temi ivili dell’immigrazione libertàcivili bimestrale di ... · esistono i razzisti. bisogna...

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In questo numero interventi di: Franco Ferrarotti

“Non esistono le razze, il cervello degli uomini è lo stesso.Esistono i razzisti. Bisogna vincerli con le armi

della sapienza”

Rita Levi-Montalcini2008

NEL PROSSIMO NUMERO

I colori del welfarePianeta GiustiziaPrimo Piano /

Gianluca BascheriniAntonello CiervoNatascia MarcheiRaffaele Miele

Paolo Morozzo della RoccaPaolo PomponioLuisa ProdiAndrea Romano

BIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

BIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

Realizzato con il contributo del Fondo Europeo per l’Integrazione dei cittadini di Paesi terzi

Esec_Copertina01/12.qxd 11-04-2012 14:46 Pagina 1

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BIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

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libertàciviliRivista bimestrale del dipartimentoper le Libertà civili e l’Immigrazionedel ministero dell’Interno

Piazza del Viminale 1- 00184 Romatel. 06 46525869fax 06 4827209segreteriaredazione@libertacivili.itwww.libertacivili.it

Comitato scientifico

Presidente Enzo CheliVice presidente emerito della Corte costituzionale

ComponentiVincenzo CesareoProfessore emerito di Sociologiagenerale - Università cattolica del Sacro Cuore - Milano

Mario GiroResponsabile per le relazioni internazionali Comunità di Sant’Egidio

Antonio GoliniProfessore emerito, già ordinario di Demografia - “Sapienza” università di Roma

Angelo MalandrinoPrefetto - Autorità responsabiledel “Fondo europeo per l’integrazione di cittadini di Paesi terzi” 2007- 2013

Mario MorcelliniPreside della facoltà di Scienzedella comunicazione - “Sapienza”università di Roma

Riccardo Compagnucci Prefetto - vice capo dipartimentovicario per le Libertà civilie l’Immigrazione

Serenella RavioliResponsabile ufficio comunicazione istituzionale del ministero dell’Interno

Giuseppe RomaDirettore generale CENSIS

Direttore editorialeAngela PriaPrefetto - capo dipartimentoper le Libertà civilie l’Immigrazione

Direttore responsabileGiuseppe Sangiorgi

RedazioneAlessandro GrilliClaudia Svampa

Responsabile organizzativoStefania Nasso

Progetto graficoStudio Francesca CantarelliMilano

FotografieCopertina e pag.36 © Ansa |Ettore Ferrari;pag.10 -125 © Ansa;pag. 49 © Ansa | Daniele Scudieri;pag.68 © Victims of Memini.coweb site;pag.88 © Ansa | Reuters -ZahidHussein; pag. 93 © Ansa | MartinaCristofani;pag.104 © Ansa | Franco Lannino;pag.130 © Rivista “Gli Stranieri”;pag.152 © Ansa-Epa | Stefan Sauer

CopertinaStudio Francesca Cantarelli

Autorizzazione Tribunale di Milanon. 579 del 18.12.2009Bimestrale - Poste Italiane Spa Sped. in Abb. Post. - D.L.353/2003(conv. in L. 27.02.2004 n.46) art.1, comma 1 DCB Milano

Copyright © 2011 by Ministero dell’Interno

StampaTipografia Iprint Srl Via Tiburtina Valeria km 18,30000012 Guidonia-Montecelio Roma

Anno IIIPrimo bimestre 2012finito di stampare aprile 2012

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In questo numero interventi di: Franco Ferrarotti

Pianeta GiustiziaPrimo Piano /

Gianluca Bascherini

Antonello Ciervo

Natascia Marchei

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Franco Morozzo della Rocca

Paolo Pomponio

Luisa Prodi

Andrea Romano

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EditorialeSolo un diritto equo è un diritto giustodi Angela Pria 5

L’interventoAbitanti del villaggio e cittadini del mondoIntervista a Franco Ferrarotti 7

La “via giurisdizionale” al riconoscimento dei diritti socialidi Gianluca Bascherini 13

Integrazione e ampliamento dei diritti degli stranieri:il ruolo delle Corti apicalidi Antonello Ciervo 16

L’integrazione sociale degli immigrati nella giurisprudenza europeadi Andrea Romano 23

Il pianeta Giustizia e gli immigrati: numeri, fatti e opinionidi Alessandro Grilli 30

Il sogno finito dietro le sbarredi Alberto Bordi 47

La storia di Talib, quando il carcere non riabilita ma condannadi Luisa Prodi 57

Le donne vittime della violenza, troppi i delitti, troppo poche le penedi Claudia Svampa 64

Respingimenti: i casi e la normativa di Paolo Pomponio 69

La finestra sul mondoBoko Haram, il brand antioccidentale nella scalata ad Al-Qaidadi Claudia Svampa 84

I filippini all’estero: diaspora o fuga?di Stefano Pelaggi 90

EuropaLa giurisprudenza della Cedu sulla libertà religiosa individuale e collettiva di Natascia Marchei 94

Lavoro è integrazione.Orientamenti dall’Europa e programmazione dall’Italiadi Andrea Fama 102

LaborI protagonisti dei mercati di quartiere tra regolari e “vendi e fuggi”di Daniele Pellegrino 106

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CittadinanzaSeconde generazioni e cittadinanza:la disciplina attuale e le esigenze di riformadi Paolo Morozzo della Rocca 116

Minimum media“Gli Stranieri”, dalla carta al web con la stessa missionedi Raffaele Miele 122

ImaginariumDieci star antiviolenza 132

Al via l’Accordo di integrazione fra lo straniero e lo Stato 137

Il IV rapporto European Migration Network:in calo l’immigrazione irregolare in Italia 147

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l grande giurista Ulpiano, prefetto del pretorio sotto l’imperatore Alessandro Severo, ebbe modo di scriverenelle sue Institutiones che il diritto “..est autem a iustitia

appellatum: nam ut eleganter Celsus definit, ius est ars boni et aequi..”.Non c’è giustizia, quindi, senza diritto ed equità.Nell’orazione Pro Sestio Cicerone evidenziò con grande semplicitàespositiva, dote tipica delle menti più eccelse, che senza diritto -diremmo noi uomini moderni senza “Stato di diritto” - non esisteciviltà, ma solo barbarie e violenza: “Quello che più differenziaquesto vivere che la civiltà ha affinato, dal viver barbaro di un tempo, è il diritto nell’uno, la violenza nell’altro. Se non vogliamo usare l’una delle due cose, dobbiamo usar l’altra.Se vogliamo che la violenza scompaia, deve prender vigore il diritto…”1.Tuttavia, non è sufficiente che uno Stato abbia le sue leggi, ancorché siano in grado di assicurare un elevato grado di certezzaalle regole del viver civile e nonostante siano legittime in quantoadottate nel rispetto delle norme costituzionali; i romani avrebberodetto nel rispetto dei “mores maiorum rei pubblicae”.È, infatti, anche necessario che quelle leggi siano pensate, scritte e attuate con equità; parola tanto semplice quanto complessa che rimanda a quei principi di ispirazione pretoria individuatidalla nostra dottrina con i termini di “ragionevolezza” e “proporzionalità”.Vorrei al riguardo soffermarmi per un attimo sulla fase di attuazionedella legge, per evidenziare l’indispensabile lavoro che ogni giornola magistratura e le pubbliche amministrazioni, ciascuna per quantoriguarda i suoi ambiti di competenza, svolgono per applicare

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Solo un diritto equo è un diritto giusto

di Angela Pria

1 Atque inter hanc vitam perpolitam humanitate et illam immanem nihil tam interest quam iusatque vis. Horum utro uti nolumus, altero est utendum. Vim volumus extingui, ius valeat necesseest…Cicerone, Due scandali politici - Pro Murena Pro Sestio - par. 92, BUR, Milano, 2001

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Solo un diritto equo è un diritto giusto

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le norme a tutela concreta dei pubblici interessi.A questo livello è quanto mai indispensabile che l’equità ispiri le decisioni di chi è investito di pubblici poteri, perché un lorodistorto esercizio crea piccole o grandi fratture nell’ordinamentogiuridico con conseguenti negative ricadute nella sfera della tuteladei diritti.Ci sarebbero al riguardo svariate tematiche che potrebbero essereapprofondite, finanche nel solo settore dell’immigrazione al quale èdedicata questa rivista che, oramai, è diventata un punto di riferimento nel panorama editoriale sia per le firme prestigiose in essa ospitate, sia per il livello di approfondimento delle questionitrattate.Ritengo, tuttavia, importante ricordare in questa sede il delicatissimolavoro svolto dalle commissioni territoriali per il riconoscimentodella protezione internazionale.In questi uffici, dove quotidianamente rivivono storie di persone che portano addosso i segni fisici e morali delle violenze subite nei propri Paesi di provenienza, o la legge viene applicata con equità oppure essa è destinata a rimanere un vuoto contenitoredi fredde formule giuridiche.La materia dell’asilo è uno degli esempi concreti di come il dirittodebba essere necessariamente un “diritto mite”, o se si preferisce un “diritto equo”, perché sia al contempo un “diritto giusto”.A tutti gli operatori del settore, provenienti dal mondo dell’associazionismo laico e religioso e dalle pubbliche amministrazionidegli enti locali e dello Stato, primi fra tutti gli appartenenti alla carriera prefettizia, spesso impegnati in condizioni logistiche e ambientali non sempre agevoli, va il ringraziamento per questo loro importante lavoro.

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entoAbitanti del villaggio

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Intervista di Giuseppe Sangiorgi

Nella riflessione di Franco Ferrarotti,una analisi severa dei nostri comportamenti riguardo ai problemi legati all’immigrazione e l’invito a dare vita a una forma autentica di cittadinanza attiva e di democrazia partecipata

Professor Ferrarotti, dal punto di vista sociologico che cosavuole dire per un Paese come il nostro registrare in poco piùdi vent’anni l’arrivo di oltre cinque milioni di immigrati?

Mentre potremmo pensare che siamo un Paese anche duro,prendiamo il caso della repressione delle proteste – il generaleBava Beccaris che caricava la folla di manifestanti per il panenelle vie di Milano o la “celere” del ministro Scelba – in realtàsiamo un Paese vulnerabile. Lo siamo per ragioni geofisiche,le migliaia di chilometri di sviluppo costiero, e per l’inefficienzadi un’amministrazione pletorica che soprattutto all’inizio non èstata in grado di sapere quanti immigrati arrivavano, quanti diloro si fermavano. Ancora oggi quando parliamo di clandestinidobbiamo stare attenti ad adoperare questa parola, perchégli immigrati o sono regolari o sono irregolari. Dire clandestini,con il significato potenzialmente anche criminale di una taleespressione, significa che l’amministrazione pubblica, le forzedell’ordine non sono in grado di difenderci: di conoscere equindi di controllare l’afflusso degli immigrati. Non si puòcontrollare ciò che non si conosce. Questo è uno degli aspettimeno noti o meno considerati della realtà del Paese: noi viviamospesso in una condizione di sottoconoscenza dei termini esattidei nostri problemi.

Questo vale a maggior ragione per ciò che riguarda gliimmigrati?

Oggi ci sono in Italia oltre cinque milioni di immigrati. Questiimmigrati lavorano, e lo fanno in zone e in settori nei quali o per

Anche nel rapporto con i temi legati allaimmigrazione,una notazionecentrale riguarda il fatto che noi viviamo spesso in una condizione di sotto-conoscenza dei termini esatti dei problemi che abbiamo davanti a noi

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Intervista a Franco Ferrarotti

difficoltà, o per gravosità, o per nocivitàsulla salute i giovani italiani non voglionopiù stare. Ci troviamo ad avere i bisognidi una società industriale senza avereuna cultura industriale. Il primo dato di unasocietà che dal punto di vista oggettivoe culturale voglia essere considerataindustriale è che tutti i lavori hanno dirittoalla stessa dignità e allo stesso rispetto.

Io critico duramente gli Stati Uniti pertante cose ma dal punto di vista del rispettodel lavoro, manuale o intellettuale che sia,si comportano in modo esemplare. Noiinvece abbiamo ancora questa fratturaspecie nel Sud tra il laureato, il “collettobianco”, e il braccianteagricolo, quello che sisporca le mani. Nellostesso Sud, poi, il lau-reato è “il morto in casa”,quello che aspetta unlavoro che non arriva.La via d’uscita è magariquella di entrare a farparte del giro del par-lamentare locale. Né ilmondo dell’informazioneitaliano è riuscito inquesti anni a dare un’idea chiara, a farcapire per esempio che il nostro calodemografico è compensato quasi per unalegge fisica dall’incremento demografico.

Il vero problema è considerare il feno-meno dell’immigrazione in senso anchelongitudinale. La prima generazione fatutto: scappa dalla miseria, dalla fame,dall’inedia, dalla persecuzione politica,dunque è pronta a tutto. Le seconde gene-razioni no. Quelle già nate in Francia, inInghilterra e oggi in Italia frequentano lenostre scuole, assorbono la nostra cultura,le nostre abitudini. Se è vero quanto affer-mano i demografi, quanto ci dice AntonioGolini, che in Italia nascono ormai 100mila

figli di immigrati l’anno, fra poco tempodovremo fare i conti con una legislazionetragicamente in ritardo con le esigenzefunzionali di questa società.

Perché l’immigrazione agli occhi dimolti più che essere una risorsa vieneconsiderata un problema?

Perché la classe politica, o meglioalcune forze politiche, hanno creato leloro fortune utilizzando la paura deldiverso. È vero, l’immigrato è diverso: hauna lingua diversa, ha una faccia diversa,ha un colore della pelle diverso. E in unPaese come il nostro, che per molto tempo

è stato abitato solo danoi italiani questo fat-tore di eterogeneità –lo straniero! – evocaun pericolo.

È singolare e para-dossale però che unatale percezione siamaggiormente avvertitaproprio in quelle regionie in quelle zone delPaese dove c’è il mag-giore bisogno di lavo-

ratori stranieri. Se gli immigrati di colpoproclamassero uno sciopero totale e sene andassero via chi farebbe funzionarele fonderie del Nord-Est, chi vernicerebbele scocche delle automobili, e potremmocontinuare chiedendoci chi raccoglierebbei pomodori della Campania, le olive dellaPuglia…

L’Italia è un Paese ricco, lo è nonostantela fuga dei capitali, ha una forte strutturaindustriale, detiene il cinque per centodella ricchezza mondiale. Tutto questoperò è avvenuto troppo rapidamente. Tragli anni Cinquanta e gli anni Ottanta delsecolo scorso, nell’arco di una generazionee mezza abbiamo compiuto una rivoluzione

Il primo dato di una societàche dal punto di vista oggettivo e culturale voglia essere considerata industriale è che tutti i lavori hanno diritto alla stessa dignità e allo stesso rispetto

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industriale che in Inghilterra ha richiestopoco meno di due secoli. La conseguenzaè che non abbiamo ancora assimilato ivalori di una società industriale: siamoindustrializzati oggettivamente, ma non dalpunto di vista delle percezioni mentali.Quindi è facile ancora oggi, se non ingan-nare, ipnotizzare gli italiani. Gli schemilogico-mentali-psicologici, in una parolale percezioni, cambiano più lentamenteche non le pratiche di vita immediateche hanno a che fare con i mezzi di sus-sistenza.

È questa percezione che genera più ilsenso di un antagonismo degli immigratiche non quello della loro complementa-rietà nella vita del Paese?

La complementarietà è possibile se laguida politica del Paese dà corso a viedi integrazione non autoritarie, non di unaassimilazione forzata ma che consentanosoprattutto alle seconde generazioni disentirsi italiane. I figli di immigrati chesono nati in Italia oggi, questo è un puntodella discutibile legge Bossi-Fini che vaaffrontato pienamente, vanno nelle scuoleitaliane, parlano la nostra lingua comemediamente la parliamo noi, e però fino a18 anni non possono essere consideratiitaliani. Questo dettato della legge varimosso perché rappresenta un ostacoloall’integrazione.

In Italia vige lo ius sanguinis, non loius soli, anche se in questi ultimi tempiil tema di una modifica alla legge sullacittadinanza è tornato di attualità, grazieanche ai richiami del Presidente dellaRepubblica…

Siamo a Roma, polemicamente potreireplicare che il diritto dello ius soli ènato qui, inventato da Romolo: questodiritto ha reso grande Roma, è Tito Livio

a raccontarlo. Romolo fece due coseimportanti. La prima è di avere reso ilpotere unico, unitario, non ambiguo nellasua essenza, tanto da far dire a Machiavelliche al fondo di ogni legittimità formale cen’è una sostanzialmente violenta: la legit-timità è fondata su un atto di forza. Romanasce così, attraverso un sacrificiocruento di sangue.

Poi occorreva popolarla. E Romoloconcepisce un secondo diritto, quellod’asilo, che diventa il diritto di cittadi-nanza riconosciuto a chi viene a viverein questa città. Roma è formata da unamassa eterogenea di abitanti di ognigenere, schiavi compresi. Ancora nelsecondo secolo dopo Cristo i greciguardavano a Roma e ai suoi abitanticon disprezzo perché li reputavano figlidi gente di malaffare. Ma attraverso loius soli e il diritto d’asilo la città vive diuna molteplicità di esperienze: il caratterepolifonico della Roma antica già definisceil carattere della metropoli moderna. Ilcristianesimo, soprattutto con Paolo, fabase qui perché è da qui che può irra-diarsi attraverso le strutture dell’impero.Pietro, che vorrebbe andarsene, vienefermato dalla voce: quo vadis? L’uni-versalità ha inizio da qui, la Roma diquell’epoca era la New York dei nostrigiorni.

Più volte lei ha richiamato il problemadell’integrazione. Come si fa a orga-nizzarla in modo proficuo dal puntodei vista dei luoghi, degli strumenti edelle politiche necessarie?

La soluzione di questo problemadeve partire da un chiarimento concet-tuale. L’integrazione non è assimilazione,come per esempio hanno creduto ifrancesi. Il risolino di Sarkozy rispettoall’Italia rispecchia il loro concetto della

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soprattutto nella scuola, una culturaconcepita come condivisione di espe-rienze e di valori diversi, compresi il mododi pregare, di mangiare, di cucinare: unacultura che parta dalla quotidianità di ciòche si convive.

E il secondo tratto necessario peruna politica d’integrazione?

È la cittadinanza. Un concetto di citta-dinanza che non la renda esclusiva mainclusiva, transculturale, polifonica, plurale,polisemica, poliformica: è necessaria unanuova e complessa declinazione dellacittadinanza in tutti questi aspetti. Il puntoè che la classe dirigente politica italianae gli intellettuali italiani appaiono profon-damente estranei a questo passaggio eforse incapaci persino di concepirlo,mentre l’urgenza di ciò che accade

Francia. Loro sono stati fulminati dallaimpostazione filosofica di Cartesio, chiara,distinta, nella quale non c’è il titubareitaliano ma nella quale c’è anche lasolitudine totale del soggetto, il suoindividualismo. Noi siamo agli antipodi.

Allora che fare? La mia risposta è:primo, assimilare sì ma non forzatamente.Occorre farlo con un atteggiamentonuovo rispetto a due temi di fondo.Innanzitutto una cultura intesa noncome un insieme peculiare di cognizioniintellettuali e di valori tipici di un certocontesto storico e quindi non esportabili.Solo gli americani sono talmente ingenuida ritenere di poter trasferire ad altri laloro democrazia. I veri valori sono radicatistoricamente e non sono né esportabiliné negoziabili. È necessario quindi unnuovo concetto di cultura, da far valere

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preme, le seconde generazioni stannonascendo o sono già nate.

I giovani figli di immigrati sono il puntocentrale del problema. Il rischio è che,privi della loro cultura d’origine, si sentanorespinti dalla cultura del Paese in cuisono nati, costretti avivere in una sorta dilimbo, restare a metàdi una parete: unasituazione che nonpuò protrarsi a lungo,una appartenenza difatto che non vienericonosciuta sul pianodel diritto.

La scuola è in questosenso un luogo crucialedi integrazione. Chi sisente discriminato non perché non sa lecose, ma solo perché non ha le giusteconoscenze, esploderà con una rabbiaincredibile. Perciò dobbiamo concepireuna forma di cittadinanza attiva, unademocrazia partecipata che realizzi ildettato costituzionale dell’eguaglianzadelle condizioni. Umberto Bossi diceoggi nel suo linguaggio semplificato ciòche il movimento Comunità di AdrianoOlivetti affermava con analisi sofisticatetanti anni fa: bisogna legare la territoria-lità alla globalità. Per usare un termineletterario bisogna essere abitanti delvillaggio e cittadini del mondo.

Al fondo dei problemi dell’immigra-zione nel nostro Paese c’è dunqueun problema di consapevolezza e dielaborazione culturale…

È così. C’è bisogno di ritrovare ilgusto della comparazione tra le culture,dobbiamo renderci conto che il processostorico che un tempo era diacronico oggiè diventato sincronico: tanti fenomeni

si manifestano contemporaneamente enon più in sequenza temporale. Non cisono le culture dominanti. Anche il temareligioso entra in questo gioco di rapportie di confronto culturale. Ci sono le religionidella salvezza, quelle del mondo anglo-

sassone e protestante,legate all’individuo, chetendono a colpevoliz-zare il povero, il debole,e c’è la religione dellafraternità, mediterra-nea, francescana checonsidera invece l’altrocome un fratel lo eafferma la solidarietàcontro l’individualità.In termini sociali lasituazione italiana po-

trebbe diventare di qui ad alcuni annianche più esplosiva di quanto è avvenutonelle periferie di Parigi e di Londra. Staa noi evitarlo realizzando il necessarioprocesso dell’integrazione.

Un punto nevralgicoriguarda i giovani di seconda generazione.Il rischio è che privi ormai della loro cultura d’origine si sentano respinti dalla cultura del Paese in cui sono nati e vivono

Indicatore del livello di civiltà di un Paese,lo stato della giustizia è un riferimento cruciale anche per rilevare la condizione della immigrazione. Perciò proponiamo questo Primo piano, che muove da un’analisi della giurisprudenza delle Alte Corti italianeed europee: rispetto a una legislazione a volte ondivaga, le loro sentenze fissano oggi i cardini del processo di integrazione nel Paese

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due lavori di Antonello Ciervo e Andrea Romano chepresentiamo di seguito illustrano alcuni itinerari giurispru-denziali in materia di diritti civili e sociali degli immigrati

e delle loro famiglie caratterizzanti le Corti apicali italiane edeuropee: Corte costituzionale, Corte di cassazione e Consigliodi Stato, da una parte e, dall’altra, Corte europea dei dirittidell’uomo (Cedu) e Corte di giustizia delle Comunità Europee.A fronte di una normativa sempre più ampia, non di radoframmentaria e farraginosa nella sua applicazione, e marcatada un accentuato sbilanciamento delle politiche migratoriesul versante dei controlli e della repressione dell’irregolarità,i problemi legati alla presenza immigrata trovano infattisempre più spesso una efficace risoluzione davanti alleautorità giudiziarie.

Senza alcun dubbio, sono soprattutto i giudici di primaistanza ad accordare agli stranieri una serie di garanzie e didiritti non facilmente desumibili dalla lettura dei testi normativi,tuttavia è da registrare come negli ultimi anni anche le supremeCorti italiane ed europee abbiano notevolmente ampliato lospettro delle tutele accordate agli immigrati extracomunitari,contribuendo in maniera determinante a disegnare lo statutogiuridico dello straniero.

Si è scelto di concentrare l’attenzione sulla giurisprudenzain tema di integrazione degli immigrati – rinviando magari asuccessivi contributi l’esame delle sentenze riguardanti piuttostol’ingresso degli immigrati e i dispositivi di repressione dell’irre-golarità migratoria – nella convinzione che sia proprio questa

La “via giurisdizionale”al riconoscimento dei diritti sociali

di Gianluca BascheriniRicercatore in Diritto costituzionale - “Sapienza” università di Roma

Le sentenze in materia di integrazione delle Cortiitaliane ed europee hanno contribuito a ridefinirela platea dei titolari dei diritti e il loro contenuto,mettendo in discussione le costruzioni tradizionalianche in tema di cittadinanza e democrazia

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La giurisprudenza italiana ed europea in tema di integrazione

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tipologia di controversie che meglio esprime le trasformazioniintervenute nelle dinamiche migratorie negli ultimi vent’anni.Sono infatti le conclusioni e gli itinerari argomentativi di questedecisioni (riguardanti ad es. i diritti in tema di vita familiare,istruzione, salute, alloggio, previdenza e assistenza sociale)che testimoniano vividamente la natura oramai strutturale dellapresenza immigrata, non più legata a contingenze economichee umanitarie, e che allo stesso tempo evidenziano i mutamentiche tale presenza sollecita per quanto concerne, da una parte,titolari e contenuti dei diritti fondamentali e, dall’altra, i rapportitra il riconoscimento e la tutela di questi diritti e l’idea stessadi cittadinanza.

Se infatti è oramai un dato acquisito dalla cultura giuridicache titolari dei diritti fondamentali siano non solo i cittadini di unoStato, ma anche gli stranieri presenti nel suo territorio, va ancherilevato che proprio le controversie in materia di integrazionedegli immigrati hanno contribuito a ridefinire non solo la plateadei titolari di tali diritti, ma anche il novero e il contenuto di questesituazioni giuridiche soggettive.

In tema di diritti sociali, gli itinerari giurisprudenziali quiindagati hanno infatti contribuito a chiarire che vi sono unaserie di “diritti sociali personalissimi” (penso ad es. ai dirittidei minori e al nucleo essenziale del diritto alla salute) che,interessando una qualità essenziale della vita umana, vannoriconosciuti a chiunque, indipendentemente dalla regolarità deltitolo di soggiorno, e che per gli altri diritti sociali è la ragionee la durata della residenza a consentire differenziazioni ditrattamento tra cittadini e non cittadini. Al contempo non si devetrascurare il fatto che le istanze giurisdizionali di riconosci-mento di diritti civili e sociali provenienti da persone immigrateconcorrono a mutarne il contenuto: è di tutta evidenza infattiche tali istanze ridefiniscano l’ambito oggettivo di dirittiquali ad esempio quelli inerenti la salute, l’istruzione e la vitafamiliare.

Le questioni riguardanti i diritti civili e sociali degli immigratie la giurisprudenza cui queste hanno dato luogo si rivelano,in questa prospettiva, un’importante cartina di tornasole dellecapacità di integrazione che gli ordinamenti riescono aesprimere, così come del significato e del valore che oggirivestono il principio di pari dignità sociale, quello di soli-darietà e, soprattutto, quello di eguaglianza.

In questo quadro, le migrazioni pongono sfide di grandeimportanza all’integrazione europea e alle cittadinanze, quellenazionali e quella europea, che si viene articolando entro tale

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La giurisprudenza italiana ed europea in tema di integrazione

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spazio. I conflitti che accompagnano le dinamiche migratorieinterrogano i confini e i contenuti della cittadinanza, li mettonoin movimento, attivando pratiche che mettono in discussionele costruzioni consolidate in tema di cittadinanza, diritti e demo-crazia e fornendo ad esse nuova linfa. Le migrazioni sollecitano,in altri termini, un ripensamento di concetti chiave delle culturegiuridiche europee in materia di cittadinanza e diritti; confermanoche tali elaborazioni non possono venire ingessate in principinormativi immodificabili, ma che al contrario possono aprireimportanti prospettive di sviluppo sul terreno del diritto costi-tuzionale e dei diritti costituzionali qualora se ne approfondiscail contenuto e il significato e se ne ricerchi il fondamento divalore nel confronto e nella dialettica del divenire.

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1. Non è certamente questa la sede per affrontare i motivi dinatura legislativa – e più specificamente amministrativa – cheinducono i migranti a rivolgersi con maggiore frequenza aigiudici al fine di ottenere un ampliamento delle proprie garanziee tutele giuridiche. Quello che si vorrebbe invece sottolineareè il sempre più importante ruolo di razionalizzazione e dicomprensione della normativa migratoria che le Corti apicalisvolgono in questa materia.

Si pensi alle più recenti prese di posizione della Cortecostituzionale, al riguardo: con la sentenza 40/2011, ad esempio,la Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità di una legge dellaregione Friuli-Venezia Giulia (la 6/2006): la disposizione oggettodel giudizio introduceva inequivocabilmente una discriminazionetra i cittadini italiani e i cittadini extracomunitari, per quantoconcerneva l’accesso ai servizi sociali regionali. L’esclusioneassoluta di intere categorie di persone dal godimento di questiservizi, ad avviso della Corte, non risultava rispettosa delprincipio di uguaglianza in quanto introduceva nel tessutonormativo elementi di distinzione arbitrari, ponendosi così inviolazione del principio di uguaglianza.

Nella giurisprudenza in materia, merita un cenno la sentenza432/2005, che – dichiarando incostituzionale la disposizione di unalegge lombarda che disponeva l’esclusione degli stranieri invalidicivili dal diritto alla circolazione gratuita sui servizi di trasportopubblico di linea – ha riconosciuto agli stranieri “in regola” unaprestazione non riconducibile a un diritto fondamentale, ritenendola discriminazione lesiva del principio di pari dignità sociale.

Integrazione e ampliamentodei diritti degli stranieri:il ruolo delle Corti apicali

di Antonello CiervoDottore di ricerca in Diritto Pubblico - Università degli Studi di Perugia

Nel nostro Paese la Consulta, la Suprema Corte e il Consiglio di Stato stanno contribuendo,con una serie di importanti pronunce,a razionalizzare e a facilitare la comprensione della normativa in tema di migrazioni

Le sentenze della Corte costituzionale sono statein questi anni un solido argine contro le forme di discrimina-zione verso i cittadini immigrati

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La giurisprudenza delle Corti apicali italiane sull'integrazione degli stranieri

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Con la sentenza 61/2011, invece, la Corte costituzionale si èpronunciata sulla legittimità di alcune disposizioni di una leggedella regione Campania (la n. 6/2010), che garantivano allepersone straniere presenti sul territorio regionale i servizi sanitaripubblici, anche se non iscritte al servizio sanitario regionale.La Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimitàcostituzionale sollevata, rifacendosi alla sua giurisprudenzaormai consolidata in materia, giurisprudenza in base alla qualelo straniero deve considerarsi titolare di tutti i diritti fondamentaliche la Costituzione riconosce alla persona umana.

Se da una parte, infatti, il diritto alla salute richiede unacompleta ed esaustiva protezione, come aveva affermato lastessa Corte costituzionale nella sentenza 992/1982, in quantocostituisce oggetto di un pubblico servizio del quale l’infermo– cittadino o straniero che sia – ha pieno e incondizionato diritto,dall’altra non possono neppure nascondersi – soprattutto inun periodo di grave crisi economica, quale è quello che stiamoaffrontando in questi ultimi anni – i condizionamenti che conno-tano l’attuazione legislativa di questo fondamentale diritto.

Questo bilanciamento, tuttavia, incontra un limite, non potendoil legislatore non tutelare quel “nucleo irriducibile del dirittoalla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabiledella dignità umana” (così la Corte costituzionale nella sentenza185/1998) e che “deve essere riconosciuto a tutti gli stranieria prescindere dalla loro presenza regolare o non regolare sulterritorio italiano, essendo comunque consentito al legislatoreprevedere diverse modalità di esercizio dello stesso” (Cortecostituzionale 252/2001).

Ma forse la sentenza più interessante di tutte, per lo menotra quelle più recenti della Consulta in tema di diritti civili e diintegrazione degli stranieri, resta la sentenza 245/2011 concui i giudici della Corte hanno affrontato il problema dellacostituzionalità del nuovo articolo 116 del Codice civile, cosìcome modificato dal c. d. “Pacchetto sicurezza” del 2009, perquanto concerne la possibilità per gli stranieri di contrarrematrimonio nel nostro Paese.

La normativa era stata introdotta dal legislatore al fine diridurre il fenomeno dei cosiddetti “matrimoni di comodo”,anche se la Corte ha avuto modo di precisare che i dirittiinviolabili, di cui all’articolo 2 della Costituzione, spettano aisingoli non in quanto partecipi di una determinata comunitàpolitica, ma in quanto esseri umani. La Corte, pertanto, haaffermato che un divieto generale di celebrazione delle nozze,allorché uno dei nubendi risulti uno straniero non regolarmente

C’è un “nucleoirriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana”

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presente sul territorio italiano, rappresenta uno strumento nonidoneo ad assicurare un ragionevole e proporzionato bilancia-mento dei diversi interessi coinvolti, oltre che una violazionedell’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

2. Passando ad analizzare sinteticamente anche la più recentegiurisprudenza della Corte di cassazione in materia, bisognarilevare come il più importante organo giurisdizionale italianosi sia mostrato molto attivo negli ultimi anni, sia sul versantedell’ampliamento del diritto all’istruzione dei minori stranieri,sia per quanto concerne le nuove disposizioni di caratterepenale introdotte con il "Pacchetto sicurezza" nel Testo unicosull’immigrazione.

Per quanto riguarda il primo tema di analisi, bisogna rilevarecome in seno alla Suprema Corte, nel corso del 2010, si siadeterminata una vera e propria frattura giurisprudenziale, perquanto concerne l’interpretazione dell’articolo 31 del Testo unico.Al riguardo, si segnala la sentenza 5856 della I sezione civile,datata 10 marzo 2010, avente ad oggetto l’opposizione a undecreto di espulsione da parte di un cittadino albanese chechiedeva di essere autorizzato a restare temporaneamentesul territorio italiano, al fine di garantire la propria presenza alfianco del figlio in età scolastica e, quindi, ancora minorenne.

La Corte di cassazione, al riguardo, ha elaborato un’inter-pretazione restrittiva della norma in oggetto, stabilendo che leesigenze di tutela del minore che si trovi sul territorio italianoconsentono al suo familiare la permanenza per un periodo ditempo determinato solo se i gravi motivi connessi con lo sviluppopsicofisico del minore concretino una situazione d’emergenza.Con questa decisione, la I sezione civile della Cassazione siè contrapposta a un diverso filone giurisprudenziale dellealtre sezioni civili, che avevano ritenuto ipotizzabile una gravecompromissione del diritto del minore a un percorso di crescitaarmonico e compiuto derivante dall’allontanamento dal territorioitaliano di uno dei due genitori, di fatto svuotando di efficaciail sistema dell’espulsione in via amministrativa.

Proprio di recente, a fronte di questo evidente contrastogiurisprudenziale, le Sezioni unite civili hanno preso parolasulla questione con un’importante sentenza – la 21799/2010 – ehanno formulato un’interpretazione dell’articolo 31 del Testounico alla luce dei princìpi costituzionali. Ad avviso delleSezioni unite, infatti, la soluzione più adeguata per risolverequesto tipo di questioni consiste nel subordinare l’autorizzazionealla permanenza del genitore (o del familiare) irregolare del

Le sentenze della Cassazione in materia di ampliamento del diritto all’istruzione dei minori stranieri e quelle riguardanti le norme penali introdotte dal “Pacchettosicurezza”nel Testo unico sullaimmigrazione

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minore straniero alla ricorrenza del requisito legale della “gravitàdei motivi”, da intendersi questa formula come funzionalmenteconnessa allo sviluppo psico-fisico del minore.

Per quanto concerne, invece, il secondo filone di analisi,quello cioè sulla valutazione dei nuovi profili penali introdottidal legislatore con il “Pacchetto sicurezza” nel Testo unico,bisogna innanzitutto ricordare l’articolo 12, comma 5-bis, cheprevede la condanna alla reclusione da sei mesi a tre anni perchi ceda, anche in locazione, ovvero dia in alloggio a titolooneroso un immobile di cui abbia la disponibilità, a un cittadinostraniero irregolarmente soggiornante nel territorio dello Stato.La prima sezione penale della Corte di cassazione ha comunqueavuto modo di pronunciarsi sulla fattispecie penale in questione,precisando, con la sentenza 19171/2009, che nonostante lanon felice formulazione letterale della norma essa prevedeun’unica ipotesi delittuosa che si concretizza nel momento incui il giudice accerta la sussistenza del dolo specifico da partedell’agente, ovvero il fine di trarre dalla locazione dell’immobilea uno straniero irregolare un ingiusto profitto.

Si deve inoltre segnalare che con la recentissima sentenza4110/2012, depositata il 14 marzo scorso, la sesta sezione civiledella Corte di cassazione ha accolto il ricorso presentato dauna cittadina extracomunitaria, poi divenuta italiana, cui la Cortedi appello di Genova aveva riconosciuto il diritto all’otteni-mento dell’assegno di invalidità civile di cui all’articolo 13 dellalegge 188/1971, solo per il periodo successivo alla data in cuila medesima aveva acquisito la cittadinanza italiana, negandoloper il periodo precedente.

Al riguardo, la Suprema Corte si è rifatta esplicitamente allagiurisprudenza costituzionale intervenuta sull’articolo 80,comma 19 della legge 388/2000 (legge finanziaria per il 2001),che limitava ai soli titolari di carta di soggiorno (ora permessodi soggiorno CE per residenti di lungo periodo) l’accesso auna serie prestazioni sociali che l’articolo 41 del Testo unicosull’immigrazione riconosceva invece ai titolari di permesso disoggiorno di durata non inferiore a un anno. La Consulta, giàcon la sentenza 324/2006 – pur dichiarando inammissibile laquestione – aveva salvaguardato il riconoscimento di questeprestazioni agli stranieri titolari del solo permesso di soggiorno.Invece, con la sentenza 306/2008, la Consulta aveva dichiaratoincostituzionale la normativa in questione nella parte in cuinegava l’indennità di accompagnamento agli stranieri che nondisponessero dei requisiti reddituali stabiliti per la carta disoggiorno. Successivamente la sentenza 11/2009 è tornata

L’intreccio virtuoso tra Consulta e Cassazione su materie di alto profilosociale:matrimoni anche con gli irregolari,assegni di invalidità,ricongiungi-menti familiari

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sulla disposizione citata e la Corte ha rilevato “l’intrinseca irra-gionevolezza” della disposizione la quale, da una parte, disponel’attribuzione di tale pensione se il richiedente non supera uncerto reddito e, dall’altra, per il solo richiedente straniero, esigeil possesso di quel permesso CE il cui rilascio è subordinato alladimostrazione di un certo livello di reddito.

Con la sentenza n.187 del 28 maggio 2010, invece, la Cortecostituzionale ha affermato che, dopo l’entrata in vigore dellanormativa in questione, sarebbe venuta meno l’equiparazioneche originariamente preesisteva fra i cittadini italiani e glistranieri extracomunitari in possesso di regolare permessodi soggiorno.

Si segnala, infine, come proprio di recente, la sesta sezionecivile della Corte di cassazione, in tema di diritto al ricon-giungimento familiare, ha escluso, nella fattispecie concreta,il diritto al ricongiungimento del genitore, atteso che nel corsodella procedura era sopravvenuta la nuova clausola ostativadi cui all'articolo 29, lettera d) del Testo unico, relativa alrequisito della vivenza a carico dei genitori privi di altri figli o dellaimpossibilità di detti altri figli, per gravi ragioni di salute, diprovvedere al mantenimento dei genitori ultrasessantacinquenni.

3. Infine, bisogna segnalare come di recente anche il Consigliodi Stato sia intervenuto in materia di immigrazione, interpretandoin maniera estensiva la legge del 2009 che consentiva la sanatoriadelle colf e delle badanti, già presenti sul territorio italiano e chelavoravano irregolarmente al servizio di molte famiglie italiane.

È stata depositata il 25 febbraio 2011 l’ordinanza con cuil’adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha accolto, in viacautelare, le richieste di sospensione dei provvedimenti delministero dell'Interno che impedivano l’emersione dal lavoroirregolare ai cittadini stranieri già condannati, per mancata ottem-peranza dell'ordine di allontanamento dal territorio nazionale.

La normativa in materia di emersione dal lavoro irregolare,infatti, non consentiva la regolarizzazione di quegli stranierilavoratori che risultavano condannati, anche con sentenza nondefinitiva, compresa quella patteggiata per questo particolarereato. Al riguardo, l’adunanza plenaria prendeva atto dellacomplessità della questione sottopostale e delle connessedifficoltà interpretative, ulteriormente accentuate dal rilievoche è andata assumendo nella giurisprudenza la Direttiva2008/115 dell’Unione Europea che, di fatto, abrogava il reatoin questione.

Il Collegio ha pertanto avuto modo di confermare il favorevole

Significativi anche gli interventi del Consiglio di Stato in materia di immigrazione.Un profilo particolare ha riguardato l’emersione dal lavoro irregolare degli immigrati condannati per mancata ottemperanza all’ordine di rimpatrio

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apprezzamento dei motivi addotti dall’appellante e, quindi, hasospeso in via cautelare il diniego espresso dalla PubblicaAmministrazione alla sanatoria del richiedente.

Sempre nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, inoltre, èpossibile rintracciare un consolidato filone in tema di dirittoall’istruzione: si pensi, per tutte, alla sentenza 1734/2007, aventead oggetto il ricorso di una cittadina thailandese che, ammessaal quinto anno di un istituto tecnico per il turismo, vedeva rifiutarsiil rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di studio. IlConsiglio di Stato, nel dichiarare la fondatezza dell’appello,rilevava che l’interpretazione fornita dall’Amministrazionecompetente risultava assolutamente irragionevole, non soloperché il compimento della maggiore età avviene anche per icittadini italiani prima del completamento degli studi superiori,ma anche perché in questo modo la questura avrebbe impeditoa tutti i cittadini stranieri che, in futuro, avessero fatto richiestadi un permesso di soggiorno per motivi di studio, l’effettivocompletamento degli studi superiori, per la sola ragione diessere diventati maggiorenni.

Si segnala, infine, come di recente il Consiglio di Stato, conla sentenza 959/2012, si sia espresso sul caso di un cittadinoalbanese presente in Italia con regolare permesso di soggiornoper “lavoro subordinato stagionale” valido sino al 21 aprile 2006e che, alla scadenza del permesso, ne aveva chiesto il rinnovomodificandone il titolo in “lavoro subordinato” (non stagionale).A fronte di un rigetto da parte della questura competente, illavoratore si era rivolto al Tar Lazio che gli aveva dato ragione,ma questa sentenza era stata poi impugnata davanti al Consigliodi Stato da parte del ministero dell’Interno.

Partendo da un’interpretazione letterale dell’articolo 5,comma 5 del Testo unico, il Consiglio di Stato è giunto allaconclusione che la norma in questione sarebbe formulata intermini assolutamente generici: in buona sostanza, la sua funzionesarebbe soltanto quella di chiarire che i provvedimenti inmateria debbono sempre basarsi sulla situazione di fatto e didiritto esistente nel momento in cui sono emanati.

Pertanto, ad avviso del Consiglio di Stato, il lavoratore stagio-nale, rientrato nello Stato di provenienza alla scadenza delpermesso di soggiorno, ha diritto di precedenza per il rientroin Italia nell'anno successivo per ragioni di lavoro stagionale,rispetto ai cittadini del suo stesso Paese che non abbiano maifatto regolare ingresso in Italia per motivi di lavoro.

Altri filoni d’attenzione del Consiglio di Stato sono quelli relativi al diritto all’istruzione,e per attivare un circuito virtuoso di ingresso legale nel Paese degli immigratiche hannogià usufruito di contratti di lavoro stagionali

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Riferimenti Bibliografici

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L’integrazione socialedegli immigrati nellagiurisprudenza europea

di Andrea RomanoDottorando di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate

Le sentenze della Corte di giustizia e della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno introdotto percorsi interpretativi originali,della normativa comunitaria, proponendo posizioni articolate, non sempre coincidenti

1. L’analisi della giurisprudenza delle Corti europee in materiadi integrazione degli immigrati rappresenta un’importante occa-sione per valutare l’incidenza della dimensione sovranazionalee internazionale nell’ambito dei processi di tutela dei diritti edi inclusione sociale che si sviluppano oltre lo Stato nazione.

In quest’ambito, i limiti intrinseci del diritto dell’Unione Europeae del sistema Cedu (Convenzione europea dei diritti dell'uomo)

nell’avviare dinamiche di integrazione sociale,non hanno impedito alle Corti di Lussemburgoe di Strasburgo di intraprendere percorsioriginali lungo terreni non sempre coincidenti.Poiché le sentenze della Corte di giustiziadell'UE e della Corte europea dei dirittidell’uomo offrono uno scenario piuttostoarticolato e difficilmente inquadrabile secondoun’ottica sistematica, anche in considerazione

delle differenze strutturali e finalistiche che intercorrono tral’ordinamento comunitario e quello facente capo alla Cedu,sembra preferibile approcciarsi al tema indicando i principalifiloni giurisprudenziali in base ai quali ci si possa interrogareriguardo al ruolo delle Corti sovranazionali nella promozione deiprocessi di integrazione degli immigrati nello spazio europeo.

2. Un primo aspetto che si lega tradizionalmente all’integrazionedegli individui nei tessuti della società riguarda la tutela deidiritti sociali i quali, pur essendo connessi strutturalmente alladimensione statale, sembrano trovare respiro anche in alcuni

Il complesso aspetto della incidenza della dimensione sovranazionale e internazionalenei processi di tutela dei dirittidi inclusione sociale dei migranti nei singoli Stati

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ano filoni della giurisprudenza europea. La garanzia delle prestazioni

sociali nei riguardi degli immigrati, per cominciare, ha avuto uninteressante sviluppo nel sistema Cedu: infatti, pur in assenzadi norme della Convenzione in quest’ambito, la Corte Edu,attraverso una lettura integrata dell’articolo 14 (principio dinon discriminazione) con l’articolo 1 del Protocollo n.1 (tuteladella proprietà), ha riconosciuto il carattere discriminatoriodell’esclusione dal godimento delle prestazioni sociali basatasulla nazionalità. I giudici di Strasburgo hanno così stabilitoche le prestazioni sociali rientrano nell’ambito dei “dirittipatrimoniali” tutelati dall’articolo 1 Prot.1 (Gaygusuz c. Austria,1996) e non possono essere precluse in ragione della nazio-nalità, a prescindere dal carattere non contributivo delle stesse;in particolare, il diritto alle prestazioni sociali è stato riconosciutoladdove era stato negato dalla Corte di giustizia (Koua Poirrezc. Francia, 2003).

Sul fronte comunitario, viceversa, il tema della garanziadella sicurezza sociale si è dovuto confrontare con il fatto cheil principio di non discriminazione in base alla nazionalità si èrealizzato in chiave servente rispetto alla tutela della libertà dicircolazione e agli sviluppi del mercato comune. Infatti,

secondo il diritto dell’UE, il divieto di nondiscriminazione in base alla nazionalità siapplica in occasione dell’esercizio dellalibertà di circolazione e non in relazione allec.d. situazioni puramente interne. Con rife-rimento alla sicurezza sociale, la Corte digiustizia ha quindi escluso che la mancataerogazione di prestazioni sociali in favore diprofughi e apolidi – pure ricompresi ratione

personae nel campo di applicazione della normativa comuni-taria sui lavoratori migranti (comunitari) in materia di sicurezzasociale (Reg. CE 1408/71) – costituisse una violazione delprincipio di non discriminazione, poiché essi si trovavano inuno Stato membro in quanto emigrati direttamente dal loroPaese di origine e non come conseguenza di uno spostamentoda uno Stato membro a un altro all’interno dell’Unione Europea(Khalil, 2001). La stessa impostazione si ritrova, del resto, nelRegolamento CE n. 859/2003 che ha esteso ai cittadini deiPaesi terzi regolarmente soggiornanti il principio di parità ditrattamento nell’ambito del regime di sicurezza sociale.

Per converso, un importante filone giurisprudenziale inmateria di diritti sociali nei confronti dei cittadini non comunitarisi è sviluppato sulla base degli accordi di associazione e coope-

Gli interventi della Corte europea dei diritti sul caratterediscriminatorio rappresentato dalla esclusione dal godimentodelle prestazioni sociali acausa della diversa nazionalità

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razione stipulati dall’UE con la Turchia e con i Paesi dell’areamaghrebina (Marocco, Tunisia, Algeria). Ne è sorta una giuri-sprudenza rilevante della Corte di giustizia che, stabilendoche il principio di non discriminazione in base alla nazionalitàcontenuto in tali accordi ha effetto diretto negli Stati membri(Kziber, 1991), ha riconosciuto l’estensione di una serie di diritticonnessi alla condizione di lavoratore migrante, ricomprendendoin essa “tutto quanto si colleghi direttamente o indirettamenteall’esercizio di un’attività di lavoro subordinato” (Wahlergruppe,2003). Questa giurisprudenza ha condotto verso una progressivaequiparazione dei lavoratori stranieri – cittadini dei Paesi con

i quali l’UE aveva contratto tali accordi – aicittadini comunitari: la Corte ha infatti ricono-sciuto il diritto alla parità di trattamento conriferimento all’istruzione (Gürol, 2005), allasicurezza sociale (Sürül, 1999; Otzürk, 2004)e alla materia familiare (Ayaz, 2004); la Corte,inoltre, non ha mancato di offrire una tutelarafforzata nei confronti di questi lavoratoriavverso le espulsioni (Nazli, 2000). Occorre

precisare, tuttavia, che la tutela riservata ai cittadini di questiPaesi (in particolare della Turchia) risulta superiore a quellagarantita ai cittadini di altri Paesi terzi – in particolaredell’Europa orientale – con cui l’Unione ha stipulato accordi.

Ulteriori percorsi giurisprudenziali delle Corti europee in temadi diritti sociali hanno portato a episodiche forme di tutela inrelazione al diritto alla salute, all’istruzione e all’abitazione.

Il diritto alla salute degli immigrati ha trovato ingresso dinanzialla Corte Edu nella misura in cui l’allontanamento dello stranierobisognoso di cure mediche avrebbe potuto costituire un tratta-mento inumano e degradante (articolo 3 Cedu): al riguardo,tuttavia, la violazione dell’articolo 3, sotto il profilo della tuteladella salute, da parte di un provvedimento di espulsione èstata riconosciuta solo in considerazione delle circostanzeeccezionali in un caso (D. c. Regno Unito, 1997) mentre è statanegata nelle altre occasioni (Aoulmi c. Francia, 2006; N. c. RegnoUnito).

Il diritto all’istruzione, è stato oggetto di considerazione daparte del giudice di Strasburgo soprattutto in relazione alleminoranze etniche (v. subito infra).

In ambito comunitario, invece, meritano di essere segnalatedue recenti pronunce “gemelle” della Corte di giustizia, in quantoriconoscono il diritto al soggiorno del cittadino europeo che inprecedenza abbia lavorato nello Stato membro ospitante, e

In base agli accordi UE con Turchia e Paesi del Maghreb la Corte di giustizia ha stabilitola progressiva equiparazionetra lavoratori stranieri e cittadini comunitari

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del genitore (ancorché non europeo) che ne abbia l’effettivoaffidamento, al fine di consentire ai figli di studiare nello stessoPaese, a prescindere dal fatto che essi non siano più lavoratoricomunitari migranti e che non siano economicamente auto-sufficienti. Si tratta di sentenze rilevanti in quanto riconosconoil diritto al soggiorno dei genitori e dei loro figli sulla base deldiritto di questi ultimi a proseguire gli studi così come previstodal Regolamento CE 1612/68 e superando, dunque, il requisitodell’autosufficienza economica richiesto dalla direttiva 2004/38:secondo la Corte, infatti, il mancato diritto dei genitori diaccompagnare il figlio comprometterebbe “l’obiettivo d’inte-grazione della famiglia del lavoratore migrante nella societàdello Stato membro ospitante” (Ibrahim, 2010 e Teixeira, 2010).

Quanto al diritto all ’abitazione può essere qui ri levato unrecente orientamento della Corte Edu che, in assenza didisposizioni convenzionali espresse, ha riconosciuto il caratterediscriminatorio dell’esclusione di un alloggio residenziale auna famiglia di rifugiati, in relazione agli articoli 8 e 14 dellaConvenzione (Fawsie, Sadoun c. Greece, 2011).

3. Un altro aspetto che non va sottovalutato rispetto alledinamiche di integrazione riguarda la lotta contro le discri-minazioni razziali ed etniche, nella misura in cui questapuò rivelarsi un importante strumento nella rimozione dellesituazioni di esclusione sociale. Sotto i l profilo del diritto

dell’UE, la direttiva 2000/43 contiene ladiscipl ina re lat iva a l le discr iminazionirazziali ed etniche (con l’esclusione, tuttavia,delle discriminazioni basate sulla nazionalità).La Corte di Lussemburgo si è di recentepronunciata in quest’ambito, stabilendo checostituisce un comportamento discriminatoriosulla base della razza e dell’origine etnica ladichiarazione di un datore di lavoro di non

assumere lavoratori di un determinato Paese (Feryn, 2008).In ambito Cedu, il divieto di discriminazione nei confronti

degli immigrati ha una portata maggiore rispetto al dirittodell’Unione Europea, in quanto comprende le discriminazionilegate anche alla nazionalità – come segnalato in relazionealla giurisprudenza in materia di sicurezza sociale. Per quantoconcerne il carattere discriminatorio in base alla razza eall ’origine etnica questo è stato riconosciuto dalla Corte indiversi ambiti: in relazione all’esercizio dei diritti politici exarticolo 3 Protocollo n.1 (Aziz v. Cyprus, 2004 e Sejdic and

Lotta contro le discriminazionirazziali ed etniche come strumento per rimuovere le situazioni di esclusionesociale: le pronunce della Cedue della Corte di Lussemburgo

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Finci v. Bosnia and Herzegovina, 2009); con riferimento allalibertà di circolazione, articolo 2 Protocollo n. 4 (Timishevc. Russia, 2009); rispetto al diritto a un equo processo, exarticolo 6 Cedu (Remli c. Francia, 1996; Sanders c. RegnoUnito, 2000; ma v. in senso difforme Gregory c. Regno Unito,1997); con riferimento al diritto all’istruzione per i bambini rom,ex articolo 2 Protocollo n. 1 (D. H. c. Rep. Ceca, 2007; Orsusc. Croazia, 2010).

4. Nell’ottica della tutela e della promozione dei percorsi diintegrazione degli stranieri va senza dubbio rimarcata l’impor-tanza della giurisprudenza sviluppatasi intorno alla protezionedei diritti inerenti la vita familiare. Al riguardo è di particolareinteresse la giurisprudenza della Corte di Strasburgo relativaall’articolo 8 (tutela della vita privata e familiare) per l’attenzione

che essa riserva all’integrazione dell’immi-grato nel Paese ospitante. Infatti, secondoun indirizzo risalente, l’articolo 8 dellaConvenzione Edu è stato interpretato comeidoneo a fondare un limite all’espulsione diimmigrati, considerando prevalenti sulleragioni dell’ordine pubblico la presenza distabili relazioni di tipo familiare e socialenel Paese di destinazione (Moustaquim c.

Belgio, 2001). La Corte, pur seguendo un approccio casoper caso, ha elaborato dei principi che basandosi, da un lato,sul grado di integrazione dello straniero nel Paese ospitantee, per converso, sull’assenza di legami con il Paese di origine,la guidano nello stabilire se un provvedimento di espulsionecostituisce una violazione dell’articolo 8 (Boultif c. Svizzera,2001). Di recente, superando una certa prudenza iniziale, la Corteha riconosciuto la violazione dell’articolo 8 in riferimento allasola vita privata, a prescindere quindi dal fatto che lo stranieroavesse una famiglia nel Paese di immigrazione (Silvenko c.Lettonia, 2003 e più recentemente Maslov c. Austria, 2008).

Successivamente a questo filone giurisprudenziale, la Corte Eduha iniziato a interpretare l’articolo 8 nel senso che esso – purnon garantendo un diritto all’ingresso dello straniero (Abdulazizet al c. Regno Unito, 1985) e avendo per lungo tempo consideratoprevalenti le ragioni del controllo sull’immigrazione (Gül c.Svizzera, 1996) – possa essere invocato in determinate situazioniper consentire il ricongiungimento dei figli minorenni dellostraniero (Sen c. Paesi Bassi, 2001; Tuquabo-Tekele c. PaesiBassi, 2005). Tuttavia si tratta di un percorso accidentato in

La giurisprudenza sviluppata sulla protezione dei diritti inerenti alla vita familiare:le sentenze della Corte di Strasburgo in base all’articolo 8della convenzione Edu

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quanto la Corte non riconosce, in forza dell’articolo 8, un dirittoal ricongiungimento familiare.

Una giurisprudenza, quella della Corte Edu sull’articolo 8,a cui costantemente ormai si richiama la Corte di giustizia e che,probabilmente, segna l’ambito ove, in materia di immigrazione,il confronto tra le due Corti è emerso con maggiore evidenza(Carpenter, 2002).

Peraltro se, come visto, la giurisprudenza Cedu si segnalain particolar modo per la tutela della vitafamil iare come l imite al l ’espulsione, inambito comunitario la giurisprudenza dellaCorte di giustizia assume particolare rilievoin relazione all’ingresso e al soggiorno delconiuge extracomunitar io del ci t tadinocomunitario che eserciti il diritto alla libertàdi circolazione, sotto il profilo del diritto alricongiungimento: in quest’ambito, infatti,

l’interpretazione del diritto al ricongiungimento familiare,ancorché legato a un’ottica funzionale rispetto alla libertà dicircolazione dei cittadini comunitari, determina un approfon-dimento della tutela della vita familiare per certi versi superioreall’ordinamento Cedu. In particolare la Corte, superando unsuo precedente orientamento (Akrich, 2003), di recente hariconosciuto il diritto all’ingresso e al soggiorno del cittadinodi un Paese terzo, coniuge di un cittadino comunitario, nelloStato membro in cui quest’ultimo ha esercitato il diritto di liberacircolazione, a prescindere dal previo soggiorno legale delconiuge extracomunitario in un altro Stato membro: in questomodo dunque la Corte ha consentito al familiare extracomunitarioun diritto derivato di ingresso nell’Unione Europea. Altrimenti,afferma la Corte, “se i cittadini dell’Unione non fossero autorizzatia condurre una normale vita di famiglia nello Stato membroospitante, sarebbe ostacolato l’esercizio delle libertà lorogarantite dal trattato” (Metock, 2008).

5. La giurisprudenza della Corte di Lussemburgo in materiadi vita familiare, a ben vedere, sembra ruotare intorno a unconcetto di cittadinanza europea che progressivamente si starivestendo di nuove potenzialità sul terreno della protezione edell’inclusione delle famiglie immigrate. Infatti, oltre alle giàcitate pronunce in tema di famiglia e istruzione (Ibrahim eTeixiera) si segnalano alcune recenti sentenze in cui il giudicecomunitario ha riconosciuto che i diritti connessi allo status dicittadino dell’Unione di un minorenne comportano un diritto

Le pronunce della Cortedi giustizia in materia di vita familiare sembrano ruotare a loro volta intorno a un nuovo e più ampio concetto di cittadinanza europea

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La giurisprudenza europea sull'integrazione sociale degli immigrati

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al soggiorno derivato e a un permesso di lavoro del genitoreanche se questi è cittadino di un Paese terzo (Zambrano, 2011ma v. Chen, 2004 e Rottmann, 2010). Questa giurisprudenzasembra attribuire un significato inedito al concetto di cittadinanzaeuropea in quanto essa, da un lato, mostra un affievolimentodel legame tra la libertà di circolazione – e dunque la sferadei rapporti economici – e lo status di cittadino europeo;dall’altro la stessa, nel declinare una serie di diritti civili esociali a vantaggio delle famiglie immigrate, sia nei confrontidi cittadini comunitari che dei loro familiari extracomunitari,potrebbe essere in grado di dischiudere significative prospettivedi integrazione nei loro confronti.

A. Adinolfi, Il ricongiungimento fami-liare nel diritto dell’Unione europea, inR. Pisillo Mazzeschi - P. Pustorino -A.Viviani(a cura di), Diritti umani degli immigrati:tutela del la famigl ia e dei minori ,Editoriale scientifica, Napoli, 2010

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Riferimenti Bibliografici

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Il pianeta Giustizia e gli immigrati:numeri, fatti e opinioni

di Alessandro Grilli

Nella relazione annuale al Parlamento del Guardasigilli e nelle cerimonie di inaugurazionedell’anno giudiziario nelle Alte corti e nellecorti d’appello, emergono problemi comuni e specificità nel rapporto fra stranieri e giustizia

Anche per il mondo della giustizia l’inizio dell’anno è tradizio-nalmente un momento dedicato ai bilanci e all’analisi delleprospettive future. Tra gli appuntamenti rituali più importantisi devono annoverare la relazione annuale del ministro dellaGiustizia al Parlamento e le cerimonie di inaugurazione dell’annogiudiziario che si tengono nelle Alte Corti giurisdizionali e nellediverse sedi di corte d’appello.

L’analisi che il primo piano di questo numero di libertàciviliintende proporre – un’indagine sugli aspetti del pianeta giustiziache riguardano più da vicino gli immigrati – deve necessaria-mente tenere conto di quanto emerge da questi eventi istituzionali,in cui si offre un quadro dei dati e dei problemi sul tappetoe si discute di possibili evoluzioni e cambiamenti. Abbiamodunque provato a rintracciare i riferimenti al mondo dell’immi-grazione che sono stati proposti in tali occasioni. In particolareci siamo soffermati sulla relazione orale e scritta al Parlamentodel ministro della Giustizia, Paola Severino; sui discorsi inaugu-rali dei presidenti e procuratori generali della Corte di cassazionee dei due principali distretti sede di corte d'appello, Roma eMilano, nonché sulle corrispondenti relazioni scritte relativeall'andamento della giustizia nel corso del 2011 presentate inoccasione delle cerimonie di inaugurazione. Contestualmente,grazie anche ai dati resi noti, abbiamo anche provato a estra-polare qualche statistica, per fotografare coi numeri il rapportofra immigrazione e pianeta Giustizia.

Anticipando una conclusione sintetica, va rilevato comenei discorsi e nei documenti analizzati, oltre ai riferimenti

In questi eventiistituzionali vengono presentati dati e spunti di riflessione sui problemi del sistema e si discute di possibili soluzioni

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specifici al mondo dell'immigrazione, il fatto evidente è chei cinque milioni di stranieri presenti in Italia finiscono conl’avere gli stessi problemi dei nostri connazionali come utentidi un sistema che ha molte “spine”, ben sintetizzate in particolare(ma non solo) nella relazione del ministro della Giustizia alParlamento: la durata dei processi civili e penali, per i qualil’Italia ha collezionato il maggior numero di condanne dellaCorte di Strasburgo e vanta il record di estinzione dei pro-cedimenti per prescrizione (circa 170mila l’anno); il deficit diefficienza degli uffici giudiziari rispetto a una domanda digiustizia nettamente sovradimensionata rispetto alle altredemocrazie occidentali (l’Italia, nel settore civile, è al quartoposto in Europa per tasso di litigiosità, con 4.768 contenziosiogni 100mila abitanti); l’enorme mole dell’arretrato penale ecivile (9 milioni di processi pendenti, 5,5 milioni per il civilee 3,4 milioni per il penale, con tempi medi di definizione paririspettivamente a sette anni e tre mesi e a quattro anni e novemesi); le carenze tecnologiche e organizzative del sistema.

Certamente, però, ci sono aspetti del mondo della giustizia incui la presenza di tanti stranieri incide in maniera particolare.Basti pensare al significativo contributo che la componenteimmigrata dà al sovraffollamento delle carceri – a parere delministro della Giustizia questo è il problema principale delsistema italiano – dove su una popolazione di oltre 66miladetenuti (di cui oltre il 40% in attesa di giudizio) circa il 36%sono immigrati; all’aggravio di lavoro per i tribunali legatoall’introduzione dei reati connessi alla permanenza illegaledello straniero sul territorio italiano; alla criminalità interna-zionale e anche interna.

Giustizia e immigrati i numeriPrima di scendere nel dettaglio, è opportuno provare a

considerare dal punto di vista numerico il peso degli immigratisul sistema della giustizia italiana. Da questo punto di vistavanno distinti tre aspetti: quello della denuncia (relativamenteal settore penale), quello del processo civile o penale nelle aulegiudiziarie e quello della pena carceraria.

Per quel che concerne i delitti denunciati e i procedimentipenali in corso, grazie all’Istat, sappiamo quante sono statele persone denunciate che risultano “nate all’estero” – quindinon necessariamente tutti di cittadinanza straniera – e chesono state sottoposte ad azione penale (ovvero hanno ricevutoun’imputazione formale), rispetto al totale. Si tratta, per il 2009(ultimo anno disponibile), di circa 141mila persone su un totale

Processi lenti e arretrato sono un problema per tutti gli utenti,mentre la presenza straniera ha un riflesso specifico sulla situazione carceraria e sull’aggravio processualedovuto al nuovo reatodi permanenzaillegale sul territorio italiano

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di 607mila, ovvero il 23,2%, uno su quattro; un dato rimastopressoché stabile negli ultimi anni (vedi tabella 1).

(a) La rilevazione è condotta sui reati che sono iscritti nel registro delle procure della Repubblica. I delitti relativisono quelli previsti dal Codice penale e da altre leggi, denunciati alla magistratura ordinaria compresa quella perminorenni. Ai fini statistici, l ’azione penale si considera iniziata sia nel caso di delitti di autori noti quando siprovvede a imputazione formale della persona sottoposta a indagini preliminari, sia nel caso di delitti di autori ignotiquando si dà luogo alla rubricazione del reato nel “Registro ignoti”.

Anni Di autore Di autore Di autore Totale Totale Di cui %noto per noto ignoto nati

cui è archiviati all’esteroiniziatal’azione

penale

Delitti denunciati Persone denunciate per le quali è iniziata

l’azione penale

2006 564.322 574.676 2.146.195 3.285.193 532.972 118.970 22,3

2007 588.118 556.555 2.602.197 3.746.870 555.425 127.331 22,9

2008 607.490 559.665 2.196.164 3.363.319 567.791 133.983 23,5

Anno 2009Nord 243.959 245.197 745.336 1.234.492 222.698 79.421 -Centro 142.254 109.710 527.197 779.161 134.200 37.331 -Mezzogiorno 261.693 252.044 691.610 1.205.347 250.021 24.295 -Italia 647.906 606.951 1.964.143 3.219.000 606.919 141.047 -Estero 605 621 10.371 11.597 682 125 -Totale 648.511 607.572 1.974.514 3.230.597 607.601 141.172 23,2

Fonte: elaborazioni su dati Istat, annuario statistico

Tabella 1. Delitti secondo la modalità di definizione nelle procure della Repubblica e personedenunciate per le quali è iniziata l’azione penale (a) - Anno 2009

Di segno leggermente diverso sono i dati che provengonodalle sole denunce e che prescindono, dunque, dall’effettivoinizio dell’azione penale. In questo caso i dati provengonodalla Polizia di stato e dal Dossier Caritas/Migrantes e riguar-dano le denunce verso autore noto, che nel 2010 sono statecomplessivamente 866.395, di cui il 31,6% (273.948) presentatecontro stranieri (in diminuzione dal 2007 in poi, quando talepercentuale era pari al 35,2%). Il numero di denunce controimmigrati è pari a 6 ogni 100 stranieri residenti, anche questodato in costante calo negli ultimi anni (il valore era 9,5 nel 2004).

Sulla reale rilevanza descrittiva di questi numeri pesa,comunque, il limite rappresentato dalla grande mole di delittidi autore ignoto che, come si evince anche dalla tabella prece-dente, rappresentano ancora il 65% del totale e dunque rendonoimpossibili conclusioni generali.

Per quello che riguarda l’aspetto del processo nell’aula

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giudiziaria, invece, è piuttosto difficile avere un quadro generale.Attualmente, nonostante i passi avanti fatti grazie alla collabo-razione fra ministero della Giustizia e Istat, non sono disponibilidati su quanti procedimenti civili – in corso o conclusi – coin-volgano cittadini immigrati come parti, mentre per il settorepenale sono rintracciabili dati riferiti a singole realtà – adesempio la Corte di cassazione – ma non aggregati e comunquesempre relativi al reato perseguito e non alla persona coinvolta.

Ad esempio, per quanto riguarda la Corte di cassazione,nel settore civile, relativamente all’anno 2011, l’1,2% deiprocedimenti definiti (quindi conclusi) ha riguardato materieconnesse all’immigrazione (espulsione dello straniero, sog-giorno); in valori assoluti si tratta di 382 procedimenti su untotale di 32.948. Nel settore penale, sempre nel 2011, su49.836 procedimenti definiti, 1.357 hanno riguardato reaticonnessi all’immigrazione, con una incidenza del 2,7%. Èinteressante notare come, di questi 1.357 procedimenti, solo 71si siano conclusi con una decisione di annullamento con rinvioalle corti giudicanti; ben 818 sono stati provvedimenti diannullamento senza rinvio, mentre decisioni di inammissibilitàe rigetto hanno riguardato rispettivamente 253 e 192 casi.

Diverso è il discorso sulla popolazione presente nelle carceri,sulla quale il ministero della Giustizia mette a disposizioneuna grande mole di statistiche, sempre costantementeaggiornate. Per un approfondimento riguardo a queste ultime,al successivo articolo di Alberto Bordi.

Il problema carceri e la depenalizzazioneIl tema del sovraffollamento delle carceri, comunque, è

stato uno dei più dibattuti sia nella relazione al Parlamentodel ministro della Giustizia, sia nei discorsi tenuti nell’aper-tura dell’anno giudiziario in Cassazione e nei tribunali diRoma e Milano (con specifico riferimento alla realtà locale).Non a caso, il primo provvedimento in materia di giustiziadel governo Monti è stato proprio il decreto 211/2011 (oraconverti to in legge), r ibattezzato forse frettolosamente“svuotacarceri”, che introduce alcune misure proprio peralleviare la pressione sui nostri istituti di pena, dove a frontedi una capienza di 45mila posti trovano spazio, come ricordatoin precedenza, oltre 66mila detenuti. Fra le misure del decreto:la detenzione prioritaria in abitazione o nelle camere di sicurezzaper gli arrestati in flagranza di reato (nel 2010 oltre 20milapersone sono rimaste in carcere per meno di tre giorni), ildimezzamento da 96 a 48 ore del termine entro il quale deve

Fra i procedimenti definiti nel 2011 in Corte di cassazione,quelli riguardanti materia connesse alla immigrazione sono l’1,2% nel civile e il 2,7% nel penale

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avvenire l’udienza di convalida dell’arresto; l’estensione da12 a 18 mesi della soglia di pena per l’accesso alla detenzionedomiciliare.

Un’emergenza, quella carceraria, che secondo il ministroSeverino

“rischia di travolgere il senso stesso della nostra civiltàgiuridica, poiché il detenuto è privato delle libertà soltantoper scontare la sua pena e non può essergli negata lasua dignità di persona umana”.

In particolare, il Guardasigilli ha sottolineato come

“un uso meglio calibrato della custodia cautelare in carceresarebbe sotto più aspetti benefico per l’amministrazionegiudiziaria e per il sistema carcerario, senza alcunacontroindicazione per la collettività, se è vero che leesigenze di sicurezza possono essere alternativamentegarantite da un ventaglio davvero ricco di opzioni di cuioggi il giudice dispone”.

E nel tentativo di delineare soluzioni ha precisato il suopensiero:

“solo un equilibrato insieme di misure, idonee a coniugaresicurezza sociale e trattamento umanitariamente adeguatodel custodito o del condannato, potrà fornire un seriocontributo alla soluzione del problema. Edificazione dinuove carceri, ma anche manutenzione e migliore utilizzodi quelle esistenti; misure alternative alla detenzione,ma anche lavoro carcerario; deflazione giudiziaria attraversodepenalizzazione di reati bagatellari e non punibilitàper irrilevanza del fatto, ma anche effettività della pena”.

Proprio in tema di possibile (e necessaria) depenalizzazione,troviamo un riferimento alle questioni connesse all’immigrazionenella relazione sull’amministrazione della giustizia dal procuratoregenerale della Corte di Cassazione, Vitaliano Esposito, il qualesottolinea come sia giunto il momento

“di prevedere la trasformazione in illecito amministrativodei reati puniti con la sola pena pecuniaria, con esclusionedi quelli in materia di edilizia e urbanistica, di ambiente,

Il ministro della Giustizia Paola Severino:“un uso meglio calibrato della custodia cautelare sarebbe benefico per la ammini-strazione giudiziaria e il sistema carcerario”

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territorio e paesaggio, di immigrazione, di salute e sicurezzanei luoghi di lavoro, di sicurezza pubblica e con esclusionealtresì delle condotte di vilipendio comprese, nel codice,tra i delitti contro la personalità dello Stato”.

Dunque, secondo Esposito, i reati connessi all’immigrazionenon dovrebbero essere compresi fra quelli da depenalizzare.

Un altro aspetto della questione carceri-immigrati è quellodelle misure alternative, che presenta aspetti problematicinel caso dei cittadini stranieri, come emerge della relazionesull’amministrazione della giustizia nel distretto di corte d’appellodi Milano del presidente Giovanni Canzio. Nel sottolinearepositivamente l’azione del Governo – in particolare la normache facilita la detenzione domiciliare – Canzio non ha mancatodi notare come

“si tratti di una misura alternativa che non riguarda unaquota apprezzabile di detenuti (anche stranieri) privi didomicilio”.

Sulla stessa linea la relazione del presidente della corted’appello di Roma, Giorgio Santacroce, che evidenzia come

“la nuova normativa conferma, nell’impianto e nel dettaglio,la legge 199/2010 e prevede l’intervento del Tribunaledi sorveglianza, che dovrà assumersi la responsabilitàdi decidere, negando l’accesso al beneficio a chi siritiene possa tornare nell’illegalità appena scarceratoovvero (è il caso di molti detenuti stranieri) non sia inpossesso di un domicilio idoneo a trascorrere la parteresidua della pena inflitta”.

Quindi l’effetto di parziale svuotamento delle carceri legatoa questa disposizione non riguarderà, in gran parte, gli stranierisenza fissa dimora che si trovano in prigione.

Si tratta di un problema particolarmente sentito nel distrettodi Milano, nei cui istituti di pena, secondo quanto riportatoanche dall’intervento del procuratore generale della localecorte d’appello, Manlio Minale, risultano presenti 7.389 detenuti(il 44% in attesa di giudizio) dei quali 3.087 cittadini stranieri,con una percentuale pari al 42% che in alcuni casi, BustoArsizio e Milano San Vittore, supera il 60%.

Gli aspetti problematici delle misure alternative al carcere per gli stranieri privi di domicilio

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La giustizia minorile e gli stranieriUn aspetto particolare su cui si è soffermata il ministro

Severino nella sua relazione è quello della giustizia minorile,sia con riferimento ai reati commessi sia riguardo alla situazionenegli istituti di pena specializzati. In questo settore, che inpassato ha visto la presenza prevalente di detenuti minorennistranieri, qualcosa sta cambiando negli ultimi anni, comesegnalato anche su questa rivista (vedi la scheda “I minoristranieri nelle carceri italiane”, libertàcivili n.1/2010). Come sievince dalle parole del Guardasigilli

“con riguardo alla giustizia minorile, nel corso del 2011l’esame delle statistiche ha confermato l’aumento generaledella presenza di minori di nazionalità italiana, già iniziatonegli anni immediatamente precedenti, anche nei serviziresidenziali, come i centri di prima accoglienza e gliistituti penali per i minorenni, che per molti anni avevanovisto prevalere numericamente i minori stranieri. È unsegnale, anche questo, sul quale devo richiamare l’atten-zione di noi tutti.Attualmente la presenza straniera proviene prevalen-

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Ricordiamo, a questo proposito, che per un quadro completoè necessario considerare anche i Centri di prima accoglienza,che ospitano i minorenni in stato di fermo, arresto o accom-pagnamento fino all’udienza di convalida e le Comunità perl’esecuzione delle pene in alternativa alla detenzione. Nelprimo semestre 2011, nei Centri di prima accoglienza dellaPenisola sono transitati 1.171 ragazzi (il 90% maschi), di cui409 stranieri (il 35%), e anche in questo caso prosegue iltrend che vede diminuire la percentuale di immigrati. Perquanto riguarda le Comunità per i minori, sempre nel primosemestre 2011 si è registrato l’ingresso di 1.119 ragazzi,con una presenza media giornaliera di 900 persone, di cui248 (il 27,5%) stranieri.

Sempre nella sua relazione al Parlamento il ministro Severinoha poi aggiunto:

temente dall’Est europeo, principalmente dalla Romania,e dal Nord Africa, Marocco soprattutto. In generale, i reaticontestati sono prevalentemente contro il patrimonio(60 per cento), pur se non sono trascurabili le violazionidelle disposizioni in materia di sostanze stupefacenti”.

I dati sulle presenze negli Istituti penali per i minorenni in Italiasono riassunti nella tabella 2, che conferma un progressivocalo del peso della componente immigrata: i minori di 18 annistranieri che scontano la pena o sono sottoposti a misure dicustodia cautelare sono oggi 164 su 503, con una percentualedel 32,6%, un dato in progressivo calo dal 56,5% di cinqueanni prima.

M F Totale M F Totale M F Totale

Presenti al 30.06.2011 333 6 339 146 18 164 479 24 503

2010 - - 314 - - 134 430 18 448

2009 - - 313 - - 217 482 48 530

2008 - - 274 - - 196 438 32 470

2007 - - 215 - - 231 386 60 446

2006 - - 149 - - 194 309 34 343

Italiani Stranieri Totale

Tabella 2. Istituti penali per i minorenni: presenze (per custodia cautelare o esecuzione di pena)secondo la nazionalità e il sesso - I semestre 2011

Fonte: elaborazioni su dati ministero della Giustizia - dipartimento per la Giustizia minorile, servizio statistica

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“la giustizia minorile deve necessariamente privilegiarel'aspetto rieducativo della pena, tendendo al reinseri-mento sociale del giovane condannato attraverso istitutiampiamente sperimentati, come quello della messa allaprova. Si tratta, però, di istituti che richiedono un notevoleimpegno non solo dei servizi sociali, ma anche dellefamiglie e delle comunità dei cittadini.Questi due ultimi contributi possono venir meno se il giovanecondannato è uno straniero, la cui famiglia e la cuicomunità sono lontani dall'Italia. Ecco perché ci accin-giamo a varare un piano di contatti internazionali e diconvenzioni bilaterali, volti ad incentivare il ritorno delminore nel proprio sistema culturale di origine, chepotrebbe molto più adeguatamente confortarlo e accom-pagnarlo nel percorso di reinserimento sociale che eglideve realizzare senza sentirsi doppiamente sradicatodalle proprie abitudini socio-familiari”.

Alla diminuzione del numero di minori immigrati detenutinelle carceri, corrisponde un progressivo calo della percen-tuale di stranieri iscritti nel registro delle notizie di reatorispetto al totale. A Roma, ad esempio – come indicato nellerelazioni del presidente della corte d’appello, GiorgioSantacroce e del procuratore generale, Luigi Ciampoli – si èpassati dal 55,3% del 2005/2006 al 34% attuale (pari a 1.611persone), anche se nell’ultimo anno c’è stato un nuovoaumento, pari all’8,1%, del numero dei minori stranieri inda-gati. La stessa relazione sottolinea anche come

“resta da verificare se si sia in presenza di un andamentocostante o solo di un fenomeno transitorio, imputabileagli intermittenti flussi di stranieri e di extracomunitarinel distretto di Roma, anche a seguito dei recenti eventipolitici che hanno interessato alcuni Paesi del Mediterraneo”

I reati di immigrazioneNon poteva mancare, negli appuntamenti istituzionali di

cui ci stiamo occupando, un riferimento a uno dei temi piùcaldi del dibattito sulla giustizia degli immigrati, quello deireati connessi all’ingresso e alla permanenza illegale dellostraniero sul territorio italiano. Si tratta di tutta quella serie difattispecie che sono contenute nel Testo unico sull’immigrazione

Giustizia minorile: è in diminuzione già da qualche anno il numero di minori immigrati detenuti nelle carceri italiane;oggi sono uno su tre,erano più della metà appena cinque anni prima

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(D.Lgs 286/1998), successivamente modificato dalla legge189/2002 (la c.d. “Bossi-Fini”) e dalla legge 94/2009 (che haintrodotto il reato di “ingresso e soggiorno illegale nel territoriodello Stato”). In particolare il riferimento è a due articoli delD.Lgs 286/1998: l’articolo 13, (commi 13 e 13bis) che riguardanol’espulsione amministrativa, e l’articolo 14 (commi 5ter e 5quater)che riguardano l’esecuzione dell’espulsione.

Tali fattispecie hanno costituito un significativo carico dilavoro per le procure della Repubblica e per gli uffici giudicanti,come si può evincere anche dai dati del ministero dellaGiustizia relativi al 2010 (gli ultimi disponibili) riportati nellatabelle 3 e 4.

Nell’anno 2010 sono stati circa 19mila i procedimenti iscrittipresso le procure per i quattro reati sopra indicati, dei qualicirca l’80% ha riguardato il solo reato previsto dall’articolo 14comma 5ter (violazione dell’ordine di lasciare il territorio delloStato). Si tratta di dato che, storicamente, ha avuto un anda-mento a parabola: in crescita fino all’anno 2006, quando hafatto registrare un picco storico di 26mila procedimenti iscritti,

Procedimenti penali iscritti in procura

Procedimenti penali iscritti presso gli uffici giudicanti

Convalide non convalide delle richieste del PM (persone destinatarie in %)

Numero procedimenti iscritti

19.031

Numero persone neiprocedimentiiscritti

20.203

Numero persone per le quali il giudice ha convalidato la richiestadel PM

83,6%

Numero persone per le quali il giudice non ha convalidato la richiestadel PM

16,4%

Numero procedimenti iscritti

17.887

Numero persone neiprocedimentiiscritti

18.739

Totale

100,0%

Tabella 3. Procedimenti penali iscr itt i per alcuni reati previsti dalla Legge 30 luglio 2002, n.189e convalide - 2010

Persone destinatarie di provvedimento definitorio (%)

Numero personecondannate

77,6%

Rapporto tra numero personeespulse a seguito di condanna e numero persone condannate

46,1%

Numero personeassolte

22,4%

Totale

100,0%

Tabella 4. Procedimenti penali definit i (con assoluzione o condanna) per alcuni reati previstidalla Legge 30 luglio 2002, n.189 - 2010

Fonte: Dipartimento per gli Affari di giustizia - direzione generale della Giustizia penale - Ufficio I

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e poi decrescente negli anni successivi. In linea generale, il 65%dei procedimenti viene iscritto presso le procure del Nord Italia.

Come evidenziato dallo stesso ministero della Giustizia, alivello indicativo si può dire che mediamente il pubblicoministero dispone, per 10 0 persone sottoposte a suoi prov-vedimenti, la richiesta di arresto in flagranza o di fermo incirca il 69% dei casi, la richiesta di una misura cautelarepersonale nell’8,6% dei casi e la liberazione immediata dellapersona nel 22,4% dei casi.

Per ciò che riguarda invece gli uffici giudicanti, le statistichesulle convalide del giudice e sui procedimenti definiti si sonomantenute costanti per tutti gli anni trascorsi dall’introduzionedi questi reati (dal 2002): in media il giudice ha convalidatola richiesta di arresto/fermo e di misura cautelare personaledel pubblico ministero in circa l’83,1% dei casi, mentre nonl’ha convalidata nel restante 16,9% dei casi. Per quantoriguarda i procedimenti definiti si è avuta sentenza di condannain circa il 76,5% dei casi, l’assoluzione nel restante 23,5%.Circa il 50% delle persone condannate viene contestualmenteespulso dall’Italia.

A proposito dei reati legati alla presenza irregolare dellostraniero in Italia, nelle relazioni esaminate non sono mancatir i ferimenti a uno dei fatt i più signif icativi verif icatisi inquest’ambito, cioè la sentenza della Corte di giustizia UE sulcaso El Dridi, che ha, in sostanza, bocciato l’articolo 14comma 5ter del D.Lgs 286/1998 (introdotta dalla legge“Bossi-Fini”) nella parte in cui prevedeva la pena detentivaper il reato di permanenza irregolare nel territorio italiano,senza giustificato motivo, in violazione di un ordine di allon-tanamento emesso dal questore.

Nella “Rassegna di giurisprudenza penale” contenuta nellarelazione del presidente della Corte di cassazione, ErnestoLupo, uno specifico paragrafo è intitolato: “Fattispecie penaliper violazione dell ’ordine di al lontanamento: le novellelegislative successive alla decisione della Corte di giustiziadell’Unione Europea (caso El Dridi)”. La vicenda vi è riassuntacosì:

“indubbiamente uno dei più importanti interventi normativiin materia penale dell’anno appena concluso, anche per ilrilevante impatto che comporta sulle pendenze degli ufficigiudiziari, è quello relativo alla riforma della normativain materia di espulsione degli immigrati irregolari. Come

Le statistiche relative ai procedimentipenali per i reati connessi all’ingresso e alla permanenza illegale sul territorio italiano

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noto, all’entrata in vigore lo scorso 24 dicembre 2010della direttiva 2008/115/CE (c.d. direttiva rimpatri)l’Italia non vi aveva ancora dato attuazione, circostanzache aveva suscitato serie perplessità sulla costantecompatibilità di alcune disposizioni del D.Lgs n. 286 del1998 con la nuova normativa europea. E, infatti, numerosigiudici avevano ritenuto di dover disapplicare le dispo-sizioni nazionali che sanzionavano l’inottemperanza aiprovvedimenti di espulsione, mentre altri avevano preferitointerpellare in via pregiudiziale sul punto la Corte di giustiziadell’Unione Europea. E proprio quest’ultima, con la sentenza 28 aprile 2011,El Dridi, nel decidere uno dei menzionati ricorsi, ha ritenutola diretta applicabilità delle disposizioni contenute negliartt. 15 e 16 della direttiva e ha considerato l’art.14,comma 5-ter del citato decreto legislativo incompatibilecon le stesse e dunque da disapplicare.

Il senso dell’intervento della Corte di giustizia è ben spiegatoin un passaggio della relazione orale di Lupo:

“la sentenza emessa il 28 aprile 2011 dalla Corte digiustizia El Dridi, ha stabilito che la direttiva 2008/115/CEdel 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuniapplicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini dipaesi terzi il cui soggiorno è irregolare (c.d. “direttivarimpatri”), deve essere interpretata nel senso che essaosta ad una normativa interna che preveda l’irrogazionedella pena della reclusione al cittadino extracomunitarioper la semplice permanenza, senza giustificato motivo,nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine diallontanamento adottato a suo carico.La Corte di Lussemburgo, in particolare, ha osservatoche, pur non essendo stata trasposta nell’ordinamentogiuridico italiano la “direttiva rimpatri” entro il termineprefissato, i singoli sono legittimati ad invocare, controlo Stato inadempiente, le disposizioni dell’atto comunitarioche appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondi-zionate e sufficientemente precise. È questo il caso degliartt. 15 e 16 della direttiva in esame, che delineano unaprocedura di allontanamento sensibilmente differenteda quella disciplinata dalla legge italiana. La Corte ha

La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea sulcaso El Dridi:niente carcere per lo straniero che resta in italia,violando unordine di allontanamentodel questore

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affermato, pertanto, che gli Stati membri non possonointrodurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misurecoercitive adottate per procedere all’allontanamentocoattivo, una pena detentiva come quella prevista dal-l’art.14, comma 5-ter, D.Lgs 25 luglio 1998, n. 286, soloperché un cittadino di un Paese terzo, una volta che gliè stato notificato un ordine di lasciare il territorio nazionalee dopo che il termine impartito con tale ordine è scaduto,permane in maniera irregolare in detto territorio.Siffatta pena detentiva, dunque, segnatamente in ragionedelle sue condizioni e modalità di applicazione, rischiadi compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguitodalla direttiva europea, ossia l’instaurazione di una politicaefficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini diPaesi terzi il cui soggiorno sia irregolare, nel rispettoperò dei loro diritti fondamentali. Secondo la Corte, ilgiudice interno, incaricato di applicare le disposizionidel diritto dell’Unione e di assicurarne la piena efficacia,è tenuto quindi a disapplicare ogni disposizione nazionalecontraria al risultato della direttiva (in particolare, ladisposizione italiana che prevede la pena della reclusioneda uno a quattro anni), tenendo conto del principio del-l’applicazione retroattiva della pena più mite, qualecanone rientrante nelle tradizioni costituzionali comuniagli Stati membri.

A seguito di questo la Cassazione, prosegue Lupo,

“ha quindi doverosamente provveduto alla disapplicazionedella menzionata norma incriminatrice, nonché di quelleche analogamente evidenziavano gli stessi profili diincompatibilità individuati dal giudice sovranazionale.In tal senso alcune pronunzie hanno ad esempio affermatoche l’efficacia diretta nell'ordinamento interno delladirettiva rimpatri impone la disapplicazione dell’art.14,comma quinto ter e quinto quater, D.Lgs n. 286 del 1998con la stessa incompatibile, determinando la sostanzialeabolitio dei delitti previsti dalle due disposizioni, cometale ri levabile anche dal giudice di legitt imità ai f inidell’annullamento senza rinvio della sentenza di condannaper non essere il fatto più previsto come reato”… […]Tale indirizzo ha conseguito i l r isultato di impedire

Conseguenza della sentenzaEl Dridi è stata ladisapplicazionedelle disposizioni in materia contenute nel D.Lgs 286/1998,in virtù della efficacia immediata e diretta della “Direttiva rimpatri”

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macroscopiche difformità di trattamento nei confrontidei soggetti condannati che si trovavano al momentodella pronunzia della Corte di Lussemburgo in stato didetenzione per reati ritenuti incompatibili con l’ordinamentodell’Unione, perlo più sprovvisti di adeguati mezzi didifesa”.

La relazione del presidente della Corte di cassazione ricordaanche come, a questo proposito, si sia registrata la prontarisposta del Legislatore italiano, che per sanare la situazionevenutasi a creare è intervenuto con il decreto legge 23 giugno2011, n. 89, poi convertito nella legge 2 agosto 2011, n.129.E ne trae le seguenti conclusioni:

“la novella ha profondamente modificato la proceduradi espulsione degli stranieri irregolarmente immigratinel territorio nazionale cercando di renderla più ade-rente ai principi sanciti dalla direttiva di cui si è detto e,conseguentemente, ha completamente rivoluzionato ilsistema delle incriminazioni penali, soprattutto – e sonoquesti i profili che più impattano l’attività degli ufficigiudiziari e influiscono positivamente sul sovraffolla-mento carcerario – non prevedendo più sanzioni detentivee, quindi, la possibilità di applicare nei procedimentirelativi alle suddette violazioni misure cautelari, nonchéattribuendo la cognizione dei nuovi illeciti alla compe-tenza del giudice di pace. E la Corte ha già avuto mododi pronunziarsi anche sui rapporti tra le nuove fattispecieintrodotte dalla novella in oggetto e quelle abrogate erisultate incompatibili con la normativa europea, stabilendocome tra le stesse sussista un rapporto di sostanzialediscontinuità che attribuisce all’intervento normativo uneffetto abolitivo delle previgenti incriminazioni e checonsente di applicare le nuove esclusivamente ai fatticommessi dopo l’entrata in vigore della novella”.

Al D.l 89/2011 fa riferimento anche un passaggio dellarelazione del presidente della corte d’appello di Milano:

“il Legislatore ha modificato il severo apparato sanzio-natorio stratificatosi negli ultimi anni, che aveva fra l’altrocomportato un grave appesantimento delle strutture

Per sanare la situazione il Governo è intervenuto con una nuova disciplina,contenuta nel Dl 89/2011,poi convertito in legge nell’agosto scorso

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investigative e giudiziarie sul terreno della mera repressionepenale di un fenomeno di più ampia genesi e portata […].Il nuovo sistema di incriminazioni interessa tutti i passaggidella procedura di espulsione, ma prevede fattispeciepunite solo con pena pecuniaria. La minaccia della sanzionepecuniaria difficilmente costituirà un deterrente per icittadini extracomunitari, solitamente privi di risorseeconomiche, ma l’ampliamento delle ipotesi di espulsione,disposta dal giudice ai sensi dell’art.16 D.Lgs n. 286/1998con accompagnamento coatto, anche ad alcune fatti-specie punite con pena pecuniaria, pure prevista nellanuova normativa, potrebbe garantire meglio l’effettivitàdel precetto penale.

La criminalità e gli stranieriAltro tema toccato, soprattutto nelle relazioni scritte sull’anda-

mento della giustizia nel 2011, è quello della criminalità. Inparticolare ampio spazio a questo argomento è riservato dallarelazione della corte d’appello di Roma, Giorgio Santacrocee da quella del procuratore generale, Luigi Ciampoli, conspecifico riferimento sia al tema del terrorismo internazionalesia ai reati commessi da cittadini stranieri.

In tema di terrorismo internazionale, le relazioni di Santacrocee Ciampoli auspicano innanzitutto una forte collaborazionefra i vari organi di indagine e fra gli Stati, in considerazionedell’evoluzione della minaccia terroristica. Una delle proble-matiche principali, è costituita dalla difficoltà di attribuire allenuove formazioni terroristiche una stretta fondazione territoriale:

“questa problematica è ancora più evidente in tema diterrorismo di matrice islamica, per il quale può parlarsidi una vera e propria "delocalizzazione" e rispetto alquale i risultati delle investigazioni indicano l'estremadifficoltà di individuare organizzazioni e gruppi territo-rialmente fondati”.

Nelle stesse relazioni, proseguendo sul tema del terrorismointernazionale di matrice islamica:

“per quel che riguarda il terrorismo di matrice interna-zionale in Italia non si sono verificati episodi di rilievo,

Il focus delle relazioni inaugurali del distretto di corte d’appello di Roma sul terrorismointernazionale,in particolare quello islamico

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né sono state messe in luce progettualità eversive. […]Il terrorismo di matrice jihadista resta una minaccia diprima grandezza per la sicurezza degli interessi italianisia all’estero che entro i confini nazionali. Infatti, insiemead altri Paesi europei, l’Italia resta inclusa tra gli obiettividel ‘jihadismo globale’, con un indice di rischio medio-alto,anche se dalle attività investigative e d’intelligence nonsono emersi riscontri sul concreto sviluppo di operazionioffensive nel nostro territorio.

E poi sugli strumenti di contrasto al terrorismo:

“il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo (CASA)ha vagliato molteplici minacce riferibili al nostro Paese,provvedendo ad assumere le opportune iniziative preven-tive. Inoltre, esso ha pianificato attività di controllo neiconfronti di cittadini stranieri noti per la loro contiguitàcon ambienti radicali, nonché di verifica dei flussi dif inanziamento verso le organizzazioni terrorist icheinternazionali e di monitoraggio della rete internet, relati-vamente ai siti fondamentalisti islamici, per una tempestivaanalisi dei profili di rischio connessi alla messaggisticajihadista. Internet resta, infatti, uno strumento importantenella strategia complessiva del movimento jihadista, chetrova nel web uno spazio di espansione sempre più illimi-tato, come dimostra la moltiplicazione dei siti destinatialla diramazione dei comunicati dei gruppi dirigenti diAl Qaida e alla propalazione dei messaggi propagandi-stico-minatori.

Un aspetto importante del fenomeno, secondo la relazionedella procura romana, è la tradizionale “vocazione logistica”dei gruppi integralisti presenti sul territorio nazionale.

“Le inchieste giudiziarie avviate nei confronti di cellulelegate all’ex Gruppo Salafista per la Predicazione e ilCombattimento algerino (GSPC) hanno confermato larilevanza delle attività di supporto logistico, ideologico,assistenziale e finanziario che restano tuttora il trattodist int ivo dei gruppi estremisti operanti in I tal ia.Insidiosa è l’attività di indottrinamento e di reclutamentoche viene svolta nelle carceri da ‘veterani’ condannati per

Numerosi i controlli svolti sul territorio verso cittadini stranieri notiper la contiguità con ambienti radicali.Le verifiche sui flussi finanziari e sui messaggi via internet

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appartenenza ad organizzazioni terroristiche nei con-fronti di connazionali detenuti per spaccio di droga oreati minori. Al riguardo va segnalato il coinvolgimentonel settore del narcotraffico di estremisti maghrebini,operanti sulla base della legittimazione religiosa chetaluni ideologi radicali forniscono ad attività criminose,pur contrarie ai dettami coranici, a condizione che i relativiproventi siano in parte devoluti a sovvenzionare il Jihad”

Per quanto riguarda i reati commessi da cittadini stranieri, larelazione della procura romana segnala, pur con riferimentoalla situazione locale, come:

“La notevole presenza nel territorio del distretto di cittadinistranieri, in particolare extracomunitari, si traduce nonsolo nella consumazione di un elevato numero di reati dimedia gravità (furti, spaccio di droga e rapine) ma anchenella commissione di reati più gravi, come i reati connessial traffico di stupefacenti, i reati di riduzione e manteni-mento in schiavitù o in servitù ex art. 600 c.p. relativi allosfruttamento della prostituzione minorile. Di particolare rile-vanza è stata l’attività delle Forze dell’ordine volta areprimere i diffusi casi di presenza sul territorio di cittadiniextracomunitari sprovvisti di permesso di soggiorno,con conseguente adozione di provvedimenti di espulsionedei clandestini.

A Milano, invece, come si legge nella relazione del procu-ratore generale della corte d’appello Minale, la preoccupazioneriguarda soprattutto le organizzazioni criminali:

“con riferimento all ’andamento della criminalità vaannotata una diffusa presenza di forme di criminalitàorganizzata comune, irrobustita dallo stabile inserimentodi organizzazioni criminali straniere – presso la procuradi Milano risultano iscritti nell’anno, ma il dato non è diagevole lettura, oltre 31.000 cittadini stranieri – e che,in larghe fasce del territorio, si affianca a forme di crimina-lità anche di stampo mafioso attiva nella prospettiva diuna mafia imprenditrice”.

I reati commessi dagli immigrati:a Roma prevale la micro-criminalità,a Milano la presenza diorganizzazioni criminali straniere

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anoIl sogno finito

dietro le sbarre

di Alberto BordiViceprefetto - ministero dell’Interno

L’identikit dello straniero recluso nelle prigioni italiane in base ai dati del dipartimento dellaAmministrazione penitenziaria. Prevalgono reatimeno gravi ma reiterati più spesso, a conferma dell’alta percentuale di delittuosità “necessitata”

Al 31 dicembre 2011, secondo i dati pubblicati dal diparti-mento dell’Amministrazione penitenziaria del ministero dellaGiustizia, erano 24.174 gli stranieri presenti nelle carceri italiane,un numero non lontano da quello dell’anno precedente (24.954)e del 2009 (24.067), ma decisamente superiore ai primi anniDuemila e agli anni Novanta, che segnavano, nel 1995, unapercentuale del 17,7%, a riprova di una avvenuta crescita delfenomeno, di recente stabilizzato.

La consistente presenza di stranieri nelle nostre carceri, parial 36,14% dell’intera popolazione carceraria (66.897), nonpuò non condurre a una riapertura del dibattito sulla sicurezzae in particolare sulla significativa componente rappresentatadall’identikit dei frequentatori stabili delle nostre “patrie galere”.La nutrita compagine di stranieri “dietro le sbarre” porta inoltrea riaccendere i riflettori sul binomio “più immigrazione = piùdelinquenza”, ancorato su un vago e quanto mai risibile assiomadel “virus delinquenziale” che sarebbe riscontrabile nel genomadi alcuni popoli.

Prima di qualunque giudizio, che potrebbe risultare affrettatoe superficiale, appare opportuno ampliare il quadro dei datiforniti e analizzarlo alla luce di taluni elementi, non trascurabili,che riguardano l’ordinamento giuridico italiano, non dimenticando,in via generale, come spesso l’ingresso in un penitenziariodi un immigrato possa costituire il terminale di una derivasocio-economica di un intero popolo oltre che la conseguenzadell’estremo disagio esistenziale di singole persone, letteral-mente annullate dalla mancanza totale di opportunità e di

Oltre pregiudizi e luoghi comuni,la presenza di immigrati nelle nostre carceri - pari al 34,14% del totale dei detenuti -pone un serio discorso sulla frontiera più esposta del livello di civiltà di un Paese

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La fotografia della popolazione straniera nelle carceri italiane

prospettive. Bandendo in l imine sillogismi di lombrosianamemoria, in questa sede appare opportuno valutare quanto lamassiccia presenza di persone della medesima etnia finite incarcere sia riconducibile alla estrema difficoltà di sopravvivenza,e quanto il correlato ricorso alla delinquenza, comunquedeprecabile, costituisca l’unico strumento praticamente per-corribile per il sostentamento di quanti arrivano nel nostro Paesecon il sogno di una nuova vita. Sul punto è immediatamenteutilizzabile un primo dato riguardante gli stranieri presentinelle carceri italiane in rapporto al tipo di reato commesso, inmodestissime quantità riconducibile a vere e proprie associazionicriminali (0,5%) e invece indirizzato, nella maggioranza dei casi,alle figure tipiche della delinquenza predatoria, da strada,

Associazione di stampo mafioso (416bis) 7 71 78Legge droga 495 11.526 12.021Legge armi 19 866 885Ordine pubblico 72 844 916Contro il patrimonio 416 8.881 9.297Prostituzione 147 712 859Contro la Pubblica Amministrazione 42 3.116 3.158Incolumità pubblica 2 206 208Fede pubblica 61 1.675 1.736Moralità pubblica 1 61 62Contro la famiglia 16 423 439Contro la persona 304 7.151 7.455Contro la personalità dello Stato 1 45 46Contro l’amministrazione della giustizia 70 822 892Economia pubblica 1 15 16Contravvenzioni 25 602 627Legge stranieri 99 2.230 2.329Contro il sent.to e la pietà dei defunti 12 96 10 8Altri reati 8 247 255

Uomini Totale

Detenuti stranieri per tipologia di reatoAl 31 dicembre 2011

Tipologia di reato

Fonte: Dipartimento dell 'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppoe la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica

Donne

Nota: la numerosità indicata per ogni categoria di reato corrisponde esatta-mente al numero di soggetti coinvolti. Nel caso in cui a un soggetto sianoascritti reati appartenenti a categorie diverse egli viene conteggiato all’interno diognuna di esse. Ne consegue che ogni categoria deve essere considerata asé stante e non risulta corretto sommare le frequenze.

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da disperazione, fatta di furti, scippi, borseggi etc., ovviamentecomunque intollerabile.

Il reato più diffuso, in linea con il sentore popolare, è lo spacciodi sostanze stupefacenti, ascrivibile a metà degli inquilinistranieri delle nostre carceri; su livelli consistenti i delitti controil patrimonio e quelli contro la persona; di media fascia i criminicontro la pubblica amministrazione; meno del previsto il numerodei casi connessi alla prostituzione, che in Italia, come noto,non costituisce in sé un reato ma crea un indotto malavitosopiuttosto ampio.

A ben vedere, la strada che conduce l’immigrato a oltrepassarele soglie dei nostri penitenziari sembra iniziare da molto lontano,magari da un villaggio sperduto dell’Africa subsahariana, ovela vita di una persona vale molto poco. Non a caso il 50,41%degli stranieri detenuti in Italia proviene dall’Africa, in particolaredall’area maghrebina e dalla Nigeria. In dettaglio, al primo postosono i cittadini marocchini con 4.895 detenuti, pari al 20,2% deltotale degli immigrati in cattività; seguono rumeni (14,8%),tunisini (13,2%), albanesi (11,5%), nigeriani (4,8%), algerini (3%).

L’Europa alimenta la popolazione carceraria nella misura del38,37% del contingente straniero, nel quale spicca la presenza dialbanesi (11,5%) e di cittadini provenienti dalla ex Jugoslavia

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(4,11%); all’interno del dato riferito al Vecchio Continente, laprovenienza UE è pari al 20,25% in gran parte ascrivibile airumeni, i quali vantano il triste primato della devianza in seno allacomunità europea. Se africani ed europei insieme raggiungonol’88,78% del totale degli immigrati privati della libertà in Italia,la restante quota di detenuti viene ripartita in misura equivalentetra asiatici (5,27%) e americani (5,86%), per lo più nativi delSudamerica (4,24%). Poco rappresentati i cittadini del NordAmerica, solo lo 0,13%, e del Medio Oriente (1,15%). Non c’ètraccia di finlandesi, danesi, svedesi e norvegesi.

Continente Area geografica 2007 2008 2009 2 010 2 011

Detenuti stranieri presenti per area geografica - Anni 2007 - 2011Al 31 dicembre 2011

Unione Europea 3.619 3.819 4.311 4.784 4.896Ex Jugoslavia 992 1.029 1.092 1.076 994Albania 2.235 2.610 2.819 2.880 2.770Altri Paesi Europa 515 558 646 656 615Totale Europa 7.361 8.016 8.868 9.396 9.275

Tunisia 1.863 2.499 3.164 3.126 3.189Marocco 3.804 4.714 5.181 5.279 4.895Algeria 1.048 1.109 1.008 900 729Nigeria 679 976 1.133 1.246 1.172Altri Paesi Africa 1.489 1.851 2.113 2.239 2.201Totale Africa 8.883 11.149 12.599 12.790 12.186

Medio Oriente 313 329 336 330 279Altri Paesi Asia 623 776 881 941 995Totale Asia 936 1.105 1.217 1.271 1.274

Nord 24 28 29 28 32Centro 228 279 307 332 360Sud 786 967 1.029 1.117 1.025Totale America 1.038 1.274 1.365 1.477 1.417

Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativoautomatizzato - sezione statistica

Europa

Africa

Asia

America

Altro Totale 34 18 18 20 22Totale detenuti stranieri 18.252 21.562 24.067 24.954 24.174

A questa prima fotografia del campionario straniero cheabita i nostri penitenziari, alla quale sembra fare da sfondo unaltro binomio, quello “più disperazione = più delinquenza”, neva affiancata subito un’altra, riguardante l’ubicazione dellecase circondariali ove è maggiormente tangibile tale presenzastraniera, sicuramente più marcata nel Centro e nel Nord Italiapiuttosto che nel Meridione, ove prevale storicamente la delin-

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anoquenza nostrana. Nella struttura carceraria di Poggioreale a

Napoli, ove la capienza è di 1.679 detenuti, a fronte di unapresenza effettiva di 2.646 individui, gli stranieri sono sola-mente 317, ossia l’11,98% del totale; a Palermo-Pagliarelli lacapienza regolamentare è invece per 858 persone; la presenzaeffettiva al 31 dicembre 2011 è di 1.316 detenuti, con soli 320stranieri nelle celle, pari al 24,32% del totale. Di ben altra rilevanzala famiglia carceraria straniera nelle prigioni del Centro-Nord:in Lombardia complessivamente ci sono 4.080 reclusi, nel Lazio2.661, nel Piemonte 2.602 e in Toscana 2.130. Nel dettaglio, ilpiù alto concentramento di detenuti stranieri si trova nel carceremilanese di San Vittore con 1.065 unità; seguono Torino con 802,Roma Rebibbia con 688, Bologna con 666, Firenze Solliccianocon 625. In talune case circondariali medio piccole del Nordla percentuale dei carcerati stranieri è particolarmente elevata:a Padova 171 dei 210 destinatari di provvedimento di reclusionesono stranieri con una percentuale pari all’81,43%; tutto il Veneto,in realtà, presenta situazioni similari: a Belluno la percentuale“straniera” è del 71,30%, a Vicenza del 62,20%, a Verona del63,65, a Venezia S.Maria Maggiore del 66,77%. Su valori ana-loghi Alessandria (64,04%), Imperia (69,23%), Reggio Emilia(65,38%), Parma (66,19%) e Modena (69,40%) mentre talipercentuali scendono vistosamente nelle prigioni del Sud: aCatania Bicocca gli stranieri sono il 2,96%, a S.Severo il 3,26%,a Taranto l’8,88%, a Messina il 9,35%, a Lauro il 2,13%, aCarinola G.B. Novelli il 2,21%. I cittadini provenienti dalla zonaUE sono concentrati particolarmente nelle carceri del Lazio, imarocchini “albergano” prevalentemente nei penitenziaridella Lombardia, del Piemonte e dell’Emilia-Romagna; i nigerianisono distribuiti tra Piemonte, Veneto e Lazio.

Questa panoramica etnico-logistica della situazione carcerariadel nostro Paese riporta in evidenza, in tutta la sua gravità,l’atavico problema del sovraffollamento dei nostri istituti di pena,frequentati da una popolazione, che conta complessivamente66.897 “ospiti” (64.089 uomini e 2.808 donne), dei quali il36,14% stranieri, rispetto a una capienza regolamentare tarataper 46.700 reclusi tra uomini (43.141) e donne (2.559). Su talequestione si è pronunciata anche la Corte europea dei dirittidell’uomo, che ha accolto il ricorso presentato da un detenutostraniero, tale Sulejmanovic, che espiava le sue colpe insieme adaltri cinque “correi” in una cella romana di 16,20 metri quadrati,utilizzando uno spazio pro capite di appena 2,7 mq., moltolontano dal parametro dei 7 mq. ritenuto soglia minima per nonincappare in “trattamenti inumani e degradanti”.

Nella grande maggioranza dei casi i reati commessi sono di tipo predatorio e lo spaccio di stupefacenti.Insignificante l’aspetto dellacriminalità organizzata,pari allo 0,5 per cento dei casi

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La fotografia della popolazione straniera nelle carceri italiane

Quindi un detenuto su tre ospitato nelle nostre case di penaè straniero e una prima spiegazione, al di là delle difficoltàlegate alla assenza di risorse e di professionalità, alla scarsacultura, alla arretratezza di costumi e di comportamenti delpopolo di appartenenza, va individuata proprio nello status diimmigrato. Infatti, sotto il profilo prettamente penalistico taleconnotazione pesa come un macigno, rendendo l’imputatostraniero sicuramente più debole rispetto al cittadino italiano;basti pensare alla disciplina sanzionatoria correlata alla violazionedelle leggi sull’immigrazione e alle norme sulla espulsione,fattispecie fisiologicamente estranee al cittadino italiano.

Anche sotto il profilo processuale in senso stretto lo stranieroappare decisamente più vulnerabile nell’ottica di una difesaefficace: per gli imputati non poter contare su un legale espertoe di fiducia è pressoché la regola; ci si affida unicamente alleparole del difensore d’ufficio perché anche il gratuito patrocinio,di cui all’art. 98 Cpp, risulta difficilmente praticabile per chinon può dimostrare il livello di reddito a causa della condizionedi “irregolare”.

Altro fattore per nulla trascurabile è la scarsa conoscenzadella lingua italiana che rende la difesa ancora più precariaoltre che marcatamente atecnica. In realtà il Regolamentosull’ordinamento penitenziario, Dpr 230/2000, all’articolo 35,in considerazione delle difficoltà linguistiche e delle differenzeculturali dei detenuti stranieri, ha previsto l’intervento di operatoridi mediazione culturale, che però non sempre sono presentinei luoghi di detenzione.

È evidente che la somma di tali appesantimenti a caricodello straniero conduce, per la maggioranza dei casi, a processiparticolarmente brevi, indirizzati sovente alla soluzione residualedel patteggiamento di pena.

Un ulteriore elemento di notevole svantaggio per l’immigratoè la mancanza di una abitazione, che preclude ogni possibilitàdi vedersi riconoscere la misura degli arresti domiciliari ol’applicazione di misure alternative alla detenzione con la cor-relata conseguenza del prolungamento dello stazionamento incarcere. Nella medesima direzione conduce l’atteggiamentodei magistrati di sorveglianza che incontrano obiettive difficoltàa individuare percorsi penali alternativi al carcere per i soggettinon italiani, come pure nella concessione di permessi premio.Ecco la spiegazione per cui gran parte dei detenuti stranieririsulta sostanzialmente in attesa di giudizio, destinataria dicustodia cautelare.

Il dato al 31 dicembre 2011 è lapidario: dei 24.174 rinchiusi

I fattori di maggiore vulnerabilità sotto il profilo processuale sono il problema del patrocinio legale e quello della conoscenza della lingua italiana

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nelle nostre prigioni, circa il 20%, precisamente 5.514 persone,sono in attesa di primo giudizio; se a queste aggiungiamoappellanti, ricorrenti e detenuti imputati per più reati macomunque in attesa di condanna definitiva, si arriva a un totaledi 11.450 imputati, all’incirca pari alla metà degli stranieri

Detenuti stranieri presenti per posizione giuridicaSituazione al 31 dicembre 2011

Regionedidetenzione

Attesadi primogiudizio

Appel-lanti

Ricor-renti

Misto(*)

Totaleimputati

Condannatidefinitivi

Internati Daimpostare

(**)

Totale

Detenuti stranieri

Abruzzo 66 46 40 4 156 207 9 0 372

Basilicata 3 2 4 0 9 46 0 0 55

Calabria 138 43 46 3 230 373 0 1 604

Campania 328 168 81 22 59 9 361 28 2 990

EmiliaRomagna 518 362 214 34 1.128 884 53 0 2.065

FriuliVeneziaGiulia 104 39 47 10 200 318 0 0 518

Lazio 725 662 206 28 1.621 1.033 0 7 2.661

Liguria 296 153 127 23 599 422 0 2 1.023

Lombardia 998 648 539 67 2.252 1.794 32 2 4.080

Marche 130 70 35 10 245 261 0 0 506

Molise 4 7 12 0 23 42 0 0 65

Piemonte 443 320 231 36 1.030 1.571 0 1 2.602

Puglia 299 72 68 6 445 441 0 0 886

Sardegna 57 34 90 2 183 766 5 0 954

Sicilia 311 119 99 6 535 1.064 24 1 1.624

Toscana 452 330 116 30 928 1.189 13 0 2.130

TrentinoAlto Adige 41 18 22 6 87 178 0 0 265

Umbria 152 97 49 10 308 407 0 0 715

Valled’Aosta 5 20 43 3 71 132 0 0 203

Veneto 444 224 109 24 801 1.055 0 0 1.856

Totaledetenutistranieri 5.514 3.434 2.178 324 11.450 12.544 164 16 24.174

Fonte: Dipar t imento del l ’amministrazione penitenziar ia - Uff icio per lo svi luppo e la gest ione del sistemainformativo automatizzato - sezione statistica

(*) Nota: nella categoria “misto” confluiscono i detenuti imputati con a carico più fatti, ciascuno dei qualicon il relativo stato giuridico, purché senza nessuna condanna definitiva.

(**) Nota: la categoria “da impostare” si riferisce a una situazione transitoria. È infatti relativa a quei soggettiper i quali è momentaneamente impossibile inserire nell’archivio informatico lo stato giuridico, in quanto nonsono ancora disponibili tutti gli atti ufficiali necessari.

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rinchiusi, leggermente al di sotto del numero dei condannatidefinitivi.

Anche la legge 199/2010, cosiddetta “svuota carceri”, cheprevede l’esecuzione presso il domicilio delle pene detentivenon superiori a dodici mesi, dall’entrata in vigore fino al 31dicembre 2011 ha avuto, per gli stranieri, una applicazionedi molto ridotta (1.155 casi) rispetto agli italiani (3.149 casi). Alriguardo va pure evidenziato come gli stranieri, per la tipologiadei reati loro ascritti, in primis lo spaccio di stupefacenti, siano,più degli italiani, destinatari di imputazioni plurime, nelle qualia violazioni di norme penali stricto sensu si accompagnanoviolazioni delle citate leggi contemplate dall’ordinamento intema di immigrazione. Oltre il 10% degli stranieri ha fattoingresso in un carcere per violazione delle norme del Testounico sull’immigrazione o della normativa sulla espulsione. Idati puntuali forniti dal dipartimento dell’Amministrazionepenitenziaria ci permettono di conoscere più da vicino questapopolazione passata tragicamente da un inferno open air a uninferno within the walls.

L’opinione diffusa di una popolazione carceraria sostanzial-mente giovane trova riscontro nelle tabelle del DAP del ministerodella Giustizia: oltre 20mila dei 24.174 reclusi hanno un’etàcompresa tra i 21 e i 44 anni, con un picco tra i 30 e i 40;pochi gli ultracinquantenni e modesta la presenza di giovanitra i 18 e i 20 anni, come pure degli ultrasessantenni. Anche lostato civile offre uno spaccato interessante del popolo stranierodietro le sbarre: oltre la metà risulta celibe o nubile, un buon20% è coniugato; tra le categorie residue (vedovi, divorziati,separati e conviventi) spicca, per consistenza relativa,quest’ultimo connotato, ma il dato più significativo, parados-salmente, riguarda gli indefiniti, i non rilevati, un 20% chesembra polverizzare il valore dello stato civile rapportato asituazioni di vita così difficili. L’esistenza della prole talvolta puòcostituire una spinta ulteriore a procurarsi di che vivere aqualsiasi costo, compreso lo slancio predatorio o la pericolosaderiva criminale: dei 4.939 soggetti di cui è noto lo stato dipaternità, circa la metà ha un figlio, più di un terzo ha due figli,in 64 hanno sei figli, in 88 oltre sei figli.

Altro concetto massimamente diffuso è che l’immigratoapprodato al reato sia fondamentalmente poco istruito, analfa-beta o quasi; la realtà carceraria ci presenta, sui 24.174 reclusiconsiderati, pochi analfabeti (372), pochissimi laureati (195),moltissimi non rilevati (14.574) e un numero cospicuo (5.128)in possesso di licenza di scuola media inferiore. A conferma

Oltre 20mila dei 24mila stranieri reclusi hannoun’età fra i 21e i 44 anni,con un piccofra i 30 e i 40.La metà risulta celibe.Il grado di istruzione non è rilevato in 14.574 casi

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La fotografia della popolazione straniera nelle carceri italiane

del concetto che ignoranza fa rima con devianza indipenden-temente dalla lingua che si parla.

Un altro aspetto interessante riguarda la presenza stranieraal femminile nelle nostre carceri, riconducibile per taluniaspetti ai profili socio-culturali delle nazionalità di appartenenzae al tipo di reato posto in essere. Degli oltre 24mila detenutistranieri, 23.003 sono uomini e 1.171 sono donne, quindi pocopiù del 5% del totale. La componente femminile nel noverodella delinquenza maghrebina reclusa risulta mediamentecontenuta, addirittura inesistente se riferita agli egiziani,quasi a confermare un ruolo emarginato o defilato della donnanella cultura nordafricana, perfino nella dimensione criminogena.Di tutt’altro spessore invece tale componente tra la gente dell’Esteuropeo e della ex Jugoslavia, con i picchi più significativiper le donne della Bulgaria (20% rispetto agli uomini) e dellaBosnia Erzegovina, che si attestano oltre il 26% rispetto alsesso forte. Nel caso delle donne albanesi e nigeriane laconsistente percentuale di presenza “intra moenia” sembrariconducibile alla vocazione di tali popolazioni alla commissionedi reati legati allo sfruttamento della prostituzione.

Di assoluto rilievo, infine, il prospetto dei condannati per penainflitta, che consente di mettere a confronto le condanne commi-nate a cittadini italiani e stranieri, ripartite in base agli anni dascontare. Dai dati emerge, con grande evidenza, come i detenutistranieri siano destinatari complessivamente di pene minoririspetto agli italiani e che tale apertura di forbice aumenti conil crescere delle pene detentive prese in considerazione. Se finoai due anni di reclusione il numero delle condanne definitive peritaliani e stranieri è sostanzialmente analogo, negli indicatorioltre tale misura il rapporto cresce progressivamente: per le peneda 5 a10 anni i rei italiani sono più del doppio degli stranieri,per le misure detentive da 10 a 20 anni la compagine italianadiventa il triplo di quella straniera; oltre i 20 anni di penasiamo nell’ordine del decuplo; per l’ergastolo ci sono 1.528 casi“italiani” contro 62 “stranieri”.

L’identikit dello straniero che delinque sembra condurrequindi a reati di minor gravità ma reiterati più frequentemente,a conferma dell’alta percentuale di delittuosità necessitata. Ilquadro carcerario, riferito al prototipo “adulto straniero” è, aquesto punto, tracciato nelle sue linee fondamentali anche seesso si presta a dinamiche che possono essere instaurate nonsolo dal mutare degli orientamenti giurisprudenziali interni,ma anche, con un peso sempre maggiore, dalla arrembantenormativa europea, capace di indurre i legislatori nazionali

Alla fine del 2011,le detenute straniere erano 1.171,il 5% del totale,per lo più provenientidall’Est europeo e dalla ex Jugoslavia.Nel loro insieme i detenuti stranieri sono destinatari di pene minori rispetto agli italiani

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56 2 012 gennaio - febbraio

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La fotografia della popolazione straniera nelle carceri italiane

a modificare le discipline applicabili, e dalle decisioni dei giudicicomunitari, notoriamente intransigenti nella valutazione deiparametri in vigore negli Stati membri.

È il caso della decisione del 28 aprile 2011, con la quale laCorte di giustizia europea censurava e dichiarava inapplicabilenon il reato di clandestinità introdotto nel nostro ordinamentocon la legge 15 luglio 2009 n.94, ma la sanzione della reclusione,comminata allo straniero irregolare, per il reato di inottempe-ranza all’espulsione disposta con provvedimento questorile(cfr. anche l’articolo di Alessandro Grilli in questo numero dilibertàcivili). La decisione dei giudici europei, fondata sulcontrasto della disposizione italiana con la direttiva europeain materia, la quale privilegia il rimpatrio come soluzione allostatus di straniero irregolare, ha prodotto, tra i tanti effetti, quellodi portare ad assoluzione gli imputati rei di tale inadempienzaperché il fatto non sussiste, con conseguenti scarcerazionidestinate a rimodulare flussi e presenze della popolazionestraniera nelle nostre case di pena.

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572 012 gennaio - febbraio

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anoLa storia di Talib,

quando il carcerenon riabilita ma condanna

di Luisa ProdiPresidente Seac (Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario)

I problemi del rapporto fra migranti e detenzione.Gli stranieri sono l’anello più debole del sistemapenitenziario e soffrono per una legislazioneche punisce come reato l’immigrazione clandestina

La storia di TalibCorreggere i compiti è una delle incombenze meno attraenti

che possano toccare in sorte a un’insegnante. L’unico aspettopositivo è che, in una gelida giornata di metà dicembre 2009,lo posso fare al calduccio di casa mia, controllando la postaelettronica fra un compito e l’altro. Una mail spedita da unagiovane volontaria dell’associazione Seac ci informa che Helmiè ricoverato in neurologia per un attacco ischemico. Si hanno

poche notizie: solo che la situazione è gravee si è salvato per un pelo.

Fra l’altro, comunica la volontaria, non sichiama più Helmi, ma Talib: le successivepermanenze in tre diversi Centri di identifi-cazione ed espulsione (Cie) della Penisola(Ponte Galeria, Torino e Brindisi) hannopermesso di individuare il suo vero nome inmezzo a tanti alias che si era dato nella suapoco onorevole carriera di spacciatore edetenuto.

Talib. Ci abitueremo a chiamarlo così, anche se il cambio dinome sembra stendere un velo sulla persona che avevamoconosciuto in carcere. L’avevamo incontrato il giorno dellaconsegna dei diplomi di terza media, lui era forse il più emozio-nato di tutti, certamente uno fra i più bravi: prendere “ottimo”è una grande soddisfazione, soprattutto quando nella vita si èinfilato uno sbaglio dopo l’altro.

Quel giorno ci aveva chiesto di tenergli un posto alla scuola

L’avevamo incontrato il giorno della consegna dei diplomi di terza media.Aveva preso ottimo,era il più emozionato,voleva continuarea frequentare la scuola

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58 2 012 gennaio - febbraio

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La storia di Talib, paradigma dei problemi del carcere

superiore (scuola gestita dai volontari dell’associazione), e cosìè stato. Critico, attento, intelligente, a volte rompiballe, avevastabilito con tutti i docenti un rapporto vivace, purtroppo interrottoimprovvisamente dal suo trasferimento (“sfollamento” si dice ingergo), che lo ha portato in un altro istituto della Penisola.Peccato, perché due mesi dopo avrebbe potuto sostenerel’esame di qualifica per diventare operatore contabile, e contutta probabilità l’avrebbe superato.

Lo abbiamo perso di vista, fino a quando qualcuno di noid’estate lo ha incontrato in una delle piazze del centro città,appoggiato a una colonna, in attesa di qualche cliente dei suoiloschi traffici. Qualche mese dopo la notizia che Helmi - Talibè all’ospedale.

Dopo un rapido confronto via mail fra i volontari, si decideche andrò io a trovarlo all'ora del pasto. Dimagrito, parla a fatica,ma mi accoglie con un sorriso, sono la prima persona che lo

visita da quando è ricoverato. I compagnidi spaccio si sono ben guardati dal venireall’ospedale per sapere qualche notizia. Imedici assicurano che in breve tempo Talibpotrà essere dimesso e tornare alla normalità;dovrà solo condurre una vita tranquilla,regolare, curando di non fare sforzi eccessivie di evitare comportamenti a rischio.

Vita tranquilla, regolare, senza comporta-menti a rischio: ci stanno prendendo in giro?Lo sanno che Talib è un ex detenuto, straniero

irregolare, senza casa, perché da quando è malato i suoisoci in affari lo hanno scaricato, senza possibilità di lavoro,tossicodipendente?

Ci alterniamo a visitare Talib in ospedale, cercando diconfortarlo, ma più passa il tempo, più sentiamo montare l’ansia:che ne sarà di lui dopo? Riusciamo a ottenere dal primario unaproroga di due giorni, ma alla fine non lo possono più tratte-nere e lo dimettono. Varchiamo l’uscita della clinica mentre staper fare notte, accolti da folate di vento fredde come coltellate.

Nei giorni del ricovero di Talib tutta l’associazione si è datada fare per cercare una soluzione alla catena di problemi checi presentava questo caso: abbiamo chiesto un’accoglienzaai dormitori di mezza regione, ma erano pieni per l’emergenzafreddo, abbiamo bussato alle porte di tutto il sociale della Asl,ma ogni ufficio ci ha inviato all’ufficio accanto, e alla fineabbiamo capito che un caso così, essendo troppo complicato,non veniva preso in carico da nessuno.

D’improvviso il trasferimento in un altro istituto.L’interruzione degli studi,di nuovo sulla strada a spacciare, poi all’ospedaleper un malore

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La storia di Talib, paradigma dei problemi del carcere

Così siamo rimasti con il cerino in mano. Talib ha dormitoalla stazione per due notti, poi due notti nella nostra sede constuoino e sacco a pelo. Tutte le nostre ricerche erano vane, ilfreddo continuava a mordere, l’umore di Talib e anche il nostroandava sotto la suola delle scarpe.

Un po’ per disperazione, un po’ per rabbia verso un’organiz-zazione sociale così incapace di elasticità di fronte ai problemi,una volontaria dell'associazione ha scritto al giornale localeraccontando la storia di Talib. Come in tutti i racconti di Natale,la storia ha preso una piega insperata: un signore di mezza età,che per essere arrivato come un angelo potremo chiamareGabriele, ha contattato l’associazione dichiarandosi disponibilead accogliere Talib a casa sua fino al raggiungimento di unasistemazione migliore, o almeno alla fine dell’emergenza-freddo.

Adesso Talib aveva un tetto sulla testa, e i volontari continuavanoad accompagnarlo nel suo percorso, del quale però non si

vedeva lo sbocco. Lui non si rassegnava atornare al suo Paese da “perdente”, noi cer-cavamo di fargli capire che qui ogni stradaera sbarrata: non si poteva pensare né a unavita regolare, dal momento che le leggi vigentinon permettevano di sognare nemmeno dalontano un permesso di soggiorno, né a unavita da clandestino, a causa delle compromessecondizioni di salute.

C’è voluto del tempo prima che Talib riu-scisse a fare chiarezza sulla sua situazione

e arrivasse a fare la scelta del ritorno a casa. A quel punto èiniziata la seconda parte dell’odissea: in che modo Talibavrebbe potuto varcare il confine senza un documento valido?Pensavamo che le autorità consolari del suo Paese in brevetempo avrebbero provveduto a fornire al giovane una cartache autorizzasse il passaggio del mare. Così non è stato,nonostante le tante telefonate ai consolati del Paese in questione:mille cavilli e mille impedimenti rendevano impossibile saliresulla nave che lo avrebbe riportato a casa. Abbiamo tentato lastrada del rimpatrio assistito, ma la condizione di irregolaritàdi Talib la rendeva impraticabile.

Talib era diventato trasparente. Eppure non lo era quandolo hanno per tre volte internato in un Cie: una volta identificatoe stabilito che a termini di legge l'Italia non era il posto perlui, avrebbero dovuto provvedere al suo rimpatrio, che a Talibpiacesse o no.

I giorni passavano, il nostro senso di impotenza cresceva,

Una volta dimesso nessuno lo ha voluto,finché non lo ha accolto un signore di mezza età.L’ultima odissea ottenere i permessi per il rientro nel suo Paese d’origine

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fino a quando Gabriele ha deciso di forzare la mano: una mattinapresto Talib ha preparato i suoi bagagli e insieme sono andatia Genova. Gabriele, angelo sì, ma non privo di energia, si èpiazzato nel corridoio davanti alla porta dell’ufficio del console,deciso a non andarsene fino a quando la situazione non sifosse sbloccata. Dopo qualche ora, con un’autorizzazione scrittae firmata dal console, Gabriele e Talib si recavano al porto (ilbiglietto della nave pagato dall’associazione di volontariato).

Ora con Talib ci vediamo qualche volta su Facebook: è statadura per lui tornare, ma è stata la scelta giusta, forse l’unicapossibile. Ci dice che Allah ha avuto misericordia di lui e chetrova ogni tanto qualche lavoretto, niente di definitivo, ma lasua vita è ricominciata.

Cosa non funziona nel rapporto fra stranieri e detenzione?Gli stranieri (e fra di essi i non regolari) sono l’anello più

debole del sistema penitenziario italiano. Soffrono per unalegislazione che punisce come reato l’immigrazione clandestinain Italia. Il pacchetto sicurezza del 2009 ha voluto vedere lapermanenza illegale sul suolo italiano come un illecito penale,e non solo amministrativo, come sarebbe stato più ragionevole.Si tratta di un provvedimento iniquo, inefficiente e costoso,mirato a soddisfare la voglia di sicurezza dell’opinione pubblica,

ma incapace di produrre un qualsiasi miglio-ramento a livello sociale.

Solo l’intervento della Corte di giustiziaeuropea, ritenendo alcuni aspetti di questanorma incoerenti con la legislazione europea,ha potuto porre un limite ai danni creati.Danni alle tante persone ingiustamenteprivate della libertà, e anche un danno allasocietà, per i costi che ha comportato e perle inevitabili conseguenze: aver indirizzatopersone che erano venute in Italia in cerca

di lavoro onesto verso circuiti delinquenziali (il carcere inItalia è più palestra di delinquenza che di vita onesta).

Una volta recluso, l’immigrato vive una difficile esperienzadetentiva. Spesso la famiglia è lontana e non si ha il confortodel colloquio settimanale, con tutto ciò che questo puòcomportare anche in termini materiali (il pacco con qualchegenere alimentare e i vestiti). Se anche può telefonare a casa,il detenuto straniero non sempre racconta di essere in carcere,per non preoccupare i familiari, ma soprattutto per evitarsil’umiliazione di ammettere la propria disfatta, e questo aumenta

Adesso ci troviamo ogni tanto su Facebook.Dice che Allah ha avuto misericordia di lui,anche se ancora è privo di un lavoro stabile

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612 012 gennaio - febbraio

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La storia di Talib, paradigma dei problemi del carcere

il suo senso di solitudine e di straniamento. Comprendere lanormativa italiana, seguire le proprie vicende giudiziarie, capirele consuetudini che regolano la vita del carcere e comunicarecorrettamente con i compagni di detenzione e con gli operatoriè difficile a causa della scarsa conoscenza della lingua e dellacultura italiane.

Lo straniero irregolare non solo non può godere pienamentedelle misure alternative alla carcerazione, perché non in possessodei requisiti di lavoro esterno e domicilio, ma vede ancheridotto ai minimi termini il processo di cosiddetto “trattamentorieducativo”, cioè quell’insieme di azioni che l’amministrazionepenitenziaria mette in moto, una volta che la pena sia definitiva,per favorire il reinserimento sociale del detenuto. Poiché nelcaso dello straniero irregolare non è contemplato il reinserimento,di fatto spesso viene a decadere anche il trattamento.

La reclusione diventa un susseguirsi di giorni senza obiettivie senza speranza, che molte volte sfocia in gesti di autole-

sionismo o nel tentativo di darsi la morte.Tagliarsi, cucirsi la bocca, ingerire varechinadiventa il solo modo per costringere qualcunoa prendersi cura di te. Quando la pena èfinita, lo straniero si trova fuori dal carcerecon il saccone nero dei suoi effetti personalie con l’orizzonte nero del suo futuro. Per luinon c’è reinserimento, non c’è welfare (senon in caso di malattia seria, come Talib, maper la sola durata della fase acuta), non c’èpossibilità di riabilitazione, non c’è nemmeno

la solidarietà o l’appoggio delle proprie rappresentanze conso-lari e diplomatiche.

Prendiamo il caso di Talib e moltiplichiamolo per cento, permille, e non siamo ancora arrivati a descrivere la situazionecosì come essa è.

Occorre un impegno perseverante e lungimirante perridefinire la nostra società alla luce dei cambiamenti che l’inevi-tabile e per certi versi auspicabile migrazione dei popolicomporta. Per troppi anni legislatori e uomini di governo sisono esercitati a emettere proclami e provvedimenti per cercaredi arginare un fenomeno inarrestabile. Sono state sprecateenergie e risorse pubbliche per arrivare a un niente di fatto,anzi a un peggioramento della situazione per l’insorgere dinorme criminogene.

Un governo dell’immigrazione, anche nei suoi aspetti penalie penitenziari, sarà veramente efficace se sarà in grado di:

È la storia di Talib,rappresentazione dei tanti problemi da affrontare se vogliamo evitare che un errore iniziale diventi il punto di partenza del naufragio di una vita

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62 2 012 gennaio - febbraio

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superare ogni tipo di normativa che attribuisca allo statusdi immigrato (così come ad ogni altro status legato alla povertà)una caratterizzazione di illegalità

garantire un’effettiva uguaglianza di trattamento fra italianie stranieri nel corso dell’esperienza detentiva, colmando l’intrin-seco svantaggio degli stranieri causato dalla più diffusa povertàe dalla minore conoscenza della lingua, della cultura e deicostumi italiani

dare a tutti, italiani e stranieri, la possibilità di accedere altrattamento rieducativo, impegnando in questo la magistraturadi sorveglianza, gli uffici di esecuzione penale esterna e gli entilocali territoriali

estendere la possibilità di assistenza al reimpatrio anche apersone in situazione di irregolarità

riqualificare gli operatori sociali, a tutti i livelli e in tutti i settori,mediante opportunità formative permanenti e ricorrenti, affinchésiano in grado di fare fronte alle nuove e complesse questioniattinenti alla realtà dell’immigrazione

offrire agli immigrati che nella loro esperienza hanno avutoa che fare con il reato e la pena una possibilità riabilitativa,

Che cos’è il SEACIn Italia vi sono decine di gruppi di

volontariato penitenziario che hannocome specificità non tanto quella digestire progetti o attività all’internodelle carceri, quanto piuttosto di farsicompagni di strada delle personerecluse e delle loro famiglie duranteil tempo difficile della detenzione. IlCoordinamento enti e associazioni divolontariato penitenziario (Seac) è lasigla che accomuna e coordina questigruppi.

La sua costituzione risale al 1967.In tutto questo tempo tante cose sonocambiate nel mondo penitenziario eanche nel mondo del volontariato. Incarcere oggi il terzo settore è presentecon molteplici iniziative professionali,spor t ive, cultural i , di animazione.Continua a rendersi necessaria, tuttavia,

una presenza personale attenta ediscreta, che dia al detenuto, se lorichiede, la possibi l i tà di sentirsiascoltato e accompagnato. Il gruppoSeac si dà come obiettivo primarioquello di essere pronto a risponderea questo tipo di necessità, formandoi propri volontari alla conoscenza delmondo penitenziario e all’acquisizionedi adeguate capacità relazionali.

L’incontro con il detenuto presentaal volontario e al gruppo di volontariatouna serie di bisogni che anzitutto sicerca di comprendere e ai quali si cercadi dare risposta. Non si tratta solo dellenecessità materiali, come spesso sipensa, ma anche di aiuto qualificatoe competente in merito a problemicome la ricerca di lavoro e abitazioneper ottenere alternative alla detenzione

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632 012 gennaio - febbraio

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o in vista della dimissione, riscossionedi pensioni, bisogno di istruzione eformazione professionale, problemi legatialla tossicodipendenza o alcooldi-pendenza, difficoltà nella gestione deicontatti familiari, difficoltà a seguirele proprie vicende giuridiche.

A livello locale ogni gruppo Seac hauna propria identità, legata alla suastoria e alle caratteristiche del territorioin cui opera. Tutti i gruppi, però, sicaratterizzano per alcune iniziative eattività similari: corsi di formazione,attività di sensibilizzazione dell’opinionepubblica sui problemi del carcere,colloqui con i detenuti all’interno delcarcere, costituzione di centri di ascoltosia in cella che all’esterno.

Poiché in genere nella vita di undetenuto la reclusione non è l’unico

problema, il volontariato Seac lavorain rete con operatori sia pubblici chedel privato sociale al fine di poterdare una risposta alle varie necessitàche si presentano. La pratica quotidianadel carcere, con tutte le sue incon-gruenze e le sua ingiustizie, abilita i lSeac a unirsi alla voce di coloro chechiedono scelte politiche e amministra-tive che rendano il sistema penale epenitenziario italiano degno di quanto èscritto nell’articolo 27 della Costituzione.

Il Seac fa parte della Conferenzanazionale volontariato giustizia, e dellaConsulta delle associazioni laicali pro-mossa dalla Conferenza episcopaleitaliana. Ulteriori notizie sul SEAC alseguente link: http://www.volontariatoseac.it/

secondo percorsi da pensare in modo equilibrato e realistico,che tuttavia possano far intravedere al migrante la possibilitàdi rimanere in Italia una volta terminata la pena. Solo in que-sto modo si dà attuazione a un principio di uguaglianza effet-tiva dei cittadini di fronte alla legge e si offre una prospettivadi speranza al detenuto straniero, che corrisponde anche a uninteresse per la collettività, diminuendo il tasso di irregolaritàe di recidiva e, anzi, incrementando le buone prassi.

In fondo non abbiamo molte alternative: anni di politichesecuritarie e criminalizzanti verso il fenomeno dell’immigrazioneirregolare ci hanno fatto trovare la carceri piene e le cittàinsicure. Anziché far finta di non vedere Talib potremmo iniziarea riconoscerlo come uomo e a parlarci. Forse la situazione nondiventerebbe peggiore di come è adesso.

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Le donne vittime della violenza,troppi i delitti troppo poche le pene

di Claudia Svampa

Rashida Manjoo, Relatore speciale dell’Onu per la violenza contro le donne pone l’attenzionesul numero crescente di vittime di “femminicidio”.In Italia la violenza domestica è la forma di abusopiù pervasivo contro il genere femminile

“Perché queste violenze siano sempre meno, e perché ledonne che hanno il coraggio di rivolgersi alla giustizia sianosempre di più”. Così, durante la sua arringa conclusiva, motivòla richiesta di risarcimento di un’unica simbolica lira TinaLagostena Bassi, nota nei tribunali italiani come uno dei principalie più agguerriti avvocati per la difesa dei diritti delle donne,nel corso del primo “Processo per stupro” trasmesso in tele-visione nel 1979 dalla Rai, devolvendo poi la somma ritenutadi giustizia per la vittima ai centri di violenza contro le donne.

Oltre 30 anni dopo quella speranza resta ancora disattesa.Lo si capisce in modo sconcertante osservando le 44 immaginidi giovani e giovanissime donne, per lo più immigrate, per lopiù musulmane, che appaiono tutte sorridenti sul fondo nerodella prima pagina del sito Memini (www.memini.co), un progettovoluto e realizzato dalla cantante Deeyah, un’icona della musicapop del mondo arabo come Madonna lo è per quello occidentale.

Tra loro la più piccola è Alisha Begum, ha soltanto sei anni. Unsorriso di bambina che resterà congelato nel tempo. PerchéAlisha, come tutte le altre, è stata uccisa dalla violenza controle donne. Vittima dell’honour killing. Il sito Memini è nato percommemorarle e ricordarle. Deeyah, in associazione con amici,volontari e fan, ha voluto che questo luogo della memoriarestasse l’incancellabile ricordo delle vittime delle loro storie.

La popolare cantante, nata in Norvegia trentadue anni fa, èlei stessa figlia di immigrati: suo padre è un afghano-persiano,sua madre è un’indiana-pachistana. È stata fin da sempre notaper il suo attivismo nella tutela dei diritti delle donne, con parti-

30 anni dopo “Processo per stupro”la violenza contro le donne continua a mietere vittime innocenti

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colare attenzione alla condizione femminile delle immigratemusulmane. È stata minacciata di morte dagli integralisti islamiciper il video clip della canzone What will it be, nel quale auspical’emancipazione delle donne musulmane, e mostra, proiettatesulla sua schiena nuda, le immagini delle ragazze uccise perdelitti d’onore.

Honour killing e violenza contro le donne non sono tuttaviatemi distanti dal nostro territorio nazionale. Con dati statisticiche vanno dal 70 all’87%, a seconda della fonte, la violenzadomestica in Italia risulta essere la forma di abuso più pervasivoche continua a colpire il genere femminile in tutto il Paese. Levittime di omicidio da parte di partner o ex partner sono passateda 101 nel 2006 a 127 nel 2010.

A porre l’attenzione sul numero crescente delle vittime di“femminicidio” è stata il Relatore speciale dell’Onu per laviolenza contro le donne, Rachida Manjoo, che nelle scorsesettimane ha concluso una sua missione conoscitiva in Italiadurata 12 giorni.

“La mia visita è stata incentrata, sul tema della violenzacontro le donne in quattro contesti – ha dichiarato la Manjooin occasione dell’incontro con la stampa italiana – l’ambitodomestico, la comunità, la violenza perpetrata o condonatadallo Stato e la violenza in un contesto transnazionale”. Nelcorso della missione ha inoltre visitato centri antiviolenza perle donne, un campo autorizzato per la comunità rom e sinti,carceri e strutture detentive per donne, minori e per immigratiirregolari.

“Purtroppo la violenza contro le donne resta un problema inItalia, similmente a quanto accade in molti altri Paesi delmondo – ha proseguito – e molti di questi atti non vengononeppure denunciati per il contesto, caratterizzato dalla societàitaliana patriarcale e incentrata sulla famiglia”.

In quest’ottica le forme di abuso tra le mura domestichenon sempre vengono percepite come reati penali, e le donne,spesso anche costrette da condizioni di dipendenza economica,non sono disposte a parlare o a denunciare le violenze subite.

“Tanto in ambito nazionale quanto nelle comunità di minoranza– ha aggiunto l’inviata dell’Onu – gli atti di violenza commessicontro le donne in contesti familiari vengono vissuti dalle personecoinvolte più come una condotta appartenente alla sfera dellavita privata che non percepiti come veri reati. Queste donnenon si rendono conto che invece si tratta di abusi che rientranonella condotta penale e non vogliono avvalersi di un sistema

Le vittime di“femminicidio”da parte di partner o ex partner sono passate da 101 nel 2006 a 127 nel 2010

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statuale per agire giuridicamente a loro tutela, perché perce-piscono ben più grave un reato commesso all’esterno delnucleo familiare rispetto a uno analogo in contesti privati.Ritengo sia molto importante quindi sensibilizzare queste vittimeattraverso delle campagne informative in modo da spezzarequesto silenzio”.

Al relatore è stato chiesto inoltre se nel corso della visitaavesse avuto incontri con alcune delle migliaia di donne giuntein Italia dall’Africa durante la crisi nei mesi dell’emergenzaumanitaria. “Quando ho parlato con le donne del centro diidentificazione ed espulsione, un centro che ho potuto visitarevicino a Roma – ha risposto – non si è fatta una distinzione trale donne giunte da poco tempo e coloro che erano qui dadiverso tempo. Posso dire però che la maggior parte dellepersone che ho visto arrivavano dall’Est europeo. Ho potutoconstatare che alcune immigrate si trovano nelle case diaccoglienza, altre nei centri antiviolenza. Tra quelle incontratevi erano donne in attesa dell’espletamento del proprio proce-dimento giudiziario, o della procedura prevista per i richiedentiasilo. Infine un’altra parte di queste immigrate collaboravacon le autorità, soprattutto in materia di traffico di esseri umani.Ho potuto parlare con donne che sono state già condannatee che sono in attesa di una sentenza d’appello e con altre cheinvece sono in carcere e stanno scontando la pena che è statacomminata. Per quanto riguarda specificatamente le donneche provengono dall’Africa del nord a seguito della crisi politicanon ho avuto modo di incontrarne e quindi mi chiedo dove sitrovino ad oggi”.

Rashida Manjoo ha successivamente parlato delle criticitàe dei problemi che le donne migranti, indipendentemente dallanazionalità di provenienza, si trovano ad affrontare una voltagiunte nel nostro Paese. “So che ci sono molte donne provenientidall’America latina, dall’Africa, da diversi Paesi dell’Asia, e lesfide che affrontano sono simili in termini di accesso ai servizi,di forme di discriminazione di cui sono vittime e di realtà socio-economica. In Italia c’è un’enorme quota di badanti migranti –ha aggiunto – quindi straniere, che provengono da diverseparti del mondo e ritengo che queste donne, impegnate nellavoro di cura della famiglia all’interno delle mura domestiche,svolgano un ruolo fondamentale in un Paese che affronta inquesto momento il tema di una popolazione che invecchia.Credo però che queste lavoratrici siano, in alcuni casi, sottopostea diverse forme di sfruttamento e discriminazione anche da

“Gli atti di violenza commessi contro le donne in contesti familiari vengono vissuti dallepersone coinvolte più come una condottaappartenentealla sfera della vita privata che non percepiti come veri reati”

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parte dei fornitori di servizi tanto che questo tema specificodelle badanti in Italia sarà oggetto del mio rapporto finale chepresenterò al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unitenel giugno 2012”.

Il Relatore Onu ha detto, in riferimento ai centri di detenzione,di aver visitato quattro strutture: due carceri femminili, a Napolie a Roma, un istituto di pena minorile e un ospedale psichiatricogiudiziario. “Ho potuto constatare che, per quanto riguarda lecarceri femminili, in una soprattutto, vi era un problema disovraffollamento: in sostanza avevano un 50% in più di presenzerispetto alla capienza prevista dall’istituto – ha proseguito –inoltre sono stati evidenziati problemi da parte delle detenute,in modo particolare l’accesso all’istruzione scolastica e alleattività lavorative. Naturalmente con il taglio dei fondi disponibilile associazioni non sono più in grado di assistere questapopolazione come si riusciva a fare in passato. Quindi sono pochele attività lavorative disponibili, non sufficienti per accontentaretutta la popolazione carceraria, e i gruppi di minoranza sonoquelli che lamentano maggiormente questa discriminazioneperché pensano che a loro non venga assegnata alcuna attivitàlavorativa proprio in ragione della loro etnia”.

E proprio in tema di violenza domestica e discriminazioneetnica abbiamo domandato se, nel corso della visita, fosseroemerse criticità specifiche per le adolescenti e le giovanidonne di seconda generazione, costrette a dover far conviverenella propria formazione tradizioni culturali familiari spessocoercitive, e iter integrativi sociali e culturali a volte contrastanticon le aspettative delle famiglie di provenienza.

“Uno dei problemi emersi sulle seconde generazioni – harisposto la Manjoo – è certamente quello dei matrimoni forzati.Purtroppo devo dire che non ho a disposizione statistiche perpoter valutare la portata del fenomeno, so però che esisteanche in Italia, e che ci sono dei servizi appositamente dedicatialle vittime di questo tipo di violenza. A Bologna in particolarec’è una casa di accoglienza che si occupa delle minorennivittime della pratica dei matrimoni forzati. Circa il rapportocon le famiglie, e quanto queste rispettino la volontà dellefiglie di far parte della società in cui vivono, ci sono certa-mente alcune etnie che non favoriscono l’integrazione dellefiglie nella cultura prevalente della società. Il problema è chequeste famiglie d’origine percepiscono la società esternacome qualcosa che è altro rispetto a loro, e qui entra in giocola paura dell’altro, la paura del diverso”.

Uno dei problemi emersi sulleseconde generazioni è quello dei matrimoni forzati.Ci sono alcune etnieche non favoriscono l’integrazione delle figlie nella cultura prevalente della società perché la percepiscono come qualcosa che é altro rispetto a loro

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Proprio a questa forma di paura ha fatto riferimento ilRelatore speciale raccontando di un incontro con una madrerom nel corso di una visita in un campo nomadi. Incontrodurante il quale la donna le avrebbe riferito della sua pauranel mandare la propria figlia a scuola. La paura del contattocon l’esterno, con le istituzioni, la paura addirittura che suafiglia rischiasse di essere maltrattata, picchiata, o perfinorapita al di fuori del campo rom.

Una paura che induce a riflettere su quanta difficoltà ancoraincontrino le istituzioni scolastiche, e non solo loro, nel riuscirea penetrare la diffidenza atavica che comunità come i rom e i sinticontinuano a nutrire nei confronti del sistema Paese. Perché,invece, la paura istintiva che entra in gioco quando si pensaai rischi che potrebbe correre una bambina rom al di fuori del suocampo, fa sì che il nostro pensiero vada non certo al banco e aicompagni di scuola, quanto piuttosto ai marciapiedi e alle strademetropolitane.

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anoRespingimenti:

i casi e la normativa

di Paolo PomponioPrimo dirigente della Polizia di Stato

Un’analisi dettagliata degli strumenti previstidalla legge per il contrasto all’immigrazione clandestina, spesso oggetto di equivoci sui loro presupposti, applicabilità e ratio.La sentenza della Cedu sul caso Hirsi Jamaa

Il tema dei respingimenti evoca nell’opinione pubblicaimmagini spesso drammatiche, fatte di barche cariche dipersone intercettate in alto mare durante i loro viaggi dellasperanza. A volte, però, la semplificazione tipica dei massmedia genera equivoci su queste vicende; parole e definizionisi confondono, con il risultato di diffondere informazioni noncorrette verso il grande pubblico e di fornire una visionedistorta dei fatti e del quadro normativo di riferimento. Lastessa definizione di “respingimento” indica diverse tipologiedi procedure che si attivano in base a norme e presuppostidiversi. È dunque opportuno – specialmente in una rivistacome libertàcivili che ha come obiettivo quello di trattare itemi connessi all’immigrazione partendo dai dati di fattoobiettivi – fare chiarezza su alcuni istituti attualmente vigenti,sul loro utilizzo e sulle norme che li regolano.

1. Le misure di contrasto all’immigrazione irregolareUna premessa è doverosa. La produzione normativa di

questi ultimi anni in tema di immigrazione – e in particolareper ciò che riguarda le espulsioni – è stata influenzata dasituazioni contingenti, nonché dalla necessità di recepirealcune direttive adottate dall’Unione Europea. Fino al 2002, laprocedura di espulsione dello straniero illegalmente presentesul territorio italiano era basata sull’adempimento volontariodel provvedimento di rimpatrio entro il termine di 15 giorni;dal 2002 al 2011, tale procedura è stata caratterizzata dalrimpatrio immediato dello straniero da espellere, a prescindere

La produzionenormativa di questi anni in tema di espulsioni e respingimentiè stata influenzata da fattori contingenti e dalle direttive UE

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dalla sua volontà; dal 2011 si è ritornati – per attuare laDirettiva 2008/115/CE sui rimpatri – all’espulsione basata in viaprioritaria sull’adempimento volontario da parte dello straniero,che deve ottemperare entro un termine compreso tra sette e30 giorni.

Il legislatore comunitario, infatti, ha inteso privilegiare lapartenza volontaria dello straniero rispetto al suo rimpatriocoatto, a condizione che non vi sia motivo di ritenere che ciòpossa compromettere la finalità della procedura di rimpatrio,ossia l’effettivo ritorno nel Paese di origine o in un altro Paese.Se si configura il pericolo che lo straniero possa rendersiirreperibile (“rischio di fuga”) o in presenza di altre specifichesituazioni 1, lo straniero può essere immediatamente rimpatriatocon l’accompagnamento coatto alla frontiera, senza concedergliil termine per la partenza volontaria 2. Pertanto, non è correttoaffermare che sia prioritaria la concessione di un termine perla partenza volontaria, in quanto per il legislatore è prevalentel’esigenza di escludere il rischio che l’interessato eluda ilprovvedimento di rimpatrio, la cui effettiva esecuzione rappre-senta il fine che la Direttiva 115 intende perseguire.

La legislazione italiana vigente prevede – in particolare nelTesto unico sull’immigrazione, D.Lgs 286/1998 – una serie dinorme sull’ingresso e il soggiorno dello straniero in Italia, acui conseguono una serie di misure e/o procedure di contrastoal fenomeno dell’immigrazione illegale. Vediamo alcuni di questiistituti, che spesso vengono confusi fra loro.

Il respingimento. È respinto, e immediatamente rimpatriato,lo straniero che deve ancora entrare in Italia (respingimentoalla frontiera) 3 o è stato rintracciato subito dopo l’ingresso(respingimento del questore) 4; quest’ultimo, ad esempio, èil caso di coloro che sbarcano a Lampedusa. Se lo stranieroè già entrato sul territorio nazionale e non ha un documento diespatrio, viene trattenuto in un Centro di identificazione edespulsione (Cie) oppure, se non vi è disponibilità di posti, gliviene notificato l’ordine a lasciare l’Italia entro sette giorni.

1 Indicate dall ’ar t icolo 7, comma 4, Dirett iva 2008/115/CE, che si configuranoladdove lo straniero sia pericoloso per l ’ordine pubblico, la pubblica sicurezzao la sicurezza nazionale, oppure abbia presentato una domanda di soggiornorigettata in quanto manifestamente infondata o fraudolenta2 Articolo 7, comma 4, Direttiva 2008/115/CE3 Il provvedimento è adottato dal dirigente dell’ufficio di Polizia di frontiera interessato4 Il provvedimento è adottato dal questore competente

Il principio generale della legislazione comunitaria privilegia la partenza volontaria dello straniero espulso,rispetto al rimpatrio coatto,a meno chenon vi sianosituazioni particolari

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L’espulsione. La materia è regolata, principalmente, dagliarticoli 13 e 14 del D.Lgs 286/1998. Viene espulso, previavalutazione del singolo caso, lo straniero già presente in Italiaqualora non abbia titolo a soggiornare sul territorio nazionale.Il provvedimento è adottato dal prefetto della provincia ove sitrova la persona. Come sottolineato in precedenza, in casispecifici si procede al suo accompagnamento immediato allafrontiera; quando sia socialmente pericoloso 5 o sia a rischiodi fuga ovvero sia inottemperante al termine assegnato per lapartenza volontaria oppure gli sia stata rigettata una domandadi soggiorno manifestamente infondata o fraudolenta. Nelle altreipotesi, l’espulsione viene eseguita, a richiesta dell’interessato,con l’intimazione a lasciare volontariamente l’Italia entro untermine compreso tra i sette e i 30 giorni.

Il trattenimento in un Centro di identificazione ed espulsione.Riguarda lo straniero, espulso o respinto, non immediatamenterimpatriabile in presenza di situazioni transitorie che ostacolanola preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento,come l’assenza del documento di viaggio; l’indisponibilità delvettore; la necessità di acquisire la convalida del rimpatriodal giudice di pace o il nulla osta dall’autorità giudiziaria, inpendenza di procedimento penale; la presentazione delladomanda di asilo, finalizzata a evitare o ritardare il rimpatrio 6.

Lo straniero, qualora non disponga del passaporto, è rimpa-triabile solo se vige una specifica intesa con le autorità delsuo Paese; è il caso, ad esempio, dell’Egitto e dell’Albania. Inmancanza di tale intesa occorre un lasciapassare, che di normanon è concesso dalla competente rappresentanza diplomaticain tempi brevi. Per tale motivo, il legislatore ha elevato recen-temente il termine massimo di permanenza nel Cie, portandoloda sei a 18 mesi, in piena aderenza alla Direttiva 115. Ci sonoeccezioni positive: le autorità algerine, nigeriane, georgiane,egiziane e tunisine cooperano efficacemente nel contrastarele organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani,mediante il riconoscimento di propri cittadini illegalmentepresenti in Italia.

Non è attendibile analizzare i dati sulla permanenza media

5 Se il provvedimento viene emesso per motivi di ordine pubblico o di sicurezzadello Stato o di prevenzione del terrorismo, è adottato dal ministro dell ’ Interno;negli altr i casi, invece, dal prefetto competente6 Articolo 21, decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e successive modificazioni

Normativa e presupposti del trattenimento di uno straniero in un Centro di identificazione ed espulsione

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all’interno di un Cie, salvo che tale dato sia articolato per singoliPaesi di appartenenza degli stranieri trattenuti. Ad esempio,per un egiziano che non chieda asilo o per il cui rimpatrio nonsia stato negato, transitoriamente, il nulla osta all’espulsionein pendenza di un procedimento penale, saranno sufficienti circa20 giorni di permanenza nel Centro per rimuovere gli ostacolial suo effettivo allontanamento. Al contrario, per un cittadinodel Marocco, della Cina o del Senegal potrebbero non esseresufficienti anche 18 mesi.

L’ordine del questore. È notificato allo straniero che, allascadenza dei termini massimi di trattenimento in un Cie, nonpuò essere rimpatriato, o che non può essere collocato in taleCentro per l’indisponibilità di posti. L’interessato entro settegiorni deve lasciare l’Italia. L’inottemperanza alla misura erapunita con la reclusione fino a quattro anni ma, a seguito delrecepimento da parte dell’Italia della Direttiva 2008/115/CE,la pena detentiva è stata sostituita con quella pecuniaria da 6milaa 30mila euro, a seconda dell’ipotesi delittuosa configurata 7. Sulpunto è intervenuta, prima del recepimento, la Corte di giustiziaeuropea, con la decisione del 28 aprile 2011 sul caso El Dridi(vedi anche articolo di Alessandro Grilli in questo numero).

La riammissione. È una procedura con cui lo straniero è rin-viato verso il Paese di ultima provenienza, in applicazione di unospecifico accordo, di norma senza l’osservanza di particolariformalità.

2. Le operazioni in alto mare: la riconsegna e il rinvio di stranieri

Materia differente da quella delle espulsioni e dei respingi-menti è quella delle operazioni in alto mare. Si tratta di quelleoperazioni effettuate in acque internazionali, con cui le unitànavali italiane rinviano gli stranieri intercettati a bordo diimbarcazioni prive di bandiera e sospettate di essere adibiteal loro trasporto illegale, e li consegnano alle autorità del Paesedal quale l’imbarcazione è partita.

Sono effettuate contemperando una duplice esigenza: Daun lato, prestare soccorso (search and rescue) alle personeintercettate in mare, qualora le stesse versino in situazione di

7 Articolo 14, commi 5-ter e 5-quater, decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, esuccessive modificazioni

L’ordine di allontanamentodel questore deve essere eseguito dal cittadino immigrato entro sette giorni:l’inosservanza prima era punita con il carcere,oggi con una pena pecuniaria

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difficoltà; un obbligo che nasce dalla Convenzione di MontegoBay del 1982 che è la fonte primaria del diritto internazionalein mare e da altre convenzioni in materia. Dall’altro preservarei confini marittimi (intervento di polizia). Tali operazioni possonoavvenire purché il Paese dal quale è salpato il natante richiedala consegna delle persone che si trovano a bordo e questeultime si siano sottratte volontariamente al controllo delleautorità di quello Stato.

La materia è regolata da fonti diverse, in particolare laConvenzione e i Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimi-ne organizzato transnazionale, firmati nel 2000 e ratificatidall’Italia nel 2006; il Protocollo addizionale per combattere iltraffico di migranti via terra, via mare e via aria; gli accordi ele intese in vigore tra l’Italia e alcuni Paesi terzi (o partner),che possono individuare le misure opportune per contrastareil fenomeno. L’applicabilità di misure verso imbarcazionisospette – tra le quali anche la consegna delle persone trovatea bordo alle autorità di un Paese terzo quando l’imbarcazionesi trovi in alto mare e sia coinvolta nel traffico dei migranti – èprevista anche fra le regole che i Paesi membri devono osservarenel corso di operazioni coordinate da Frontex, finalizzate allasorveglianza delle frontiere marittime esterne.

L’attuazione della suddetta normativa fissa alcuni puntiessenziali:

l’unità navale di uno Stato può fermare un natante, privo dinazionalità e sospettato di essere utilizzato per il trasporto dimigranti

il suddetto Stato può rinviare gli stranieri verso un porto delPaese dal quale i medesimi sono partiti per riconsegnarli aquelle autorità, se tale misura è stata concordata tra i dueStati, in applicazione del principio di cooperazione tra Statiinternazionalmente riconosciuto

lo Stato in questione, di fronte a un natante privo di bandierae coinvolto nel traffico di migranti, nel rispetto del diritto internoe internazionale, può scegliere liberamente le misure opportuneda prendere d’intesa col Paese di partenza8, sempre inconformità al diritto internazionale, mentre se il natante espone

8 Articoli 7 e 8, comma 7, del citato Protocollo addizionale della Convenzionedelle Nazioni Unite contro la Criminal i tà organizzata transnazionale per com-battere i l traff ico di migranti via terra, via mare e via aria, f irmato a Palermo i l12 dicembre 2000

Le operazioni in alto mare contemperano due esigenze diverse:l’obbligo di prestare soccorso a chi è in difficoltà in mare e la protezione dei confini marittimi di un Paese

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la bandiera di uno Stato, sono indicate alcune tra le misureche possono essere prese, comunque solo con l’autorizzazionedel Paese in questione 9

non possono essere ricondotti nel Paese di provenienza gliimmigrati che manifestano la volontà di chiedere una qualsiasiforma di protezione o che necessitano di urgenti cure mediche

l’Italia può concordare con un Paese terzo che, in caso diavvistamento e/o fermo di un natante con immigrati a bordo,siano impartite le direttive necessarie al rispettivo personaleimpegnato nel pattugliamento marittimo; tra le suddette direttivepuò essere compresa quella di poter disporre le operazioni dirinvio in questione, qualora la citata imbarcazione sia partitadalle coste di quel Paese terzo, nel rispetto della legislazioneinternazionale e di quella nazionale.

3. La sentenza della Cedu sul caso Hirsi JamaaLa sentenza emessa il 23 febbraio scorso dalla Grande

Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) sulcaso di Hirsi Jamaa e altri 23 cittadini somali ed eritrei èemblematica sia dal punto di vista mediatico, sia dal punto divista del diritto. Per quanto attiene al primo aspetto, i massmedia hanno sostanzialmente raccontato la vicenda puntandosul tema della bocciatura della cosiddetta “politica deirespingimenti”, dandone dunque una lettura non “oggettiva”,che trascura molti elementi di diritto e la particolarità del casodi specie. Per quanto attiene al secondo aspetto, va sottolineatoche, a parere di chi scrive, la Cedu ha adottato la decisionericorrendo a un’interpretazione non condivisibile della legislazionenazionale e internazionale.

I fatti. Il 6 maggio 2009 circa 200 persone, che si trovavanosu tre barche dirette in Italia, venivano intercettate da moto-vedette italiane in acque internazionali all’interno della zona“SAR” (Search and Rescue) di responsabilità di Malta.Venivano soccorse e, per tale motivo, trasferite a bordo dellenavi italiane e riportate in Libia, da dove erano partite, inconformità agli accordi bilaterali fra Italia e Tripoli, senza esserecompiutamente identificate e senza informarle sulla loro reale

9 Articolo 8, comma 2, lettera c), del citato Protocollo addizionale dellaConvenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità organizzata transnazionaleper combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria, firmato a Palermoil 12 dicembre 2000

È del febbraio 2012 la sentenza della Corteeuropea dei dirittidell’uomosul caso del ricorso proposto da Hirsi Jamaa e altri 23 cittadini somali ed eritrei,respinti verso la Libia nel 2009

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destinazione. Una persona la cui reale identità rimane tuttoradubbia, poiché priva di documenti identificativi, che ha riferitodi chiamarsi Hirsi Jamaa e di essere presente su una dellebarche, insieme ad altri cittadini somali ed eritrei, anche loro prividi documenti e di incerta individuazione, ha proposto ricorsoalla Cedu per violazione di alcune norme della Convenzioneeuropea dei diritti dell’uomo. Dopo quasi tre anni la Cedu haemesso un verdetto di condanna verso l’Italia per violazionedegli articoli 3, 4 Protocollo n. 4, e 13 della Convenzione.

Le motivazioni della Corte. La decisione della Cedu vertesu alcuni punti essenziali che si richiamano qui in sintesi.

La vicenda si sarebbe svolta sotto la giurisdizione italiana,su navi militari italiane, nonostante le barche si trovassero inacque internazionali. La Corte ha affermato che la responsabilitàdegli Stati, sebbene in circostanze eccezionali, non è limitataai loro territori, ma può estendersi oltre, e che, laddove vi siaesercizio di autorità e controllo (quindi giurisdizione), alloradovrà aversi anche analoga responsabilità.

L’Italia avrebbe violato l’articolo 3 Cedu per aver esposto iricorrenti al rischio di trattamenti inumani o degradanti in Libia.Nonostante i ricorrenti non abbiano provato di essere statimaltrattati, né abbiano chiesto asilo e nonostante fosse invigore un accordo bilaterale tra Italia e Libia – Paese a queltempo ritenuto sicuro e firmatario di numerosi trattati interna-zionali sui diritti umani – la Corte ha ribadito che la proibizioneprevista nell’articolo 3 Cedu (“Nessuno può essere sottopostoa tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”) èassoluta. Per la Corte non possono esistere né accordi bilaterali,né circostanze eccezionali, che facciano venir meno leresponsabilità degli Stati contraenti a questo riguardo. Nelvalutare la situazione nello Stato di destinazione non ci si puòfermare alla sottoscrizione di impegni internazionali o all’esi-stenza di leggi nazionali, ma occorre verificare la realtà sulcampo. E nel farlo, la Corte ritiene di dover attribuire grandeimportanza ai report di organizzazioni non governative ointernazionali.

L’Italia avrebbe violato l’articolo 3 Cedu anche per averesposto i ricorrenti al rischio di essere rinviati nei rispettiviPaesi di origine. La Corte ha ricordato infatti il principio generalesul c.d. “refoulement” indiretto: in caso di espulsione, uno Statoha l’obbligo di assicurarsi che lo Stato dove viene rinviato unindividuo offra garanzie sufficienti, in particolare assicurandoche non procederà a un ulteriore rinvio di questi verso il suo

La Corte ha condannatol’Italia per violazione degli articoli 3, 4 Protocollo n.4e 13 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo

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Paese di origine, senza una valutazione del rischio che ivipossa subire trattamenti proibiti. Da questo punto di vista,secondo la Corte, la situazione in Somalia ed Eritrea, Paesi diorigine dei ricorrenti, era insicura e la Libia non offriva garanziesul tema delle procedure di asilo e dei rimpatri di migranti,nonostante la presenza dell’Unhcr (Alto commissariato per irifugiati delle Nazioni Unite) nel Paese.

L’Italia avrebbe violato anche l’articolo 4, Protocollo 4 Ceduche vieta le “espulsioni collettive di stranieri”. La Corte è statachiamata a decidere se il divieto di espulsioni collettivepotesse essere applicato anche a casi di rinvio verso Paesiterzi (di origine o di transito) avvenuti al di fuori del territorionazionale, come nel caso di natanti intercettati in mare. E hastabilito che se l’interpretazione di questa disposizione silimitasse a casi di espulsione collettiva dal territorio di uno Stato,la sua tutela sarebbe inefficace verso un numero crescente disituazioni che compongono il quadro odierno delle migrazioni.Inoltre, nel caso specifico, l’intera operazione sarebbe statasvolta senza alcuna forma di esame delle situazioni individualie senza procedure di identificazione.

L’Italia sarebbe anche venuta meno all’obbligo di informa-zione verso gli stranieri rinviati. La Corte ha affermato che lamancanza di informazioni è un grave ostacolo per accedereeffettivamente alle procedure di asilo e ha ribadito l’importanzadi garantire alle persone interessate da un provvedimento diespulsione il diritto di ottenere informazioni sufficienti al finedi garantire un accesso effettivo a procedure idonee ad assicurarele loro istanze. Dalle circostanze del caso è emerso che nessunodei ricorrenti avrebbe avuto modo di accedere a una via di ricorsointerna effettiva per denunciare le violazioni degli articoli 3 e 4del Protocollo n. 4, e di ottenere un esame rigoroso delle lorodomande prima che venissero applicate le misure di allonta-namento.

4. I rilievi alla decisione della Cedu Come detto in precedenza, l’interpretazione data dalla Cedu

alla normativa italiana e internazionale non trova riscontronelle parole utilizzate dal legislatore, in quanto le norme chedisciplinano la materia sono estremamente lineari e nonnecessitano di una particolare attività esegetica.

Innanzitutto va precisato che non si è trattato di un respin-gimento collettivo, bensì di un’operazione volta al rinvio distranieri.

Tra i rilievi mossi all’Italia quello di aver esposto gli immigrati al rischio di trattamenti degradanti e inumani in Libia e di aver proceduto a una “espulsione collettiva”vietata dalla Cedu

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Il tema dei respingimenti

Il rinvio si differenzia rispetto al respingimento e all’espulsione,in quanto il respingimento, come ricordato in precedenza, puòessere effettuato nei confronti dello straniero che si presentiai valichi di frontiera, senza soddisfare le condizioni per l’ingressoin Italia (es.: colui che è privo del visto d’ingresso) o che vengafermato subito dopo essere entrato nel territorio dello Stato(es.: colui che sbarca sulle coste italiane o che è già entratonelle acque territoriali). In entrambi i casi non è una misuraapplicabile allo straniero salito a bordo di una nave italianache navighi in acque internazionali poiché, da un lato, taleimbarcazione, pur essendo territorio nazionale, non costituisceun valico di frontiera, dall’altro, lo straniero è stato rintracciatoprecedentemente all’ingresso in Italia, che è avvenuto attraversouna condotta “passiva” (ossia il trasbordo sull’unità navaleitaliana), volta a prestare soccorso in mare, e non “attiva”.

L’espulsione, invece, può essere disposta solo nei confrontidello straniero già presente sul territorio nazionale. Non èapplicabile, pertanto, allo straniero intercettato in acqueinternazionali, anche se trasbordato sull’unità navale italiana;per configurarsi l’espulsione, infatti, l’ingresso del clandestinosul territorio nazionale (la nave in questo caso) deve scaturireda una condotta “attiva” (con accesso di propria iniziativa), enon “passiva”, come nel caso precedente.

Il rinvio è legittimo qualora sia effettuato in conformità aquanto più volte sancito, all’epoca in cui fu portata a terminel’operazione, dalla Corte di cassazione in tema di non refoule-ment. Per la giurisprudenza della Suprema Corte10, si configurala violazione di detto principio, recepito dalla legislazionenazionale11, solo nell’ipotesi in cui vengano rimpatriati stranieriprovenienti da determinate aree geografiche, nonostante in lorofavore siano state disposte misure di protezione temporanea12,per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti,disastri naturali o altri eventi di particolare gravità.

10 Cass. civ., sez. I, sentenza 25 febbraio 2004, n. 3732; Cass. civ., sez. I, sentenza 27dicembre 2005, n. 28775; Cass. civ., sez. I, sentenza 28 febbraio 2007, n. 472511 Articolo 19, comma 1, decreto legislativo n. 286 del 1998, e successive modifi-cazioni, per il quale “In nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimentoverso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motividi razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, dicondizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso unaltro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione”12 Articolo 20, decreto legislativo n. 286 del 1998, e successive modificazioni

L’espulsionesi applica solo allo stranierogià presente sul territorio nazionale:non è questoil caso dello straniero intercettato in acque internazionali

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Il tema dei respingimenti

Un’operazione di rinvio non può dunque violare il principiodel non refoulement se non sono in vigore misure di protezionetemporanea, disposte dall’autorità competente (in questo casola Presidenza del Consiglio dei ministri) con apposito decretoe se gli stranieri, intercettati in acque internazionali su unnatante coinvolto nel traffico dei migranti che fa rotta versole coste italiane, non abbiano titolo per entrare legalmentesul territorio nazionale.

In determinati contesti operativi, il rinvio verso un porto delPaese dal quale sono partiti stranieri intercettati in acque interna-zionali costituisce un’attività dovuta, che contempera le esigenzedi sicurezza e tutela delle frontiere con il doveroso rispettodei diritti fondamentali delle persone. Infatti, non si configuraun possibile scenario alternativo al rinvio, qualora gli stranieriintercettati:

non abbiano manifestato l’intenzione di chiedere asilo ouna qualsiasi altra forma di protezione (salvaguardia del dirittod’asilo). Nel caso contrario, infatti, essi vengono condotti inItalia e non rinviati

siano stati visitati da un medico che non ne ha disposto ilricovero (salvaguardia del diritto alla salute). Nel caso, infatti,vi siano a bordo persone che non sono nelle condizioni diproseguire la navigazione verso un porto del Paese terzo dalquale sono partiti, le stesse vengono prontamente trasferitein Italia per le cure del caso

possano essere condotti verso un Paese partner ritenutoaffidabile in tema di tutela dei diritti umani, le cui autorità sisono rese disponibili ad accettarli sul proprio territorio, dalquale erano partiti (rispetto del principio di non refoulement) 13.

Da quest’ultimo punto di vista le autorità della Libia, all’epocadei fatti, erano ritenute dall’Italia un partner affidabile, ancheper quanto concerne la tutela dei diritti degli stranieri rinviati.Le autorità di Tripoli avevano ratificato importanti convenzioniinternazionali per la tutela dei diritti umani, quali quelle suldelitto di genocidio, sul divieto di discriminazione razziale e

13 A questi requisit i si aggiunge i l doveroso r ispetto della dignità umana, percui i l r invio avviene senza procedere al traino del natante su cui navigano glistranieri; infatt i , questi ult imi sono trasbordati sulle unità navali i tal iane, overicevono assistenza e cure, evitando di esporl i agli evidenti r ischi connessi adun eventuale rimorchio dell ’ imbarcazione e la tutela della minore età, per cuinessun minorenne viene distaccato dal nucleo familiare o temporaneo di riferimento,poiché l ’operazione di r invio interessa tutt i gl i stranieri intercettati a bordo delnatante

L’Italia non ha violato,come sostenutodalla Cedu,il principio di non refoulementperché non erano in vigore misure di protezione verso quei cittadini stranieri,che peraltro non hanno chiesto asilo

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contro la tortura, pur non avendo aderito alla Convenzione diGinevra del 1951 sullo status di rifugiato14. Anche il Collegio peri reati ministeriali del tribunale di Roma15 e la procura dellaRepubblica del citato tribunale16, nell’archiviare un procedi-mento penale incentrato sulla stessa operazione di rinvio su cuisi è espressa la Corte europea dei diritti dell’uomo, hannoriconosciuto che le autorità della Libia avevano ratificatoimportanti convenzioni internazionali per la tutela dei dirittiumani.

Peraltro si fa presente che la stessa Cedu, in occasione diun’altra decisione del 2010 sui ricorsi presentati da 84 stranierisbarcati a Lampedusa nel 2005 e poi rimpatriati in Libia, cheavevano prospettato il timore di essere sottoposti a trattamentiinumani o degradanti in caso di una loro espulsione verso talePaese, ha archiviato il caso non muovendo alcuna censuraall’Italia e riconoscendo che il ritorno degli stranieri in Libianon poteva configurare, di per sé, la violazione del divieto delnon-refoulement.

D’altra parte è lo stesso legislatore comunitario a imporre aiPaesi membri l’obbligo di sorvegliare le frontiere impedendonel’attraversamento non autorizzato, lottando contro la criminalitàtransfrontaliera, adottando misure contro le persone entrateillegalmente nei rispettivi territori17. Se l’operazione di rinvionon venisse disposta in presenza delle richiamate condizioni,la competente autorità – ossia il dipartimento della Pubblicasicurezza, per il tramite della direzione centrale dell’Immigra-zione e della Polizia delle frontiere – violerebbe la normativanazionale che sancisce l’obbligo di contrastare l’attività delleorganizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umanie di impedire la consumazione, da parte dei citati stranieri, del

14 La Libia ha ratificato la Convenzione dell’Unione africana del 1969 sui rifugiati inAfrica, nonché la maggior parte degli strumenti internazionali per la tutela deidiritt i umani. Inoltre ha aderito, dal 2004, all ’Organizzazione internazionale perle migrazioni (Oim), consentito all’Alto commissariato per i rifugiati delle NazioniUnite (Unhcr) di aprire un proprio uff icio a Tripoli per effettuare lo screening deirichiedenti asilo, e nel 2008 ha sottoscritto con l ’ I tal ia i l Trattato di amicizia che,all’articolo 6, prevede che i due Paesi “agiscano conformemente … agli obiettivied ai principi della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione universaledei diritt i dell ’uomo”15 Con decreto del 10 novembre 2009, nell’ambito del procedimento penale n.32960/0916 Con richiesta del 7 luglio 2009, nell’ambito del procedimento penale n. 32960/0917 Articolo 12, Regolamento (CE) n. 562/2006, del Parlamento europeo e delConsiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo alregime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiereSchengen)

L’obbligo di sorvegliare le frontiere e di impedire che qualcuno le attraversi senza autorizzazione è imposto dal legislatore comunitario

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reato di ingresso illegale nel territorio dello Stato18, nonché gliobblighi derivanti dalla già richiamata legislazione europea intema di sorveglianza delle frontiere esterne. In tale contesto,dunque, il rinvio si configura come un atto “dovuto”, privo dimargini di discrezionalità, necessitato dalla piena osservanzadei doveri d’ufficio.

Altro punto controverso è quello relativo alla presunta viola-zione degli obblighi di informazione sull’accesso alle procedured’asilo. In tal senso va precisato che non è previsto dal legisla-tore alcun obbligo di fornire allo straniero informazioni sullapossibilità di chiedere una qualsiasi forma di protezione. Infatti,tale attività informativa deve essere assicurata solo dopo chelo straniero ha manifestato la volontà di chiedere asilo. Anchele informazioni da fornire allo straniero sui diritti e sugli obblighiconnessi allo status di protezione richiesto presuppongonol’avvenuto riconoscimento di detto status 19 e, al massimo,l’attività informativa può essere anticipata al momento in cui ilrichiedente viene ascoltato dalla Commissione preposta 20.Peraltro sul punto la normativa europea è ancora più rigorosarispetto a quella nazionale, poiché prevede espressamenteche tali informazioni sui diritti e sui doveri siano fornite aglistranieri “…dopo avere riconosciuto loro lo status…” richiesto 21,per cui si deve attendere che la Commissione abbia già decisosulla domanda di asilo, accogliendola. Solo all’atto dellapresentazione della domanda di asilo, che deve essere fattapersonalmente dal richiedente, l’ufficio di polizia competenteconsegna allo straniero un opuscolo informativo ove sono indicatil’indirizzo e il recapito dell’Unhcr e delle principali organizzazionidi tutela dei richiedenti la protezione internazionale 22.

18 Articolo 10-bis, decreto legislativo n. 286 del 1998, e successive modificazioni19 Articolo 21, comma 1, decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, recante“Attuazione della dirett iva 2004/83/CE recante norme minime sull ’attr ibuzione, acittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimentibisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenutodella protezione riconosciuto” 20 Articolo 21, comma 2, decreto legislativo n. 251 del 200721 Articolo 22, Dirett iva 2004/83/CE del Consiglio del 29 apri le 2004, recante“Norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualificadel r i fugiato o di persona altr imenti bisognosa di protezione internazionale,nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuto”, recepitadall ’ I tal ia con i l decreto legislativo n. 251 del 2007.22 Articolo 10, commi 1 e 2, decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e successivemodificazioni, recante “Attuazione della Dirett iva 2005/85/CE recante normeminime per le procedure applicate negli Stati membri ai f ini del r iconoscimentoe della revoca dello status di r i fugiato”

Non esiste alcun obbligo di fornire allo straniero intercettato in mare informazioni sulla possibilità di chiedere una forma di protezione;questo deve avvenire solo dopo che egli abbia manifestato la volontà di chiedere asilo

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Pertanto, la decisione delle Corte europea si basa su un’in-terpretazione della vigente normativa che non è conforme aquello che è il significato proprio delle parole utilizzate dallegislatore, la cui chiarezza e linearità sono fuori discussione.Infatti colui che ha diritto a un “accesso effettivo” alla proceduraè solo ogni cittadino di Paese terzo o apolide, anche se mino-renne, richiedente asilo (cioè che abbia presentato – o abbiamanifestato la volontà di presentare – una domanda di asilo sullaquale non è stata ancora presa una decisione definitiva 23) orichiedente protezione internazionale 24. Anche l’assistenzadell’interprete, in tutte le fasi del procedimento connesse allapresentazione e all’esame della domanda, è garantita sempree solo al “richiedente asilo”, cioè a colui che ha effettivamentepresentato l’istanza o ha manifestato la volontà di farlo.

Per quanto attiene il tema dell’identificazione dello stranieroche si trova a bordo di natanti intercettati nelle acque inter-nazionali, tale attività deve essere espletata soltanto qualorasi debba procedere:

a contestare un reato. Come abbiamo visto in precedenza,allo straniero che viaggia su di un natante adibito al traffico diclandestini va contestato il reato di ingresso illegale sul territoriodello Stato solo se egli viene fermato nelle acque territorialiitaliane, ma tale fattispecie penale non si applica allo stranierointercettato in acque internazionali, anche se egli viene tra-sbordato sull’unità navale italiana che costituisce territorio delloStato, in quanto il presupposto del reato è la condotta “attiva”dello straniero

a notificare un provvedimento amministrativo di espulsioneo di respingimento

ad applicare, in favore di cittadini stranieri ovunque rintrac-ciati, le misure di protezione temporanea adottate dall’autoritàcompetente.

Le suddette situazioni non si configurano qualora l’unitànavale italiana si trovi in acque internazionali, in quanto lostraniero intercettato su di un natante di fortuna non commettedi per sé alcun reato; non si trova in una situazione tale da

23 Articolo 2, lettera c) della Direttiva 2005/85/CE “Norme minime per le procedureapplicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status dirifugiato”recepita dall’Italia con il decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e succes-sive modificazioni24 Articolo 2, lettera c), del D.Lgs 25/2008, e successive modificazioni

È necessarioidentificarelo stranieroin mare soloper contestareun reato,notificare un provvedimento di espulsione o respingi-mento,applicare misure di protezione temporanea

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Il tema dei respingimenti

integrare i presupposti per poter emettere, nei suoi confronti,un provvedimento di espulsione o di respingimento e il relativodecreto, qualora adottato, esporrebbe l’autorità che lo ha emessoal rischio di una grave censura, poiché suscettibile di annul-lamento a causa della mancanza di una base giuridica.Inoltre, nel caso specifico, lo straniero non ha potuto neancheusufruire della protezione temporanea, poiché non risultanoessere stati emessi dalla competente autorità specifici prov-vedimenti in tale direzione.

Si ritiene, pertanto, che in acque internazionali non vi sianospecifici motivi per identificare compiutamente lo straniero,essendo irrilevante la sua nazionalità in assenza di specificiprovvedimenti emessi dalla Presidenza del Consiglio dei ministriin favore di determinate etnie. Peraltro, l’assenza di qualsiasiattività identificativa caratterizza anche le operazioni di soc-corso in mare, al cui termine nessuno straniero è soggetto allaprocedura identificativa, anche laddove il Paese di sbarco siadifferente rispetto a quello cui appartiene l’unità navale cheha soccorso e preso a bordo lo straniero.

Infine, non è necessario prevedere la presenza di interpretia bordo delle navi impegnate nell’attività di sorveglianza dellefrontiere esterne. Infatti, non vi è alcuna disposizione di leggeche lo imponga e a maggior ragione se la nazionalità deimigranti intercettati è irrilevante, come già illustrato. In ognicaso, le procedure adottate dagli equipaggi delle unità navaliitaliane sono sempre state conformi alla normativa interna einternazionale, in particolare per quanto attiene alla salva-guardia dei diritti fondamentali delle persone. A riprova di ciòvi sono quelle operazioni di rinvio che non sono state piùeffettuate per le particolari condizioni di salute degli interessatio per la loro richiesta di asilo.

In alto marela nazionalitàdello stranieroè irrilevante,in assenza diprovvedimentiemessi dalle autorità competenti in favore di determinate etnie

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Boko Haram,il brand antioccidentalenella scalata ad Al-Qaida

di Claudia Svampa

La svolta stragista con cui la setta si esprimenegli ultimi tempi conferma un’evoluzione nella sua capacità offensiva e tende ad accreditarel’ipotesi di collegamenti strutturati con Al-Qaidanel Maghreb islamico e Al-Shabab in Somalia

Chi è e cosa si cela dietro a Boko Haram, il brand islamicoantioccidentale, indicato già con molta insistenza come ilsuccessore in pectore di quell’Al-Qaida stragista ed esibizionista,leader indiscussa del terrorismo internazionale dopo gli attentatidell’11 settembre?

Il nome della setta nigeriana Boko Haram è via via semprepiù frequente nei rapporti di intelligence e nelle cronache degli

attentati in regioni dell’Africa sub-saharianacontro gli apparati dello Stato e contro i civili,soprattutto cristiani.

Un nome, o più correttamente un sopran-nome, che evoca – nella sua traduzione – unmessaggio inquietante nel significato dellatraslitterazione dall’arabo: “L’educazioneoccidentale è peccato”. Ed è proprio ilmessaggio trasmesso a costituire un arpionemediatico eccellente per il neo-gruppo islamico(il cui vero nome è “Jama’atu Ahlis Lidda’awati

Sunna wal-Jihad” che tradotto significa: “persone devote allapropagazione degli insegnamenti del Profeta e della guerrasanta”) che tenta di aprirsi un varco di popolarità internazionaleveicolando l’immagine di gruppo terroristico che persegue laconversione globale all’Islam radicale attraverso la violenza.

La genesi religiosa de “L’educazione occidentale è peccato”La costituzione di Boko Haram ha inizio nel 2002 nel Nord

della Nigeria, dove Muhammed Yusuf, un imam fortemente

Il nome della setta nigerianaBoko Haram è sempre piùfrequente nei rapporti di intelligence e nelle cronachedegli attentati nell’Africa sub-sahariana, contro apparati dello Stato e civili cristiani

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Il fenomeno Boko Haram

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carismatico e ideologo islamico, ostile a ogni forma di processodemocratico, fonda la setta con lo scopo di applicare lasharia – il complesso di norme religiose, giuridiche e socialifondate sulla dottrina coranica – estendendola a tutto il Nord delPaese.

Divenuto la guida spirituale del neo movimento, Yusufspettacolarizza i suoi principi evocanti il radicalismo islamicofondamentalista soprattutto in ambito accademico, condichiarazioni, come quella rilasciata nel 2009 in un’intervistaalla BBC, in cui afferma che nozioni acquisite come la sfericitàdel globo terrestre, o l’origine della pioggia determinatadall’evaporazione e condensazione dell’acqua, sono teorieerrate e contrarie ai precetti dell’Islam, come tutti gli insegnamentiderivati da modelli occidentali.

Nel luglio 2009, dopo che Boko Haram ha già intrapreso lavia della lotta armata, Yusuf viene arrestato insieme ad altri

esponenti della setta dalla polizia nigerianae muore in carcere pochi giorni dopo nelcorso di un possibile tentativo di fuga.

Dopo la sua scomparsa – anche a seguitodi una sanguinosa operazione militare con-dotta dagli apparati governativi contro lamoschea di Yusuf, headquarter della setta –l’azione violenta aumenta in maniera espo-nenziale contro obiettivi governativi e civili,tanto cristiani quanto musulmani moderati.Intanto il braccio armato dei militanti si adatta

alla nuova leadership della setta: l’annunciato successoreMallam Sanni Umaru, l’ex braccio destro di Yusuf MohammedAbubakar Shakau, i fedelissimi Abu Darda e Abu Zaid,quest’ult imo con funzioni di portavoce del gruppo, e infineAbul Qaqa.

Dal 2009 oltre 1200 persone sono state uccise in Nigeriadai terroristi di Boko Haram secondo i dati aggiornati fornitidal Capo di Stato maggiore, Oluseyi Petinrin. Dati che trovanoaltrettanto riscontro nel rapporto dell’organizzazione umanitariaHuman Rights Watch (Hrw) che aggiorna a oltre 300 le vittimedall’inizio dell’anno a oggi. Tra gli attentati più eclatanti quelloalla Chiesa cattolica di Madalla, alla periferia di Abuja, durantela messa di Natale nel dicembre scorso dove morirono 40 fedeli.Altrettanto sanguinosi sono stati gli attacchi nella capitalenigeriana alla sede delle Nazioni Unite, i l 26 agosto 2011(25 vittime) e al quartier generale della polizia il 14 giugno 2011(10 vittime).

Dal 2009 oltre 1200 persone sono state uccise in Nigeriadai terroristi della setta: tra gli attentati più eclatanti quelloalla Chiesa cattolica di Madalla,durante la messa di Natale dove morirono 40 fedeli

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Il fenomeno Boko Haram

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Secondo alcune fonti non ufficiali Boko Haram, ad oggi,conterebbe un nucleo operativo centralizzato di circa 300fedelissimi e una rete di fiancheggiatori di oltre 30mila com-battenti.

La bilancia economica della presidenza alternataLa minaccia sempre crescente di un sovradimensionamento

del fenomeno Boko Haram non può non tener conto dellapeculiarità territoriale, economica e politica del Paese. La Nigeria,

con i suoi quasi 160 milioni di abitanti e lecirca 250 diverse etnie, comprende 36 Statifederati che, dal punto di vista religioso, sidividono per grosse linee a metà tra musulmanial Nord e cristiani al Sud, mentre il territoriodella capitale federale Abuja è tendenzial-mente neutrale dal punto di vista religioso.

Il sistema di governo, fortemente centra-lizzato, attribuisce pieni poteri al Presidentedella Repubblica anche nella gestione dellaprincipale risorsa economica del Paese che

deriva dall’estrazione di greggio, essendo la Nigeria il sestoproduttore di petrolio nel mondo.

Va da sé che l’applicazione della norma consuetudinaria(ma non sancita dalla Costituzione) della presidenza alternatatra cristiani del Sud e musulmani del Nord, alla guida delPaese, rappresenti per le due identità cristiano-musulmane lagaranzia di una più equa distribuzione delle risorse economichegestite dal governo centralizzato. Principio di rotazioneche è stato abbandonato con l’elezione dell’attuale presidenteGoodluck Ebele Jonathan, cristiano del Sud.

Ciò induce a considerare che, alla base di una for terecrudescenza del radicalismo islamico e della pretesa diapplicare la sharia all’intero Paese da parte di Boko Haram,vi sia anche e soprattutto la scarsa propensione del Nordmusulmano e dei suoi ambienti politici a contrastare il fenomenoin un’ott ica di r ibi lanciamento del potere, percepito nellafatt ispecie for temente sbilanciato a favore degli interessidei cristiani nigeriani.

Lungi dall’essere etichettabile come una zona i cui conflittiscaturiscono esclusivamente dalla matrice religiosa, l’areanella quale opera la setta presta comunque il fianco allaspeculazione dell’eterno antagonismo cristiano-musulmano,pur non essendone la causa. Ciò non solo per l’oggettivacomposizione a maggioranza islamica della popolazione del

Alla base della recrudescenza del radicalismo islamico e della pretesa di applicare la sharia all’intero Paese puòesserci la scarsa propensione di alcuni ambienti politici a contrastare il fenomeno

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Nord, ma anche perché, in un territorio in cui la povertà è diffusain concorrenza con l’analfabetismo e la stragrande maggioranzadella popolazione vive con meno di due dollari al giorno, per igiovani, i più colpiti dalla disoccupazione, l’aspirazione a entrarea far parte della rete terroristica si traduce nell’unico obiettivopossibile per il futuro.

L’assalto alle armi libiche e il salto nella galassia del terrorismointernazionale

Non sono soltanto le nuove generazioni, più istruite, tecnolo-giche, ricettive e molto rabbiose a venire in soccorso all’upgradingal quale mira la leadership di Boko Haram, ma gioca un suo ruolosenz’altro significativo la lunga crisi libica e la conseguentecaduta del regime di Muammar Gheddafi. Ruolo che si profila

come un canale di accesso privilegiato versol’Al-Qaida vera, quella rimasta vacante,almeno nell’immaginario collettivo, dopo lacattura e l’uccisione in mondovisione delterrorista numero uno: Osama Bin Laden.

Quella stessa Al-Qaida centrale e para-militare dalla quale partono sei rami di colle-gamento verso le consorelle e l’affiliazionead almeno altri 14 altri gruppi terroristici.Con i quali opera e collabora in circa 30 Paesinel mondo secondo quanto riferito dall’Intel-

Center, il centro di sicurezza americano che lavora con leagenzie di intelligence dal quartier generale di Alexandria,in Virginia.

La multinazionale del terrore messa su dal ricco rampollosaudita mandante delle stragi dell’11 settembre e ideologodella guerra santa contro l’Occidente, resta ad oggi irrime-diabilmente mutilata dalla scomparsa della figura carismaticadel leader, pur mantenendo attiva la sua struttura con localizza-zioni in tre continenti e ventidue Paesi, secondo lo schemaseguente che indica gruppi terroristici differenziati per aree mafedelmente accreditati alla casa madre.

In Europa i Paesi maggiormente rappresentati dalle organiz-zazioni legate ad Al-Qaida sono la Spagna dove opera il gruppoTehrik-i-Taliban, e la Germania con l’Islamic Jihad Union.

Seguono in Africa: il Senegal, la Mauritania, il Mali, il Niger,l’Algeria, la Tunisia e la Libia dove opera Al-Qaida nel Maghrebislamico (Aqmi); l’Egitto con il movimento terroristico AlGama’a al-Islamiya; l’Uganda e il Kenya che fanno capo adAl-Shabab, e infine la Somalia dove il terrorismo è potenziato

La lunga crisi libica e la caduta di Gheddafi hanno giocato un ruolo significativo nell’ascesa di Boko Haram profilandosi come un canale di accesso privilegiato verso la vera Al-Qaida

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fra Al-Qaida nella Penisola araba, Al-Shabab e Al-Qaida nell’Africadell’Est.

Nel terzo continente, l’Asia, la galassia jihadista è cosìstrutturata: in Turchia il Turkistan Islamic Party e Al-Qaida inTurchia; in Iraq Al-Qaida in Iraq; in Arabia Saudita Al-Qaidanella Penisola Araba; nello Yemen Jund-al-Yemen Brigades,Al-Qaida nella Penisola Araba e Al-Shabab; in Uzbekistan ilMovimento islamico dell’Uzbekistan (Imu); in Afghanistan Al-Qaida, Tehrik-i-Taliban, Al-Qaida in Khorasan, Islamic JihadUnion, Movimento islamico in Uzbekistan, Taliban, Haqqani-Network e Lashkar e-Tayyiba; in Pakistan Al-Qaida, Tehriki-Taliban, Al-Qaida in Pakistan, Islamic Jihad Union, Movimentoislamico in Uzbekistan, Taliban, Turkistan Islamic Party,Haqqani-Network, e Lashkar e-Tayyiba; e infine in Cina il TurkistanIslamic Party.

Tutto questo fiorire di fronti di combattimento attivi in favoredella jihad islamica si interseca con la recente fine del regimelibico, la caduta di Gheddafi e, soprattutto, la sparizionedell’arsenale saccheggiato dalle milizie ribelli, passato in mano

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prima ai contrabbandieri e poi ai diversi afferenti ai gruppicombattenti dentro e fuori la Libia.

Secondo le analisi di esperti militari rese note dai mediainternazionali mancherebbero anche all’appello 12.500 missiliSam7 di fabbricazione sovietica che si ipotizza siano stativenduti a gruppi legati ad Al-Qaida nel Maghreb islamicosecondo quanto affermato dal presidente del Ciad, Idriss DébyInto, in primis e poi confermato dall’americano Richard Ots,direttore dell’Ufficio internazionale delle migrazioni dell’Onu aNouakchott, il quale ha anche aggiunto che l’Aqmi sarebbeentrata in possesso non solo dei Sam7 ma anche di missiliamericani tipo Stinger.

Lo stesso gruppo di Al-Qaida nel Maghreb islamico, tenace-mente ostacolato dall’anti-terrorismo algerino e internazionale

durante tutto il 2010, ha iniziato una sua ritirataverso sud, approfittando della protezione dimovimenti come Boko Haram strutturati nellalogistica del territorio con basi e appoggiparamilitari.

La svolta stragista e fondamentalista concui Boko Haram si esprime nell’ultimo periodoconferma un’evoluzione nella capacitàoffensiva dell’organizzazione, e tende adaccreditare l’ipotesi di collegamenti ormaistrutturati tanto con Al-Qaida nel Maghreb

islamico, in grado di fornire solida esperienza paramilitare,quanto con Al-Shabab in Somalia, nei cui campi di adde-stramento era già stato formato il nigeriano Muammar Nur,l’ideatore dell’attentato all’Onu.

Al di là della consapevolezza, maturata con riluttanza dalleautorità nigeriane, che l’azione repressiva sul territorio non èpiù la strada efficace per il contrasto a Boko Haram, maoccorre una più strutturata attività preventiva di intelligence el’apertura al dialogo con interlocutori interni all’ambiente,resta il monito lanciato dalla stampa britannica sui possibilirischi di un radicamento in territorio nigeriano del terrorismoislamico con aspirazioni di internazionalizzazione in Occidente.

Secondo i servizi segreti inglesi infatti Al-Qaida sarebbedeterminata a fare della Nigeria la base operativa per sferrareattacchi terroristici anche in Europa. E Boko Haram raggiun-gerebbe l’agognata vetrina internazionale lasciata vacantedalla prima carta del mazzo: Osama Bin Laden.

L’azione repressiva condotta sul territorio non è la strada più efficace per il contrasto alla setta; occorre un’attività preventiva di intelligence e l’apertura al dialogo coninterlocutori interni all’ambiente

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I filippini all’estero:diaspora o fuga?

di Stefano Pelaggi Caporedattore de “L'italiano”

Un’emigrazione di massa, cominciata fin dal 1800,che oggi riguarda 9,5 milioni di cittadini.La sfida è quella di rallentare il flusso degli espatri dal Paese e riavvicinare la comunità che vive all’estero alle istituzioni nazionali

Sin dal 1800 i filippini hanno lasciato il loro Paese per cercarefortuna all’estero in maniera sistematica. Secondo recentiricerche circa nove milioni e cinquecentomila cittadini filippinilavorano fuori dai confini nazionali sia permanentemente chetemporaneamente 1.

Una importante ondata migratoria inizia nei primi anni delNovecento, diretta verso gli Stati Uniti, sotto l’evidente vincolodell’influenza coloniale nordamericana nel Paese asiatico. Ilsecondo flusso migratorio che va dalla fine del secondo conflittomondiale alla metà degli anni Sessanta, è sempre diretto versogli Usa. Ma se il primo era composto prevalentemente dastudenti filippini che si recavano nelle università statunitensi eche al ritorno in patria andranno a costituire l’élite del Paese,le dinamiche migratorie dopo il 1945 presentano delle caratte-ristiche opposte 2. Dopo il secondo conflitto mondiale il Paeseinizia a perdere le migliori risorse umane che lasciano lamadrepatria per trasferirsi stabilmente negli Stati Uniti.

Una tendenza che, anche in tempi recenti, il governo filippinonon ha saputo arrestare. Nei primi anni Settanta il PresidenteMarcos cerca di promuovere il movimento migratorio e di aprire

1 Commission on Filipinos Oversesas, Stock estimate of overseas filipinos, December2010. http://www.cfo.gov.ph/index.php?option=com_content&view=article&id=1340:stock-estimate-of-overseas-filipinos&catid=134:statisticsstock-estimate&Itemid=814 2 H. Brett Melendy, Filipinos in the United States, Pacific Historical Review Universityof California Press 43, n. 4, 1974

Gli Stati Uniti sono stati la meta privilegiata dei filippini che hanno cercato lavoro e fortuna all’estero

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I filippini all’estero

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nuove destinazioni per i lavoratori filippini. La crisi petroliferadei primi anni Settanta moltiplica il potere d'acquisto dei Paesimedio-orientali produttori di petrolio e crea le condizioni perimportanti progetti di industrializzazione nelle maggiori capitali.

I migranti filippini sono la forza lavoro che ha partecipato inmisura maggiore a questo processo di costruzione. Fino all’iniziodegli anni Ottanta il governo filippino predilige un rapportointerstatale delle politiche migratorie, cercando una serie diaccordi con le varie nazioni e di fatto estromettendo le agenzieprivate dalla fase di selezione del personale 3. Le istituzioniinteragiscono con altre entità statuali per dirigere, pianificaree ordinare i flussi migratori, cercando così di migliorare “lacapacità adattativa del migrante: quel viluppo di caratteristichebiologiche, psicologiche e naturali che hanno permesso ladispersione della specie nei continenti” 4.

Una seconda fase inizia nei primi anni Ottanta con il governoche permette il reinserimento nella gestione dei flussi migratoridelle agenzie private di collocamento. In questo periodo leistituzioni dedicate alla politiche migratorie vengono modifcate:la Philippine Overseas Employement Administration prendeil posto della Oedb e della Nsb nel 1982 mentre nel 1987 laWorkers Welfare Administration sostituirà il Welfare Fund 5.

Le dimensioni del fenomeno migratorio hanno alimentatoinfiniti dibattiti sul ruolo del governo visto come regolatore deiflussi o come vero e proprio esportatore di uomini e donne.Battistella, nei suoi saggi dedicati all’argomento, nota come ilgrande numero di filippini che espatriano senza documentiin regola dimostra la limitata responsabilità dello Stato neiconfronti dell’esodo 6.

Le crisi asiatiche degli anni Novanta hanno significativamentecambiato le destinazioni e i flussi dei cittadini filippini direttiall’estero. Ma la stessa crisi economica ha esacerbato i conflittisociali ed economici, che hanno spinto tanti cittadini a lasciareil proprio Paese. Nel 1998 il Presidente Ramos invitava i filippiniall’estero a rimanere nei Paesi di adozione e a scegliere le nuovedestinazioni in basa alla continua richiesta di manodopera,

3 Cfr.: G. Battistella, A. Paganoni, Philippine labor migration: impact and policy,Scalabrini Migration Center, 19924 M. Livi Bacci, In cammino. Breve storia delle migrazioni. Il Mulino, Bologna 2010, p.85 G. Battistella, Philippine migration Policy: Dilemmas of a crisis, in Sojourn. Journalof social issues in Southeast Asia, n.1, vol.14, 19996 Cfr.: ivi

Il dibattito sul ruolo del governo filippino,visto in alternativacome regolatore dei flussi migratori o come “esportatore”di uomini e donne;in realtà l’alto numero di espatriati senza documenti dimostra la limitata responsabilità dello Stato

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I filippini all’estero

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citando espressamente i Paesi emergenti del Medio Oriente 7. Le rimesse economiche degli Overseas Filipino Workers

(OFW) hanno notevolmente ridotto la povertà nel Paese e hannofortemente contribuito all'incremento della qualità della vita, inparticolare nelle aree più depresse. Il direttore del PhilippinesCultural Studies Center E. San Juan rifiuta l’etichetta di transna-zionalismo e descrive i filippini nel mondo come “cittadini senzaradici e dispersi” che potranno trovare una dimensione consonasolo “in un radicale cambio sistemico nelle metropoli e, ancorapiù cruciale, una trasformazione popolare e democratica nelleFilippine” 8.

All’incirca tremila filippini lasciano il Paese ogni giorno,mentre l’economia delle rimesse è diventata imprescindibileper il sostentamento della nazione. La classe politica si trovadi fronte a un insanabile conflitto: la necessità di creare condi-zioni per formare e mantenere le élite all’interno del Paese el’indispensabile apporto all'economia degli espatriati. Anchela sicurezza stessa dei cittadini filippini all’estero è stata, negliscorsi anni, considerata a rischio. Migliaia di lavoratori sonoprigionieri in Arabia Saudita, Emirati Arabi e nelle altre nazioni delGolfo; moltissimi cittadini filippini si trovano senza documentidopo una causa con i datori di lavoro e sono impossibilitati atornare nella madrepatria.

I casi di violenza domestica contro i lavoratori filippini inquesti Paesi sono molto frequenti ma raramente gli immigratipossono disporre di una adeguata protezione consolare.Quando Angelo De La Cruz, un camionista in una nazionepericolosa, fu rapito a Fallujah nel 2004 in Iraq e gli insortichiesero il ritiro delle truppe filippine le reazioni furono molto forti.Gran parte della popolazione criticò la decisione di proibire iviaggi in Iraq, come a dimostrare che “tanti avrebbero preferitoandare in Iraq per lavorare e rischiare di essere uccisi veloce-mente, piuttosto che morire lentamente nella loro amata patria” 9.Un indicatore della centralità dell’emigrazione per l’economianazionale è la pressante richiesta dei media filippini per l’aboli-zione del divieto governativo sull’entrata dei cittadini in Iraq10.

7 Cfr.: The Straits Times, 8 gennaio 1998. cit. in ivi8 E. San Juan, Migrant Heritage Commission for their Program Honoring the FilipinoMigrants, 10 giugno 20069 Cfr.: ivi10 R. Talampas, Angelo dela Cruz: It’s time to lift the Iraq ban, Philippine Daily Inquirer,7 Giugno 2011

All’incirca tremila filippini lasciano il Paese ogni giorno,mentre l’economia legata alle rimesse è diventata imprescindibileper il sostentamento della nazione

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Con la legge del 13 febbraio 2003 i cittadini filippini residentiall’estero possono votare per eleggere i propri rappresentantiistituzionali. Come per le elezioni in patria è necessaria laregistrazione presso uffici appositamente designati. Durantele due elezioni la partecipazione la voto non è stata numerosa,in parte a causa del breve periodo per la registrazione all’ana-grafe degli elettori per i filippini all'estero rispetto ai residentiin patria. Ma anche per un evidente distanza tra i residentiall’estero e gli obiettivi della politica filippina. Nel 2009 solo590mila cittadini residenti all’estero sui nove milioni di filippiniespatriati si sono registrati per partecipare alle elezioni nazionali,un segno della scarto tra coloro che vivono al di fuori dei confininazionali e la politica filippina.

La vera sfida di questo decennio consiste, oltre che nellaricerca delle condizioni per rallentare il flusso degli espatri dalPaese, in una serie di azioni volte a un riavvicinamento tra lacomunità filippina all'estero e le istituzioni del Paese. Perchéoggi, come negli anni Settanta, la scelta dell’espatrio sembradettata da una fuga: nei decenni passati da un regime autoritarioe oppressivo; nei nostri giorni si fugge da una struttura socialechiusa che non consente un avanzamento professionale o unmiglioramento delle condizioni di vita.

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La giurisprudenza della Cedusulla libertà religiosa individuale e collettiva

di Natascia MarcheiUniversità degli Studi di Milano - La Bicocca

La Corte europea dei diritti dell’uomo,con le sue sentenze, sta fissando in modo sempre più deciso limiti alle scelte statali sui comportamenti religiosi dei singoli e sul trattamento delle diverse confessioni

La Corte europea dei diritti dell’uomo, istituita nell’ambitodel Consiglio d’Europa 1, è l’organo deputato al controllo del

rispetto della Convenzione europea dei dirittidell’uomo, sottoscritta a Roma il 4 novembredel 1950 e ratificata dai 47 Stati europeimembri del Consiglio d’Europa. La legitti-mazione ad adire la Corte, dopo l’entratain vigore del protocollo modificativo XI (1°novembre 1998), è riconosciuta in modoparticolarmente ampio: essa infatti spettaa tutte le persone fisiche, organizzazioninon governative o gruppi di privati che siritengano lesi in uno o più dei diritti garantiti

dalla Convenzione a opera di uno Stato parte 2. Non stupisce, dunque, che il numero dei ricorsi e delle

pronunce della Corte sia aumentato in modo significativo nel-l’ultimo decennio e che la sua giurisprudenza abbia contribuitoe contribuisca in misura sempre più rilevante al processo di

1 Il Consiglio d’Europa è stato istituito i l 5 maggio 1949 da 10 Stati fondatori.Oggi raggruppa 47 Stati europei e ha come obiett ivo quello di promuovere lacreazione di uno spazio democratico e giuridico comune in Europa 2 Articolo 34 della Convenzione. Ricorsi individuali: “La Corte può essere investitadi un ricorso da parte di una persona fisica, un’organizzazione non governativa o ungruppo di privati che sostenga d’essere vittima di una violazione da parte di unadelle Alte Parti contraenti dei diritt i r iconosciuti nella Convenzione o nei suoiprotocoll i . Le Alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con alcunamisura l ’esercizio effettivo di tale diritto”

Mentre è in continuo aumento il numero dei ricorsi e delle sentenze, la giurisprudenza della Corte sta contribuendo in modo sempre più rilevante alla universalizzazione dei dirittidell’uomo in ambito europeo

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La giurisprudenza della Cedu sulla libertà religiosa

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universalizzazione dei diritti fondamentali dell’uomo in ambitoeuropeo.

Tra i diritti riconosciuti dalla Convenzione un ruolo centraleriveste il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione,previsto dall’articolo 9. La disposizione è suddivisa in dueparti. La prima contiene una precisa elencazione di tutte lefacoltà garantite: la libertà di cambiare religione o credo, dimanifestare la propria religione o il proprio credo individualmenteo collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto,l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti.

La seconda consente, a certe condizioni, agli Stati parti diprevedere limiti alla (sola) manifestazione della religione o delcredo: più precisamente, questa non può essere oggetto “direstrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge ecostituiscono misure necessarie, in una società democratica,per la pubblica sicurezza, la protezione dell'ordine, della saluteo della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e dellalibertà altrui”.

L’elencazione degli obiettivi a cui devono tendere le leggidegli Stati, per poter legittimamente restringere la libertà religiosa,

è molto ampia e soprattutto la clausola dichiusura “la protezione dei diritti e dellalibertà altrui” è talmente generica da potercomprendere, in pratica, qualsiasi restrizione.

Questo, però, non significa che gli Statiparti possano arbitrariamente limitare lemanifestazioni della libertà di pensiero,coscienza e religione attraverso qualsiasimisura purché prevista da una legge e tesaa realizzare uno dei tanti “scopi legittimi”elencato nell’articolo 9.2 della Convenzione

(c.d. “margine di apprezzamento degli Stati”): la Corte si riserva,in realtà, la facoltà di giudicare su come lo Stato abbia utilizzato,nel caso concreto, il proprio margine di apprezzamento e sullanecessità della misura restrittiva “in una società democratica”.

La Corte, infatti, può decidere che la misura restrittiva,benché prevista dalla legge e tesa alla protezione di unoscopo legittimo, non sia necessaria in una società democraticae, dunque, sia sproporzionata e lesiva del diritto di libertàprotetto dalla Convenzione.

È molto frequente che la decisione della Corte di dichiarareo meno la violazione, da parte dello Stato, del diritto tutelatogiunga all’esito di un (complesso) giudizio di bilanciamento trail margine di apprezzamento, più o meno ampio, dello Stato

Il diritto alla libertà di pensiero,coscienza e religione è previstodall’art. 9 della Convenzione.La Corte si riserva di verificare come esso venga regolamentatonel concreto dai singoli Stati dell’Unione Europea

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parte nel limitare l’ambito di operatività del diritto e la necessitàdella misura restrittiva in una società democratica. In alcunematerie, particolarmente sensibili all’identità storico-culturaledegli Stati parti, il margine di apprezzamento di questi nel porrelimiti ai diritti di libertà è riconosciuto dalla Corte in misuraparticolarmente ampia.

La disciplina del fenomeno religioso rientra a pieno titolonel novero di queste materie poiché, a diredella Corte, non esiste in Europa una con-cezione comune del ruolo che deve ricoprirela religione nella società civile, ma questavaria da un Paese all’altro, in funzione delletradizioni nazionali e delle esigenze impostedalla protezione dei diritti, delle libertà altruie dalla tutela dell'ordine pubblico 3.

Di conseguenza, sempre a dire della Corte,la regolamentazione del fenomeno religiosodovrebbe, per forza di cose, essere – entro

una certa misura – lasciata allo Stato interessato che potrebbe,ad esempio, legittimamente scegliere di porre dei limiti allalibertà di espressione anche artistica (garantita dall’articolo 10della Convenzione) punendo penalmente le offese, i vilipendie le bestemmie a una o più religioni 4.

La dichiarata ampiezza del margine di apprezzamento inmateria non deve, però, essere interpretata come totale assenzadi controllo da parte della Corte che, al contrario, nel corso deglianni ha progressivamente ristretto gli spazi di discrezionalitàlasciati agli Stati e si è mostrata sempre più incisiva nel dichiararel’intervenuta violazione dell’articolo 9 da solo o in combinatodisposto con altri articoli della Convenzione che tutelano dirittistrettamente collegati alla libertà religiosa (articolo 8, diritto alrispetto della vita privata e familiare; articolo 10, libertà diespressione; articolo 11, libertà di riunione e di associazione;articolo 14, divieto di discriminazione; articolo 2 del protocolloaddizionale, diritto all’istruzione).

Le aperture riguardano sia le facoltà riconosciute ai singoli

3 Si vedano, tra i molti, i casi Otto Preminger contro Austria (1994); Dahlabcontro Svizzera (2001), Sahin contro Turchia (2005)4 Si vedano i casi Otto Preminger contro Austria (1994) e Wingrove contro RegnoUnito (1996), entrambi relativi a rappresentazioni cinematografiche ritenute blasfemee gravemente offensive del sentimento religioso della maggioranza

Nel corso degli anni la Corte si è mostrata sempre più incisiva nell’intervenire per il rispetto dell’articolo 9in collegamento con gli altridiritti fondamentali che sonoriconosciuti dalla Convenzione

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sia il trattamento riservato dagli Stati ai gruppi religiosi, anchese il riconoscimento della libertà religiosa come diritto collettivodirettamente riferibile alle confessioni non è dato per scontatoe la Corte tende a sottolineare il rapporto di strumentalità chelega la libertà (collettiva) delle confessioni alla libertà individualedei singoli aderenti.

In relazione al primo aspetto la giurisprudenza riconosceche la libertà di pensiero, di coscienza e direligione, protetta dall’articolo 9, è unadelle basi irrinunciabili di una “societàdemocratica” 5; che la dimensione religiosa,pur essendo uno degli elementi essenzialidell’identità di chi crede, è un bene preziosoanche per gli atei, gli agnostici, gli scetticie gli indifferenti 6; e che, peraltro, come èindubbio, l’articolo 9 non protegge qualsiasiatto motivato da un convincimento religioso,ma consente le limitazioni necessarie a

conciliare questo diritto con altri interessi (scopi legittimi) di pariimportanza 7.

Alla libertà di professare la propria religione o il propriocredo (o di non professarne alcuno) e di cambiare, ancheripetutamente, il proprio orientamento in materia non è consentitoagli Stati parti porre alcuna restrizione. La purezza della sceltaè, anzi, protetta dai tentativi di “indottrinamento” perpetratidagli Stati stessi attraverso l’esposizione di simboli religiosi neglispazi pubblici 8 o la previsione di corsi obbligatori a contenutoreligioso nei programmi scolastici 9, o dai singoli, attraverso

Le libertà protette dall’articolo 9e in particolare quella religiosa sono considerate basi irrinunciabili di una società democratica: un bene considerato prezioso anche per gli atei e gli indifferenti

5 Si veda, tra le molte, la sentenza Kokkinakis contro Grecia (1993)6 Sahin contro Turchia (2005)7 Tra le molte Sahin contro Turchia (2005).8 Sentenza Lautsi contro Italia (2009) modificata dalla Grande Camera nel 2011.Con la prima sentenza la Corte ha dichiarato la violazione da parte dell’Italia degliart. 2 del Protocollo (diritto all’istruzione) in combinato disposto con l’art. 9, inragione dell’obbligo di apposizione del crocefisso nelle aule scolastiche previstodalla normativa italiana, obbligo interpretato come un illegittimo “indottrinamento”da parte dello Stato in violazione del diritto dei genitori di assicurare i f igl iun’educazione conforme alle loro convinzioni. La sentenza è stata ribaltata dallaGrande Camera nel 2011 che ha ridimensionato la valenza simbolica del crocefissoe ha ritenuto non superato il margine di apprezzamento da parte dell’Italia9 Sentenza Folgero contro Norvegia. La pronuncia riguarda soprattutto l’art. 2 delProtocollo, diritto all’istruzione, che recita: “il diritto all'istruzione non può essererifiutato a nessuno. Lo Stato, nell'esercizio delle funzioni che assume nel campodell 'educazione e dell ' insegnamento, deve rispettare i l dir i tto dei genitori diassicurare tale educazione e tale insegnamento secondo le loro convinzionireligiose e f i losofiche” . La sentenza è chiara nel dire che lo Stato può evitare

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il ricorso a forme di proselitismo abusivo realizzate attraversolo sfruttamento di una qualsiasi posizione dominante 10.

Nella stessa ottica è illegittimo che gli Stati parti imponganoqualsiasi comportamento a specifico contenuto religioso 11,non prevedano il diritto all’obiezione di coscienza al serviziomilitare obbligatorio 12 o prevedano un obbligo a dichiarare ilproprio orientamento religioso 13.

La Corte, a maggiore garanzia della libertà di coscienza,sottolinea il ruolo dello Stato come organizzatore neutrale eimparziale della convivenza delle diverse religioni, culti e cre-denze, evidenzia come questo ruolo contribuisca a garantirel'ordine pubblico, la pace religiosa e la tolleranza in unasocietà democratica e conclude che tale dovere di neutralità èincompatibile con la possibilità di esprimere giudizi di valoresulle credenze e sulle modalità di espressione delle stesse 14.

La manifestazione della propria appartenenza religiosaattraverso azioni od omissioni sorrette da motivazioni religiosepuò, invece, come si è visto, essere sottoposta a restrizionilegislative nel rispetto dei limiti previsti dall’articolo 9.2 dellaConvenzione. Un caso emblematico più volte sottoposto allaCommissione e alla Corte attiene alle limitazioni, previste dallelegislazioni interne 15, alla libertà di abbigliamento che possono,nei casi in cui la scelta del vestiario sia religiosamente orientata,risolversi in restrizioni alla libertà religiosa.

In materia esiste un nutrito numero di pronunce, relativenella maggior parte (ma non nella totalità) dei casi all’utilizzodel velo da parte di donne musulmane, nelle quali è stato ritenuto

l’ indottrinamento o prevedendo nelle scuole corsi obbligatori a contenuto nonspecificamente religioso o corsi rel igiosi che siano, però, facoltativi 10 Sentenze Kokkinakis contro Grecia (1993) e Larissis contro Grecia (1996).Entrambe le pronunce riguardano la Grecia la cui legislazione nazionale prevedeil reato di proselitismo11 Sentenza Buscarini contro San Marino (1999) che riguarda i l caso di alcuniparlamentari eletti nella repubblica di San Marino obbligati a giurare sul Vangeloprima di accedere alla loro carica12 Bayatyan contro Armenia (2011)13 Sentenza Alexandridis contro Grecia (2007) che riguarda il caso di unAvvocato greco obbligato a rivelare la propria non appartenenza alla religionegreca ortodossa per evitare il giuramento avanti al Tribunale14 Tra le molte Sahin contro Turchia (2005)

15 Si veda la legge francese del 15 marzo del 2004 che vieta il porto del velo e dialtri simboli aventi carattere ostenta trio dell’appartenenza religiosa nelle scuolepubbliche

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non superato, da parte degli Stati, l’ampio margine di apprez-zamento e, dunque, di fatto, legittimato il limite imposto dallelegislazioni nazionali a tutela dell’ordine pubblico, della salute,delle libertà degli altri e, più in generale, della neutralità dellospazio pubblico 16.

Di recente la Corte ha, però, voluto precisare che anche inquesto caso il margine di apprezzamento, benché ampio, nonè illimitato e la libertà religiosa dei singoli deve prevalere sugli

altri interessi nei casi in cui l’abbigliamentoreligiosamente orientato (nel caso di speciesi trattava di uomini abbigliati con tunica eturbante e non di donne velate) sia indossatoda semplici cittadini (che non rivestono unapubblica funzione) che si trovano non in edificipubblici ma in pubbliche vie o piazze17. LaCorte, dunque, sembra ritenere che gli Statiparti debbano lasciare integra la libertà diabbigl iamento (anche rel igiosamenteorientato) quantomeno negli spazi pubblici

aperti: resta irrisolto l’interrogativo, a cui la Corte con ogniprobabilità non tarderà a fornire risposta, se la conclusioneriguardi anche gli abiti che coprono esclusivamente o quasiesclusivamente il volto, il cui utilizzo è vietato in alcuni Statiparti 18.

Altro limite alla libertà religiosa (e/o alla vita privata) delsingolo può discendere dal rapporto di dipendenza cheeventualmente lo leghi a un’organizzazione di tendenza. Inquesti casi, di norma, il datore di lavoro pone precisi divieti inrelazione a scelte di vita eterodosse o impone una specificaadesione confessionale. La Corte ha ritenuto che la necessitàdi garantire l’autonomia delle organizzazioni debba prevaleresui diritti del singolo tutte le volte in cui questo svolga compiti dirappresentanza e diffusione del credo all’interno del gruppo19.

In relazione al diverso aspetto dei diritti di libertà collettivie, più precisamente, allo status delle confessioni religiose,

Un tema specifico è quello che riguarda la libertà di abbigliamento in relazione a determinati credo religiosi.Il punto controverso resta quello degli indumenti che coprono totalmente il volto

16 Si vedano, tra le altre, le sentenze Dahlab contro Svizzera (2001), Sahin controTurchia (2005), Dogru contro Francia (2008), Kervanci contro Francia (2008)17 Sentenza Arslan e altri contro Turchia (2010)18 Si ricorda legge francese “interdisant la dissimulation du visage dans l’espacepublic” 14 settembre 2010 19 Casi Schuth e Obst contro Germania (2010) e Siebenhaar contro Germania (2011)

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la giurisprudenza ha in più occasioni ritenuto compatibilecon la Convenzione, in astratto, qualsiasi regolamentazionedei rapporti Stato-chiese e anche, eventualmente, la previsionedi una Chiesa di Stato 2 0.

L’affermazione, però, non ha impedito alla Corte di dichiararel’intervenuta violazione dell’articolo 9, anche in combinatodisposto con l’articolo 14 (divieto di discriminazione) 21, neicasi in cui dal diverso trattamento di una o più confessioni

fossero derivate discriminazioni o lesioni nelgodimento delle facoltà inerenti il diritto dilibertà religiosa in capo ai singoli appartenenti,come nel caso in cui la disciplina statalesull’apertura degli edifici di culto rendessetroppo difficoltoso per i fedeli appartenentiad alcune confessioni il diritto alla disponibilitàdi un luogo ove esercitare il culto 22 e, daultimo, addirittura nei casi in cui le legislazionistatali, senza motivazioni oggettive e ragio-nevoli, prevedessero uno status giuridico

particolarmente favorevole accessibile solo ad alcune confessionia detrimento di altre 23.

Questo importante punto d’arrivo sconfessa, nella sostanza,l’asserita compatibilità con la Convenzione di qualsiasi sistemadi rapporti tra Stato e chiese e mostra di richiedere unasostanziale equidistanza e imparzialità dello Stato nei confrontidelle confessioni. L’assunto è confermato dal già evidenziatodivieto per lo Stato di formulare giudizi di valore sulle credenzedi fede 2 4 e di ingerenza nell’organizzazione delle confessionireligiose 2 5.

La veloce disamina rivela il progressivo restringimento delmargine di apprezzamento degli Stati e il coraggio della Cortenel dichiarare violazioni dell’articolo 9 con sempre maggiore

La giurisprudenza della Corteè orientata a richiedere una sostanziale equidistanza e imparzialità dello Stato nei confronti delle confessioni,senza discriminazioni e giudizidi valore sulle varie credenze

20 È precluso, però, al lo Stato parte di prevedere l ’appartenenza forzata allareligione di Stato (Darby contro Svezia, 1990)21 “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzionedeve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quellefondate sul sesso, la razza, i l colore, la l ingua, la religione, le opinioni polit icheo di altro genere, l 'origine nazionale o sociale, l 'appartenenza a una minoranzanazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione”22 Manoussakis contro Grecia (1996)23 Testimoni di Geova contro Austria (2008); Testimoni di Geova contro Russia (2010);Testimoni di Geova contro Francia (2011)24 Testimoni di Geova contro Francia (2011)25 Santo Sinodo c. Bulgaria (2009) e Parafiya c. Ucraina (2007)

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ampiezza. La riduzione dell’autonomia statale riguarda fonda-mentalmente la fissazione dei confini – sia verso il basso siaverso l’alto – della neutralità dello Stato. Questo è sempremeno autonomo nel riempire di contenuto la propria “neutralità”nei confronti del fenomeno religioso.

La Corte, in modo sempre più deciso, fissa dei limiti allescelte statali sia in relazione ai comportamenti dei singoliaventi una chiara connotazione religiosa (lo Stato non puòdare giudizi di valore su una o più credenze, fare attività di

indottrinamento, con qualunque mezzo, afavore di una o più confessioni né imporreun comportamento a contenuto religioso ouna dichiarazione di appartenenza o nonappartenenza religiosa ma, di contro, nonpuò neppure impedire, sempre e comunque,ai singoli di esprimere con l’abbigliamento lapropria appartenenza religiosa) sia in relazioneal trattamento delle confessioni religiose (loStato non è obbligato a regolare i rapporti conle confessioni attraverso un sistema prefissato,

ma non può prevedere discipline che rendano troppo gravosol’esercizio di una o più facoltà inerenti al diritto di libertà religiosao che siano irragionevoli o meramente privilegianti nei confrontidi alcune confessioni).

Una eccezione a questa tendenza sembra rinvenibile nellasentenza della Grande Camera Lautzi contro Italia (2011) cheha ribaltato, negli esiti, la precedente pronuncia del 2009.La sentenza non ha ritenuto lesivo dell’articolo 2 del Protocolloe dell’articolo 9 della Convenzione l’obbligo di apposizione delcrocefisso nelle aule scolastiche previsto dalla legislazioneitaliana. La Grande Camera ha concluso che la presenza delsimbolo religioso sulle pareti dell’aula non fosse sufficiente aintegrare quell’“indottrinamento” da parte dello Stato più volteritenuto illecito e in contrasto con la Convenzione.

Il rilievo della sentenza della Grande Camera del 2011che, ribaltando la pronuncia del 2009, nel caso italiano non ha ritenuto la presenzadei crocefissi nelle scuole una forma di “indottrinamento”

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Lavoro è integrazione.Orientamenti dall’Europae programmazione dall’Italia

di Andrea FamaErnst & Young - Financial and Business Advisor per il servizio di assistenzatecnica del Fei

Il Programma annuale 2011 del Fondo europeoper l’integrazione ha introdotto un’azionespecifica finalizzata a promuovere l’occupabilitàal lavoro di cittadini di Paesi terzi vulnerabilio in condizione di disagio occupazionale

Il lavoro è una delle componenti imprescindibili della dignitàe dell’integrazione dell’uomo nel tessuto sociale in cui vive.Ciò è particolarmente rilevante nel caso dei cittadini immigrati,il cui processo di integrazione deve poter coniugare l’inserimentolavorativo con la conoscenza degli elementi civico-linguisticipropri di un determinato Paese.

L’Europa, infatti, sta attraversando significativi cambiamentidemografici, tra cui l’invecchiamento dei suoi cittadini, l’aumentodell’aspettativa di vita e il declino della popolazione in etàlavorativa. L’immigrazione regolare – come riportato anchenell’Agenda europea per l’integrazione dei cittadini di Paesiterzi – rappresenta un importante contributo nell’affrontare talitematiche, così come nell’ottimizzare l’utilizzo della forza lavoroe delle sue competenze al fine di incrementare la produttivitàdell’economia europea.

A tale proposito, la Strategia Europa 2020 e il Programma diStoccolma riconoscono il potenziale della popolazione migranteper un’economia competitiva e sostenibile, e fissano l’obiettivopolitico di un’effettiva integrazione dei migranti regolari, sostenutadal rispetto e dalla promozione dei diritti umani. Anche gli Statimembri hanno confermato il proprio impegno per promuovereulteriormente l’integrazione quale volano per lo sviluppo econo-mico e la coesione sociale, al fine di accrescere il contributodei migranti alla crescita economica e al patrimonio culturaledei Paesi ospitanti. Il quadro comunitario di riferimento per lacooperazione in materia è stabilito dai Principi fondamentalicomuni per la politica di integrazione nell’UE.

Il calo demografico europeo troverà sempre più il suo compenso nellaimmigrazione:per questo è indispensabile renderla sempre più regolata,strutturata e integrata

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I progetti Fei per il lavoro e l’integrazione

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In Italia, la programmazione per il 2011 del Fondo europeoper l’ integrazione di cittadini di Paesi terzi (Fei) in materiadi orientamento al lavoro e sostegno all’occupabilità intercettai seguenti principi fondamentali:

“L’occupazione è una componente fondamentale del processod’integrazione ed è essenziale per la partecipazione degliimmigrati, per il loro contributo alla società ospite e per lavisibilità di tale contributo”

“L’accesso degli immigrati alle istituzioni nonché a beni eservizi pubblici e privati, su un piede di parità con i cittadininazionali e in modo non discriminatorio, costituisce la baseessenziale di una migliore integrazione”.

Il Programma annuale 2011 (in corso di attuazione) intendedare attuazione agli obiettivi strategici indicati dal “Piano perl’integrazione nella sicurezza: Identità e incontro", che individuale principali linee di azione e gli strumenti da adottare al finedi promuovere un efficace percorso di integrazione delle personeimmigrate. Il Piano si basa su cinque principi basilari di integra-zione: Educazione e apprendimento; Lavoro; Alloggio e governodel territorio; Accesso ai servizi essenziali; Minori e secondegenerazioni.

Alla luce di tali obiettivi strategici, nonché del processo diconsultazione alla base della programmazione e dell’attualecongiuntura economica e occupazionale, il Programma introducel’azione specifica di intervento “Orientamento al lavoro epromozione dell’occupabilità”, elaborata in modo da nonsovrapporsi con gli obiettivi di inserimento lavorativo propridel Fondo sociale europeo (Fse).

In particolare, l’azione è finalizzata a promuovere l’occupabilitàal lavoro di cittadini di Paesi terzi vulnerabili – così come definitidalla decisione della Commissione 3926 del 21 agosto 2007 –o in condizione di disagio occupazionale, tramite servizi diinformazione, orientamento al lavoro e valorizzazione delle com-petenze informali, attraverso l’attivazione di servizi individualipersonalizzati mirati e finalizzati alla promozione dell’occupazioneanche attraverso la sottoscrizione dell’Accordo di integrazione.

Gli interventi finanziati dall’azione “Orientamento al lavoroe promozione dell’occupabilità” avranno carattere innovativo epermetteranno di assicurare la piena conciliazione tra percorsidi formazione e apprendimento con lo svolgimento delle quoti-diane attività lavorative o di studio dei cittadini di Paesi terzi,con particolare riferimento alla flessibilità e alla modularità deipercorsi formativi, tramite calendari didattici adeguati, corsipart-time e corsi serali.

La migliore base di integrazione consiste nell’accesso degli immigratialle istituzionie ai beni e servizi pubblici e privati su un piede di parità con i cittadini

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I progetti Fei per il lavoro e l’integrazione

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Partner - Autorità nazionalecompetente

Ministero Politiche agricole e forestali

Sostegno all’autoimprenditoralità dei giovani cittadini di Paesi terzi nel settore agricolo

Obiettivi Promuovere l’imprenditorialità nel settore agricolo attraversola costituzione di realtà agroindustriali di piccole e mediedimensioni

Focus progetti

Attività progettuali Attività di informazione, orientamento, valorizzazione dellecompetenze professionali e sostegno per la costituzionedi imprese agricole

Destinatari Lavoratori e lavoratrici extracomunitari impiegati nel settoreagricolo a tempo determinato e/o stagionali

Giustificazione della modalità di esecuzione

Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3 della decisione2008/457/CE: “l’Autorità Responsabile può attuare iprogetti in Organo esecutivo in associazione conun’autorità nazionale competente in ragione della suaperizia tecnica, dell’alto grado di specializzazione odei poteri amministrativi di cui dispone”.Il ministero delle Politiche agricole e forestali, è titolaredi competenze specifiche nel settore di riferimento ecomponente del Gruppo tecnico di lavoro di cui all’articolo2-bis del T.U. Immigrazione, D.Lgs 286/98

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I progetti Fei per il lavoro e l’integrazione

2 012 gennaio - febbraio

Partner - Autorità nazionalecompetente

Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali DG Immigrazione

Formazione all’estero nei Paesi di origine dei flussi migratori verso l’Italia

Obiettivi L’obiettivo progettuale consiste nel facilitare l’inserimentodi cittadini extracomunitari, tramite adeguata formazione,all’interno sia della società italiana che del mercato dellavoro locale

Attività progettuali La proposta progettuale ha per oggetto la realizzazione neiPaesi di origine dei flussi migratori verso l’Italia di corsi diformazione rivolti a cittadini extracomunitari, che soddisfanole misure e/o condizioni antecedenti alla partenza previstedall’ordinamento giuridico italiano.In particolare, le azioni saranno indirizzate ai soggetti aventititolo a fare ingresso in Italia per motivi di lavoro, ai sensidegli artt. 23 e 27 del T.U. sull’immigrazione. Le attività formative di base riguarderanno i seguenti ambiti:a) lingua italianab) educazione civicac) sicurezza sul lavorod) formazione professionale, che riguarderà i settori neiquali è individuabile una previa offerta del mercato dellavoro italiano. In particolare saranno tenuti in conto isettori della cura e assistenza alla persona assieme aquello turistico-alberghiero, per i quali la domandapresenta un trend costante da tempo.Le azioni si svilupperanno in Paesi previamente individuati,con previsione di svolgimento e realizzazione di 40 corsicomplessivi di formazione. In parallelo all’implementazionedella negoziazione degli accordi in materia di regola-mentazione dei flussi migratori, le azioni saranno realizzatenei Paesi extra UE con i quali sono stati sottoscritti, o sonoin via di conclusione, i relativi accordi

Destinatari Destinatari diretti sono i cittadini dei Paesi citati cheaspirano a fare ingresso in Italia per motivi di lavoro.Il totale di candidati partecipanti è stimabile intorno ai1.000 allievi

Giustificazione della modalità di esecuzione

Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3 della decisione2008/457/CE: “l’Autorità Responsabile può attuare iprogetti in Organo esecutivo in associazione conun’autorità nazionale competente in ragione della suaperizia tecnica, dell’alto grado di specializzazione odei poteri amministrativi di cui dispone”. Il ministero del Lavoro è titolare di competenze esclusivenella programmazione e validazione dei progetti diformazione all’estero ai sensi dell’articolo 23 D.Lgs286/98

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I protagonisti dei mercati di quartieretra regolarie “vendi e fuggi”

di Daniele PellegrinoGiornalista

Un’inchiesta condotta sul campo per analizzareil fenomeno del commercio ambulante straniero in Italia: incontri ravvicinati che danno voce,oltre che ai venditori autorizzati,anche a un esercito silenzioso d’irregolari

Come tanti sanno e altrettanti ignorano, la vendita ambulanteha costituito da sempre l’ossatura stessa del commercio riuscendonon solo a sopravvivere, ma spesso a tenere in vita il mercatoitaliano, che tanto ha puntato, soprattutto dal dopoguerra inpoi, su questo tipo di vendita. Veicolanti di notizie e di usanze,gli ambulanti sono stati da sempre una categoria preziosa perla conoscenza di culture diverse e quali fonti di idee che hannocondotto a importanti forme di intrattenimento popolare comeil circo e il lunapark.

Oggi però alla vendita ambulante si dà spesso un’accezioneprevalentemente negativa, in particolare se rapportata esclusiva-mente all’idea del ragazzo di colore che propina insistentementecalzini, accendini e fazzoletti. Ma il commercio su aree pubbliche,più comunemente chiamato appunto vendita ambulante, oggivanta più di 200mila imprese registrate regolarmente, e di questeben il 20% è costituito da operatori di origine extracomunitaria,a riprova di un diffuso talento economico. Per questo sarebbeun grave errore pensare all’ambulante solo come a un poverodisgraziato, abusivo e invadente nei modi di proporre la propriamerce.

A permettere una tale distorsione del mercato sono statidiversi fattori: dall’inversione degli spostamenti, per cui primal’Italia ha visto partire tante famiglie per poi ritrovarsi Paese didestinazione per tante etnie, alla liberalizzazione del mercatoche ha introdotto tecniche di concorrenza fin troppo spietata;dall’esaurimento degli strumenti regolari di vendita alla crisiche sta dilaniando ogni settore commerciale permettendo di

Un errore pensare che si tratti di un settore sinonimo di solo abusivismo.Il commercio ambulante vanta oltre 200mila imprese regolari e per il 20 per cento è costituito da operatori extra-comunitari

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sopravvivere solo a chi ha attuato un abbassamento della qualitàdei prodotti.

Proprio in merito a questo, è importante aggiungere comel’arrivo dei commercianti cinesi abbia creato un’ulteriore novitànel mercato. La concorrenza dei negozi orientali ha innalzatoi prezzi di gestione delle vecchie attività ambulanti, impove-rendo qualitativamente i nuovi mercati. Il problema è che gli“storici” proprietari delle licenze di vendita, vedendosi arrivaretanti asiatici con proposte immediate di liquidità dentro valigettestracolme di banconote, hanno preferito affittare o a voltevendere loro l’attività. Questo ha permesso al nuovo commerciod’incanalarsi verso un mercato fatto da extracomunitari perclienti extracomunitari vista la bassa qualità merceologica offerta.

Questa serie di eventi ha condizionato il modo di lavoraresia degli italiani che di quanti hanno provato a dare loroun’alternativa, visto che è difficile proiettare il commercioambulante straniero in un ambito mercantile più prezioso e risultaattualmente inverosimile anche la sola possibilità di vederevenditori ambulanti intenti a vendere merce d’antiquariato earticoli di pregiato collezionismo. Avvicinarsi a questo mondoè un modo per saggiare anche la capacità dei nostri ospitistranieri di fidarsi dell’italiano, che non si limita a comprare matenta un dialogo; avvicinarsi a questo mondo è un modo perconoscere chi ha scelto il nostro Paese per usare il propriotempo, il denaro, i sogni e, a volte, la propria disperazione.

Da qui è nata l'idea di un approccio ravvicinato, personale,quasi confidenziale con i tanti protagonisti del commercioambulante straniero, un’indagine sul campo. Per comprenderetali fenomeni, è stato fondamentale stare a contatto tanto conl’immigrato neofita del mestiere, quanto con l’esperto venditoredi oggetti per la casa arrivato in Italia da rifugiato politico;dall’artista di strada stanco degli eccessivi controlli municipali,al sindacalista che da una vita cerca di combattere gli abusivi;nessun soggetto che entrava nelle dinamiche di questa formadi attività commerciale è stato tralasciato.

Come spartiacque del cambiamento gli interlocutori piùgiovani hanno posto l’accento sul periodo di crisi, i più vecchiinvece sulla riforma del ’98 che ha dato il via alla liberalizzazionecommerciale. Fino a quel momento infatti esistevano le tabellemerceologiche, settorializzazioni dei prodotti in base a deicanoni riconosciuti su scala nazionale, secondo i quali all’avviodell’attività ogni venditore doveva precisare quali fossero lemerci che avrebbe proposto alla sua clientela. L’eliminazionedella tabella è stata necessaria per semplificare l’avvio di

Una particolare articolazione è quella di un mercato di merci di bassa qualità costituito da extra-comunitari per clienti extra-comunitari

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un’attività commerciale e permettere controlli municipali piùrapidi. Obiettivo principale era in realtà quello di aumentare laconcorrenza per proporre una maggiore scelta al consumatore.La riduzione a due soli settori (alimentare e non alimentare),da una parte, ha permesso ai venditori improvvisati di propinaremerce di bassa qualità accanto ai pochi “artigiani di strada”rimasti, grazie alla possibilità di richiedere una semplice licenzada itinerante. Dall’altra ha favorito coloro i quali avevano giàun banco o un camioncino, ma che prima dovevano limitarsi aproposte dichiarate antecedentemente: grazie alla nuova delibera,hanno potuto esporre qualsiasi tipo di genere alimentare nellostesso punto vendita affittandolo a prezzi stellari.

Ecco allora alcuni flash dell’inchiesta da me intrapresa,tesa a dare voce, oltre che a venditori autorizzati, anche a unesercito silenzioso d’irregolari che, sia per evitare di allinearsicon i connazionali nella vendita di prodotti illegali, sia per unamaggiore integrazione culturale, nel tempo hanno anche provatoa propinare prodotti della propria terra, ma con scarsi risultati.A questo è bene aggiungere come resti difficile riuscire a ipotiz-zare un quadro rassicurante per loro, visto che regolarizzarsiconsiste nel poter mostrare una licenza da venditori itinerantiormai dal 2005, non più fruibile al comune; per questo tantihanno dovuto scegliere di rimanere abusivi. La procedura,all’avvistamento della polizia, è sempre la stessa: il “palo” dàil segnale al venditore di turno che raccoglie in pochi attimi lamerce e scappa via, lasciando sul posto solo chi è in possessodi licenza. Gli ambulanti abusivi lavorano così. Superfluo perdiversi aspetti aggiungere che la stragrande maggioranza diquesti non sia nata in Italia.

Lo scarso successo del mercato dei prodotti “etno”.Nei casi di abusivi,la tecnica per sfuggire ai controlli di polizia è sempre la stessa,imperniata su un “palo”che avvista e dà l’allarme

JohillVendi e fuggiViale Mazzini. Accampato su una doppia pila orizzontaledi cassette per la frutta riciclateper l’occasione e ricoperte dal classico telo bianco, m’imbatto in uno degli innumerevoli bengalesi improvvisati commercianti,rigorosamente abusivo.Johill, 36 anni, sospettoso per il fatto che gli possa chiedere

qualcosa in più rispetto alla semplice contrattazionesugli adesivi fluorescenti chevende tutti i giorni nei mercatipiù disparati della Capitale, riesce a confidarmi la totale irregolarità nella quale latita da diversi mesi, cioè da quandogli è scaduto il permessodi soggiorno che ha richiestogià da settembre 2009. Questo

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handicap nella documentazionelo costringe a vivere di “vendi e fuggi” quotidiani al primoavvistamento di una volanteche, come minima sanzione, ha il dovere di confiscargli la merce. Mi racconta come unmese prima sia stato sottopostoa un verbale di 5.164 euro che ovviamente ora non ha la possibilità di pagare, ma sta lavorando duro anche

per sanare i suoi conti con lagiustizia nonostante non sia trale sue priorità quella di affittareuna licenza di vendita.Ma ecco che sento una sirena,Johill fa un cenno, arriva unaltro ragazzo bengalese che loaiuta a riporre le cassette vicinoai cassonetti della spazzatura,mentre lui raccoglie il telo in un batter d’occhio e mi salutacol sacco sulle spalle.

Sono a piazza Esedra. Sull’uscio di una libreria, m’imbattoin Khalid, un ragazzo di colore che mi propina dei libri. Glipropongo di acquistarne uno a patto che mi racconti qualcosaa proposito dell’attività che sta svolgendo. Senza permesso disoggiorno per dieci anni, è riuscito da due mesi a ottenerealmeno quello. Dell’autorizzazione amministrativa (volgarmentechiamata licenza di vendita) non se ne parla dato che non èl’ambizione della sua vita vendere libri sull’Africa e spedire ilguadagno alla ditta tenendosi due euro e 50 centesimi a testo.Già, il suo modo di reperire la merce è ciò che lo ha reso regolarein modo ufficioso dinanzi alle autorità di controllo: lavorandoper una associazione editoriale di solidarietà, si fa spedire itesti direttamente a casa e rispedisce al mittente l’80% delguadagno tramite posta. Mostrando l’accordo cartaceo allamunicipale, per ben dieci anni è riuscito a non incorrere maiin alcun tipo di sanzione. Mi rivela in aggiunta che, quando ipoliziotti sono in borghese, comprano spesso libri da lui,cosa mai successa invece quando sono nelle ore di servizio.Comunque una soddisfazione.

È stato interessante notare come, in tanti mercati storici dellaCapitale, alcuni venditori immigrati abbiano assunto compor-tamenti simili ai commercianti italiani, declamando qualità econvenienza della propria merce; altri invece, come dimostraOumar, hanno conservato approcci di vendita più composti etradizioni inalterate come il cous-cous a colazione!

Il caso di Khalid,un ragazzo di colore che vende libria Roma.Dopo dieci anni è riuscitoad avere il permesso di soggiorno,ma quello di venditore ambulante ancora no

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Sessantadue anni … riesce a nasconderli ad ogni miadomanda dietro un immancabilesorriso, che certo non cela né la mancanza di alcuni denti e neppure la serenità d’animoche gli deriva dalla consapevolezzadi non dover correre ogni mattinapiù veloce del leone. Già, perchénello “spot” di vita in questione,il personaggio del “re dellagiungla”, è interpretato dallaMunicipale, e tra le gazzellenon c’è più il nome di Oumar,ma quello di tanti altri senegalesiche ogni mattina sanno di dovercorrere più veloci della poliziaper non essere portati al patibolodella questura. Da diciannove anni e sei mesinulla si è scordato ma tantosembra esser cambiato. Il visoscurissimo in cui sono incastonatiocchi dalle tonalità cristalline,rimanda a quell’icona di contrastoche rappresenta il suo Paese,tanto povero quanto affascinante.Paradosso palpabile ad ognisguardo dei passanti, possibilicompratori della merce che reperisce a Piazza Vittorio.Mi spiega come, “fino al ’95 non ci fosse maistata alternativa al mercato di Napoli – che offriva merceall’ingrosso senza la ben cheminima concorrenza. Si partivala mattina con la macchina; il tempo della contrattazione e di un caffé, poi si tornava a Roma; bastava farlo una voltaa settimana – oggi forse

ne basterebbe una al mese, vista la pochezza nelle vendite – per arrivare a fine mensilitàsenza acqua alla gola e con un gruzzoletto da spedire in Senegal per i miei fratelli. Da quando però sono arrivati i cinesi, è venuta meno la necessitàdi ‘imbarcarsi’ per comprare la merce in altre città”.

Piazza Vittorio, nuovo centronevralgico del commercio lowcost, ha permesso agli ambulantidi evitare traversate e pagareancor meno i prodotti anche sea scapito della qualità.Essendo i primi anni sprovvistodi permesso di soggiorno,Oumar ha pensato bene di ottimizzare il tempo svolgendoun doppio lavoro: la mattinavendeva i giornali per strada; il pomeriggio faceva l’ambulanteabusivo. Fino al 2001, quando con il permesso di soggiorno e l’autorizzazione amministrativaper vendite a rotazione, si è potuto dedicare al commercioin proprio, abbandonando il ruolo di “gazzella” che loaveva contraddistinto nei primidieci anni di clandestinità. In quel periodo, molto spesso le forze dell’ordine hannosequestrato la sua merce – portafogli, cinture, borse a tracollae portachiavi – ma mai si sonotrattenute per redigere verbalivisto che il danno più ingenteera confiscargli gli oggetti per la vendita.

OumarDopo vent’anni ancora cous-cous a colazione

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Salim, un altroambulante per le vie di Roma “affitta”una licenza di venditaper 1300 euro al mese

Andando avanti con gli anni, mi racconta come abbia “battuto”tutti i mercati di Roma e sia conosciuto ormai da ognidistretto, che non gli chiede più documentazione da diversimesi.La mattina, quando Oumar si sveglia, mangia ancora

cous-cous a colazione in compagnia dei coinquilinisenegalesi, conducendo una vitaapparentemente simile a quelladi un lavoratore italiano vicinoalla pensione, con la differenzache lui, sfuggito al “leone” e senza un fondo per il futuro,sorride, l’italiano meno.

Lungo una delle vie d’accesso della città universitaria si sonoda tempo stabiliti diversi banchi. Alcuni regolari. Altri no. Selimaffitta una licenza di vendita pagandola 1.300 euro al mese,operando su via De Lollis solo una volta al mese. Mi spiega difare pochi soldi oggi, in primis perché gli studenti non sonouna categoria nota per le spese folli e secondo perché daquando è arrivata la crisi tre anni fa, anche quando è di turnoin mercati più redditizi, riesce ad arrivare a malapena allametà del guadagno giornaliero del periodo precedente allacrisi. Babu – originario del Bangladesh – sostiene come nonimporta vendere mulinelli o cianfrusaglie, l’ambulante è ilmestiere più semplice e accessibile sbarcando in Italia e pertanti resta l’unico lavoro possibile. Nonostante, infatti, la maggiorparte degli immigrati ambulanti si qualifichino con titoli di studioe con ambizioni diverse rispetto a quella di vendere borse oadesivi per la strada, la dimostrazione lampante della tesisostenuta da Babu è data dal caso di Ben, senegalese. Inpatria era professore di francese, in Italia ormai da dieci anni, siè trasformato in commerciante ambulante di cd e dvd copiati.

Selim e HassanIn possesso del permesso di soggiorno dal 2002, Selim,32 anni, in Italia da nove, all’inizio ha lavorato in un negozio d’abbigliamento a piazza di Spagna di proprietàd’indiani. Poi, nostalgico della libera professione del commerciante autore del proprio destino, ha ricominciato ad affittare

la licenza di vendita riuscendo,fino allo scoppio della crisi, a puntare su ottimi guadagni.Mi rivela che si aggiravano sul centinaio di euro al giorno,soldi sufficienti a condurre unavita più che dignitosa e mandareuna cinquantina d’euro al meseai genitori in Bangladesh. Lavora solo, ma oggi è venuto un suo amico per aiutarlo

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ad aprire e chiudere l’ombrellone:non riesce a trovare lavoroanche perché parla poco l’italiano, così a volte chiamal’amico e gli dà qualcosa. Selimseguita il colloquio confermandomi la teoria suiconnazionali che s’improvvisano“ombrellai”, ritraendoli costrettia trovare disperatamente unaqualsiasi forma di attività mentreaspettano un rinnovo del vistoche non potrà mai essere effettuato perché il precedente,ormai scaduto, aveva un limite di stagionalità.

“La polizia non dice niente perché qui a San Lorenzoandrebbe incontro a un numerosterminato d’irregolariimpossibilitati a pagare sanzioni,e proprio per questo evita di redigere verbali. I controllisono comunque quotidiani nonostante seguano una prassipoco rigida; prima viene fattoun sondaggio dalla municipalesui non autorizzati della zonache saranno soggetti per un po’a sguardi d’avvertimento.Dopodiché si passa prima per l’ammenda verbale, minaccedi multa e, reiterando nell’abusività, si va incontroalla sanzione di 5.164 euro”.

Proprio sentendoci parlare di questo, interviene nel dialogoun secondo bengalese, Hassan,34 anni, privo di autorizzazioneamministrativa perché troppocara, ma ugualmente presentecon il suo banchetto, sopra il

quale espone una trafila di orecchini colorati di bassaqualità, in vendita al prezzo di due euro al paio.

“Quando mi hanno fatto la multa di cinquemila euro,non sono riuscito a pagarla,finché, recatomi al comune per rinnovare il permesso di soggiorno, mi hanno comunicato come fosse statabloccata la pratica a causadella pesante sanzione che da anni gravava su di me.Attraverso un sindacato, sono andato da un avvocato che,dopo avermi chiesto una parcelladi 1.200 euro totali, ha scrittouna lettera al comune facendomiprima vincere la causa e poi dando il via libera al rilascio del visto”.

Le rughe che segnano il visostanco confermano la voglia,annunciatami fin da subito di tornare quanto prima inpatria senza mai più far ritorno neanche in vacanza in Italia,Paese in cui lavora da 12 annidalle 8 alle 10 ore al giorno. In effetti, dalle storie che horipetutamente ascoltato, possoaffermare che questa è la medialavorativa degli appartenenti a questa comunità; i bengalesiriescono a sostenere ritmi davvero massacranti. Inoltre il loro credo esclude la possibilitàdi chiedere l’elemosina. “Per quello, ci sono tutti gli altri”, conclude Hassan.

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Le etnie di commercianti ambulanti non autoctoni più diffusenel nostro Paese sono marocchini, senegalesi, bangladesi (dettianche bengalesi), pakistani e, in misura minore, ivoriani.

I senegalesi e gli ivoriani trattano solo borse, cinte e semprepiù raramente oggetti in legno e cd, non essendo interessati atrattenersi a lungo in Italia, ma usando il nostro Paese come tappaper arrivare in Francia: vendono abusivamente aspettando ilmomento propizio per passare il confine.

I pakistani si vedono perlopiù in spiaggia, sempre pronti a fargola ai bagnanti con i propri argenti che portano dalla vicina(per loro) India: dalle collane agli orecchini, dalle spille aibracciali. Sono gli unici a non comprare i propri prodotti in Italia.I marocchini sono coloro che da più tempo abitano la nostrapenisola e si prestano molto spesso come aiutanti dei venditoriitaliani, possessori dei banchi nei mercati: da frutta e verduraall’abbigliamento possiamo notare la loro presenza in tantimercati storici della Capitale. Quando non sono chiamati alavorare dagli italiani o si limitano alla vendita di asciugamanie sciarpe, oppure s’improvvisano venditori di qualsiasi cianfru-saglia ai bordi dei banchi regolari, suscitando le ire di chi pagaper vendere regolarmente con le dovute limitazioni. Infine ibengalesi – che rappresentano il numero più importante divenditori ambulanti stranieri – sono riusciti grazie alla loro per-severanza e serietà a conquistarsi il monopolio di foulard,cappelli, orecchini, portafogli, ombrelli e oggettistica per la casa.Tanti bengalesi in attesa di una regolarizzazione li vediamovagare per le vie del quartiere romano di San Lorenzo a qualsiasiora del giorno e della notte proponendo prodotti kitch di bassaqualità ma dall’aspetto simpatico e accattivante. L’alternativasarebbe quella di far fronte a spese dai 300 (per un banco difrutta al mercato) ai cinquemila euro al mese (per la gestionedi un camioncino di bibite). Per quanto concerne le vendite,invece, i prezzi partono dai 300mila euro in su. Sostenere costisimili rappresenta un’impresa titanica per chi è nato in Italia, figu-rarsi per chi ci è arrivato. Tutti i venditori operanti nelle stradedella città eterna – a prescindere dall’etnia – comprano lamerce a piazza Vittorio, ormai in mano per l’80% alla comunitàcinese, la quale punta su merci di pessima qualità a prezziirragionevolmente bassi per la concorrenza. Uno degliincontri più interessanti nei quali mi sono imbattuto ha comeprotagonista un ragazzo del Bangladesh al quale ho chiestodelucidazioni sull’attività dei connazionali che riescono a pro-porre ombrelli lungo le vie della Capitale appena comincia apiovere. La spiegazione è laconica: questi ragazzi sono

Accanto alla presenza storica dei marocchini c’è quella dei pakistani,specialisti nella vendita di oggetti d’argento dei quali si riforniscono nel loro Paese.Ogni etnia di ambulanti ha una sua specializ-zazione diversa dalle altre

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sprovvisti del permesso di soggiorno ma sono tutti muniti diservizi di abbonamento sul telefonino mobile sulle previsioni deltempo giornaliero. Comprando uno stock di ombrelli a piazzaVittorio, risultano pronti allo smercio ben prima che venganogiù le prime gocce d’acqua, riempiendo le sacche di mercesin dalla mattina così da poter vendere in maniera itineranteanche senza autorizzazioni, grazie alle ridotte quantità danascondere all’arrivo della polizia municipale. Fino a qualcheanno prima c’era un capo che riforniva i venditori, i quali sidividevano lo smercio nelle strade durante le giornate di pioggia;poi con l’introduzione della legge sui permessi stagionali di seimesi i bangladesi sono aumentati a vista d’occhio, illudendosidi potersi mettere in proprio per cercare di guadagnare qualchesoldo in più, senza però ottenere regolarizzazioni.

Le autorizzazioni a posto fisso, rilasciate dal municipio dicompetenza, non avendo un numero massimo, possono variaresensibilmente di anno in anno. Attualmente ci sono ancoraduemila posti liberi all’interno dei mercati, ma con la crisi inatto nessuno se la sente di occuparli: il problema non è otte-nere la licenza ma mantenere un guadagno costante nel tempovendendo sullo stesso punto.

Ahmed“Loro neanche mi ascoltavano, prendevano qualcosa e se ne andavano”

lo affascina a tal punto da nonvoler migrare per altri lidi della Penisola, ma poi si convincegrazie a un amico che gli proponeun lavoro da venditore ambulante a Tor Sapienza, periferia est della Capitale.Riesce a ottenere subito lo status di rifugiato politico a causa del moto perpetuo checontraddistingue la guerra civilein Somalia. Oggi sta seguendouno stage in un albergo con frequenza quotidiana obbligatoria, motivo per il qualeha dovuto abbandonare, dopo un paio di mesi d’attività, l’occupazione commerciale. Mi racconta di aver lavorato

Sono in un Centro d’accoglienzarifugiati; è qui che riesco a intrattenere una chiacchieratacon Ahmed, somalo ventiquattrenne di un metro e novanta dalla risata contagiosa.Arriva in Italia il 21 giugno 2008dopo un viaggio cominciato a gennaio dello stesso anno, avendo attraversato con tutti i mezzi possibili (escluso l’aereo!) il Kenya, l’Uganda, il Sudan e la Libia. Lavora a Tripoli per due mesi comefacchino ma viene retribuito per una sola mensilità perchéimmigrato irregolare. In seguitoa questo, decide d’imbarcarsiper l’Italia: Lampedusa

I loro telefonini sono muniti diabbonamentoal serviziometeo.Ecco perchéal primo apparire della pioggia sono già per strada a vendere ombrelli

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Il commercio ambulante straniero in Italia

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quattro giorni a settimana preso il banco dell’amico, rivenditoreautorizzato di magliette con licenza a rotazione. La merceche vendeva veniva tutta da Napoli attraverso il lororifornitore ufficiale, un senegalesesulla quarantina d’anni che ognimattina scaricava i capi d’abbigliamento comprati i giorniprecedenti in Campania. Mi confida come non abbia maiavuto problemi con la polizia,nonostante fosse sprovvisto di un contratto di lavoro subordinato; bastava dire lorocome si trovasse sul posto soloper dare una mano all’amicovenditore: “loro neanche miascoltavano, prendevano qualcosadal banco e se ne andavano”.La paga giornaliera variava in base alle vendite ma si attestavasui 30 e i 70 euro, di cui unaparte spedita regolarmente

in Kenya per le cure mediche a cui continua ad essere sottoposta la madre, assistitadai sei fratelli di Ahmed. Da quando è in Italia, è riuscitoad essere stipendiato anche da una catena di negozi specializzati in prodotti per lacasa, dove svolgeva la mansionedi “anti-tacchinaggio”, e dal “Sei Nazioni” nella sicurezzaallo stadio Flaminio durante il match di rugby tra Italia e Scozia.Le cinque lingue parlate (swahili,arabo, somalo, inglese e italiano),le spalle larghe e l’energiapositiva, probabilmente lo aiuteranno a trovare un’occupazione in Italia, preferibilmente che non abbianiente a che fare con la venditadiretta: troppi controlli gli hannogià fatto passare la voglia.

Un ambulante ha così commentato le attuali difficoltà econo-miche dovute agli scarsi guadagni del periodo di crisi: “Unsistema capitalista riesce sempre a produrre profitto perchéquando non ottiene i risultati economici sperati nei settori lecitiusa puntare su quelli illeciti, soprattutto oggi nell’era dell’abusi-vismo. È assurdo accanirsi contro i senegalesi sapendo chenon sono loro che devono essere puniti in primis ma coloroche producono borse e cinte perché le mettono in commercioillegalmente”.

Ciò che è certo è che, fin quando ci sarà qualcuno a fabbricarle,la procedura all’avvistamento della polizia sarà sempre la stessa: ilpalo dà il segnale al venditore di turno che raccoglie in pochiattimi la merce e scappa via …

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e cittadinanza: la disciplina attuale e le esigenze di riforma

di Paolo Morozzo della Rocca Università Carlo Bo di Urbino e condirettore della rivista “Gli Stranieri”

Gli aspetti critici e le possibili soluzioni per alcuni profili di inadeguatezza evidenziati dalla legge 91/1992 in materia di concessione della cittadinanza ai figli di genitori stranieri o apolidi nati in Italia

Le norme in materia di acquisto della cittadinanza nell’attuale disciplina

I numerosi progetti di legge presentati in Parlamento, purnella loro eterogeneità, testimoniano di un crescente disagionei riguardi dell’attuale disciplina in materia di cittadinanza

(legge 5 febbraio 1992 n. 91) che non parepiù adeguata a raccogliere il bisogno dicit tadinanza (in senso giuridico) del leseconde generazioni, intendendo con questaespressione i giovani stranieri figli di immigratima non essi stessi immigrati, in quanto natio comunque vissuti in Italia nell ’ interoperiodo della loro formazione linguistica eculturale in età evolutiva.

Alcuni riferimenti alla normativa vigente varranno a illustrarein modo analitico le ragioni di questa grave inadeguatezza.

1.Ai sensi dell’articolo 3 della legge sulla cittadinanza, il minorestraniero adottato da cittadino italiano acquista la cittadinanza.Rimangono però esclusi da questa modalità di acquisto dellacittadinanza tutti i minori stranieri dichiarati in stato di abban-dono – e dunque adottabili – dal giudice minorile italiano, mapoi non adottati. Ciò riguarda, in particolar modo, i minoriaffetti da patologie significative, invalidità o disabilità; non piùin tenera età; già restituiti da una coppia che li aveva prece-dentemente presi in affidamento preadottivo; etc.

Numerosi progetti di legge presentati in Parlamento,anche se fra loro eterogenei,mirano a modificare l’attuale normativa, specie per le seconde generazioni

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2. Ai sensi dell’articolo 1, lett. b), un altro modo di acquistodella cittadinanza è dato dalla nascita in Italia da genitoriapolidi o che comunque non trasmettano al figlio alcuna cittadi-nanza. Si tratta ovviamente di casi molto residuali, resi ancorpiù rari dalle difficoltà incontrate dai genitori a fare accertarela loro condizione di apolidia. Accertamento che spessointerviene molti anni dopo la nascita del bambino. Emblematico,anche a questo proposito, il caso di Fatima!

3. Ai sensi dell’articolo 4, comma 2, i ragazzi stranieri nati in Italiapossono chiedere la cittadinanza al compimento del diciottesimoanno, ma non più tardi del diciannovesimo compleanno, purchédimostrino il possesso continuativo sia del permesso di soggiornoche della residenza anagrafica sin dalla nascita.

La regola funziona poco e male. Le poche proiezioni dispo-nibili ci dicono infatti che su 100 ragazzi nati in Italia e quiancora residenti al compimento dei diciotto anni, dodici sonogià diventati italiani da minorenni per effetto della naturalizzazione

Il caso di FatimaCirca 20 anni fa Fatima, una bambina di origine africana,

veniva dichiarata in stato di abbandono dal tribunale di Roma,ma non adottata (perché già grandina, di colore e moltolegata alla sorella minore). Oggi Fatima è una donna di 28anni madre di due bambini. Sia lei che i due figli sonoattualmente privi di cittadinanza. Di Fatima non si conoscela cittadinanza perché non è mai stato accertato con sicurezzase la madre, resasi irreperibile 22 anni fa, fosse somala,keniota o sudanese. Il tribunale civile sta comunqueaccertando (da diversi anni) se possa assumere una qualchecittadinanza africana. In caso negativo ne dichiarerà lostatus di apolide. Intanto, anche i figli sono in attesa diconoscere la loro cittadinanza, che deriverà da quelladella madre. Nel frattempo non sono né italiani né apolidide iure, né cittadini di un altro Paese. L’intero nucleo familiaresoggiorna da anni in Italia con autorizzazioni al soggiornoprovvisorie rinnovate di anno in anno.

La soluzione: sarebbe opportuno, de iure condendo,che l’accertamento giudiziale dello stato di abbandonodel minore – per orfananza o per l’inidoneità educativa deigenitori – comportasse l’acquisto della cittadinanza delPaese il cui ordinamento così radicalmente è intervenutosulle sue relazioni familiari e parentali.

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del padre, 46 esercitano positivamente l’opzione di cittadi-nanza, ma ben 42 rimangono stranieri anche dopo la maggioreetà e nonostante l’intera vita trascorsa in Italia; o perché nonhanno, tutta intatta, la continuità di residenza anagrafica e disoggiorno per tutti e 18 gli anni, oppure perché i loro genitorinon erano ancora regolarmente soggiornanti al momentodella nascita. Così, ad ogni anno che passa, in progressioneaccelerata, se non geometrica, diverse migliaia di diciottenninati e vissuti in Italia rimarranno “stranieri a casa loro”.

Il caso di AzzurraUna ragazza cinese dal nome sportivamente italiano,

oggi studentessa/lavoratrice per non perdere il permessodi soggiorno, è nata venti anni fa in una cittadina del Lazioda genitori regolarmente soggiornanti. Non ha potutoeleggere la cittadinanza italiana, ai sensi dell’articolo 4,comma 2, perché ha involontariamente interrotto la conti-nuità di residenza anagrafica quando, a quindici anni, la suafamiglia si è trasferita da quel comune di provincia aRoma, impiegando più di dodici mesi a trovare un pro-prietario disposto a registrare il contratto di affitto dellanuova abitazione. Solo dietro esibizione del contratto diaffitto gli uffici di anagrafe hanno infatti accettato di riceverela dichiarazione di dimora abituale. Nel frattempo il comunedi provenienza cancellava l’intera famiglia perché trasferitasialtrove, creando un vuoto anagrafico di alcuni mesi.

La soluzione: modificare l’articolo 1 del regolamento diesecuzione, emanato con Dpr 12 dicembre 1993 n. 572, ilquale, impropriamente, considera “legalmente residente”solo chi, oltre ad essere in regola con le norme sull’autoriz-zazione al soggiorno, risulti anche iscritto all’anagrafecomunale. La nozione di residenza legale dovrebbe inveceessere intesa come presenza effettiva in Italia, comunquedimostrata dall’interessato, unitamente alla regolarità delsoggiorno.

Il caso di ArtanGiunto in Italia all’età di tre anni dall’Albania, non parla

nessun’altra lingua oltre l’italiano ed è sempre vissuto inItalia dove ha frequentato tutte le scuole (elementari,medie e scuola media superiore). Non si è mai pensatoaltro che italiano. Di conseguenza, al compimento della

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4. Ai sensi dell’articolo 9, comma 1, lett. a), gli stranieri nati inItalia, ma privi della continuità anagrafica per tutti e diciottogli anni della minore età, possono chiedere la concessionedella cittadinanza dopo tre anni di residenza legale.

maggiore età chiede di eleggere la cittadinanza italiana,ma l’ufficiale di stato civile gli risponde che manca ilrequisito del soggiorno e della residenza dalla nascita.

La soluzione: prevedere che non solo lo straniero natoin Italia, ma anche quello che vi è giunto entro il quintoanno di età e che vi abbia risieduto legalmente fino alraggiungimento della maggiore età, divenga cittadino sedichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entroil compimento del diciannovesimo anno di età.

Il caso di NatalyaNatalya è nata in Italia diciotto anni fa, ma ha ricevuto il

permesso di soggiorno solo tre anni dopo, quando la madreè riuscita a regolarizzare la sua presenza in Italia comebadante. È sempre vissuta in Italia senza interruzioni,mantenendo costantemente la regolarità del soggiorno el’iscrizione all’anagrafe in un comune piemontese. La suadichiarazione di elezione della cittadinanza italiana èstata però rifiutata dall’ufficiale di stato civile perché nonrisulta regolarmente soggiornante (e residente) dallanascita, pur risultando nata e vissuta in Italia.

La soluzione: prevedere che chi è nato in Italia, una voltadimostrata la presenza ininterrotta in Italia, possa chiederela cittadinanza al compimento del diciottesimo anno di età.

Il problema: poiché si tratta di un procedimento concessorio,ampiamente discrezionale – e non di una regola di attribuzionesulla base dei requisiti di legge – questo percorso di acquistodella cittadinanza è scarsamente praticabile: serve, infatti,al richiedente un buon reddito e la benevola disposizionedell’amministrazione.La soluzione: modificare la natura concessoria dell’attualedisposizione, stabilendo che l’acquisto della cittadinanzaavvenga per attribuzione di legge al nato in Italia che virisieda legalmente da almeno tre anni dopo la maggiore età.

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5. Ai sensi dell’articolo 14, acquistano la cittadinanza italianai figli minori di età conviventi con il genitore che acquisti lacittadinanza italiana.

I problemi: accade che il genitore naturalizzatosi italiano sisepari dal coniuge/partner col quale ha avuto il figlio e chequest’ultimo conviva con l’altro genitore, con o senza unprovvedimento di affidamento congiunto. Se il ragazzo èsfortunato, la coabitazione con il genitore “sbagliato”, anchese individuato dal giudice della separazione, potrebbeimplicare il mancato acquisto della cittadinanza.

Inoltre, il fatto che la legge subordini l’efficacia dell’acqui-sto della cittadinanza da parte del genitore al giuramentoinduce l’amministrazione a riferire al momento in cui avvienequest’ultimo la verifica della necessaria convivenza e aescludere un acquisto della cittadinanza da parte del figliose quest’ultimo diviene maggiorenne dopo il decreto diconcessione, ma prima del giuramento.Le soluzioni:A. Sostituire il requisito della convivenza con quello, piùopportuno, di affidamento, anche se congiunto.B. Precisare per regolamento, o modificando la norma dilegge, che ciò a cui si deve fare riferimento non è la data delgiuramento come cittadino da parte del genitore, ma la datadella domanda che poi ha trovato accoglimento.

Altre proposte che potrebbero rendere adeguata alle necessità dei tempi la disciplina della cittadinanza delle seconde generazioni

1. La cittadinanza per ius culturae. Con l’attuale normativa,anche quei ragazzi che oggi riescono a diventare cittadini ita-liani, lo diventano spesso dopo un vissuto troppo lungo da“stranieri di diritto /italiani di fatto”. Ciò non è privo di graviconseguenze. Al compimento dei diciotto anni, infatti, ha giàavuto ampio sviluppo quel processo di “separazione” cui ladiversità di status giuridico, rispetto ai coetanei italiani a tuttigli effetti, potrebbe ormai avere inevitabilmente condotto ilragazzo di origine straniera.

Sarebbe dunque opportuno prevedere meccanismi diacquisto della cittadinanza italiana, già durante la minore età,che siano connessi alla legale ed effettiva presenza del minore

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sul territorio italiano. In particolare potrebbe essere introdottauna modalità di acquisto della cittadinanza iure culturae a profittodel minore, figlio di genitori stranieri, che abbia frequentato consuccesso un intero ciclo di istruzione primaria o secondaria diprimo grado, ovvero secondaria superiore, presso istituti scolasticiappartenenti al sistema nazionale di istruzione, ovvero unpercorso di istruzione e formazione professionale idoneo alconseguimento di una qualifica professionale.

2. La cittadinanza iure soli. Sebbene ristretto a ipotesi partico-lari, anche l’acquisto della cittadinanza per nascita sul territoriodella Repubblica (ius soli) dovrebbe contemplare alcunesituazioni, oggi non previste dalla legge, nelle quali la famigliastraniera dimostri un legame non occasionale con il nostro Paesee possieda alcuni indici di integrazione sociale particolarmentesignificativi. In particolare, la cittadinanza potrebbe essereattribuita:a) al minore, nato nel territorio della Repubblica da genitoristranieri, di cui almeno uno sia già legalmente soggiornantein Italia da un periodo di tempo sufficientemente significativo(ad esempio, nei tre anni precedenti la nascita del figlio)b) al figlio, nato in Italia da genitore a sua volta nato in Italia,purché al momento della nascita detto genitore vi risiedalegalmente.

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“Gli Stranieri”,dalla carta al webcon la stessa missione

di Raffaele MieleDirettore responsabile della rivista “Gli Stranieri”

Compie diciotto anni la prima rivista italiana interdisciplinare dedicata all’approfondimentodell’evoluzione normativa e giurisprudenzialerelativa all’immigrazione. Dal 1994 al 2012sono stati pubblicati oltre 500 articoli

La legge Martelli del 1990 (legge 28 febbraio 1990, n. 39,di conversione del decreto legge 30 dicembre 1989, n. 416), puravendo avuto il merito di superare la visione esclusivamentesecuritaria della questione stranieri, all’epoca ancora gestitacon gli strumenti del Testo unico di pubblica sicurezza, avevamostrato già in fase di prima applicazione numerose lacunetra le quali – probabilmente la più vistosa – un’incompletadisciplina delle condizioni di soggiorno, l’assenza delle misureper l’integrazione e l’inadeguatezza delle norme per il contrastodell’immigrazione clandestina.

A quest’ultima si era tentato di rimediare con tre decretilegge varati a cavallo tra la X e l’XI legislatura tra febbraioe luglio del 1992 (nn.193, 272 e 323) e nell’aprile del 1993(n.107), recanti ora la previsione dell’accompagnamentoimmediato alla frontiera ora l’arresto degli stranieri in stato diclandestinità, ma tutti non convertiti; poi, nel giugno dellostesso anno, con il decreto legge n.187, convertito con leggen. 296, concernente l’espulsione giudiziaria nei confronti dicondannati o imputati a loro richiesta e l’introduzione dei reatidi distruzione del passaporto e di “mancata collaborazione”ai fini del rilascio del documento di espatrio.

Invece, per gli aspetti relativi alla gestione dei permessi disoggiorno, all’assenza di una puntuale regolamentazioneaveva sopperito il costante e massiccio ricorso alle circolariministeriali, in particolare del Servizio stranieri, al tempoincardinato nella direzione centrale per gli Affari generali deldipartimento della Pubblica sicurezza. Attività encomiabile

La storia della rivista prende l’avvioai tempidella leggeMartelli, cherappresentavauna prima risposta al nuovo fenomeno dellaimmigrazione nel Paese

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quella del Viminale, come quella degli omologhi servizi delministero degli Affari esteri e del ministero del Lavoro e dellaPrevidenza sociale, ma spesso travalicante il limite giuridicodella mera interpretazione dei testi legislativi e di contributoalla risoluzione di aspetti pratici in quanto, in assenza di fontiprimarie, di fatto e per necessità le circolari ne assumevano ilrango, con imposizione di regole, obblighi e talvolta anchesanzioni.

Condizione dunque difficile per gli amministrati (i cittadinistranieri) ma anche per gli stessi amministratori (in particolaregli “uffici stranieri” delle questure) non sempre in grado di operaresecondo “circolare” e al tempo stesso nel rispetto dei limitiimposti dalla Costituzione, dalle convenzioni internazionali edagli orientamenti della giurisprudenza. Situazione resa tantopiù complessa dal disorientamento generale della classepolitica investita, tra il 1992 e il 1994, dalle inchieste di “Manipulite” e dal rapido avvicendarsi di quattro governi, da Andreottiad Amato, da Ciampi a Berlusconi.

In questo contesto, nella primavera del 1994 nasce il progettoeditoriale “Gli Stranieri - Rassegna di studi, giurisprudenza elegislazione”, periodico quadrimestrale con l’obiettivo digarantire a tutti gli operatori del diritto un puntuale aggiorna-mento dell’evoluzione normativa e, soprattutto, di fornire unquadro delle convenzioni internazionali, in particolare dellaConvenzione europea dei diritti dell’uomo, e della relativagiurisprudenza della Corte, all’epoca pressoché sconosciutaall’interno delle amministrazioni e non solo.

L’iniziativa editoriale, mossa anche dall’ambizione di con-tribuire all’individuazione di nuove soluzioni legislative piùcoerenti con le esigenze imposte da un fenomeno in crescita,è del tutto privata (editore Union Printing di Viterbo) e siavvale di un comitato di redazione inizialmente composto dafunzionari della pubblica amministrazione e magistrati, unitida vincoli di colleganza, amicizia, interesse per la materia edalla convinzione di partecipare a un progetto culturale liberoe fondamentalmente utile 1.

“Certamente gli obiettivi sono ambiziosi” si legge nella

1 Umberto De Augustinis e Giacomo Fumu, magistrati; Giorgio Baroncelli, ministroplenipotenziario del ministero degli Affari esteri, Massimo De Pascalis, direttorepenitenziario; Enzo Bilardo, ispettore del lavoro; Maria Letizia Tomaselli, SalvatoreLa Fata e Raffaele Miele, funzionari della Polizia di Stato

L’obiettivo era quello di sprovincia-lizzarela nostra cultura facendo conoscere in particolare i dettati europei in materia

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presentazione della rivista “perché la materia oggetto dellaricerca non è inquadrabile in una branca giuridica ben definitama è la risultante di una complessa opera di estrapolazioneinterdisciplinare il cui denominatore comune è individuato nellaspecifica condizione di ‘estraneità’ o ‘di non appartenenzaall’ordinamento dello Stato’ in cui versa il cittadino straniero.Inoltre l’ampiezza dei temi trattati può suscitare qualcheperplessità in ordine ad una apparente disarmonia della materiama, a ben riflettere, una visione del trattamento riservato allostraniero faciliterà la comprensione dei singoli problemi cheogni operatore del diritto affronta nella specificità delle propriecompetenze.”

A cogliere l’importanza del progetto è il capo della Poliziadi allora, Vincenzo Parisi, peraltro profondo conoscitore dellamateria e autore di alcune pubblicazioni sulla condizione dellostraniero, che scrive sul primo fascicolo:

“Le prospettive epocali dischiuse dalle dinamiche planetariecatalizzano la sensibilità di quanti attivi nel sociale, colgono ifermenti correlati, per un verso, alla emergente realtà europea e,per altro verso, all'attenzione dei tantissimi che, fuori dellaComunità, guardano ad essa con interesse, considerazione,attrazione crescenti.

Il nostro Paese, in particolare, registra, al di là della massadi stranieri mossi da motivi turistici, altri consistenti flussimigratori, che riguardano presenze con motivazioni diverse,tutte degne d'attenzione perché significative delle positività che,oltre i confini nazionali, sono riconosciute all’Italia, soprattuttoin termini di democrazia e di libertà.

Le problematiche promananti dall'immigrazione e dallapresenza sul territorio di stranieri provenienti da Paesi e culturediversissimi, lungi dal poter essere ricondotte ad un approccioesclusivamente di polizia, esprimono quindi la complessità diun mondo composito, dove linee interagenti, costituite da spintee controspinte, convivono e premono per un riconoscimentoche, molte volte, supera il mero dato economico nella ricerca,talvolta struggente, della propria umanità.

È proprio su tale radicato convincimento che riposa il favorecol quale guardo al qualificato progetto editoriale in argomento,più che mai idoneo – nel concorso di tante, diversif icateprofessionalità – a dischiudere spazi di riflessione il più possibileampi, che coinvolgano, su tematica così delicata, il contributodelle varie realtà istituzionali, sociali, del volontariato. Sono certoche la rivista saprà affermarsi quale momento di riflessione

L’introduzionedel primo fascicolo fu scritta dal capo della polizia VincenzoParisi:“si apre un problema nuovo e dobbiamo essere capacidi affrontarlo”

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e di compendio per gli “addetti ai lavori” e, al contempo, qualeagile strumento per la consultazione dei profili sia normativisia giurisprudenziali afferenti alla specifica disciplina, in unaprospettiva di approfondimento teorico ed applicativo, voltoa superare ogni vacuo pregiudizio.

Al Direttore, al Comitato Scientifico, ai redattori, a tutti i colla-boratori della rivista "Gli stranieri", giunga il mio personale,sentito augurio di buon lavoro.”

Da subito la rivista entra nelle questure, negli studi legali,nei tribunali e nelle biblioteche, e contribuisce fattivamentealla circolazione dell’informazione giuridica interdisciplinare,con particolare attenzione all’ambito comunitario/internazionale.Infatti, sui primi tredici articoli del 1994, ben cinque appar-tengono a quest’area: Espulsione di cittadini dell’UnioneEuropea al termine di una pena, di Daniele Rampazzo; Sullareciprocità, di Antonio Caruso; Libera circolazione delle personee diritto di stabilimento nell’UE, dalla undicesima relazioneannuale della Commissione al Parlamento europeo sul controllodell’applicazione del diritto comunitario 1993; La libera circo-lazione delle persone, di Serenella Bellucci; America nazionedi immigrati, di Benedict J. Ferro.

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Non ci sono solo gli approfondimenti e la rassegna dellalegislazione e della giurisprudenza: in ogni fascicolo l’editorialeriassume i principali fatti del quadrimestre, spesso accompagnatida riflessioni, anche critiche, per offrire al lettore spunti diriflessione sugli orientamenti politici, sull’evoluzione legislativaa livello nazionale ed europeo, sulle prassi amministrative. Unvero e proprio percorso storico che, a distanza di tanti anni,costituisce un punto di riferimento essenziale per chi desideraapprofondire l’evoluzione delle politiche e della normativasulla condizione giuridica dello straniero e sull’immigrazione.

Per richiamare l’attenzione degli operatori giuridici sullarilevanza delle politiche europee, all’epoca governate dalmeccanismo della cooperazione intergovernativa, nel settembre1995 la rivista organizza per conto dell’Ufficio italiano delParlamento europeo il convegno “Libera circolazione dellepersone e tutela della sicurezza nei Paesi dell’Unione Europea:problemi e prospettive in vista della Conferenza intergovernativadel 1996”, individuando nel binomio “circolazione-sicurezza”il momento nodale per un’analisi delle problematiche attuali edelle prospettive future della cooperazione europea in materiadi affari interni e giustizia (il terzo pilastro). Dai contributi deirelatori (tra i quali Luigi Ferraro Bravo, all’epoca giudice dellaCorte internazionale di giustizia, il prefetto Vincenzo Grimaldi,Commissario straordinario del Governo per l’Immigrazione daiPaesi extracomunitari e il compianto monsignor Luigi di Liegro,fondatore della Caritas), pubblicati in un supplemento dellarivista, viene l’auspicio di una comunitarizzazione della materiacome un traguardo utile, se non indispensabile, per ricomporreun quadro politico e normativo in quel momento fortementedeficitario.

A partire dal 1996 e per i sei anni successivi la rivista stringeuna collaborazione con l’Unione dei consoli onorari in Italia, ein particolare con il segretario nazionale Adriano Aureli, che siconcretizza nella pubblicazione di numerosi articoli particolar-mente utili a far conoscere il ruolo e gli orientamenti di questaimportante componente nell’ambito dell’assistenza allo stranieroin Italia. Il primo contributo è quello di Maria Novella Berti suLe immunità giurisdizionali dei Consoli e, a seguire, per citarnesolo alcuni: L’Unione dei Consoli Onorari in Italia ed il suo ruoloper una sempre più adeguata assistenza dello “straniero”; Primeriflessioni “consolari” sulla nuova legge sugli stranieri; Laquestione immigrazione; L’informazione ai consolati esteriprevista dall’art. 2 co. 7 del testo unico sull’immigrazione.

Il convegno internazionale del 1995 per legare il tema della sicurezza dei Paesi europei a quello della libera circolazione

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Il 1998 è l’anno in cui il Parlamento finalmente riesce adotare il Paese di una legge organica in materia di immigrazionee la rivista coglie tutta l’importanza del momento operandoalcune scelte strategiche. In primo luogo il Comitato scientifico 2

è ampliato e arricchito con nuovi membri che ne accentuanoil carattere interdisciplinare.

Allo stesso tempo la rivista pubblica i suoi primi dueQuaderni: “La nuova legislazione sugli stranieri”, di RaffaeleMiele, Vaifra Palanca, Vanna Palumbo e Maria Letizia Tomasellie “I limiti derivanti dal diritto internazionale all’espulsionedello straniero” di Chiara Favilli. Il primo volume esce a pochigiorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge 6marzo 1998, n. 40, ed è il primo testo di commento della leggeTurco/Napolitano. Il secondo volume è l’esito tangibile delconcorso bandito dalla rivista con la collaborazione dellarappresentanza in Italia della Commissione europea diretto apremiare una tesi di laurea in materia di immigrazione, asilo,cittadinanza e circolazione delle persone nell’UE.

Il 1998 è anche l’anno della definitiva affermazione delperiodico come strumento di analisi del fenomeno migratorioa tutto campo, anche per meglio corrispondere alle scelte delLegislatore che per la prima volta definisce un quadro normativoin tema di integrazione. Ciò grazie alle due prestigiose collabo-razioni fornite dal Censis e dall’Istat che accreditano ulteriormenteil periodico con articoli, ricerche e dati statistici, tra i quali, percitarne alcuni: Anna Italia (Censis), con “Immigrazione in unaterra di passaggio”, “Immigrati: minaccia o risorsa”, “Quanti sonogli stranieri che vivono in Italia? Tra percezione e realtà dei fatti”;Ionathan Chaloff (Censis) “Gli indicatori di insediamento dell’im-migrazione familiare” e “Impatto dell’allargamento dell’Unioneeuropea sulla composizione della popolazione straniera inItalia”; Rosario Sapienza (Censis) “Le problematiche deglistranieri in area OCSE: le tendenze emergenti”; Elisa Manna(Censis) “Tratta e sfruttamento sessuale: l’indagine presso glioperatori in Italia” e “La rappresentazione degli immigrati neimedia”; Domenico Gabrielli e Costanza Giovannelli (Istat)“L’iscrizione in anagrafe dei neonati stranieri: problemi e possi-bili soluzioni”; Vincenza Regine e Costanza Giovannelli (Istat)

2 Riccardo Compagnucci e Vanna Palumbo del l ’Amminist raz ione c iv i ledell ’ Interno; Bruno Nascimbene e Augusto Sinagra docenti universitari; SanéSecundi della Commissione europea; Giovanni Pinto e Silvana Siracusano dellaPolizia di Stato; Vaifra Palanca esperto del ministro per la Solidarietà sociale;Luigi Pell iccia del ministero del Lavoro; Giuseppe Severini magistrato

A partire dal 1998 la rivista inizia a pubblicare i suoi Quaderni di approfondi-mento.Il primo è dedicato alla legge Turco-Napolitano

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“La nuzialità degli stranieri in Italia negli anni 1992-1998”.Nel novembre 1999 viene pubblicata la seconda edizione

de “La nuova legislazione sugli stranieri”, ampliata e integratacon la giurisprudenza che nel frattempo si era formata sul Testounico (D.Lgs 25 luglio 1998, n. 286, e il relativo regolamentodi attuazione) e il volume fin dal suo esordio nelle libreriediventa lo strumento di lavoro più diffuso tra gli operatori deldiritto.

Nel febbraio 2001 esce la nuova edizione della rivista cheassume periodicità bimestrale e, per meglio fronteggiare inuovi impegni, costituisce un Comitato di redazione 3, integrail Comitato scientifico con Salvatore Geraci della Caritasdiocesana di Roma, e apre le due nuove rubriche “Attivitàparlamentare e di governo” e “Osservatorio sulla politica europeadi immigrazione ed asilo”.

Con queste parole, il prefetto Emilio del Mese, direttoregenerale dei Servizi civili del ministero dell’Interno, presentala nuova edizione:

“L’immigrazione rappresenta ormai un argomento oggetto divivaci dibattiti e discussioni, molto spesso rivolti ad accentuarei profili irrazionali da utilizzare per finalità non immuni dapregiudizi ideologici.

Così accade frequentemente che le esigenze di riflessione,di studio e di analisi di un fenomeno, sempre più rilevante peril nostro Paese e per l’Europa, vengano trascurate, se nonsacrificate, a favore di una forzata “spettacolarizzazione” tipicadella società attuale.

Non è senza significato, quindi, a distanza di sette anni,ricordare le parole con le quali il Prefetto Vincenzo Parisiaveva salutato l’uscita del primo numero di questa rivista,auspicando per il progetto editoriale la sua affermazionecome ‘momento di riflessione e di compendio’ e come ‘agilestrumento per la consultazione dei profili sia normativi siagiurisprudenziali, in una prospettiva di approfondimento teoricoed applicativo, volto a superare ogni vacuo pregiudizio’.

La forza di questo richiamo alla ragione più che all’emotività,ancora oggi a distanza di tempo, conserva intatta la suacontemporaneità proprio con spiccato riferimento ai profili di‘struggente umanità’ del mondo composito dell’immigrazione.

3 Giandonato Caggiano di Roma Tre, Barbara Faedda, antropologo, Angelo Carbone,Belinda Boccia e Sergio Ferraiolo dell ’Amministrazione civi le dell ’ Interno

Dal 2001 la nuova edizione della rivista comprende due rubriche dedicate alla attività parlamentare e di governo e alla politica europea di immigrazione

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La rivista “Gli Stranieri”: 1994/2012

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Ed allora in qualche modo dobbiamo ringraziare l’Editore, ilDirettore e tutti coloro chiamati, a qualsiasi titolo e per qualsiasicontributo, a partecipare all’iniziativa, non solo per il lavoro giàfatto negli anni trascorsi che a corrisposto a così importanteauspicio ma anche per quello di maggiore impegno che siaccingono ad intraprendere.

In questo modo continueranno ad offrirci la più opportuna etempestiva sede di approfondimento scientifico di un fenomenoche ci coinvolge non solo per l’attività professionale chesiamo chiamati a svolgere ma anche per il nostro interesse disemplici cittadini.

L’intenzione perseguita di offrire uno strumento di informazionedei diversi e molteplici settori in cui si caratterizza l’interdiscipli-narietà dell’immigrazione con la più tempestiva pubblicazioneè indubbiamente una convinta risposta alla pseudo comuni-cazione talvolta più gridata che pensata.

Sono grato, infine, alla rivista ‘Gli Stranieri’ per avermi offertola possibilità anche di rievocare un grande Prefetto ed un affet-tuoso Maestro”.

Anche i sei fascicoli pubblicati ogni anno ben presto si rivelanoinsufficienti ad accogliere la mole crescente di materiali ritenutidi interesse primario per gli scopi della rivista; al tempo stessosi avverte l’esigenza di catalogare e rendere disponibile suinternet il patrimonio di documenti pubblicati dal 1994, conparticolare riguardo alla giurisprudenza raccolta nei primidieci anni di attività. Inizia perciò un paziente lavoro di digi-talizzazione che nel 2005 consentirà a Studio immigrazione(società proprietaria della testata “Gli Stranieri”) di fondare lanuova rivista telematica Immigrazione.it nell’omonimo sitowww.immigrazione.it, “sorella” web de “Gli Stranieri”, con laquale condivide la direzione e la redazione.

La rivista telematica è un quindicinale e quindi riesce apubblicare articoli, normativa e giurisprudenza con maggioretempestività rispetto all’edizione cartacea. Al tempo stessopermette di divulgare una quantità di documenti inimmaginabileper il supporto tradizionale, di creare una banca dati dellagiurisprudenza costantemente alimentata dalle nuove decisionie di mettere a disposizione dei lettori tutti i fascicoli de “GliStranieri” pubblicati dal 1994 al 2005, in formato pdf.

Nel giro di un paio di anni la nuova testata, che all’inizio siè timidamente affiancata al tradizionale prodotto cartaceo, inbreve tempo si afferma come strumento di lavoro preferito perla maggiore tempestività dell’informazione e per le opportunità

Nel 2005 per rendere disponibile il patrimonio di documenti pubblicati a partire dal 1994 viene fondata la nuova versione quindicinale telematica della rivista

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La rivista “Gli Stranieri”: 1994/2012

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di ricerca all’interno delle banche dati della giurisprudenzae della normativa, ogni anno sempre più ricche di contenuti.Da ultimo, nel 2008, viene introdotta un’ulteriore risorsa: il Codicedell’immigrazione in formato html, una raccolta organica dellalegislazione di settore, costantemente aggiornata e ricca dicollegamenti ipertestuali, organizzata in sette parti: I - Immigrazione e stranieri; II - Cittadini dell’Unione Europeae loro familiari; III - Rifugiati e persone bisognose di protezioneinternazionale; IV - Cittadinanza; V - Discriminazione; VI - Trattadelle persone e mutilazione genitali femminili; VII -Appendice.

La versione elettronica è particolarmente apprezzata anchea livello istituzionale tanto da invogliare il dipartimento dellaPubblica sicurezza e il dipartimento delle Libertà civili el’Immigrazione ad adottarla come strumento di lavoro, di ricercae di aggiornamento professionale degli uffici immigrazionedelle questure e degli sportelli unici delle prefetture-Utg.

L’incremento della domanda del prodotto telematico determinaperò una vistosa diminuzione degli abbonamenti al cartaceo,al punto tale da indurre l’editore Sinnos (subentrata negli ultimianni a Union Printing) e il proprietario alla decisione di inter-rompere la pubblicazione nel dicembre 2009.

Per non abbandonare definitivamente la testata, che per

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La rivista “Gli Stranieri”: 1994/2012

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sedici anni ha costituito un punto di riferimento degli operatoridella materia e nel tentativo di conciliare la convivenza di unaedizione cartacea con quella telematica, a gennaio 2010 ladirezione elabora un progetto di revisione radicale che si con-cretizza nella nuova edizione quadrimestrale, caratterizzatadalla centralità degli approfondimenti dottrinari a carattereinterdisciplinare, da una selezione della giurisprudenza piùinnovativa, annotata e commentata, e da un nuovo Comitatoscientifico 4, lasciando alla “sorella” telematica il ruolo piùtecnico-operativo della raccolta e divulgazione della giuri-sprudenza integrale, anche non commentata, della normativae della documentazione di maggiore interesse, primi tra tuttigli atti parlamentari.

Alla nuova rivista è dedicato l’omonimo sito www.glistranieri.itche contiene gli estratti dei contributi pubblicati nei primi seifascicoli della nuova edizione e l’indice di tutti gli articoli dellaserie storica a partire dal 1994.

Punto di sintesi di questa produzione quasi ventennale èl’edizione cartacea del Codice dell’immigrazione, annotatoe commentato con la giurisprudenza, arrivato nelle librerienell’ottobre 2011: la prefazione “Dalla storia alla cronaca.Politiche e normative nazionali in materia di immigrazione,asilo e cittadinanza dagli anni ’70 ad oggi” recupera importantipezzi di storia dagli editoriali de “Gli Stranieri”, mentre la legisla-zione corrente e la giurisprudenza a commento viene estrattadalle banche dati di Immigrazione.it.

Oggi le due riviste, nonostante le difficoltà economiche cheperiodicamente ne mettono in discussione la sopravvivenza(entrambe non beneficiano di alcun finanziamento pubblico oprivato ma si sostengono solo sul provento degli abbonamentie sulla gratuità della maggior parte dei contributi scientifici) esenza voler togliere meriti alle tante nuove iniziative editorialiche egregiamente concorrono agli obiettivi di informazione, costi-tuiscono un punto di riferimento essenziale per gli studiosi esoprattutto per gli operatori pubblici e privati il cui ruolo è oggi piùche mai determinante alla costruzione di una società multietnica.

4 Comitato scientif ico: Paolo Benvenuti, università Roma Tre; Luciano Eusebi,università cattolica del Sacro Cuore di Milano; Gilda Ferrando, università di Genova;Adriano Giovannell i , università di Genova; Horatia Muir Watt, Sciences-Po LawSchool, Paris; Bruno Nascimbene, università di Milano; Sandro Staino, universitàdi Napoli; Ugo Villani, università Luiss di Roma. Direzione: Giandonato Caggianouniversità Roma Tre, Aristide Canepa, università di Genova; Paolo Morozzodella Rocca, università di Urbino. Fondatore e direttore responsabile è RaffaeleMiele

Oggi un punto di sintesi del lavoro quasi ventennale è l’edizione cartacea del Codice dellaimmigrazione annotato e commentato con la giurisprudenza

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Dieci star antiviolenza

Numerosi artisti di fama mondiale hanno aderitoal “Pixel Project” 2012, un’organizzazione internazionale no profit incentrata sulla difesa dei diritti delle donne

The Pixel Project è un’organizzazione internazionale no profitche utilizza i social media e la rete globale per realizzare progettivolti a fermare la violenza contro le donne attraverso campagnedi sensibilizzazione e partecipazione collettiva.

Al Pixel Project 2012 aderiscono 10 artisti di fama mondialequali testimonial della campagna anti violenza contro le donne.

Annie Lennox - Popolarissima cantante britannica fondatricee membro degli Eurythmics. Negli anni d’oro della sua carrierasi diceva fosse amata dalle ragazze inglesi più della stessaregina Elisabetta. L’artista è sempre stata un’appassionataattivista nelle campagne a tutela dei diritti delle donne. Nel2010 si rivolse con una lettera pubblica al governo del RegnoUnito chiedendo di sottoscrivere un impegno globale cheponesse fine alla violenza contro il genere femminile nel mondoe a fare di ciò una priorità della politica estera. Nel 2008 dopoaver documentato una serie di rapporti sulla violenza perpe-trata contro le ragazze africane dichiarò che “la violenza controle donne minaccia la vita più del cancro, della malaria o dellaguerra. Colpisce una donna su tre e lascia le vittime psicolo-gicamente segnate per sempre. Di solito è inflitta da un membrodella famiglia”.

Christina Aguilera - Cantautrice, produttrice discografica eattrice statunitense. Ha venduto circa 50 milioni di album ealtrettanti singoli. Ha sperimentato sulla propria pelle durantel’infanzia la violenza familiare. Figlia di una pianista e violinista

Annie Lennox:“la violenza contro le donne colpisce una donna su tre e minaccia la vita più del cancro,della malaria o della guerra”

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di origine irlandese e di un militare ecuadoriano, ChristinaAguilera è stata vittima di violenza da parte del padre cheripetutamente picchiava la moglie e le figlie. La cantante haparlato pubblicamente di questi abusi subiti all’interno dellafamiglia e in una delle sue canzoni “I’m Okay” racconta di unaragazzina “che vive all’interno di una guerra chiamata casa”. Ilsuo attivismo contro la violenza domestica l’ha vista impegnataa raccogliere fondi a sostegno di centri e organizzazioni per lalotta a questa forma di violenza.

Debi Nova - Cantante, compositrice, polistrumentista e ballerina,Debi Nova è una grande star nella sua nativa Costa Rica. È unaforte sostenitrice di campagne volte a porre fine alla violenzacontro le donne. Ha dichiarato pubblicamente di aver avuto“una relazione sentimentale violenta. Mi ci sono voluti circadue anni per parlarne. Ne sono uscita perché per fortuna sonostata supportata dalla mia famiglia, molte persone non hannoquesto tipo di sostegno. Volevo far sapere loro che non sonosoli... Il primo passo è quello di parlare e parlare. Desideroincoraggiare tutte le donne e le ragazze che subiscono violenzaa parlarne con un amico, un genitore, un insegnante o qualcunodi cui si fidano”.

Deeyah - Icona della musica pop del mondo arabo, cantante,produttrice musicale, regista, acclamata dalla critica e premiataattivista dei diritti umani. È nata in Norvegia da genitori immigratidi origine pashtun e punjabi, ed è noto il suo sostegno esplicitoa favore dei diritti delle donne, della libertà di espressione edella pace. Ha iniziato la sua carriera musicale come cantante,subendo pressioni e minacce per aver intrapreso una battagliaa favore dell’emancipazione delle donne musulmane immigrate.Attualmente sta producendo Killing In The Name Of un docu-mentario sui “crimini d’onore” che sollecita l’Europa ad affrontarel’importante sfida a sostegno delle donne immigrate e del-l’integrazione delle loro comunità etniche di provenienza. Nel2011 ha fondato una Ong per potenziare e amplificare le vocifemminili facendo luce sulle violazioni dei diritti umani controle donne.

Martina McBride - Cantautrice statunitense di genere country-pop. È attualmente portavoce della National Domestic ViolenceHotline, del National Network to End Domestic Violence e delTulsa Domestic Violence and Intervention Services. L’artistaritiene fondamentale la prevenzione e la conoscenza del

Debi Nova:“sono uscita da una relazione sentimentale violenta perché per fortuna sono stata supportata dalla mia famiglia

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fenomeno violenza fin dai primi anni di crescita, sottolineandoche l’educazione delle ragazze contro la violenza domestica è unprogetto che inizia in casa con le proprie figlie. “Molte ragazzeadolescenti nei primi incontri con soggetti violenti spessopensano: ‘Oh, non vuole farmi vedere i miei amici, mi vuole tuttaper sé. Non è una cosa carina?’. Poi tutto ciò si trasforma inqualcosa d’altro, fuori controllo, e loro non se ne rendonoconto fin quando non è ormai tardi”. Martina McBride ha anchecollaborato con “Loveisrespect” la help line nazionale di sostegnoagli abusi perpetrati su teenager attraverso un nuovo programmachiamato “My Time to Shine”.

Michael Bolton - Interprete e cantautore statunitense. Haduettato con moltissimi artisti fra cui una giovanissima Cèline Dionche, all’epoca, apriva i suoi concerti americani. Nel 1993, annoin cui ha vinto i Grammy Award, ha istituito la Michael BoltonFoundation (ora Michael Charities Bolton), organizzazionedeputata ad assistere donne e bambini a rischio di povertà edi abusi. La fondazione ha raccolto oltre 3,7 milioni di dollarida enti e organizzazioni benefiche locali e nazionali. Nel 2003,insieme, tra gli altri, a Lifetime Television e Verizon Wireless,è stato promotore della National Coalition Against DomesticViolence, chiedendo una legislazione in grado di fornire maggioreassistenza alle vittime di violenza domestica, con aiuti specificicome ad esempio alloggi alternativi a prezzi accessibili erealmente alla portata delle vittime stesse.

Sister Fa - Artista senegalese, interprete dell’hip hop e urbansoul, ha legato la sua immagine artistica alla lotta contro lemutilazioni genitali femminili che, drammaticamente, ha lei stessasubito nell’infanzia. Il desiderio di sensibilizzare la popolazionedel suo Paese d’origine, il Senegal, ad abbandonare la diffusapratica di infibulazione è stata il motore trainante del suo tour“Education sans Excision”. Tour che la stessa cantante hareplicato nel 2010 per tre settimane, conseguendo il risultato,in collaborazione con l’Ong Tostan, che gli abitanti del suovillaggio natale oggi hanno ufficialmente abbandonato la praticadelle mutilazioni genitali alle bambine. Ha ricevuto numerosiriconoscimenti per aver contribuito a migliorare la condizionedelle donne e delle bambine nella sua terra d’origine attraversol’instancabile impegno sociale che accompagna la sua attivitàartistica.

Tim McGraw - Cantante e attore statunitense, non è soltanto

Michael Bolton ha istituito nel 1993 la Michael Bolton Foundation,unaorganizzazione che assiste donne e bambini a rischio di povertà e di abusi

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una star della musica country, ma un artista fortemente impegnatoa porre fine alla violenza contro le donne. Sposato con la collegae cantante Faith Hill ha contribuito a raccogliere decine dimigliaia di dollari per la costruzione di alloggi destinati alledonne maltrattate in Tennessee. Nel 2010 è stato premiato peril suo impegno contro la violenza femminile.

Tina Turner - Cantante e attrice statunitense è tra i nomi piùfamosi del panorama R&B internazionale. È, tra le celebritàinternazionali, forse una delle star maggiormente coinvolte daldramma degli abusi domestici. Ha subito abusi fisici, mentalie sessuali ad opera del marito Ike Turner fino al giorno in cui,dopo l’ennesimo episodio di violenza a Dallas, in Texas, decisedi lasciarlo, rimanendo con soli 36 centesimi in tasca e unabattaglia legale per poter utilizzare il cognome coniugale Turnerquale nome d’arte anche dopo il divorzio. La cantante, pur nonessendo mai stata un’attivista nelle battaglie contro la violenzasulle donne, ha scritto un’autobiografia che ripercorre, puntual-mente e senza sconti, tutte le violenze subite dal marito durantegli anni vissuti insieme. Dal libro, pubblicato nel 1986 con iltitolo “I, Tina” è stato tratto nel 1993 il film What’s love got todo with it interpretato da Angela Bassett, nel ruolo di Tina, eLaurence Fishburne in quello di Ike. La pellicola, acclamatadalla critica, e che è valsa ai due attori la nomination agliAcademy Awards, è ancora oggi considerata uno dei migliorimanifesti cinematografici contro la violenza domestica.

Tori Amos - È una cantautrice, pianista e produttrice disco-grafica statunitense, considerata dalla critica e dal pubblicouna delle più importanti figure femminili del rock degli anniNovanta. La “dea del rock”, come affettuosamente viene chiamatadai suoi fan, è anche una sopravvissuta allo stupro. Accaddea Los Angeles, dove da poco era arrivata per perseguire la stradadel successo e dove invece, dopo un suo concerto, fu vittimadi una violenza sessuale che la segnò profondamente. A seguitodi ciò, nel 1994 ha co-fondato il servizio di numero verde antiviolenza Rainn (The Rape Abuse and Incest National Network)che lavora in diretto collegamento con le unità di crisi antistuprooperanti nel Paese. La sua canzone Unlock the Silence è stataper un anno la colonna sonora della campagna contro la violenzadi Rainn, che il magazine “Worth” ha inserito fra le 100 miglioriCharities degli Stati Uniti.

(Cla.Sva.)

Tina Turner ha scritto unaautobiografia che ripercorre,puntualmente e senza sconti,tutte le violenze subite dal marito durante gli anni vissuti insieme

a cura di Stefania NassoDoc

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Al via l’Accordodi integrazionefra lo straniero e lo Stato

È entrato in vigore lo scorso 10 marzo il “Regolamento concer-nente la disciplina dell’Accordo di integrazione tra lo stranieroe lo Stato”, emanato con Dpr 14 settembre 2011, n.179. Datale data, pertanto, gli stranieri, di età superiore ai 16 anni,che faranno ingresso nel territorio nazionale per la prima voltae richiedano un permesso di soggiorno di durata non inferiorea un anno, dovranno sottoscrivere l’accordo presso le prefettureo le questure.

Con una direttiva congiunta dei ministri dell’Interno, AnnamariaCancellieri e per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione,Andrea Riccardi indirizzata a tutti i prefetti d’Italia (il cui testo èriportato di seguito), sono state indicate le linee d’indirizzo perla corretta applicazione a livello locale delle procedure e dellemisure introdotte dalla nuova normativa.

L’Accordo ha durata biennale, prorogabile di un altro anno.Lo straniero si impegna ad acquisire un livello adeguato diconoscenza della lingua italiana, dei principi fondamentalidella Costituzione, del funzionamento delle istituzioni pubblichee della vita civile in Italia, a garantire l’adempimento dell’obbligodi istruzione da parte dei figli minori, dichiara di aderire allaCarta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione (decretodel ministro dell’Interno del 23 aprile 2007, Gazzetta Ufficialen.137 del 15 giugno 2007) e si impegna a rispettarne i principi.Lo Stato si impegna a sostenere il processo di integrazionedello straniero in raccordo con regioni e enti locali e, nell’imme-diato, assicura una sessione di formazione civica e informazionesulla vita in Italia. Il Programma annuale 2011 del Fondo europeoper l’ integrazione dei cittadini di Paesi terzi finanzierà, perun importo di 16 milioni di euro, progetti finalizzati a garantirel’integrazione sociale degli stranieri mediante servizi diorientamento, corsi di formazione linguistica, educazione civica,alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana.

Il regolamento disciplina l’articolazione per crediti, le modalitàe gli esiti delle verifiche cui l’accordo è soggetto, l’istituzione

di Enrico MelisConsulente del dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del ministero dell’Interno

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Al via l’Accordo di integrazione

dell’anagrafe nazionale degli intestatari degli accordi di inte-grazione e i casi straordinari per i quali non sarà obbligatoriala sottoscrizione dell’accordo. Al momento della sottoscrizionel’accordo viene redatto in duplice originale, di cui uno èconsegnato allo straniero nella lingua da lui indicata. Se ciò nonfosse possibile il documento sarà tradotto in lingua inglese,francese, spagnola, araba, cinese, albanese, russa o filippina,secondo la preferenza indicata dall’interessato. Per lo Stato,l’accordo è firmato dal prefetto o da un suo delegato.

L’Accordo prevede che entro due anni lo straniero raggiungala quota di almeno 30 crediti per poter rimanere sul territorioitaliano. All’atto della sottoscrizione, allo straniero sono assegnatisedici crediti che potranno essere incrementati mediantel’acquisizione di determinate conoscenze (lingua italiana, culturacivica e vita civile in Italia) e lo svolgimento di determinateattività (percorsi di istruzione e formazione professionale, titolidi studio, iscrizione al Servizio sanitario nazionale, stipula di uncontratto di locazione o di acquisto di una abitazione). I creditisaranno decurtati in relazione a sentenze penali, gravi violazionidella legge, sanzioni pecuniarie per il leciti amministrativi etributari non inferiori a 10mila euro, per mancata partecipazionealla sessione di formazione civica. L’inadempimento dell’obbligoscolastico dei minori determina la risoluzione dell’Accordo perinadempimento. Contestualmente alla firma dell’Accordo verràfissato l’appuntamento per partecipare alla sessione di informa-zione civica che sarà erogata a cura delle prefetture.

Un mese prima della scadenza si procede alla verifica del-l’adempimento. Qualora lo Sportello unico accerti la mancatapartecipazione alla sessione di formazione, procede alladecurtazione di quindici crediti, con rinvio di ogni ulterioredeterminazione all’esito della verifica dell’adempimento del-l’accordo mediante la presentazione della documentazionenecessaria a ottenere il riconoscimento dei crediti e della certifi-cazione relativa all’adempimento dell’obbligo di istruzione dei figliminori. I crediti relativi alla conoscenza della lingua, della culturae della vita civile in Italia possono essere assegnati a seguitodi un apposito test effettuato a cura dello Sportello unico.

La verifica si conclude con l’attribuzione dei crediti finali.Se questi sono pari o superiori a 30 si determina l’estinzionedell’Accordo per adempimento e viene rilasciato il relativoattestato; se i crediti sono superiori allo zero e inferiori a trental’Accordo è prorogato di un anno e, qualora alla scadenza dellaproroga la situazione rimanga invariata, il prefetto decretal’inadempimento parziale, di cui terrà conto l’autorità competente

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Al via l’Accordo di integrazione

nell’adozione dei provvedimenti discrezionali previsti dal Testounico; qualora il numero dei crediti sia pari o inferiore a zeroè decretata la risoluzione per inadempimento, che determinala revoca del permesso di soggiorno e l’espulsione dello straniero,ad eccezione dei titolari di permesso di soggiorno per asilo,richiesta asilo, protezione sussidiaria, motivi familiari, persoggiornanti di lungo periodo, di titolari di carta di soggiornoper familiare straniero del cittadino dell’Unione e del titolaredi altro permesso di soggiorno che ha esercitato il diritto alricongiungimento familiare. Nei casi sopra elencati, per ragionidi semplificazione e di economicità amministrativa, non siprocederà alla verifica dell’adempimento dell’Accordo.

Il testo dell’Accordo, i relativi allegati e la modulistica, comepure un vademecum dedicato (vedi box successivo), sonodisponibili sul sito del ministero dell’Interno tradotti in 19 lingue:albanese, arabo, bangla, cinese, mandarino, francese, hindi,urdu, inglese, cingalese, russo, spagnolo, tagalog-filippino,wolof, yoruba, tigrino, portoghese, serbo-croato, afro pidgin.

Per gestire operativamente le attività previste, tra cui l’agendadelle prenotazioni per la frequenza ai corsi, la registrazionedei crediti e dei debiti accumulati nel biennio e la verificadegli stessi, il dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazioneha realizzato un sistema informatico a utilizzo delle prefetturee un portale di accesso diretto al sistema, raggiungibile dalsito http://accordointegrazione.dlci.interno.it, tramite il qualelo straniero potrà verificare la propria situazione aggiornata.

(s.n.)

I contenuti del VademecumChe cos’è l’Accordo di integrazione

L’Accordo è uno strumento per facilitare l’integrazionedel cittadino straniero.

Con la stipula dell’Accordo lo straniero si impegna araggiungere specifici obiettivi di integrazione da conseguirenel periodo di validità del permesso di soggiorno:

acquisire un livello adeguato di conoscenza della linguaitaliana

acquisire una sufficiente conoscenza e cultura civicagarantire l’adempimento dell’obbligo di istruzione dei figli

minori.

Lo Stato si impegna a sostenere il processo di integrazionedello straniero.

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Al via l’Accordo di integrazione

Chi sottoscrive l’Accordo Lo straniero che:

1. fa il primo ingresso nel territorio italiano2. presenta una richiesta di rilascio di permesso di soggiornodi durata non inferiore a un anno3. ha età superiore a 16 anni. Per i minori di età compresatra 16 e 18 anni l’accordo è sottoscritto dai genitori o da chiesercita la potestà genitoriale.

Chi non deve sottoscrivere l’AccordoGli stranieri: affetti da patologie o disabilità tali da limitare gravemente

l’autosufficienza o l’apprendimento linguistico e culturaleminori non accompagnativittime della tratta di persone, di violenza o di grave

sfruttamentominori di 16 anni.

Dove si sottoscrive L’Accordo viene sottoscritto presso la prefettura - Sportello

unico dell’immigrazione dagli stranieri che entrano in Italiaper motivi di lavoro o per il ricongiungimento con un familiareoppure presso la questura nel caso di ingresso per altri motivi.

Cosa accade dopo la sottoscrizioneAll’atto della sottoscrizione vengono assegnati 16 crediti.

Entro tre mesi dalla firma dell’Accordo, lo straniero vieneconvocato per partecipare a una sessione di formazionecivica e di informazione sulla vita in Italia. La mancata parte-cipazione comporta la perdita di 15 crediti.

Sospensione o proroga dell’Accordo a domandaL’Accordo può essere sospeso o prorogato a domanda

dello straniero, presentando idonea documentazione, per:gravi motivi di salute o di famigliamotivi di lavorofrequenza corso o tirocinio di formazione, aggiornamento

od orientamento professionalefrequenza tirocinio di formazionefrequenza aggiornamento od orientamento professionalestudio all’estero.

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Al via l’Accordo di integrazione

Verifica dell’AccordoUn mese prima della scadenza dell’Accordo, lo Sportello

unico verifica il grado d’integrazione raggiunto invitando lostraniero a presentare la documentazione per ottenere ilriconoscimento di ulteriori crediti. Allo straniero residentenella provincia di Bolzano sono riconosciuti crediti ancheper i test sostenuti in lingua tedesca. Nel caso non abbiaidonea documentazione, lo straniero può richiedere di parte-cipare a un test per dimostrare il grado di conoscenza dellalingua italiana, della cultura civica e della vita civile in Italianecessario per l’adempimento dell’Accordo.

L’esito della verifica è: estinzione dell’Accordo: lo straniero ha raggiunto un grado

adeguato di integrazione (crediti pari a 30 o maggiori di 30)proroga dell’Accordo di un anno: lo straniero non ha

raggiunto un numero di crediti sufficiente all’estinzione(crediti compresi tra 1 e 29)

risoluzione dell’Accordo: lo straniero non ha raggiuntoun grado sufficiente d’integrazione; gli viene revocato ilpermesso di soggiorno e viene espulso dal territorio nazionale(crediti uguale a 0 o minori di 0).

Consultazione on-line dello stato dell’Accordo Lo straniero potrà consultare via Internet, all’ indirizzo

http://accordointegrazione.dlci.interno.it, nel periodo divalidità dell’Accordo:

i crediti maturatile date di convocazione per lo svolgimento del test. A tal fine, al momento della sottoscrizione dell’accordo,

verranno fornite allo straniero le istruzioni per l’accesso allefunzioni on-line.

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Linee d’indirizzo per l’applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n.179- Accordo di integrazione, del ministro dell’Interno,Annamaria Cancellieri, e del ministro per la Cooperazioneinternazionale e l’Integrazione, Andrea Riccardi

Il 10 marzo è entrato in vigore il “Regolamento concernentela disciplina dell’Accordo di integrazione tra lo straniero e loStato, a norma dell’articolo 4 bis, comma 2, del Testo unicodelle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazionee norme sulla condizione giuridica dello straniero di cui aldecreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”, adottato con decretodel Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n.179.

Con tale disciplina anche nel nostro Paese si è volutaperseguire la strada, già avviata in altri Stati europei, di stipulareun patto con il cittadino non appartenente all’Unione Europearegolarmente soggiornante con un reciproco impegno a fornire,da parte dello Stato, gli strumenti di acquisizione della lingua,della cultura e dei principi generali della Costituzione italianae da parte del cittadino straniero presente sul territorio nazionale,l’impegno al rispetto delle regole della società civile al finedi perseguire, nel reciproco interesse, un ordinato percorso diintegrazione.

Negli Stati europei in cui è stato introdotto l’accordo inquestione, questo si configura come un sostanziale strumentodi integrazione assumendo la fattispecie di contratto a prestazionicorrispettive: lo straniero assume l’obbligo di integrarsi nelloStato in cui dimora, attraverso la conoscenza della linguanazionale, dei principi fondamentali della Costituzione e del-l’organizzazione e funzionamento delle istituzioni pubbliche econ la frequenza di corsi di formazione e altro, mentre lo Statoassume l’obbligo di fornirgli a titolo gratuito o a condizioniparticolarmente agevolate corsi di formazione linguistica eculturale e servizi di orientamento.

L’Accordo nel nostro Paese ha l’obiettivo primario di con-correre all’ integrazione, intesa come processo dinamico ebilaterale per promuovere la convivenza dei cittadini italiani edi quelli stranieri, nel rispetto anche dei valori sanciti dallaCostituzione italiana.

Con la sottoscrizione dell’Accordo, lo straniero, che faràingresso per la prima volta nel territorio nazionale per rimanervialmeno un anno, si impegna al raggiungimento di specificiobiettivi di integrazione e, nello stesso tempo, lo Stato assu-me l’impegno di sostenere il suo processo di integrazioneattraverso l’assunzione di ogni idonea iniziativa in raccordo

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Al via l’Accordo di integrazione

con le regioni e gli enti locali, i centri per l’istruzione degliadulti, nonché con le organizzazioni sia del terzo settore, siadei datori di lavoro che dei lavoratori.

Per rendere l’Accordo di integrazione un efficace strumentoa garanzia di un partecipato processo di inclusione sociale deglistranieri sono state realizzate una serie di attività.

Preliminarmente, al fine di garantire una partecipazioneconsapevole degli stranieri al raggiungimento degli obiettividell’Accordo, si è ritenuto di assicurare l’effettiva compren-sione del testo dell’Accordo e dei documenti ad esso allegatieffettuando la traduzione di tali testi in 19 lingue, numero digran lunga superiore alle 8 previste dal regolamento.

I materiali tradotti saranno disponibili, dall’entrata in vigoredella nuova normativa, sul sito del ministero dell’Interno,unitamente a un vademecum, anch’esso tradotto nelle medesimelingue, riepilogativo del contenuto della nuova procedura. Perun’efficace fruizione della documentazione tradotta è statapianificata una mirata azione di comunicazione, anche attraversoi Consigli territoriali per l’immigrazione, per promuoverne unacapillare informazione su tutto il territorio nazionale.

Inoltre, nella consapevolezza che una reale inclusione socialesi realizza attraverso la conoscenza dei principi fondamentalidell’ordinamento dello Stato ospitante, dei valori espressi dallaCostituzione e del funzionamento delle istituzioni pubbliche, èprevista dalla nuova normativa una sessione di formazionecivica, a cura degli Sportelli unici per l’immigrazione delleprefetture, alla quale lo straniero è tenuto a partecipare entrotre mesi dalla sottoscrizione dell’Accordo. In tale ambito siinserisce la predisposizione di un pacchetto formativo multi-mediale di educazione civica, strutturato in cinque moduli diapprendimento di un’ora, tradotti nelle medesime linguedell’Accordo.

Le prefetture, per realizzare le sessioni formative, potrannoconcludere accordi (art.10 Regolamento) diretti a realizzare, neilimiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibilia legislazione vigente, forme di collaborazione tra lo Sportellounico e la struttura territorialmente competente dell’ufficioscolastico regionale, i centri provinciali per l’istruzione degliadulti, le altre istituzioni scolastiche statali operanti a livelloprovinciale e, se del caso, le altre amministrazioni e istituzionistatali, comprese le università.

Con le risorse del “Fondo europeo per l’integrazione di cittadinidi Paesi terzi”, sono stati poi realizzati interventi di “Formazionelinguistica ed educazione civica”, finalizzati alla predisposizione

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di piani regionali e locali, che potranno assicurare un sistemaintegrato di erogazione di servizi di formazione linguistica,educazione civica e orientamento, e potranno promuoverel’alfabetizzazione e l’apprendimento della lingua italiana.

Inoltre sono stati già accreditati alle singole prefetture, inquota parte, fondi accantonati nell’esercizio finanziario 2011per sostenere le spese di prima attuazione dell’Accordo diintegrazione.

Nel quadro del rinnovato impegno assunto dal Governoper la semplificazione e lo snellimento delle procedure ammi-nistrative sono state anche adottate specifiche misure operativeper la gestione dell’Accordo e la realizzazione della base datianagrafica dei sottoscrittori degli Accordi.

È stato, infatti, predisposto un apposito sistema informaticoche sarà utilizzato dalle prefetture e che gestirà l’agendadelle prenotazioni per la frequenza del corso di formazionecivica, la registrazione da parte degli operatori di prefetturadei crediti accumulati dallo straniero nel biennio di duratadell’accordo, le funzioni di sospensione-proroga e di decadenza,nonché la verifica dei crediti entro la scadenza dei termini.

Per consentire allo straniero informazioni aggiornate sullasua posizione è stato, altresì, predisposto un portale di accessoe consultazione diretta al sistema, previo rilascio di credenzialida parte dello Sportello unico.

L’attività delle prefetture, dunque, per il corrente e il suc-cessivo anno sarà prevalentemente indirizzata alla sottoscrizionedell’Accordo e alla organizzazione e somministrazione dellasessione di formazione civica.

La verifica degli accordi sarà avviata, invece, a partire dal2014. Per quanto concerne la conoscenza della lingua italianae della cultura civica, in assenza di idonea attestazione, lostraniero potrà far accertare il proprio livello di conoscenzadella lingua italiana e di cultura civica attraverso un appositotest svolto gratuitamente a cura dello Sportello unico, utiliz-zando le medesime procedure già in uso per lo svolgimentodel test di conoscenza della lingua italiana per i richiedenti ilpermesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.

A tal fine, il ministero dell’Interno, d’intesa con gli uffici delministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione,sta provvedendo ad aggiornare l’Accordo-quadro stipulatocon il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricercaper estendere le intese raggiunte in tema di svolgimento del testdi conoscenza della lingua italiana da parte dei richiedenti ilpermesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo

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anche ai test che dovranno essere svolti, a partire dall’anno2014, in occasione della verifica dell’Accordo.

In relazione alla gestione dei crediti, sarà cura degli Sportelliunici attivare gli accertamenti presso il casellario giudiziale eil casellario dei carichi pendenti per quanto attiene ai provvedi-menti giudiziari di condanna e alle misure di sicurezza perso-nale, nonché acquisire la documentazione presso le Autoritàcompetenti per gli accertamenti relativi alle sanzioni pecuniarieconnesse a illeciti amministrativi e tributari.

In tale fase gli Sportelli unici valuteranno attentamente,anche al fine di evitare contenziosi particolarmente onerosi,tutti i profili dei comportamenti sanzionabili considerandoanche la sopravvivenza di eventuali esiti favorevoli all’interes-sato nelle procedure di ricorso avverso le condanne penali eilleciti amministrativi.

Il ministero dell’Interno ha già avviato intese con il ministerodella Giustizia atte a realizzare l’interconnessione informaticacon il casellario giudiziale e il casellario dei carichi pendenti,al completamento della quale sarà data tempestiva comuni-cazione alle SS.LL.

Va inoltre precisato che l’articolo 4 bis del Testo unico sull’im-migrazione, nel prevedere la revoca del permesso di soggiornoe l’espulsione come sanzione per la perdita dei crediti in casodi inadempimento dell’Accordo da parte dello straniero, escludeche la medesima sanzione possa essere applicata nei confrontidello “straniero titolare di permesso di soggiorno per asilo,per richiesta di asilo, per protezione sussidiaria, per motiviumanitari, per motivi familiari, di permesso di soggiorno CEper soggiornanti di lungo periodo, di carta di soggiorno perfamiliare straniero di cittadino dell’Unione europea, nonchédello straniero titolare di altro permesso di soggiorno che haesercitato il diritto al ricongiungimento familiare”.

Nei confronti, quindi, degli stranieri che firmatari dell’Accordodi integrazione risultino – al momento di effettuare la verificadell’Accordo – titolari di una delle tipologie sopraindicate dipermessi di soggiorno ovvero che abbiano comunque esercitatoil diritto al ricongiungimento familiare non si potrà nell’ipotesidi inadempimento dell’Accordo, in applicazione della normaprimaria, disporre la revoca o il diniego al rinnovo del permessocon la conseguente espulsione.

Ciò premesso, nei casi elencati gli Sportelli unici non pro-cederanno, per ragioni di semplificazione e di economicitàamministrativa, alla verifica dell’adempimento dell’Accordo.

A una valutazione poi del contenuto dell’Accordo di integra-

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zione, con particolare riferimento al sistema dei crediti e deidebiti, si potrà procedere al termine del biennio di primaapplicazione del Regolamento al fine di adottare quei correttiviche possano rendere effettiva l’integrazione.

A tali fini le SS.LL., anche utilizzando le risultanze del monito-raggio dei Consigli territoriali per l’immigrazione, potranno fornireogni utile indicazione per adottare misure migliorative delnuovo istituto. I Consigli territoriali inoltre potranno indicarestrumenti e modalità ancora più diffuse dell’offerta per i cittadinistranieri e rappresentare come l’istituto è accolto e percepitonelle realtà locali.

La complessa procedura di attuazione dell’Accordo richiede,infatti, oltre che un forte impegno degli operatori interessati,anche la consapevolezza della particolare importanza diun cammino che investe ri levanti profi l i sociali e umanitarinell’ambito del quadro di diritti e obblighi dei cittadini stranieri,in un percorso di integrazione da consolidare all’interno deltessuto sociale.

Il dipartimento per le Libertà civili – direzione centrale perle Polit iche dell’ immigrazione e dell’Asilo del ministerodell’Interno – fornirà alle SS.LL. assistenza nelle fasi di attua-zione dell’Accordo fornendo le necessarie indicazioni operativee ogni chiarimento richiesto.

Nel ringraziare, si confida nella consueta collaborazionedelle SS. LL. per una piena realizzazione degli obiett ividell’Accordo.

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Il IV rapporto European Migration Network:in calo l’immigrazione irregolare in Italia di Vincenzo Cesareo Segretario generale della fondazione Ismu

È stato recentemente presentato il IV Rapporto dell’EuropeanMigration Network (Emn), punto di contatto nazionale per l’Italiasu “Canali migratori. Visti e flussi irregolari”. Il Rapporto comprendei risultati dei due studi monografici realizzati nel corso del 2011:Le politiche dei visti come canale migratorio e Risposte praticheall’immigrazione irregolare. Ciascuna parte è preceduta da anno-tazioni metodologiche e analizza diverse fonti di tipo politico-istituzionale, statistico e scientifico. L’ampia documentazionestatistica riporta una serie di dati inediti, contestualizzatianche a livello di singoli Paesi, messi a disposizione daEurostat e, in Italia, dal ministero degli Affari esteri e dal ministerodell’Interno. Per quel che concerne le definizioni terminologiche,il Rapporto fa ampio riferimento al Glossario migrazione easilo, uno strumento di lavoro curato dalla rete EMN per favorireuna comunicazione corretta sulla migrazione e l’asilo, presentatonella versione italiana nel giugno 2011 (vedi libertàcivilin.3/2011).

Tra i dati principali che emergono dal Rapporto – alla cuipresentazione hanno partecipato il sottosegretario all’Interno,Saverio Ruperto e il capo del dipartimento per le Libertà civilie l’Immigrazione del ministero dell’Interno, Angela Pria – sievidenzia una relazione inversamente proporzionale tra l’anda-mento dei visti nazionali, cioè di validità superiore ai 3 mesi,rilasciati dall’Italia, in aumento del 17% dal 2001 al 2010, e idati sull’immigrazione irregolare che invece risultano in caloprogressivo. Le presenze irregolari possono ritenersi attualmentedimezzate rispetto alla stima di poco meno di 1 milione diirregolari presenti in Italia all’inizio degli anni 2000. Al 1° gennaio2011 la percentuale di irregolari era intorno al 10% sui quasi5 milioni di cittadini stranieri regolarmente presenti in Italia.C’è da ricordare che il fenomeno dell’irregolarità continua averificarsi non tanto in ingresso quanto nella fase successivaalla scadenza del primo visto.

La politica dei visti d’ingresso è in effetti, secondo il rapporto,

Il fenomeno della irregolarità,che oggi riguarda circa 500mila stranieri,continua a verificarsi non tanto in ingresso quanto dopola scadenza del primo visto

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Il quarto Rapporto EMN Italia

un fattore importante nelle politiche migratorie, soprattutto dopol’entrata in vigore del codice dei visti di Schengen, nell’aprile2011, finalizzato a favorire i canali dell’ingresso regolare. Sitratta, insomma, di una “leva” che, insieme ad altri strumenticome il contrasto, ma anche gli accordi bilaterali con i Paesidi provenienza e l’incentivazione dei progetti di sviluppo,aiuta a equilibrare il bisogno di collocare manodopera deiPaesi di provenienza e quello del Paese che accoglie dirispettare la propria programmazione.

Un’esigenza evidenziata dal capo dipartimento Pria nellasua relazione introduttiva, dove ha affermato che “le leggi e lepolitiche sulle migrazioni tengono conto della propensione aemigrare e la regolamentano con disposizioni che raccordanole esigenze di chi parte con quelle del Paese che accoglie”.L’approccio è condiviso anche dal sottosegretario Rupertoche ha annunciato un’evoluzione della politica migratoria italiananel prossimo futuro “nella consapevolezza che l’Italia si trovanel mondo e il mondo non può avere confini”. Ruperto ha invitatoinfatti a “non falsare il rapporto spazio-uomo: gli altri non sonodiversi solo perché il caso li ha collocati su una terra diversadalla nostra”.

Oltre un milione e mezzo di visti l’anno rilasciati dall’ItaliaVenendo ai contenuti del rapporto, secondo i risultati dell’in-

dagine campionaria sul turismo internazionale condotta dalla

EMN: conoscere meglio per intervenire in maniera più adeguata

L’EMN (European Migration Network), operativa dal 2003,è una rete comunitaria, istituita dalla Commissione europeanei 27 Stati membri per rispondere alle esigenze di infor-mazione delle istituzioni UE e delle autorità degli Statimembri, ma anche per informare l’opinione pubblica connotizie e dati affidabili, indicando possibili piste operative.I temi degli approfondimenti vengono decisi a livellocomunitario e di essi tiene conto la Commissione nellerelazioni da presentare al Consiglio e al Parlamento. Lesintesi degli studi sono diffuse a livello europeo ma messeanche a disposizione, in loco, dei funzionari, degli operatorisociali e dei media, al fine di rendere le questioni migratoriemeglio conosciute e sempre ispirate al duplice – difficilema necessario – riferimento di rigore e solidarietà. Il IVRapporto EMN rientra, quindi, all’interno di questo lavoro.

La “leva”della politica dei visti quale strumento di equilibrio fra domanda e offerta di manodopera

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Il quarto Rapporto EMN Italia

Banca d’Italia (dati riferiti al 2009), in media, ogni giorno, entranoin Italia circa 200mila cittadini stranieri, per lo più turisti. Inquesta fase di crisi economica questi flussi costituiscono unafondamentale risorsa per il Paese, tanto che nell’aprile 2 011il ministero degli Affari esteri e l’Enit – Agenzia nazionale delturismo – hanno siglato un accordo di collaborazione perrafforzare il flusso turistico estero verso l’Italia e potenziare leopportunità per l’imprenditoria italiana nell’ambito di una stra-tegia volta a valorizzare il “Sistema Italia”. Tra le sedi prioritariefigurano le ambasciate d’Italia a Mosca, Pechino e Nuova Delhi,così come i consolati generali d’Italia a Mosca, San Pietroburgo,Canton, Shangai e Mumbai.

In questo mondo in movimento si inseriscono anche gliimmigrati, che si spostano per motivi di lavoro e di famiglianella forma più stabile, ma anche per studio, motivi religiosi,cura, residenza elettiva e altre ragioni: di essi si occupa ilRapporto EMN. Nel loro caso è necessario il visto, un’autorizza-zione di competenza consolare molto ambita, poiché consentedi spostarsi senza temere i controlli di frontiera, e per questofrequentemente contraffatta, non solo nel caso italiano, daparte di organizzazioni malavitose che, come accertato dalleindagini giudiziarie e di polizia, dispiegano la massima fantasiaper lucrare indebitamente sui candidati all’espatrio e contro lequali si sta sperimentando come rimedio efficace la snellezzadelle procedure (convocazione per sms, tempi di definizioneabbreviati, accuratezza nella scelta delle strutture da conven-zionare).

L’Italia può avvalersi di una rete diplomatico-consolaremolto ramificata (190 sedi), sviluppatasi nel corso di 150 annidi storia unitaria a sostegno delle molteplici relazioni del Paesecon l’estero, ma anche delle esigenze connesse all’emigra-zione italiana, che conta oggi 4 milioni di residenti all’estero eoltre 70 milioni di discendenti e, dall’Unità d’Italia a oggi, havisto emigrare quasi 30 milioni di persone. Nel 2010 sono statirilasciati complessivamente dall’Italia 1.543.408 visti di ingresso,circa il 10% in più rispetto all’anno precedente e oltre il 63%in più in confronto al 2001. Analizzando la serie storica, dopoun lieve calo nell’andamento dei rilasci relativo al biennio2002-2003, si è riscontrato un aumento progressivo, seppurnon sempre costante, del volume dei visti emessi. Per quantoriguarda il rapporto tra istanze presentate e domande effetti-vamente accolte, il tasso di esito positivo nel corso dell’anno 2010ha raggiunto il 96,1%, con un incremento di circa 10 puntipercentuali rispetto a quanto registrato all’inizio del decennio.

Nel 2010 l’Italia ha rilasciato oltre un milione e mezzo di visti di ingresso,il 10% in più rispetto all’anno prima e il 63% del 2001.Ogni giorno nel Paese entrano in media 200mila stranieri,per lo più turisti

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Quanto alle motivazioni sottostanti al rilascio dei vistinazionali per le varie annualità, va osservato in generale chele tipologie preponderanti sono quelle connesse a motivazionifamiliari e lavorative. Per i ricongiungimenti familiari è deter-minante la volontà del migrante già presente in Italia nonchéla sua capacità di soddisfare le condizioni stabilite dalla legge(reddito, condizione abitativa, legame parentale) e tutto lasciaintendere che gli arrivi saranno consistenti anche nel futuro.La variazione del numero dei visti per lavoro è, invece, collegataai decreti flussi annuali, fatta eccezione per le categorie di lavo-ratori ad alta professionalità (gli infermieri, ad esempio) chenon abbisognano di essere contemplati nelle quote annuali.

Dalla serie storica dei visti concessi nell’ultimo decennio sievince una prevalenza di quelli per motivi familiari, che siattestano costantemente tra il 37% e il 44%, con un piccomassimo raggiunto nel 2004 e l’eccezione del 2007, anno in

Il quarto Rapporto EMN Italia

Per quel che concerne l’andamento dei visti nazionali (validiper soggiorni superiori ai 3 mesi), l’entità è cresciuta da186.167 unità nel 2001 a 218.318 nel 2010 (+32.151 visti, paria un incremento del 17%). Anche in questo caso, la crescitanon è stata sempre costante e, per i primi quattro anni, il volumesi è attestato al di sotto delle 200mila unità. Tale soglia è statasuperata per la prima volta nel 2005 (224.080), fino a raggiungerel’apice nel 2007, anno in cui si è provveduto all’emissione di363.277 visti nazionali. A partire da questo momento è prevalsala tendenza inversa, che ha portato a una forte contrazione,tanto che nel 2010 si è conosciuto un calo, rispetto al 2007,di 144.959 unità (-66%).

Totale Var. % Studio % Lavoro % Famiglia % Altro %

Italia. Visti nazionali rilasciati: incidenza delle motivazioni (serie storica 2001-2010)

2001 186.167 - 14,4 29,9 37,8 17,9 2002 153.830 -17,4 20,1 26,1 42,9 10,9 2003 178.532 16,1 18,0 33,1 38,9 10,02004 196.825 10,2 15,7 30,4 44,1 9,8 2005 224.080 13,8 14,1 35,6 40,7 9,6 2006 217.875 2,8 15,1 38,1 36,8 10,0 2007 363.277 66,7 9,6 59,4 25,8 5,2 2008 318.872 -12,2 11,7 41,3 40,5 6,6 2009 301.561 -5,4 11,4 43,8 37,1 7,7 2010 218.318 -27,6 16,9 31,6 41,8 9,7

Fonte: EMN Italy. Elaborazione su dati Annuario MAE (2001-2002); Council of Europe/MAE (2003-2010)

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Il quarto Rapporto EMN Italia

cui l’incidenza è stata pari al 25,7%. Tuttavia, è interessantesegnalare la preponderanza dei visti per motivi di lavoro nelperiodo compreso tra il 2007 e il 2009; in particolare, nel 2008,quando ben il 59,3% dei visti è stato rilasciato per motiviriconducibili a ragioni professionali e solo il 25,7% per ragionifamiliari; queste sono invece prevalse nel 2010 (un anno di crisioccupazionale) e probabilmente anche nell’anno successivo.I visti per studio, invece, hanno inciso nel 2010 per un sesto(circa 37mila) e mostrano che l’Italia è, con il suo sistema uni-versitario, un polo di attrazione nei confronti di diversi Paesi,seppure non nella misura di Gran Bretagna, Germania e Francia.

Anno/Sede Visti % rilasci Studio % Lavoro % Famiglia % Altro %consolare nazionali su totale

v.a. sul totale

Italia. Prime 10 sedi consolari per rilascio di visti nazionali: motivo del visto (2008-2010)

2008Casablanca 36.052 11,3 0,7 35,6 62,6 1,0 Kiev 19.890 6,2 0,9 71,7 22,2 5,2 New Delhi 17.573 5,5 1,2 62,1 35,7 1,1 Tirana 17.028 5,3 3,3 24,5 70,1 2,1 Bucarest 15.756 4,9 0,6 51,2 43,5 4,7 Shangai 12.435 3,9 9,0 42,4 48,2 0,4 Manila 11.424 3,6 0,7 66,4 30,0 2,9 Dacca 10.690 3,4 1,2 58,9 39,5 0,4 Lima 9.372 2,9 1,0 56,4 36,1 6,5 Tunisi 7.729 2,4 6,3 44,4 44,9 4,4 2009Shangai 24.132 8,0 4,0 70,0 25,6 0,4 Casablanca 22.400 7,4 1,4 38,2 57,4 3,0 New Delhi 18.929 6,3 1,3 80,5 17,1 1,2 Chisinau 16.294 5,4 1,0 43,4 54,2 1,4 Islamabad 16.246 5,4 1,4 33,2 64,8 0,6 Kiev 14.951 5,0 1,0 63,1 28,8 7,0 Tirana 11.756 3,9 4,8 28,2 64,0 2,9 Lima 10.779 3,6 0,5 59,8 31,9 7,8 Manila 9.988 3,3 0,7 59,3 36,4 3,6 Dacca 8.933 3,0 1,3 57,3 40,8 0,5 2010Casablanca 18.793 8,6 1,6 38,5 57,6 2,2 Chisinau 11.935 5,5 0,7 35,5 60,5 3,3 New Delhi 11.098 5,1 2,0 83,6 12,6 1,8 Dacca 9.839 4,5 1,1 63,7 34,3 0,9 Shangai 9.335 4,3 2,9 18,9 67,5 10,6 Tirana 8.533 3,9 4,9 27,6 62,9 4,6 Manila 8.442 3,9 0,9 46,4 48,5 4,2 Islamabad 7.402 3,4 3,8 43,7 51,5 1,1 Kiev 6.401 2,9 3,2 27,5 57,9 11,5 Lima 5.897 2,7 1,8 31,6 57,9 8,6

Fonte: EMN Italy. Elaborazione su dati Annuario MAE (2001-2002); Council of Europe / MAE (2003-2010)

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Il Rapporto EMN analizza questa complessa materia sia ingenerale sia per in riferimento a tre specifici Paesi di prove-nienza (Albania, Moldavia e Senegal) e ne trae delle fruttuoseindicazioni. Considerando il carattere emergenziale dei flussiintervenuti negli anni Novanta e le buone prassi di cooperazionebilaterale instauratesi nel corso degli anni, tanto più alla lucedella recente abolizione dell’obbligo di visto per soggiorno aldi sotto dei tre mesi, quello degli albanesi in Italia rappresentaun caso studio particolarmente interessante per i policy makereuropei.

Dalla forte pressione migratoria, anche di natura irregolare,esercitata nel corso degli anni 2000, trae giustificazione lascelta della Repubblica di Moldavia come secondo caso studio,rappresentando l’Italia il primo Paese comunitario per numerodi soggiornanti moldavi. I dati sui visti evidenziano che i flussidei moldavi verso l’Italia sono andati incanalandosi semprepiù attraverso le vie della regolarità e anche il loro inserimentonel Paese si è caratterizzato positivamente, anche per il proficuolavoro svolto dalle loro associazioni e dalla rappresentanzadiplomatico-consolare.

La scelta del Senegal tra i casi esaminati ha origine, in primoluogo, dalla forte presenza della diaspora senegalese in Italia,e in secondo luogo da un interesse sempre più marcato, siada parte dell’Italia che dell’Unione Europea, a stipulare conquesto Paese africano accordi in materia migratoria.

La politica dei visti deve essere, senz’altro, consideratauna leva di intervento importante nel settore della mobilità, siaquando viene regolata in maniera efficace nei confronti di chi devemunirsi di tale autorizzazione all’ingresso, sia nel momento incui la sua obbligatorietà viene superata nell’ottica dell’amplia-mento della libera circolazione delle persone, una delle realizza-zioni più significative dell’UE. Attraverso controlli efficaci, manon vessatori, è possibile scoraggiare gli interessi economicidi chi pratica il traffico dei migranti, senza andare a intaccareil diritto alla mobilità di coloro che, nel rispetto delle normestabilite, desiderano fare ingresso nel territorio nazionale.

Ogni Stato membro è tenuto a osservare il nuovo codice deivisti Schengen (Regolamento CE n.810/2009), in vigore a partiredal 5 aprile 2010 nell’UE, che ha ampliato le disposizionicomuni in tutto il territorio europeo entrando nel merito diaspetti molto concreti quali il costo della pratica, il tempo didefinizione, i ricorsi, la segnalazione nel casellario Schengen.La nuova normativa ha favorito la collaborazione più o menostrutturata tra le sedi diplomatico-consolari degli Stati membri,

Oltre agli aspetti generali il Rapporto esamina tre casi di studio interessanti in materia di visti:Albania,Moldavia,Senegal

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Il quarto Rapporto EMN Italia

anche attraverso incontri periodici, allo scopo di concordareun comportamento omogeneo e verificare, quando ne emergel’ipotesi, la volontà di ritorno nei casi di Paesi a forte pressionemigratoria irregolare, attraverso l’implementazione di strategiead hoc per la valutazione del cosiddetto risk assessment in sededi intervista con il richiedente il visto.

Questa normativa europea è finalizzata a rendere più agevolii canali della regolarità, salva restando la competenza dei singoliStati membri per quanto riguarda la programmazione dei flussi,e a tutelare la sicurezza nazionale contrastando l’irregolarità.Non bisogna però dimenticare che funzionale a questo obiettivoè il dialogo con i Paesi dell’Africa e del Mediterraneo, ritenendodi fondamentale importanza lo sviluppo e il rafforzamentodella cooperazione con i Paesi di origine e di transito dei flussidi immigrazione, anche rispetto alle politiche dei visti. Tra l’altro,dopo averne verificati i presupposti, si è giunti anche all’esten-sione del regime di liberalizzazione dei visti al di sotto dei tremesi a favore della Serbia, del Montenegro e dell’Albania.

Resta vero, però, che il regolare ottenimento dei visti nonpreserva dal rischio della irregolarità perché la presenza irrego-lare è dovuta, nella maggior parte dei casi, non all’ingresso inItalia senza autorizzazione bensì alla permanenza che si protraeoltre il dovuto (overstaying). Di questo aspetto si occupa laseconda parte del Rapporto EMN.

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Il quarto Rapporto EMN Italia

L’immigrazione irregolare: il caso italianoÈ intuitivo che in un Paese come l’Italia la pressione alle

frontiere possa essere consistente. Tuttavia, tra il 2002 e il 2010,la pressione dai Paesi a forte spinta migratoria è andatadecrescendo, come si rileva da questi fattori:

diminuzione delle persone respinte alla frontiera (da 30.287nel 2001 a 4.215 nel 2010);

diminuzione delle persone espulse (da 90.160 nel 2001a 46.955 nel 2010).

2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Totale 30.287 37.183 24.003 24.003 19.336 20.267 9.394 6.405 3.700 4.215

Inoltre, bisogna ricordare non solo l’abbassamento dellivello della irregolarità a seguito della regolarizzazione del 2002(703mila domande presentate, per lo più accolte) ma anchel’effetto di svuotamento esercitato dalla regolarizzazione del 2009,che ha riguardato il settore dell’assistenza alla famiglia e allepersone (295mila domande pervenute).

Occorre anche considerare le quote annuali degli ingressiper lavoro che sono state pari a 520mila nel 2006, 170milanel 2007, 150mila nel 2008, nessuna nel 2009 (carenza inparte supplita dalla regolarizzazione, prima richiamata, varatanel settore familiare). Nel 2010 non vi è stata operativamentealcuna quota, poiché quella di 98.080 ingressi decisa nel mesedi dicembre di quell’anno è stata attuata nell’anno successivo.

Pertanto, se nei primi anni del 2000 la stima di poco menodi 1 milione di irregolari, accreditata in ambito sociale e nonlontana da quella degli studiosi del settore, poteva essereaccettata come vicina alla realtà, come ha poi confermato a

Italia. Respingimenti alle frontiere esterne (2001-2010)

2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Totale 90.160 92.823 59.535 61.024 83.809 92.029 54.140 68.175 53.440 46.955

Italia. Cittadini di Paesi terzi intercettati in condizione irregolare e sottoposti ad espulsione(2001-2010)

2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Totale 32.000 33.413 31.013 27.402 24.001 16.597 8.771 7.140 5.315 4.890

Italia. Cittadini di Paesi terzi intercettati rimpatriati a seguito di un ordine di espulsione(2001-2010)

Fonte: EMN Italy. Elaborazione su dati ministero dell’Interno (2001-2007) ed Eurostat (2008-2010)

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Il quarto Rapporto EMN Italia

posteriori la regolarizzazione del 2002, attualmente tale presenzapuò essere ritenuta dimezzata. L’immigrazione irregolare, peril concomitante effetto delle più recenti modifiche normative e perl’impatto della crisi, verosimilmente si è ridotta, sia quantitati-vamente sia quanto alla sua incidenza sulla presenza regolare,e al 1° gennaio 2011 è stimabile, come sottolineato in precedenza,attorno al 10% dei quasi 5 milioni di cittadini stranieri regolar-mente presenti in Italia. Resta, tuttavia, da approfondire ilpassaggio dalla regolarità all’irregolarità e, in particolare, inquale misura i titolari degli oltre 600mila permessi per lavoroe per famiglia, validi al 31 dicembre 2009 e non più rinnovatia distanza di un anno a causa dell’attuale crisi economica, sisiano trattenuti irregolarmente in Italia anziché rimpatriare.

Un’area di irregolarità si riscontra in tutti i Paesi europei ecosì avviene anche in Italia, Paese per il quale i numeri riportatiridimensionano le stime fantasiose, che altro non fanno se nonalimentare la paura nella popolazione, allontanandosi dallarealtà.

2008 2009 2010

Italia. Respingimenti alle frontiere esterne. Primi 10 Paesi (2008-2010)

Posizione Paese Totale Paese Totale Paese Totale

1° Iraq 385 Albania 435 Albania 575

2° Albania 355 Marocco 265 Sconosciuto 500

3° Serbia 330 Sconosciuto 235 FYR 215of Macedonia

4° Marocco 325 Iraq 205 Serbia 205

5° Afghanistan 310 Afghanistan 175 Marocco 190

6° Turchia 275 Turchia 155 Brasile 190

7° Brasile 270 Brasile 150 Turchia 150

8° Nigeria 220 Nigeria 145 Cina(incl. Hong Kong) 150

9° Cina 200 Cina 135 Afghanistan 130(incl. Hong Kong) (incl. Hong Kong)

10° Paraguay 195 Senegal 115 Algeria 115

Fonte: EMN Italia. Elaborazione su dati Eurostat

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Il quarto Rapporto EMN Italia

2008 2009 2010

Posizione Paese Totale Paese Totale Paese Totale

1° Marocco 11.520 Marocco 9.450 Marocco 7.900

2° Tunisia 7.860 Tunisia 8.175 Tunisia 5.160

3° Egitto 4.245 Senegal 3.800 Nigeria 3.965

4° Senegal 4.190 Cina 3.460 Senegal 3.250(incl. Hong Kong)

5° Cina 4.150 Nigeria 3.370 Cina 2.965 (incl. Hong Kong) (incl. Hong Kong)

6° Nigeria 4.045 Egitto 3.170 Albania 2.820

7° Albania 3.635 Albania 2.875 Egitto 2.720

8° India 2.570 Bangladesh 1.600 Ucraina 1.460

9° Moldavia 2.230 Moldavia 1.485 Algeria 1.420

10° Ucraina 2.090 India 1.480 India 1.260

Fonte: EMN Italia. Elaborazione su dati Eurostat

Italia. Cittadini di Paesi terzi intercettati in condizione irregolare e sottoposti ad espulsione (2001-2010)

2008 2009 2010

Posizione Paese Totale Paese Totale Paese Totale

1° Albania 1.215 Albania 1.085 Albania 1.000

2° Marocco 1.075 Marocco 830 Marocco 745

3° Tunisia 660 Tunisia 540 Egitto 450

4° Egitto 555 Moldavia 395 Tunisia 385

5° Moldavia 545 Ucraina 355 Ucraina 330

6° Palestina 535 Egitto 225 Moldavia 240

7° Ucraina 430 Nigeria 190 Nigeria 195

8° Serbia 270 Serbia 180 Algeria 165

9° Algeria 225 Algeria 170 Serbia 155

10° Iraq 165 Senegal 145 Brasile 155

Italia. Cittadini di Paesi terzi intercettati rimpatriati a seguito di un ordine di espulsione (2001-2010)

Merita un maggiore apprezzamento, come è stato racco-mandato dalla Commissione UE ai punti di contatto nazionalidello European Migration Network, la riflessione sul quadroanalitico degli approcci esistenti, dei meccanismi e dellemisure implementate a livello nazionale per limitare l’immigrazioneirregolare. Accanto alle politiche di pre-ingresso e di soggiornorivestono, infatti, un ruolo fondamentale anche le misure dicontrollo e contrasto dell’immigrazione irregolare. Ai fini del-l’analisi, le risposte pratiche sono state suddivise in quattrocategorie: le misure precedenti all’ingresso, i controlli alla

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Il quarto Rapporto EMN Italia

frontiera, l’attività di contrasto effettuata all’interno del territorionazionale e, infine, le strategie di uscita dall’irregolarità una voltaconstatata la presenza non autorizzata del cittadino straniero.

È fondamentale tenere presente il forte nesso tra immigrazioneirregolare ed economia sommersa, che incrementa l’evasionesia f iscale che contributiva, sfalsa una leale concorrenza,pregiudica i livelli di tutela e sottopone gli immigrati sprovvistidi permesso (e non solo loro) a un deprecabile sfruttamento,da contrastare con fermezza.

Nel Rapporto si parla del pattugliamento delle coste, deirespingimenti, delle espulsioni e degli accordi bilaterali fina-lizzati al ritorno, alcuni dei quali hanno suscitato un ampiodibattito in seno all’opinione pubblica su una materia complessae di difficile gestione. Ma oltre all’attività di contrasto vengonoesaminate anche interessanti misure preventive, quali lecampagne di sensibilizzazione e i progetti informativi imple-mentati nei Paesi terzi per prevenire l’immigrazione irregolarenelle aree a forte pressione migratoria, mettendo in guardia ipotenziali migranti sulle conseguenze dell’irregolarità. Si tratta,infatti, di ricercare l’equilibrio fra il bisogno estremo di diversiPaesi di collocare la manodopera eccedente, l’interesse delPaese di accoglienza a rispettare la programmazione dei flussiconcordata con le varie istanze interessate, il contrasto deitrafficanti di manodopera e di quanti altri sfruttano i migrantie l’impegno per l’integrazione degli immigrati già insediati sulposto, perché “straniero” non deve essere mai consideratosinonimo di “estraneo”.

La realtà migratoria, che coinvolge nel mondo oltre 200milioni di persone, va anche inquadrata in un contesto più ampiodi dialogo e di cooperazione internazionale allo sviluppo versoi Paesi di origine, favorendo i progetti in loco e intensificandoi benefici di ritorno che possono assicurare gli immigrati.

Protagonisti fondamentali sono anche i Paesi terzi, con i qualil’Italia ha sottoscritto diversi accordi bilaterali, sia per contrastarei flussi irregolari e consentire le riammissioni, sia per inserirei candidati all’espatrio nelle quote programmate, come anche perfavorire la cooperazione della polizia di frontiera e l’assistenzatecnica; in particolare, gli accordi bilaterali in materia di lavoro,sottoscritti finora con Marocco, Egitto, Moldavia e Albania,sono finalizzati a rafforzare i canali regolari di inserimento nelmercato occupazionale attraverso lo scambio di informazioni,la condivisione di strumenti tecnici, la redazione di liste dilavoratori del Paese di origine e le occasioni di formazioneprofessionale in loco.

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Si perviene così alla conclusione che l’immigrazione irregolare,consistente ma spesso enfatizzata oltre le sue effettive dimensioni,è un fenomeno complesso (perché coinvolge l’Italia e i Paesidi origine), in parte inevitabile (perché il mondo è caratterizzatoda diversi stadi di sviluppo che alimentano strutturalmente lapressione migratoria) e in parte controllabile attraverso lepolitiche migratorie, che, da una parte, non possono fare a menodi prevedere misure di contenimento anche coattive e, dall’altra,sono chiamate a insistere maggiormente sulle misure incentivanti(che tra l’altro possono risultare anche meno costose). Quellodei costi è un aspetto sul quale va imperniato un discorso piùstringente in questo periodo di crisi finanziaria, insistendoanche sulle leve positive, come già si è iniziato a fare.

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Hanno collaborato a libertàcivili

libertàcivili 1/10Gian Carlo BlangiardoEnzo Cheli Luigi De AndreisGuerino Di ToraRenato FranceschelliDaniela GhioMario GiroAntonio GoliniNunzia MarcianoMario MorconeVinicio OnginiNadan PetrovicStefano RolandoGiulio M. SalernoVolker TürkAntonio Maria Vegliò

Le intervisteGianni AmelioZygmunt BaumanMaria Stella Gelmini Roberto Maroni

libertàcivili 2/10Carlo BorgomeoVincenzo Cesareo Federico CinganoGiuseppe De RitaRenato Franceschelli Antonio Golini Cristiano MariniAlessio Menonna

Mario MorconeMaria Assunta RosaAlfonso RosoliaPeter Schatzer

Le intervisteIsabella BertoliniAlberto BombasseiGianclaudio BressaMichel CamdessusDomenico LucanoMorena PiccininiConsuelo RumiMaurizio SacconiFouad Twal

libertàcivili 3/10Rita BichiArianna CaporaliEnrico CesariniAntonella DinacciAndrea FamaPaolo GarimbertiDaniela GhioChiara GiaccardiGiovanna GianturcoGuia GilardoniGiampiero GramagliaRoberto NataleViorica NechiforMario MorceliniMario MorconeAngela OritiNando PagnocelliAntonello PetrilloLorenzo PrencipeMariavittoria PisaniSerenella RavioliAlessandra M.Straniero

Le intervisteFedele ConfalonieriSergio Zavoli

libertàcivili 4 /10Foad AodiCarlo CardiaAnna Di BartolomeoEster DiniAntonio GoliniPina LalliAgostino MarchettoBruno MazzaraEnrico MelisMario MorconeCarlo NicolaisMaruan Oussaifi Anna Prouse Francesca RinaldoMaria Virginia RizzoMaria Assunta Rosa

Le intervisteElisabetta BelloniCarolina LussanaCecilia Malmström

libertàcivili 5 /10Alfredo AliettiAlfredo AgustoniAlberto BordiVasco ErraniAndrea FamaGiovanna GianturcoAntonio GoliniMaurizio Guaitoli Anna ItaliaValeria Lai

libertàcivili 6/10Alberto BordiPiero Alberto CapotostiKlodiana ¸ukaAndrea De MartinoAntonio GoliniMarco LombardiManuela Lo PrejatoAntonio MarzanoMassimiliano MonnanniMario Morcone Gabriele NataliziaPiero RaimondiGiovanni Giulio ValtolinaMarco Villani

Le intervisteMarou AmadouHoward DuncanFranco FrattiniDemetriosPapademetriou

2010

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Francesca LocatelliCristiano MariniEnrico MelisMario MorconeMarco OmizzoloLuca PaciniGiuseppe RomaStefano SampaoloAugusto Venanzetti

Le intervisteSergio ChiamparinoFlavio Tosi

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2011

Hanno collaborato a libertàcivili

libertàcivili 1/11Maurizio AmbrosiniElena BesozziGian Carlo BlangiardoGuia GilardoniGraziella GiovanniniAntonio GoliniGaia PeruzziAngela Pria Stefania RimoldiMaria Virginia RizzoMaria Assunta RosaMariagrazia SantagatiMilena SanteriniMohamed A.TailmounGiovanni Giulio Valtolina

Le intervisteErri De Luca

libertàcivili 2/11Paula Baudet VivancoMarinella BelluatiAlberto BordiEmanuela CastiAndrea FamaGuia GilardoniAnna ItaliaMarcello ManeriAnna MeliMario MorcelliniAngela PriaEnrico PuglieseSerenella Ravioli

Laura Zanfrini

Le intervisteLuca ArtesiAntonello Folco BiaginiCarmelo M. BonniciNatale ForlaniAndrea Segre

libertàcivili 3/11Vincenzo CesareoEnrico CesariniEnzo CheliEnnio CodiniAndrea FamaMonia GangarossaAntonio GoliniNelly Ippolito MacrinaAngelo MalandrinoMassimo MontanariLara OlivettiMarco OmizzoloNadan PetrovicMaria Vittoria PisaniAngela PriaGianfranco RavasiGiuseppe Roma

Le intervisteSonia Viale

libertàcivili 4 /11Attilio BalestrieriCorrado BeguinotAlberto BordiRaffaele BracalentiAlessia DamonteAndrea FamaMassimiliano FiorucciChiara GiaccardiMario GiroAlfonso MolinaRoberto MongardiniBan Ki MoonMaria Paola NanniMarco OmizzoloFranco PittauAngela PriaEnzo RossiVincenzo ScottiFrancesco VecchioLuca VitaliBerna Yilmaz

Le intervisteGraziano Delrio

libertàcivili 5 /11Miguel Angel AyusoGuixotValeria BenvenutiMaria BombardieriAlberto BordiMarco BrunoPaolo Cavana

Andrea FamaAlessandro FerrariSilvio FerrariStefania FragapaneAntonio GoliniAlessandro IovinoGiovanni la MannaRoberto MazzolaEnrico MelisCesare MirabelliMario MorcelliniVincenzo PagliaAngela PriaVeronica RinioloAnnavittoria SarliSandra SartiClaudio Siniscalchi

Le intervisteRiccardo Di SegniAdnane Mokrani

libertàcivili 6/11Valeria BenvenutiVincenzo CesareoEnnio CodiniGiuseppe Del NinnoAndrea FamaAntonio GoliniRoberto LeoneMaria Paola NanniStefano PelaggiFranco PittauMaria Vittoria PontieriAngela PriaEnrico QuintavalleGiuseppe RomaFrancesca ServaLaura Zanfrini

Le intervisteGregorio ArenaOtto BitjokaStefano Zamagni

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In questo numero interventi di: Franco Ferrarotti

“Non esistono le razze, il cervello degli uomini è lo stesso.Esistono i razzisti. Bisogna vincerli con le armi

della sapienza”

Rita Levi-Montalcini2008

NEL PROSSIMO NUMERO

I colori del welfarePianeta GiustiziaPrimo Piano /

Gianluca BascheriniAntonello CiervoNatascia MarcheiRaffaele Miele

Paolo Morozzo della RoccaPaolo PomponioLuisa ProdiAndrea Romano

BIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

BIMESTRALE DI STUDIE DOCUMENTAZIONESUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE

Realizzato con il contributo del Fondo Europeo per l’Integrazione dei cittadini di Paesi terzi

Esec_Copertina01/12.qxd 11-04-2012 14:46 Pagina 1

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