordi (1956).

Nella colonna accanto le copertine contenenti i cd delle operedi Giuseppe Verdi:Aida (1953),Don Carlo (1954);

e di Arrigo Boito:Mefistofele (1956).

Interpretazioni cinematografichee discografiche di Giulio Neri

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52 Il ritratto di Francesco di Giorgio che correda la “vita” vasariana nell’edizione di Pazzini Carli (Siena, 1791 e segg.).

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Francesco di Giorgio Martini, trascorsi cin-que secoli dalla morte, è stato celebrato conimportanti convegni e con la pubblicazionedi apprezzati volumi, che hanno evidenzia-to il significato della sua opera, sia in campoartistico, sia in quello architettonico ed inge-gneristico. Soprattutto il simposio di studiorganizzato a Urbino nel 2001 da FrancescoPaolo Fiore ha favorito uno stimolante con-fronto di idee, di analisi e di esperienze tra imassimi studiosi del settore, ed ha propostoquale fondamento dell’architettura rinasci-mentale i trattati e l’attività progettuale delmaestro senese: espressione alta e indelebile“di un umanesimo rigogliosamente propen-so all’idea della pace nel nome dello spiritocristiano e della ragione” - devo a FrancescoColocci la felice sintesi -.Sul finire dello stesso anno, a Siena,l’Accademia degli Intronati ha promossouna serie di conferenze incentrate negliinterventi di quattro studiosi: LucianoBellosi ed Alessandro Angelini, che hannoillustrato i pregi di Francesco di Giorgio pit-tore e scultore; Francesco Paolo Fiore edAugusto Mazzini, che hanno analizzato lasua copiosa produzione trattatistica e la suaintensa attività di ‘architectore’.

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Anche la Soprintendenza per i beni archi-tettonici e per il paesaggio di Siena eGrosseto ha voluto ricordare la figura delpoliedrico artista, affidando ad EnricoGuidoni l’organizzazione di FRANCESCODI GIORGIO MARTINI. ROCCHE,CITTA’, PAESAGGI: un convegno, che siè tenuto nella primavera del 2002 per inda-gare a fondo specialmente sulle componen-ti urbanistiche e paesaggistiche del pensieroprogettuale di Francesco di Giorgio, nonchéper analizzare il severo impegno di studioe di sperimentazione che dovette sostenere

la sua quanto mai prolifica produzione edi-lizia, se pensiamo che nel solo Ducato diUrbino fu contemporaneamente coinvoltoin ben 136 cantieri.Alcuni contributi offerti al convegnohanno avviato un’opportuna riflessione suaspetti prima scarsamente considerati dellaprassi costruttiva di Francesco di Giorgio edhanno proposto uno stimolante itinerariocritico recuperando ed aggiornando i nume-rosi saggi che negli ultimi anni avevano ana-lizzato la frenetica attività dell’architettosenese in molte regioni italiane, sia tirreni-che che adriatiche. Illuminati dalla grande mostra su Francescodi Giorgio architetto e dall’omonimo volumedi corredo, curato da Luciano Bellosi,Francesco Paolo Fiore e Manfredo Tafuri(Milano, Electa, 1993), questi studi avevanofavorito l’uscita di diverse pubblicazioni:Francesco di Giorgio Martini e Giulianova(Padova, Bottega d’Erasmo, 1994) scritto daMario Montebello per la DeputazioneAbruzzese di Storia Patria; Francesco diGiorgio Martini e il rivellino di Reggio Calabriadi Francesca Martorano, in ‘Quaderni delDip. Patrimonio Architettonico eUrbanistico’, V (1995), 10; Francesco diGiorgio Martini e l’architettura militare aNapoli, di Claudia Rusciano, in eadem,Napoli 1484.1501. La città e le mura aragone-si (Roma, 2002). Negli anni precedenti, altristudi avevano significativamente elevato leconoscenze sulla vasta attività svolta dalMaestro al servizio di Guidubaldo eFederico da Montefeltro, nonchè diGiovanni Della Rovere, signore diSenigallia e Mondavio. Mi riferisco soprat-tutto agli importanti articoli di MarcoDezzi Bardeschi, Le rocche di Francesco diGiorgio Martini nel Ducato di Urbino, in‘Castellum’, 8 (1968) e L’Architettura militare

Francesco di Giorgio Martini a 500 anni dalla scomparsadi ETTORE PELLEGRINI

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del ‘400 nelle Marche con particolare riguardoall’opera di Francesco di Giorgio, in ‘Studimaceratesi’, 9 (1975), nonchè al bel volumedi Luigi Michelini Tocci, Le Rocche diFrancesco di Giorgio (Urbino, 1967); cuihanno fatto seguito: Francesco di Giorgio e ilPalazzo della Signoria di Jesi di MarcelloAgostinelli e Fabio Mariano (Jesi, Cassa diRisparmio, 1986); La fortificazione diCorinaldo: atti di un convegno sull’architet-to senese svoltosi nella cittadina marchigia-na nel 1989 a cura dello stesso Mariano(Ostra Vetere, An, 1991), con le accuratericerche di Gianni Volpe sulle fortificazionidel Rinascimento nelle Marche settentrio-nali: Rocche e fortificazioni del Ducato diUrbino (Urbino, 1982), Francesco di Giorgio.Architetture nel Ducato di Urbino (Milano,Clup di Città Studi, 1991) e Io Dux – Io Pre.Urbanistica e architettura nelle terre marchigianedi Giovanni della Rovere (Urbino, QuattroVenti, 1993). Un intenso impegno critico che avevadeterminato il continuo incremento delleattribuzioni al curriculum professionale diFrancesco di Giorgio ed allargato il campod’indagine a quei contesti dell’Italia meri-dionale nei quali la pur avvertita presenzadel Maestro non era ancora stata adeguata-mente indagata e motivata.Al convegno senese ritroviamo studiosicome Gianni Volpe, Fabio Mariano,Claudia Rusciano e Francesca Martorano, lacui partecipazione se, da una parte, consen-te di perfezionare la conoscenza dell’attivi-tà progettuale del Martini in campo fortifi-catorio – anche alla luce di opportune azio-ni di recupero e di valorizzazione di edificida lui progettati -, dall’altra evidenzia comela classificazione della produzione architet-tonica martiniana sia ancora ben lungi dal-l’essere condotta a termine. Non casualmente, infatti, Enrico Guidonipropone in avvincente ipotesi l’attribuzioneall’Architetto senese della Porta San Pietro aPerugia e Gianni Volpe segnala altri possibi-li interventi del Martini su strutture fortifi-cate del territorio roveresco “tra Metauro eCesano”.Se gli studi del 1991/1993, che si pensavapotessero tracciare un quadro completo e

definitivo sulla personalità del Maestro,avevano invece mostrato come proprio inconsiderazione del suo poliedrico dinami-smo non si potessero adottare formuleinconfutabili, destinate ad ingabbiarne lemotivazioni in un discorso chiuso, il con-vegno senese mira a diradare dubbi rimastiinsoluti ed a risolvere nuove questioniancora aperte nel tentativo di far luce sulvero Francesco di Giorgio: talentuoso e soli-tario artista, oppure imprenditore fin trop-po impegnato a dirigere i bravi collaborato-ri della sua bottega? Una domanda che meri-ta una risposta anche per sciogliere l’intriga-to nodo dei debiti e dei crediti artistici dalui maturati con altri personaggi di culturafiorentina e senese. Ma anche sui rapporticon Alberti e Brunelleschi, da una parte,oppure sull’influsso, dall’altra, della prassimartiniana nell’architettura militare fioren-tina, emerge quanto sia difficile svilupparesoluzioni definitive, mentre si individuanoscenari di ricerca ancora da esplorare. Da segnalare, in tal senso, l’attento excursusdi Barbara Nazzaro sulla vedutistica urbananella pittura senese del tardo Quattrocentoe, in particolare, in alcune opere diFrancesco di Giorgio. Un saggio che con-trappone opportunamente l’iconografiamedievale legata a schemi irreali e simboli-ci ad una maniera moderna, tendenzial-mente destinata a favorire una lettura credi-bile delle città o dei monumenti rappresen-tati, e che affronta in modo organico unamateria ingiustamente sottovalutata dallacritica, sebbene capace di svolgere un ruolodisciplinarmente esplicito e significativonella cultura artistica senese, come avrebbedimostrato lo studio sulla vedutistica diSiena promosso nel 2006 dal Monte deiPaschi (R. Barzanti, A. Cornice, E.Pellegrini, Iconografia di Siena, Città diCastello,Vella, 2006).

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Qualche mese prima anche Urbino, epicen-tro di quel Montefeltro al quale Francescodi Giorgio aveva legato forse i momenti piùalti della sua prassi architettonica, ha cele-brato il Maestro con un imponente simpo-sio, al quale hanno partecipato studiosi difama internazionale.

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Enzo Mecacci ha puntualmente recensitosulle pagine del Bullettino Senese di StoriaPatria (CXI – 2004, da pag. 409) gli atti delconvegno urbinate, che annota capaci dioffrire un patrimonio di conoscenze “indi-spensabile per chiunque intenda affrontarelo studio non solo di Francesco di Giorgio,ma più in generale dell’Arte e dell’Architet-tura italiana del Rinascimento”, nonché dirappresentare un significativo “punto d’arri-vo degli studi sul grande architetto senese e,al tempo stesso, la base per procedere anuove analisi” (p. 411).Ma i meriti ascrivibili a questo fortunatoconvegno sono molteplici ed evidenzianonon poche risultanze, sulle quali apparedoveroso svolgere altre, sia pur sinteticheconsiderazioni. Da segnalare, innanzitutto, il team di eccel-lenti studiosi dal quale è stato illustrato inequilibrata simbiosi il contesto culturaleurbinate di fine Quattrocento e il linguag-gio architettonico martiniano, che proprionel contributo del curatore, FrancescoPaolo Fiore, trova una chiara ed esaurientedefinizione critica.L’analisi dei principi progettuali martinianisviluppata dall’illustre studioso confrontan-do la tormentata idealità dei Trattati con lageometrica concretezza delle strutture pro-gettate da Francesco di Giorgio - fortifica-zioni, chiese e palazzi - consente di identifi-care “la qualità innovatrice della sua archi-tettura piuttosto che un mero legame con latradizione gotica e romanica dalla quale erapartito” (p. 398) e di apprezzare il fruttorigoglioso della sua personale attitudine a“porsi originalmente in gara” (ibidem) congli organismi dell’architettura antica.Un apprezzamento che, come aveva ricor-dato Mecacci, trae solide motivazioni daglieventi espositivi senesi del 1991 – La cultu-ra delle macchine nel Rinascimento a Siena –, del1993 – Francesco di Giorgio e il Rinascimento aSiena - e, soprattutto, dai relativi apparati,destinati a diffondere nuova luce sulla figu-ra e sulle opere del Maestro; ma che adesso,nell’esaltarne l’originale espressione architet-tonica, gli assegna, definitivamente, unruolo primario nella più ampia scena delRinascimento italiano.

Su una base critica così consolidata, la lineaconduttrice del convegno tende ad indivi-duare stimoli ed influssi che avevanoaccompagnato il perfezionamento della for-mazione architettonica di Francesco diGiorgio presso la corte urbinate, anche perdecifrare le caratteristiche intime del suolinguaggio progettuale e comprenderne lamisura del distacco dalla prassi innovativadi Bramante ed Alberti. Molte sono le varia-bili interpretative che accendono la discus-sione: dalla nota osservazione di ManfredoTafuri che parla di un’architettura albertianaantialbertiana e induce Francesco PaoloFiore ad evidenziare “l’originale sintetismoed espressionismo innestato da Francescodi Giorgio sulle radici della sua esperienzadel romanico senese e dell’antichità” (p.XXII), al concetto di un Rinascimento umbra-tile che Federigo Zeri e Corrado Malteseavevano visto nell’opera del Maestro. Altri studiosi analizzano le scelte stilistichee i principi costruttivi maturati dal Martinie si interrogano sulla loro collocazionecomparata nel quadro dell’architettura ita-liana del Quattrocento per verificarne i col-legamenti, gli scostamenti e gli esiti nel con-fronto con importanti autori contempora-nei: Francione e Giuliano da Sangallo – gliarchitetti fiorentini studiati da DanielaLamberini -; Leonardo – il suo rapportocon il maestro senese per alcuni interventisul duomo di Milano e su quello di Pavia èannotato da Pietro C. Marani -; Bramante –manca purtroppo agli Atti il contributo diLuisa Giordano -; Baccio Pontelli – la con-divisione con il Martini di almeno tre pro-getti è illustrata da Francesco Benelli -;Mauro Codussi – gli influssi martiniani nel-l’architettura cinquecentesca a Venezia sonoesaminati da Roberta Martinis; mentreRichard Schofield offre un prezioso contri-buto sulle committenze di Girolamo Riarioa Imola. Una segnalazione particolare merita lo stu-dio di Matthias Quast sull’architettura aSiena nella seconda metà del Quattrocento,volto non tanto a scoprire inediti edificiprogettati da Francesco di Giorgio in patria,quanto a rilevare e descrivere l’impronta delsuo linguaggio su alcuni palazzi della città,

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come quelli Ugurgeri già Benassai, BandiniPiccolomini, Calusi Giannini, Del Taja eVenturi. E’ in queste residenze nobiliari,infatti, che lo studioso individua l’inizialeaffermazione senese di una tipologia edili-zia ‘all’antica’ certamente condizionata dallinguaggio architettonico martiniano. All’analisi stilistica dei palazzi Quast colle-ga un’opportuna verifica delle componentistrutturali delle relative facciate nel periodoin cui tali apparati stavano conquistandouna piena esposizione all’osservatore e sta-vano perdendo, di conseguenza, le loro pre-cedenti caratteristiche polifunzionali.Alcune di queste si ricollegavano all’appli-cazione sulla parete delle facciate di ferribattuti variamente configurati, necessari perappendere mensole, torce ed impannati diprotezione delle finestre, che lo studiosoavrebbe poi specificamente ed opportuna-memte trattato in un suo saggio del tuttoinnovativo pubblicato su questa rivista (Unpatrimonio dimenticato: i ferri di facciata senesi,23-2005, pp. 21-30 e 24 –2006, pp. 17-26 ) .

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Anche il Bollettino della Società di StudiFiorentini (n.11-2002), che contiene gliSTUDI PER IL V CENTENARIO DELLAMORTE DI FRANCESCO DI GIORGIOMARTINI, presentando una ricca serie disaggi tesi ad analizzare l’attività fortificato-ria svolta dal Maestro lontano da Siena, nelPiceno, in Abruzzo, in Puglia ed inCalabria, con opportune precisazioni sullatrattatistica e sugli spostamenti da lui effet-tuati in Italia per seguire le numerose com-mittenze, conferma l’odierno interesse dellacritica per l’intensa operatività di Francescodi Giorgio architetto e ingegnere militare.Ma non solo.Il lungo saggio introduttivo di FerruccioCanali, teso a ricercare una ‘componentefiorentina nella formazione martiniana’,offre spunti meritevoli di attenzione. Commentando il racconto di GiorgioVasari - per altro notoriamente errato e con-dizionato dalla politica cosimiana alloraimpegnata nella contrastata conquista diSiena – Canali sottolinea come l’attivitàedilizia del Martini subisca una vicenda cri-tica oscillante dall’iniziale sottovalutazione,

giustificata dalla necessità di non eccederenell’elogio di un esponente della città allo-ra nemica, all’inesatta ed eccessivamenteentusiastica attribuzione al Maestro diopere a lui estranee - a Pienza e a Siena -,che appare nella seconda edizione delleVite, quella del 1568, riferibile ad unmomento in cui, essendo Siena ormai sot-tomessa al dominio fiorentino, anche allefigure più illustri di questa città potevanoessere assegnati i riconoscimenti che merita-vano. Accertata l’inaffidabilità del Vasari qualebiografo di Francesco di Giorgio, Canaliesamina la formazione martiniana nell’in-tento di colmare “lo iato…tra rapporti fio-rentini nella produzione artistica e silenzi inmerito alla sua formazione architettonica”(p. 18). Per lo studioso, se parziali e insod-disfacenti erano state le conclusioni dellacritica precedente – dal datato Promis all’e-sauriente Weller – anche il pur proficuocontributo critico offerto dalle mostre del1991-1993 (ed ovviamente dai relativi appa-rati ) ha “finito per creare visioni settorialitra loro scollegate, se non contrastanti” (p.21). Pure l’annotazione di Manfredo Tafurisul rapporto tra Leon Battista Alberti e unFrancesco di Giorgio albertianamente antial-bertiano merita per Canali nuova conside-razione, specialmente alla luce di un esamedella produzione trattatistica martinianache ne ridiscute date e attribuzioni, e cheevidenzia “topiche ormai correnti” (p. 27).Una critica che ruota attorno alla comples-sa questione dell’anti-albertianesimo marti-niano e dei rapporti tra le diverse redazionidei Trattati: infatti lo studioso afferma “chedi collazioni e di sistematiche indaginimostra di aver bisogno l’attuale esegesi mar-tiniana, per tentare di far luce su un ambitoche definire nebuloso appare un eufemi-smo, tanto da porsi come il vero nodo pro-blematico della trattatistica architettonicacinquecentesca” (p.27), per poi concludereche il Maestro, perso dietro ai suoi numero-si cantieri in ogni parte d’Italia, non avevatempo da dedicare allo studio e alla ricerca,avvalendosi piuttosto, da “buon architetto-politico” (ibidem), di validi copisti e dise-gnatori che dovevano dare adeguata visibili-

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tà alle sue opere architettoniche: frutto nondello studio paziente di un solitario proget-tista, ma piuttosto della consolidata colla-borazione di un’efficiente bottega. Successivamente Canali affronta il tema delrapporto tra Siena e Firenze in campo arti-stico ed in quello - non sempre parallelo -della politica durante il secondoQuattrocento. La sua analisi s’incentra sullarealizzazione da parte di Francesco diGiorgio della chiesa del Calcinaio aCortona – in territorio fiorentino, quindi,per quanto limitrofo al senese –, sulla suapartecipazione al concorso indetto daLorenzo il Magnifico per la facciata di S.Maria del Fiore, nonchè sul fruttuosoimpiego di maestranze fiorentine da partedi Ambrogio Spannocchi nel cantiere sene-se del nuovo palazzo di famiglia in Banchidi Sopra. Se appare proficua la ricerca diuna collusione tra le culture artistiche delledue città egemoni in Toscana, che la criticanon ha mai affrontato con la dovuta atten-zione, non poche perplessità suscita il ten-tativo di coniugare con la variabile politicadella contrapposizione tra Firenze e Sienal’attività progettuale del Martini durante ildecennio 1480-1490, per decifrare il climadi sospetti, malumori e gelosie che sembrafosse alimentato nelle due città dal recipro-co sconfinamento di artisti e di loro colla-boratori. In effetti la multiforme e intensaattività edilizia svolta da Francesco diGiorgio lontano da Siena non mancava disollevare nella sua città lamentele più omeno pubbliche, ma non andrebbe oltre unastruso ed inutile esercizio dietrologico iltentativo di considerare i lavori del santua-rio mariano al Calcinaio alla stessa streguadella costruzione di una minacciosa fortez-za; oppure quello di individuare impensa-bili connotazioni politiche nella facciata diS. Maria del Fiore, per la quale Francesco diGiorgio fu l’unico maestro non fiorentinoinvitato a presentare un progetto.Questo incarico discendeva dalla considera-zione goduta dal Martini presso Lorenzo ilMagnifico, che il Maestro non avrebbepotuto rifiutare senza offendere il più gran-de princeps italiano del tempo e senza sacri-ficare personali esigenze professionali che,

invece, gli capitava spesso di privilegiare,anche a scapito dei supremi interessi dellaRepubblica senese. In tal senso basti ricor-dare il suo rifiuto alla carica podestarile diPorto Ercole nel 1487, oppure, nel 1492, ilsuo mancato intervento per correggere glierrori di costruzione che poi avrebberodeterminato il crollo della diga sul Bruna. Si assiste insomma ad una rivisitazionedella figura di Francesco di Giorgio archi-tetto non priva di una certa vis polemica,motivata dalla complessità del problemadella sua formazione in questo campo.Forse però non sempre condivisibile, comequando sembra voler ridimensionare alcu-ne risultanze delle attenzioni, numerose esignificative, rivolte negli ultimi anni alMartini e destinate a sottolinearne l’origina-lità, anche rispetto all’allora dominante cul-tura fiorentina. O come quando si esasperail ruolo della politica nelle committenzeartistiche, dimenticando che i grandi deltempo si rivolgevano agli artisti che ritene-vano più vicini al proprio gusto personale,a prescindere quindi dalla loro nazionalità:esemplari in tal senso furono le moltepliciiniziative edilizie di Pio II curate a Pienzada artisti non senesi, mentre nella stessaSiena Antonio Federighi e non ilVecchietta, proposto dalla Balia, avrebbeprogettato il celebre loggiato piccolomineo.Per quanto poi riguarda la sottolineaturadell’attenzione di Francesco di Giorgio adallestire e mettere a frutto proficue attivitàd’impresa, basta leggere l’emblematico sag-gio di Giuseppe Chironi sulla società costi-tuita dall’ artista con il magnifico PandolfoPetrucci e con il tecnico Paolo VannocciBiringucci per lo sfruttamento dei metallisemilavorati nelle ferriere dell’altaMaremma e della val di Merse ( Politici eIngegneri…in ‘Ricerche Storiche’, XXII, 2,1992, pp. 375-395). Anche la ricca e non superficiale rassegnabibliografica, che si sviluppa nei commentidi Enrica Maggiani, Assunta Mingrone eGiorgio Zuliani, si allinea al pensiero diCanali e prende le distanze da alcune osser-vazioni espresse in occasione dei convegniurbinate e senese, per affermare una visionefirenzecentrica che appare disposta ad indivi-

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La rocca di Sassocorvaro (PU): forse la più originaleelaborazione dell'architettura martiniana.

Uno scorcio della stupefacente rocca di Mondavio (PU).

Il torrione di Cagli (PU).Il poderoso mastio della rocca di Mondavio (PU).

Il mastio di San Costanzo (PU).La svettante torre lungo le mura di Corinaldo (AN),attribuita a Francesco di Giorgio sebbene mostri unostile ancora medievalizzante.

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La lunga cortina convessa e i superbi torrioni progettatida Francesco di Giorgio a protezione della rocca di SanLeo (PU).

Il bastione a mandorla del castello di Rocchetta S.Antonio (FG), recentemente attribuito all'architetturamartiniana.

La chiesa di San Bernardino a Urbino. L’elegante palazzo della Signoria di Jesi (AN).

Il torrione dei Serviti a Casole d'Elsa (SI), forse l'unicafortificazione eretta da Francesco di Giorgio in patria.

Il poderoso torrione martiniano di Otranto (LE).

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duare e criticare i difetti piuttosto che adevidenziare i pregi.Si rammarica, infatti, il mancato approfon-dimento dei “veri rapporti di Francesco diGiorgio con la cultura fiorentina, da cuideriva un generale offuscamento dei debitie dei crediti tra ingegneri senesi e, appunto,fiorentini” (Zuliani, p. 196), relegando glistudi svolti fino ad oggi in una dimensionedi scarsa credibilità. Si rivendica poi unvuoto critico che determinerebbe l’erroneaattribuzione all’architetto senese dell’inven-zione di una particolare tipologia fortifica-toria (ibidem), dimenticando, o sottovalu-tando, l’opportunità d’indagare semmai sulrapporto formativo intercorso con ilTaccola: un altro ingegnere senese del qualegli ampi contruibuti di James Beck, GustinaScaglia e Paolo Galluzzi hanno illustratoun livello d’importanza evidentemente noncondiviso da questa fonte; oppure conAntonio Federighi, del quale un recente stu-dio di Mirella Cirfi Walton ha messo inrisalto la sorprendente e fin troppo ingiu-stamente dimenticata personalità di archi-tetto. In particolare riferimento al convegno sene-se, infine, alcuni interventi “sembrano vive-re… di assunti storiografici decisamenteanni Settanta” e si annotano “momenti diluce e di ombra…per la presenza di autoridiversi con scopi differenti” (Zuliani, pp.196-7): commenti in parte condivisibili, matroppo ingenerosi a fronte di un’iniziativaculturale che poneva un punto fermo nellavicenda critica martiniana, aprendo comun-que nuovi e stimolanti scenari di ricerca.

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Nel volume Francesco di Giorgio architetto,realizzato a corredo della mostra senese del1993, Massimo Mussini aveva ordinato edescritto i codici martiniani oggi conosciu-ti, stimolando una proficua discussionesulla loro classificazione in riferimento aduna migliore conoscenza della formazionearchitettonica del Maestro, nonchè dei suoistudi in materia. Questa edizione, curata da Olschki per lacollana del mantovano Centro Studi L. B.Alberti, rappresenta un ulteriore proficuoavanzamento critico che Mussini compie

trascrivendo l’inedito codice Zichy dellaBiblioteca Comunale di Budapest, L’Operadi Architettura del codice Spencer e la tradu-zione autografa del De Architectura vitruvia-no riproposta dal codice magliabechiano,con un ricco corredo di riflessioni, nuovericerche ed utili comparazioni che sonostate raccolte nel volume introduttivo.Proprio l’accurato confronto filologico trale varie composizioni dei Trattati consentea Mussini di seguire il non facile processointerpretativo condotto da Francesco diGiorgio sull’opera di Vitruvio e fissare, inparallelo, i passaggi fondamentali dell’atti-vità sia teorica, sia costruttiva del Maestrotra l’iniziale formazione senese e il periodourbinate, durante il quale potrà consolidareil rapporto con la cultura umanistica e per-fezionare la sua conoscenza del mondoclassico.In questa articolata indagine lo studiosoriscopre il percorso compiuto dal Maestro,che da “artista artigiano” si trasforma in“artista umanista”, ricercando sempre inVitruvio, suo vero nume tutelare, i segretidell’architettura antica e i suggerimenti perquella restaurativa. Non a caso è propriol’incontro con l’autore latino che lo portaad evolvere la sua formazione di base soste-nuta dalla tradizione tardogotica seneseverso un’ architettura diversa ed innovativa;pur senza dimenticare la lezione ingegneri-stica del Taccola e la giovanile attenzionealle elaborazioni della meccanica, a perfe-zionare culturalmente oltrechè tecnicamen-te la sua esperienza, instaurando una prassiin cui la fase progettuale prende il soprav-vento su quella realizzativa. Su queste basi Francesco di Giorgio matu-rerà un suo autonomo linguaggio architet-tonico ed una personale cultura progettualeindipendente da quella albertiana, chepotrà conoscere e parzialmente condivideresolo in occasione della redazione del suoultimo Trattato, appunto il “magliabechia-no”: forse destinato, come induce a pensarela chiarezza della grafica, ad un’edizione astampa che poi, purtroppo, non avvenne.Anche per questo motivo per secoli si erapersa la conoscenza di Francesco di Giorgiotrattatista, lasciando aperto un problema

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interpratativo che ha sollevato dubbi e dis-cussioni tra i critici – vedi soprattutto gliinterventi di Gustina Scaglia, AlessandroParronchi, Marco Dezzi Bardeschi, CorradoMaltese - almeno fino a quando MassimoMussini con proficua pazienza ha dato allestampe la sua opera e così ha pure ridimen-sionato l’esigenza revisionistica che era stataavvertita da Canali. La conclusiva rassegna bibliografica offreagli studiosi di Francesco di Giorgio e, piùin particolare della sua opera teorica, unquadro di riferimento eccezionalmentevasto ed esauriente, al quale si deve aggiun-gere soltanto un titolo, uscito per altro suc-cessivamente alla fase di stesura dello studiodi Mussini: Francesco di Giorgio Martini,La traduzione del De Architettura di Vitruviodal ms. II.I.141 della Biblioteca NazionaleCentrale di Firenze, Pisa, Scuola NormaleSuperiore, 2002, che non mi è stato possi-bile consultare.

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Nel 2004, Urbino ha ospitato un secondo,importante convegno dal titolo CONTRI-BUTI E RICERCHE SU FRANCESCO DIGIORGIO NELL’ITALIA CENTRALE.Un’iniziativa scientifica e programmaticafortemente sostenuta dal Comune urbinate,alla quale hanno partecipato attivamenteanche i Comuni di Cagli, Cortona,Fossombrone, Gubbio, Jesi, Mercatello sulMetauro, Mondavio, San Leo, Sassocorvaroe Urbania: le città che conservano edificireligiosi, fortificazioni e palazzi attribuiticon consistenti fondamenti critici aFrancesco di Giorgio. Proficui gli approfondimenti su operemonumentali già attentamente studiate, maevidentemente terreno fertile per nuovericerche, come quelli di Pietro Matracchisulla chiesa cortonese del Calcinaio, diGino Polloni e Massimo Buratti sulla cele-bre rocca di Mondavio, di Fabio Marianosul Palazzo della Signoria di Jesi; opportuniquelli su edifici meno presenti nella criticamartiniana, come il Palazzo Vescovile diFossombrone, la rocca di Sant’Ippolito o ilmulino di Magrano. Una citazione, poi, per il saggio diAntonella Festa, che analizzando i canoni

dell’Osservanza francescana rilevabili nellachiesa conventuale di San Bernardino, aUrbino, in rapporto alla committenza fel-tresca, individua un duplice percorso di col-legamento tra questa città e Siena nella pre-dicazione di San Bernardino e nell’opera diFrancesco di Giorgio: uno stimolante paral-lelo, quiundi, tra la fervida religiosità delpensiero francescano e una nuova, brillanteconcezione dell’architettura che hannoavuto per protagonisti due personaggi for-matisi culturalmente e spiritualmente aSiena. Il simposio si proponeva anche l’opportunoobbiettivo di creare nel nome del maestrosenese un inedito percorso culturale e turi-stico in tre regioni dell’Italia centrale -Marche, Umbria e Toscana – da assoggetta-re alla tutela dell’UNESCO, al fine di pro-muovere e valorizzare il patrimonio artisti-co ambientale del territorio plasmato dall’inconfondibile genialità martiniana e rima-sto, per fortuna, quasi del tutto incorrottodalle brutture della civiltà moderna.

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Da segnalare, infine, altri due saggi diAntonella Festa, che in LA CHIESA E ILCONVENTO DI SAN BERNARDINO AURBINO riprende e perfeziona il suo pre-cedente intervento al convegno urbinatedel 2004 e in IL PALAZZO DI OTTAVIA-NO UBALDINI A MERCATELLO SULMETAURO porta un nuovo contributo diconoscenza sull’opera di Francesco diGiorgio nel territorio feltresco. Due articoliche segnano un significativo passo avantinel complesso ed articolato studio deinumerosissimi edifici commissionati all’ar-chitetto senese dai duchi del Montefeltro edalle famiglie loro collegate.

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Il quadro critico proficuamente evoluto daiconvegni sopra ricordati e il forte incre-mento di conoscenze sulla vita e sulle operedi Franesco di Giorgio promosso dalla pub-blicazione dei relativi atti, nonché di altristudi in materia, ne consacra con sicurezzae definitivamente la figura fra i grandi mae-stri del Rinascimento italiano.Nessun artista senese ha mai sollevato tantointeresse in così pochi anni. Un periodo che

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inizia con le mostre senesi del 1993 per rag-giungere il suo apice in concomitanza dellecelebrazioni martiniane del 2002 e chemostra nei citati volumi curati da LucianoBellosi, Francesco Paolo Fiore e ManfredoTafuri a corredo di quell’evento espositivouna solida ed irrinunciabile base di riferi-mento per la successiva, sorprendenteesplosione della bibliografia martiniana.Ma dopo quella pregevole iniziativa Siena egli enti senesi preposti alla cultura hannobrillato piuttosto per la loro assenza che peril loro attivismo. Se si eccettuano i conve-gni organizzati dall’Accademia degliIntronati e dalla Soprintendenza ai beniarchitettonici, è emerso solo uno sgradevo-le, ingiusto disinteresse per la figura diFrancesco di Giorgio, al quale emblemati-camente Siena non ha nemmeno dedicatouna via centrale o una piazza importante. Non solo si è lasciato ad altri l’organizza-zione di eventi culturali di altissimo livello,che a Siena non avrebbero certo trovatouna sede inadeguata o improvvisata, manon si è nemmeno cercato di dare un con-tribuito alla serie di iniziative culturali pro-mosse in altre città ed in particolare, conlodevole impegno, ad Urbino. Proprio i convegni organizzati nella capita-le del Montefeltro hanno evidenziato l’im-portanza, non solo culturale, dell’idea di unpercorso martiniano, che lega sinergicamen-te la possibilità di ammirare i prestigiosimonumenti progettati dal maestro senesead una rinnuovata sensibilità per il paesag-

gio naturale, specialmente quando questoappare saldato alle architetture storiche chelo qualificano. Anche Vittorio Sgarbi hasostenuto che il patrimonio più prestigiosodi cui godono città come Urbino e Siena –per altro già insignita della tutela UNESCO- è dato dall’integrazione delle eccellenzepaesaggistiche e di quelle architettonicheche ne esaltano il territorio. Ma si tratta diun patrimonio che deve essere consideratonella sua inscindibilità; che non può rinun-ciare ad una protezione capillare, sistemati-ca e, soprattutto, complessiva, in quantocapace di salvaguardare sia le strutturemonumentali, sia il paesaggio in cui sonostate collocate dalla storia. L’esatto contrario di quanto è successo aMonticchiello, dove un deturpante edingombrante insediamento abitativo è statorecentemente costruito in prossimità dellesuggestive mura trecentesche.Dall’Adriatico al Tirreno, la Toscana,l’Umbria e le Marche sviluppano una formi-dabile offerta di beni culturali, articolata inambito architettonico, urbanistico, musealee ambientale, che tutto il mondo ammiraper la sua unicità, ma che, come hannomostrato i convegni urbinati, devono esserestudiati, protetti e curati con grandissima econsapevole attenzione. Lo richiedono illoro valore intrinseco ed il loro significatostorico, ma non va nemmeno sottovalutatala promozione di quel turismo ‘colto’ che èpotenziale fucina di ritorni economici oggiquanto mai irrinunciabili.

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63Il ritratto di Francesco di Giorgio in una incisione ottocentesca. In calce, lo stereotipo della firma del maestro.

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BIBLIOGRAFIA

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Le traduzioni del “De Architectura” neicodici Zichy, Spencer 129 e Magliabe-chiano II.I. 141

Di Massimo MussiniFirenze, Leo S. Olschki, 2003Voll. 2. Pp. XXIV-673Ingenium, n.6

FRANCESCO DI GIORGIO MARTINI.ROCCHE, CITTA’, PAESAGGI

Atti del convegno nazionale di studio,Siena 30-31 maggio 2002. A cura diBarbara Nazzaro e Guglielmo Villa

Edizioni Kappa, Roma, 2004. Pp. 189.

Nuovi contributi sull’attività pittorica e architetto-nica di Francesco di Giorgio, Enrico Guidoni.Rocche, città e territorio nei trattati di Francesco diGiorgio, Guglielmo Villa. Francesco di Giorgio ela prospettiva: tra sperimentazione e percezione,Umberto Daniele. Il giardino nei trattati diFrancesco di Giorgio ed alcuni esempi senese delRinascimento, Felicia Rotundo.Vedute di città in Francesco di Giorgio e nella pittu-ra senese del tardo Quattrocento, Barbara Nazzaro.Città, fortificazionie paesaggio negli Statuti marchi-giani del secondo Quattrocento, M. MaddalenaScoccianti. Ricerche e rflessioni dalle Marche set-tentrionali. Le fortificazioni roveresche tra Metauroe Cesano, Gianni Volpe. La cittadella antropo-morfa. Francesco di Giorgio a San Costanzo, FabioMariano. Un vuoto progettato: Francecso diGiorgio e la Piazza di Urbino, Federico Gigli.Mondavio: la terra, la rocca e il paesaggio, PaolaRaggi. Influenza martiniana nell’architettura mili-tare di età laurenziana, Carlo Armati. “Francescodi Giorgio a Casole d’Elsa: la torre di Porta ai Frati.Resoconto su un contesto edilizio pluristratificato”,Alessandra Angeloni. Presenza e interventi diFrancesco di Giorgio in Campania, ClaudiaRusciano. Francesco di Giorgio e l’architetturamilitare in area pugliese, Giancarlo de Pascalis. InCalabria sulle tracce di Francesco di Giorgio,Francesca Martorano.

FRANCESCO DI GIORGIO MARTINIALLA CORTE DI FEDERICO DA MON-TEFELTRO

Atti del convegno internazionale di studi,Urbino, monastero di Santa Chiara 11-13ottobre 2001.A cura di Francesco Paolo FioreFirenze, Leo S. Olschki, 2004Voll. 2. Pp. XXIII-708Biblioteca dell’ “Archivium Romanicum”,serie I, 317.

IPremesse La función de la arquitectura comopoética di Joaquìn Ibanez MontoyaIntroduzione di Francesco Paolo FioreIl contesto Michael Mallet, Federico daMontefeltro: soldato, capitano e principe.Massimo Miglio, Federico da Montefeltro elo Stato della Chiesa nel Quattrocento.Angelo Turchini, Sigismondo e Federico.Anna Modigliani, Il consenso interno nellostato di Federico: i capitoli del 1444 conUrbino e Gubbio. Marcello Simonetta,Federico da Montefeltro architetto dellaCongiura dei Pazzi e del palazzo di Urbino.Marinella Bonvini Mazzanti, GiovanniDella Rovere: la fondazione dello Stato di unprincipe nuovo. Concetta Bianca, La presenza degli umani-sti ad Urbino nella seconda metà delQuattrocento. Maria Giannatiempo Lopez,Antefatti al palazzo di Federico: ritrovamenti,ipotesi. C. Luitpold Frommel, Il palazzoDucale di Urbino e la nascita della residenzaprincipesca del Rinascimento. Prassi artistica,trattati e teorie. Luciano Bellosi, Il problemadi Francesco di Giorgio pittore. ClaudiaCieri Via, Disegno e ornamento nell’opera pit-torica di Francesco di Giorgio Martini.Fernando Marìas - Felipe Pereda, PetrusHispanus pittore in Urbino. MatteoCeriana, Ambrogio Barocci e la decorazionedel palazzo Ducale di Urbino. NicholasAdams, Knowing Francesco di Giorgio.Massimo Mussini, Siena e Urbino. Origini esviluppo della trattatistica martiniana.Arnold Nesselrath, Disegni di Francesco diGiorgio Martini. F. Paolo Fiore, Princìpiarchitettonici di Francesco di Giorgio.

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II Origini e fortuna di un linguaggio architet-tonico Mattias Quast, Il linguaggio diFrancesco di Giorgio nell’ambito dell’architetturadei palazzi senesi. Arturo Calzona, LeonBattista Alberti e Luciano Laurana: daMantova a Urbino o da Urbino a Mantova?Daniela Lamberini, Alla bottega delFrancione: l’architettura militare dei maestri fio-rentini. Francesco Benelli, Baccio Pontelli eFrancesco di Giorgio. Alcuni confronti fra roc-che, chiese, cappelle e palazzi. Pietro C. Marani,Francesco di Giorgio e Leonardo. Divergenze econvergenze a proposito del tiburio del duomo diMilano. Roberta Martinis, Francesco diGiorgio e Mauro Codussi: ricezione e assimila-zione del linguaggio all’antica Venezia traQuattro e Cinquecento. Richard Schofield,Girolamo Riario a Imola. Ipotesi di ricerca.Sabine Frommel, Ricerca, immaginazione,malinteso: Francesco di Giorgio e la tipologiadegli edifici residenziali a pianta centrale. PaulDavies, Santa Maria del Calcinaio a Cortonacome architettura di pellegrinaggio.

LA CHIESA E IL CONVENTO DI SANBERNARDINO A URBINO e IL PALAZ-ZO DI OTTAVIANO UBALDINI A MER-CATELLO SUL METAURODi Antonella FestaIn “Quaderni dell’Istituto di Storiadell’Architettura”, nuova serie, fasc. 41(200), pp. 17-38 e fasc. 43 (2004), pp. 89-96.

STUDI PER IL V CENTENARIO DELLAMORTE DI FRANCESCO DI GIORGIOMARTINIa cura di Ferruccio Canali Firenze, Alinea, 2005Pp. 200.

Ferruccio Canali, Francesco di GiorgioMartini, Leon Battista Alberti, Firenze eLorenzo il Magnifico…I progetti per Cortona,terra dei Fiorentini, e il viaggio del 1491.Francesco Quinterio, Quattro secoli di stuccoin Toscana. Manola Bilenchi e CristinaFucecchi, Il pavimento della LibreriaPiccolomini nel Duomo di Siena e l’orizzonteartistico martiniano (1494-1513). Antonella

Cesaroni, Diffusionie mescolanze artistiche nelPiceno rinascimentale: le componenti maianeschee martiniane nella produzione dei Maestri ticine-si “da Carona”. Ferruccio Canali eDomenico Leporini, L’aggiornamento delcastello di Belvedere Marittimo (Cs.), traGiuliano da Maiano, Francesco di GiorgioMartinie Antonio Marchesi (1487-1494).Virgilio Carmine Galati, Francesco diGiorgio e le strutture fortificate della Pugliaaragonese. Considerazioni sulle strutturetipologiche e sul caso emblematico dellacommittenza dei De Monti a Coriglianod’Otranto. Alessandro Ceccherini, I Trattati diFrancesco di Giorgio Martini: contributiper una sinossi tematica delle tipologie tem-plari. Ferruccio Canali e Virgilio CarmineGalati, Appunti e note per una geografiabiografica e trattatistica martiniana.Appunti (Ferruccio Canali, FrancescoQuinterio, Giorgio Zuliani, Adriano GhisettiGiavarina, Roberto Salvaterra) e Recensioni(Enrica Maggiani, Assunta Mingrone eGiorgio Zuliani).

CONTRIBUTI E RICERCHE SU FRAN-CESCO DI GIORGIO NELL’ITALIACENTRALEA cura di Francesco ColocciEd. Comune di Urbino, Urbino, 2006Pp. 377

Marinella Bovini Mazzanti, Il duca Federicoda Montefeltro e gli architetti. Anna RitaVagnarelli, Antefatti del palazzo ducale diUrbino. Pietro Matracchi, Santa Maria delleGrazie al Calcinaio. Il cantiere e la fabbrica.Alberto Mazzacchera, La rocca e il palazzopubblico del duca da Montefeltro. Nuovi docu-menti e riflessioni sulle fabbriche di Francesco diGiorgio a Cagli. Antonella Festa, La commit-tenza feltresca e l’Osservanza francescana. Ipotesisull’originaria forma e funzione della chiesa con-ventuale e mausoleo di san Bernardino inUrbino. Gabriele Muccioli, Mercatello. Ilsegno di Francesco di Giorgio nella terra diFederico edi Ottaviano. Renzo Savelli, Ilmaschio della rocca di Fossombrone: una rilettu-ra dell’intervento martinianao alla luce degliultimi scavi. Roberto Girelli, Il palazzo vesco-

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vile di Fossombrone nella cultura architettonicaurbenate del ‘400. Riferimenti martiniani nellacomposizione della facciata e del cortile. GinoPalloni, Massimo Buratti, Ripensamenti quat-trocenteschi nel disegno dela rocca di Mondavio.Luciano di Loro, La rocca di sant’Ippolito nelsistema difensivo di Federico. Fabio Mariano,Francesco di Giorgio nel Palazzo della Signoriadi Jesi alla luce dei documenti e dei recenti restau-ri. Francesco Allegrucci, Struttura architetto-nica nel contado eugubino nel XV secolo, Il muli-no di Magrano. Janez Hofler, Nuove indaginisulla storia edilizia del palazzo ducale di

Urbino; il primo palazzo dei Montefeltro sullapiazza grande. Giampaolo Talozzi, Francescodi Giorgio nel palazzo ducale di Urbania.Soluzioni strutturali ed analogie architettoniche.Walter Tomassoli, Il rivellino di Costacciaro.

APPARATI: a cura di Francesco Colocci,Architettura di Francesco di Giorgio. Otto foto-grafie di Paolo Monti.Sulle orme di Francesco di Giorgio.Celebrazioni per il V centenario di Francesco diGiorgio.

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Parte I: Esempi di architettura medievale

PremessaLa Banca dati delle facciate del centro stori-co di Siena, realizzata tra il 2004 e il 2006per il Comune di Siena con il finanziamen-to della Fondazione Monte dei Paschi e delComune stesso, è online sul sito delComune sin dall’inizio del 20071. Si trattadi una schedatura storico-architettonica,corredata con una documentazione fotogra-fica, di tutte le facciate visibili dalle stradepiù importanti del centro storico. Neinumeri precedenti di “Accademia deiRozzi”, chi scrive ha presentato prima que-sto suo lavoro in una nota introduttiva2, peraprire poi una serie di articoli relativi aiTerzi della città, nonché alla piazza delCampo. Il primo articolo di questa serie èstato dedicato al Terzo di Città3, mentre il

presente contributo tratterà il Terzo diCamollia.Va sottolineato che questo contributo puresteso su più numeri della presente rivistanon vuole e non può presentare una pano-ramica completa. Come nell’articolo prece-dente, sarà discussa una selezione di faccia-te estremamente ristretta, concentrandosisull’architettura civile e richiamando l’atten-zione su aspetti di interesse particolare e sufenomeni meno noti4. E come nell’articoloprecedente, si è deciso di includere in que-sta scelta anche alcune facciate non scheda-te nella Banca dati. Se le relative 732 schederappresentano tutte le facciate delle arterieprincipali della città5, che rispecchiano latrasformazione del volto di Siena tra il XIIe il XX secolo, è ovvio che anche nelle stra-de di “secondaria” importanza esiste unaricchezza considerevole di edilizia civile,espressione della straordinaria varietà del-

La Banca dati delle facciate delcentro storico di Siena:note sui palazzi nel Terzo diCamollia

di MATTHIAS QUAST

1 www.comune.siena.it, procedere poi via “Servizi Online”. Accesso diretto: http://db.biblhertz.it/siena/siena.xq.

2 Matthias Quast, La Banca dati delle facciate del cen-tro storico di Siena: note introduttive, in: “Accademia deiRozzi”, XV, 2008, 28, pp. 66-75.

3 Matthias Quast, La Banca dati delle facciate del cen-tro storico di Siena: note sui palazzi del Terzo di Città, in:“Accademia dei Rozzi”, XV, 2008, 29, pp. 69-85.

4 È ovvio che anche la bibliografia citata in questaserie di articoli sull’architettura civile nei Terzi è estre-mamente selettiva. Una bibliografia assai esaustiva sul-l’architettura e urbanistica senesi (ma aggiornata solo al2006: cfr. qui sotto, nota 6) si trova allegata alla Banca

dati: http://db.biblhertz.it/siena/sienabib.xq5 Sono state schedate tutte le facciate di via

Camollia, via dei Montanini, via Banchi di Sopra,via Banchi di Sotto, via di Pantaneto, via Roma; viadel Porrione, via di S. Martino; via dei Rossi, piazzaTolomei, via Cecco Angiolieri, via di S. Vigilio e viaSallustio Bandini, Logge del Papa; via di Città, via diStalloreggi; piazza del Campo; via dei Pellegrini,piazza di S. Giovanni, via dei Fusari, piazza Duomo,via del Capitano, via di S. Pietro; i Casati. Inoltre sono state esaminate alcune facciate di parti-colare interesse storico-architettonico, che danno sualtre strade. Si veda Quast, “note introduttive” cit.,pp. 71-72.

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l’architettura senese, da censire in unaseconda fase di schedatura6.In questo articolo sul Terzo di Camollia si èscelto un approccio diverso rispetto all’arti-colo sul Terzo di Città. Mentre lì si proce-deva strada per strada a discutere aspetti diparticolare interesse, il Terzo di Camollia sipresta piuttosto a un’illustrazione per epo-che, proponendo in questo modo una sin-tetica storia dell’architettura civile senese.

Le torri

Via Paparoni. Una rara testimonanza per lacostruzione di una torre resta visibile in via

Paparoni, 5-7 (non schedato; fig. 1)7. Sivedono fino a tre filari di conci di calcarecavernoso (“pietra da torre”) di cui l’ultimofilare è lievemente arretrato, tipica configu-razione della parte terminale delle fonda-zioni. Sopra appare il nucleo interno dellamuratura, un misto di vari calcari, pezzi dimattoni e malta. Possiamo farci un’idea diquant’era massicia una costruzione delgenere; probabilmente si trattava di unatorre gentilizia dei Bandinelli Paparoni, unatorre dai muri chiusi, vale a dire aperti soloper lasciare entrate strette, raggiungibiliattraverso scale esterne, e uscite altrettantostrette ai ballatoi.

L’edilizia residenziale del Duecento: le costruzio-ni di derivazione pisana

Via di Camollia. Il tratto settentrionale del-l’arteria principale del Terzo di Camolliaconserva un notevole numero di edifici, chemostrano una tecnica costruttiva importatada Pisa e frequente nella città soprattuttodurante il XII e la prima metà del XIII seco-lo (figg. 2, 3)8. Questa tecnologia si avvale dipilastri oppure di sezioni di muro paralleletra loro per creare una specie di ossaturacostruttiva, in cui si inseriscono i solaisecondo le esigenze funzionali. A un certo livello di uno dei piani superio-ri, gli elementi portanti della costruzione,vale a dire i pilastri o le sezioni di muro, sicongiungono con archi rinforzanti. Sottogli archi, è possibile prescindere dal murocontinuo e lasciare completamente aperta lacostruzione. Così, i solai dei vani abitativipossono aggettare sullo spazio pubblico,creando i ballatoi. Queste strutture sporgenti sono di solitochiuse da tavolati o a traliccio di legno con

6 Sarebbe auspicabile, infatti, la ripresa dei lavorialla Banca dati, fermi da quando essa è stata presentataall’inizio del 2007. Non solo urge un aggiornamentodelle schede esistenti. Sta per essere definito un proget-to che prevede la schedatura di ulteriori 400 prospetti.Si tratterebbe delle facciate di via di Vallerozzi, via RefeNero, via del Giglio, via Sallustio Bandini, via delMoro, via di Calzoleria, via delle Terme, via Termini,piazza Indipendenza, via di Diacceto, via Franciosa,piazzetta della Selva, Due Porte, pian dei Mantellini,via delle Cerchia, via Duprè. Mentre questo contributo

viene avviato alla pubblicazione, l’autore è impegnatoad avanzare al Comune una proposta di rilancio deilavori (cfr. Quast, “note introduttive” cit., pp. 74-75).

7 Cfr. Klaus Tragbar, Vom Geschlechterturm zumStadthaus: Studien zu Herkunft, Typologie und städtebauli-chen Aspekten des mittelalterlichen Wohnbaus in der Toskana(um 1100-1350), Münster 2003, cat. SI 72; VincenzoCastelli, Sonia Bonucci, Antiche torri di Siena, Siena2005, cat. 8, p. 116.

8 Cfr. Fabio Redi, Edilizia medievale in Toscana,Firenze 1989, pp. 119-124, 134.

Fig. 1 Via Paparoni, 5-7, resti della torre BandinelliPaparoni.

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Fig. 2 Via di Camollia, tracce di costruzioni di derivazionepisana.

Fig. 4 Casa Gori (via dei Termini, 62-68), piano terra. Fig. 5 Un altro scorcio di casa Gori in Via dei Termini.

Fig. 3 Palazzo Bandinelli dei Paparoni (via di Camollia,116; cat. 095).

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tamponamenti9. Al di sopra degli archi rin-forzanti, invece, si alza un muro continuo.I ballatoi però sono destinati a scomparire;come è noto, sin dal tardo XIII secolo ilComune ordina la demolizione delle strut-ture sporgenti nelle strade principali dellacittà e vieta la loro costruzione nella piazzadel Campo. Dal momento che ancora nelXV secolo sono numerosi i ballatoi, ilComune, tramite l’Ufficio dell’Ornato, isti-tuito nel 1413, interviene incessantemen-te10. Oggi, in via di Camollia, le fronti unavolta movimentate dai ballatoi sono sostitui-te da prospetti dai muri continui, e dove essisono lasciati a vista, ci si accorge degli ele-menti verticali della costruzione pisana inpietra calcarea collegati tra loro con archi. Learcate invece sono tamponate da muri dimattoni, a loro volta aperti da finestre ret-tangolari.Questa trasformazione si può osservare nel-l’esempio del palazzo Bandinelli Paparoni(via di Camollia, 116, all’angolo con la

costa Paparoni; cat. 095; fig. 3). Nella primafase costruttiva si alzano due alte arcate dipietra calcarea ad archi acuti, mentre il fian-co, come si vede benissimo lungo la costadei Paparoni, consiste essenzialmente di unmuro continuo, originariamente aperto dauna finestra ad arco della stessa tipologiadegli archi verso la strada principale. Le duealte arcate vengono tamponate con mattoniforse già in epoca medievale, come suggeri-scono le tracce di una bifora inserita alprimo piano superiore. Tra il tardoDuecento e il Trecento, questa fronte vieneallungata verso nord con una facciata dimattoni con grandi aperture ad arco acuto.A differenza delle grandi arcate di pietra cal-carea che mostrano la fronte piatta, lenuove aperture hanno la fronte ricassata,caratteristica dell’architettura civile senesesin dal tardo Duecento. Questo prospettomedievale viene frequentemente stravoltoin età moderna; secondo una evoluta distri-buzione degli interni si creano nuove aper-

9 Negli Effetti del Mal Governo, AmbrogioLorenzetti illustra la costruzione di un ballatoio a gratic-cio. I tamponamenti sono muretti di mattoni intonacati.

10 Si veda la ricerca fondamentale di Petra Pertici, Lacittà magnificata: Interventi edilizi a Siena nel Rinascimento.L’Ufficio dell’Ornato (1428-1480), Siena 1995.

Fig. 6 Casa Gori, piani superiori.

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71La casa Gori e uno degli archi di Via dei Termini ritratti da Arturo Viligiardi nei primi anni del secolo scorso.

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ture, rettangolari, che non rispettano l’assia-lità originaria; con ogni probabilità questanuova facciata era completamente intona-cata, e solo in tempi recenti è stata scrosta-ta per fare riemergere il Medioevo. Il risul-tato è un ibrido che fa leggere frammentaria-mente sia le origini sia la modernizzazione:una facciata “archeologica” - “scientifica”.Una significativa situazione duecentesca si èconservata in via dei Termini. Il primo aspet-to riguarda l’alzato della casa Gori (via deiTermini, 62-68; non schedata; figg. 4, 5, 6)11.L’edificio presenta ancora caratteristiche diderivazione pisana, in quanto le arcate delpiano terra sono così alte che si è inseritoun mezzanino (confrontabili: il palazzoRinuccini in via Cecco Angiolieri, cat. 230;il palazzo in via di Città, 88-92, cat. 27112, eil palazzo in via di Stalloreggi, 51-55, cat.703). Ma sembra che sopra gli alti archi delpiano terra, a differenza di oggi, si fossealzato non un muro continuo ma un ampiologgiato di grandi aperture ad arco, comesuggeriscono il pilastro di pietra calcarea adestra (fig. 6) e un confronto con gli esem-pi appena citati in via di Città e in via diStalloreggi, quasi a continuare l’ossaturacostruttiva, eliminando il muro continuo.L’altro aspetto, invece, e qui si lascia l’argo-mento delle costruzioni di derivazione pisa-na, è legato al grande tema dell’ornato dellacittà: il problema delle strutture che ingom-brano lo spazio pubblico, ostacolano il traf-fico, tolgono luce e aria alle strade. Sono lescale esterne, i banchi dei commercianti, iballatoi e gli “archi” o “ponti” che cavalca-vano le strade: tutte strutture destinate ascomparire sin dal tardo XIII secolo, comesi evince dagli Statuti del Comune.Nonostante i divieti, in via dei Termini sisono conservati alcuni “ponti” notevoli,come i due imponenti “archi” dei Gori, unodei quali inserito proprio nella fronte della

casa omonima13. Strutture che, in sostanza,sembrano risalire al XIII secolo.

L’edilizia residenziale del Duecento: le prime“facciate”

La consapevolezza dell’importanza diun’apparenza dignitosa e omogenea dellacittà porta a una graduale trasformazione,che vede diminuire le strutture sporgenti edemanciparsi l’apparato che chiamiamo fac-ciata14. Il palazzo Tolomei (cat. 723 figg. 7, 8)15,innalzato tra il 1270 e il 1272 sull’arteriaprincipale e sull’allora più importante piaz-za della città, la piazza Tolomei, era, perquel che si può dire oggi, uno dei primipalazzi monumentali costruiti a Siena senzastrutture sporgenti – ballatoi – atte ad osta-colare una visione completa della facciata.Anche se si deve tener conto del fatto chec’erano le tettoie a ogni piano, era comun-que possibile ammirare il paramento mura-rio di pietra calcarea e il decoro scolpitodelle cornici d’imposta e delle bifore (fig. 7):elementi decorativi che cominciano adapparire nelle fronti degli edifici civili solonegli ultimi decenni del Duecento. Investirein una tale opera costosa aveva senso solo sequesta poteva esercitare una sua funzionerappresentativa. Le tettoie invece conserva-no ancora i dispositivi di fissaggio, tra cui, intutti i piani, semplici ganci di ferro a L persorreggere la trave trasversale superiore del-l’apparato, e, ben visibile all’ultimo piano,una cornice gocciolatoio a proteggere la tet-toia. Tali strutture rimangono in uso fino alXVI secolo (si veda la pianta del Vanni);facevano parte addirittura del concetto dellafacciata del palazzo Pubblico, dove eranosistemate sopra le finestre dell’ultimo pianodel torrione.Le stesse osservazioni valgono per una fac-ciata di straordinaria qualità, degna di uno

11 Alberto Fiorini, Siena: Immagini, testimonianze emiti nei toponimi della città, Siena 1991, p. 90.

12 Quast, “note sui palazzi del Terzo di Città” cit.,pp. 70, 72.

13 Fiorini, Siena: Immagini cit., pp. 90, 92.14 Matthias Quast, Per una definizione del concetto di

‘facciata’. L’esempio della Siena medievale, in “Il coloredelle facciate: Siena e l’Europa nel Medioevo”, Atti delConvegno internazionale di studi, Siena, 2-3 marzo

2001, a cura di Francesca Tolaini (Quaderni del CERR,2), Ospedaletto (Pisa) 2005, pp. 79-96.

15 Cfr. Fabio Gabbrielli, Stilemi senesi e linguaggi archi-tettonici nella Toscana del Due-Trecento, in L’architetturacivile in Toscana: Il Medioevo, a cura di AmerigoRestucci, Siena 1995, pp. 310, 318-322; Il PalazzoTolomei a Siena, a cura di Giulio Prunai, GuidoPampaloni, Nello Bemporad, Firenze 1971.

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Fig. 7 Il palazzo Tolomei ritratto da G. A. Pecci alla metà del XVIII secolo.

studio approfondito, in Via dei Montanini,15-19 (cat. 347)16, che presenta tre triforenotevoli al primo piano superiore (fig. 9). Ilparamento murario mostra una squisitaopera di muratura in conci. Come nel casodelle torri gentilizie, nonché delle case torrie ancora dei più antichi palazzi (vedi ilpalazzo Rinuccini o quello Tolomei) lafronte dell’edificio di via dei Montanini ècompletamente rivestita di pietra “torre”. Vi si trovano tutti gli elementi per fissare letettoie in ogni piano (buche e mensole perle travi inferiori, ganci di ferro battuto a L,oppure di pietra per la trave superiore dellatettoia). Ma ci sono interessanti differenzemorfologiche tra il palazzo di viaMontanini e il palazzo Tolomei. Un con-fronto dei ferri di facciata, e questo valeinnanzitutto per gli arpioni da tenda, dimo-stra che la facciata in via dei Montanini,con le forme più eleganti e slanciate, è stili-sticamente anteriore al palazzo Tolomei, icui ferri sono un po’ più massicci e più vici-

ni a quelli del palazzo Pubblico. Lo stesso vale per il dettaglio architettonico.La facciata in via dei Montanini ha formeespressive, piuttosto “arcaiche”, se si osser-va, ad esempio, la forte curvatura del simadell’imposta degli archi; le relative modana-ture del palazzo Tolomei, invece, sono stili-sticamente tardo duecentesche e si avvici-nano a quelle del palazzo del Rettore del S.Maria della Scala degli anni Ottanta (cat.299)17. Se la facciata di via dei Montanini,da questi punti di vista, sembra cronologi-camente anteriore al palazzo Tolomei(1270/72), esiste comunque uno stilemasignificativo che sembra non permettereuna datazione ante 1270. A differenza del palazzo Tolomei, gli archidel palazzo in via dei Montanini hanno lafronte ricassata. Mentre il dorso degli archi è un listello per-fettamente inserito allo stesso piano del para-mento murario, la fronte dell’arco stesso sitrova a un livello lievemente più profondo.

16 Cfr. Gabbrielli, Stilemi cit., pp. 310, 325; Tragbar,Vom Geschlechterturm zum Stadthaus cit., cat. SI 53.

17 Cfr. Gabbrielli, Stilemi cit., pp. 318-326.

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Fig. 8 Palazzo Tolomei (cat. 723), particolare.

Fig. 9 Via dei Montanini, 15-19 (cat. 347), particolare.

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Dal punto di vista dello sviluppo morfo-logico degli archi, quindi è stato fatto unpasso che avvicina la facciata di via deiMontanini al citato palazzo del Rettore,anni Ottanta, tra i primi esempi che pre-sentano la ricassatura della fronte degliarchi. Anche il palazzo Tolomei mostra lafronte degli archi allo stesso livello delparamento murario. La datazione ipoteti-ca del palazzo di via dei Montanini oscil-lerà, quindi, tragli anni Settantae Ottanta delXIII secolo. La sua facciata,nell’insieme, simostra all’avan-guardia, se siconsidera la solu-zione degli archi,ma conserva fortielementi tradi-zionali, come ilparamento mu-rario completa-mente rivestitodi pietra e lamorfologia deiferri e delle mo-danature.N a t u r a l m e n t eanche questa fac-ciata ha subitoi n n u m e r e v o l itrasformazioni,tra cui menzio-namo solo l’in-tervento cinque-centesco che tra-sforma la primafinestra trifora inuna bifora rinascimentale, sostituendo ledue colonnine medievali con una sola diordine tuscanico.

L’edilizia residenziale intorno al 1300

Il completo rivestimento di una facciata inpietra calcarea viene dichiarato obsoleto dal

palazzo Pubblico (cat. 132), dove tale para-mento murario rimane solo a segnare ilpiano zoccolo, oramai un’allusione, unricordo e un omaggio al passato delle torri.La facciata “moderna” trecentesca si avvaleinnanzitutto del mattone; tra i primi grandipalazzi rappresentativi costruiti di mattonisul finire del Due-cento figurano il palazzodel Rettore del S. Maria (cat. 299) e il cosid-detto palazzo Lombardi, davanti alla Co-

starella in via diCittà (cat. 258,450). Un eccellen-te esempio perl’alto livello del-l’architettura civi-le senese raggiun-to intorno al1300, anche nelledimensioni conte-nute dell’ediliziaresidenziale, è ilpalazzetto in via diCamollia, 151-153(cat. 107; figg. 10-13). Il suo pro-spetto impressio-na per la relativacompletezza deglielementi ancoraconservati e per laqualità dei mate-riali e la loro lavo-razione, che è allastessa altezza diquella del palazzoPubblico. Vengo-no utilizzati per ilparamento mura-rio mattoni arrota-ti e graffiati a

spina di pesce (fig. 11)18. La tipologia delleaperture e degli archi è diversificata. È pres-soché completo l’apparato dei ferri di fac-ciata; mancano solo gli erri nei piani supe-riori, di cui si vedono ancora i piccoli buchinella muratura dove erano ancorati. Inoltre,grazie alle varie tracce del fissaggio delle tet-toie, e grazie agli arpioni sulle cornici d’im-

Fig. 10 Palazzetto in via di Camollia, 151-153 (cat. 107).

18 Cfr. Fabio Gabbrielli, Murature senza intonaco nellefacciate senesi in laterizi del Medioevo, in Il colore delle fac-

ciate cit., pp. 101-118: 109.

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posta (a pianoterra) o poco al di sotto diesse (ai piani superiori), che servivano adappendere le tende esterne, è possibile rico-struire l’apparato della facciata, di cui si ègià parlato, comune nell’edilizia civile del

tempo (fig. 11). Per concludere questaprima parte di esempi medievali, si menzio-na una facciata del tutto eccezionale nelpanorama dell’architettura civile senese delDuecento e Trecento. Si tratta della partecentrale del prospetto del palazzo Rossi,comunemente chiamato Bichi Ruspoli, invia Banchi di Sopra, 54-60 (cat. 021; figg.14,15)19, situata tra due torri e completa-mente rivestita a bugnato di arenaria gialla.A Siena, esistono solo quattro esempi para-gonabili: i palazzi Spannocchi (cat. 028), diS. Galgano (cat. 519), Del Vecchio Accarigiin via Banchi di Sopra, 37-43 (cat. 015), eTodeschini Piccolomini (cat. 047 e 495),tutti di derivazione quattrocentesca fioren-tina. La critica colloca la facciata del palaz-

Fig. 11 Palazzetto in via di Camollia, 151-153, particolare.

Fig. 12 Palazzetto in via di Camollia, 151-153, prospettoattuale (disegno Dieter Quast).

Fig. 13 Palazzetto in via di Camollia, 151-153, con rico-struzione dell’arredo di facciata medievale (disegno DieterQuast).

19 Cfr. Matthias Quast, Il palazzo Bichi Ruspoli giàRossi in via Banchi di Sopra: indagini per una storia della

costruzione tra Duecento e Settecento, in BSSP, CVI, 1999,pp. 156-188.

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Fig. 14 Palazzo Rossi Bichi Ruspoli, particolare.

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zo Rossi tra il Trecento e il Cinquecento. Ci sono però buoni motivi per datarla nellaprima metà del Trecento.1. Un’analisi del rivestimento a bugnato loallontana dagli esempi senesi paragonabilie lo avvicina ad esempi fiorentini. Le bugnedel palazzo Rossi presentano un nastrino sututti e quattro i lati, lavorazione questausuale nel Duecento e Trecento fiorenti-no20. Tra essi, il palazzo Dovizzi Davanzati,datato intorno alla metà del XIV secolo, e ilpalazzo Vai, che fa parte di un gruppo col-locabile nei decenni tra il 1350 e il 138021,mostrano al pianterreno un bugnato concaratteristiche moltosimili a quelle delpalazzo Rossi: bugnepiane di dimensioniassai varie, con gli spi-goli smussati e unnastrino tutt’intorno albugnato. Questo con-fronto fornisce unprimo elemento infavore di una datazionedella facciata del palaz-zo Bichi intorno allametà del XIV secolo.2. Le aperture ad arco“senese” al piano terra(fig. 15) e a bifora neidue piani superiori,collegate tra di loro dadoppie cornici all’al-tezza dei davanzali edelle imposte, rappre-sentano una configura-zione comune nell’ar-chitettura civile senesea partire dagli ultimidecenni del XIII secolo, soprattutto nelXIV e ancora per tutto il XV secolo. Le bifo-re sono state ridotte ad aperture rettangola-ri, ma i resti dei timpani che si trovano trale nuove aperture rettangolari e la chiavedegli archi acuti permettono la ricostruzio-ne delle aperture originali. Sono le moda-

nature delle doppie cornici orizzontali che,dove ancora leggibili, risultano chiaramentemedievali, stilisticamente addirittura piutto-sto tardo duecentesche o primo trecente-sche, confrontabili infatti con quelle delpalazzo Pubblico. Dal punto di vista stilisti-co non sono rinascimentali, perché nonposseggono lo slancio elegante che caratte-rizza le cornici quattrocentesche.3. Nel timpano del primo arco al piano terraspicca lo stemma dei Rossi con due barreorizzontali e il Capo d’Angiò a bassorilievo(fig. 13). Menzionato all’inizio del XVI seco-lo dal Tizio e poi nel 1731 dal Pecci, sembra

comunque parte origi-nale della facciata.Risulta scolpito nellastessa pietra arenariagialla ed è perfettamenteinserito nella muraturadell’arco.4. Il pianterreno conser-va ancora un ricco arre-do di ferri di facciata iquali, come si evincedal loro perfetto inseri-mento nel paramentomurario, fanno partedella costruzione origi-naria. Arpioni da caval-lo a campanella si trova-vano in ogni pilastro; diessi si è conservato soloquello sul primo pila-stro. La forma, ladimensione e la decora-zione risultano tipichedella prima metà delTrecento; paragonabilisono gli arpioni a cam-

panella del palazzo Pubblico o delle porteinserite nella cinta muraria più recente.Sempre al pianterreno, sopra la corniced’imposta, ai lati di ogni arco, sono fissatiarpioni da tenda a campanella, ancora tuttiin situ (fig. 13). La lavorazione assai elabora-ta di questi ferri permette confronti stilistici

20 Cfr. Anja Eckert, Die Rustika in Florenz:Mittelalterliche Mauerwerks- und Steinbearbeitungstechnikenin der Toskana (Veröffentlichungen der Deutschen

Burgenvereinigung, Reihe A: Forschungen, Band 7),Braubach 2000, pp. 54-55, 67-70.

21 Eckert, Die Rustika cit., pp. 68-69, 197, cat. n. 22.

Fig. 15 Palazzo Rossi Bichi Ruspoli (cat. 021).

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più precisi. Sono meno massici e più slan-ciati di quelli corrispondenti nel palazzoPubblico; assomigliano infatti a quelli dellafacciata del palazzo Sansedoni verso Banchidi Sotto, databili all’inizio degli anni qua-ranta del Trecento.5. Le quattro aperture al piano terra condu-cono in una sala a due campate, divise daun grande arco di sostegno inserito, eviden-temente, in un secondo momento. Le cam-pate sono coperte da volte di mattoni a cro-ciera marcata da costoloni dagli spigolitagliati obliquamente e coronata da unachiave di pietra arenaria gialla. I costolonipoggiano su mensole che nascono diago-nalmente dal muro. Le volte e le mensolesono identiche a quelle visibili nella chiesainferiore di S. Domenico, completata attor-no al 134622.Nel loro insieme, gli elementi riportati inquesta sintetica analisi avvalorano una data-zione della facciata al Trecento. Alcuni diessi, come gli arpioni da tenda a campanel-la e la volta della sala d’ingresso indicanoaddirittura una datazione negli anniQuaranta del XIV secolo e quindi neglianni che precedettero la peste del 1348.

Come committente sembra pensabileBindoccio di Latino de’ Rossi, ricco ban-chiere e operaio dell’Opera dellaMetropolitana di Siena al tempo in cui siideò l’irrealizzabile progetto del DuomoNuovo23. Lo stesso Bindoccio di Latinoaveva, tra l’altro, una funzione di mediato-re nella costruzione del palazzo Sansedoni.Appare come uno dei firmatari nel notocontratto stipulato nel 1340.L’eccezionalità della facciata viene ulterior-mente sottolineata dal fatto che mancaqualsiasi traccia d’inserimento di tettoie, inuso comune, come detto, nell’edilizia civi-le, anche monumentale, fino al XVI secolo(si veda sopra, palazzo Tolomei).L’importante passo verso la facciata“moderna” potrebbe essere motivato dal-l’introduzione delle finestre di vetro, docu-mentata a partire dal 1310 nel palazzoPubblico24, che, perfezionando la protezio-ne delle aperture, nel caso del palazzo deiRossi indusse alla rinuncia delle tettoie alprimo piano superiore.

Seguirà nel prossimo numero la parte relativaall’età moderna.

22 Cfr. Hans Teubner, in Die Kirchen von Siena, vol.2.1.2, Oratorio della Carità - S. Domenico, a cura diPeter Anselm Riedl e Max Seidel, München 1992, pp.493-494, e vol. 2.2, figg. 555-557.

23 Bindoccio di Latino de’ Rossi viene menzionatonella sua qualità di operaio nell’Archivio dell’Operadella Metropolitana di Siena, Entrata e uscita, 172(624), 1° gennaio – 4 aprile 1324, e 178 (331; A.7; 6), 1°luglio 1339 – 30 giugno 1340 (Stefano Moscadelli [acura di], L’ Archivio dell’Opera della Metropolitana diSiena: Inventario. München 1995, p. 142).

Si veda anche Andrea Giorgi e Stefano Moscadelli,Costruire una cattedrale: L’Opera di Santa Maria di Sienatra XII e XIV secolo (Die Kirchen von Siena, Beiheft 3),München 2005, p. 255.

24 Si vedano Scipione Borghesi e Luciano Banchi,Nuovi documenti per la storia dell’arte senese, Siena 1898,pp. 114-115, 381-382, 394-395, 400, 402; PalazzoPubblico di Siena: Vicende costruttive e decorazione, a curadi Cesare Brandi, Cinisello Balsamo (Milano) 1983,doc. 175, 204, 312, 316, 398.

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Indice

GIUSEPPE INGAGLIO, “Un misto di forme senesi-pisane-siciliane”Testimonianze della cultura artistica toscananella Sicilia del 300: esempi pisani e senesi . . . . . . . . . . . . . pag. 3

ROBERTO FONDI E MARIO TANGA, Il Fisiocritico Ambrogio Soldani nel secondo centenario della morte . . . pag. 9

NICCOLA ULACACCI, Un viaggio erudito inToscana alla fine dell’Ottocento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 12

MARIO DE GREGORIO, Tutta un’altra storia.Un’aspra polemica tra Rozzi e Intronatia metà Settecento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 25

ROBERTO BARZANTI,La Chigiana di Siena . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 41

GUIDO BURCHI, Giulio Neri,un basso senese sui palcoscenici del mondo . . . . . . . . . . . . » 49

ETTORE PELLEGRINI, Francesco di Giorgio Martinia 500 anni dalla scomparsa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 53

MATTHIAS QUAST, La Banca dati delle facciatedel centro storico di Siena:note sui palazzi nel Terzo di Camollia . . . . . . . . . . . . . . . . . » 67