costruiiamo insieme il lodigiano del futuro 2.0

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LODI • 1-2 ottobre 2010 Laboratorio di Impegno Civile www.laici.net COSTRUIAMO INSIEME IL LODIGIANO DEL FUTURO Schede di lavoro Versione 2.0 Informazioni, adesioni e documentazione: [email protected] · www.statigenerali.lo.it

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1 1Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.0

Stati Generalidel Lodigiano

LODI • 1-2 ottobre 2010

Laboratorio di Impegno Civilewww.laici.net

COSTRUIAMO INSIEME IL LODIGIANO DEL FUTURO

Schede di lavoro

Versione 2.0

Informazioni, adesioni e documentazione: [email protected] · www.statigenerali.lo.it

Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.0

INSIEME PER IL LODIGIANO DEL FUTURO

«Oggi occorre compiere passi ulteriori, in più direzioni: verso la nostra terra, che vogliamo consegnare integra e vivibile alle generazioni che ci seguiranno; verso le forze civili, sociali, economiche, culturali, politiche e religiose che hanno a cuore il futuro del territorio; verso chi - a partire dai più giovani - ha espresso nelle recenti consultazioni amministrative la propria disponibilità a servire il territorio attraverso l’impegno nelle istituzioni locali».

Così scrivevamo nel settembre 2009, invitando tutto il territorio a lavorare “per la città futura”, aggiungendo: «Torniamo a ragionare insieme, prendiamo in mano le redini del nostro destino, diamo respiro a nuove idee e nuovi progetti. Vogliamo riflettere e lavorare per costruire le basi di una “nuova cittadinanza”: è indispensabile che il Lodi-giano elabori e condivida nuovi modi di pensare il territorio, di salvaguardare l’ambiente, di immaginare l’economia, di favorire le relazioni tra le persone e le loro culture».

E ancora: «La città è il luogo della vita, dei rapporti sociali, del lavoro, degli scambi economici e culturali, delle de-cisioni sugli obiettivi di interesse generale. I nostri comuni, le nostre città, devono consentire a tutte le persone che li abitano di vivere un’esistenza buona e felice, di sentirsi veramente parte di una “casa comune”».

I pilastri necessari per la costruzione di questa nuova casa comune li delineavamo così: • dare vita a un nuovo patto di inclusione sociale;• costruire un sistema di economia civile;• vincere la sfida dell’integrazione culturale;• considerare ambiente e territorio come beni di tutti e garanzia di futuro;• condividere una cittadinanza attiva e responsabile, fondata sulle regole e sulla fiducia.

Con questi obiettivi di prospettiva di fronte a noi, abbiamo iniziato a lavorare lungo quest’anno per individuare “percorsi di riflessione” intorno ai grandi nodi tematici che incrociano il destino del nostro territorio, nella cer-tezza che solo uno sguardo lungo, insieme a un nuovo stile di elaborazione dei progetti che riguardano la vita di tutti, è in grado di garantire al Lodigiano il futuro che desideriamo.

Intorno a questi percorsi di riflessione si snodano le schede che seguono (quattro delle quali - A.1, A.3, A.4, A.5 - sono state integrate, aggiornate o del tutto rinnovate rispetto a quelle contenute nella versione 1.0 del presente documento).

A partire da questi materiali di lavoro chiediamo a tutti i cittadini, alle istituzioni, agli enti di rappresentanza delle categorie produttive, al variegato mondo socio-sanitario, alle aggregazioni culturali e alle comunità religiose pre-senti nel territorio, di continuare a riflettere e a camminare con noi, sperimentando un nuovo stile e un nuovo metodo di dialogo e di confronto, superando divisioni di parte, ruoli “obbligati” e appartenenze scontate, sapendo immaginare e progettare un futuro capace di assicurare una vita di qualità alle generazioni che ci seguiranno.

In occasione della prima edizione degli Stati Generali del Lodigiano (un appuntamento che intendiamo pro-muovere con cadenza regolare), lanciamo a tutti coloro che vorranno raccoglierla la sfida di scrivere insieme, nel modo più condiviso e partecipato, il “Libro bianco per il Lodigiano del futuro”.

È un obiettivo ambizioso, che vogliamo raggiungere al termine del prossimo anno, dando vita a una serie di “Ta-voli tematici” con una forte connotazione operativa, che sappiano raccogliere e valorizzare le migliori energie dei cittadini e delle realtà associate che vivono nella nostra terra, mettendole a frutto nella nuova stagione di dibattito pubblico e di crescita civile che in questi mesi il percorso verso gli Stati Generali del Lodigiano ha con-tribuito ad inaugurare.

Lodi, 1-2 Ottobre 2010

4 Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.04

INDICE

A. Le persone al centro del Lodigiano 5

A.1 - Welfare e protezione sociale 6

A.2 - Il sistema sanitario 9

A.3 - Persone migranti e integrazione sociale 12

A.4 - Il sistema scolastico 16

A.5 - Il terzo settore: l’economia per le persone 20

B. Vivere bene nel Lodigiano: economia e territorio 23

B.1 - Progettare e governare il territorio 24

B.2 - Servizi pubblici di qualità e gestione dei beni comuni 27

B.3 - Ecologia che diventa economia: “green economy” e nuovi modelli di produzione e consumo 31

B.4 - Il lavoro e il sistema produttivo 35

B.5 - Il risparmio e il sistema del credito: una finanza trasparente, solidale e di prossimità 38

44 5Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.0

A. LE PERSONE AL CENTRO DEL LODIGIANO

Nel documento “Vivere il presente, costruire il futuro” (Lodi, 2009) avevamo indicato la necessità che i volti delle persone fossero al centro delle politiche sociali del Lodigiano. In questa nuova proposta di riflessione vogliamo spingerci, se possibile, ancora oltre, per affermare che le perso-ne devono essere “al centro del Lodigiano”. Questo significa che ogni genere di programmazione (politica, economica, territoriale, ambientale, …) deve ave-re a cuore le sorti di ogni persona che su questa porzione di territorio vive. Crediamo che perseguire questo obiettivo porti alla comunità nel suo insieme, intesa come persone che espri-mono un desiderio di ben-essere, molti più benefici dei costi che richiede. Abbiamo provato in questa prima parte del documento a presentare cinque aree tematiche specifiche: welfare e protezione sociale; il sistema sanitario; persone migranti e integrazione sociale; il sistema scolastico; il terzo settore.Per ciascuna di esse abbiamo voluto individuare e portare alla riflessione del territorio alcune questioni proble-matiche ed alcune proposte, che sottoponiamo all’attenzione di tutti per trovare insieme percorsi che conduca-no a possibili soluzioni.

6 Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.06

SCHEDA A.1WELFARE E PROTEZIONE SOCIALE

1. Alle radici della crisi del welfare stateLa credenza più diffusa riguardo alle cause della crisi del welfare state (o stato sociale) consiste nel ritenerlo eccessivamente costoso. Tale spiegazione di tipo economico produce l’errore di individuare una soluzione anch’essa di tipo economico, se non addirittura monetario. Il ragionamento che ne consegue è il seguente: “Se i soldi sono finiti, bisogna trovarli altrove, nelle fondazioni, nei privati illuminati, nel terzo settore, ...”, dando così origine al cosiddetto welfare mix, ossia ad un modello di welfare sostenuto in parte dal settore pubblico e in parte da quello privato.

2. Una crisi di consenso socialeCiò che si vuole qui sostenere, invece, è che la crisi del welfare è soprattutto una crisi di consenso sociale. In particolare nei Paesi occidentali più sviluppati, è venuto meno il principio di solidarietà che è alla base del consenso ai vari modelli di welfare. L’idea della solidarietà fiscale, del sostegno ai più deboli, dell’impegno per garantire i servizi, è venuta meno, sostituita da un rancore spesso aggressivo verso le categorie sociali che sembrano sottrarre quote della ricchezza. Anche in Italia quindi non la crisi finanziaria ed economica, ma la crisi di legami sociali ha alimentato una netta opposizione ai principi di solidarietà.A questo stato di crisi ha contribuito sicuramente anche la deriva assistenzialistica del welfare. Il modello delle politiche e degli interventi sociali perseguito è stato spesso segnato da sprechi, genericità degli interventi, incapacità di sostenere persone e gruppi nella maturazione di una loro autonomia. Per molti versi, il welfare ha finito per produrre nuovi poveri, cioè soggetti che hanno ricevuto assistenza e che, anche per questo motivo, non hanno sviluppato la capacità di “vita indipendente”. In altre parole si è finito per produrre assistenzialismo, più che sviluppo. I sistemi di welfare, con la loro impostazione riparativa a scapito degli interventi di tipo promozionale, hanno contribuito ad alimentare una crescita incontrollabile della domanda con l’insorgere di nuove forme di bisogno e quindi anche una lievitazione della spesa, senza essere in grado di produrre i benefici attesi. Per contro, il problema delle fasce più deboli raramente è stato sentito come un problema della comunità, ma solo un compito per i servizi. Tra l’altro, l’attenzione posta unicamente sulle carenze e sui bisogni, ha alimentare una dipendenza dai servizi, i quali non vengono più percepiti dal soggetto solo come una necessità, ma come un proprio diritto finalizzato all’accesso a risorse di aiuto più che a una “vita indipendente”.E’ per tutte queste ragioni che la crisi del welfare appare soprattutto come una crisi di responsabilità sociale, una crisi cioè della presa in carico comunitaria (non necessariamente finanziaria) dei problemi come delle stesse risorse, il cui compito è attivare processi partecipativi fra cittadini e istituzioni pubbliche per contrastare gli sprechi e concentrarsi sui bisogni prioritari.In questi anni, nell’opporsi alla logica ripartiva, la strada percorsa non è stata quella della presa in carico comunitaria, ma piuttosto quella di una soluzione privatistica basata da un lato sugli investimenti nelle specializzazioni centrate sulla presa in carico del singolo caso e dall’altro sulla esternalizzazione dei servizi verso il terzo settore ridotto a soggetto erogatore più che ad attore competente nel rigenerare tessuto sociale di responsabilità e quindi di coesione sociale. In altre parole, spesso tutto si è ridotto a sostituire operatori del settore pubblico con operatori del settore privato sociale, senza un approccio progettuale per andare oltre la logica prestazionistica , centrata sulla presa in carico del singolo caso piuttosto che di un territorio con i suoi problemi ma anche con le sue potenziali risorse.

3. Come costruire un nuovo modello di welfare? Una risposta va cercata nella logica del welfare community (di comunità), capace da una parte di attenuare la crisi del consenso verso politiche di tutela del benessere dei cittadini, dall’altra di alimentare pratiche sociali ed educative che favoriscano la responsabilità di tutti i cittadini e quella delle persone segnate da difficoltà, in una logica di inclusione che crea lo spazio per l’autonomia progettuale. È un welfare che pensa anzitutto ai luoghi fisici e sociali e che intende sostarvi, non semplicemente passarci. Ha cura dei luoghi come spazi della cura sociale perseguita mettendo in rete le risorse locali.

66 7Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.0

4. Ricostruire lo spazio comuneQuesto lavoro passa attraverso la costruzione di spazi comuni, da non confondere con gli spazi pubblici (strade, piazze, parchi, biblioteche, ecc.). Lo spazio comune è un luogo non solo fisico, ma anche mentale, emotivo, etico, in cui si accetta la dialettica di diversi punti di vista nella ricerca di convergenze possibili senza negare dissidi e dissonanze. Un luogo in cui si sceglie di non dominare, di non sopraffare con violenza o con astuzia, ma di negoziare, di esercitare il potere della democrazia, di inoltrarsi in piccole “imprese sociali” attorno a problemi, interessi, desideri.Da qui l’importanza del lavoro di rete che significa capacità di sostare, di fermarsi a parlare, di ascoltare, di fare attenzione agli altri, di interrogarsi. Diventa per questo importante non solo creare uno spazio comune tra i vari servizi sociali e sanitari, pubblici e privati, ma anche coinvolgere le reti sociali di sostegno e valorizzare il tessuto locale della solidarietà, del volontariato, della cooperazione sociale. Il lavoro sociale deve farsi sempre più azione di riconoscimento e di costruzione di relazioni, più che di prestazioni. La mission dei servizi di welfare è reindirizzarsi verso la costruzione dei legami sociali, e l’attivazione dei cittadini per la gestione dei problemi collettivi.A tale proposito occorre riconoscere che il Lodigiano, grazie alla recente adesione di tutti i Comuni all’unico Piano di Zona e all’attenzione posta al consolidamento dell’orientamento partecipativo che ne connota l’attuazione, sta faticosamente ma concretamente tentando nuove soluzioni che vanno nella direzione auspicata.

5. La salute come bene comuneL’Organizzazione mondiale della sanità (O.M.S.) ha dato carattere ufficiale alla definizione della salute come “bene comune”, costituendola come parametro normativo nel quale sono stabiliti i fattori che incidono sullo stato di salute di individui e popolazioni.- Alcuni di questi fattori riguardano anche le condizioni generali di vita, l’abitare, il lavoro, l’educazione e le

conoscenze, i legami di prossimità, l’ambiente, ecc.- Risulta cruciale anche il grado di diffusione delle conoscenze in materia di malattie e di rimedi, l’accessibilità

dei sistemi di cura, la presenza di istituzioni pubbliche vicine al cittadino che riconoscono e favoriscono il diritto alla salute come bene comune.

La salute quindi consiste in un benessere psico-fisico complessivo e non coincide solo con la cura della malattia e nella medicina.La medicina anzi, protagonista di grandi successi in materia di conoscenze diagnostiche e capacità terapeutiche, si è andata allontanando dallo schema classico incentrato sulla relazione tra medico e paziente per svilupparsi sul terreno scientifico e tecnologico, affidando la capacità terapeutica sempre di più alla precisione delle tecnologie d’intervento e sempre meno alla presa in carico della persona malata.Questa mutazione e la riorganizzazione che essa richiede nelle strutture e nelle pratiche sanitarie, s’intreccia con i processi di privatizzazione e le conseguenti logiche di mercato che essi incentivano. C’è un grande investimento su tecnologie, brevetti e farmaci, cui è legata la presenza nelle politiche sanitarie di potenti interessi economico-finanziari, locali e globali. Le ragioni che supportano tale mutazione fanno leva sull’argomento del successo nello sconfiggere le malattie, aumentando le probabilità di sopravvivenza. E’ questo sistema che spinge fortemente alla sanitarizzazione della vita delle persone in contrapposizione con il concetto di salute riconosciuto dall’O.M.S.Al contrario il riferimento alla salute come “bene comune” fornisce argomenti importanti contro la medicalizzazione, o sanitarizzazione: non soltanto perché chiama in causa l’insieme delle protezioni sociali, dunque anche il campo delle politiche e dei servizi sociali, ma soprattutto perché sollecita la considerazione del sociale nel corpo stesso delle pratiche mediche, spingendo verso la socializzazione del sanitario.

6. Due differenti impostazioniI sistemi sanitari regionali ci offrono la possibilità di analizzare come le due differenti impostazioni incidono sulle politiche sociali. A) In alcune regioni sono particolarmente visibili tracce della immagine più tecnocratica che spinge verso

la sanitarizzazione (è questo il caso della Regione Lombardia). Sono quattro i punti principali di questa impostazione:- incentivazione del mercato dei servizi, della creazione di imprese, delle logiche della redditività,

dell’organizzazione degli interessi economici;

8 Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.08

- si punta sui settori di spesa a più alta redditività, sull’ospedaliero più che sul territoriale, sulla medicina specialistica, tecnologicamente avanzata, sulla medicina del successo (dell’eccellenza) più che sulla medicina di base;

- si affronta il problema del controllo dei costi con l’esternalizzazione dei costi sociali che vengono scaricati sui servizi sociali e assorbiti nel mercato del sociale (a bassa redditività e nel quale sono spesso diffuse condizioni vicine alla soglia di sopravvivenza sia tra gli addetti che tra i clienti/utenti);

- si qualifica e promuove il cittadino, sotto il profilo dei suoi rapporti con il sistema dei servizi, come consumatore, anzitutto di prodotti sanitari.

B) Ci sono poi sistemi sanitari regionali nei quali è possibile rintracciare istituti, orientamenti e pratiche che si rifanno al tema della salute come bene comune. Gli aspetti salienti di questa strategia sono:- cresce il peso dei servizi territoriali, sia con la dislocazione di parte della medicina specialistica nei territori,

sia con lo sviluppo di attività di salute nei contesti di vita delle persone, con l’obiettivo di ridurre in modo significativo il ricorso a ospedalizzazioni, soprattutto a fronte di patologie croniche, e i relativi costi;

- migliore appropriatezza della spesa sanitaria che si qualifica in rapporto al criterio della salute come “bene comune” ossia su “quelli che stanno peggio”. In questo contesto un alto tasso di ospedalizzazione costituisce un parametro di malasanità;

- l’appropriatezza dei costi sociali fa si che nella spesa sanitaria vengano considerati anche i costi che chiamano in causa, per esempio, le condizioni di vita che riguardano l’abitare, il lavorare e la socialità, e in genere i supporti di cui le persone hanno bisogno per condurre una “vita indipendente”.

Questa prospettiva richiede non tanto un ridimensionamento del sanitario, bensì un potenziamento del suo mandato di produrre salute, cioè delle sue competenze e responsabilità sociali.

7. Per una socializzazione del sanitario Per concludere qualche possibile ipotesi di lavoro:

- Deciso spostamento di competenze e funzioni sia diagnostiche che terapeutiche fuori dall’ospedale, nel territorio, e con una complementare articolazione e densificazione della rete dei servizi e interventi nei contesti di vita delle persone. L’appropriatezza della spesa sanitaria viene parametrata non sulle prestazioni erogate ma sui risultati raggiunti, in termini di miglioramento delle condizioni di “salute” delle persone. Di quest’ultimo diventano importanti due indicatori: da un lato la riduzione del numero (e della spesa) di ricoveri, farmaci, accertamenti, e dall’altro l’aumento delle persone conosciute e in vario modo seguite dai servizi.

- La territorializzazione dei servizi. Il radicamento territoriale dei servizi si traduce in uno spostamento degli interventi dai luoghi di cura alla cura dei luoghi, dalle strutture cliniche, specializzate e separate, al territorio, che assume esso stesso il significato di produttore di servizi.

- Integrazione tra sociale e sanitario. Il discorso della salute richiede di prendere in carico in modo unitario la situazione d’insieme delle persone, e le loro condizioni di vita, ivi compreso il loro habitat. L’integrazione si costruisce, a livello sia gestionale che operativo, sul terreno pratico del perseguimento di obiettivi comuni, da parte di una pluralità di attori (servizi, organizzazioni, gruppi e singoli).

È necessario un lavoro di integrazione che non riguarda soltanto il rapporto tra servizi sanitari e sociali, ma chiama in causa anche altri settori e competenze. E non riguarda soltanto i diversi servizi pubblici, ma implica il coinvolgimento e l’integrazione con compagini sociali, terzo settore, organizzazioni della società civile, cittadini. Tra gli attori devono essere inclusi anche i diretti interessati agli obiettivi di cambiamento della loro situazione di vita. Il buon governo della salute non può che avere un fondamento democratico.

88 9Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.0

SCHEDA A.2IL SISTEMA SANITARIO

In attuazione dell’art. 32 della Costituzione italiana che sancisce il diritto alla salute di tutti gli individui, il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è il complesso delle funzioni e delle attività assistenziali volte a garantire la tutela della salute attraverso l’assistenza sanitaria. Nel 1992 il riordino della sanità ha portato all’aziendalizzazione degli enti erogatori del pubblico servizio: l’azien-da è divenuta la forma di gestione di tali soggetti il cui compito principale è quello di assicurare l’assistenza sanitaria per conto della Regione.Anche la sanità lodigiana è stata riorganizzata secondo il nuovo modello di gestione.L’Azienda Sanitaria Locale lodigiana (ASL) possiede autonomia organizzativa, amministrativa, gestionale e tecni-ca, e provvede ad organizzare l’assistenza sanitaria nel proprio territorio e la eroga attraverso strutture pubbliche o private accreditate.L’Azienda Ospedaliera di Lodi comprende gli ospedali del territorio e ha il compito di assicurare l’erogazione delle prestazioni sanitarie ai cittadini.

Quali sono oggi i punti “critici” che individuiamo analizzando la sanità lodigiana? 1. Accessibilità delle cureA prescindere dal rischio di essere denunciati come clandestini per avere richiesto cure mediche in ospedale, c’è un evidente problema di accesso alle cure mediche di base e ancor più a quelle specialistiche per una fetta di popolazione, soprattutto stranieri, in generale per le fasce a basso reddito. Ne sono un esempio le code in Pronto Soccorso di persone che richiedono interventi di livello quasi ambulatoriale (così non si paga il ticket), la rinuncia ad eseguire esami strumentali che comportano ticket “salati”, l’incapacità di richiedere prestazioni o prescrizioni troppo complicate (iter burocratico lungo e difficile soprattutto per gli stranieri). Ma vi sono anche aspetti più generali come la cronica difficoltà a reperire posti-letto per acuti, ancor più per cronici, per cui spesso ci si deve rivolgere a istituti fuori provincia e come le lunghe liste d’attesa, senza che vengano stanziate risorse adeguate per soddisfare le richieste.

2. Uguaglianza dei cittadini nell’accesso alle cureÈ un aspetto complementare, o forse conseguenza del precedente. È problema generale, addirittura nazionale. Anche nell’ambito della nostra regione si vedono differenze e disuguaglianze, ad esempio l’accreditamento a spe-se del denaro pubblico di grandi istituti privati “di eccellenza”, siti nei grossi centri, mentre in periferia (vedi Lodi) viene garantita essenzialmente l’emergenza. Ciò rende difficile per i malati lodigiani trovare riferimenti adeguati in loco (cioè dotati non solo di competenza ma anche delle risorse necessarie).

3. Qualità delle curePurtroppo gli adempimenti formali connessi alla qualità e alla sua certificazione sembra stiano assorbendo più risorse di quelle necessarie a garantire una qualità “sostanziale”, centrata sull’efficacia delle cure prima che su un efficientismo di stampo aziendale (degenze brevi, costi contenuti, risparmio a tutti i livelli…). La centralità della persona è sempre dichiarata ma appare sempre più lontana dalla realtà quotidiana.Per fortuna le associazioni, i volontari, l’impegno individuale di alcuni operatori tamponano tante situazioni!

4. Liste di attesa e “fughe”L’entità delle liste d’attesa, in alcuni settori, è inaccettabile e non si tocca con mano una reale inversione di ten-denza.L’incapacità di soddisfare in tempi ragionevoli le richieste dei cittadini, soprattutto e in primo luogo l’esecuzione rapida degli accertamenti diagnostici, nonostante le apparecchiature presenti nei quattro ospedali (che in que-sto caso sono una enorme potenzialità e non un problema!), è una delle cause principali, non certo l’unica, delle “fughe” verso altre realtà. Chi infatti si reca in altri centri per esami diagnostici, spesso poi continua a farsi curare in quella sede.

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5. Inadeguatezza della dotazione tecnologicaSenza la pretesa di uguagliare le dotazioni di centri altamente specialistici, Lodi in particolare, per svolgere la funzione di ospedale di riferimento provinciale che gli è propria, è tuttora carente di molte apparecchiature e strumentazioni che gli permettano di posizionarsi allo stesso livello di tutti gli altri capoluoghi di provincia lom-bardi.Ciò determina di necessità e in diverse circostanze, un approccio diagnostico-terapeutico datato e non in linea con le moderne indicazioni della letteratura, ritardi nella risoluzione dei problemi, continui trasferimenti di pa-zienti in altre sedi. Purtroppo anche questi fattori contribuiscono ad incrementare il fenomeno delle “fughe”, non tanto delle fasce più deboli e meno protette della popolazione, ma sicuramente di coloro che hanno la possibi-lità di comparare e valutare le diverse soluzioni possibili per le varie patologie.

6. Il problema della Riabilitazione e della Geriatria/Lunga degenzaÈ una problematica che continua ad essere prepotentemente alla ribalta ma che non è stata risolta.Negli anni sono state proposte ed attuate soluzioni che però non soddisfano pienamente le esigenze del terri-torio. In particolare, nonostante qualificati pareri tecnici avessero tracciato la strada da seguire, non si è voluto unitariamente (dirigenza di AO e ASL insieme ai responsabili politici) intraprendere la strada per ottenere la realizzazione di un moderno polo riabilitativo provinciale in uno dei tre ospedali periferici. Ciò determina una cronica situazione di carenza di letti di riabilitazione, fra l’altro non attrezzati secondo i moderni standard, e la fuga in centri specialistici altrove realizzati con più lungimiranza.L’assenza di letti di geriatria in ogni presidio (specie nell’Ospedale di Lodi), è causa di disagio per le persone anzia-ne con patologie acute, costrette al ricovero lontano dal proprio domicilio. Anche questa scelta non è, dal punto di vista tecnico, comprensibile.

7. Continuità della curaIl problema della presa in carico della persona per garantire la continuità di cura extra-ospedaliera è un problema che chiama in causa anche la responsabilità sociale dei comuni.

8. Razionalizzazione della spesaProprio nell’ottica del contenimento della spesa, tanto invocato, andrebbero rivedute alcune scelte di politica sanitaria (operative solo in Lombardia tra l’altro), che hanno molto ampliato l’area amministrativa invece che l’area strettamente sanitaria. Ad esempio la separazione di Azienda Ospedaliera e Azienda Sanitaria ha obbligato a raddoppiare ruoli amministrativi, quasi sempre dirigenziali, con impiego di ingenti risorse. Se questa separa-zione può essere giustificabile nelle aree metropolitane, anche per garantire l’autonomia delle grandi istituzioni ospedaliere, può esserlo in una piccola provincia come Lodi? Non sembra.

9. Criteri di selezione del personale ospedalieroIn Italia l’invadenza della “politica” nelle scelte delle persone che lavorano in sanità, ha raggiunto livelli intolle-rabili ed impensabili in altre nazioni. Specie per le posizioni dirigenziali ed apicali, la valutazione dei curricula e i concorsi sono quasi sempre una penosa farsa che cerca di mascherare scelte esclusivamente determinate da logiche che nulla hanno a che fare con il merito e la valutazione dell’impegno professionale. Sappiamo invece che le persone sono fondamentali per realizzare buone idee e programmi innovativi; al contrario scelte sbagliate paralizzano e affossano per anni interi settori della medicina ospedaliera e territoriale.Anche il Lodigiano non è immune da queste logiche e ne sta pagando le conseguenze.

10. Gli ospedali e le strutture sanitarie sono patrimonio della comunità lodigianaQuesta affermazione che sembrerebbe sacrosanta e non contestabile, nella realtà non corrisponde al vero.Se per l’ASL è prevista dalla legge la Conferenza dei Sindaci, per l’Azienda Ospedaliera non esiste alcun organismo di controllo locale sull’operato della Dirigenza, non tanto sulle scelte prettamente tecniche a cui è preposta, ma sugli orientamenti generali, sugli indirizzi di fondo a cui poi adeguare i piani triennali.Ogni Direttore Generale che subentra alla guida dell’ASL e dell’AO è autorizzato, anche senza minimamente in-terpellare la comunità civile, a prendere decisioni importanti e ribaltare totalmente quanto disposto, magari solo qualche mese prima, dal suo predecessore, come si è verificato a Lodi.

1010 11Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.0

I Sindaci non possono abdicare al loro ruolo di autorità sanitaria e insieme all’Azienda devono svolgere la propria parte, in modo propositivo e competente, le forze politiche locali, i sindacati, l’Ordine dei medici, la comunità civile e le associazioni di volontariato, proprio perché gli ospedali e le strutture sanitarie lodigiane sono patrimo-nio del nostro territorio.

Interrogativi aperti:Come facilitare l’accesso alle cure per i cittadini a bassa fascia di reddito e per gli stranieri?• Come ovviare alla marginalizzazione del ruolo della sanità lodigiana a causa della centralizzazione di risorse •

verso istituti privati di eccellenza?La certificazione della qualità della cura corrisponde alla realtà? Quante e quali risorse si potrebbero destinare •

ulteriormente alla funzione di cura del paziente?Come ridurre i lunghi tempi di attesa per gli accertamenti diagnostici?• Quali politiche sanitarie attuare per una dotazione tecnologica diagnostica più all’avanguardia?• Come offrire un servizio che risponda in modo completo alle esigenze dei malati? Perché non prevedere la •

continuità della cura attraverso servizi di riabilitazione e lungo-degenza? Quali i servizi per i problemi geriatrici?La presenza di due Aziende che si occupano di sanità nel lodigiano quale beneficio arreca? Quali sono invece •

gli svantaggi? Dal punto di vista economico quali i costi in più per i cittadini?Come garantire la professionalità e la competenza a livello dirigenziale? Quale organismo potrebbe valutare •

preparazione e curriculum? Quali le strutture di controllo? Funzionano? A che livello sono interpellate, se sono interpellate, le forze politiche locali, i sindacati, l’Ordine dei medici, la comunità civile e le associazioni di volon-tariato?

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SCHEDA A.3PERSONE MIGRANTI E INTEGRAZIONE SOCIALE

1. Questioni (im)portanti per il Lodigiano sul tema dell’immigrazioneAppare fondamentale, prima di addentrarci nelle criticità lodigiane, indicare un atteggiamento, un metodo, for-se utilizzabile anche al di là del tema “immigrazione”.Per evitare scontri ideologici, di schieramenti, contrapposizioni teoriche (sono sempre letture di parte, misti-ficazioni o semplificazioni che cercano di ridurre a semplice una materia complessa com’é l’uomo di qualsiasi latitudine), è urgente rompere la crosta di pregiudizio, individuale e di società rispetto all’immigrato: andare oltre all’istinto naturale ed umano del rifiuto preconcetto.

Entrare in atteggiamento di • ascolto libero e liberante.Dall’ascolto occorre poi passare ad • osservare dal basso i casi concreti, le storie di vita. Questo metodo affian-

cato all’analisi statistica degli osservatori sull’immigrazione, in un movimento elastico, permeabile, intelligente tra studio e realtà, ci permette di ricondurre ad unità complessa la miriade di problemi che nello studio nor-malmente e per comodità suddividiamo in tante categorie separate tra loro. Così facendo si ricompone l’uomo, nella sua complessità, potendo certo riconoscere al suo interno tutte quelle singole povertà rintracciate in teoria (mancanza di lavoro, di casa, di affetti familiari, dipendenze, ecc..).

Partire, nel valutare i casi umani, dal criterio di • umanità/legalità.Individuare soluzioni sulla base dell’interesse non del singolo o di una classe sociale, ma dell’intero genere uma-•

no, valutando gli effetti non immediati, ma a medio-lungo termine.Detto questo, ecco le criticità che ci appaiono più gravi, anche se non si presentano sempre con grande evidenza (soprattutto se usiamo valutare con l’occhio dei media):

a. Immigrazione clandestina – sfruttamento e riduzione in condizioni di schiavitù: sicuri che Castelvolturno e Rosarno siano così lontane dal Lodigiano? - Badanti e possibile sfruttamento sul lavoro - Precariato, lavoro nero in agricoltura, commercio, edilizia e piccola industria - Proprietari di casa e affitti in nero senza garanzie

b. Prostituzione e Lodigiano - Lodigiano, terra di clientela - Lodigiano, terra di sfruttamento “indoor”

c. Lodigiano e tutela della salute - Il caso dei senza fissa dimora: tutelati da chi? O sei ospedalizzabile o sei sano: nessuna via di mezzo. Manca-

no strutture ambulatoriali che permettano la continuità di cura per i post ospedalizzati. - Il caso dei romeni senza carta sanitaria italiana o romena: non hanno al momento nessun diritto salvo che

abbiano una assicurazione privata riconosciuta.

d. Lodigiano e diritti inalienabili - Residenza e lavoro: a Lodi senza l’uno, l’altro non é garantito: quale la situazione negli altri comuni?

2. Dal riconoscere al coinvolgereEvidenziati alcuni dei principali nodi problematici, formuliamo una bozza di proposta che pensiamo essere alla portata del nostro territorio e che possa essere in qualche modo oggetto di misurazione e di valutazione (anche con riferimento alle prossime edizioni degli Stati Generali...).Il nostro ragionamento muove da alcune considerazioni di fondo:

a. Di fronte a quello che alcuni definiscono lo “tsunami dell’immigrazione” l’Italia si é trovata nuda, impreparata a gestire un processo che inizialmente molti hanno considerato come passeggero ed é invece strutturale. Certo,

1212 13Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.0

occorre sempre verificare ed aggiornare le risposte di emergenza che il territorio é in grado di attivare di fron-te ad ogni nuova sfida: ma questo non basta. Non possiamo ora scegliere se avere o non avere gli immigrati. Dobbiamo invece scegliere come convivere con questa nuova realtà.

b. Oltre ad essere inevitabile, l’immigrazione é parte della globalizzazione che coivolge buona parte del mondo occidentale ed é il risultato di dinamiche di sviluppo globale: investe non solo il mondo dell’informazione e dei beni commerciabili ma, ora lo sappiamo bene, anche l’uomo stesso.

Da questi presupposti, pensiamo condivisi, proponiamo alcuni passi successivi:

c . Servono certo nuove politiche: siamo anche coscienti che serviranno solo se, al contempo, ci sarà da subito un cambiamento quotidiano del nostro atteggiamento, a cominciare da ciascuno di noi. E non ci sono ricette pronte. Occorre mettersi in gioco personalmente, in ambiti sconosciuti che determineranno relazioni nuove, con linguaggi e stili nuovi.

d . Riconosciamo la necessità di leggere il processo in termini positivi, per il bene di tutti. Capiamo che non é possibile, né lungimirante, addossare agli immigati ogni problema sociale del nostro territorio: come se fosse-ro loro la causa della disoccupazione, della crisi economico finanziaria, del lavoro nero, della scarsa competi-tività delle nostre aziende, del clima di sospetto, paura, sfiducia che respiriamo in ogni ambiente... Cerchiamo tutti insieme le soluzioni dei problemi del Lodigiano, senza trovare illusori capri espiatori o facili vie di fuga.

e . L’immigrazione non é una categoria monolitica, ma è una realtà sociale complessa, che vive, intercetta ed in cui si agitano gli stessi problemi economici, politici, sociali, culturali che noi tutti dobbiamo affrontare nel nostro quotidiano. Siamo tutti sulla stessa barca: siamo tutti, nessuno escluso, semplici “uomini sulla terra”. Vale dunque la pena fare attenzione a:

1. non isolare il tema “immigrazione”: equivarrebbe a cristallizzare un processo in continuo divenire (per que-sto auspichiamo che diventi parte della riflessione più generale sul welfare)

2. non delegare il tema agli “addetti ai lavori”: é elemento importante della ricomposizione di una nuova base sociale su cui il territorio si deve misurare per ogni tema sociale e politico, dal welfare, alla cultura, scuola, lavoro, gestione del territorio, economia locale...

f . Non servirebbero quindi “politiche di settore riservate agli immigrati”; occorrono invece politiche di settore integrate, tra loro e con il privato sociale, dove si facciano i conti con il mutato assetto sociale del paese.

Non insistiamo sulla dicotomia italiani/immigrati. Esistono molteplici variabili che inducono ad altri ragio-namenti, a non considerare necessariamente ogni immigrato come fonte di problema: la storia personale, la stessa provenienza (macroaree e micro aree), progetti migratori differenti, il tempo di permanenza in Italia.

Pensiamo a chi ha maturato anni di lavoro, ha acquisito la carta di soggiorno, la cittadinanza, alle persone figlie o nipoti di immigrati (la seconda o la terza generazione)...

Perché non considerarci semplicemente per quello che siamo: abitanti del territorio come ciascuno di noi, in effetti, è?

3. Un percorso da verificare nell’arco dei prossimi anniParliamo di intercultura, non parliamo solo di immigrazione.

RICONOSCERE <-> COINVOLGERE <-> CONOSCERE

Posta l’attenzione che il territorio dovrà sempre riservare ai casi di emergenza, in specie per i nuovi arrivati, partiamo ora da chi è stabile, da chi ha già avviato percorsi di integrazione e rischia di perderli anche a causa di recenti atteggiamenti e politiche di esclusione o, quantomeno, di diffidenza.Ai residenti stranieri con permesso di soggiorno, lavoro e casa chiediamo partecipazione, per giungere a:- maggiore conoscenza reciproca, con attenzione ai diritti/doveri del paese ospitante;

14 Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.014

- apprendimento della lingua italiana, strumento di comunicazione essenziale;- disponibilità all’incontro con le altre culture presenti sul territorio (non solo con quella italiana);- disponibilità a superare divisioni tra diverse nazionalità di provenienza;- disponibilità a rimettere in gioco il proprio progetto migratorio (non solo lavoro, rimesse, invisibilità/ impalpabilità sul territorio) per un progetto di partecipazione attiva.

Al contempo dobbiamo concretamente dare segnali di apertura.Proponiamo due strade possibili, convergenti.

a. Sappiamo degli sforzi già in campo per la promozione di associazioni sulla base della medesima provenienza, propedeutica ad individuare leaders che possano dare vita a Consulte cittadine. In parte questo fenomeno é insito e naturale nelle dinamiche migratorie: ogni gruppo culturale tende a riunirsi ed a ritrovarsi. É però bene e necessario che si facilitino queste dinamiche e che questo accada effettivamente: occorre dunque tenerne conto e predisporre insieme luoghi idonei dove questo incontro possa davvero esserci. Può essere un valido obiettivo di medio-lungo termine, poiché sappiamo bene che l’organizzazione di Consulte interculturali pre-suppongono un senso di partecipazione e di rappresentanza che noi abbiamo maturato nel corso di secoli e che pochi popoli fuori dall’occidente hanno sviluppato. Prevale spesso la tendenza a rappresentare sé stessi o il clan di riferimento, più che il gruppo nazionale di appartenenza.Nondimeno le consulte rappresentano un ottimo strumento di incontro tra culture, di comunicazione e di mediazione assai utile ad evitare o mediare incomprensioni o scontri tra nazionalità diverse.

Anche per questo motivo immaginiamo per il Lodigiano una seconda via per l’integrazione, apparentemente banale, ma che pensiamo efficace se perseguita in modo ampio e condiviso dal territorio:

b. È una via aperta ad ogni realtà sociale, culturale, ricreativa, istituzionale, sportiva, ecclesiale, ...: si tratta di ideare percorsi per coinvolgere gradualmente e stabilmente gli stranieri nelle proprie realtà.In base alle caratteristiche degli enti interessati, nonché alla disponibilità degli stessi immigrati, si possono immaginare ruoli “operativi”, “consiliari” e, gradualmente, anche “direttivi” da proporre alle persone straniere potenzialmente interessate. Ciò permetterebbe un graduale “innesto multiculturale” nel tessuto sociale, attra-verso la partecipazione attiva dei “nuovi arrivati” (magari abitano qui da 20 anni); ognuno si potrà così sentire partecipe, responsabile e quindi impegnato al buon esito di ogni iniziativa o realtà in cui si troverà coinvolto. È la dinamica partecipativa che oggi si applica in tanti contesti educativi.È ciò che succede nelle nostre scuole: i percorsi con maggiore partecipazione sono quelli dove i ragazzi sono coinvolti ed interpellati in ogni fase del progetto, dall’ideazione alla sua esecuzione.Già ci sono realtà che hanno decisamente aperto al protagonismo multiculturale: una per tutte è ad esempio Tam Tam d’Afrique, associazione nata esplicitamente per mettere insieme diverse culture. Si tratta ora di fare mente locale e cercare di mutuare questo sistema in ogni contesto associativo.

Volendo lanciare una proposta puntuale e quantificabile, e sapendo peraltro del rischio di essere, all’opposto, forse troppo formali o “burocratici”, si potrebbe ipotizzare anche una “Scheda di autovalutazione del grado di partecipazione multiculturale alle attività associative/dell’ente”, che ogni realtà associata possa compilare all’inizio ed al termine di ogni anno sociale. Uno strumento semplice, che consenta di monitorare, da parte di tutte le realtà, la progressiva partecipazione alle proprie attività delle diverse “generazioni” di persone immigrate presenti sul territorio (1ª generazione, in Italia da meno di 5 anni; 1ª generazione, in Italia da più di 5 anni; 2ª generazione; 3ª generazione), tenendo nota della natura e dell’andamento progressivo dei ruoli da esse ricoperti (operativi, consiliari, direttivi).L’utilità di uno strumento come questo dipende in gran parte dall’atteggiamento di fondo che ci guiderà: scegliere davvero di volere un Lodigiano più ricco di culture.

Ogni realtà coinvolta deve sentirsi chiamata a ideare e poi a condividere (mettere in rete) le buone pratiche con cui pensa di poter coinvolgere gli immigrati. Ne proponiamo di seguito alcuni esempi:

1414 15Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.0

• Ambito istituzionale: “consiglieri o componenti aggiunti” in commissioni ad es. biblioteca, cultura, assistenza so-ciale... Obiettivo è coinvolgere le realtà straniere presenti sul territorio in momenti di incontro, di intercultura, di sport, di mediazione culturale; servizi sociali ripensati per le nuove necessità che i nuovi arrivati esprimono, nuove regole di urbanizzazione in grado di evitare situazioni ghetto ...

• Ambito ecclesiale: consigli di oratorio, consigli pastorali parrocchiali, associazioni ecclesiali che tendano a diven-tare a partecipazione mista, incontri calendarizzati per ogni comunità locale con il coinvolgimento delle comu-nità che fanno riferimento ad altre religioni esistenti sul territorio …

• Privato sociale: inclusione nella ideazione/progettazione/esecuzione di nuovi progetti.

• Soggetti finanziatori: previsione di criteri aggiuntivi con punteggi di merito a progetti ideati e realizzati con la partecipazione non solo formale degli immigrati.

• Società sportive: applicazione di agevolazioni per l’iscrizione di figli con famiglie in situazione economica diffi-cile, con criteri non formali ma reali per la verifica delle situazioni di emergenza (non solo documentale, ma di comunità: parrocchia, assistenti sociali, altre realtà impegnate nel quartiere);

• Associazioni culturali: promozione di incontri multiculturali con coivolgimento italo-multiculturale (non solo feste dei popoli dove gli italiani si sentono, spesso a torto, “non invitati”), gemellaggi con realtà di provenienza degli immigrati, ...

• Ambito personale: se 1 lodigiano su 10 accettasse di affiancare un immigrato regolare per la ricerca di lavoro/casa/relazioni amicali, avremmo probabilmente risolto la questione...

16 Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.016

SCHEDA A.4IL SISTEMA SCOLASTICO

Ragionare sul sistema scolastico lodigiano significa riferirsi a un complesso organismo, che va dagli Asili nido alla Scuo-la Secondaria Superiore, con la presenza di un recente e non ancora completamente insediato Istituto Universitario.Gli attori e le questioni in gioco sulla scena della scuola lodigiana sono molte e svolgono un ruolo tanto impor-tante quanto lo è la tematica dell’educazione, della valorizzazione delle nuove generazioni, anche in vista delle sfide del futuro che già oggi si presentano quotidianamente e necessitano di essere colte ed affrontate con impe-gno ed entusiasmo, da parte di tutti. Di tutti, perché spesso le problematiche legate al mondo della scuola, pur coinvolgendo un numero notevole di persone, sono relegate dall’opinione pubblica in una nicchia in cui devono mettere mano con i pochi strumenti a disposizione soltanto gli “addetti ai lavori”.È tutta la comunità lodigiana, invece, che deve interrogarsi su come le scuole del nostro territorio possono essere sempre più aggiornate ed efficienti rispetto al loro compito, all’interno di un quadro nazionale, con tutti i suoi problemi, con il quale devono fare i conti tutte le scuole statali e parificate della nostra provincia.Se il sistema scolastico lodigiano riuscirà con il contributo di tutta la comunità ad essere messo in condizione di svolgere al meglio il suo compito, potremo raggiungere l’obiettivo fondamentale di educare e formare cittadini protagonisti e responsabili per il Lodigiano di domani, il loro senso di appartenenza e di servizio al territorio. Di più, se tutte le componenti del Lodigiano saranno in grado di progettare insieme le linee guida lungo le quali indirizzare il futuro del sistema economico e del tessuto produttivo del territorio, anche il sistema formativo potrà essere riorientato e ridisegnato per lavorare in sinergia con gli obiettivi di ampio respiro che la nostra terrà sarà riuscita a darsi.Per consentire a tutti i soggetti coinvolti di elaborare idee e prospettive utili per il miglioramento dell’offerta formativa nel nostro territorio, esponiamo alcune proposte concrete per migliorare l’esperienza scolastica nel Lodigiano, che riteniamo possano contribuire ad affrontare i nodi problematici che rileviamo e alcune delle que-stioni aperte che ci sembrano oggi maggiormente degne di attenzione.

1. Una diversa organizzazione degli istituti scolasticiSi potrebbe ripensare in modo più efficiente ed adatto al nostro territorio la distribuzione delle Dirigenze scolastiche, che si è venuta a configurare casualmente, con gli anni, tenendo presente unicamente il numero di alunni.Per le città, dove c’è maggiore mobilità degli alunni, che possono scegliere più liberamente quale scuola frequentare, si possono raggruppare attorno ad un’unica dirigenza scuole dello stesso livello (Scuole dell’Infanzia, Primarie, Secondarie di Primo Grado), senza più accorpare plessi scolastici anche dei paesi limitrofi, uniti spesso secondo logiche prive di senso. In questo modo sarebbe più proficua l’organizzazione, la gestione, anche dal punto di vista logistico dell’esperienza scolastica, ma soprattutto una certa uniformazione della qualità delle scuole, con maggiori scambi di esperienze, di personale ed un argine alla cosiddetta “etichettatura” verso le scuole considerate “ghetto”, spesso del tutto immotivatamente.Nel territorio è più adatta, invece, l’organizzazione in Istituti Comprensivi (Infanzia, Primaria, Secondaria di Primo Grado), che avrebbero tutte sede nello stesso Comune per i paesi più popolosi, mentre ci sarebbero Istituti Comprensivi comprendenti paesi limitrofi per le realtà meno popolate. In modo tale, però, che ogni Comune abbia però un unico Istituto Comprensivo cui fare riferimento.

2. Fantasia nella ricerca di fondiDato che uno dei problemi più importanti delle scuole, anche nel Lodigiano, è la mancanza di risorse economiche, facendo leva sull’autonomia scolastica ogni Consiglio di Istituto dovrebbe iniziare ad ingegnarsi per attirare investimenti a favore delle proprie scuole. Le Fondazioni bancarie, alcune aziende del territorio potrebbero essere realtà da coinvolgere nel finanziamento di attrezzature, di progetti didattici particolari o anche di personale, che comincia a non essere più garantito dal Governo.

3. Insegnanti a scuola tutto il giornoPer iniziare a contrastare la mentalità tipicamente italiana secondo la quale gli insegnanti sono dei parassiti dello Stato perché “lavorano poche ore al giorno” oppure perché “hanno tre mesi di ferie all’anno” e per ricostruire una

1616 17Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.0

credibilità ed un prestigio sociale alla professione docente, si propone che gli insegnanti del territorio lodigiano inizino a trascorrere la propria giornata lavorativa sul posto di lavoro, ovvero a scuola, come avviene per gli altri impiegati. Dovrebbero timbrare il cartellino dalle 8.30 alle 17.00. Rimanendo a scuola potranno così, più agevolmente, distribuire la propria attività tra le ore di lezione (identiche ad ora), la correzione degli elaborati degli alunni, la programmazione dell’attività didattica, una maggiore disponibilità per i colloqui con le famiglie e per eventuali consulenze agli alunni o per effettuare progetti didattici.È necessario, però, ovviamente, che le scuole mettano a disposizione degli insegnanti il pasto (o il buono pasto, come avviene nelle altre aziende) e luoghi adeguati dove poter trascorrere la giornata nelle varie attività, con maggiore comfort rispetto alla media attuale, molto bassa.Si può partire da un progetto-pilota, iniziando da insegnanti che intraprendano questo nuovo modo di organizzare l’esperienza scolastica in modo volontario. Gli insegnanti saranno incentivati anche dal punto di vista economico, soprattutto laddove la maggiore disponibilità di tempo favorisca il nascere di progetti didattici e di attività aggiuntive rispetto alle proprie mansioni.

4. L’apertura al territorio delle scuole paritariePer favorire un migliore coordinamento e una maggiore unità d’intenti tra le istituzioni scolastiche paritarie, presenti sul nostro territorio, che per la maggior parte condividono un progetto educativo di ispirazione cristiana, e affinché queste realtà sviluppino relazioni sempre più intense con le esigenze e le peculiarità dell’intera comunità scolastica e civile lodigiana, riteniamo possa essere utile la costituzione di una “Consulta delle Scuole Paritarie”, composta dai Presidenti dei Consigli di Istituto e dai Dirigenti Scolastici degli Istituti paritari, e che, proprio per favorire il dialogo costante con il territorio, potrebbe prevedere al suo interno anche la presenza di figure educative o dirigenziali che operano nelle scuole statali. Tra gli obiettivi di questo organismo riteniamo prioritario indicarne uno di natura “culturale”: lavorare perché l’opzione per le scuole paritarie non sia intesa - dalla popolazione e dalle stesse famiglie - come la scelta di un’esperienza d’elite o il rifugio in una realtà “protetta”, al riparo dai problemi delle scuole Statali, ma sia invece motivata anzitutto dalla condivisione del progetto educativo che le ispira.Indichiamo questo obiettivo pur consapevoli di come esso sia oggi difficilmente perseguibile. La scelta di una scuola diversa da quella statale implica infatti per le famiglie che la praticano - soprattutto per quelle a reddito medio-basso - la necessità di investire a supporto di questa opzione educativa una fetta significativa del proprio bilancio, essendo la parità scolastica stata sancita per legge ma non ancora resa effettiva nei fatti. Questo scenario - a maggior ragione in tempi di crisi - favorisce una “selezione a monte” che preclude la possibilità di effettuare una scelta educativa davvero libera a chi economicamente non è in grado di sostenerla, e di riflesso mantiene gli istituti non statali, che per il loro funzionamento si appoggiano in buona parte sulle rette loro corrisposte dalle famiglie, nella condizione di non potersi proporre al territorio con tutta l’apertura che desidererebbero. Riteniamo che il superamento nel tempo di questo autentico “corto circuito” possa liberare - a beneficio di tutto il territorio - energie educative e formative delle quali tutto il Lodigiano potrebbe giovarsi, e che oggi non possono essere messe a disposizione di tutte le famiglie.

5. “Adozione” degli edifici scolasticiSpesso le strutture e le aule scolastiche dei nostri Istituti hanno necessità di riparazioni, di arredamenti, di decoro e di dignità esteriore che non sempre le istituzioni preposte (Comuni, Provincia) riescono a garantire, per mancanza o cattiva gestione delle risorse economiche o umane.Come avviene già in molte realtà, anche nelle scuole del Lodigiano si propone che genitori, nonni ed altri volontari, periodicamente mettano a disposizione le loro competenze e la loro buona volontà per imbiancare le pareti, riparare porte, finestre, scaffali…, in sostanza, per rendere le nostre aule scolastiche più decorose.È molto importante, soprattutto a partire dalle scuole dell’Infanzia e Primaria, per una migliore corresponsabilità tra cittadini e scuola e per far crescere anche negli studenti (spesso i primi responsabili della “distruzione” di banchi, sedie, arredi) un più forte senso di appartenenza all’esperienza scolastica.

6. Gli orti scolasticiSarebbe bello che, nelle scuole dove c’è a disposizione uno spazio verde adatto, si realizzassero dei piccoli appezzamenti di terreno adibiti ad orto. In tal modo, come avviene già in alcune esperienze in Italia, i bambini,

18 Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.018

gli alunni, aiutati dai loro insegnanti, potrebbero seminare e coltivare verdura e frutta genuina da consumare presso la mensa scolastica. Sarebbe un’esperienza educativa importantissima.

7. Il “Piedibus”Soprattutto nelle città del nostro territorio, in concomitanza con gli orari di inizio e termine delle lezioni nelle scuole, il traffico aumenta in modo vertiginoso, spesso causato dalle auto dei genitori che accompagnano i loro figli a scuola.Potrebbero invece essere alcuni papà o mamme disponibili, oppure nonni ad accompagnare a piedi, laddove le distanze non siano esorbitanti, non soltanto i propri figli e nipoti, ma anche altri compagni di scuola loro affidati ufficialmente da altre famiglie. In tal modo si ridurrebbe il traffico, l’inquinamento e l’andare a scuola sarebbe anche più divertente, oltre che più salutare per i bambini.

8. Servizi per l’infanziaLe famiglie, soprattutto quelle giovani e con i figli molto piccoli, manifestano una forte esigenza di servizi a sostegno del loro compito di cura, essendo in genere entrambi i genitori impegnati sul fronte lavorativo. La scarsa presenza di asili-nido nei paesi e nelle città, le forme di assistenza pre-scuola e post-scuola non sembrano essere sufficienti a coprire le richieste delle famiglie e le amministrazioni comunali sono sempre più in difficoltà anche per il taglio delle risorse. Sarebbe interessante e utile sperimentare nuove forme di collaborazione tra famiglie (cooperative, associazioni) o tra comunità/paesi per realizzare servizi (asili-nido condominiali o di quartiere, assistenza ai bambini per alcune ore o periodi) capaci di rispondere in modo flessibile alle varie esigenze, con il sostegno e l’apporto delle amministrazioni comunali sensibili a questo aspetto così importante per la vitalità del nostro territorio. Accanto a queste richieste di servizi più strutturali si possono individuare oggi da parte delle famiglie le domande sempre più pressanti di aiuto al compito educativo che trova impreparati e senza strumenti molti genitori, soprattutto al loro primo (e spesso unico) figlio: interventi di approfondimento delle sfide e dei problemi più presenti oggi nel mondo dell’infanzia, supporti di tipo psicologico e pedagogico per affrontare con consapevolezza e serenità il proprio ruolo di genitori potrebbero essere promossi dalle varie agenzie educative presenti sul territorio quali ad esempio le scuole, i comuni e le parrocchie.

9. Le scuole superioriIl tema del funzionamento delle scuole superiori nel lodigiano e dell’introduzione della cosiddetta “riforma” da quest’anno non è semplice da affrontare, stretto com’è tra gli obblighi delle indicazioni ministeriali e l’autonomia dei singoli istituti. Per riuscire a fare in modo che la scuola superiore sia un autentico investimento per tutta la comunità territoriale, per i giovani e per la promozione del futuro, si possono far presenti alcune sottolineature rispetto ai compiti di una scuola superiore del nostro territorio, alla consapevolezza e allo stile che dovrebbe caratterizzarla. Sarebbe infatti auspicabile:

una crescente attenzione alla qualità e all’innovazione degli interventi didattici insieme ad un costante •aggiornamento dal punto di vista tecnologicouna maggior consapevolezza nei docenti ma soprattutto nei dirigenti, della necessità di interpretare •il ruolo dei vari istituti in una logica di sistema e non di singole individualità, isolate e indifferenti l’una all’altra, quando non addirittura in conflitto tra di loro e sviluppare quindi luoghi e momenti di collegamento e di collaborazioneun consapevole investimento, da parte delle amministrazioni preposte ma anche di altri soggetti •interessati, sulla scuola come fattore di crescita a di apertura del territorio attraverso la promozione di specifici interventi integrativi (es. educazione alla legalità, educazione ambientale, orientamento alla scuola superiore e all’università, educazione al consumo critico) ma anche come luogo di ricerca di nuove prospettive lavorative e culturali per i giovani e di apertura ad orizzonti più ampi (contatti con il mondo delle professioni e dell’economia lodigiana, scambi con l’estero, collegamento con le università e scuole di altra città italiane e di altri paesi europei ed extraeuropei, periodi di studio all’estero per studenti motivati e meritevoli)Un rapporto più diretto e convinto con le famiglie per una collaborazione efficace nel compito educativo •comune, valorizzando gli organismi di partecipazione e le associazioni dei genitori

1818 19Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.0

10. La formazione professionaleIl tema della formazione professionale è di pertinenza della Regione Lombardia che in questi ultimi anni ha modificato sostanzialmente l’impianto organizzativo attraverso il sistema delle “doti” che, stabilendo un contatto diretto tra l’utenza e i singoli enti, penalizza eventuali tentativi di programmazione e di coordinamento a livello territoriale dell’offerta formativa.In questo modo si rendono evidenti alcuni pericoli, oltre ad inevitabili inefficienze di questo sistema:

da una parte il rischio di uno scollamento tra le esigenze dell’economia locale e del mercato del lavoro e •i percorsi offerti dalla formazione professionale dall’altra parte la presenza di enti di formazione che cercano solo di procurarsi i “clienti” per guadagnare •e non sono in grado di interpretare le reali richieste formative dell’utenza del nostro territorio.

Entrambi questi pericoli potrebbero essere evitati da un reale e costante confronto tra le forze più vive dell’economia locale e le strutture formative attraverso il supporto dell’ente provinciale, che da sempre è preposto dalla regione a presidiare la formazione professionale, anche se in questi anni con modalità e compiti diversi dal passato. Potrebbero nascere dei luoghi istituzionali di individuazione dei bisogni formativi, di monitoraggio dell’offerta e di decisione di linee programmatiche comuni con il protagonismo delle associazioni professionali del territorio, dei comuni e degli istituti scolastici.

11. L’università a LodiIl progetto di portare l’università a Lodi si trova ora nella fase finale ma anche nella fase più delicata perché si tratta di completare le infrastrutture necessarie e mettere in funzione l’impianto recettivo e l’offerta didattica a fronte di ritardi nei lavori previsti, difficoltà economiche degli enti implicati, cambiamenti nella programmazione universitaria. Le istituzioni del territorio hanno sicuramente lavorato in questi lunghi anni (dalla fine degli anni ‘90) senza purtroppo suscitare una consapevolezza e un coinvolgimento dell’opinione pubblica della città e della provincia che sono rimaste sostanzialmente indifferenti a questa iniziativa. Prova ne è che un’importante realizzazione come il Parco Tecnologico Padano che si trova alle porte della città non è affatto conosciuto e soprattutto utilizzato da quei soggetti, aziende agricole, commerciali e istituti scolastici che potrebbero trarne sicuramente un guadagno. Si tratta invece di una importante opportunità per il territorio che dovrebbe esse maggiormente valorizzata attraverso:

una campagna comunicativa, da parte delle istituzioni implicate, più convinta e più partecipata in modo •di far conoscere ai lodigiani l’impegno per l’università, il valore e il significato di questo investimento, e le opportunità che esso può creare;la promozione e il coordinamento di iniziative qualificate per mettere realmente a disposizione •delle aziende del territorio e delle scuole le strutture e l’attività di ricerca dell’Università e del Parco Tecnologico;la progettazione e la realizzazione degli interventi infrastrutturali e dei servizi fondamentali per •l’accoglienza degli studenti e operatori (collegamenti con la città, alloggi ecc.).

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SCHEDA A.5IL TERZO SETTORE: L’ECONOMIA PER LE PERSONE

1. Cosa sta avvenendo oggi in Italia (e nel Lodigiano) sul versante delle politiche sociali?Pensiamo sia utile un breve riassunto storico per comprendere meglio la situazione.L’introduzione nel 1978 della riforma sanitaria, che è stata una grande conquista civile, ha spazzato via per sempre la frammentazione della risposta al bisogno di salute ed ha fissato come esigibile il diritto ad essere curati gratui-tamente. Il grande merito della riforma del ’78 è stato quello di avere garantito due principi fondamentali:

il diritto alla salute;1. la gratuità delle prestazioni.2.

Trascinato dalla riforma sanitaria si poneva contemporaneamente sempre più il problema della sicurezza sociale: in moltissimi disagi sociali infatti i confini tra sociale e sanitario sono a tal punto sfumati, da risultare sovrapposti. Occorrerà tuttavia attendere il 2000 perché appaia un Fondo sociale da affiancare a quello sanitario. Negli anni successivi al ’78 il sistema sanitario diventerà egemone della domanda di salute. La pressione enorme delle professionalità e dell’industria farmaceutica azzopperà ogni velleità di generalizzare la risposta sociale, neces-sario elemento di garanzia di benessere. Siamo nel 2010 e la sicurezza sociale non è ancora diventata oggi generale e gratuita. Da oltre trent’anni il diritto all’assistenza non è tale: la risposta sociale è frammentata e altalenante. A volte abbondante, a volte assente; mai stabile, ma soggetta a crisi economiche, problemi di bilancio, sensibilità personali, storie territoriali. In ultima analisi la collettività garantisce salute sanitaria e non salute nel senso completo del termine.

2. L’azione del terzo settore dentro questo panoramaIn questo contesto si è inserita l’azione dei gruppi di volontariato, delle associazioni, delle comunità, delle coope-rative sociali.Lo ha fa attraverso una triplice modalità:a - è riuscita prima a leggere i disagi sociali, a fronte di soluzioni inesistenti o inappropriate. Gli esempi sono molti. Il mondo dell’handicap, della tossicodipendenza, delle carceri, dei minori, dell’immigrazione, degli anziani, della prostituzione, dei senza fissa dimora…Questi mondi che genericamente sono ricondotti al sociale, in realtà sono mondi complessi e dalle difficili o ine-sistenti soluzioni. Solo la frequentazione assidua e la passione umana e civile di molti coraggiosi ha permesso di individuare strade nuove. E’ la storia di molti gruppi, anche nel lodigiano, che a partire dagli anni ’70, si sono occu-pati di persone abbandonate o trattate con vecchi schemi assistenzialistici. Questi schemi erano irrispettosi della dignità della persona, perché chiusi in risposte che, confermando la caratteristica di persone diverse, tendevano ad emarginare invece che integrare, impedendo ogni aspirazione alla libertà e alla dignità, condizioni indispensabili dell’integrazione. Molte indicazioni sociali oggi correnti hanno origine e sono state intuite da quei “coraggiosi” che hanno frequentato quei mondi, correggendone l’approccio sociale.b - Nel vuoto della risposta sociale, quei gruppi di frequentazione del mondo del sociale hanno inventato anche le possibili risposte. Hanno cioè costruito fisicamente luoghi e metodologie capaci di superare gli schemi assistenzia-listici allora vigenti. L’azione conseguente è consistita nel moltiplicarsi di gruppi, comunità, di iniziative che davano contemporaneamente risposte concrete, ma indicavano anche vie e metodologie di nuove soluzioni. In questa azione hanno trascinato sensibilità di semplici cittadini (molti giovani) ma anche di professionisti del sociale. Le vite dei quei primi gruppi sono state, all’inizio molto grame. Primi passi umili, arrangiati e incerti, sostenuti da leader di buone intenzioni spesso i soli garanti della sopravvivenza del gruppo. Intorno a questi frammenti, lentamente, molto lentamente, la coscienza sociale è andata maturando, attivando così anche risposte organiche pubbliche, con ordinamenti giuridici, capaci di indicare soluzioni istituzionali, o al-meno parziali.c - Poiché la risposta pubblica è stata lenta e snervante, i gruppi, nel tempo, si sono stabilizzati. È la terza fase, carat-terizzata da una vera e propria gestione privata, anche se non profit: molti gruppi, cooperative sociali, associazioni, comunità hanno origine negli anni ’80.A seconda delle circostanze più o meno favorevoli, le iniziative sorte si sono consolidate, con alterne vicende; altre

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sono diventate medie aziende sociali. Nel frattempo la stessa coscienza civica è andata maturando, fino ad arrivare al tentativo di riordino di tutto il sistema sociale, con la promulgazione della Legge 328 del 2000. Tuttavia anche questa legge che prometteva il riassetto del sociale, ha assorbito spropositate risorse nell’impalcatura burocratica del sistema, collocando personale e responsabilità di addetti a fronte della pochezza dell’azione.

3. Qualche dato sul Terzo Settore nel lodigianoSenza entrare nel merito dei dati e delle cifre (si veda: Quaderni dell’Osservatorio Sociale territoriale n. 11 “Il non profit lodigiano: analisi quantitativa, elementi di criticità e prospettive di sviluppo”), ha fatto notizia che nella no-stra Provincia si stiano incrementando i servizi alla persona; crescono case di riposo, strutture infermieristiche per anziani, asili nido, comunità per minori disabili e servizi legati all’assistenza domiciliare.Negli ultimi cinque anni, in Provincia di Lodi queste strutture hanno registrato un più 69,2 per cento, un risultato più elevato rispetto alla media regionale e a quella nazionale. Questo è sicuramente un bene e una eccellenza tutta lodigiana.Nel Lodigiano esiste però un’altra grande risorsa, invisibile e in parte inespressa, rappresentata dalle Cooperative Sociali di inserimento lavorativo di persone socialmente svantaggiate.I dati aggiornati della Regione Lombardia dicono che in Provincia di Lodi ci sono 38 Imprese Sociali (24 Cooperative di servizi alla persona - tipo A, 13 di inserimento lavorativo - tipo B e un consorzio). Le cooperative Sociali di inse-rimento lavorativo del Lodigiano impiegano stabilmente 332 lavoratori (90 donne), di cui 144 persone socialmente svantaggiate. Persone assunte a tempo indeterminato che, se inoccupate, costituirebbero un costo per la società stimabile da uno a oltre due milioni di euro (cfr uno studio sui risparmi della Pubblica Amministrazione dovuti all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati condotto in Provincia di Brescia).In altri territori le Cooperative sociali vengono individuate dai Comuni e dagli enti come la principale risorsa per assorbire la disoccupazione dei soggetti più deboli locale tramite l’offerta di servizi a favori degli Enti stessi, anche con accordi quadro delle competenti ASL.Il Comune di Milano ha tenuto il 14 gennaio 2010 un convegno dove ha presentato una delibera di Giunta in cui riserva il 5% delle forniture di servizi a Cooperative Sociali che si impegnino a mantenere i costi attuali e utilizzare tali commesse per avviare stabilmente al lavoro le persone in carico ai propri servizi sociali.Anche nel Lodigiano è possibile promuovere iniziative analoghe sperimentando nuove forme di collaborazione tra pubblico e privato che abbiamo ricadute concrete sull’occupazione locale.Oggi però prevalgono politiche di assegnazione di servizi e lavori, anche di modeste entità, in gare al massimo ribasso spesso vinte da chi proviene da luoghi lontani, fattore che non aiuta la crescita del territorio, la sua occupa-zione, l’economia e la redistribuzione.Non aiuta nemmeno una visione ideologica, e ormai fuori dalla realtà, che rende alcuni amministratori sospettosi verso la forma cooperativa.

4. Un problema apertoLa sussidiarietà è stata largamente intesa dalle Pubbliche Amministrazioni come modalità per coinvolgere i sogget-ti del Terzo Settore: da un lato per affrontare le emergenze, dall’altro in una logica di deresponsabilizzazione, per esternalizzare la gestione di servizi al solo scopo di ridurne i costi. Troppo spesso il Terzo Settore è stato ridotto al ruolo improprio di soggetto erogatore di servizi, più che a soggetto competente nel rigenerare tessuto sociale di responsabilità. In altre parole, tutto si è ridotto a sostituire operatori del settore pubblico con operatori del privato sociale, senza un approccio progettuale per andare oltre la logica prestazionistica e riparativa, centrata sulla presa in carico del singolo caso, piuttosto che sulla presa in carico di un territorio con i suoi problemi ma anche con le sue potenziali risorse.

5. Alcune proposte concrete:a - Il Terzo Settore diventi attore delle politiche sociali del Lodigiano.- Attuare iniziative di risultato in termini di servizi e di inserimenti lavorativi. - Le Fondazioni comincino a finanziare progetti fondati sulla performance (tipo: numero utenti assistiti per un anno, o inserimenti lavorativi stabili realizzati) anziché sulla dotazione strumentale o sull’acquisto di nuovi locali.- Stabilire accordi tra Organizzazioni Sindacali, Enti Locali, Camera di Commercio, Istituti di Credito e Terzo Set-

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tore che prevedano impegni non assistenzialistici a favore delle fasce deboli.- Creare tavoli di lavoro che formulino proposte concrete di politiche sociali ai quali partecipi il non- profit non solo in qualità di uditore, ma di promotore e attore.- A fronte del riconoscimento teorico del Terzo Settore (piano strategico, protocolli, delibere di indirizzo, ecc.), che non può rimanere solo sulla carta, la programmazione territoriale venga concretamente realizzata coinvol-gendo il volontariato, le onlus, le cooperative sociali. Nuovi servizi, più solidarietà e coesione sociale. Minori costi si ottengono solo utilizzando queste competenze.

b - L’inserimento lavorativo nelle cooperative sociali: un grande risparmio economico per l’intera società.- Non esiste da parte dei pubblici amministratori questa consapevolezza. Uno svantaggiato sociale in coopera-tiva è un cittadino in meno a cui deve provvedere l’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune. A questo si deve aggiungere anche la tranquillità, per il contesto sociale di provenienza, di una persona in meno sulla strada esposta al rischio di coinvolgimento nella devianza e nella micro-criminalità con tutte le relative conseguenze sociali ed economiche.Un esempio: in tre anni il piano disabili provinciale ha distribuito diverse centinaia di migliaia di euro per forma-zione, borse lavoro, ecc. anche con qualche risultato positivo. Nella relazione finale si dichiara che il budget per l’inserimento nelle cooperative sociali era troppo elevato e si è speso solo in parte. - I risultati degli inserimenti nel non profit, secondo una certa visione, si realizzano solo se si esaurisce il budget. Ognuno va per la sua strada e non vi sono politiche di sistema (lavori, inserimenti, autonomia, sostegno al red-dito, ecc.), né aiuta la cinica logica delle doti.Lo sportello lavoro debole provinciale, altra realtà che funziona, agisce tuttavia secondo le medesime logiche. - È necessaria una crescita culturale in tal senso che può avvenire attraverso la formazione/informazione (mass media, convegni) per superare la contrarietà all’utilizzo di questo strumento che rappresenta invece una grande opportunità per il territorio. - Viviamo un grande ritardo rispetto ad altri territori. È necessario quindi acquisire la consapevolezza dell’impor-tanza del Terzo Settore e della Cooperazione Sociale. In caso contrario, la scarsità delle risorse pubbliche spingerà comunque verso la valorizzazione del privato, ma senza averne preventivamente colto le opportunità ma anche i rischi.- La pianificazione e la progettazione di una rete dell’intero Terzo Settore, del volontariato, e del settore pubblico, anziché la risposta singola alle emergenze sociali, favorisce l’emersione delle fasce deboli e consente una risposta più efficace al disagio sociale. Senza un sistema di relazioni e senza una rete, la possibilità di incidere sui problemi reali si limita a dare risposta a pochi casi di fortunati che sono riusciti a farsi largo.

c - Il convenzionamento diretto per l’inserimento lavorativo (legge 381/91).- In futuro sempre maggiori servizi alla popolazione forniti dai Comuni saranno presumibilmente garantiti dall’economia locale attraverso il federalismo fiscale, demaniale, ecc.Quindi in un auspicabile circolo virtuoso, crescita dell’economia significa crescita dell’occupazione e crescita dei servizi.- In tal senso la cooperazione sociale può dare un importante contributo alla crescita dell’occupazione e parti-colarmente di quella debole.- La legge 381 del 1991 nata proprio per imprimere una forte accelerazione in tal senso è ancora troppo poco attuata. La diffusione di queste buone pratiche è compito della Provincia, delle Associazioni dei Comuni, delle Associa-zioni Sindacali e di Categoria, delle Cooperative sociali stesse e del non-profit in generale. La comunicazione (mass media) dovrebbe sensibilizzare i cittadini sul fatto che alcuni servizi hanno una impor-tante componente sociale mettendone in evidenza i risultati.

2222 23Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.0

B. VIVERE BENE NEL LODIGIANO: ECONOMIA E TERRITORIO

In un momento di forte crisi economica e di pesante stress ambientale, stimolare tutte le forze vive e sensibili del Lodigiano a lavorare insieme per immaginare gli scenari futuri dell’economia locale, condividere le linee essen-ziali di una corretta politica di programmazione e di governo del territorio, individuare i passi da compiere per migliorare la qualità dei servizi pubblici, rafforzare la scelta strategica della tutela e della valorizzazione dell’am-biente naturale, rischia di essere percepito come un esercizio puramente teorico, quasi come un modo per non fare fino in fondo i conti con la difficile situazione che anche il Lodigiano sta attraversando.

Tutti seguiamo infatti con attenzione ed apprensione le vicende del sistema economico locale, apprezzando e sostenendo le iniziative di solidarietà che il territorio ha già saputo mettere in campo per aiutare chi sta incon-trando le difficoltà maggiori, legate in primo luogo alle pesanti ricadute che il territorio ha accusato a livello occupazionale, che tendono a mettere in discussione la tenuta complessiva del nostro sistema produttivo.

Proprio la centralità della posta in gioco ci spinge ad invitare tutti gli operatori del territorio - siano essi ammi-nistratori pubblici o soggetti che operano nel settore privato, e qualsiasi sia la loro posizione e il loro ruolo nel “sistema Lodigiano” - a ragionare per trovare e condividere le linee comuni che, adottate unitariamente e perse-guite con decisione a partire da subito, possano garantire alla nostra terra un futuro nel quale sia possibile vivere meglio e ritrovare un forte senso di comunità.

Nelle schede che seguono chiediamo allora, a tutti coloro che vorranno condividere il percorso e lo spirito degli “Stati Generali”, di mettersi al lavoro per elaborare riflessioni, idee e prospettive percorribili per il futuro del no-stro territorio, a partire da alcuni nuclei tematici, che non esauriscono certo il quadro delle questioni sulle quali il Lodigiano è chiamato a confrontarsi nel prossimo futuro, ma che ci appaiono come le più stimolanti in un’ottica di analisi a tutto campo e di ripensamento complessivo del sistema economico e territoriale.

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SCHEDA B.1PROGETTARE E GOVERNARE IL TERRITORIO

Il territorio lodigiano, particolarmente nella porzione più a nord, si è andato caratterizzando come una zona di espansione di Milano, che diventa sempre più Città Metropolitana, rischiando così di perdere progressivamente i tratti che nel corso dei secoli ne hanno determinato la fisionomia unitaria.Per la sua collocazione e la sua dotazione infrastrutturale, il territorio, nella sua interezza, si adatta ad essere in-dividuato e percepito come uno spazio di servizio per le attività che gravitano su Milano. La densità di popolazione, ancora relativamente bassa rispetto ad altri comprensori, e il permanere di vaste aree a destinazione agricola, conferiscono al Lodigiano le caratteristiche di un territorio in cui “si può ancora intervenire”.In questo contesto è dunque il momento di operare le scelte di fondo che si rivelano ancora possibili, dopo che negli ultimi decenni una quota consistente del territorio è stato consumato da un’edificazione che ha contribuito pochissimo allo sviluppo economico, privilegiando attività a basso impatto occupazionale.Insieme a quelle parallelamente da compiere in altri ambiti, le scelte che decideranno come sarà possibile inter-venire sul territorio hanno la potenzialità di determinare il futuro del Lodigiano, dal punto di vista sia economico che ambientale.Proponiamo allora alcuni argomenti sui quali orientare il ragionamento e il confronto.

Premessa: il territorio come bene comuneÈ importante sottolineare l’importanza di una visione di città e di territorio come bene comune, uno scenario nel quale anche l’iniziativa privata si senta inserita all’interno di un sistema di responsabilità condivise.Qualsiasi azione politica nei confronti del territorio si deve misurare con una situazione largamente compro-messa: occorre riconoscere che gli “anni dell’autonomia” hanno prodotto anche disastri. Il sostanziale fallimento dell’attività di indirizzo che gli strumenti urbanistici a scala provinciale dovevano svolgere ha fatto sì che ogni amministrazione comunale si sentisse libera di destinare porzioni consistenti del proprio territorio prima ad attività della grande distribuzione a servizio delle province limitrofe (San Rocco al Porto) o del capoluogo (Mon-tanaso Lombardo, Pieve Fissiraga, Cornegliano Laudense) e – in una seconda fase – alle attività di logistica: il tutto senza alcun riguardo per gli impatti in termini di infrastrutture e con lo sguardo rivolto all’utilità “a breve termine” derivata dagli introiti per gli oneri di urbanizzazione e per l’Ici.

1. La progettazione urbanisticaL’obiettivo a livello urbanistico non può essere allora che quello di “un’opzione prossima allo zero”, nella con-sapevolezza che il territorio è una risorsa drammaticamente limitata e che – altrimenti – consegneremo alle generazioni future una eredità pesantissima.Nella pratica:

occorre individuare strumenti di pianificazione sovracomunale che si pongano la finalità di coordinare ed in-• dirizzare in maniera fortemente “direttoria” lo sviluppo territoriale;

i Comuni non devono poter prevedere ipotesi di aumenti di popolazione ingiustificati dalla reale situazione; • negli strumenti urbanistici comunali occorre individuare idonei strumenti finalizzati al recupero o alla sostituzio-ne dell’edilizia esistente non storica e di bassa qualità, sia di tipo residenziale che produttivo (positivo in questo senso sarebbe il riconoscimento di un piccolo “premio” di volumetria);

complessivamente l’insediamento di nuove strutture edilizie deve essere da subito permesso solo in ristrette • aree “di completamento”;

gli strumenti urbanistici devono individuare – con riferimento all’edilizia terziaria – le attività permesse, favo-• rendo quelle con più rilevante impatto occupazionale. Sia a livello di pianificazione che nei regolamenti edilizi si dovrebbe ritornare a permettere una – seppur limitata – commistione fra residenza ed attività produttive di piccolissima dimensione e senza impatto ambientale.

2. L’ediliziaPer quanto riguarda l’edilizia, abbiamo assistito negli ultimi anni all’abbandono delle tipologie derivate dal ra-zionalismo anni ‘60 e ‘70 in favore di un ritorno a modelli edilizi più tradizionali. Purtroppo però si è trattato il

2424 25Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.0

più delle volte di una ripetizione manieristica di alcuni elementi estetici della tradizione edilizia lombarda, che hanno prodotto insignificanti periferie in paesi di periferia (San Martino, Cornegliano, Pieve, Montanaso, ecc.), con edilizia di bassa e bassissima qualità, con tipologie “aperte” ben diverse dall’edificazione a cortina dei nostri paesi, e caratterizzate da un esagerato consumo di territorio a causa della bassa densità edilizia.Il tutto mentre nei centri storici il tessuto edilizio non monumentale è caratterizzato da un diffuso degrado op-pure è utilizzato unicamente dalle nuove classi popolari, costituite in gran parte da cittadini stranieri.È di tutta evidenza, inoltre, come vi siano sul territorio lodigiano numerosi edifici di vecchia e di nuova costruzio-ne scarsamente utilizzati; in campo di edilizia industriale tale fenomeno assume una rilevanza notevole. Va infine osservato che l’antropizzazione del territorio lodigiano ha avuto nel tempo una forte caratteristica agricola. L’ab-bandono delle cascine, e a volte la loro demolizione per far posto a insediamenti residenziali, sta facendo pian piano perdere sia la caratteristica fondamentale del territorio, sia un complesso ed interessante sistema irriguo, compromettendo alcune possibilità turistiche che potrebbero rispondere ad esigenze di natura economica.Nella consapevolezza che anche in questo caso la situazione è ormai in buona parte compromessa, occorre:

favorire attraverso le normative edilizie ed urbanistiche il riuso dei centri storici, limitando al massimo il con-• sumo estensivo di nuovo territorio, e permettendo al limite mirate attività di sostituzione;

creare – nelle aree di completamento edilizio di cui sopra - elementi di centralità e di aggregazione (il più gran-• de quartiere di Lodi degli ultimi 30 anni, progettato da un famoso architetto urbanista, non ha una piazza e la chiesa è edificata a margine della strada);

l’elaborazione di studi volti a individuare modelli e tipologie di sviluppo “in evoluzione” e non in imitazione • delle caratteristiche tipologiche tradizionali;

individuare e preservare il patrimonio edilizio storico non monumentale di qualità (es. fabbricati ad uso agri-• colo).

3. Le infrastrutturePer quanto riguarda le infrastrutture, deve finire l’eterna rincorsa tra sviluppo edilizio incontrollato e conseguen-te fabbisogno di collegamenti.I collegamenti nord-sud, sia ferroviari che stradali, rispondono sufficientemente alle esigenze, fatto salvo il pro-blema dell’attraversamento di alcuni centri abitati (come Casalpusterlengo). Necessita invece considerazioni più approfondite il problema dei collegamenti dei centri abitati minori.Il territorio lodigiano – già pesantemente interessato da infrastrutture di scala nazionale (ferrovia, TAV e auto-strada), anche di indubbia utilità - non ha bisogno di operazioni come il canale navigabile, che ogni tanto incom-be come un fantasma.Le strade consumano territorio, specie se non vengono eliminate quelle dismesse che spesso si trasformano in discariche a cielo aperto. Anche le attività di “messa in sicurezza” devono essere progettate con modalità che evitino il consumo di territorio e la distruzione degli elementi paesaggistici (vedi la Lodi - San Colombano), e soprattutto con un conduzione dei lavori efficace e razionale (scandalosi gli esempi della ricostruzione del ponte di Montodine e della riqualificazione della Lodi – autostrada).Il passaggio alla Provincia della gestione di alcune strade ha sicuramente migliorato la situazione manutentiva (che rimane comunque a livello di “sufficienza”); da “terzo mondo” è invece la situazione di alcune strade statali, come la via Emilia e la SS di Orzinuovi.Se positivi sono stati gli investimenti fatti in materia di piste ciclabili, notevoli miglioramenti si possono ottenere in termini di manutenzione.Per quanto riguarda i collegamenti ferroviari, va riconosciuto che l’offerta in termini di “quantità” è notevolmen-te aumentata negli anni. Diverso il discorso per quanto riguarda la “qualità” (ritardi, affidabilità, pulizia): l’ente provinciale deve coordinarsi con quello regionale per ottenere un deciso miglioramento di un servizio che inte-ressa migliaia di cittadini.

4. Il paesaggioPer ciò che concerne il paesaggio, in questa situazione, occorre che gli enti dedichino specifica attenzione al pro-blema, nella consapevolezza che in altre realtà “agricole” il paesaggio è prima di tutto una potenziale risorsa, che nel nostro territorio non è ancora adeguatamente sfruttata.La salvaguardia del paesaggio non può essere ottenuta se non tramite un accurato uso degli strumenti di piani-

26 Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.026

ficazione urbanistica e di regolamentazione edilizia, il coordinamento fra enti gestori delle infrastrutture (strade, ferrovie, consorzi di gestione irrigui, magistratura delle acque, parchi, comuni, ecc.), il coinvolgimento delle asso-ciazioni imprenditoriali (in primo luogo di quelle agricole) e infine la crescita della sensibilità culturale sul tema.

5. Le problematiche ambientaliPer quanto riguarda le problematiche ambientali, limitando la riflessione a quelle a scala locale, occorre:

individuare idonee misure volte al miglioramento della raccolta differenziata, che nel lodigiano langue da anni • su livelli di ”mediocrità” rispetto alle altre province lombarde;

individuare soluzioni “di prospettiva” – con uno sguardo anche alle opportunità offerte dalla tecnologia – in • materia di smaltimento della frazione secca oggi destinata ancora alla discarica;

trovare le forme di coordinamento con altri enti sovraprovinciali per arrivare finalmente ad una soluzione de-• finitiva dei problemi di inquinamento dei corsi d’acqua (l’Adda e soprattutto il Lambro);

individuare – in forma coordinata – gli strumenti di regolamentazione edilizia più idonei e sostenibili per il • miglioramento della qualità ambientale (isolamenti, impianti, ecc.).

Spunti di ulteriore riflessione:Quanto ancora può essere urbanizzato il territorio? Quale variazione di popolazione residente dovrebbe essere •

programmata? Quanto può servire una programmazione sovracomunale con caratteristiche fortemente diret-torie?

Quali possono essere i campi in cui la programmazione sovracomunale deve essere impositiva rispetto alla • programmazione locale?

Quali scelte edilizie dovrebbero essere predeterminate sia per quanto riguarda l’edilizia residenziale, che per il • terziario che per l’edilizia industriale e produttiva?

Valutare l’impatto sociale, economico, ambientale: come? E come rendere obbligatorie ed efficienti nel tempo • le compensazioni ambientali per le grandi infrastrutture?

Infrastrutture del Lodigiano: sono sufficienti ed efficienti? Quali nuove infrastrutture, o varianti delle esistenti, • sono necessarie? Sembra essere stata rilanciata l’idea del Canale navigabile: sarebbe utile e sostenibile?

2626 27Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.0

SCHEDA B.2SERVIZI PUBBLICI DI qUALITà E GESTIONE DEI BENI COMUNI

La pubblica amministrazione, intesa nel senso più ampio, includendo in questa espressione sia l’articolato com-plesso dei servizi alla cittadinanza offerti sul territorio (perché di rilevanza locale o in quanto erogati da sezioni distaccate di organismi amministrativi centrali), sia gli enti locali, i cui rappresentanti sono eletti dai cittadini o comunque scelti localmente, vedono oggi concentrarsi le proprie attribuzioni e le proprie competenze soprat-tutto intorno a due grandi aree:

l’erogazione di servizi amministrativi di qualità a supporto della vita quotidiana dei cittadini e delle aggregazio-• ni nelle quali si svolge la loro esistenza (famiglia, scuola, lavoro, ...);

la gestione partecipata dei beni comuni essenziali e la tutela della loro destinazione pubblica.• Per ciascuno di questi due ambiti proponiamo alcune considerazioni ed alcune piste di riflessione.

1. Verso una migliore qualità dei servizi pubbliciL’efficienza dei servizi al cittadino assume un’importanza sempre più decisiva nel determinare o meno la qualità della vita; così pure l’efficienza dei servizi alle imprese risulta fondamentale per lo sviluppo economico del terri-torio.Pur nella consapevolezza dello sforzo quotidiano teso a rendere migliori i servizi offerti, è però convinzione dif-fusa che la struttura pubblica non riesca a rispondere con sufficiente prontezza e competenza alle richieste delle comunità amministrate.Nel territorio lodigiano, costituito da molti piccoli Comuni, si pone in modo evidente anzitutto la necessità di una più stretta e proficua collaborazione fra gli Enti Locali, al fine di rendere possibile una maggior efficienza complessiva del sistema pubblico. Per fare solo un esempio tra i più significativi, la qualità del trasporto pubblico, in un territorio caratterizzato da un forte pendolarismo come il Lodigiano, assume un’importanza fondamentale, sia per la vita quotidiana dei cittadini che di esso usufruiscono che per le implicazioni di carattere ambientale che porta con sé. Proprio in quest’ultimo ambito, il rafforzamento di modelli differenti di mobilità, e soprattutto l’obiettivo di medio periodo di arrivare a una mobilità a emissioni zero, hanno una rilevanza che non può essere trascurata.Lo stesso tipo di ragionamento può essere esteso a tutti gli altri ambiti nei quali una amministrazione pubblica attenta alle necessità quotidiane dei cittadini può contribuire in modo decisivo a migliorare la qualità della vita sul nostro territorio. A questo riguardo proponiamo alcuni ulteriori spunti per la riflessione e l’approfondimento.

Spunti di riflessione e di approfondimento:Centri servizi, sportelli unici, banche dati aperte: sono strumenti validi? A che punto siamo? Si è investito per •

realizzarli?Associazioni di Comuni, Consorzi fra Comuni, Unione di Comuni: sono strumenti validi e possibili? Le espe-•

rienze fin qui realizzate stanno dando buoni risultati? Si è preparati a rinunciare a parte della propria autonomia in funzione di un più efficace servizio?

Le reti di comunicazione (banda larga) sono effettivamente intese come un diritto essenziale di cittadinanza? • Quali passi sono ancora necessari per renderlo effettivo per tutto il Lodigiano?

Sportello avanzato del catasto: è possibile immaginare un Consorzio a dimensione provinciale?• Trasporto pubblico ferroviario e su gomma: viene giudicato sufficiente o è migliorabile? Quanto può pesare •

sulla spesa degli Enti Locali una sua maggior frequenza particolarmente da e verso i centri più piccoli?Istituzione di un • mobility manager di livello provinciale: è una possibilità che può favorire l’organizzazione del

car pooling, del car sharing, della razionalizzazione dei trasporti verso le maggiori realtà occupazionali?Piste ciclabili specificamente funzionali alla mobilità quotidiana: è sufficiente la rete attualmente presente? È •

sufficientemente continua e sicura nei centri abitati?Sono possibili politiche locali di incentivazione all’uso di mezzi pubblici e privati non inquinanti?•

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2. La gestione dei beni comuniI beni comuni, per loro natura di tutti in quanto essenziali alla vita, come l’aria e l’acqua - e in senso più esteso anche la terra (fonte di alimentazione) e l’energia (necessaria per il lavoro, che consente di produrre beni e servizi) - sono al centro di una crescente attenzione da parte degli organismi di regolazione politica e delle comunità locali.Se da un lato stanno diventando elementi sempre più scarsi, la cui disponibilità non è più così scontata, dall’altro, sotto la pressione dei meccanismi del mercato vengono messi in discussione nella loro natura.Il loro statuto di beni essenziali alla vita, dichiarandoli necessari per ogni persona, li mette al riparo da un model-lo di produzione e consumo che li vorrebbe equiparare alle altre “risorse economiche”, facendoli rientrare nella sfera del mercato e svuotandoli del loro contenuto di “diritti”.Sta invece alle comunità locali, alle loro espressioni e rappresentanze (in ambito sociale e politico), rendersi pro-tagoniste della loro salvaguardia e proteggere la loro disponibilità per tutti i cittadini che le abitano.

L’ariaLa qualità dell’aria è messa in pericolo sia dagli agenti inquinanti generati dai processi industriali non eco-com-patibili che dalle emissioni frutto della combustione di risorse fossili (a fini di mobilità, trasporto di merci e riscaldamento). Sono ormai dimostrate le conseguenze dirette e potenzialmente devastanti - sul clima e quindi sul nostro futuro - del riscaldamento globale del pianeta, fenomeno al quale contribuisce in maniera determinante l’attività uma-na, mediante le emissioni in atmosfera di sempre più ingenti quantità di CO2. Prima Kyoto e poi Copenhagen hanno cercato di mettere a tema la riduzione progressiva delle emissioni, da par-te soprattutto dei paesi occidentali di più antica industrializzazione. L’istituzione di un “mercato delle emissioni” (nel quale il permesso di “emettere” può essere compensato economicamente da parte degli Stati “inadem-pienti”) è una chiara dimostrazione di come non si riesca a superare una mentalità mercantile nel rapporto con l’ambiente e con la sua disponibilità per tutte le popolazioni e per le generazioni future. Gli esiti della recente Conferenza di Copenhagen sono un’ulteriore dimostrazione di come anche questo bene essenziale sia diventato da diritto oggetto di contesa e di mercato.Il Lodigiano, sia per la sua collocazione geografica e logistica, sia per la presenza sul territorio di insediamenti industriali e di produzione energetica, risulta da questo punto di vista particolarmente esposto ai rischi derivanti da una compromessa qualità dell’aria e dalle sue ricadute sulla qualità della produzione agricola e zootecnica.Pur se ancora non del tutto dimostrata per la scarsità di studi approfonditi e mirati in materia, la probabile cor-relazione tra questo tipo di situazione e l’incidenza sulla popolazione locale di determinate patologie tumorali deve mettere in allarme le istituzioni del territorio, spingendole a uno sforzo comune verso il miglioramento complessivo della qualità dell’aria che respiriamo.

L’acquaPassando all’acqua, possiamo affermare che l’esistenza stessa del Lodigiano come territorio autonomo sia stata determinata storicamente - e lo rimanga tuttora, nonostante le pesanti “interferenze” costituite dalle vie di gran-de comunicazione che lo attraversano - dai corsi d’acqua che ne delimitano i confini.Il recente episodio che ha visto il fiume Lambro oggetto di un pesantissimo attentato criminale ha mostrato la delicatezza degli equilibri ambientali sui quali si gioca la sopravvivenza armoniosa di un territorio, segnalandone la fragilità e la conseguente necessità di porre in essere adeguate misure di tutela e di prevenzione.Il ciclo integrato dell’acqua, che comprende la captazione, il trasporto mediante le reti di distribuzione (con una loro costante manutenzione), l’utilizzo in ambito domestico o produttivo e il successivo passaggio negli impianti depurazione con la re-immissione nell’ambiente dell’acqua depurata, è un sistema complesso e difficilmente suddivisibile, se non mediante distinzioni artificiose. La gestione del ciclo integrato dell’acqua assume quindi la fisionomia di monopolio naturale, richiedendo, per questo e ancora di più per la sua centralità nel garantire le condizioni per una vita di qualità, un’esclusiva titola-rità pubblica.Le comunità locali del Lodigiano, che da sempre hanno riconosciuto nella proprietà delle reti e nella gestione dei servizi idrici un elemento di forte identità e di rafforzamento del legame con il proprio territorio, ma anche un’importante modalità di partecipazione e di esercizio della democrazia dal basso, dopo un lungo percorso di confronto e di dibattito hanno costituito con voto unanime la SAL (Società Acqua Lodigiana), una società a

2828 29Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.0

totale capitale pubblico alla quale tutti i Comuni della Provincia di Lodi hanno conferito la piena titolarità della gestione del ciclo integrato dell’acqua sul nostro territorio, che la Legge Galli aveva a suo tempo riunito in un solo ATO (Ambito Territoriale Ottimale).La recente previsione normativa nazionale contenuta nel “decreto Ronchi”, che prescrive l’obbligatorietà per gli enti pubblici di sottoporre a gara una quota consistente del servizio idrico integrato, non può e non deve vanifi-care l’unità che il Lodigiano ha raggiunto intorno a questo tema, stimolando invece gli enti e le comunità locali a farsi portavoce delle istanze del territorio perché rimanga intatto il diritto all’autogestione dei servizi idrici, che garantiscono un servizio di qualità a tariffe tra le più basse d’Italia.

La terraIn un territorio come il Lodigiano, ancora fortemente caratterizzato dall’attività agricola e zootecnica (le quali, anche se ridotte a qualche punto percentuale se misurate con la lente - spesso miope o deformante - del Pil provinciale, rimangono le attività economiche e produttive di maggiore impatto sulla struttura complessiva del territorio), gli indirizzi politici e le scelte economiche che possono salvaguardare una corretta gestione della ter-ra sono nodi fondamentali sui quali la comunità intera è chiamata ad interrogarsi, vigilare ed investire una parte consistente del proprio futuro. Questo sforzo di tutela e valorizzazione, che è insieme un esercizio di salvaguardia/conservazione e di innovazio-ne, può essere portato a compimento solo ricostruendo una forte alleanza tra produttori e consumatori, tra enti pubblici e operatori del settore. Il territorio potrà percepirsi come un’entità unica e un elemento aggregante solo se i cittadini, le istituzioni locali e gli operatori economici degli altri settori produttivi sapranno confrontarsi e misurarsi, in un rapporto di stretta collaborazione, con chi storicamente vi opera, come proprietario di terreni, titolare di attività in campo agricolo e agro-alimentare o come semplice operatore. Se il consumo del territorio va limitato, riducendo se possibile a zero l’occupazione di nuove porzioni di suolo a fini non agricoli, la stessa cura va posta perché i terreni a destinazione agricola non vengano “sprecati”.La fertilità del Lodigiano, costruita nei secoli da un lavoro faticoso e sapiente, e la sua potenzialità di dare vita a produzioni di eccellenza in campo agroalimentare, non possono essere vanificate da un utilizzo intensivo del terreno che rischia di impoverirlo in modo permanente mediante coltivazioni “seriali” e ripetitive (in primis la monocoltura, esercitata prevalentemente a servizio della zootecnia, che se non opportunamente governata e controllata porta con sè conseguenze pesanti a livello ambientale, legate al problema dello smaltimento dei re-flui e dell’alta concentrazione di nitrati nel terreno), che non interpretino nel giusto modo la natura del territorio e non ne rispettino fino in fondo la capacità di conservazione della biodiversità e la potenzialità di dare vita a produzioni agricole di qualità. La qualità dell’utilizzo della terra, la bontà dei metodi di coltivazione e di allevamento sono di per sé un potente antidoto rispetto alla tentazione, spesso corroborata da una bassa redditività delle produzioni agricole abitual-mente praticate sul territorio, di un suo sfruttamento a fini edificatori. Cedendo a questa pressione, che determi-na in modo pesante la vivibilità di un contesto come quello del Lodigiano, si viene meno al dovere di consegnare alle future generazioni i frutti del lavoro di “costruzione del territorio” sedimentatisi nel corso dei secoli.

L’energiaLa produzione e l’utilizzo dell’energia sono fattori che condizionano in modo pesante la qualità della vita e la qualità ambientale di un territorio. Il Lodigiano è interessato da pesanti insediamenti di produzione energetica mediante l’utilizzo di combustibili fossili, con effetti importanti sulla salubrità del territorio e - soprattutto - sulla salute dei cittadini.Si fa purtroppo avanti anche la possibilità della riattivazione dell’impianto di produzione di energia nucleare di Caorso, a ridosso del territorio lodigiano.In questo panorama il territorio deve saper agire “controcorrente” (è il caso di dirlo) per dimostrare più che in altri contesti da un lato la ferma volontà di ridurre il consumo energetico delle abitazioni e delle attività pro-duttive, dall’altro la capacità di dotarsi di una quota crescente di energia proveniente da fonti rinnovabili, per liberarsi nel lungo periodo dal peso opprimente di centrali elettriche che incidono pesantemente sull’ambiente locale per servire altri territori.In queste dinamiche diventa fondamentale il ruolo delle comunità locali e degli enti pubblici, che da un lato

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devono saper “dare il buon esempio” (interessanti in questo senso i percorsi ideati e praticati dalla rete dei “Co-muni Virtuosi”: www.comunivirtuosi.org), dall’altro devono favorire ed incentivare il risparmio energetico e la “microproduzione” di energia da parte dei cittadini, in forma singola o associata. Lo stesso ragionamento va esteso in prospettiva a tutte le attività economiche, già insediate o di futuro insedia-mento sul territorio: non può più bastare un piano di insediamento industriale, caratterizzato anche da buone ricadute sul versante occupazionale, se il “bilancio energetico” e il “bilancio ambientale” dell’operazione, a medio e a lungo termine, non volgono a favore del territorio. Non possiamo più permettere l’insediamento sul territorio di attività che mettendo sul piatto un determinato peso in termini di occupazione, implichino per le generazioni future costi inaccettabili dal punto di vista ambientale e dello squilibrio energetico: quanto sono costate alla collettività le numerose bonifiche di cui negli ultimi anni gli enti pubblici si sono dovuti fare carico, per rimediare (solo in parte) ai danni causati da attività produttive accolte sul territorio senza riguardo per la loro qualità am-bientale e per il loro impatto negativo sul territorio?Quali sono i danni ai quali si espone un intero territorio a fronte della tolleranza di situazioni come quella che ha causato il recentissimo disastro ambientale a carico del fiume Lambro e dei territori da esso attraversati? Se vogliamo adempiere al nostro compito nei confronti delle generazioni che ci seguiranno si tratta di domande alle quali non possiamo non dare risposte, che devono saper essere sì intelligenti e creative, ma soprattutto for-temente ancorate alla realtà.

3030 31Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.0

SCHEDA B.3ECOLOGIA CHE DIVENTA ECONOMIA: GREEN ECONOMY

E NUOVI MODELLI DI PRODUZIONE E CONSUMO

La salvaguardia del territorio, del paesaggio e dell’ambiente possono essere strumenti decisivi per il futuro del Lodigiano, anche dal punto di vista dello sviluppo economico.La domanda fondamentale allora diventa la seguente: come coniugare l’ecologia con l’economia?È lo stesso concetto che sta alla base di quella che in altri contesti è stata denominata “green economy”, il tenta-tivo cioè di introdurre a tutto campo elementi che consentano di stabilire un circolo virtuoso tra economia ed ecologia, e di mettere definitivamente in archivio la contrapposizione tra le ragioni dello sviluppo e della crescita economica e la necessità di salvaguardare i beni naturali - primo fra tutti il territorio - e di consegnarli integri alle future generazioni.

1. Elementi per una “green economy” nel LodigianoLa necessità di coniugare in modo virtuoso ecologia (o eco-sostenibilità) ed economia richiede di costruire per-corsi ed esperienze di forte innovazione, perché il cambiamento di prospettiva che la “green economy” richiede sia da un lato veramente desiderabile e conveniente, dall’altro possa essere percepito come tale da tutti i soggetti coinvolti.Consci della sua natura esemplificativa, e quindi delle possibili estensioni dello stesso modello ad altri campi dell’economia e in generale a molti dei processi che caratterizzano oggi l’industria e le altre forme di produzione di beni e servizi, affrontiamo qui brevemente il tema della riduzione dei consumi energetici delle abitazioni.

Ristrutturazione degli edifici esistenti per ridurre i consumi energeticiIn Italia il riscaldamento degli edifici assorbe più di 140 Kw al metro quadrato l’anno; in Germania, dove noto-riamente fa più freddo, non si possono superare i 70 Kw, come pure nella provincia di Bolzano. Gli edifici più efficienti, progettati e costruiti mediante l’utilizzo delle nuove tecnologie, possono arrivare a consumare anche meno di 15 Kw.Riqualificare e ristrutturare il nostro patrimonio edilizio in questa direzione potrebbe condurci alle seguenti conseguenze:

considerevole riduzione nei consumi di energia, con un risparmio economico ed un calo nelle importazioni - di prodotti fossili;una riduzione dell’inquinamento ambientale, con una minore emissione di CO- 2 nell’atmosfera ed un conside-revole risparmio sui costi futuri di risanamento ambientale;una importante ricaduta occupazionale in quei settori che accrescono l’efficienza energetica degli edifici - (aziende produttrici, tecnici e artigiani).

Come stimolare il territorio, rendere accattivante e conveniente un investimento per una migliore efficienza ener-getica?Oltre alle attuali agevolazioni previste a livello nazionale e regionale, si potrebbe prendere in considerazione l’idea di formare a livello comprensoriale uno staff di tecnici competenti ed abilitati, che ad un prezzo agevolato e concordato con la pubblica amministrazione forniscano a famiglie ed aziende i seguenti servizi:

Certificazione di classe energetica degli edifici (ormai obbligatoria in caso di vendita);- Individuare la priorità degli interventi da effettuare per una migliore efficienza energetica- Fornire un preventivo di massima corredato dal calcolo di risparmio energetico e quindi economico.-

La scelta di migliorare l’efficienza energetica di un edificio coinvolgerebbe così una pluralità di attori (aziende produttrici, artigiani, tecnici) ed avvierebbe un volano positivo nell’economia locale.Per esemplificare possiamo fare riferimento alla sostituzione dei serramenti (vetrate triple e con gas), all’isola-mento degli edifici con cappotti termici, all’impianto di riscaldamento con l’installazione di caldaie a condensa-zione, all’installazione di pannelli solari termici per la fornitura di acqua sanitaria e/o integrazione con l’impianto

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di riscaldamento esistente, alla posa di pannelli fotovoltaici, alle pompe di calore e alla micro-cogenerazione.Se puntiamo nel modo giusto a conseguire un risparmio energetico mediante interventi capaci di durare nel tempo, avremo dunque un ritorno importante in termini di occupazione locale e un miglioramento complessivo delle competenze tecniche disponibili sul territorio, oltre a conseguire l’obiettivo di inquinare di meno.

Spunti di riflessione: Quali principi di pianificazione e regolamentazione possono essere introdotti per rendere “naturali” le prati-•

che di risparmio energetico, sia nella realizzazione di nuove costruzioni, sia nell’uso quotidiano dell’energia? Come è possibile valutare la sostenibilità ambientale di eventuali nuovi insediamenti, abitativi e produttivi? • Quali sono le possibili risorse energetiche alternative già disponibili o da mettere in campo nel nostro territo-•

rio? Come utilizzarle? Come rendere conveniente la loro adozione? Quale la funzione, in questo campo, degli Enti Locali e degli Enti Economici?

Quali misure realisticamente efficaci possono essere assunte per limitare l’inquinamento dell’aria, del suolo e • delle acque?

È di livello sufficiente la separazione dei rifiuti e il loro riciclo? È possibile prevedere incentivi per premiare una • minore produzione di rifiuti ed il riuso delle materie prime (andando così al di là della raccolta differenziata e del riciclo dei materiali, che pure sono da promuovere per la quota di rifiuti comunque prodotti)?

Come abbassare i nostri standard di consumo e lo spreco di risorse?• È importante che il settore pubblico dia l’esempio, riducendo gli sprechi e utilizzando energie rinnovabili, sia a •

servizio degli edifici pubblici che per la gestione dei servizi pubblici? In che modo è possibile che ciò avvenga?

2. Verso nuovi modelli di produzione e consumo: i Gruppi d’acquisto solidale (GAS) e i Distretti di economia solidale (DES)Da alcuni anni è nata e si è diffusa anche nel Lodigiano l’esperienza dei Gruppi di Acquisto Solidale (GAS).Mediante questo strumento, in costante crescita in tutta Italia, recentemente tutelato e regolato da una precisa normativa nazionale, alcune centinaia di famiglie del nostro territorio affiancano alle forme convenzionali di acquisto e di consumo un nuovo modo di interagire con i produttori, più responsabile e informato, in grado di imprimere una svolta positiva al legame produttore-consumatore, aumentando la sicurezza e la sostenibilità dei prodotti acquistati. Questo avviene sia in campo sia alimentare che nel settore non food, intessendo relazioni solidali e di qualità, in grado di rendere le scelte di acquisto e di consumo uno strumento importante nell’indirizzare gli obiettivi di una parte del sistema economico, contribuendo così a lanciare un segnale concreto di cambiamento che può in prospettiva interessare e “contagiare” anche il più ampio contesto economico, sociale e politico.Dall’esperienza dei Gruppi di Acquisto Solidale, dai soggetti che operano nel commercio equo e solidale e nel campo della finanza etica, dalla sensibilità delle imprese che più di altre hanno investito nella sostenibilità, nell’eti-cità e nel rispetto dell’ambiente, negli ultimi anni, oltre a forme di collegamento tra GAS di una stessa provincia o regione, è stata avviata l’esperienza dei Distretti di Economia Solidale (DES), che si pongono l’obiettivo di mettere in relazione, collegandole in una rete di rapporti economici e di scambio di competenze, tutte le realtà produtti-ve e le associazioni di cittadini che credono nella possibilità di un nuovo modello di produzione e consumo e in uno stile di vita più sobrio e sostenibile. Si tratta dei primi passi di una vera e propria nuova “filiera” di economia eco-solidale, che in un territorio come il Lodigiano avrebbe molto da condividere in primo luogo con gli agricoltori, veri e propri custodi della terra e della sua ricchezza, ma anche con aziende di ogni settore che siano disposte a invertire la rotta e perseguire scopi di benessere più ampio, che non limitandosi all’aspetto produttivo e del ritorno economico si aprono a un nuovo protagonismo delle comunità locali nel determinare le basi fondamentali del proprio futuro.

Cos’è e perché nasce un GasUn Gas è un insieme di persone e di famiglie che decidono di incontrarsi per acquistare all’ingrosso prodotti alimentari o di uso comune, solitamente di produzione biologica o eco-compatibile (rispettosi dell’ambiente e dei lavoratori), da ridistribuire tra loro.Un gruppo d’acquisto diventa solidale nel momento in cui decide di utilizzare il concetto di solidarietà come

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criterio guida nella scelta dei prodotti. Solidarietà che parte dai membri del gruppo e si estende ai piccoli produt-tori che forniscono i prodotti, al rispetto dell’ambiente, ai popoli del Sud del mondo e a coloro che - a causa della ingiusta ripartizione delle ricchezze - subiscono le conseguenze inique di questo modello di sviluppo.Un Gas nasce perché ognuno possa dare una mano a cambiare il mondo… partendo dal carrello della spesa! Dietro questo gesto quotidiano si nascondono problemi di portata planetaria: inquinamento, spreco di risorse non rinnovabili, sfruttamento dei minori e dei lavoratori.Alla base della costituzione di un Gas c’è spesso una critica profonda verso il modello di consumo e di economia globale dominante, che si salda con la ricerca di una alternativa praticabile da subito. Il gruppo aiuta a non sentir-si soli nella propria azione quotidiana di critica al consumismo, a scambiarsi esperienze ed appoggio, a verificare le proprie scelte.

Come funziona un Gas e che scopi si prefiggeInsieme ci si occupa di ricercare nella zona piccoli produttori rispettosi dell’uomo e dell’ambiente, di raccogliere gli ordini tra chi aderisce, di acquistare i prodotti e distribuirli.Gli scopi che un Gas normalmente si prefigge sono:

Valorizzare la dimensione dell’acquisto collettivo, più efficace rispetto alla capacità del singolo· Perseguire la giustizia e la dignità nei rapporti di lavoro· Contribuire alla riduzione dell’impronta ecologica· Sostenere le produzioni “solidali”, dove sono utilizzate persone con disagio· Rendere più accessibili per tutti i partecipanti i costi di prodotti bio-ecologici· Favorire la nascita di un sistema economico alternativo (Distretti di economia solidale).·

L’obiettivo di fondo del Gas è allora quello di diffondere uno stile di vita sostenibile, che sappia coniugare sobrie-tà e benessere. Un obiettivo che i Gas declinano spesso nella “Regola delle quattro erre”:

Ridurre: badare all’essenziale;• Recuperare: riutilizzare e riciclare;• Riparare: rifiutare l’usa e getta;• Rispettare il lavoro altrui, l’ambiente.•

I distretti di economia solidale (DES)In genere per distretto si intende un territorio più o meno esteso - di regola inferiore a quello di una provincia - individuato in base a precise caratteristiche. Dal punto di vista economico “circoscrivere” un distretto è più difficile: in un’epoca di globalizzazione, limitare le pratiche e i rapporti economici a un piccolo territorio è sovente un problema. La scelta di considerare il distretto l’unità territoriale di base per la costruzione di un’economia solidale appare comunque oggi l’unica possibile, per tre ordini di motivi:

la tendenza del sistema verso la “• decrescita”: dal punto di vista ecologico non ha senso un sistema che per sostenersi e per “far girare” l’economia deve far viaggiare le merci su rotte intercontinentali. Questo è oggi reso possibile dalle speculazioni commerciali, e dal costo oggettivamente troppo basso dell’energia fossile;

i• costi: se diventa allora essenziale accorciare la filiera, non possiamo più permetterci di operare esclusivamen-te su aree economiche di grandi dimensioni;

la • partecipazione democratica al processo economico: nel distretto, i soggetti si conoscono tra loro, sanno dove il fornitore si procura le materie prime, e come lavorano i suoi fornitori.

In questo sistema le certificazioni, oggi essenziali, divengono meno centrali, se non superflue.Il distretto è un “laboratorio” di sperimentazione civica, economica e sociale, un esperimento di economia so-lidale. È un esperimento volontario tra volontari, e specifico, tra volontari attivi, che si impegnano a rispettare una serie di principi e di vincoli. Fanno parte di un DES:

le imprese dell’economia solidale e le loro associazioni: produttori agricoli biologici in primis, ma anche ope-• ratori nel campo dei servizi;

i consumatori, i GAS, le cooperative di consumo (di dimensioni compatibili con il distretto); •

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i risparmiatori, i finanziatori delle imprese e delle iniziative dell’economia solidale e le loro associazioni o im-• prese;

i lavoratori dell’economia solidale. •

La sfida di ogni DES è quella di mettere in comunicazione ‘preferenziale’ questi attori economici, avviando un circuito economico virtuoso e dimostrando che il sistema è sostenibile, cioè vantaggioso per tutti i suoi parte-cipanti.

3434 35Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.0

SCHEDA B.4IL LAVORO E IL SISTEMA PRODUTTIVO

Il Lodigiano, storicamente territorio di tradizione agricola, pur registrando la presenza di insediamenti produttivi di rilievo già dall’inizio del ‘900, ha conosciuto una stagione di diffusa e marcata industrializzazione solo nella seconda metà del secolo scorso; questo percorso storico, con l’evoluzione negli ultimi decenni di una pluralità di aziende che operano nei servizi del terziario (tradizionale o avanzato), e con il consolidamento di un tessuto imprenditoriale fatto di piccole e piccolissime imprese, per la gran parte appartenenti al comparto artigianale, ha fatto in modo che la struttura economica ed occupazionale del territorio non si discosti oggi, se non marginal-mente, da quella delle aree limitrofe, e in generale dai tratti fondamentali dell’economia lombarda. Questa premessa si può avanzare pur registrando nello stesso tempo un “peso specifico” ancora superiore alla media per quanto riguarda il settore primario e la filiera agroalimentare, e la persistenza di un forte pendolari-smo dei lavoratori lodigiani - qualunque ne sia il livello formativo, di competenza e di specializzazione - verso il capoluogo lombardo.Le dinamiche legate alla globalizzazione e alla conseguente delocalizzazione produttiva (connessa alla continua ricerca di costi più bassi della manodopera e facilitata dal settore di attività e dalla tipologia di imprese di medie e grandi dimensioni - per lo più multinazionali - caratterizzate da insediamenti rilevanti sul territorio), accentuate dalla crisi finanziaria ed economica in corso, hanno inciso negli ultimi anni in misura sempre più pesante sulla struttura economica del territorio, generando nuove ed ampie aree di disagio e di disoccupazione, a fronte di una classe imprenditoriale carente quando non assente, che raramente negli ultimi decenni ha saputo svolgere un ruolo trainante e di slancio nei confronti del territorio e del suo futuro, tendendo al contrario il più delle volte ad appiattirsi sulla rendita immobiliare o finanziaria e sul consumo - più che sulla valorizzazione ai fini produttivi - del territorio.Il contemporaneo ridimensionamento, a seguito delle note vicende degli scorsi anni, del ruolo di supporto al territorio esercitato storicamente dal suo più grande istituto di credito si è andato a sommare a un quadro complessivo di regressione delle opportunità produttive ed occupazionali che fa sentire i suoi effetti in tutto il Lodigiano.La constatazione del ruolo di supplenza esercitato dalle piccole e piccolissime imprese e la loro vitalità che sopravvive anche in questo momento di difficoltà, se da un lato costituisce un baluardo significativo per il man-tenimento dei livelli occupazionali, non può esimerci dall’affermare che, se si eccettuano alcuni esempi partico-larmente in controtendenza, che mettono in luce la capacità di creare occupazione e opportunità, soprattutto puntando sull’innovazione e sull’espansione del perimetro dei propri rapporti commerciali (non rari sono i casi in cui le aziende del territorio, titolari di piccole e grandi “eccellenze”, continuano ad avere all’estero il grosso del proprio bacino di clientela), gli unici lavoratori che possono guardare al proprio futuro con relativa sicurezza e tranquillità sono quelli impiegati in funzioni pubbliche o in comparti dipendenti da amministrazioni statali (pubblica amministrazione, scuola, enti locali, trasporti pubblici, sanità).Per tutti gli altri, e in modo particolare per la fascia più giovane (soprattutto se disoccupata o in condizioni di lavoro flessibile o precario) e per chi viene espulso in età avanzata dal circuito produttivo, le prospettive a breve termine non possono dirsi incoraggianti.

Questo quadro, prevalentemente a tinte fosche, viene ben tratteggiato da alcuni dati di fatto e dagli indicatori economici che caratterizzano sul nostro territorio l’inizio del 2010:

il processo di deindustrializzazione in corso, aggravato da una sorta di “fuga” delle multinazionali che operano • sul territorio;

il periodo di stagnazione che colpisce le piccole e medie imprese, reso più aspro dalla difficoltà crescente di • accesso al credito;

un comparto agricolo ingessato prevalentemente nella monocoltura;• il settore edilizio che si trova ancora in piena crisi;• il settore terziario, che fino a poco tempo fa fungeva da “compensatore produttivo”, che sta iniziato ad espel-•

lere gli esuberi.

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Le conseguenze più evidenti di questa situazione sono rappresentate dalle ricadute sull’occupazione, che regi-striamo con crescente preoccupazione e che non vedono chiaramente l’indicazione di una via d’uscita:

la cassa integrazione (ordinaria e straordinaria), che ha registrato nel 2008 un +201% (dato INPS provincia-• le);

la crescita del tasso di disoccupazione, che arriva all’8,5%, con un picco del 26% per la disoccupazione giova-• nile (dati nazionali 2009 ISTAT);

come già sottolineavamo, in questo contesto le categorie già svantaggiate e più colpite dalla crisi sono i gio-• vani, i lavoratori poco qualificati e gli immigrati.

Di fronte a uno scenario di questa complessità e difficoltà potrebbe sembrare arduo, se non impossibile, ragio-nare sull’economia lodigiana del futuro. Crediamo invece che siano molti gli elementi positivi già presenti, solo in embrione o già maturi, nel nostro territorio.Partendo da questi, da un nuovo protagonismo di tutti i soggetti che si confrontano nello spazio economico loca-le e dalla creatività che solo le nuove generazioni sono in grado di “iniettare” in una situazione che per molti versi può apparire ingessata, riteniamo possibile disegnare scenari e prospettive più rosee per il futuro del territorio.

Ci limitiamo qui a lanciare alcuni spunti per consentire a tutti di contribuire all’ampliamento delle riflessioni e alla ricerca di soluzioni percorribili, riservandoci di portare in una fase successiva un contributo più dettagliato al comune sforzo di “ri-costruzione” del tessuto economico lodigiano.

Riguardo alle prospettive di sviluppo economico, gli spunti di riflessione possono essere: Il futuro del territorio in ambito agricolo e agroalimentare può permettersi di limitarsi per lo più alla produ-•

zione di materie prime, o deve saper “fare distretto”, giungendo davvero al completamento delle filiere? In agricoltura, è giusto continuare su monocoltura e allevamento intensivo o non è più auspicabile un ritorno •

a forme più tradizionali, privilegiando la qualità e la redditività delle produzioni, a fronte di un territorio limi-tato e di una dimensione aziendale media altrettanto esigua?

Quali potrebbero essere i nuovi insediamenti produttivi da creare o da attirare/ospitare sul territorio? Quali • garanzie ambientali devono portare con sè? Come è possibile conciliarli con gli indirizzi urbanistici preferen-ziali?

Come promuovere e sostenere nuovi modi di fare impresa? Come ancorare le imprese esistenti e le nuove • imprese al territorio? Come introdurre una maggiore eticità nel fare impresa? Come diffondere a tappeto la cultura della sicurezza sul lavoro, la certificazione dei processi produttivi e la responsabilità sociale delle im-prese verso le comunità nelle quali operano?

Ricerca e sviluppo: è positiva la scelta del Parco Tecnologico? Come sostenere la ricerca e come renderla fruibile • sul territorio? Come sostenere e valorizzare il ruolo dell’Università per il miglioramento dell’economia del territo-rio?

Il lavoro a basso contenuto tecnologico “che emigra”, come potrà ritornare, se chi oggi lo produce ha raggiun-• to livelli qualitativi apprezzabili oltre al bassso costo?

Chi deve sopportare l’onere della bonifica dei siti industriali dismessi? Sarebbe possibile introdurre una sorta • di “fidejussione ambientale” per tutte le attività che più intensamente mettono a rischio con i loro processi produttivi l’ecosistema lodigiano? In che modo è percorribile la strada verso una riconversione “eco-soste-nibile” dei processi produttivi esistenti, diminuendo il peso dell’economia locale sul “futuro ambientale” del territorio?

È sufficiente il livello di confronto/collaborazione oggi esistente fra Enti Territoriali, Enti Economici, Associa-• zioni di Categoria, Sindacati, rappresentanti dei consumatori?

Le Associazioni di Categoria e i Sindacati possono essere ulteriormente protagonisti di scelte di sviluppo eco-• nomico, oltre a farsi interpreti di una doverosa difesa degli interessi di categoria?

Qual è oggi il ruolo della formazione professionale e più in generale del sistema formativo a supporto del • miglioramento delle condizioni economiche del Lodigiano? Quali aggiustamenti o quali interventi sono desi-derabili in questo settore?

Terzo Settore, Gruppi di acquisto solidale, Gruppi di acquisto popolare, Banca Etica: solo realtà marginali o • possibili entità decisive?

3636 37Costruiamo insieme il Lodigiano del futuro • Versione 2.0

Cibo, filiera corta e sovranità alimentareAltri spunti di riflessione in questo ambito si legano più strettamente con gli scenari aperti dall’Expo 2015, che in parte interesserà anche il territorio lodigiano:

Verso l’Expo 2015: “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”. Quali possono essere il ruolo e le potenzialità del • Lodigiano in questa prospettiva?

Filiera corta, km zero e incentivazione del consumo di prodotti stagionali e locali: quali i passi immediatamen-• te percorribili? Come dare un peso maggiore alla sovranità alimentare di ogni territorio nei confronti della tendenza alla monocoltura?

A quali condizioni è possibile parlare oggi di qualità e sicurezza alimentare, quando anche il nostro territorio • è stato interessato dalla “mucca pazza” e non sono ancora stati risolti i problemi posti dai nitrati e dall’eutro-fizzazione?

Come educare a dare maggiore valore (anche economico) al cibo, per non sminuire il lavoro di chi lo produce • e la sua qualità, che si lega anche alla salvaguardia e alla valorizzazione di tradizioni e culture gastronomiche locali?

Prodotti tipici del Lodigiano: quali sono le potenzialità per una loro migliore valorizzazione in chiave turistica?• Coltivazioni e prodotti di qualità per un territorio di qualità (importanza del ruolo degli agricoltori nella cu-•

stodia e nella cura del territorio): se opportunamente nel Lodigiano è stato costituito un marchio “Terra buo-na”, a cosa serve se i suoi prodotti non alimentano in primo luogo la filiera corta della ristorazione collettiva (mense aziendali, ospedaliere e scolastiche)?

Come si conciliano la cura e la salvaguardia ambientale con la produzione di inquinanti da coltivazione agri-• cola e da allevamento?

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SCHEDA B.5IL RISPARMIO E IL SISTEMA DEL CREDITO:

UNA FINANZA TRASPARENTE, SOLIDALE E DI PROSSIMITà

La crisi finanziaria e produttiva in essere da un paio d’anni ha posto, o meglio riproposto con maggior forza, alcune questioni di impostazione relative alle scelte sui risparmi, gli investimenti e il credito alle famiglie e alle imprese, nel Lodigiano così come negli altri territori del nostro Paese.In generale la crisi, nelle sue varie componenti, ha evidenziato infatti varie categorie di protagonisti in negati-vo: istituzioni finanziarie spregiudicate che hanno creato prodotti sofisticati rivelatisi non moltiplicatori di utili all’infinito ma bombe ad orologeria puntualmente scoppiate, una categoria di risparmiatori alla ricerca di grandi guadagni pronti a scommettere anche su rischi non ben percepiti, soggetti privati pronti ad indebitarsi oltre ogni ragionevole limite con carte di credito e prestiti al consumo di vario genere, banche e aziende impegnate a fare apparenti risultati di bilancio con strategie aggressive e di breve periodo.Come ben evidenziato nella recente enciclica di Benedetto XVI, Caritas in Veritate, oggi si impone perciò un cambiamento di mentalità che induca ad adottare nuovi stili nelle scelte dei consumi, dei risparmi e degli inve-stimenti.Occorre perciò un nuovo tessuto di relazioni virtuose che rinnovi il mondo finanziario, a partire dalle realtà più vicine, innestate sul territorio, per dare sia risposte alle urgenze di oggi sia nuove prospettive allo sviluppo auten-tico di domani.Il Lodigiano ha un tessuto economico composto da soggetti in grado di coprire adeguatamente un articolato insieme di ruoli: risparmiatori, imprenditori specie di piccole e medie imprese, aziende leader di settore, coope-rative sociali, banche e istituzioni finanziarie anche con specifico radicamento territoriale.Si può pensare perciò, anche in campo finanziario, di poter contribuire a determinare il futuro del territorio, e non di subire solo passivamente le ripercussioni dell’andamento dei mercati.

Le questioni di maggior rilevanza possono essere le seguenti: Il mondo imprenditoriale sente la responsabilità sociale verso il proprio territorio? È interessato a mantenere •

nel Lodigiano l’investimento dei propri capitali? A quali condizioni? Il mondo bancario e finanziario, in particolare per quanto riguarda le istituzioni con specifico radicamento •

territoriale nel Lodigiano, ha un’adeguata attenzione a fornire prodotti e servizi, nonché credito, ad iniziative imprenditoriali con requisiti di territorialità e di sensibilità ambientale e sociale?

Vi sono sufficienti criteri di trasparenza e rappresentanza territoriale nei meccanismi di nomina degli organi • amministrativi e di controllo delle Istituzioni bancarie locali?

Le Fondazioni presenti sul territorio, che gestiscono ingenti patrimoni finanziari ed erogazioni di denaro an-• che significative, applicano adeguati criteri di selezione dei soggetti richiedenti e di valorizzazione dei progetti presentati?

Enti di rappresentanza, Banche e Fondazioni attuano o sono interessate ad attuare forme di collaborazione, • con apporto delle proprie specifiche competenze, al fine di supportare progetti finalizzati alla creazione e/o allo sviluppo di imprese sul territorio e per il territorio? Possono trovare forme di assistenza tecnica e finan-ziaria alle imprese, specie medio-piccole, che sono insediate o intendono insediarsi nel Lodigiano?

Nel Lodigiano trovano spazio e sono sostenute e promosse le nuove forme di risparmio etico e di mutuo aiu-• to, in una logica di finanza solidale e di prossimità?

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