dispense di mariologia

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FACOLTÀ TEOLOGICA DELL’ITALIA SETTENTRIONALE MILANO GIOVANNI ROTA NOTE DI MARIOLOGIA ad usum auditorum Anno scolastico 2012-2013

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Teologia

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Page 1: Dispense Di Mariologia

FACOLTÀ TEOLOGICA DELL’ITALIA SETTENTRIONALE

MILANO

GIOVANNI ROTA

NOTE DI MARIOLOGIA

ad usum auditorum

Anno scolastico 2012-2013

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Mariologia: 2012/13 2

1 INTRODUZIONE

1.1 IL FENOMENO MARIANO NELLA CHIESA E NEL MONDO Esiste un fenomeno universale mariano. E si presenta come una realtà vivente, non semplicemente

come memoria di un passato. Noi ci limitiamo all’ambito del cattolicesimo, in cui è rilevante sul pi-

ano teologico, liturgico, spirituale e cultuale.

1.2 MARIA NEL CULTO DELLA CHIESA a) Nel calendario liturgico universale la chiesa riconosce a Maria un posto di rilievo. A Maria sono

dedicate 3 solennità (Maternità Divina, Immacolata concezione, Assunzione), 2 feste (Natività, Vi-

sitazione) e 11 memorie (Lourdes, Fatima, Guadalupe, Carmelo, Rosario, Addolorata, Regina, Pre-

sentazione, Cuore Immacolato, Santo Nome, Dedicazione della Basilica di S. Maria Maggiore), per

un totale di 16 celebrazioni liturgiche. Il riferimento a Maria è inoltre presente nei sacramenti, nei

sacramentali e nella liturgia delle ore. In preparazione all’anno mariano (1987/1988), infine, è stata

pubblicata la “Collectio missarum de Beata Virgine Maria” (1986) contenente 46 formulari per

messe “mariane”, col corrispettivo Lezionario.

A livello popolare il culto mariano ha un grande potere di convocazione e di invocazione. È un cul-

to fervido, anche se a volte rischia di non evidenziare la «nota trinitaria e cristologica» che in esso

«è intrinseca ed essenziale» (cfr. Paolo VI, Marialis cultus, n. 25).

A livello di élites il riferimento a Maria a volte è invece problematico: prima del concilio Vaticano

II nasce il cosiddetto “problema mariano” e dopo tale concilio scoppia la cosiddetta “crisi mariana”.

Nel 1963 René Laurentin scrive La question mariale, in cui segnala l’emergere di una tensione tra

la pietà cristocentrica, sostenuta soprattutto a partire da Pio X, e la pietà mariocentrica; in altri ter-

mini, tra una pietà che si dice mariana e una pietà che non si professa tale.

In effetti ci fu un incontro/scontro tra il movimento mariano post-tridentino e gli altri movimenti

ecclesiali che erano sorti nel XX secolo all’interno della vita ecclesiale, ossia:

- il movimento biblico;

- il movimento del ritorno ai padri della Chiesa;

- il movimento liturgico;

- il movimento ecumenico.

Questi movimenti erano accomunati da una medesima istanza: ritornare alle fonti (ressourcement).

Il Concilio Vaticano II nella Lumen gentium, al cap. VIII, ha tentato una sintesi tra queste tendenze,

ma nel periodo successivo è scoppiata la “crisi mariana”, ossia il decennio “senza Maria” (1964-

1974). La mariologia in questo periodo (‘64-’74) rasentava in modo inquietante lo “zero”. I segni di

crisi erano: l’assenza di riferimento a Maria nei trattati di cristologia e di ecclesiologia; la concezio-

ne verginale di Cristo ritenuta un theologumenon; la recessione quantitativa di pubblicazioni su Ma-

ria; la perdita (o scomparsa) di pii esercizi mariani come il Rosario. Probabilmente si avvertiva il

contrasto tra i contenuti del culto mariano e «odierne concezioni antropologiche» (Marialis cultus,

introduzione). Nel 1974 Paolo VI scrisse l’esortazione apostolica “Marialis cultus” per sollecitare

un culto adeguato e necessario di Maria. Rilanciando questa iniziativa, nel 1987 Giovanni Paolo II

ha pubblicato l’enciclica “Redemptoris Mater” sulla Beata Vergine Maria nella vita della Chiesa in

cammino.

Nonostante, però, i due documenti e i numerosi studi da essi sollecitati, le difficoltà non sono scom-

parse: nel 1988 la Congregazione per l’educazione cattolica ha emanato la nota circolare su “La

vergine Maria nella formazione intellettuale e spirituale”, sollecitando la predisposizione di un cor-

so sistematico su Maria (cfr. Enchiridion Vaticanum, XI, 283ss).

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1.3 LA RIFLESSIONE TEOLOGICA La mariologia è nata come trattato separato nell’età moderna. Il primo a scrivere qualcosa che as-

somiglia a un trattato è Francisco Suarez (1548-1617). Egli aveva l’intento di superare la spropor-

zione fra la «dignità grandissima della Vergine e la brevità di quanto si dice intorno a Lei» nella

consuetudine scolastica. Scrive dunque le “Quaestiones de B.M. Virgine quattuor et viginti in Sum-

ma contractae” (1584/85) incentrate sulla divina maternità e basate sul principio di convenienza.

San Tommaso, infatti, nella terza parte della Summa theologiae (nelle questioni 27-35) in connes-

sione con la parte cristologica aveva dedicato una riflessione a Maria. Suarez rielabora tali questioni

e le amplia in 24 questioni. Più tardi le rifonderà nell’opera “Mysteria vitae Christi” (1592) in cui

amplierà le 9 questioni di san Tommaso in 23 dispute.

Un altro autore significativo è Placido Nigido: egli fu, infatti, il primo a coniare il termine “mario-

logia” nel 1602 con l’opera “Summae sacrae mariologiae pars prima”. Egli riconosceva il legame

del discorso su Maria con il discorso su Cristo, ma optò comunque per una trattazione separata.

Da allora la fioritura di questi trattati è impressionante. Essi seguono in genere il principio: “Deus

potuit, decuit, ergo fecit” (Dio poté, era conveniente, dunque fece): essendo le possibilità divine in-

finite, si trattava di vedere se i “privilegi” convenissero a Maria per l’onore e il ruolo che Dio le a-

veva concesso nell’opera della redenzione. In questa impostazione è riconoscibile un duplice inten-

to polemico che fa capire perché la mariologia è nata in epoca moderna:

a) reagire ai riduzionismi protestanti. I riformatori si opponevano alla presentazione che veniva fat-

ta di Maria da parte cattolica. Karl Barth così si esprime: «Nella dottrina mariana e nel culto maria-

no appare l’eresia della chiesa cattolica romana, quella che permette di comprendere tutte le altre: la

Madre di Dio nel dogma cattolico romano è il principio, il prototipo e il condensato della creatura

umana che coopera alla propria salvezza in base a una grazia preveniente» (KD, 1938, I/2, 157);

b) reagire contro il razionalismo e il soggettivismo allora dilagante.

Con queste opere la mariologia simbolica (cioè la mariologia intesa come atto di culto e non tanto

come approfondimento sistematico) conosce il massimo sviluppo. Suarez dice esplicitamente che

vuole cogliere attraverso il discorso sulle convenienze molti misteri sulla Vergine non tramandati

dalla Scrittura e dalla Tradizione. La vergine Maria è assimilata al Figlio, è madre di misericordia

(mentre al Figlio è attribuito il giudizio …).

Questo movimento trova alimento nelle apparizioni mariane del XIX secolo (Rue du Bac, La Salet-

te, Lourdes, Fatima). Ma nel XX sec. sorgono dei movimenti quasi in reazione a questo movimento

mariano che, partito dal 1500, arriva fino alla metà del 1900.

Questi nuovi movimenti ecclesiali riguardano tre ambiti.

1) Movimenti che auspicano un ritorno alle fonti:

a) il movimento biblico: si riscoprono i passi “antimariani”, cfr. Lc 11,27-28 (Mentre diceva

questo, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno

che ti ha allattato!». Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osser-

vano!”) perché sembrano contraddire la tesi che la maternità divina sia una grazia superiore alla ca-

rità. Tuttavia il movimento biblico ha riscoperto altri aspetti di Maria presenti nel NT, che erano sta-

ti dimenticati.

b) il movimento patristico: esso sembrava azzerare la mariologia perché i Padri della Chiesa

parlano di Maria parlando della chiesa. Addirittura alcuni, come Origene, pensano che Maria avesse

attraversato momenti di difficoltà.

2) Movimenti teologici:

a) movimento ecclesiologico: è nato per rimediare ad uno squilibrio nel trattato sulla chiesa.

Infatti il trattato era ormai diventato un trattato sulla gerarchia ecclesiastica. Tale movimento ha ri-

trovato in Maria un elemento importante per sottolineare la dimensione non istituzionale, di vita di

grazia, della chiesa.

b) movimento della teologia della storia della salvezza: ha voluto recuperare la storicità del-

la salvezza superando l’astrattezza dei trattati precedenti. Ciò facendo, si scopre che la Vergine è

presente nei momenti nodali della storia della salvezza.

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3) Movimenti pastorali:

a) movimento liturgico: riporta la pietà mariana all’essenziale, eliminando le innumerevoli

ricorrenze mariane; il Concilio Vaticano II ha ricollocato le celebrazioni mariane in connessione col

mistero di Cristo.

b) il movimento ecumenico: ha permesso di riscoprire aspetti che sono presenti e valorizzati

nelle altre chiese.

1.4 IL CONCILIO VATICANO II Il Concilio s’è trovato di fronte alla sfida di sintetizzare e condurre ad una feconda unità i due gran-

di movimenti spirituali1:

a) il movimento mariano che con Pio XII e il dogma dell’Assunta (1950) aveva raggiunto il suo a-

pice;

b) gli altri movimenti ecclesiali appena menzionati (movimento biblico, patristico, ecclesiologico,

teologico, liturgico, ecumenico).

In particolare al movimento mariano si contrapponeva il movimento liturgico. Infatti il movimento

liturgico era per:

- una religiosità “oggettiva” e sacramentale;

- il carattere teocentrico della preghiera: al Padre, attraverso il Figlio, nello Spirito Santo;

- un culto che si orientasse alla Bibbia e alla Chiesa delle origini.

Invece il movimento mariano:

- sottolineava l’aspetto “soggettivo” e devozionale della religiosità;

- nella preghiera lo slogan era “ad Jesum per Mariam”: sembrava mancare il riferimento trini-

tario;

- nella liturgia e nelle pratiche di pietà voleva valorizzare le tradizioni del Medioevo e dell’età

moderna.

Lo scontro tra queste due posizioni divenne palese il 29 ottobre 1963, quando si tenne una votazio-

ne circa l’opportunità di inserire la riflessione su Maria nella Costituzione sulla chiesa (l’alternativa

sarebbe stata quella di scrivere un documento a parte). Le due linee di pensiero erano dette: a) cri-

stotipica (sottolineava la vicinanza di Maria a Cristo ed era propensa ad una trattazione separata); b)

ecclesiotipica (Maria è creatura e credente, dunque membro della chiesa). Due relatori si fecero por-

tavoce di queste due linee: Rufino Santos (vescovo di Manila) per la prima e Franz König (vescovo

di Vienna) per la seconda. I risultati della votazione furono: 1074 voti a favore di una trattazione

separata; 1114 voti a favore dell’integrazione nel documento sulla chiesa. Vinse dunque per soli 40

voti la linea ecclesiotipica. Si cercò allora di sintetizzare le due linee, scrivendo il capitolo VIII del-

la Lumen gentium per inserire Maria nella prospettiva storico-salvifica senza perdere il suo rapporto

col Figlio e con la Chiesa. Ecco perché il capitolo VIII della Lumen gentium è diviso in due parti: I)

Maria nel mistero di Cristo (nn. 55-59); II) Maria nel mistero della Chiesa (nn. 60-68).

I criteri seguiti per questo testo sono:

- 1) criterio biblico (senza tacere i passi problematici);

- 2) criterio antropologico (il peregrinare di Maria nella fede);

- 3) criterio ecumenico (si evitano titoli mariani problematici, come “corredentrice”);

- 4) criterio pastorale (Maria modello per la Chiesa per la sua fede, carità e testimonianza).

I nn. 52 e 69 collocano Maria nel mistero della Trinità e della sua autocomunicazione salvifica nella

storia.

Il concilio ha dunque tentato questa sintesi, ma nella vita concreta della Chiesa questo capitolo sin-

tetico non sempre ha trovato realizzazione. Di fatto è seguito un decennio di crisi. In particolare ci

furono due fenomeni che contribuirono a questa crisi.

1) Uno interno alla Chiesa, ossia il fraintendimento di alcune asserzioni conciliari circa la tradizio-

ne. Riducendo la questione del rapporto tra Scrittura e tradizione a quella di una eventuale “suffi-

1 C. ANTONELLI, Il dibattito su Maria nel Concilio Vaticano II. Percorso redazionale sulla base di nuovi documenti di

archivio, EMP, Padova 2009.

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Mariologia: 2012/13 5

cienza” contenutistica della Scrittura rispetto alla tradizione, si è arrivati ad un biblicismo esagerato,

che dimentica la recezione della Scrittura nella storia della Chiesa ed assume come unico metodo di

lettura della Scrittura quello storico-critico. Il risultato di una tale lettura viene poi adoperato come

criterio per valutare l’opportunità del culto di Maria (lo “storicismo” che sfocia nel difetto

dell’archeologismo segnato dallo schema della “decadenza”). Concretamente si ha dunque

l’abbandono di quelle forme devozionali non “fondate” biblicamente. Così pure nei confronti di al-

cuni dogmi mariani si comincia a sollevare dei dubbi.

2) Un fenomeno esterno: il mutamento della figura della donna nell’epoca moderna. Con il femmi-

nismo è andata in crisi l’immagine ideale della donna sottomessa. Dunque si rifiuta la figura di Ma-

ria quale concretizzazione di quell’ideale ormai andato in crisi. L’emancipazione della donna ha

portato ad emanciparsi dal culto mariano che sembrava veicolare un modello obsoleto di donna.

1.5 DOPO IL CONCILIO Due sono i documenti magisteriali importanti: I) l’esortazione apostolica “Marialis cultus” di Paolo

VI (2 febbraio 1974, in occasione della festa della presentazione di Gesù al tempio); II) l’enciclica

“Redemptoris Mater” di Giovanni Paolo II (25 marzo 1987, solennità dell’Annunciazione).

L’esortazione apostolica di Paolo VI aveva lo scopo di incrementare il culto della madre del Signo-

re nella linea del Concilio Vaticano II. Paolo VI suggerisce che il culto mariano trova il suo posto

nella liturgia perché nella liturgia la memoria di Maria è legata strettamente alla celebrazione dei

misteri della vita di Cristo. Maria è proposta a modello di come la Chiesa celebra e vive i misteri

divini. Paolo VI, inoltre, invita a tenere presenti nel culto a Maria tre “note” (nota trinitaria, cristo-

logica ed ecclesiale) e quattro orientamenti (biblico, liturgico, ecumenico ed antropologico).

Infine il pontefice ribadisce il valore teologico e pastorale del culto mariano.

L’enciclica di Giovanni Paolo II vuole invece essere una meditazione personale sul capitolo ottavo

della Lumen gentium. Egli pone una forte accentuazione sulla fede di Maria: sottolinea il suo pelle-

grinare nella fede e la sua presenza nel cammino storico della fede della Chiesa. Inoltre la “Redem-

ptoris Mater” precisa il senso della mediazione di Maria, mediazione che non deve essere intesa al

pari di quella del Figlio, ma nel senso che è una mediazione materna, essendo quindi subordinata

alla mediazione di Cristo. La mediazione mariana rimane comunque unica e speciale.

1.6 PROBLEMI METODOLOGICI PER UN TRATTATO DI MARIOLOGIA Ci sono principalmente due problemi metodologici per un trattato di mariologia

2.

1. La questione della fondazione del trattato con una consistenza autonoma: è possibile scrivere un

trattato autonomo di mariologia?

Un trattato si può fare purché non si separi dagli altri temi teologici. Il trattato di mariologia è speci-

fico perché mostra di riferirsi a tutti i vari trattati: cristologico, ecclesiologico, antropologico. Maria

è all’incrocio dell’opera di Dio in Cristo che raccoglie la chiesa. I vari dogmi sottolineano ora l’uno,

ora l’altro aspetto. Da questo punto di vista possiamo dire che in Maria si rispecchia il riflesso dei

vari misteri della nostra salvezza. Da una parte dunque la mariologia tratta temi comuni ad altri trat-

tati, ma dall’altra essi si riferiscono a Maria in un modo tutto particolare.

2. Quale deve essere il principio di sintesi attorno a cui organizzare lo sviluppo della riflessione?

Si sono avanzati due principi di sintesi: la linea cristotipica e la linea ecclesiotipica. La prima linea

si basa sul nesso, sottolineato dai Padri della chiesa, tra Maria e il Figlio: i dogmi relativi a Maria

sono in realtà relativi al Figlio, per cui si scorge un’analogia tra Maria e Gesù. La seconda linea è

più recente. Sembra che il Concilio Vaticano II abbia scelto soprattutto questa seconda linea, non

ripudiando comunque la prima.

Su questi problemi metodologici si possono fare alcune osservazioni.

2 J. RATZINGER, “Considerazioni sulla posizione della mariologia e della devozione mariana nel complesso della fede e

della teologia”, in ID., Maria chiesa nascente, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1998, 11-27.

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a) Le affermazioni su Maria sono nate in relazione alla cristologia. E questo è un dato di fatto. È ve-

ro però che ciò non poteva costituire una vera e propria mariologia.

b) Al tempo dei Padri della chiesa la mariologia era già delineata nell’ecclesiologia, senza però che

venisse espressamente nominata la madre del Signore. Certamente l’ecclesiologia non è separabile

dalla cristologia, eppure essa ha una sua autonomia. Essa è il corpo di Cristo, ma anche la sposa che

sta di fronte a Cristo (Cfr. Ef 5).

c) Nel medioevo si ha una convergenza fra un’ecclesiologia presentata in categorie personali e la

mariologia elaborata in relazione al Figlio. In particolare l’iniziatore di questo approccio fu S. Ber-

nardo. Fiorì dunque una mariologia a sé stante. La riflessione su Maria non venne più subordinata

all’ecclesiologia o alla cristologia.

d) Maria fa parte della chiesa, ma a titolo speciale: solo essa è la madre del Signore.

e) I testi di Mc 3,33-353 e di Lc 11,27-28

4 ci invitano a non dare peso solo alla maternità biologica.

E questo sarà possibile solo con un’ermeneutica che riconosce che al centro della salvezza operata

da Dio nella storia c’è Cristo e la sua chiesa, intesa come unione della creatura col suo Signore. Os-

sia Cristo non è mai “solo”5, ma è sempre “insieme” con la creatura che vi corrisponde. Se Cristo e

chiesa sono il fulcro ermeneutico della Scrittura, troviamo anche il luogo in cui poter collocare cor-

rettamente la maternità di Maria, in modo che diventi teologicamente significativa: per la sua ma-

ternità Maria è l’ultima concretizzazione personale della chiesa; Maria nel suo sì è l’Israele in per-

sona, è la Chiesa in persona e quale persona. Ella è certo questa personalizzazione della Chiesa per-

ché, a motivo del suo “fiat”, è diventata la madre del Signore. Ma questo fatto biologico è realtà

teologica perché è realizzazione del più profondo contenuto spirituale dell’alleanza di Dio libera-

mente stipulata con Israele. Come ci ricorda Luca6 (cfr. Lc 1,45 Lc 11,28) Maria è colei in cui si

realizza l’alleanza di Dio con Israele: poiché Gesù è l’Alleanza, Maria è l’Israele che accoglie que-

sta alleanza. Di conseguenza factum e mysterium facti, fatto e senso, sono inseparabili. Ne deriva

pertanto che la mariologia non può mai essere puramente mariologia, perché essa si colloca

nell’insieme unitario della struttura fondamentale di Cristo e Chiesa, come espressione, la più con-

creta, della loro connessione.

f) La mariologia ha quindi relazione con:

1. l’ecclesiologia

In questo senso la mariologia ha una funzione positiva di chiarimento e di approfondimento.

Joseph Ratzinger in proposito avanzava tre rilievi7:

1) all’impostazione maschilista, attivistica, sociologica di una certa teologia del popolo di

Dio si contrappone il fatto che la chiesa è femminile. La chiesa è qualcosa di più di un popolo, di

una struttura, di un’attività. In essa vive il mistero della maternità e dell’amore sponsale che rende

possibile tale maternità. Perciò è possibile un amore per la chiesa. Se la chiesa è vista solo come i-

stituzione, viene a mancare proprio il suo centro: l’amore e la fede nei confronti del suo Signore.

2) Paolo ha espresso la differenza specifica tra la chiesa del NT e Israele dell’AT col concet-

to di corpo di Cristo. È uno dei pochi concetti che si trovano solo nel NT. La chiesa non è dunque

un’organizzazione, ma l’organismo di Cristo. E la chiesa diventa popolo di Dio solo per la media-

zione di Cristo. Infatti noi non discendiamo per “generazione” da Israele. La chiesa realizza piena-

mente il suo essere corpo di Cristo nell’Eucaristia. Questa suppone la croce e la risurrezione come

condizione di possibilità. Paolo però parla di “corpo di Cristo” in un modo specifico: non nel senso

3 Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che erano seduti at-

torno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e

madre». 4 Mentre diceva questo, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti

ha allattato!». Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!». 5 P. BEAUCHAMP, Jésus-Christ n’est pas seul. L’accomplissement des Écritures dans la Croix, in ID., Le récit, la lettre

et le corps, CoFi 114, Cerf, Paris19922, 71-105.

6 «E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45).

7 J. RATZINGER, “Considerazioni sulla posizione della mariologia …”.

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Mariologia: 2012/13 7

di un “cristomonismo” (così che la chiesa e quindi la creatura vengano assorbite nella unicità del

Cristo), ma nel senso della formula di Gen 2,248 (cfr. Ef 5,31-32)

9. La chiesa è corpo e carne di Cri-

sto nella tensione spirituale dell’amore in cui si compie il mistero coniugale di Adamo ed Eva, di

un’unità che non elimina la dinamica dell’essere uno di fronte all’altro.

3) La mariologia non può essere assorbita nell’oggettività dell’ecclesiologia. Infatti il pen-

siero tipologico dei Padri della chiesa non si riduce ad una esemplificazione di verità teologiche ge-

nerali, perché in teologia non si deve ricondurre la persona ad una verità generale, ma si fa il contra-

rio: si riconduce la verità generale ad una persona. Allora la chiesa attraverso la figura singolare di

Maria diviene riconoscibile nella sua fisionomia personale. Ciò salva la chiesa e l’ecclesiologia dal

degenerare in una semplice istituzione che persegue un programma di azione.

Viene dunque ristabilita la sfera affettiva della fede e diventa impossibile pensare la chiesa come un

programma di azione che tenta di realizzare il programma “Gesù”.

2. l’antropologia teologica. a) al centro della storia della salvezza ci sta il mistero di Cristo, inteso come capo e corpo,

che cioè abbraccia la creazione redenta nella sua autonomia relativa. Essa orienta lo sguardo alla

creazione: al mistero della creatura, che da Dio è chiamata ad una risposta libera e ne è resa capace.

b) Nella mariologia si chiarifica che la dottrina sulla grazia non termina con l’annullamento

della creazione, ma la grazia permette il “sì” definitivo della creazione stessa: la mariologia diventa

così la garanzia dell’autonomia della creazione, la garanzia di una creazione rettamente intesa.

c) Maria, nel suo essere confrontata con la chiamata di Dio, si presenta come rappresentante

della creazione da Lui interpellata e della libertà della creatura che nell’amore non svanisce ma si

realizza. È lei la rappresentante dell’uomo salvato e libero, ma proprio in quanto donna, cioè nella

determinazione corporea che è inscindibile dall’essere umano: cfr. Gen 1,27. Nella Scrittura il “bio-

logico” e l’“umano” sono inseparabili, così come l’umano e il teologico. Al contrario, il movimento

di “emancipazione” mira all’essere come Dio (Gen 3,5), ma finisce per distaccarsi dalla sua deter-

minazione biologica. La differenza sessuale viene rigettata come estranea alla persona. Il biologico

viene quindi “cosificato”, cioè considerato come dimensione non personale. Conseguenza ultima è

l’annullamento della dignità dell’uomo. Sintomo di ciò si ha proprio nella questione della maternità:

una emancipazione che neghi il bios è in particolare un attacco alla donna, una negazione del suo

diritto ad essere donna. La conservazione della creazione è invece legata particolarmente proprio

alla donna, cioè a colei in cui il biologico è teologico grazie alla divina maternità. L’indicazione ge-

nesiaca che la donna è “madre di tutti i viventi”, suggerisce infatti un nesso arcano tra l’opera della

donna e l’originaria opera del Dio della vita: nel gesto stesso del generare è iscritta una promessa

obiettiva relativa alla verità della vita10

.

d) Alla stregua della maternità, la verginità di Maria è la conferma dell’umanità del biologi-

co, della totalità dell’uomo davanti a Dio e della inclusione del suo essere-uomo come maschio e

femmina nella esigenza escatologica e nella speranza escatologica della fede. Non è un caso che la

verginità ― seppur forma di vita possibile e destinata anche all’uomo ― venga primariamente for-

mulata a partire dalla donna, considerata l’autentica guardasigilli della creazione, e che trovi in lei

la sua forma decisiva e completa.

8 «Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne».

9 «Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo

mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!». 10

«“L’uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi” (Gen 3,20). Hawwah è nome ricondotto

alla medesima radice del verbo hajah, che vuol dire “vivere”, ma anche “essere”. Questo è il medesimo verbo a cui fa

riferimento il nome stesso di Jahvè, spiegato con “egli è” o anche “egli fa essere” (cfr. Es 3,14). Le parole suggeriscono

in ogni caso un arcano nesso tra l’opera della donna e l’originaria opera di Dio che fa vivere. La donna-madre dunque è

colei che dà la vita, che è “madre di tutti i viventi”. Proprio in quanto tale ella appare come nemica del “serpente” a tito-

lo speciale. Nel gesto stesso di generare infatti, e più precisamente di portare prima in grembo la sua creatura e quindi

metterla al mondo, è iscritta una promessa obiettiva: quella relativa alla verità della vita»: G. ANGELINI, Il figlio. Una

benedizione, un compito, Vita e Pensiero, Milano 1991, 136.

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Mariologia: 2012/13 8

2 PRIMA PARTE: MARIA NELLA TESTIMONIANZA DELLA

SCRITTURA

Parliamo di “Scrittura” e non solo di NT, perché possiamo riconoscere nell’AT alcune linee interes-

santi che nel NT servono a interpretare il ruolo di Maria nella storia della salvezza11

.

2.1 MARIA NELL’ANTICO TESTAMENTO

Individuiamo in particolare tre linee tradizionali:

- I) l’immagine delle madri di Israele (Sara, Rebecca, Lia, Rachele, Bila e Zilpa, Anna, etc.);

- II) la linea teologica-profetica della figlia di Sion (è il modo con cui i profeti hanno presen-

tato il mistero dell’alleanza e di Israele);

- III) la figura di Eva e della donna in genere (usata soprattutto da Giovanni).

La pietà e la teologia mariana si fondano, dunque, su una teologia della donna, già presente nell’AT.

Anche se generalmente si dice che le donne non abbiano un posto di rilievo nell’AT. E questo per-

ché nell’AT i profeti combattono il politeismo, che si presentava in genere come religione della fe-

condità che ritrova in Dio la distinzione sessuale di maschio e femmina. Connesso con il politeismo

c’era anche il fenomeno della prostituzione sacra. Con questa pratica l’uomo si inseriva nei cicli

della natura. L’idolatria è infatti spesso presentata sotto la figura della fornicazione. Di conseguenza

il culto di Israele sarebbe primariamente affare degli uomini, poiché durante la sua celebrazione la

donna rimane nel vestibolo del tempio. Da questo fatto alcuni concludono che la donna non avrebbe

una collocazione positiva nell’AT e quindi la mariologia non sarebbe una ripresa di una teologia

della donna dell’AT, ma la ripresa di un modello di culto non biblico. Inoltre alcuni autori dicono

che il concilio di Efeso non avrebbe fatto altro che riscoprire e trasformare il culto di Artemide,

molto florido e diffuso ad Efeso già al tempo di Paolo (At 19,23-41).

Occorre dire però che sono falsi i presupposti veterotestamentari di questo modo di vedere, perché

se la fede profetica rigetta il modello delle divinità in “sizigia”, ossia in coppia, e la loro corrispon-

denza nella prostituzione sacra, quella stessa fede profetica assegna alla donna una posizione indi-

spensabile, la cui corrispondenza nella vita umana è il matrimonio. Se i culti della fecondità trovano

il corrispettivo nella prostituzione sacra, la fede nel Dio dell’Alleanza si esprime nel rapporto uo-

mo-donna presente nel matrimonio. Il matrimonio è in consonanza con l’immagine di Dio vera e

propria presente nell’uomo maschio e femmina (Gen 1,27). Questa traiettoria trova la esplicazione

più perfetta in Mc 10,1-1212

e in Ef 5,31-32.

2.1.1 La prima linea: Eva

La prima linea veterotestamentaria è quella relativa alla figura di Eva. Eva è colei che sta necessa-

riamente di fronte all’uomo Adamo, che senza di lei si troverebbe in una condizione non “buona”13

.

Eva non viene dalla terra, ma da Adamo. Ciò significa l’intima reciproca correlazione tra l’uomo e

la donna. Correlazione in cui soltanto si compie la totalità dell’umano come uomo e donna (cfr. an-

11

Ci ispiriamo in particolare a: J. RATZINGER, La figlia di Sion. La devozione a Maria nella Chiesa, Jaca Book, Milano

19952, 11-28; I. DE LA POTTERIE, “Introduzione: Lo sfondo biblico della figura neotestamentaria di Maria”, in ID., Ma-

ria nel mistero dell’alleanza, Marietti, Genova 1988, 17-32; A. SERRA, “La presenza e la funzione della madre del Mes-

sia nell’Antico Testamento. Principi per la ricerca e applicazioni”, in Maria di Nazaret nella Bibbia, Dizionario di Spi-

ritualità Biblico-Patristica vol. 40, Borla, Roma 2005, 15-142, con bibl.; ID., La Donna dell’Alleanza. Prefigurazioni di

Maria nell’Antico Testamento, EMP, Padova 2006. 12

Partito di là, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo

egli insegnava loro, come era solito fare. Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è

lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè

ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse

per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e

sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dun-

que l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». 13

Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda»: Gen. 2,18.

Page 9: Dispense Di Mariologia

Mariologia: 2012/13 9

che Gen 1,27). Questa relazione può essere però ambivalente: può trasformarsi infatti in una rela-

zione di seduzione. Eva rimane comunque la madre di tutti i viventi, conservando quella potenza

(vita) antagonista della morte. La donna, che porge il frutto della morte, il cui compito è misterio-

samente affratellato alla morte, è anche la guardasigilli della vita e l’antitesi della morte. In tal mo-

do la donna, che porta la chiave della vita, tocca direttamente il mistero dell’essere, il Dio vivente,

dal quale in definitiva proviene ogni vita e che proprio per questo è chiamato la Vita, il Vivente.

2.1.2 Seconda linea: le grandi madri dell’A.T.

a) Nelle storie della promessa dell’AT non ci sono solo i padri, ma anche le madri e spesso sono

presentate a coppie: Sara e Agar, Rachele e Lia, Anna e Peninna, etc.

b) Spesso in queste coppie c’è una contrapposizione tra fertilità e sterilità. E a volte si giunge ad

una contrapposizione di valori perché sembra che sia la sterilità ad essere benedetta. C’è un senso

teologico in tutto ciò: è il sovvertimento di cui parlerà Paolo nelle sue lettere (Rm 4; Gal 3,1-14;

4,21-31): vero figlio di Abramo non è il discendente fisico, ma colui che in modo nuovo viene con-

cepito dalla forza creatrice della parola della promessa di Dio. Non già la vita fisica in quanto tale è

ricchezza, ma solamente la promessa, che sta oltre la vita, trasforma la vita completamente in vita.

c) Il canto di Anna, ripreso nel Magnificat, sviluppa da questo tema una teologia della grazia (1Sam

2,8). Per Anna (e per Maria nel Magnificat) in questo singolare fenomeno delle donne non benedet-

te-benedette, risplende l’attenzione di Dio per il misero, per l’impotente… e l’amore di Dio che

quell’attenzione comporta. Si annuncia il mistero dell’ultimo posto (Lc 14,10), lo scambio di posto

tra primi e ultimi (Mc 10,31), il rovesciamento dei valori del discorso della montagna, il rovescia-

mento dei valori terreni che si fondano sulla hybris. Ma anche la teologia della verginità trova il suo

primo spunto ancora velato: la sterilità terrena diventa fecondità vera…

d) In testi tardivi appaiono nuove figure salvatrici di donna (Ester, Giuditta), che riprendono la figu-

ra antica di Debora, donna giudice (Giudici 4-5). Ester e Giuditta si trovano in una situazione di op-

pressione, rappresentano l’Israele sconfitto, oltraggiato, ma anche la forza spirituale, indistruttibile

di Israele, la speranza. Sono la debolezza umana in cui Dio rivela la sua forza.

2.1.3 Terza linea: La figlia di Sion

In questa terza linea troviamo il punto centrale della teologia veterotestamentaria della donna: lo

stesso Israele, il popolo eletto, viene presentato come donna, come vergine, come amata, come spo-

sa, come madre. Le grandi donne di Israele rappresentano ciò che questo stesso popolo è. La storia

delle donne del popolo d’Israele diventa la teologia del popolo di Dio e quindi diventa insieme la

teologia dell’alleanza. Il termine alleanza è un termine preso dai patti di vassallaggio, dove il rap-

porto tra il re e il suo vassallo, è paragonato a quello di Dio con il suo popolo. Nella teologia profe-

tica questo concetto politico-giuridico dell’alleanza viene sempre più approfondito e superato: il

rapporto di alleanza tra Yhwh e Israele è un’alleanza di amore matrimoniale (Os 2; Ger; Ez), per cui

Dio è lo sposo del suo popolo Israele (visto come donna). Ed essendo stato Dio stesso a stabilire

l’alleanza, quest’ultima sarà irreversibile ed eterna, un’alleanza matrimoniale come nel rapporto fra

uomo e donna: all’unico Dio appartiene Israele. Stando così le cose, l’alleanza, sulla quale si fonda

l’essere popolo di Israele e l’essere israelita di ogni singolo, si manifesta tra le persone nella fedeltà

dell’alleanza matrimoniale: il matrimonio è la forma, derivante dall’alleanza, del rapporto reciproco

tra uomo e donna, rapporto reciproco su cui si basa tutta la storia umana. Essa racchiude in sé teolo-

gia, anzi, essa è veramente possibile e comprensibile solamente sul piano teologico. Ma prima di

tutto, ciò significa anche: a Dio, all’Unico, non appartiene una dea, ma secondo la rivelazione che

egli fa di se stesso, gli appartiene la creatura eletta, Israele, la Figlia di Sion, la donna.

Nell’AT questa linea resta incompiuta e aperta in attesa di quella donna che viene designata come il

vero resto santo, come la vera Figlia di Sion e che perciò diventa la madre del Redentore.

Page 10: Dispense Di Mariologia

Mariologia: 2012/13 10

2.1.4 Quarta linea: la linea sapienziale

Questa linea non si trova nel NT, bensì nella liturgia della chiesa, che riprende le linee di Ester e di

Giuditta e le letture sulla sapienza. La linea sapienziale è una linea tardiva di Israele che sviluppa le

figure della sapienza (sophía), ripresa da modelli egiziani adattati alla figura di Israele.

La sapienza si presenta come intermediaria della creazione, della storia della salvezza, come la pri-

ma creatura di Dio, nella quale si esprime la pura figura originaria della sua volontà creatrice e, al

tempo stesso, la pura risposta che egli trova in essa. La creazione risponde e la risposta è vicina a

Dio come compagno di giochi, come un’amante (Prov 8; Sir 24).

La liturgia della chiesa ha riferito a Maria le letture sulla sapienza. Questo fatto è stato assai critica-

to dal movimento liturgico: in conseguenza del suo orientamento biblico ha riletto questi testi in

un’ottica cristologica, essendo Cristo “sapienza di Dio e potenza di Dio” (1Cor 1,24). Questo è

senz’altro corretto. D’altra parte, rimane qualcosa che non poteva essere integrato completamente

nella cristologia: “sapienza” è termine femminile sia in greco che in ebraico (hochmah) e, per la co-

scienza linguistica degli antichi, un fatto di questo genere non è un semplice fenomeno grammatica-

le. Sophia indica anche la risposta che viene dalla chiamata divina della creazione e dell’elezione.

Essa rivela che esiste la risposta pura e che in essa trova la sua sede irrevocabile l’amore di Dio.

La sophía rimanda al Logos, alla Parola che fonda la sapienza, ma anche alla risposta femminile che

accoglie la sapienza e la porta a frutto.

2.1.5 Conclusione

La figura della donna è indispensabile per la struttura della fede biblica. Essa esprime la realtà della

creazione, la fecondità della grazia. Nel momento in cui, nel NT, gli astratti schemi di speranza

nell’intervento di Dio per il popolo ricevono, nella figura di Gesù Cristo, un nome concreto, perso-

nale, anche la figura della donna, considerata fino a quel momento in maniera solamente tipologica

in Israele, e tuttavia personalizzata provvisoriamente nelle grandi donne, si fa avanti con un nome e

come sintesi personale solamente nella persona; ma la persona, appunto perché singola, indica sem-

pre oltre se stessa, in direzione di quella totalità che essa porta e rappresenta: Maria.

Il negare o rifiutare l’elemento femminile nella fede e quindi concretamente l’elemento mariano,

porta alla fine alla negazione della creazione e della realtà della grazia, in una concezione

dell’attività solitaria di Dio che trasforma la creazione in una maschera e disconosce quindi anche il

Dio della Bibbia, caratterizzato dal fatto che egli è il Creatore e il Dio dell’Alleanza.

Page 11: Dispense Di Mariologia

Mariologia: 2012/13 11

2.2 MARIA NEL NUOVO TESTAMENTO Troviamo che nel NT si tratta di Maria con due caratteristiche

14:

- I sobrietà: di Maria si parla in pochi passi;

- II densità: i pochi passi contengono dati strategici per comprendere il mistero di Gesù.

2.2.1 Paolo e Marco

I. In Paolo c’è solo un testo relativo a Maria, invero neanche menzionata per nome: Galati 4,4-5 15

:

Il contesto generale è la discussione sulla necessità o meno per i cristiani di osservare tutte le leggi

dell’AT. Paolo insegna che nell’AT le leggi di Mosè avevano una funzione pedagogica. Coi tempi

nuovi noi ormai abbiamo ricevuto mediante il battesimo la figliolanza adottiva: se prima della venu-

ta del Figlio di Dio eravamo come figli minori e non potevamo gestire l’eredità, con la venuta di

Gesù abbiamo ricevuto l’eredità, come se fossimo diventati figli maggiorenni.

Dio, il Padre, inviò suo Figlio «quando venne la pienezza del tempo»: si vuole indicare la densità

escatologica dell’evento: c’è una maturazione e un progresso della storia della salvezza, giunta ora

al culmine, che è insieme inaudito, nuovo inizio (cfr. Mc 1,15 16

).

La pienezza del tempo accade per l’invio del Figlio: è questo invio che fa maturare i tempi. Per que-

sta ragione si trova in vari passi lo schema dell’invio del Figlio: cfr. G. 3,16-1717

, 1Gv 4,918

. Questo

schema fonda la pienezza escatologica del tempo nella preesistenza dell’inviato, che per la sua qua-

lità ontologica è in grado di superare la differenza abissale fra il mondo di Dio e il mondo degli uo-

mini. Il compimento e il nuovo inizio dell’ora escatologica sono resi da Paolo con l’idea della piena

appartenenza dell’Inviato da una parte al mondo della preparazione e dell’attesa ― «nato da donna»

―, dall’altra al nuovo inizio del mondo ― «per riscattare …».

Qui l’espressione «nato da donna» evidenza la fragilità della creatura umana (Giobbe 11,2-12 se-

condo la LXX; 14,1; 15,14; 25,4; cfr. anche Mt 11,11; Lc 7,28), e quindi l’umiliazione cui il Figlio

è andato incontro facendosi da Signore servo (Fil 2,5-8), per fare signore il servo, libero lo schiavo.

Questo nuovo inizio, che avviene mediante l’invio del Figlio, vede a lui vicino la “donna”: essa è la

creatura più prossima al cuore del mistero.

Analizzando più da vicino il testo, notiamo che è diviso in tre sezioni:

A) l’invio: Dio mandò il suo Figlio;

B) le modalità:

B1) nato da donna (abbassamento)

B2) nato sotto la legge

C) la finalità:

C1) per riscattare dalla legge

C2) perché ricevessimo l’adozione19

a figli (elevazione).

B1 e B2 sono in parallelismo, come pure C1 e C2. In correlazione antitetica sono invece B2 e C1 e

B1 e C2. Fra A e C2 c’è un rapporto che rivela il dinamismo dell’intero testo.

14

Oltre alle voci presenti nei dizionari, i testi cui ci siamo ispirati sono i seguenti: Maria di Nazaret nella Bibbia, Di-

zionario di Spiritualità Biblico-Patristica 40, Borla, Roma 2005; A. VALENTINI, Maria secondo le Scritture. Figlia di

Sion e eMadre del Signore, EDB; Bologna 2007; E. DAL COVOLO - A. SERRA (edd.), Storia della mariologia, vol. 1 dal

modello biblico al modello letterario, Città Nuova – Marianum, Roma 2009; CH. PERROT, Marie de Nazareth au regard

des chrétiens du premier siècle, LD 255, Cerf, Paris 2013. Altri testi più specifici verranno segnalati in loco. 15

Gal 4,4-5: Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per

riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. 16

«Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel vangelo». 17

«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto,

ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo

sia salvato per mezzo di lui». 18

«In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi a-

vessimo la vita per mezzo di lui». 19

Bisogna ricordare che al tempo di Paolo era più importante la figliolanza giuridica che quella di sangue, per cui

l’adozione comportava la partecipazione a tutti i diritti della figliolanza, tra cui l’eredità.

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Mariologia: 2012/13 12

Evidentemente la modalità del nascere sotto la legge e del nascere da donna non è per il Figlio sem-

plicemente la stessa di quella di ogni altro essere umano: diversamente, come tutti, anche lui reste-

rebbe schiavo della legge e della miseria della nostra condizione. L’antinomia strutturale del testo

rinvia al paradosso di questa nascita: ecco perché si può concludere che la frase di Gal 4,4, a motivo

del genere adottato, rimane aperta positivamente alle affermazioni complementari che apportano i

vangeli dell’infanzia a proposito della genesi umana del Figlio di Dio.

Con Paolo ha inizio l’aggancio della mariologia con la cristologia, proprio mediante l’attestazione

della divina maternità di Maria e la prima intuizione di una considerazione storico-salvifica del suo

significato.

II. In Marco i testi relativi a Maria sono due: 3,31-35 e 6,3.

- Mc 3,31-3520

: questo brano è legato ai versetti 20-2121

, e chiedendoci se tra i suoi c’è anche sua

Madre rispondiamo di sì, questo perché Marco, in genere passa dal generale al particolare (2,2.6;

3,13.14.16; 4,1.10; 6,34.44; 7,25.26; 11,14.20.21) e utilizza una tecnica chiamata costruzione a sca-

tola22

(6,27-30; 14,53-55). Questi esempi ci aiutano a capire come è possibile che tra i suoi vi sia

anche sua Madre.

I “suoi”, ossia i famigliari di Gesù, di fronte all’entusiasmo incontrollato della folla (v. 20), vengo-

no a “prenderlo” (Mc 2,1): il termine – κρατέω — non sembra esprimere un’intenzione violenta

(come in Mc 6,17; 12,12; 14,1.44…), quanto piuttosto una forte apprensione da parte dei “suoi” e

quindi un gesto più mitigato (come anche in Mc 1,31; 5,41; 9,27…). Si veda anche la reazione di

Gesù, che senza rimproverarli, li richiama al primato dell’obbedienza a Dio (v. 35).

L’espressione “è fuori di sé” non indica follia, ma piuttosto una stranezza di comportamento, che

suscita stupore, meraviglia o preoccupazione (come viene indicato nei seguenti brani Mc 2,12; 5,42;

6,51; nonché 2Cor 5,13).

Perché i suoi sono così meravigliati? Per rispondere dobbiamo fare un passo indietro. In Mc 3,13

Gesù chiama i dodici, costituendo il nuovo Israele. I suoi lo vengono a chiamare perché gli vogliono

ricordare che il nuovo Israele deve partire dalla sua parentela, cioè dalla stirpe di Davide. Di fronte

a questa prospettiva Gesù afferma che più importante della discendenza di sangue è il fare la volon-

tà del Padre. La famiglia secondo la carne deve cedere il posto alla famiglia “escatologica” ed è in-

vitata a convertirsi ad essa. Qual è il posto della madre? Anche per Maria è richiesto un avanzamen-

to nella fede, una sua crescita, un suo pellegrinare nella fede.

Charles Perrot suggerisce che la presenza limitata e un po’ sfavorevole di Maria nel vangelo di Mc

sia dovuta alla reazione nei confronti di una sopravvalutazione della madre del Messia presso giudei

credenti in Gesù, in particolare presso la cerchia dei suoi parenti, riuniti intorno a Giacomo, che in-

sistevano sulla messianicità davidica di Gesù) peraltro riconosciuta anche da Paolo: cfr. Rm 1,3-4).

- Mc 6,1-623

: Gesù va a Nazaret, dove prima sorprende e poi dà scandalo. Lo scandalo è dato dal

fatto che si sa da dove viene: è il figlio di Maria e i suoi fratelli si conoscono bene in paese.

20

Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo. Attorno a lui era seduta una folla, e gli

dissero: «Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia ma-

dre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i

miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre». 21

Entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. Allora i suoi, sentito que-

sto, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé». 22

Per costruzione a scatola si intende la tecnica secondo cui il narratore inizia a raccontare un episodio A, lo interrompe

introducendo un secondo episodio B, per poi riprendere e concludere di nuovo con l’episodio A. 23

Mc. 6,1-6: Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nel-

la sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è

quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria,

il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo

di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua».

E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro

incredulità.

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Mariologia: 2012/13 13

È l’unica volta in cui nel NT Gesù è chiamato “figlio di Maria”. Egli di solito è qualificato come

“figlio di Giuseppe” (cfr. i paralleli: Mt 13, 55; Lc 4,22; nonché Lc 3,23; Gv 1,45; 6,42). Il termine

figlio, nell’uso biblico, è messo in relazione al padre, in questo caso invece alla madre.

Gli esegeti hanno suggerito tre ipotesi per spiegare l’espressione inusuale:

I: si vuole significare la concezione verginale: ci sembra artificiosa. Perché l’evangelista avrebbe

collocato una simile allusione, ammesso che l’avesse intesa, in un contesto polemico, sulla bocca di

gente incredula e ostile?

II: Giuseppe è morto e allora si cita la madre che è ancora viva;

III: si allude a dicerie malevole che circolavano sul conto di Gesù (Gv 8,41).

Comunque è difficile stabilire con esattezza quale possa essere l’ipotesi più accreditata, consideran-

do che su queste la discussione è ancora aperta.

Vediamo ora chi sono questi “fratelli”(Mc 3,31-35) di Gesù. Alcuni dati preliminari:

I: Nel NT i “fratelli” e le “sorelle” di Gesù non sono mai presentati come figli di Maria.

II: Fratello e sorella, nell’uso biblico, indica vari gradi di parentela. Lot, ad esempio, è definito fra-

tello di Abramo, mentre in realtà era suo nipote. Abbiamo altri vari esempi in Gen 11,27; 13,8;

14,12; 29,12 e 15, anche in Giosuè 17,4 dove le donne citate chiamano fratelli i fratelli dei loro pa-

dri (che sono i loro zii). In 1 Cronache 23,21-22 i figli di Kish sposano le figlie di Eleazaro, che so-

no loro cugine; si dice però che queste hanno sposato i loro fratelli.

III: In Col 4,10 troviamo l’utilizzo del termine cugino ( νεψιός e non δελφός) per cui alcuni so-

stengono che volendo identificare la figura del cugino, i Sinottici avrebbero adoperato il termine

proprio. Ma anche nei LXX si poteva usare il temine cugino e invece si è usato il termine fratello.

Quando si parla dei fratelli di Gesù, si intende un gruppo particolare, come ad esempio è specificato

in At 1,13-14 quando si ricordano i gruppi che sono raccolti nella sala superiore del Cenacolo.

Giacomo e Ioses nominati nel passo di Mc 6,324

(e parallelo Mt 13,55) risultano figli di una Maria

diversa dalla madre di Gesù: Mc 15,4025

.47 e 16,1, oltre che da Mt 27,56, che ricorda la «madre di

Giacomo e di Joses», indicata come «l’altra Maria» (Mt 27,61 e 28,1).

In riferimento a Lc 2,726

, si è osservato che se Gesù era il figlio primogenito di Maria, essa ne ha

avuto altri. A Leontopoli nel 1930 è stata però scoperta una iscrizione sepolcrale giudaica circa del

V secolo a. C., su cui sta scritto di una certa Arsinoe: «Nelle doglie del dare alla luce il mio primo-

genito, il Fato mi portò al termine della vita». Quindi questa donna morì dando alla luce il suo pri-

mogenito: ciò prova che il termine era usato per indicare anche i figli unici. In Esodo 13,2.12 e Nu-

meri 18,15-16 si sottolinea l’importanza del primogenito, il quale ha un posto rilevante nel diritto

familiare (cfr. Lc 2,22-24).

I dati che abbiamo a disposizione, quindi, non sono in grado di smentire l’antica tradizione ecclesia-

le circa la verginità perpetua di Maria27

.

2.2.2 Matteo e Luca

In questi vangeli abbiamo una rilettura degli avvenimenti della concezione e della nascita di Gesù

alla luce dell’evento Pasquale.

2.2.2.1 Matteo

24

«Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle

non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. 25

C’erano anche alcune donne, che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Gia-

como il minore e di Ioses, e Salome. 26

Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per

loro nell’alloggio. 27

Cfr. di recente R. REGGI, I «fratelli» di Gesù. Considerazioni filologiche, ermeneutiche, statistiche sulla verginità

perpetua di Maria, EDB, Bologna 2010.

Page 14: Dispense Di Mariologia

Mariologia: 2012/13 14

Matteo presenta due gruppi di testimonianze.

I: abbiamo due testi che riguardano il contesto del ministero pubblico: Mt. 12,46-50 e 13,5528

che

presentano poche differenze rispetto a Marco. In Mt 13,55 dicendo che è “il figlio del falegname” e

“sua Madre non si chiama Maria?” si vuole sottolineare la discendenza davidica di Gesù; emerge la

tendenza a sfumare gli elementi antimariani (ad es. non compare l’espressione “è fuori di sé”). Inol-

tre Mt 13,5729

elimina dal commento di Gesù l’espressione «tra i suoi parenti», presente in Marco a

proposito delle persone fra le quali un profeta viene disprezzato.

II: I racconti dell’infanzia

La struttura di Mt. 1-2 si può raccogliere attorno a 4 unità fondamentali:

1Chi (Quis) Mt. 1,1-1730

: il versetto 16 è fondamentale per stabilire chi è Gesù chiamato il Cri-

sto. Il libro che viene introdotto viene chiamato «Libro della genesi di Gesù».

1.1. Matteo usa questo genere letterario perché, in riferimento ai brani biblici di Gen 2,431

e Gen

5,132

, sembra suggerire che Gesù inaugura una nuova creazione e una nuova umanità. Maria è il ter-

reno dell’avvento di questo nuovo inizio del mondo: come lo Spirito si librò sulle acque della prima

creazione, datore di esistenza, energia e vita (Gen 1,2), così viene ad operare nella vergine acco-

gliente (Cfr. Mt 1,18-20).

1.2. Non solo: l’albero genealogico connette, infatti, Gesù con Abramo e con Davide, suggeren-

do anche che Gesù è veramente il Messia atteso da Israele.

28

«Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simo-

ne e Giuda?». 29

Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in ca-

sa sua». 30

Mt. 1,1-17: Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Gia-

cobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò

Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab,

Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era sta-

ta la moglie di Uria, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abia, Abia generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giò-

safat generò Ioram, Ioram generò Ozia, Ozia generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechia, Ezechia generò

Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deporta-

zione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele

generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò

Eliùd, Eliùd generò Eleazar, Eleazar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di

Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo. In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici,

da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici. 31

Queste sono le origini del cielo e della terra, quando vennero creati. 32

Questo è il libro della genealogia di Adamo.

1 Quis (1,1-17)

2 Quomodo (1,18-25)

Chi è Gesù?

Come avviene que-

sta genesi?

Spirito

Santo

3 Ubi (2,1-12)

4 Unde (2,13-23)

Dove avviene que-

sta genesi?

Da dove prende le

mosse la sua mis-

sione?

Page 15: Dispense Di Mariologia

Mariologia: 2012/13 15

1.3. Notiamo che nella catena genealogica c’è un anello mancante: al v. 16 si precisa, infatti, che

Gesù nasce da Maria («dalla quale»), e non da Giuseppe: l’anello mancante indica che Gesù, pur

concludendo la storia della promessa, venendo dall’alto per compierla, non trae origine solo da que-

sta storia, ma più radicalmente proviene da Dio.

1.4. Nella genealogia vengono nominate quattro donne: Tamar, Racab, Rut, Betsabea. La cosa è

sorprendente, perché ci si attenderebbe di vedere citate la grandi matriarche di Israele, invece sono

altre donne inserite nella stirpe messianica. Come mai? Una prima ipotesi pensa che, essendo esse

peccatrici, e persino straniere, rappresenterebbero la giustificazione dell’empio operata nella croce

del Cristo. Occorre segnalare, però, che la tradizione orale dell’antico giudaismo, lungi dal condan-

narle, ne celebrava piuttosto la giustizia e i meriti. Già il testo biblico lo segnala a proposito di Ta-

mar: «Ella è più giusta di me», dichiara Giuda (Gen 38,26); così pure è lodata la fedeltà di Ruth (Rt

3,10); Racab è considerata come un’eroina nazionale persino nelle tradizioni giudeo-cristiane (Eb

11,31; Gc 2,25). Sono forse menzionate perché straniere, anticipando così un tema caro a Mt, ossia

l’apertura della salvezza alle nazioni della terra? Ma, oltre a rimanere una cosa estranea alla genea-

logia che mira a specificare l’identità di Gesù, che cosa avrebbe Maria in comune con loro? Una

terza ipotesi valorizza la dimensione di gratuità con cui Dio le introduce nella stirpe messianica.

Sembra, però, più probabile l’ipotesi che vede queste donne come coloro che in modo irregolare

hanno partorito un autentico figlio di Davide. Anche la tradizione giudaica sottolinea come Dio è

intervenuto per modificare il corso normale delle cose. Si può così concludere che Mt nomina que-

ste cinque donne, Maria compresa, perché esse sono state introdotte come per effrazione nella stirpe

messianica. I giudei che confessavano Gesù e il loro entourage giudaizzante si sentivano presi in

una morsa: essi dovevano, da una parte, rispondere alla messianicità davidica di Gesù secondo le

Scritture e designarlo come eminentemente altro nei riguardi di Dio. Il racconto di Mt sulla paternità

sostitutiva di Giuseppe supera la prima difficoltà, e la seconda difficoltà viene superata mediante

una convinzione anteriore a Mt e a Lc, circa la verginità di Maria come il segno della paternità divi-

na di Gesù. Queste due “effrazioni” in termini giudeo-cristiani (non paolini) sono al centro della

nuova designazione dell’identità di Gesù. Maria dà alla luce il Messia, atteso ma pure dono sor-

prendente di Dio: essa costituisce il grembo della nuova creazione, in cui il Dio della storia della

salvezza opera in maniera assolutamente gratuita e singolare.

2In che modo (Quomodo)

2.1. Matteo vuole sottolineare la discendenza davidica, mette perciò in risalto la figura di Giu-

seppe e il suo vincolo legale con Maria: v. 20. Infatti per Matteo, e la sua comunità giudaizzante in

cui si muove, la questione scottante non è tanto quella di sapere come l’uomo Gesù possa essere de-

signato come il Figlio di Dio, ma piuttosto il contrario: come questo Figlio di Dio, più grande del

Mosè della Trasfigurazione, svelato nel quadro del nuovo Sinai, può anche essere designato come il

figlio di Davide (Mt 22,35)? Matteo e i suoi non cercano di dire come l’uomo Gesù è divenuto Dio,

ma come questo Figlio di Dio è divenuto uomo, anzi il Messia della stirpe di Davide.

2.2. La genesi avviene per opera di Spirito Santo (vv. 18.20). Questa gravidanza ― situata cro-

nologicamente dopo lo scambio formale del consenso davanti a testimoni, ma prima della convi-

venza nella stessa casa ― è frutto di un’azione divina. Così, se grazie alla discendenza davidica di

Giuseppe, Gesù è legalmente figlio di Davide, grazie all’inaudita concezione per opera dello Spirito

Santo è il Figlio di Dio (cfr. Mt 2,15).

2.3. L’idea dell’assenza di un’azione umana di paternità è confermata ai vv. 24-25. Si noti che il

termine ‘ non richiede che dopo la nascita del bambino Giuseppe abbia “conosciuto” Maria:

esso si limita ad indicare il termine ultimo cui è orientata la narrazione: cfr. ad es. 1Tim 4,13.

2.4. Accurato è l’uso del linguaggio: tranne dove è richiesto dal contesto (come in 1,16b e 20) o

dove si vuole sottolineare l’apparizione esterna di Gesù nella storia (2,1.4), a Maria è attribuito non

il verbo γεννάω, riferito all’atto paterno, ma quello più femminile e materno τίκτω (Mt 1,2133

, e

33

«Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

Page 16: Dispense Di Mariologia

Mariologia: 2012/13 16

1,2534

). Qualcuno obietta che in altri testi viene utilizzato il verbo γεννάω: Mt 1,16; 1,2035

;2,1-436

.

Si noti però che il verbo è utilizzato al passivo. I Padri della chiesa, che conoscevano bene queste

sfumature linguistiche, applicarono a Maria il titolo di Theotokos, riservando invece il verbo γεννάω

al passivo per segnalare la provenienza di Gesù dal Padre che è Dio.

2.5. La maternità verginale di Maria. A sostegno del paradossale binomio di discendenza davidi-

ca e concezione verginale Mt 1,22-2337

riporta l’oracolo di Is 7,1438

. Il contesto in cui situare il pas-

so di Isaia è il seguente: mentre la dinastia davidica è in grave pericolo a causa di una guerra che in-

combe sul regno, Isaia riceve un oracolo di speranza, che annuncia la nascita del figlio del re e suo

successore, Ezechia, il cui regno assicurerà la sopravvivenza della dinastia. Matteo avvalendosi del-

la versione dei LXX — la quale traduce il termine ‘almah (che significa giovane donna non neces-

sariamente vergine) con παρθένος (che propriamente avrebbe avuto come corrispettivo in ebraico il

termine betulāh), vi legge una indicazione profetica della futura concezione verginale del Messia.

2.6. Il concepimento da Spirito Santo. Matteo ha operato qui una rilettura pasquale della vicenda

di Gesù: grazie all’incontro con il Risorto ha compreso che ciò che si è manifestato nella risurrezio-

ne era già vero fin dalla nascita. Questo rapporto tra risurrezione e concepimento lo troviamo già in

Atti 13,32ss39

, dove la risurrezione è presentata come un atto di generazione. In Romani 1,1-440

Pao-

lo connette lo Spirito Santo con la risurrezione vista come generazione del Figlio da parte di Dio. Il

concepimento di Gesù, riletto nella luce pasquale, si presenta allora in Matteo come un evento trini-

tario, un’opera dello Spirito, una sorta di Pasqua anticipata: Mt. 1,20 anticipa la Pasqua con

un’angelofania …

2.7. Perché l’idea della concezione verginale? La rilettura post-pasquale può spiegare il forte ri-

lievo dato all’azione divina nel primo inizio della vita di Gesù, ma non sembra richiedere necessa-

riamente l’esclusione di un’azione umana di paternità.

2.7.1. La sottolineatura della modalità verginale potrebbe scaturire dalla volontà tipica

di Matteo di mostrare come le profezie si sono compiute e che Gesù è il compimento

stesso delle profezie. Difficoltà: né l’originale ebraico del testo di Isaia né alcuna te-

stimonianza della tradizione giudaica anteriore all’evangelista ne suffragano una lettu-

ra nel senso della concezione verginale; peraltro, la stessa traduzione greca dei LXX,

se ha il termine παρθένος, ha il verbo al futuro e quindi non esclude che la ragazza,

ora vergine, potrà poi concepire in maniera naturale. Matteo non ha dunque mutuato

l’idea da Isaia, ma ha reinterpretato Is. 7,14 per illustrare il suo racconto.

2.7.2. Altre spiegazioni rinviano ad altre fonti: o al mondo veterotestamentario ― do-

ve l’idea è del tutto assente e lo stesso Salmo 2,7, che parla di una figliolanza divina

del re, si riferisce a una figura dalla sicura paternità umana ― o al mondo pagano cir-

costante ― dove si ritrova l’idea di una relazione sessuale con la divinità in forma

umana, ma non quella della concezione verginale.

34

La quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù. 35

Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe,

figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spi-

rito Santo». 36

Mt 2,1-4: Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusa-

lemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad a-

dorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli

scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo.. 37

Mt 1,22-23: Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ec-

co, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi. 38

Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele. 39

At 13,32-33: «E noi vi annunciamo che la promessa fatta ai padri si è realizzata, perché Dio l’ha compiuta per noi,

loro figli, risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel salmo secondo: Mio figlio sei tu, io oggi ti ho generato». 40

Rm 1,1-4: «Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli ave-

va promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secon-

do la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù

Cristo nostro Signore».

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Mariologia: 2012/13 17

2.7.3. L’ipotesi più equilibrata è che l’evangelista abbia attinto a una fonte precedente

il dato riguardo alla concezione verginale, che ha un nucleo storico irriducibile alla

semplice reintrepretazione pasquale. Questo dato sarebbe poi stato illuminato e appro-

fondito dalla luce di Pasqua. Si noti che Matteo, pur preoccupato di situare Gesù nella

linea davidica, non teme di introdurre nella genealogia una discontinuità che poteva

mettere in dubbio la sua qualifica messianica. Se ha agito così è perché, probabilmen-

te, si sentiva più legato all’evento che alla lettera delle Scritture: Matteo non ha inter-

pretato i fatti alla luce delle sue attese, ma queste attese alla luce dei fatti. Dio ha ope-

rato in Maria qualcosa di assolutamente nuovo e inaudito, che solo progressivamente

sarà tematizzato e che solo nella piena luce pasquale si chiarirà come la «genesi di

Gesù Cristo» (v. 18), la concezione e la nascita del Messia, «che salverà il suo popolo

dai suoi peccati» (v. 21).

3Dove (Ubi). Nasce a Betlemme di Giudea, città davidica. L’intento apologetico di Mt è manife-

sto, esso vuole rispondere alle obiezioni dei giudei: Gv 1,4641

; Gv 7,4142

; Gv 7,5243

sottolineando

l’origine davidica di Gesù. Molto più, Matteo vuole proporre in positivo l’idea della discendenza

davidico-regale del Messia e della salvezza in lui offerta a tutte le genti, significate dai Magi.

In questo quadro messianico-regale Maria viene presentata come la regina madre (ghebirāh): Mt

2,1144

. Nel regno di Giuda la regina madre pesava sul corso degli eventi più di quanto potesse fare

la sposa del re, non tanto intervenendo direttamente nel governo regale, ma per la sua stessa posi-

zione che la collocava in alto45

. In particolare notiamo nel libro dei Re che, mentre Betsabea si in-

china dinanzi al re Davide (1Re 1,1646

), più avanti riceve l’omaggio della prosternazione da parte di

suo figlio, il re Salomone (1Re 2,12-2047

). Siamo di fronte a una densa rilettura pasquale, che con-

fessa Gesù come messia e salvatore universale e colloca accanto a lui sua madre con accenti che ri-

flettono la percezione di fede della sua straordinaria vicinanza al Figlio. Il fondamento prepasquale

di ciò è la prossimità di Maria alla missione di colui che, figlio suo, sarà confessato Signore e Cri-

sto, Figlio di Dio: nel “dove” della nascita si riflette la messianicità del Figlio e l’eccezionale digni-

tà della madre.

4Da dove (Unde); Matteo ci narra gli spostamenti di Gesù da Betlemme, passando per l’Egitto

fino a Nazaret.

Gesù rivive l’esodo e l’esilio, rivive il cammino del popolo di Israele (Mt 2,13-1448

; Mt. 2,20-2149

).

Accanto a lui c’è la Madre.

CONCLUSIONE: Maria è presentata da Matteo come la soglia in cui l’attesa passa al compimen-

to; è il grembo della nuova creazione. Al centro dell’interesse di Matteo c’è però la discendenza da-

vidica. Ecco perché si concentra soprattutto sulla figura di Giuseppe.

41

Natanaèle esclamò: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». 42

Altri dicevano: «Questi è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea?». 43

Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea». 44

Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e

gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 45

cfr. Ger 13,18; il libro dei Re le menziona all’inizio di ciascun regno: 1Re 2,19 (Betsabea); 2Re 8,26 (Atalia); 10,13;

12,2; 21,1; 24,15. 46

Betsabea si inginocchiò e si prostrò davanti al re, che le domandò: «Che hai?». 47

1Re 2,19: Betsabea si presentò al re Salomone per parlargli in favore di Adonia. Il re si alzò per andarle incontro, si

prostrò davanti a lei, quindi sedette sul trono, facendo collocare un trono per la madre del re. 48

Mt. 2,13-14: Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlza-

ti, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il

bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto. 49

Mt. 2,19-21: Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati,

prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il

bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele.

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Mariologia: 2012/13 18

2.2.2.2 Luca

Nei primi due capitoli abbiamo il suo contributo più originale, dopodiché il nome di Maria non

compare più se non in alcuni riferimenti come in Lc 3,23-3850

, la genealogia di respiro più universa-

le, che risale fino ad Adamo. È sottointeso il rapporto fra Gesù nuovo Adamo e Adamo: entrambi

― «Gesù, figlio, come si credeva, di Giuseppe…», e «Adamo, figlio di Dio» (Lc 3,23.38) ― sono

senza padre terreno. Maria non è menzionata; ma l’inciso «come si credeva» riferito alla figliolanza

da Giuseppe, potrebbe essere un elemento importante di raccordo con la concezione verginale.

In Lc 4,16-3051

abbiamo il rifiuto di Gesù da parte degli abitanti di Nazaret, senza che si faccia al-

cuna menzione della madre sua.

In Lc 8,19-2152

e Lc 11,27-2853

a differenza di Marco, il terzo evangelista presenta più positivamen-

te il rapporto fra la famiglia biologica e quella escatologica di Gesù: ciò che le accomuna è l’ascolto

della parola di Dio. In effetti dal primo capitolo (cfr. Lc 1,42b.45) appare che Maria ha ascoltato la

parola di Dio e l’ha messa in pratica. Pertanto Lc 11,28 è da leggere non come opposizione, ma co-

me approfondimento del v. 27: la vera beatitudine non sta nel generare fisicamente, ma nel credere

alla parola. Maria è presentata quindi come il modello del discepolo.

In Atti 1,1454

gli undici con Maria e i fratelli, formano una piccola comunità che garantisce la conti-

nuità con il discepolato del Gesù prepasquale. Presente da protagonista nel primo inizio della vita

terrena del Figlio con la disponibilità totale della sua fede, Maria non è meno presente nella comu-

nità orante della Chiesa nascente, su cui scenderà lo Spirito (At 2,1-4). La figura del discepolo resta

così legata alla Chiesa, popolo credente che, come la Vergine dell’Annunciazione, sarà riempita di

Spirito Santo (cfr. le numerose analogie tra Annunciazione e Pentecoste: lo Spirito — «potenza

dell’Altissimo»: Lc 1,35, «potenza dall’alto»: Lc 24,49 — scende su Maria: Lc 1,35a come sugli

apostoli: At 1,8; Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore…»: L. 1,46.49; essi cominciarono

ad annunziare «le grandi opere di Dio»: At 2,4.6.7.11).

Il vangelo dell’infanzia di Luca

I primi due capitoli di Luca si possono riassumere nel seguente schema:

50

Lc. 3,23-38: Gesù quando incominciò il suo ministero aveva circa trent’anni ed era figlio, come si credeva, di Giu-

seppe, figlio di Eli, figlio di Mattàt, figlio di Levi, figlio di Melchi, figlio di Innài, figlio di Giuseppe, figlio di Mattatìa,

figlio di Amos, figlio di Naum, figlio di Esli, figlio di Naggài, figlio di Maat, figlio di Mattatìa, figlio di Semèin, figlio

di Iosek, figlio di Ioda, figlio di Ioanan, figlio di Resa, figlio di Zorobabèle, figlio di Salatiel, figlio di Neri, figlio di

Melchi, figlio di Addi, figlio di Cosam, figlio di Elmadàm, figlio di Er, figlio di Gesù, figlio di Elièzer, figlio di Iorim,

figlio di Mattàt, figlio di Levi, figlio di Simeone, figlio di Giuda, figlio di Giuseppe, figlio di Ionam, figlio di Eliacim,

figlio di Melèa, figlio di Menna, figlio di Mattatà, figlio di Natàm, figlio di Davide, figlio di Iesse, figlio di Obed, figlio

di Booz, figlio di Sala, figlio di Naàsson, figlio di Aminadàb, figlio di Admin, figlio di Arni, figlio di Esrom, figlio di

Fares, figlio di Giuda, figlio di Giacobbe, figlio di Isacco, figlio di Abramo, figlio di Tare, figlio di Nacor, figlio di Se-

ruk, figlio di Ragau, figlio di Falek, figlio di Eber, figlio di Sala, figlio di Cainam, figlio di Arfàcsad, figlio di Sem, fi-

glio di Noè, figlio di Lamech, figlio di Matusalemme, figlio di Enoch, figlio di Iaret, figlio di Malleèl, figlio di Cainam,

figlio di Enos, figlio di Set, figlio di Adamo, figlio di Dio. 51

Lc. 4,16-30: Venne a Nazaret, dove era cresciuto; e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a

leggere … Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e

dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?» … All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si

alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per

gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. 52

Lc. 8,19-21: E andarono da lui la madre e i suoi fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla. Gli fecero

sapere: «Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti». Ma egli rispose loro: «Mia madre e miei fratelli

sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica». 53

Lc. 11,27-28: Mentre diceva questo, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato

e il seno che ti ha allattato!». Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!». 54

Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai

fratelli di lui.

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Mariologia: 2012/13 19

Il ruolo di Maria è segnalato in B,C,E ed F. In A e D si mostra come nel Battista si adempiono i

tempi della preparazione dell’attesa, mentre in Gesù si inaugura l’era della pienezza escatologica.

L’ANNUNCIAZIONE

1. Alcuni vi vedono sottointeso lo schema letterario di alleanza, che prevede un mediatore

(Mosè: Es 19,3-755

; 24,3a.7a; Giosuè: Gs 1,1-13; 24,1-15; Giosia: 2Re 23,1-8…) e la rispo-

sta di fede del popolo: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo» (Es 19,8; cfr. 24,3b.7b;

G. 1,16-18; 24,16.22-24; 2Re 23,3…). Nell’annunciazione il mediatore sarebbe l’angelo

Gabriele (Lc 1,26) e la risposta di fede quella di Maria (v. 38): ella è figura dell’Israele santo

che acconsente all’iniziativa di Dio per stabilire la nuova e perfetta alleanza.

2. Per altri esso rappresenta un racconto di vocazione: cfr. un modello in Giudici 6,11-2456

. Lo

schema di vocazioni è dato da un saluto dell’angelo, il dubbio del destinatario, un primo

messaggio, si avanza una difficoltà, un secondo messaggio, si dà un segno e infine il con-

senso. Maria è presentata come la creatura chiamata da Dio che si lascia plasmare incondi-

zionatamente dall’opera divina.

3. Per altri, infine, il brano corrisponde al modello delle annunciazioni. All’apparizione di un

angelo segue una reazione di timore, l’annuncio, un’obiezione del destinatario e l’offerta di

55

Es 19,3-8: Mosè salì verso Dio, e il Signore lo chiamò dal monte, dicendo: «Questo dirai alla casa di Giacobbe e an-

nuncerai agli Israeliti: “Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi

ho fatto venire fino a me. Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una pro-

prietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione san-

ta”. Queste parole dirai agli Israeliti». Mosè andò, convocò gli anziani del popolo e riferì loro tutte queste parole, come

gli aveva ordinato il Signore. Tutto il popolo rispose insieme e disse: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!». Mo-

sè tornò dal Signore e riferì le parole del popolo. 56

Gdc 6,11-24: Ora l’angelo del Signore venne a sedere sotto il terebinto di Ofra, che apparteneva a Ioas, Abiezerita.

Gedeone, figlio di Ioas, batteva il grano nel frantoio per sottrarlo ai Madianiti. L’angelo del Signore gli apparve e gli

disse: «Il Signore è con te, uomo forte e valoroso!». Gedeone gli rispose: «Perdona, mio signore: se il Signore è con noi,

perché ci è capitato tutto questo? Dove sono tutti i suoi prodigi che i nostri padri ci hanno narrato, dicendo: “Il Signore

non ci ha fatto forse salire dall’Egitto?”. Ma ora il Signore ci ha abbandonato e ci ha consegnato nelle mani di Madian».

Allora il Signore si volse a lui e gli disse: «Va’ con questa tua forza e salva Israele dalla mano di Madian; non ti mando

forse io?». Gli rispose: «Perdona, mio signore: come salverò Israele? Ecco, la mia famiglia è la più povera di Manasse e

io sono il più piccolo nella casa di mio padre». Il Signore gli disse: «Io sarò con te e tu sconfiggerai i Madianiti come se

fossero un uomo solo». Gli disse allora: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, dammi un segno che proprio tu mi parli. In-

tanto, non te ne andare di qui prima che io torni da te e porti la mia offerta da presentarti». Rispose: «Resterò fino al tuo

ritorno». Allora Gedeone entrò in casa, preparò un capretto e con un’efa di farina fece focacce azzime; mise la carne in

un canestro, il brodo in una pentola, gli portò tutto sotto il terebinto e glielo offrì. L’angelo di Dio gli disse: «Prendi la

carne e le focacce azzime, posale su questa pietra e vèrsavi il brodo». Egli fece così. Allora l’angelo del Signore stese

l’estremità del bastone che aveva in mano e toccò la carne e le focacce azzime; dalla roccia salì un fuoco che consumò

la carne e le focacce azzime, e l’angelo del Signore scomparve dai suoi occhi. Gedeone vide che era l’angelo del Signo-

re e disse: «Signore Dio, ho dunque visto l’angelo del Signore faccia a faccia!». Il Signore gli disse: «La pace sia con te,

non temere, non morirai!». Allora Gedeone costruì in quel luogo un altare al Signore e lo chiamò «Il Signore è pace».

Esso esiste ancora oggi a Ofra degli Abiezeriti.

I) Dittico delle annunciazioni a Zaccaria e a Maria

A) annunciazione di Giovanni (1,5-25)

B) annunciazione di Gesù (1,26-38)

C) Visita di Maria ad Elisabetta (1,39-56)

II) Dittico delle nascite

D) nascita di Giovanni (1,57--80)

E) nascita di Gesù (2,1-40)

F) Gesù al tempio (2,41-52)

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Mariologia: 2012/13 20

un segno (cfr. la storia di Mosè in Es 3,2.4.6 e 10.11.1257

). Questi elementi si ritrovano tutti

nella vicenda di Zaccaria (Lc 1,11.12-13 e 15-17.18.20) e in quella di Maria (26-27.29-30.31

e 32-35.36-37). Utilizzando il terzo modello, notiamo che nelle vicende di Zaccaria e Maria

vi sono gli stessi elementi ma con delle differenze, dovute allo specifico di quanto avviene

alla «madre del mio Signore», ossia:

Il luogo: per Zaccaria nel tempio di Gerusalemme, Maria a Nazaret. Si vuole così in-

dicare il superamento della legge, della religione del tempio.

Zaccaria e Elisabetta sono detti giusti davanti a Dio secondo l’obbedienza alla legge,

sono il compimento della religiosità osservante dell’AT. L’angelo chiama Maria

“piena di grazia”, perfetto del verbo χαριτόω: ella si ritrova sotto l’influsso del favo-

re di Dio e vi rimane, è ricolma di benevolenza gratuita. Maria ha trovato grazia

(1,30) ed è stata trasformata dalla grazia (v. 28). In Genesi Dio parla e crea, qui parla

e trasforma la persona di Maria.

L’angelo dice a entrambi di non temere. Assicura Zaccaria che le sue preghiere sa-

ranno esaudite e la fecondità per sua moglie anziana e sterile. A Maria (vv. 30-33) dà

l’annuncio di un evento senza precedenti nella storia del popolo santo.

L’obiezione che Zaccaria pronuncia ( τί: 1,18), cioè “da che cosa” posso cono-

scere questo, evidenzia la sua manifesta mancanza di fede; mentre Maria ( ς: «co-

me è possibile»), non chiede un segno, ma la modalità in cui può compiersi quanto

annunciato. A questo riguardo possiamo suggerire due interpretazioni.

1: Risposta classica: il voto di verginità58

. La frase «non conosco uomo» è in-

solita: mai nella Bibbia una donna afferma così chiaramente la sua condizione

verginale. Perciò dall’epoca patristica si è interpretata come espressione della

intenzione di rimanere vergine (il verbo avrebbe cioè un valore durativo, indi-

cante un comportamento permanente, presente e futuro). Le difficoltà: nella re-

ligiosità ebraica il matrimonio era la via per la santità, in obbedienza al primo

comando del Creatore (Gen 1,2859

); di conseguenza la verginità sembrava una

disgrazia e una condizione disonorevole: cfr. l’episodio della figlia di Iefte60

.

Nonostante alcune eccezioni (come Geremia: cfr Ger 16,1-961

, cui Dio coman-

da di non sposarsi; cfr. al tempo di Gesù gli Esseni di Qumran e i terapeuti di

57

Es 3,2-12: L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il

roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo

grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal

roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo

sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Gia-

cobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: «Ho osservato la mise-

ria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sce-

so per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra

dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebu-

seo. Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò va’! Io

ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal

faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto?». Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato:

quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte». 58

Cfr. I. DE LA POTTERIE, Maria nel mistero dell’alleanza, op. cit., 35-64, 52-59. 59

Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del

mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra». 60

Gdc 11,37-38: Poi disse al padre: «Mi sia concesso questo: lasciami libera per due mesi, perché io vada errando per i

monti a piangere la mia verginità con le mie compagne». Egli le rispose: «Va’!», e la lasciò andare per due mesi. Ella se

ne andò con le compagne e pianse sui monti la sua verginità. 61

Ger 16,1-4: Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Non prendere moglie, non avere figli né figlie in questo luogo,

perché dice il Signore riguardo ai figli e alle figlie che nascono in questo luogo e riguardo alle madri che li partoriscono

e ai padri che li generano in questo paese: Moriranno di malattie strazianti, non saranno rimpianti né sepolti, ma diver-

ranno come letame sul suolo. Periranno di spada e di fame; i loro cadaveri saranno pasto agli uccelli del cielo e alle be-

stie della terra».

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Mariologia: 2012/13 21

Alessandria d’Egitto62

), non si vede da dove la giovane donna di Nazaret a-

vrebbe potuto mutuare un intento di verginità perpetua, tanto più che aveva già

concluso un contratto matrimoniale con Giuseppe. Dal punto di vista filologi-

co, poi, il verbo al presente sembra indicare lo stato attuale, escludendo un sen-

so futuro o passato. La frase è forse un artificio letterario che tende ad orientare

l’attenzione sulla concezione verginale, punto focale del racconto? C’è il paral-

lelismo con l’obiezione di Zaccaria, fondata su un ostacolo reale (v. 18): Maria

non dubita della potenza divina, indica solo un dato di fatto rispetto a cui

l’azione dell’Onnipotente dovrà indicarle la via da seguire: la domanda rivela

soprattutto il desiderio di Maria di discernere le vie che il Signore le chiede di

percorrere, e la sua disponibilità radicale a seguirle, quali che esse siano.

2: Recentemente è stata suggerita un’altra interpretazione63

: Maria chiede qua-

le uomo sia in grado di garantire le condizioni della nominazione di questo fi-

glio indicato dall’angelo quale «Figlio dell’Altissimo». Non v’è per Maria nes-

sun uomo che possa assumere questa funzione di referenza: cosa è “Giuseppe”

a riguardo dell’ordine simbolico che l’angelo designa in relazione a Gesù? Di-

fatti l’angelo dirà che sarà lo Spirito Santo a scendere su di Lei. La pointe del

testo non mira alla verginità di Maria come tale, ma a Gesù nella sua origine

radicale. Poiché si tratta di affermare che il bimbo viene da Dio e non da un

uomo.

La risposta di Maria è un “fiat” (Lc 1,38): in greco è all’ottativo, nella forma

del desiderio (γένοιτο); quello di Gesù nel Getzemani è un imperativo passivo:

Mt 26,4264

, come quello del Padre Nostro: Mt 6,1065

: γενηθήτω). Esso non è

una semplice accettazione e ancora di meno una rassegnazione; è al contrario

un desiderio gioioso di collaborare a ciò che Dio prevede per lei. Maria è pre-

sentata come la prima discepola a credere nella Buona Novella.

I nascituri: Giovanni sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre (vv. 14-

17) // Gesù è concepito per opera di Spirito Santo, ecco perché sarà chiamato Figlio

dell’Altissimo, Figlio di Dio, con funzioni del re messianico escatologico (vv. 32-

33.35).

L’affermazione capitale è al v. 35: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà

la sua ombra la potenza dell’Altissimo». L’idea è che il concepimento nel grembo

della Vergine è operato dallo Spirito Santo: mentre Elisabetta «genera» (γεννάω: Lc

1,13.57), Maria «partorisce» (τίκτω: Lc 1,31 e 2,7). L’espressione richiama sia la nu-

be luminosa, segno della presenza di Yhwh (cfr. Es 13,22; Es 19,16; Es 24,16), sia le

ali dell’uccello, simbolo della potenza protettrice (Sl 17,8; Sl 57,2; Sl 140,8) e crea-

trice (Gen 1,2) di Dio. Il testo inoltre si richiama a Es 40,34-3566

: come la nube «co-

pre» la tenda del convegno ed è il segno che l’interno della dimora è riempito dalla

Gloria ( ), così la Potenza dell’Altissimo «stenderà la sua ombra» su Maria

( ), facendo di lei la Dimora riempita dal Santo, il Figlio di Dio. Il bam-

bino che Maria partorirà sarà quindi di condizione divina, «sarà grande e chiamato

Figlio dell’Altissimo» (Lc 1,32).

L’idea di questa continuità nell’inaudita novità escatologica si coglie nella parola

con cui l’angelo saluta la Vergine (Lc 1,28): , gioisci (ricorrente 4 volte nei

62

Documentazione in S.A. PANIMOLLE, “Maria vergine nel Nuovo Testamento”, in Maria di Nazaret nella Bibbia, op.

cit. 160-161. 63

L. PANIER, La naissance du fils de Dieu. Sémiotique et théologie discursive. Lecture de Luc 1-2, Cogitatio fidei 164,

Cerf, Paris 1991, 180ss. 64

E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva,

sia fatta la tua volontà». 65

«venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra». 66

Es 40,34-35: Allora la nube coprì la tenda del convegno e la gloria del Signore riempì la Dimora. Mosè non poté en-

trare nella tenda del convegno, perché la nube sostava su di essa e la gloria del Signore riempiva la Dimora.

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LXX: Sofonia 3,14; Gioele 2,21-23; Zaccaria 9,9; Lamentazioni 4,21). Notiamo per

inciso che Zc 9,9 verrà ripreso all’ingresso messianico in Gerusalemme.

L’espressione non sembra trasmettere un semplice saluto ( = Shalom), quanto espri-

mere l’annuncio denso della gioia messianica, rivolto alla «figlia di Sion», cioè

all’Israele personificato (cfr. Mi 1,13). Il motivo della gioia sta nel fatto che il Signo-

re viene a risiedere in Sion come re e salvatore. In particolare il parallelo più signifi-

cativo è il testo di Sof 3,1467

. La presentazione dell’annuncio in termini ripresi da So-

fonia implica una duplice identificazione, di Maria con la figlia di Sion, di Gesù con

Yhwh re e salvatore. La figlia di Sion, personificazione astratta di Israele, è attualiz-

zata nella persona di Maria, che accoglie la promessa messianica a nome di Israele.

La residenza di Yhwh nella figlia di Sion si attua nel mistero della concezione vergi-

nale. L’azione dello Spirito su Maria opera la svolta della storia della salvezza: non

solo si realizza la promessa messianica, ma il suo compiersi è tale da superare ogni

attesa ed essere promessa di nuovo e ulteriore compimento.

A quale fonte Lc ha attinto questo messaggio? Che Dio prendesse l’iniziativa e coprisse Maria

dell’ombra del suo Spirito per rendere presente in lei il Figlio suo è un dato che proviene dalla rilet-

tura del passato alla luce degli eventi pasquali: cfr. Atti 13,32; Rm 1,3-4! Ma perché la concezione

verginale? Sembra ipotizzabile una fonte preevangelica. La consistenza del nucleo storico è da ve-

dersi non solo nell’eccezionale esperienza di grazia vissuta da Maria per l’azione assolutamente li-

bera dell’Eterno di renderla madre del Figlio per opera dello Spirito Santo, ma anche nella acco-

glienza di fede umile e disponibile con cui ella ha risposto (Lc 1,34).

La VISITAZIONE

L’episodio può essere messo in sinossi con il trasporto dell’arca dell’alleanza secondo il racconto di

2Samuele 6,2-1568

: lo stesso è il contesto geografico, la regione di Giuda; la manifestazione di gio-

ia, che si esprime in acclamazioni di carattere liturgico; la presenza dell’arca nella casa di Obed-

Edom di Gat è motivo di benedizione (2Sam 6,11-12), come pure quella di Maria in casa di Zacca-

ria; come Davide è preso da religioso timore davanti all’arca (v. 9), così Elisabetta davanti a Maria

(v. 43); l’arca resta tre mesi in casa di Obed-Edom, Maria rimane «circa tre mesi» (v. 56) presso E-

lisabetta. L’idea teologica è che Maria è l’arca della nuova alleanza.

67

Sof 3,14-18: «Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusa-

lemme! Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non

temerai più alcuna sventura. In quel giorno si dirà a Gerusalemme: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il

Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con gri-

da di gioia ». 68

2Sam 6,2-15: Poi si alzò e partì con tutta la sua gente da Baalà di Giuda, per far salire di là l’arca di Dio, sulla quale si

proclama il nome del Signore degli eserciti, che siede sui cherubini. Posero l’arca di Dio sopra un carro nuovo e la tol-

sero dalla casa di Abinadàb che era sul colle; Uzzà e Achio, figli di Abinadàb, conducevano il carro nuovo. Mentre

conducevano il carro con l’arca di Dio dalla casa di Abinadàb, che stava sul colle, Achio precedeva l’arca. Davide e tut-

ta la casa d’Israele danzavano davanti al Signore con tutte le forze, con canti e con cetre, arpe, tamburelli, sistri e cimba-

li. Giunti all’aia di Nacon, Uzzà stese la mano verso l’arca di Dio e la sostenne, perché i buoi vacillavano. L’ira del Si-

gnore si accese contro Uzzà; Dio lo percosse per la sua negligenza ed egli morì sul posto, presso l’arca di Dio. Davide si

rattristò per il fatto che il Signore aveva aperto una breccia contro Uzzà; quel luogo fu chiamato Peres-Uzzà fino ad og-

gi. Davide in quel giorno ebbe timore del Signore e disse: «Come potrà venire da me l’arca del Signore?». Davide non

volle trasferire l’arca del Signore presso di sé nella Città di Davide, ma la fece dirottare in casa di Obed-Edom di Gat.

L’arca del Signore rimase tre mesi nella casa di Obed-Edom di Gat e il Signore benedisse Obed-Edom e tutta la sua ca-

sa. Ma poi fu detto al re Davide: «Il Signore ha benedetto la casa di Obed-Edom e quanto gli appartiene, a causa

dell’arca di Dio». Allora Davide andò e fece salire l’arca di Dio dalla casa di Obed-Edom alla Città di Davide, con gio-

ia. Quando quelli che portavano l’arca del Signore ebbero fatto sei passi, egli immolò un giovenco e un ariete grasso.

Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore. Davide era cinto di un efod di lino. Così Davide e tutta la casa

d’Israele facevano salire l’arca del Signore con grida e al suono del corno.

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Mariologia: 2012/13 23

L’espressione «la madre del mio Signore» (v. 43) utilizza il termine κύριος, un titolo pasquale, uti-

lizzato in Lc ben 19 volte in riferimento a Gesù, per segnalare la sua condizione messianico-regale,

soteriologico-divina. Maria è la madre di colui, «che Dio ha costituito Signore e Cristo» col risusci-

tarlo dai morti (At 2,36), il «Figlio di Dio» fra noi (v. 35), il salvatore Gesù (v. 31). E questo lo è in

quanto credente (Lc 1,45).

Nei vv. 42-43 si esprime il rispetto della Chiesa antica verso Maria. Nel Magnificat al v. 48 Maria

preannuncia che verrà detta beata da tutte le generazioni.

La NATIVITÀ

Il testo sembra richiamare Michea 5,1-469

. L’idea è che Gesù è il Messia davidico e Maria la madre

del Messia re.

Il v. 7: si usa il verbo materno τίκτω; si parla di figlio «primogenito» (cfr. supra). Segnalo che in

questo versetto i Padri hanno visto un segno del parto miracoloso, considerato che una donna dopo

aver subito il travaglio del parto non avrebbe le forze per fasciare il figlio e deporlo nella mangiato-

ia70

.

Il v. 19: dice il lavoro della fede di Maria (cfr. Lc 2,51). Mentre al v. 18 i pastori si stupiscono e poi

spariscono, Maria conserva invece la parola e si sforza di realizzarla; Maria è presentata come il

modello del discepolo.

Il racconto di Lc 2,8-20 presenta la nascita di Gesù nella luce della Pasqua, quasi anticipo di essa: la

«gloria del Signore» avvolge i pastori di luce; i titoli attribuiti a Gesù al v. 11 ― Salvatore Cristo

Signore» ― sono post-pasquali: At 2,36; 5,31 e 13,23; il vocabolario di 2,8-20 è kerigmatico: At

2,36 e 3,20. Maria è presentata come modello della Chiesa nascente nella rilettura che fa degli even-

ti del primo inizio dell’esistenza del Salvatore fra noi.

LA PRESENTAZIONE AL TEMPIO

L’episodio non verrà commentato per esteso. Esso, oltre che a rifarsi alla legge del riscatto del pri-

mogenito e della purificazione della puerpera (cfr. Lev 12,1-8), sembra echeggiare anche Malachia

3,1-371

. Se così fosse si spiegherebbe perché al v. 22 si parla della loro purificazione: considerando

che il bambino è già puro, la purificazione è quella di Israele e si capirebbe anche perché Simeone

nel nunc dimittis esprima la realizzazione della speranza insieme all’evocazione della spada, che

anche Maria dovrà affrontare. Colui in cui viene a compiersi la promessa dell’elezione di Dio è an-

che un «segno di contraddizione», oggetto di accoglienza e di rifiuto in Israele: queste parole antici-

pano il destino di Gesù in Luca. Quanto avviene in Israele si riflette però in Maria: «… anche a te

una spada trafiggerà l’anima».

GESÙ AL TEMPIO

69

Mi 5,1-4: «E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve

essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere

altrui fino a quando partorirà colei che deve partorire; e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d’Israele. Egli si leverà e

pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore, suo Dio. Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà

grande fino agli estremi confini della terra. Egli stesso sarà la pace! …». 70

Il tema del parto senza dolori delle sante donne di Israele è un topos conosciuto nelle tradizioni giudaiche: cfr. Is

66,7; Midrash Esodo Rabba 1,20; Ascensione di Isaia 11,12-14; Odi di Salomone 19,7. 71

Mal 3,1-3: «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il

Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti. Chi sop-

porterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei

lavandai. Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché

possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia».

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Non verrà commentato per esteso: il racconto è redatto secondo uno “schema di rivelazione” scan-

dito dai tre momenti di salita; rivelazione; discesa: cfr. la rivelazione a Mosè sul monte (Esodo 3-4 e

33,18-34,35); o Elia sull’Oreb (1Re 19).

(A) «Vi salirono di nuovo» / (C) «discese con loro…»; (B) fra la salita e la discesa si compie la ri-

velazione di Gesù, che colma di stupore gli ascoltatori nel tempio (v. 47) e i suoi genitori (v. 48),

che «non compresero le sue parole» (v. 50). La rivelazione è segnalata al v. 49: «Non sapevate che

io devo ( ) essere nella casa del Padre mio?».

Vi sono molti segni che indicano una rilettura pasquale:

I. Il luogo: Gerusalemme e il tempio.

II. La cornice liturgica: la festa di Pasqua.

III. L’angoscia e la ricerca di Maria e Giuseppe // la tristezza dei discepoli quando al se-

polcro non si trova più.

IV. L’indicazione temporale dei «tre giorni» di ricerca // il terzo giorno della risurrezione.

V. Il si trova 8 volte in Lc. (Lc. 9,22; 13,33; 17,25; 22,37; 24,7.26.44.46), per signifi-

care il piano divino e sempre in riferimento alla passione e morte.

VI. La “non comprensione” dei genitori, che ricorda quella dei discepoli: Lc 9,45; 18,34;

24,25.

In questa luce, l’«essere nella casa del Padre mio» del v. 49 evoca il cammino pasquale

dell’esistenza di Gesù, compiutasi pienamente con la sua morte e risurrezione. Se di fronte a questo

mistero sta la fatica a comprendere dei genitori (v. 50) e dei discepoli, la differenza è netta: mentre

questi ultimi sono «stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti» (Lc. 24,25), Maria «ser-

bava tutte queste cose nel suo cuore» (v. 51). Ella accetta che Gesù ponga il suo rapporto con il Pa-

dre al di sopra dei legami familiari. La sua fede non si ferma, continua a confrontarsi con la «spada»

che le è stata preannunciata, fino alla piena manifestazione della luce pasquale. Luca mette in evi-

denza l’itinerario progressivo di colei che avanzò nella peregrinazione della fede (Lumen Gentium

58), figura e modello del vero discepolo e icona della Chiesa nascente.

2.2.3 Giovanni e Apocalisse

Il significato di Maria per la Chiesa dei martiri e dei pellegrini.

2.2.3.1 Giovanni

In Giovanni sono soprattutto due i testi mariologici significativi; le nozze di Cana (2,1-12) e Maria

sotto la Croce (19,25-27). Ci sono poi qua e là altri riferimenti scarsi e problematici.

1) Gv 1,13: «i quali [il quale] non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio

sono stati generati [è stato generato]». Di questo versetto noi abbiamo due lezioni, una al plurale,

riferita ai credenti, ed una al singolare, riferita al Verbo venuto fra i suoi72

. In favore della prima le-

zione abbiamo la totalità dei manoscritti greci; per la seconda abbiamo alcune testimonianze patri-

stiche molto antiche (Giustino, Ireneo, Tertulliano, Ippolito, Origene): la lezione al singolare fareb-

be riferimento alla concezione verginale. Il plurale «dai sangui», letto specialmente alla luce di Lev

12,4-773

(testo classico della purificazione della puerpera), preceduto dalla negazione, per altri allu- 72

Cfr. I. DE LA POTTERIE, “La concezione verginale di Gesù secondo Giovanni”, in Maria nel mistero dell’alleanza, op.

cit., 93-143, 118-143. 73

Lev 12,4-7: Poi ella resterà ancora trentatré giorni a purificarsi dal suo sangue [suoi sangui: damîm]; non toccherà al-

cuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione. Ma se partorisce

una femmina sarà impura due settimane come durante le sue mestruazioni; resterà sessantasei giorni a purificarsi del

suo sangue [damîm]. Quando i giorni della sua purificazione per un figlio o per una figlia saranno compiuti, porterà al

sacerdote all’ingresso della tenda del convegno un agnello di un anno come olocausto e un colombo o una tortora in sa-

crificio per il peccato. Il sacerdote li offrirà davanti al Signore e farà il rito espiatorio per lei; ella sarà purificata dal

flusso del suo sangue [damîm].

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derebbe alla “nascita verginale” (cfr. Lc 1,35: «colui che nascerà santo sarà chiamato Figlio

dell’Altissimo»).

2) Gv 6,42: “E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre

e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?»”. Come nei paralleli sinottici questa

espressione esprime quanto si pensava di Gesù (cfr. pure Gv 1,45); essa mette in rilievo il contrasto

fra l’umiltà delle origini e la pretesa figliolanza divina di Gesù.

3) Gv 7,1-1074

: L’incredulità dei parenti di Gesù. Non è però menzionata Maria, che pure è presente

con loro in Gv 2,1275

.

4) Gv 2,1-12: le nozze di Cana

Il segno compiuto da Gesù alle nozze di Cana — collocato al culmine della settimana inau-

gurale (Gv 1,29.35.43; 2,1) che ricapitola la settimana genesiaca (Gen 1,1ss; cfr. Gv 1,1) e

introduce la ricreazione dell’uomo — non è solo l’inizio dei segni, ma ne è l’archetipo

( : v. 11), ne è la chiave di lettura che ci permette di comprendere il seguito del IV van-

gelo76

.

“Il terzo giorno”: è una espressione che si riferisce alla rivelazione del Sinai: Es 19,11 e

1677

; ma pure all’evento della risurrezione: cfr. Gv 2,19-22 (il tempio ricostruito = risurre-

zione); 1Cor 15,3s; Mt 12,40…78

Al terzo giorno si compie l’intervento escatologico di Dio

(cfr. Os 6,279

), la rivelazione della sua gloria al Sinai, nella risurrezione e a Cana, cui corri-

sponde la fede dell’antico e del nuovo popolo di Dio (cfr. Es 19,8: «quanto il Signore ha det-

to noi lo faremo»; Gv 2,11 e 22). Le nozze di Cana anticipano nel segno l’evento pasquale

come evento di alleanza nuziale, e come compimento dell’alleanza del Sinai. Sullo sfondo

del simbolismo veterotestamentario dello sposalizio fra il Signore e il suo popolo, espressivo

dell’alleanza messianica (cfr. Os 2,16-2580

; Ger 2,1-281

; 3,1.6-12; Ez 16; Is 50,1; 54,4-882

; 74

Gv 7,1-10:

Dopo questi fatti, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più percorrere la Giudea, perché i

Giudei cercavano di ucciderlo. Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, quella delle Capanne. I suoi fratelli gli dissero:

«Parti di qui e va’ nella Giudea, perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu compi. Nessuno infatti, se vuole

essere riconosciuto pubblicamente, agisce di nascosto. Se fai queste cose, manifesta te stesso al mondo!». Neppure i

suoi fratelli infatti credevano in lui. Gesù allora disse loro: «Il mio tempo non è ancora venuto; il vostro tempo invece è

sempre pronto. Il mondo non può odiare voi, ma odia me, perché di esso io attesto che le sue opere sono cattive. Salite

voi alla festa; io non salgo a questa festa, perché il mio tempo non è ancora compiuto». Dopo aver detto queste cose,

restò nella Galilea. Ma quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente, ma quasi di nasco-

sto. 75

Dopo questo fatto scese a Cafàrnao, insieme a sua madre, ai suoi fratelli e ai suoi discepoli. Là rimasero pochi giorni. 76

I. DE LA POTTERIE, “Il mistero delle nozze”, in Maria nel mistero dell’alleanza, op. cit., 177-225. 77

Es 19,11.16: «si tengano pronti per il terzo giorno, perché nel terzo giorno il Signore scenderà sul monte Sinai alla

vista di tutto il popolo…». Il terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni e lampi, una nube densa sul monte e un

suono fortissimo di corno: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore. 78

Gv 2,19-22: Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giu-

dei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tem-

pio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credette-

ro alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. 1Cor 15,3-4: A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ri-

cevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno se-

condo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. Mt 12,40: «Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti

nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra». 79

Os 6,1-2: « Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà.

Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare, e noi vivremo alla sua presenza». 80

Os 2,16-25: « Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Le renderò le sue vigne e tra-

sformerò la valle di Acor in porta di speranza. Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì

dal paese d’Egitto. E avverrà, in quel giorno – oracolo del Signore – mi chiamerai: “Marito mio”, e non mi chiamerai

più: “Baal, mio padrone”. Le toglierò dalla bocca i nomi dei Baal e non saranno più chiamati per nome. In quel tempo

farò per loro un’alleanza con gli animali selvatici e gli uccelli del cielo e i rettili del suolo; arco e spada e guerra elimi-

nerò dal paese, e li farò riposare tranquilli. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto,

nell’amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore. E avverrà, in quel giorno – o-

racolo del Signore – io risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; la terra risponderà al grano, al vino nuovo e

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62,4-5; il Cantico dei cantici e il Salmo 45), il segno di Cana rivela Gesù come lo sposo di-

vino del popolo di Dio rinnovato, con il quale conclude l’alleanza nuova e definitiva nel suo

mistero pasquale. Si è alla svolta decisiva della storia della salvezza: in essa la madre di Ge-

sù ha un suo ruolo, che Gv. ha voluto evidenziare.

È Maria a notare la mancanza di vino: «Non hanno più vino» (v. 3). Constatazione o do-

manda ispirata dalla fiducia che il Figlio intervenga? Comunque si evidenzia l’attenzione e

la concretezza della madre. Il vino rimanda al vino abbondante dei tempi messianici (Am

9,1383

; Ger 31,12; Gl 2,19.24; 4,18; Zc 9,17), che caratterizzerà il banchetto escatologico

(cfr. Is 25,684

) e sarà offerto gratuitamente (Is 55,185

). Il vino nuovo sarà presente nei giorni

delle nozze eterne fra il Signore e il suo popolo (cfr. Os 2,21-2486

; Cant 1,2-4; 4,10; 5,1…)

Il banchetto nuziale di Cana è quindi il segno dell’avvento del tempo promesso,

dell’intervento escatologico di Dio, che viene a colmare in maniera sovrabbondante l’attesa

e trasforma l’acqua della purificazione dell’antica Legge (v. 6) nel vino nuovo del Regno.

Nel rilievo di Maria, forse, emerge l’aspettazione messianica di Israele, la domanda che

l’antico patto rivolge al nuovo.

La risposta “tagliente” di Gesù al v. 4. L’espressione indica comunemente una divergenza o

una incomprensione (cfr. ad es. Mc 1,24; 5,7; Mt 8,29; Lc 4,34; 8,2887

); nel caso specifico è

l’incomprensione fra Maria che segnala il bisogno del vino e Gesù che darà il vino “nuovo”

nella sua “ora”. Oppure è l’incomprensione fra l’attesa dell’AT, significata nel rilievo di

Maria, e la novità sorprendente che il Cristo apporta e che si manifesterà pienamente nella

sua “ora”. Questa “ora” è l’evento pasquale della passione, morte e risurrezione (Gv 7,30;

8,20; 12,23.27; 13,1; 17,1; 19,2788

): la risposta inviterebbe la madre a passare dal bisogno

puramente materiale e da quello dell’antica attesa al piano della novità messianica.

all’olio e questi risponderanno a Izreèl. Io li seminerò di nuovo per me nel paese e amerò Non-amata, e a Non-popolo-

mio dirò: “Popolo mio”, ed egli mi dirà: “Dio mio”». 81

Ger 2,1: Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Va’ e grida agli orecchi di Gerusalemme: Così dice il Signore: Mi

ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto,

in terra non seminata». 82

Is 54,4-8: « Non temere, perché non dovrai più arrossire; non vergognarti, perché non sarai più disonorata; anzi, di-

menticherai la vergogna della tua giovinezza e non ricorderai più il disonore della tua vedovanza. Poiché tuo sposo è il

tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo d’Israele, è chiamato Dio di tutta la terra. Co-

me una donna abbandonata e con l’animo afflitto, ti ha richiamata il Signore. Viene forse ripudiata la donna sposata in

gioventù? – dice il tuo Dio. Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti raccoglierò con immenso amore. In un impeto

di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il

Signore». 83

«Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – in cui chi ara s’incontrerà con chi miete e chi pigia l’uva con chi getta

il seme; i monti stilleranno il vino nuovo e le colline si scioglieranno». 84

«Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di

vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati». 85

«O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate; venite, comprate senza

denaro, senza pagare, vino e latte». 86

Os 2,21-24: «Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevo-

lenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore. E avverrà, in quel giorno – oracolo del Signore – io ri-

sponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; la terra risponderà al grano, al vino nuovo e all’olio e questi risponderan-

no a Izreèl». 87

Mc 1,24: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio»; 5,7: e urlando a

gran voce disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!»; Mt

8,29: Cominciarono a gridare: «Che vuoi da noi, Figlio di Dio? Sei venuto qui a tormentarci prima del tempo?». 88

Gv 7,30: Cercavano allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la

sua ora; 8,20: Gesù pronunciò queste parole nel luogo del tesoro, mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò,

perché non era ancora venuta la sua ora; 12,23.27: Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorifi-

cato … Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a

quest’ora!»; 13,1: Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al

Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine; 17,1: Così parlò Gesù. Poi, alzàti gli occhi al cie-

lo, disse: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te »; 19,27: Poi disse al discepolo: «Ec-

co tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.

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L’appellativo «donna» (γύναι: v. 4), che Gesù usa comunemente rivolgendosi alle sue inter-

locutrici (cfr. Mt 15,28; Lc 13,12; Gv 4,21; 8,10; 22,13), ma che non si riscontra nel rivol-

gersi di un figlio alla madre, potrebbe evocare un rapporto fra la madre di Gesù e il ruolo di

Eva in Gen 3 (il richiamo di Gen 1,1 in Gv 1,1 potrebbe costituire lo sfondo remoto di que-

sto parallelismo), oppure rinviare alla Figlia di Sion, Gerusalemme o Israele, che spesso

nell’AT sono personificate in figura di donna.

Le parole che Maria rivolge ai servi: «Fate quello che vi dirà» (v. 5) richiamano l’alleanza

del Sinai: Es 19,8; 24,3.7 (ma anche le parole del Faraone che rinviano il popolo a Giusep-

pe: Gen 41,55). Come il popolo risponde alla rivelazione divina assentendo nella fede, così

Maria rivela la sua fiducia incondizionata nel Figlio, che ha appena evocato il mistero della

sua “ora”. Si può quindi vedere qui come Maria venga identificata con l’Israele credente: in

lei risuona la speranza del popolo eletto; e inoltre la fede della madre, che si mostra disponi-

bile al segno inaudito che il Figlio vorrà compiere, superando col “vino” nuovo e abbondan-

te ogni possibile aspettativa dell’AT, e che invita i servi (Gv non usa qui, come fa altrove ―

4,51; 15,15; 18,10 — il termine λοι, ma quello di διάκονοι, con cui in 12,2689

designa i

veri discepoli di Gesù) ad assumere l’atteggiamento, proprio dell’alleanza, della docilità per-

fetta alla volontà di Dio. La figura di Maria appare così legata da una parte all’attesa mes-

sianica, dall’altra al suo pieno, indeducibile compimento. In lei l’AT passa nel NT, Israele

nella Chiesa, la Legge nel Vangelo, per via della sua fede incondizionata nel Figlio. E poi-

ché il segno di Cana è l’archetipo dei segni e anticipa l’esperienza del Cristo pasquale, ecco

che Maria è, nella Chiesa nata con la Pasqua, colei che presenta al Figlio i bisogni dell’attesa

e orienta alla fede in Lui, condizione necessaria perché il vino nuovo riempia le giare

dell’antica purificazione. Se nel simbolo Gesù è lo sposo del popolo di Dio, in Maria appare

la figura sponsale della Donna, la Vergine Israele, la Chiesa Vergine e Madre, nel patto nu-

ziale, che è la Nuova ed eterna Alleanza.

4) Gv 19,25-27: Maria sotto la croce

Notiamo innanzi tutto un richiamo al segno di Cana: Maria è chiamata anche qui «donna»

(v. 26); viene evocata l’ora («da quell’ora il discepolo la prese in casa sua»: v. 27). Quanto

nel primo dei segni viene prefigurato viene qui ad offrirsi nel suo compimento90

.

Il v. 28: “Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si adempisse la

Scrittura disse: «Ho sete»”. Il dialogo del Figlio con la madre e il discepolo suggella dunque

il compimento del «tutto», dell’opera affidata a Gesù da parte del Padre (cfr. Gv 4,34; 5,36;

17,491

). Lo schema di rivelazione che si lascia intravedere nel racconto mediante la succes-

sione tipica: «vedere – dire – indicare» con l’«ecco» (vv. 26-27; cfr. Gv. 1,29.36 e 4792

), in-

vita a cogliere la profondità del mistero presente nelle persone indicate: il mistero della loro

vocazione e missione.

È un episodio storico o solo simbolico? Se anche non fosse storico, paradossalmente si ac-

crescerebbe l’importanza di Maria per la comunità giovannea.

Quale il significato? Dobbiamo tener presente il contesto di opposizione alla Sinagoga. A

questa comunità ― sfidata all’esterno dal giudaismo e dalle prime avvisaglie di persecuzio-

ne e all’interno dalla crisi riguardo all’esatta comprensione del mistero cristiano ― viene

89

Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. 90

I. DE LA POTTERIE, “La maternità spirituale di Maria”, in Maria nel mistero dell’alleanza, op. cit., 229-251; A.

SERRA, Maria presso la croce. Solo l’Addolorata? Verso una rilettura dei contenuti di Giovanni 19,25-27, EMP; Pado-

va 2011. 91

Gv 4,34: Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera»; 5,36: «

Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse

opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato»; 17,4: « Io ti ho glorificato sulla terra, com-

piendo l’opera che mi hai dato da fare». 92

Gv 1,29. 36.47: Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il

peccato del mondo!»… e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, [Giovanni] disse: «Ecco l’agnello di Dio!»… Gesù

intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità».

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presentata la scena della madre presso la croce, ultimo atto prima del supremo compimento

(v. 28) La madre è chiamata «donna», come Eva, come Gerusalemme. Come all’antica Ge-

rusalemme il profeta Isaia (60,4) diceva: « Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si

sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in

braccio », così alla nuova Gerusalemme – madre il profeta escatologico dice: «Ecco tuo fi-

glio».

Accanto alla madre c’è «il discepolo, che (Gesù) amava» (v. 26): indicato per tre volte con

l’articolo determinativo — «il discepolo» (vv. 26-27) —, è ulteriormente caratterizzato co-

me «il discepolo che egli amava». Esso evoca simbolicamente ogni altro discepolo, nel qua-

le, a motivo della fede, si realizza la parola di Gv 14,2193

. È il discepolo perfetto e fedele fi-

no alla croce, testimone del mistero fecondo del sangue e dell’acqua, sgorganti dal fianco

trafitto del crocifisso (v. 35) e testimone privilegiato della sua risurrezione (cfr. Gv 20,2-8).

A partire dall’«ora» della croce (v. 27) il discepolo accoglie la madre «fra le sue cose pro-

prie» ( δια): non si tratta solo di un’accoglienza materiale «in casa sua». L’espressione

ha nel vocabolario di Gv il valore di «mondo vitale, ambiente esistenziale» (così Gv 8,44 ri-

ferito a Satana; 15,19 riferito al mondo; 1,11 di Israele riferito al Verbo; 10,4 dei discepoli

in riferimento a Gesù; 16,32 riferito ai discepoli in senso negativo). La madre entra così nel

più profondo della vita del discepolo, ne fa ormai parte inseparabilmente. E poiché la «don-

na» è la figura dell’antico Israele e il discepolo della Chiesa credente, allora l’antico Israele

entra a far parte in modo vitale del nuovo. Inoltre, in quanto la «donna» rappresenta il popo-

lo nuovo dell’era messianica e il discepolo è il tipo di ogni singolo credente, la loro recipro-

ca appartenenza, indica la reciproca appartenenza fra la Chiesa-madre e i discepoli-figli del-

la Chiesa: al discepolo la Chiesa sta a cuore come la madre, bene prezioso affidatogli dal re-

dentore crocifisso. In quanto la madre è la singola donna concreta, la madre di Gesù, il testo

sembra indicare un rapporto privilegiato fra lei ed ogni singolo credente, oltre che fra lei e la

famiglia escatologica del Signore: Maria fa parte della Chiesa e della vita di fede del disce-

polo come bene prezioso; ma insieme in lei la Chiesa e i singoli credenti potranno ricono-

scere la madre, a loro affidata e a cui sono affidati.

Il gioco simbolico del testo si muoverebbe così su quattro registri:

(a) rapporto fra 2 significati collettivi: Israele – Chiesa;

(b) rapporto fra 1 significato collettivo e 1 individuale: Chiesa – singolo credente;

(c) rapporto fra 1 significato individuale e 1 collettivo: la madre di Gesù – la Chiesa;

(d) rapporto fra 2 significati individuali: la madre di Gesù e il singolo credente.

Gv 19,25-27 è quindi una testimonianza matura del significato che la Chiesa dei martiri e dei

pellegrini attribuisce alla madre del Signore per la sua vita presente e la sua speranza futura.

2.2.3.2 Apocalisse 12

Il contesto storico del testo è l’incipiente persecuzione dei cristiani da parte di Giudei e Romani94

.

Il «segno grandioso» (v. 1: ον μέγα) che appare nel cielo ( φθη è il verbo delle teofa-

nie e delle apparizioni del Risorto: cfr. 1Cor 15,5-8) mette in forte rilievo teologico-

simbolico la figura della «donna», che partorisce un figlio (v. 5). Si noti il segno contrappo-

sto del «drago» (v. 3).

La donna fugge nel deserto, dove Dio le ha preparato un rifugio (v. 6), mentre si sviluppa la

lotta fra Michele e i suoi angeli contro il drago (vv. 7ss), che ne esce sconfitto e perciò, pre-

cipitato sulla terra, si avventa contro la donna e la sua discendenza (vv. 13 e 17), che tuttavia 93

«Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e

anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui ». 94

I. DE LA POTTERIE, “La donna incoronata di stelle”, in Maria nel mistero dell’alleanza, op. cit., 255-278; P. GRELOT,

“Marie Mère de Jésus dans les Écritures”, in NRTh 121/1 (1999) 59-71; T. VETRALI, “La Madre del Messia in Apocalis-

se 12”, in Maria di Nazaret nella Bibbia, op. cit., 352-395.

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non soccomberanno (vv. 14 e 16). Lo sfondo veterotestamentario rinvia a Gen 3,15:

l’inimicizia perenne fra la donna e il serpente, fra il seme di questi e il seme di lei, seme che

schiaccerà il capo del serpente. In Ap 12,9 il drago è indicato come «il serpente antico».

Il riferimento al tema dell’esodo si coglie nel tema del «deserto» (v. 6. 13-17) — esso è il

luogo della prova, ma anche delle relazioni amorose fra Dio e il suo popolo; è pure luogo di

protezione e di rifugio (Mosè, Elia) — e nel motivo delle «ali di aquila» date alla donna per

volare verso di esso (cfr. v. 14 e Es 19,495

), oltre che con l’immagine della terra asciutta che

assorbe il fiume delle acque (vv. 15-16 e Es 14,9ss e 15,2: il Faraone è chiamato «il grande

dragone» in Ez 29,396

).

L’immagine del dragone e la guerra di Michele rinviano a Dan 7,7ss e 10,2197

; la figura del-

la «donna» evoca la nuova Gerusalemme, madre del popolo messianico (cfr. Is 66,798

), e in

generale Israele (Os 1-3; Is. 26,17s99

e Ger 31,4.15100

). Lo sfondo veterotestamentario dà al

testo un denso valore messianico-escatologico e consente di riconoscere nella donna con

l’Israele dell’attesa il nuovo Israele del compimento. La conferma si ha nel modo in cui la

donna è presentata: «una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo

una corona di dodici stelle» (v. 1; cfr. Ct 6,10101

). Il sole è la fonte della luce ed è immagine

della sovranità e trascendenza di Dio, che è «avvolto di luce come di un manto» (Sl 104,2);

ma anche Sion è da Dio «rivestita di magnificenza» (Is 52,1; 60,1.19-21102

). La donna, per-

ciò, in quanto vestita di sole, è presentata come una realtà assunta al mondo celeste per

un’iniziativa amorosa di Dio. La luna è l’astro su cui si misurano i tempi (cfr. Gen 1,14-19;

Sir 43,7s); essa sembra sparire, ma poi rinasce di nuovo. Avere la luna sotto i piedi significa

possedere il dominio sullo svolgimento del tempo o almeno essere sottratti al suo corso fata-

le. La corona di dodici stelle (cfr. già Ap 1,16;) è un richiamo alle tribù dell’antico Israele

(cfr. il sogno di Giuseppe: Gen 37,9) e ai dodici apostoli dell’Agnello (Ap 21,10.12.14) fon-

damento della nuova Gerusalemme. La donna sta qui per il popolo messianico di Dio nel

suo compimento celeste e trascendente.

“Il figlio maschio” (v. 5). Questa precisazione indica che la «donna» è la madre del Messia-

re, generato nel dolore ― cfr. v. 2 ―, oggetto della feroce avversione del drago (v. 4b), ele-

vato al trono di Dio (v. 5). Queste condizioni più che a Betlemme ci fanno pensare al miste-

ro pasquale: il testo del v. 5 rinvia infatti ai Sl 2,8.9103

e Sl 110,1104

; due salmi usati di fre-

quente nel NT per indicare il senso della risurrezione. L’idea della risurrezione espressa nei

termini di un concepimento si ritrova poi in At 13,32ss e Rm 1,4. Il parto della donna in Ap

95

«Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatto venire fino a

me». 96

Parla dunque dicendo: Così dice il Signore Dio: Eccomi contro di te, faraone, re d’Egitto; grande coccodrillo, sdraiato

in mezzo al Nilo, hai detto: "Il Nilo è mio, è mia creatura». 97

«Io ti dichiarerò ciò che è scritto nel libro della verità. Nessuno mi aiuta in questo se non Michele, il vostro principe». 98

«Prima di provare i dolori, ha partorito; prima che le venissero i dolori, ha dato alla luce un maschio». 99

Is 26,17-18: « Come una donna incinta che sta per partorire si contorce e grida nei dolori, così siamo stati noi di fron-

te a te, Signore. Abbiamo concepito, abbiamo sentito i dolori quasi dovessimo partorire: era solo vento; non abbiamo

portato salvezza alla terra e non sono nati abitanti nel mondo». 100

Ger 31,4.15: « Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata, vergine d’Israele. Di nuovo prenderai i tuoi tamburelli e

avanzerai danzando tra gente in festa … Così dice il Signore: «Una voce si ode a Rama, un lamento e un pianto amaro:

Rachele piange i suoi figli, e non vuole essere consolata per i suoi figli, perché non sono più». 101

«Chi è costei che sorge come l’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come un vessillo di guer-

ra?». 102

Is 60,1.19-21: «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te… Il sole non

sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più lo splendore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio

sarà il tuo splendore. Il tuo sole non tramonterà più né la tua luna si dileguerà, perché il Signore sarà per te luce eterna;

saranno finiti i giorni del tuo lutto. Il tuo popolo sarà tutto di giusti, per sempre avranno in eredità la terra, germogli del-

le piantagioni del Signore, lavoro delle sue mani per mostrare la sua gloria». 103

«Chiedimi e ti darò in eredità le genti e in tuo dominio le terre più lontane. Le spezzerai con scettro di ferro, come

vaso di argilla le frantumerai». 104

«Oracolo del Signore al mio Signore: «Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi».

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12 e l’esaltazione del figlio nato sarebbero allora un simbolo denso della vittoria pasquale

sul dolore e sulle prove inflitte dall’antico avversario.

Cos’è questo parto doloroso connesso all’immediata esaltazione? Il termine usato per de-

scrivere le doglie del parto ( ) in altri passi del NT ricorre solo in riferimento ai do-

lori escatologici nel giorno del Signore (cfr. Mc 13,8; 1Ts 5,3); inoltre, il termine applicato

alla descrizione dello sforzo di partorire nel NT e in tutto l’AT greco non è mai usato per in-

dicare i dolori del parto in senso proprio. La terminologia, quindi, ci suggerisce una possibi-

le e probabile interpretazione simbolica dell’immagine. Prima di tutto, appartiene al classico

messaggio profetico l’annuncio della salvezza legata a un parto: cfr. Is 7,14; Mi 5,2.

L’espressione è connessa con l’immagine di Sion che geme verso la salvezza (Mi 4,10105

).

L’immagine della maternità sarà ripresa e applicata alla Sion escatologica, la quale vedrà i

suoi figli venire da lontano e le sue figlie portate in braccio (Is 60,3s) ed esclamerà: «Chi mi

ha generato costoro? Io ero priva di figli e sterile; questi chi li ha allevati? Ecco, ero rimasta

sola e costoro dove erano?» (Is 49,21). Questa maternità sarà un grande prodigio di Dio: cfr.

Is 66,7-9106

. Strettamente legato con il motivo della maternità è quello delle doglie. Nel bra-

no di Isaia appena citato l’assenza quasi totale delle doglie del parto è legata alla salvezza

futura e vuole indicare che il suo tempo viene improvviso. In ogni caso le doglie sono sim-

bolo di una sofferenza che prelude o almeno dovrebbe preludere, alla gioia della salvezza107

.

È ricorrente quindi nel linguaggio profetico l’immagine di Sion o di Israele come di una

donna che partorisce i figli del popolo di Dio (cfr. Ger 30,6; Os 13,13). Il motivo dei “dolori

messianici” ricorre abbondantemente nella tradizione rabbinica: come le doglie preannun-

ciano e preparano la nascita imminente, così l’acuirsi delle ristrettezze e delle sofferenze dei

fedeli introduce immancabilmente nel parto escatologico, cioè nella salvezza messianica.

E Maria? La «donna» di Ap 12 è la madre del Messia-re108

. Nella comunità cristiana, sin dal-

le origini, la madre del Signore era ben conosciuta: sembra quindi impossibile escludere un

qualche riferimento a lei, specialmente nel quadro della teologia giovannea. Già all’inizio

del vangelo Gesù compie il “primo” dei segni su sollecitazione di sua madre chiamata “don-

na”, in rappresentanza del popolo di Israele all’ora messianica. In Gv 16,21-23109

Gesù raf-

figura l’imminente mistero della sua passione/glorificazione come un parto doloroso ma a

lieto fine. Ai piedi della croce (Gv 19,26) la “donna” prende un nome specifico e contempo-

raneamente allarga l’orizzonte della sua maternità. In questo preciso momento, la donna che

soffre prende corpo nella madre di Gesù e contemporaneamente, la sua maternità non è più

ristretta al figlio che ella ha generato nella carne, ma si estende al discepolo prediletto, a o-

gni discepolo che costituisce il popolo di Gesù che si è formato dalla croce. Si potrebbe for-

se dire che, dopo avere attribuito una funzione simbolica ecclesiologica alla madre di Gesù

al Calvario, Giovanni nell’Apocalisse applica il medesimo linguaggio simbolico alla Chiesa

– popolo messianico. Questo ci suggerisce che non possiamo comprendere pienamente la

donna di Ap 12 senza passare attraverso la mediazione storica della madre di Gesù.

105

«Spasima e gemi, figlia di Sion, come una partoriente, perché presto uscirai dalla città e dimorerai per la campagna e

andrai fino a Babilonia. Là sarai liberata, là il Signore ti riscatterà dalla mano dei tuoi nemici». 106

Is. 66,7-9: Prima di provare i dolori, ha partorito; prima che le venissero i dolori, ha dato alla luce un maschio. Chi

ha mai udito una cosa simile, chi ha visto cose come queste? Nasce forse una terra in un giorno, una nazione è generata

forse in un istante? Eppure Sion, appena sentiti i dolori, ha partorito i figli. «Io che apro il grembo materno, non farò

partorire?», dice il Signore. «Io che faccio generare, chiuderei il seno?», dice il tuo Dio. 107

Is. 26,17-18: Come una donna incinta che sta per partorire si contorce e grida nei dolori, così siamo stati noi di fronte

a te, Signore. Abbiamo concepito, abbiamo sentito i dolori quasi dovessimo partorire: era solo vento; non abbiamo por-

tato salvezza alla terra e non sono nati abitanti nel mondo». 108

Nella storia dell’esegesi sono state proposte quattro identificazioni: 1) la Vergine Maria, la madre di Gesù, il Cristo;

2) la Chiesa, comunità-sposa che continua nel dramma della storia a generare il Cristo; 3) il popolo di Israele, sposa di

Dio che ha preparato con la sua storia la nascita del Messia; 4) la prima madre, ossia l’umanità a cui è promessa la sal-

vezza nella lotta contro il male attraverso l’opera del suo stesso “seme”. 109

Gv. 16, 21-22: « La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce

il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete

nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia».

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Mariologia: 2012/13 31

Nell’Israele autentico ― costituito secondo Ap 12,17 da coloro che intendono conservare i

comandamenti di Dio (la Legge di Mosè, comprese le prescrizioni alimentari: Ap 2,20) e la

testimonianza di Gesù, il Messia Cristo proveniente dalla stirpe di Davide (Ap 5,5; 22,16) ―

e messo alla prova dalla persecuzione quale vero Resto di Israele (Am 5,15; Is 7,3; Rm 9,3),

la figura della madre di Gesù poteva essere evocata quale densa immagine della vocazione e

della vicenda dell’intero popolo di Dio: motivo di conforto e di speranza. Nella donna Maria

la Chiesa dei martiri e dei pellegrini poteva riconoscere le grandi linee del suo destino to-

talmente rapportato al Figlio di lei, crocifisso e risorto per gli uomini.

3 SECONDA PARTE: MARIA NELLA FEDE DELLA CHIESA

Le affermazioni dogmatiche a riguardo di Maria sono quattro:

1° Maria è la madre di Dio; 2° Maria è la sempre vergine; 3° Maria è l’immacolata concezione; 4°

Maria è l’assunta.

Ma «la Madre del mio Signore» (Lc 1,43) è ancora la Madre di Dio della fede della Chiesa?

Per qualcuno il dogma mariologico, nel suo sviluppo cattolico, è il segno più evidente della “uma-

nizzazione” del cristianesimo, operata dal cattolicesimo romano: invece del “soli Deo gloria” si sa-

rebbe riservata una porzione di gloria anche per l’uomo (in questo caso Maria).

Certamente, la fede ecclesiale intorno a Maria, nel suo sviluppo dogmatico, è un segno distintivo

della Chiesa cattolica. «La mariologia, qui intesa come la dottrina della Chiesa cattolica su Maria

santissima, rappresenta il caso esemplare dei dogmi del cattolicesimo. La sua evoluzione, infatti, of-

fre in primo luogo gli esempi più istruttivi per il gioco di forze dei diversi fattori di sviluppo dei

dogmi e per la molteplicità delle questioni che lo sviluppo delle proposizioni di fede pone alla co-

scienza religiosa e alla storiografia critica. In secondo luogo, proprio questo complesso di dogmi si

rivela come il punto di incrocio di altre verità di fede e del loro sviluppo. In terzo luogo, la loro ge-

nesi abbraccia l’intero arco della storia della Chiesa e della storia dei dogmi»110

.

Tutto questo non elimina una fondamentale continuità fra la fede biblica e la fede ecclesiale; c’è pe-

rò anche uno sviluppo non solo nella comprensione soggettiva (= formulazione della fede), ma an-

che in quello della comprensione oggettiva, per cui vengono incluse acquisizioni di verità che pur

non aggiungendo nulla di nuovo a quanto già in Cristo è stato detto, si presentano tuttavia come rea-

li novità nei confronti di ciò che prima era esplicitamente conosciuto e affermato. Vi è quindi una

“continuità discontinua”.

«I quattro dogmi mariani si possono dividere in due gruppi in base sia al loro contenuto sia al loro

processo evolutivo. La fede della Chiesa nella divina maternità e verginità di Maria è inscindibil-

mente collegata con la fede in Cristo e la sua formulazione storico-dogmatica. I due cosiddetti

“nuovi” dogmi mariani si fondano sì sulla dignità e sul significato della Vergine Madre di Dio, ma

prendono parimenti in considerazione soprattutto la figura morale di Maria, si distinguono per la

modalità della loro motivazione teologica e del loro sviluppo fino alla decisione dottrinale della

Chiesa»111

.

3.1 VERGINE E MADRE DI DIO: IL DOGMA NEL REGIME DELLA CRISTOLOGIA

Le cause dello sviluppo del dogma mariano nella Chiesa antica sono dovute a quattro complessi di

fattori112

:

I. il bisogno di professare la verità cristologica;

II. l’esigenza di difendere la fede cristologica contro le eresie;

III. la ricerca di un modello significativo di consacrazione a Dio (verginità perpetua);

110

G. SÖLL, Storia dei dogmi mariani, Las, Roma 1981, 15. 111

SÖLL, op. cit., 17. 112

Ci riferiamo qui alla proposta di B. FORTE, Maria, la donna icona del mistero. Saggio di mariologia simbolico-

narrativa, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1989, 108ss.

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Mariologia: 2012/13 32

IV. lo sviluppo del culto mariano.

3.1.1 Il bisogno di professare la verità cristologica

Per i cristiani parte ineliminabile della loro identità è l’esigenza di proclamare la propria fede nel

Cristo, proclamare Gesù come Signore, Cristo e Figlio di Dio.

Nei primi secoli questa confessione ha assunto un carattere storico – narrativo: essa vuole congiun-

gere il Crocifisso al Risorto. L’evento pasquale rivela non solo l’esaltazione e glorificazione

dell’umiliato, ma anche il suo venire da Dio, il suo essere nella condizione divina, che non è annul-

lato, anche se velato, dalla kenosi (Fil 2,6ss).

Proprio all’interno dell’interesse per la “cristologia discendente” emerge l’interesse per la “madre

del Signore”. È per meglio affermare la condizione divina del Figlio e il suo ruolo salvifico, che si

avverte il bisogno di parlare della Vergine Maria. Il luogo della fede intorno a Maria è quindi la cri-

stologia e la sua rilevanza soteriologica.

Si elabora un parallelismo tra Maria ed Eva, modellato su quello paolino tra Adamo e Cristo (1Cor

15; Rm 5), già nel secondo secolo in Giustino113

e Ireneo114

. Il motivo è quello della “recirculatio”,

secondo cui il rapporto tra Dio e l’umanità deve riprendere da dove è stato interrotto e superare

dall’interno l’ostacolo che era stato frapposto dal peccato (cfr. Rm 5,18-19): se tramite la disobbe-

dienza della vergine Eva nel mondo entra il peccato, tramite l’obbedienza della vergine Maria la

creazione nuova può riprendere il suo corso.

3.1.2 L’esigenza di difendere la fede cristologia contro le eresie

La difesa della confessione di Gesù ha un carattere soteriologico: se è compromessa la verità di Ge-

sù Cristo, è compromessa la nostra salvezza. La difesa della fede cristologia diventa al tempo stesso

attestazione della verità intorno a Maria.

A) Nel II secolo sono due le tendenze eretiche a riguardo di Gesù Cristo:

1. L’adozionismo: in ambienti giudaici (ebioniti) e poi in ambienti greco-ellenistico (le varie forme

di “adozionismo”) si accentua la dimensione umana di Gesù, fino a vanificarne la divinità: Gesù sa-

rebbe un uomo giusto che ha ricevuto una vocazione singolare dal Dio unico ed è stato da Lui “a-

dottato” (cfr. l’episodio del Battesimo di Gesù). La grande Chiesa ha difeso l’identità divina di Ge-

sù sottolineando la sua concezione verginale da Maria, che implicava sin dal primo inizio della sua

storia l’assoluta iniziativa divina.

2. Gli gnostici e il docetismo: essi intendono valorizzare la condizione trascendente di Gesù contro

quella umana (perché la materia è male): egli è il rivelatore che viene dall’alto. L’ortodossia invece

vuole accentuare gli aspetti propri della vera umanità del Salvatore: perciò il suo essere nato “da”

donna (εκ e non εν né δια)115

è vista come la garanzia del suo essere veramente uomo.

113

«Noi sappiamo che egli è diventato uomo tramite la vergine, affinché per la stessa via per la quale il peccato causato

dal serpente ebbe inizio, il peccato fosse anche tolto. Eva infatti, che era vergine incorrotta, ascoltando la parola del ser-

pente generò peccato e morte. La vergine Maria, al contrario, fu piena di fede e di gioia allorché l’angelo le portò la lie-

ta notizia che lo Spirito del Signore sarebbe sceso su di lei e la forza dell’Altissimo l’avrebbe ricoperta, per cui anche il

Santo che sarebbe nato da lei sarebbe stato il Figlio di Dio»: GIUSTINO, Dialogo con Trifone 100, 5. 114

«E come per la disobbedienza di una vergine l’uomo fu portato alla caduta, precipitò e morì, così l’uomo ricevette la

vita attraverso una vergine che obbedì alla parola di Dio … Era necessario e giusto, infatti, che nella riabilitazione di

Adamo in Cristo il mortale fosse inghiottito dall’immortale e in esso assunto, ed Eva fosse assunta da Maria, cosicché la

Vergine divenisse avvocata della vergine e dissolvesse ed eliminasse la disobbedienza verginale con la verginale obbe-

dienza»: IRENEO, Demonstatio evangelica, 33.

«Maria è ubbidiente mentre dice: “Ecco la tua serva, Signore, mi avvenga secondo la tua parola”. Eva invece la trovia-

mo disubbidiente: non ubbidì infatti proprio quand’era ancora vergine. Ora, come Eva …, fattasi disubbidiente, divenne

causa di morte tanto per sé che per tutto il genere umano, così Maria …, obbedendo, divenne causa di salvezza tanto per

sé che per tutto il genere umano … Così il nodo della disubbidienza di Eva fu sciolto dall’obbedienza di Maria: poiché

quello che la vergine Eva con la sua incredulità aveva annodato, lo sciolse la vergine Maria con la sua fede»: IRENEO,

Adversus Haereses, III, 22, 4. 115

«Dov’è la millanteria di quelli che si proclamano sapienti? Infatti il nostro Dio Gesù Cristo fu portato in grembo da

Maria secondo l’economia di Dio, dal ceppo di Davide certo, ma da Spirito Santo; e fu generato e fu battezzato, per pu-

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Mariologia: 2012/13 33

B) Nel III secolo sorgono altre due eresie: il modalismo (Prassea e Sabellio), e l’adozionismo (Paolo

di Samosata e Ario).

1. Il modalismo di Prassea e Sabellio fa della storia umana una pura teofania, cogliendovi il “modo”

in cui l’unico Dio appare fra gli uomini.

2. L’adozionismo di Paolo Samosata e Ario presenta Gesù non come un uomo “adottato” da Dio,

ma il Figlio “creato” dal Padre come primizia e archetipo di tutte le cose, mediatore e strumento del

Dio eterno, ma pur sempre inferiore come la creatura nei confronti del Creatore, suscettibile di di-

venire, di incarnarsi e di patire.

L’interesse per Maria contro il modalismo si esplicita come una difesa della vera inserzione del Fi-

glio di Dio nella storia del mondo e contro l’adozionismo come proclamazione della condizione di-

vina del Signore Gesù sin dal primo istante della sua vicenda terrena. Così accanto al tema della

“verginità” di Maria, segno dell’origine divina del Figlio, si sviluppa l’attenzione al tema della sua

“maternità divina”.

Affermata a Nicea (325) la consustanzialità del Figlio col Padre, il suo essere alla pari con Dio sul

piano dell’essenza, la Madre di Gesù poteva essere designata come θεοτόκος?

Nel Simbolo niceno-costantinopolitano (381) entra l’esplicita menzione della verginità di Maria,

collegata alla fede cristologia e al suo significato salvifico116

.

Il riferimento a Maria era già presente nel Simbolo apostolico (inizi del III secolo)117

, tuttavia nel

credo di Costantinopoli la menzione di Maria vergine è caricata di pieno significato soteriologico

(«per noi uomini e per la nostra salvezza») e teologico perché contro le eresie esplicitamente men-

zionate nei canoni del Concilio viene ad evidenziare la verità cristologia dell’essere Gesù Cristo ve-

ramente Dio e veramente uomo. Si noti poi che la preposizione εκ regge tanto la menzione dello

Spirito, principio divino, quanto quella di Maria, grammaticalmente e dottrinalmente congiunta con

lo Spirito Santo, come co-principio umano dell’incarnazione e dell’umanizzazione del Figlio di Dio

per la salvezza dell’uomo. Inoltre, Maria è presentata come “la” Vergine: la sua verginità è il segno

del fatto che Colui che è concepito in lei non è frutto di azione umana, ma è da Dio, viene dall’alto,

pur essendosi fatto in Lei e da Lei veramente uomo.

C) Nel V secolo si confrontano le cristologie delle scuole di Alessandria e di Antiochia.

Nestorio, della scuola di Antiochia, accentua la concretezza e la singolarità dell’umanità di Gesù,

fino a considerarla un soggetto umano completo, unito solo moralmente alla persona divina del Fi-

glio: il Verbo è nel suo tempio (Gv 2). Questa “cristologia della separazione” non può accettare il

titolo di θεοτόκος, ma al massimo quello di χριστοτόκος. L’umanità di Gesù appare pienamente sal-

vaguardata, la divinità altamente rispettata, ma al prezzo di una scissione ontologica, di un’unione

ontologica debole.

La scuola di Alessandria è una “cristologia dell’unione” (meglio dell’unità), capace di percepire

l’unità del mistero e ricogliere nell’umanità di Gesù la presenza personale del Verbo. È la cristolo-

gia di Cirillo che trionfa ad Efeso nel 431 con la condanna di Nestorio e l’affermazione di una unio-

ne «secondo l’ipostasi», «non secondo la volontà», delle due nature del Verbo incarnato. Di conse-

guenza (1) è legittima la “comunicazione degli idiomi”e (2) doveroso è il riconoscimento di Maria

come θεοτόκος118

. Si noti bene che Maria è chiamata madre non della divinità, ma di Dio il Figlio,

rificare l’acqua con la sua passione. E rimase occulta al principe di questo mondo la verginità di Maria e il suo parto,

come pure la morte del Signore: tre clamorosi misteri, che si compirono nel silenzio di Dio»: IGNAZIO DI ANTIOCHIA,

Ad Efes., 18-19. 116

«Crediamo… in un solo Signore Gesù Cristo, il Figlio unigenito di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, luce da

luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, consustanziale al Padre, per mezzo del quale tutte le cose sono state

create; il quale per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso dal cielo e si è fatto uomo da Spirito Santo e Maria la

vergine… »: DS 150. 117

«Credi in Gesù Cristo, Figlio di Dio, che è nato per opera dello Spirito Santo da Maria vergine…?»: DS 10. 118

Seconda lettera di Cirillo a Nestorio: «Così (i santi Padri) non dubitarono di chiamare genitrice di Dio la santa vergi-

ne (θεοτόκον την αγίαν παρθένον), non nel senso che la natura del Verbo e la sua divinità abbiano preso il principio

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Verbo incarnato. La piena e vera umanità di Gesù, unita nell’ipostasi divina, è generata dalla Vergi-

ne, che perciò è genitrice del Figlio eterno fatto carne.

Il Concilio di Calcedonia (451) produrrà anche una definizione di valore dogmatico espressamente

dichiarato: qui i Padri non solo rifiutano la “cristologia della separazione” di matrice nestoriana, ma

escludono anche la posizione di Eutiche, il quale parlava di “una natura dopo l’unione”: cfr. i quat-

tro avverbi: «senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza separazione».

In questo contesto viene precisata anche la confessione di fede relativa a Maria: ella è “la” Vergine

e “la” Madre di Dio119

.

3.1.3 La ricerca di un modello significativo di consacrazione a Dio

In riferimento particolare, anche se non esclusivo, alla vita monastica, sorge una riflessione sul mo-

tivo della verginità di Maria. Il motivo della verginità di Maria, legato sin dall’inizio al nucleo cen-

trale della fede cristologia ed al suo significato salvifico, cominciò ad essere colto ben presto anche

nelle sue implicanze spirituali e morali.

La verginità «ante partum», cioè nella concezione miracolosa di Gesù ad opera dello Spirito Santo

fu sempre più congiunta, da una parte per via di deduzione dogmatica, dall’altra sotto la spinta della

ricerca di un modello di etico alla «virginitas in partu» e «post partum».

La fede relativa alla «nascita verginale» (in partu) più che interessata alle circostanze fisiologiche

della nascita di Gesù, vuole sottolineare il carattere soprannaturale di questo evento, la presenza in

esso della luce e della potenza pasquali (cfr. il paragone fra l’uscita del bimbo dal grembo di Maria

e il passaggio del Risorto attraverso le porte del Cenacolo). Al modo miracoloso del concepimento,

corrisponde il modo miracoloso del parto.

Nella Chiesa antica il “come” del parto non fu indagato fino in fondo, ma venne considerato come

continuazione dell’azione divina in occasione del concepimento. Già Ignazio di Antiochia scriveva:

«Dov’è la millanteria di quelli che si proclamano sapienti? Infatti il nostro Dio Gesù Cristo fu por-

tato in grembo da Maria secondo l’economia di Dio, dal ceppo di Davide certo, ma da Spirito San-

to; e fu generato e fu battezzato, per purificare l’acqua con la sua passione. E rimase occulta al

principe di questo mondo la verginità di Maria e il suo parto, come pure la morte del Signore: tre

clamorosi misteri, che si compirono nel silenzio di Dio» (Ignazio di Antiochia, Ad Efes., 18-19).

Di conseguenza contro il docetismo si ribadisce che quello di Maria è stato un vero parto, e non un

parto apparente: un vero parto naturale. A chi si scandalizzava per il fatto che il Verbo divino si fos-

se dovuto sottoporre alla crudezza di un parto, Tertulliano risponde che non era certo peggiore della

morte120

: se non ci scandalizziamo della passione e della morte di croce, perché mai dovremmo

scandalizzarci del parto? Al manicheo che protestava «non sia mai che io confessi che il Signore

nostro Gesù Cristo sia disceso attraverso le parti genitali di una donna», Archelao risponde ribaden-

do la serietà della storia della salvezza:

«Se infatti, come tu dici, Egli non è nato, senza dubbio neppure ha patito, perché è impossibile che

soffra colui che non è nato. Ma se non ha patito, si cancelli il nome della croce. Se allora non accet-

ti la croce, Gesù non è risorto neppure dai morti: e se Gesù non è risorto dai morti, nessun altro ri-

sorgerà dai morti. […] Tutte queste cose tu le affastelli insieme, negando quella carne che è nata da

Maria»121

.

Anche se naturale, e quindi vero, questo parto è però particolare e straordinario nella sue modalità.

Innanzitutto perché legato a un concepimento verginale. Certamente un punto piuttosto complesso è

dell’essere dalla santa Vergine, ma nel senso che il Verbo si dice nato secondo la carne, avendo tratto da lei il santo

corpo perfezionato dall’anima razionale, al quale era unito secondo l’ipostasi»: DS 251. 119

«Seguendo i santi Padri, tutti unanimemente insegniamo che sia confessato un solo e medesimo Figlio, il Signore

nostro Gesù Cristo …, lo stesso generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, (generato) negli ultimi giorni

per noi e per la nostra salvezza da Maria la Vergine, la Genitrice di Dio, secondo l’umanità»: DS 301. 120

TERTULLIANO, Adversus Marcionem, 3, 11; PL 2, 259-526. 121

EGEMONIO, Acta Archelai, 54-57.

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Mariologia: 2012/13 35

la maniera con cui i padri presentano il parto verginale di Maria, la virginitas in partu. Sono proba-

bilmente gli apocrifi122

i primi a parlare del parto straordinario di Maria: lo presentano come un par-

to senza dolori e senza l’assistenza delle levatrici, che arrivano a cose fatte per testimoniarne la sin-

golarità. Il rischio di docetismo è qui evidente. Per questo i padri insistono sulla realtà del parto di

Maria. Man mano, però, che riflettono sulla santità singolare del frutto di quel parto, sono portati a

cogliere la singolarità del parto stesso, una singolarità dove l’aspetto fisico è totalmente al servizio

del discorso cristologico: il parto, in pratica, non avrebbe recato alcun danno alla verginità di Maria.

«Partorì e non partorì»123

, scrive Clemente; «partorì e non partorì; è vergine e non è vergine»124

, ri-

pete Tertulliano per precisare la singolarità di quel parto125

. Questo parto verginale è descritto attra-

verso due caratteristiche: è stato un parto indolore ed è stato un parto che ha lasciato integro il suo

grembo. Il tema del parto indolore si sviluppa leggendo Is 7,14 a partire da Is 66,7 («Prima di pro-

vare i dolori, ha partorito; prima che le venissero i dolori, ha dato alla luce un maschio»), che indi-

cherebbe la straordinarietà del nuovo inizio di Dio col suo popolo, della nuova creazione, utilizzan-

do il segno del parto indolore contro la “maledizione” di Gen 3,16 («Moltiplicherò i tuoi dolori e le

tue gravidanze, con dolore partorirai figli»). Una testimonianza di questo parto indolore sarebbe

contenuta nella indicazione di Lc 2,7, secondo cui Maria dopo il parto si prese immediatamente cura

del Figlio126

. L’interpretazione più accurata di questo tema è quella di Gregorio di Nissa: leggendo

Gen 3,16 alla luce di Lc 1,28 ritiene che l’assenza di peccato e la pienezza della grazia abbiano ri-

sparmiato a Maria i dolori del parto127

. Il suo è stato un parto indolore. Questo collegamento tra do-

lore e peccato, tra gioia e grazia, è prezioso perché va al di là dei concetti neoplatonici di impassibi-

lità e di incorruzione che, pure, rappresentano il sottofondo del suo pensiero. Il Nisseno concluderà

che «là dove non ci fu nessuna voluttà nel concepimento, non seguì neppure il dolore durante il par-

to»128

.

La seconda caratteristica del parto verginale di Maria è che ha lasciato integro il suo grembo. Già

Ireneo aveva introdotto questa espressione quando, in modo ancora oscuro, parla del puro grembo

di Maria aperto in modo puro da colui che è puro e lo purifica129

. L’influenza di questa impostazio-

ne sarà grande. Gregorio di Nazianzo parlerà di un parto «ineffabile e senza alcuna impurità. Infatti

non vi è nulla di sordido dove c’è quel Dio da cui viene la salvezza»130

; Epifanio dirà che Cristo è

venuto alla luce per via genitale «senza alcuna vergogna, contaminazione o macchia»131

. Molti au-

tori, per la verità, pur ribadendo questo concetto di un parto immacolato e senza contaminazione, si

122

Cfr. il Protovangelo di Giacomo, l’Ascensione di Isaia, le Odi di Salomone e gli Oracoli sibillini. 123

CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromata, VII, 16; PG 9, 531. 124

TERTULLIANO, De carne Christi, 23; PL 2, 789. 125

Va però ricordato che Tertulliano è contrario a ogni virginitas in partu; il suo testo, infatti, interpreta così la singola-

rità del parto: «[Maria], infatti, diede alla luce ciò che proveniva dalla sua carne; non diede invece alla luce quanto era

nato dal seme del marito. Era vergine per quanto si ha dall’uomo; non era vergine quanto al parto vero e proprio» (i-

bid.). A lui vanno aggiunti gli antidicomarianiti, così detti da antídicoi o avversari, che negavano la verginità di Maria. 126

«Non vi era, lì, alcuna levatrice né intervenne l’aiuto di nessuna donna. Lei stessa avvolse il bambino con panni; lei

stessa fu madre e levatrice»: GIROLAMO, De perpetua virginitate Beatae Mariae adversus Helvidium, 8; PL 23, 201. 127

«Siccome colei che introdusse la morte nella natura, mediante il peccato, fu condannata a partorire nella sofferenza e

nel travaglio, occorreva che la Madre della Vita, dopo aver iniziato il concepimento nella gioia, pure nella gioia portasse

a termine il parto. Perciò l’arcangelo le disse: Rallegrati, o piena di grazia (Lc. 1,28). Con queste parole le toglie il peso

di quel dolore che all’inizio della creazione era stato imposto al parto a causa del peccato»: In Canticum Canticorum,

13; PG 44, 1053. 128

GREGORIO DI NISSA, Homilia I in Resurrectionem; PG 46, 601. 129

IRENEO, Adversus Haereses, IV, 33, 11: «Annunciavano l’Emmanuele nato dalla Vergine, facevano conoscere

l’unione del Verbo di Dio con la sua creatura: che il Verbo sarebbe diventato carne e il Figlio di Dio sarebbe diventato

Figlio dell’uomo aprendo puramente, egli che è il Puro, la pura matrice che rigenera gli uomini per Dio e che lui stesso

ha reso pura (purus pure puram aperiendo vulvam, eam quae regenerat homines in Deum, quam ipse puram fecit) e,

divenendo ciò che siamo noi, ha come “Dio forte” una generazione inesplicabile». 130

GREGORIO DI NAZIANZO, Oratio, 40, 45; PG 36, 424. 131

EPIFANIO, Anakephalaiosis, 80; PG 42, 880.

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Mariologia: 2012/13 36

guardavano bene dall’entrare nei particolari132

: fa semplicemente parte del mistero di salvezza che

la Vergine abbia concepito senza alcuna lesione della sua integrità fisica. Se mai appoggiavano que-

sta loro convinzione ad alcune citazioni bibliche: paragonavano il parto verginale all’ingresso di

Yhwh nel suo tempio per la porta chiusa (Ez 44,1-2)133

o al giardino chiuso del Cantico (Ct 4,12) o,

ancora, all’ingresso del risorto nel cenacolo (Gv 20,26)134

.

In ogni caso con il IV-V secolo diviene comune e pacifica la convinzione che Maria ebbe un parto

incontaminato, sine sordes. Epifanio, Ambrogio, Agostino, Girolamo concordano nel chiarire la

maternità di Maria attorno al permanere della sua verginità. Ovviamente il concetto di verginità qui

in gioco è un concetto complesso: comprende la purità del cuore, l’esenzione dalla passione sessua-

le e l’integrità corporea135

. Non è sempre facile chiarire il rapporto preciso tra le varie componenti

di questo concetto e, in particolare, il valore che i padri attribuiscono all’integrità fisica; pur tenendo

conto delle eventuali ascendenze neoplatoniche, si deve però dire che connettono strettamente la pu-

rezza verginale di Maria all’opera della redenzione: lungi dal portare in sé le tracce di un qualche

disprezzo della creazione, la purezza verginale di Maria è il segno che «toglie il peso di quel dolore

che all’inizio della creazione era stato imposto al parto a causa del peccato»136

, è il segno del mondo

redento. Del segno ha tutta la ricchezza e la fragilità.

Lungi dall’esaurirsi nel concepimento e nel parto, la verginità di Maria viene pensata come prolun-

garsi dopo il parto per divenire progetto di vita. Questa tematica è influenzata dalla “teologia del

modello” che vede nella Vergine l’esempio di un’esistenza totalmente offerta a Dio: la Tutta Santa

è guida concreta alla vita dei monaci e delle vergini consacrate, nonché a quella di tutti i battezzati

desiderosi di esprimere in pienezza la grazia del dono ricevuto nel battesimo mediante la radicalità

dell’assenso di fede137

. La sottolineatura della fede di Maria è il motivo ispiratore di questo svilup-

po: in sintonia con la prospettiva evangelica la Vergine è vista come la figura esemplare del creden-

te: cfr. il parallelismo fra Eva e Maria di Ireneo138

.

L’idea della esemplarità morale della madre di Gesù incontrò anche alcune resistenze, specialmente

in chi – preoccupato di distanziare il Figlio dalla madre — sottolinea i dubbi o perfino i difetti della

fede di Maria, di cui sarebbero indizio il comportamento a Cana (Gv 2,1-11) o la spada della profe-

zia di Simeone (Lc 2,35). Ed in verità Basilio riteneva che, in termini di stretta necessità, la perpetua

verginità di Maria non sarebbe necessaria per la difesa dei misteri salvifici. Tuttavia, «siccome gli

amanti di Cristo non ammettono di udire che la Madre di Dio abbia cessato a un certo momento di

essere vergine, noi stimiamo sufficiente la loro testimonianza»139

. Questo chiamare in causa il po-

132

Citando Is 53,8 — un testo ebraico oscuro e alterato — nella versione della LXX, «chi mai descriverà la sua genera-

zione?» (se ne veda la citazione in At 8,33), si ritenevano liberi dall’intervenire sui problemi delle modalità. 133

Si veda AMBROGIO, De institutione virginis, 8, 57; PL 16, 334; o anche Epistola, 42,4-5; PL 16, 1173. Il Cristo, in-

somma, passa per la porta chiusa — che è il grembo di Maria — senza aprirlo. Oltre a Ez. 44,1-2, Ambrogio richiama

anche i testi di Is 7,14 e di Lc 1,37. 134

«Perché — si chiede Agostino — colui che, adulto, ha potuto entrare attraverso una porta chiusa, non avrebbe potu-

to, bambino, nascere attraverso membra incontaminate?» (Sermo 191,2; PL 38, 1010). Agostino riprende questa cita-

zione biblica più volte, ad esempio in In Johannem 28, 3; PL 35,1623; Sermo 215, 4; PL 38, 1074. 135

Parlando ai catecumeni Agostino spiega loro la fede e, commentando il carattere umile ed eccelso della nascita di

Cristo, si domanda: «Perché umile? Perché è nato uomo da uomini. Perché eccelsa? Perché è nato da una vergine. Una

vergine ha concepito, vergine ha partorito e, dopo il parto, vergine è rimasta»: AGOSTINO, De symbolo ad catechume-

nos, III, 6; PL 40, 630. 136

GREGORIO DI NISSA, In Canticum Canticorum, 13; PG 44, 1053. 137

«Maria perseverò sempre nella sua verginità come colei che aveva generato il Signore e, per questo, fosse di esempio

a ciascuno. Pertanto, se qualche donna desidera rimanere vergine e sposa di Cristo, può prendere in considerazione la

vita di Maria e imitarla»: ATANASIO, De Virginitate, in G. GHARIB - E. TONIOLO - L. GAMBERO - G. DI NOLA, Testi

mariani del primo millennio, vol. I, Città Nuova, Roma 1988, 279. 138

«Maria è ubbidiente mentre dice: “Ecco la tua serva, Signore, mi avvenga secondo la tua parola”. Eva invece la tro-

viamo disubbidiente: non ubbidì infatti proprio quand’era ancora vergine. Ora, come Eva …, fattasi disubbidiente, di-

venne causa di morte tanto per sé che per tutto il genere umano, così Maria …, obbedendo, divenne causa di salvezza

tanto per sé che per tutto il genere umano … Così il nodo della disubbidienza di Eva fu sciolto dall’obbedienza di Ma-

ria: poiché quello che la vergine Eva con la sua incredulità aveva annodato, lo sciolse la vergine Maria con la sua fede»:

IRENEO, Adversus Haereses, III, 22, 4. 139

BASILIO, Homilia in sanctam Christi generationem, 5; PG 31, 1469.

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Mariologia: 2012/13 37

polo cristiano ha un suo peso: rimanda alla convinzione di una viva partecipazione di Maria alla sto-

ria singolare che l’aveva coinvolta. A tal punto aveva accolto con fede e con docilità le parole

dell’angelo che il suo concepimento e il suo parto erano stati presentati come opera della fede. Per-

tanto Agostino precisa: «È di più per Maria l’essere stata discepola di Cristo, che madre di Cristo …

Per questo anche Maria è beata, perché ascoltò la parola di Dio e la custodì: custodì più nella mente

la Verità, che nel grembo la carne. Cristo è Verità, Cristo è carne: Cristo Verità nella mente di Ma-

ria, Cristo carne nel grembo di Maria. Vale più quel che si porta nella mente di quel che si porta nel

ventre» (Sermo Denis 25, 7). La verginità di Maria è dunque esemplare perché esprime la sua in-

condizionata dedizione a Dio nella fede, non per un mero aspetto fisico biologico: ancora come pre-

cisa Agostino, «la parentela materna non avrebbe giovato nulla a Maria, se non avesse portato in

modo più beato Cristo nel cuore che nella carne» (Agostino, De sancta virginitate, 3, 3). E da qui

che egli ricava la perpetua verginità di Maria140

.

Questa prospettiva aveva delle difficoltà di accordo con alcune pagine evangeliche, in particolare

quelle riguardanti il suo matrimonio con Giuseppe e l’esistenza di eventuali fratelli e sorelle. Già gli

apocrifi, seguiti in questo da Clemente Alessandrino, avevano cercato di difendere la verginità di

Maria ipotizzando un primo, precedente matrimonio di Giuseppe: da una parte i fratelli di Gesù sa-

rebbero i suoi fratellastri, dall’altra Giuseppe finirebbe per comparire come un uomo già avanzato

in età. Commentando questa soluzione, Origene ne apprezza l’intenzione apologetica e conclude:

«Io credo ragionevole che la primizia della purezza casta degli uomini sia Gesù e delle donne Ma-

ria: non sarebbe infatti pio ascrivere ad altra che a lei la primizia della verginità»141

. Il problema si

riproporrà verso la fine del quarto secolo, quando prima Gioviniano, con i suoi discepoli Sarmazio e

Barbaziano, poi Bonoso ed Elvidio riproposero la questione rifiutando sia la verginità nel parto sia

la vita verginale dopo di esso. La risposta venne soprattutto da Ambrogio, Agostino e Girolamo.

Ambrogio cercherà di fondare biblicamente la verginità per dare un sostegno solido al movimento

delle vergini; Agostino142

interpreterà il testo di Lc. 1,34 come un voto di verginità: «Tu sei vergine,

tu sei santa, e lo sei per voto»143

; Girolamo analizzerà tutti i passi biblici e, in particolare, presenterà

i fratelli di Gesù come suoi parenti144

. La conclusione è che la verginità di Maria è assolutamente

ben fondata. In maniera stringata Agostino concluderà: «Nessuno potrà dire, senza compromettere

la fede cristiana: forse Cristo nacque da una vergine». Lo stesso dubbio ferisce la fede.

Questa convinzione venne poi inserita in alcuni documenti dogmatici: al Concilio Costantinopolita-

no II (553) così recita il 2° anatematismo: «Chi non confessa che sono due le nascite del Dio Verbo,

quella prima dei secoli dal Padre, al di fuori del tempo e della corporeità, e quella negli ultimi giorni

di lui, che scese dal cielo e prese carne dalla santa gloriosa Madre di Dio e sempre Vergine Maria e

nacque da lei: sia anatema» (DS 422); il Lateranense I (649) asserisce: «Se qualcuno non confessa

140

«A motivo del suo santo concepimento nel grembo di una vergine, avvenuto non con l’infuocata concupiscenza della

carne, ma col fervore della carità che promana dalla fede, (Cristo) vien detto “nato da Spirito Santo e dalla vergine Ma-

ria”» (Sermo 214, 6). «Chi comprenderà la novità nuova, inusitata, unica al mondo, incredibile divenuta credibile, e in

tutto il mondo incredibilmente creduta, che una vergine concepì, una vergine partorì e partorendo rimase vergine?»

(Sermo 190, 2). «Vergine nel concepimento, vergine nel parto, vergine incinta, vergine gravida, vergine perpetua»

(Sermo 186, 1). «Resterà la tua verginità; tu credi solamente alla verità, conserva la verginità, ricevi l’integrità. Poiché è

integra la tua fede, sarà intatta anche la tua integrità» (Sermo 291, 5). 141

ORIGENE, Commentaria in Evangelium secundum Matthaeum, X, 17; PG 13, 877. 142

Bisogna ricordare qui un testo di Gregorio di Nissa che, già prima, esaltava la verginità di Maria come la sua vera

grandezza. Commentando la scena dell’annuncio dell’angelo ricorda che Maria «si preoccupa della verginità e ritiene

che l’integrità sia da anteporsi al messaggio angelico, non rifiutando di credere all’angelo, ma neppure venendo meno

alle sue convinzioni. […] Per questo, affermava lei, anche se tu sei un angelo venuto dal cielo e anche se il fenomeno è

superiore alle possibilità dell’uomo, ciononostante non mi è possibile conoscere uomo. […] O beato quel seno che per

la sua straordinaria purezza ha attirato su di sé i beni dell’anima! Nel caso di tutti gli altri uomini è già molto se un ani-

ma riesce ad accogliere dentro di sé la presenza dello Spirito Santo; nel caso di Maria è la carne che diventa dimora del-

lo Spirito Santo»: GREGORIO DI NISSA, In nativitate Domini; PG 46, 1140. Per i testi in cui Agostino formula la sua tesi

sul voto di verginità di Maria si veda De sancta virginitate, IV, 4; PL 40, 398; Sermo 291, 5; PL 38, 1318. 143

AGOSTINO, Sermo 291, 6; PL 38, 1319. 144

GIROLAMO, De perpetua virginitate Beatae Mariae adversus Helvidium, 14; PL 23, 197. La stessa soluzione è pro-

posta in ID., Commentarius in Evangelium Matthaei, II, 12; PL 26, 88 dove, per altro, qualifica come deliramenta apo-

cryphorum la tesi che si tratti di fratellastri.

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secondo i santi Padri … che la genitrice di Dio santa e sempre vergine e senza macchia Maria … ha

concepito senza intervento di seme da Spirito Santo, ed ha generato in modo incorruttibile, perma-

nendo indissolubilmente anche dopo il parto la sua verginità, sia condannato» (DS 503); e la Costi-

tuzione “Cum quorumdam hominum” (7 agosto 1555) di Pio IV contro i Sociniani ammonisce

quanti credessero che «la beatissima Vergine Maria non sia la vera madre di Dio, né che sia sempre

restata nell’integrità della verginità, prima del parto cioè, nel parto e perpetuamente dopo il parto

(ante partum, scilicet, in partu et perpetuo post partum)» (DS 1880).

3.1.4 Lo sviluppo del culto mariano

Lo sfondo remoto del culto mariano sta nel rapporto strettissimo che sin dalle origini fu avvertito fra

la Chiesa e Maria, già a partire dalla testimonianza biblica.

Attraverso il parallelo “Eva – Maria” e la dottrina della ricapitolazione, la figura di Maria fu ancora-

ta nella coscienza credente con il suo significato storico-salvifico. Mediante la connessione della

nascita verginale con quella dei cristiani operata tramite la fede e il battesimo fu introdotto - partico-

larmente tramite Ireneo – il confronto e, rispettivamente, la quasi identità della Madre di Dio con la

Madre Chiesa. La menzione di Maria nel Simbolo battesimale facilitava la percezione di questo

rapporto nella densità del contesto sacramentale liturgico145

.

Il passaggio da questa identificazione tipologica alla coscienza sempre più sviluppata di una comu-

nicazione spirituale fra Maria e la Chiesa, espressa nel culto legato alla fiducia nell’intercessione

della Madre di Dio, avviene anzitutto per le potenzialità intrinseche al legame Cristo-Maria-Chiesa,

confessato implicitamente nel Simbolo e vitalmente sperimentato nel contesto battesimale.

Non è corretto dire, però, che il contesto pagano ha determinato l’assunzione di formule, preghiere,

riti: già Ambrogio precisava che «Maria era il tempio di Dio, non il Dio nel tempio; si deve adorare

soltanto Colui che operava nel tempio».

A Maria si guarda come modello dell’orante e la si loda, glorificando l’opera dell’Altissimo in lei;

con lei si prega, recitando per es. il suo “Magnificat”; a lei si ricorre in atteggiamento di fiducia nel-

la sua intercessione materna. Se ne veda l’esempio più antico nel “Sub tuum praesidium” (per qual-

cuno del III secolo, per altri del IV secolo).

Sotto la tua misericordia ci rifugiamo,

Genitrice di Dio.

Le nostre suppliche tu non respingere nella necessità,

ma nel pericolo liberaci: sola casta, sola benedetta.

Questo tropario è un’invocazione collettiva alla beata vergine madre di Dio, di indole liturgica, che

lascia intravedere la consuetudine, da parte della comunità cristiana, di rivolgersi direttamente a

Maria invocando il suo aiuto nelle ore difficili. Il riconoscimento esplicito della sua maternità divi-

na (θεοτόκος) e verginale («sola casta»), collegata alla particolare elezione da parte di Dio («sola

benedetta»), mostra come la lex orandi corrispondesse alla lex credendi e come il fondamento del

culto fosse radicato nel dogma.

Lo sviluppo del culto, fiorito soprattutto dopo il Concilio di Efeso (431), favorì l’omiletica e

l’innografia mariana, che contribuirono non poco all’approfondimento dottrinale e all’assimilazione

spirituale.

145

«Maria ha partorito il vostro Capo, la Chiesa partorisce voi, poiché anch’essa è madre e vergine insieme: madre per

il seno d’amore, vergine per l’incolumità della fede. Essa partorisce popoli che sono membra di uno solo, di cui essa è

corpo e sposa, anche in questo comparabile a quell’unica vergine Maria che nei molti è madre dell’unità»: AGOSTINO,

Sermo 192, 2.

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Mariologia: 2012/13 39

3.1.5 Considerazioni conclusive

Notiamo nell’età antica l’insorgere di una novità di terminologia e di orizzonte ermeneutico: quel

che nel NT è espresso nella luce pasquale in forma piuttosto narrativa e con sviluppi simbolico-

soteriogici, viene formulato nel dogma con un linguaggio tecnico, frutto di matura riflessione con-

cettuale e di precise intenzioni polemiche, volto a testimoniare il mistero contro i riduzionismi e-

mergenti. Come per il dogma cristologico, l’interesse si sposta dalla storia del Crocifisso Risorto al-

la sua condizione di uomo – Dio, così la Vergine Maria del Nuovo Testamento diviene la “sempre

vergine” ( ειπαρθένος) e la madre del Signore la “madre di Dio (θεοτόκος).

Questa continuità nella diversità dei linguaggi e dei paradigmi culturali è stata garantita grazie ad

almeno due elementi: 1) l’aggancio del dogma mariano al dogma cristologico; 2) la prospettiva so-

teriologica.

In questo senso lo sviluppo del dogma mariano è una cifra esemplare del dinamismo interno alla

“gerarchia delle verità” (UR 22): se la confessione pasquale «Gesù è il Signore» è l’articolo su cui

sta o cade la fede cristiana, le verità che a questa confessione sono connesse sin dalle origini, stanno

o cadono con essa. Chi confessa nella fedeltà alla Scrittura Gesù come Signore e Cristo, riconoscerà

anche la concezione verginale e la maternità divina di Maria nella loro integrità. Chi invece negherà

queste verità relative a lei comprometterà inevitabilmente la fede nel Figlio di Dio, fatto uomo dalla

vergine madre per noi uomini e per la nostra salvezza.

3.2 IMMACOLATA CONCEZIONE E ASSUNZIONE: IL DOGMA NELLA PROSPETTIVA

DELL’ANTROPOLOGIA

«Mentre le espressioni mariologiche più significative dei Padri e dei concili erano state formulate in

connessione con le discussioni cristologiche, si delineò anche per la dottrina mariana un nuovo o-

rizzonte tematico, soprattutto con il volgersi della teologia occidentale dalle questioni cristologico-

trinitarie, che caratterizzarono il cosiddetto “dogma della Chiesa antica”, all’antropologia teologica,

cioè alle questioni sullo stato originale, il conferimento della grazia, lo svolgimento della vita cri-

stiana e la destinazione finale dell’uomo»146

.

Questo cambiamento di orizzonte spiega in partenza molte delle difficoltà e delle diversificazioni

del successivo sviluppo: «Poiché questo ramo della teologia [l’antropologia teologica] in Oriente fu

poco curato e in Occidente doveva prima essere elaborato, per l’ulteriore sviluppo della mariologia

venne a mancare in un primo momento sia una piattaforma di base sia un punto di riferimento che

servisse ad evitare sbandamenti e errori»147

.

La continuità con la riflessione patristica non viene tuttavia perduta:

1. perché alcune delle grandi questioni emergenti erano state anticipate da qualcuno dei Padri –

cfr. Epifanio che si interroga circa la fine terrena di Maria148

; Agostino che si pone la que-

stione del peccato originale e Maria149

.

2. perché la liturgia, specialmente con le feste del 15 agosto (nel VI secolo l’imperatore Mauri-

zio fissa con un decreto particolare la festa del Transito o della Dormizione di Maria il 15

146

SÖLL, op. cit., 171. 147

SÖLL, op. cit., 227. 148

«Preferisco impormi un atteggiamento di riflessione e di silenzio. A mala pena troviamo da qualche parte delle in-

formazioni sulla santa e beata Maria e tanto meno è possibile raccoglierne a proposito della sua morte … Forse è possi-

bile che questo si sia verificato in lei. Non lo affermo però in modo assoluto né pretendo sostenere che ella sia rimasta

immortale. Però non sosteniamo neppure che ella sia morta. Infatti la Scrittura si è mantenuta al di sopra della mente

umana e ha lasciato questo punto nell’incertezza»: EPIFANIO, Panarion, 78, 11; PG 42, 716. 149

«Escludiamo la santa vergine Maria, nei riguardi della quale, per l’onore del Signore, non voglio si faccia questione

alcuna di peccato. Infatti da cosa sappiamo noi quanto più di grazia, per vincere il peccato sotto ogni aspetto, sia stato

concesso alla Donna che meritò di concepire e di partorire colui che certissimamente non ebbe alcun peccato?»:

AGOSTINO, De natura et gratia, 36, 42; PL 44, 267; «Quanto a Maria, non la consegniamo affatto in potere al diavolo in

conseguenza della sua nascita; tutt’altro, perché sosteniamo che questa conseguenza viene cancellata dalla grazia della

rinascita»: AGOSTINO, Contra Iulianum opus imperfectum, IV, 22; PL 45, 1418.

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Mariologia: 2012/13 40

agosto) e dell’8 dicembre (nell’VIII sec. in Palestina e poi in Oriente si introduce il giorno 9

dicembre la festa della concezione di Sant’Anna, che passa nel IX secolo in Occidente nelle

terre dove c’è un influsso bizantino; la festa fissata all’8 dicembre è attestata invece in In-

ghilterra nell’XI secolo), aveva rappresentato un continuo stimolo all’approfondimento del

mistero della “biografia totale” di Maria.

3. perché la radice cristologico-trinitaria della fede intorno a Maria non fu mai trascurata: il

«propter honorem Domini» di Agostino dominò tutti i tentativi di assicurare alla santa Ver-

gine il privilegio dell’inizio senza macchia e della fine gloriosa.

Le cause che influenzarono la definizione dei due “nuovi dogmi mariani” in Occidente, possono ri-

condursi a quattro ordini di fattori, analoghi a quelli riscontrati nell’età patristica:

1. il bisogno di professare la verità della fede a gloria di Dio e per la salvezza degli uomini;

2. la reazione ad alcune deviazioni di fondo circa la condizione dell’uomo e la sua redenzione;

3. il riferimento all’esemplarità spirituale e morale di Maria;

4. le esigenze e gli impulsi provenienti dal culto della madre del Signore.

3.2.1 Il bisogno di glorificare Dio nelle meraviglie da lui compiute a favore dell’uomo

J.R. Geiselmann osserva che i due ultimi dogmi mariani si presentano come «un atto di culto»150

: la

loro motivazione immediata non è quella di rispondere ad un’eresia particolare, di dirimere una

controversia immediata, ma quella di rendere testimonianza alla verità, di glorificare Dio nelle me-

raviglie da Lui compiute per noi.

Questa intenzione dossologica è espressamente dichiarata sia da Pio IX che da Pio XII:

- PIO IX, Bolla Ineffabilis Deus (8 dicembre 1854): «Pertanto […] ad onore della Santa e In-

divisibile Trinità, a lode e ornamento della Vergine genitrice di Dio, per l’esaltazione della

fede cattolica, per l’incremento della religione cristiana… » (DS 2803).

- PIO XII, Costituzione apostolica Munificentissimus Deus (1 novembre 1950): « Quindi […]

a gloria di Dio onnipotente …, ad onore del Figlio suo Re immortale di tutti i tempi e vinci-

tore del peccato e della morte, a maggior gloria della stessa augusta Madre e per la gioia e

l’esultanza di tutta quanta la Chiesa …» (DS 3903).

Con questa finalità è connessa la volontà di approfondire e chiarificare la fede della Chiesa intorno

a Maria positivamente dopo secoli di controversie scolastiche, specialmente fra i sostenitori e gli

avversari della sua immacolata concezione (da una parte francescani, carmelitani …, che erano im-

macolisti, e dall’altra parte i domenicani che erano macolisti). Le definizioni sono proclamate «per

l’esaltazione della fede cattolica, per l’incremento della religione cristiana» (Ineffabilis Deus) o

«per la gioia e l’esultanza di tutta la Chiesa» (Munificentissimus Deus).

È ancora il bisogno di approfondire la conoscenza del mistero, all’interno di una contemplazione

credente e adorante, «dopo aver implorato sempre e con insistenza Dio e aver invocato lo Spirito di

verità» (DS 3903).

Come fattori decisivi del processo di definizione dogmatica sono riconosciuti il senso della fede del

popolo di Dio nel tempo e, specialmente per il dogma dell’assunzione, il «factum Ecclesiae», cioè il

consenso attuale della fede della Chiesa docente e discente. Questo argomento può essere fatto vale-

re solo da una superiore convinzione di fede, secondo la quale lo Spirito Santo non permette che

l’intera Chiesa cada in errore in questioni di fede.

Alcuni teologi già in relazione alla proclamazione del dogma dell’immacolata, ne vedevano il fon-

damento della eventuale definibilità nel sensus ecclesiae, colto soprattutto nella sua espressione li-

turgica. In proposito C. Passaglia suggeriva che la tradizione, espressione della Chiesa che prega e

che crede, non è il risultato di una ricerca storico-positiva sulle sue testimonianze, ma una realtà vi-

va e perenne. I due elementi fondamentali di questa tradizione sono «la storica unicità della Rivela-

zione e la testimonianza presente della Chiesa». In questa direzione si muove tanto la Breve esposi- 150

J.R. GEISELMANN, “Dogma”, in Dizionario teologico, a cura di H. Fries, I., Morcelliana, Brescia 1966, 507.

Page 41: Dispense Di Mariologia

Mariologia: 2012/13 41

zione degli Atti della Commissione speciale151

, quanto Pio IX, quando indica il «factum ecclesiae»

(2 dicembre 1854) come fondamento della definizione dogmatica. Questa prospettiva va al di là del-

la distinzione fra tradizione apostolica e tradizione ecclesiastica: si concentra piuttosto sulla fede

della Chiesa docente e discente come comunità guidata da quello Spirito che non permette che essa

cada in errore.

C’è però almeno da chiedersi se questo “sensus ecclesiae” non rischi di passare dalla testimonianza

del dogma alla sua fondazione, stravolgendo così la sua funzione che è quella di conservare, inter-

pretare e trasmettere la rivelazione avvenuta in Gesù. In realtà il compito era quello di mostrare il

rapporto della fede della Chiesa con la rivelazione e, quindi, con la Scrittura e, almeno, con altre ve-

rità il cui rapporto con la Scrittura sia ben saldo. È quanto cercherà di motivare, attraverso il metodo

regressivo, G. Filograssi152

: a partire dal profondo intreccio tra deposito rivelato e coscienza di fede

della Chiesa, egli mostrerà come il deposito rivelato preceda e fondi obiettivamente la fede della

Chiesa in modo che questa, pur nella sua dinamica storica e soggettiva, permette di cogliere qualco-

sa di quel fondamento che la precede e di cui vive.

Il metodo di fondazione della definizione non si sviluppa allora in una linea progressiva, mostrando

attraverso i secoli il primo emergere di una convinzione di fede e il suo precisarsi e approfondirsi

successivo nella coscienza ecclesiale, ma in linea regressiva prendendo le mosse dal consenso attu-

ale della fede della Chiesa e deducendone gli elementi a favore del carattere rivelato di quanto si va

a definire come parte del “depositum fidei”.

Soprattutto, però, il metodo regressivo innova la comprensione del procedimento storico: pur pog-

giando sulla strumentazione storico-critica, la logica ecclesiale di questo metodo non valuta le te-

stimonianze in base ai criteri storici, ma in base alla coscienza di fede della Chiesa che vi si ricono-

sce. Il metodo dogmatico interpreta i documenti alla luce della fede e della dottrina della Chiesa, e,

in questo, è certamente aiutato dagli apporti autonomi delle scienze storiche.

I documenti vengono così interpretati alla luce del senso pieno che conferisce loro l’attuale matura-

zione della coscienza ecclesiale condotta dallo Spirito nella crescita verso la verità tutta intera (Gv

16,13). La Sacra Scrittura resta la “norma normans”: da essa si traggono però le dottrine, che in es-

sa non sono esplicitate, per via di un approfondimento spirituale e teologico, che solo la Chiesa nel

suo insieme ― garantita dalla promessa del Signore ― può fare, senza temere di compromettere la

verità che salva.

3.2.2 L’esigenza di reagire a deviazioni nell’ambito dell’antropologia teologica

Il dogma reagisce a due opposti riduzionismi nell’antropologia teologica e nella dottrina della re-

denzione; l’esaltazione moderna dell’uomo nella sua soggettività e nel suo protagonismo storico,

spinta fino al punto da eliminare ogni “partner” teologico o ogni salvezza dall’alto; dall’altra

l’esaltazione che la Riforma fa della gloria di Dio, spinta fino al punto da considerare il maniera pu-

ramente negativa e passiva l’agire dell’uomo.

E come nella Chiesa antica la mariologia era stata al servizio del mantenimento dello “scandalo”

cristologico originario, così nell’età moderna diviene veicolo per affermare la corrispondenza

nell’antropologia dello stesso paradosso evangelico.

A) Contro l’antropocentrismo della modernità. Lo “spirito moderno” costituisce lo sfondo polemi-

co della definizione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria: contro l’idea dell’uomo arbi-

tro assoluto del proprio destino e artefice unico del proprio progresso, si ribadisce il primato

dell’iniziativa di Dio nella storia della redenzione, che si manifesta in maniera singolare nella storia

della Madre del Redentore.

151

Opera della Commissione teologica nominata da Pio IX il 10 maggio 1852 a cui era stato chiesto un pronunciamento

sui criteri di definibilità della fede. 152

G. FILOGRASSI, “Traditio divino-apostolica et Assumptio Beatae Virginis Mariae”, in Gregorianum 30 (1949) 443-

489. Il metodo regressivo, invece di discendere dalla Rivelazione alla fede della Chiesa, prende le mosse da questa fede

per risalire alla sua origine rivelata.

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Il clima in cui la definizione dogmatica matura è lo stesso che produrrà, l’8 dicembre 1864, la pro-

mulgazione del Sillabo di condanna degli errori dello spirito moderno.

Le radici dell’Immacolata vengono rintracciate nella Scrittura e in specie Lc 1,28: « ρε,

κεχαριτομένη». Nella Bolla Ineffabilis Deus, del 1854, si dice che Lc 1,28, letto nella tradizione,

fornisce il fondamento più solido (non la prova!) in favore dell’immacolata.

Il senso del titolo “trasformata dalla grazia” sembra accennare a questo sviluppo. Certamente Luca

non dice che Maria fu tale sin dal primo inizio del suo esistere: tuttavia, se si comprende biblica-

mente il concetto di “grazia” come eliminazione del peccato e delle sue conseguenze nella ricchezza

del dono della vita nuova (cfr. Ef 1,4s), si può concludere: se è vero che Maria fu totalmente tra-

sformata dalla grazia di Dio, allora questo include che Dio l’ha preservata dal peccato, l’ha purifica-

ta e santificata in modo radicale. Secondo la testimonianza pasquale delle origini, è in lei che si

compie il nuovo inizio del mondo; è lei la figlia di Sion escatologica, in cui il popolo di Israele di-

venta la nuova creazione senza cessare di essere il popolo delle promesse; è il mistero della conti-

nuità di stirpe nella discontinuità di grazia (cfr. in riferimento all’argomento tratto a favore

dell’Immacolata concezione da Ct 4,7: «Tutta bella tu sei, amica mia, in te nessuna macchia»).

Il motivo della totale santità ricorre nei Padri. Ma fin da quando? Qui i Padri hanno idee differenti.

Alcuni suggeriscono che essa fu purificata dalla stessa parola dell’angelo all’annunciazione. Grego-

rio di Nazianzo in una predica sul Natale dice che Cristo «fu partorito da una Vergine, la quale

nell’anima e nel corpo era stata purificata in antecedenza [προ ] tramite lo Spirito»153

.

Questa affermazione non può essere intesa nel senso di una “preservatio” di Maria dal peccato ori-

ginale, tuttavia Gregorio suggerisce che la vocazione alla divina maternità rendeva necessaria una

sua preparazione santificatrice. Lo stesso Agostino, assertore convinto della universalità del peccato

originale, è così convinto di questa santità che esiterà nella risposta, quando l’accusa pelagiana gli

rimprovererà di consegnare anche la Vergine santa al demonio in forza del peccato originale154

.

I Padri orientali «hanno attribuito quasi senza eccezioni a Maria un particolare privilegio di grazia

per quanto concerne il peccato originale e la liberazione da esso. Nonostante il loro solido

attaccamento al presupposto antropologico proprio dei greci e degli orientali, cioè all’accentuazione

del contributo della volontà libera per la santità e il progresso morale, essi hanno pienamente

riconosciuto la libera azione di grazia di Dio in Maria»155

.

Venivano però avanzate alcune difficoltà:

1) Questa dottrina non avrebbe compromesso l’universalità del peccato originale e quindi della

necessità della redenzione?

2) Come conciliare la diffusa dottrina agostiniana del “traducianesimo”, per la quale il peccato

originale si trasmetteva con l’atto stesso del concepimento da parte dei genitori156

, con la nascita del

tutto naturale di Maria?

3) Non sarebbe meglio rispettata la libertà umana della Vergine da una sua purificazione al

momento della annunciazione, secondo la dottrina ispirata da Gregorio di Nazianzo, piuttosto che

da una sua preservazione del peccato?

Queste difficoltà cominciarono ad essere superate con la Scolastica. Già Sant’Anselmo († 1109)

aveva precisato che la soddisfazione di Cristo era da estendere anche a coloro che non sono vissuti

contemporaneamente al Salvatore. Con questa valutazione venne preparata alla lontana la soluzione

di Scoto e del successivo dogma, con cui l’immacolata concezione di Maria potè essere armonizzata

153

GREGORIO DI NAZIANZO, Or. 38, 12; PG 36, 325B. 154

«Escludiamo la santa vergine Maria, nei riguardi della quale, per l’onore del Signore, non voglio si faccia questione

alcuna di peccato. Infatti da cosa sappiamo noi quanto più di grazia, per vincere il peccato sotto ogni aspetto, sia stato

concesso alla Donna che meritò di concepire e di partorire colui che certissimamente non ebbe alcun peccato?» (De na-

tura et gratia, 36, 42; PL 44, 267); «Quanto a Maria, non la consegniamo affatto in potere al diavolo in conseguenza

della sua nascita; tutt’altro, perché sosteniamo che questa conseguenza viene cancellata dalla grazia della rinascita»

(Contra Iulianum opus imperfectum, IV, 22; PL 45, 1418). 155

SÖLL, op. cit., 239. 156

Questa opinione, pur ammettendo la spiritualità dell’anima, sostiene che essa deriva dai genitori come da una pro-

paggine (tradux). Ciò avverrebbe come nel caso di una fiamma che si accende ad un’altra, senza diminuire lo splendore.

Page 43: Dispense Di Mariologia

Mariologia: 2012/13 43

con la realtà della sua redenzione mediante Cristo. Ne risulta che per Anselmo «la Vergine fu tra

coloro che vennero mondati dai peccati per mezzo di lui prima della sua nascita»157

. Ma anche se

Anselmo, per riguardo a Geremia e a Giovanni, vide compiuta questa santificazione nel grembo

materno; ciò tuttavia comportava che una purificazione aveva avuto luogo e che perciò Maria era

stata concepita con la macchia del peccato originale. In secondo luogo, Anselmo non mise più il

peccato originale in rapporto con la generazione corporea, ma lo intese partecipato solo con

l’unione del corpo con l’anima e considerò la sua essenza non nell’infezione della carne, ma

nell’«absentia debitae iustitiae» nell’anima158

. Con ciò egli lo ritenne una questione della persona e

non, come Agostino, un difetto della natura.

Ma fu soprattutto un dicepolo di Anselmo, Eadmero († intorno al 1134), a suggerire esplicitamente

l’opinione della esenzione della Vergine dal peccato originale: non sembrandogli sufficiente la

santificazione di Maria al momento del concepimento, come era abituale per i Padri, si chiese se la

sua singolare dignità non esigeva che Dio conferisse a Maria questo singolare privilegio. E

concludeva: «Certamente Dio poteva e voleva farlo; e se lo ha voluto, lo ha pure fatto»159

.

Il tema dell’Immacolata Concezione entra così nel circolo delle opinioni teologiche e sarà tra gli

argomenti discussi accesamente tra il XII e il XIII secolo.

Il secolo XII comincia a porsi il problema del rapporto tra la verità dell’Immacolata e quella del

peccato originale. L’argomentazione di convenienza si scontrava con la visione agostiniana del

peccato originale, legato, nel suo trasmettersi, alla concupiscenza che contraddistingue ogni atto

sessuale. Non distinguendo tra atto del concepire (concezione attiva) e frutto del concepimento

(concezione passiva), ma, anzi indicando proprio nel concepire la sede attiva della diffuzione del

peccato originale160

, i teologi non potevano accettare che proprio il luogo della diffusione del

peccato fosse il luogo della santificazione e della grazia. Perciò Bernardo di Chiaravalle poteva

sentenziare: «La regalità di Maria non ha bisogno di falsi onori… la Chiesa non conosce questo rito

[della immacolata concezione], non lo consente la ragione, non lo consiglia l’antica tradizione»161

.

Essendo legato alla concupiscenza, il concepimento di Maria non può diventare oggetto di culto:

non può essere soggetto pieno di grazia chi non esisteva e, nel suo venire all’esistenza, non può che

farlo attraverso una via peccaminosa. Maria — conclude Bernardo — non può essere «santa prima

di nascere», non può ante sancta quam nata, e non può nascere che nel modo comune a tutti gli

uomini segnato dalla concupiscenza.

I teologi del secolo XIII affrontano la questione dell’assoluta esenzione di Maria da ogni forma di

peccato ponendola in rapporto con l’universalità della Redenzione: non trovando il modo di

comporre queste due verità e non accettando né l’idea di una vena pura — alcuni162

avevano

introdotto l’ipotesi di una eredità santa di Adamo, di una parte del suo corpo che sarebbe rimasta

immune da ogni colpa e, trasmettendosi di generazione in generazione, sarebbe confluita nella carne

di Maria —, né il puro rimando a un intervento prodigioso di Dio, tutti i grandi teologi scolastici

dell’epoca (Alberto Magno, Bonaventura, Tommaso d’Aquino) finirono per opporvisi.

La svolta avvenne nel passaggio fra il XIII e il XIV secolo, soprattutto ad opera dei francescani

Guglielmo di Ware e Giovanni Duns Scoto. Già Guglielmo di Ware aveva asserito che Maria aveva

bisogno della grazia di Cristo non per il peccato che era in lei, ma per quel peccato che sarebbe stato

in lei, se il figlio non l’avesse preservata in base alla sua fede. Così egli affermava la validità

universale della redenzione di Cristo, ma distingueva tra il principio indubitabile della liberazione

anche di Maria dal peccato originale dalla modalità storica della sua liberazione di fatto.

Fu poi Duns Scoto a elaborare l’ipotesi della redenzione preventiva. Essendo il Cristo perfetto

mediatore e salvatore, egli disponeva per Maria di un atto perfettissimo di mediazione: «Sed hoc

157

Cur Deus homo, II, 16: PL 158, 419A. 158

De conceptu virginali et originali peccato 3; PL 158, 436°. 159

EADMERO, Eadmeri monachi Cantuariensis Tractatus de conceptione sanctae Mariae; PL 159, 305. 160

Tanto più che secondo le concezioni biologiche del tempo bisognava distinguere tra concepimento e animazione del

concepito: l’infusione dell’anima era posta attorno al quarantesimo giorno e, poiché la santificazione riguarda l’anima,

risultava loro quasi impossibile pensare a una santificazione dal momento del concepimento. 161

BERNARDO DI CHIARAVALLE, Epistola 174; PL 182, 333. 162

Come lo Pseudo Pietro Comestore, l’Anonimo di Heiligenkreuz.

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Mariologia: 2012/13 44

non esset nisi meruisset eam praeservare a peccato originali»163

. Egli illustra la sua tesi con

l’esempio (anselmiano) del re, il quale, dopo essere stato gravemente offeso, ha privato i figli

dell’offensore dell’eredità, ma poi viene placato nel migliore dei modi da un mediatore innocente

che non solo porge soddisfazione per l’offesa fatta, ma impedisce che un altro si renda colpevole

contro il re. È proprio quanto ha fatto Gesù Cristo, che con i suoi meriti impedì che Maria venisse

macchiata dal peccato originale. Se tutti gli uomini sono debitori di Cristo, il Mediatore, e gli angeli

hanno perseverato nell’innocenza, perché non dovrebbe essere nell’innocenza, oltre all’anima del

Cristo, anche un’anima umana? E Scoto aggiunge: «Maria naturaliter propagata ab Adam

contraxisset originale peccatum ex ratione propagationis communis, nisi fuisset praeventa per

gratiam Mediatoris, et sicut alii indiguerunt Christo ut per eius meritum remitteretur eis peccatum

iam contractum, ita illa magis indiguit Mediatore praeveniente peccatum, ne esset aliquando ab

ipsa contrahendum et ne ipsa contraheret»164

.

«Il merito di Duns Scoto è indiscutibile. Infatti, in primo luogo ha analizzato acutamente gli argo-

menti contro l’esenzione dal peccato originale di Maria e ha fondato la sua tesi su una valida e soli-

da base. In secondo luogo, ha sciolto il procedimento dimostrativo teologico dal legame con le ve-

dute biologiche condizionate dal tempo e dalla storia, ha fatto cadere le discussioni sulle diverse fasi

della generazione umana prima dell’animazione e ha fatto trionfare la tesi di Anselmo e Tommaso,

secondo cui soltanto la persona nella sua totalità può essere soggetto di colpa e di santità. In terzo

luogo, Scoto non ha separato il dogma dell’Immacolata dalla cristologia e dalla soteriologia ed ha

avuto ragione della difficoltà che da secoli veniva mossa contro la dottrina dell’esenzione di Maria

dal peccato originale dalla fede nell’universalità del peccato originale e nella necessità della reden-

zione per tutti gli uomini. In quarto luogo, egli ha sviluppato fino alle estreme conseguenze il prin-

cipio, propugnato da tutti i teologi della Chiesa, della posizione preminente di Maria e della sua per-

fetta santità, come pure il criterio agostiniano dei privilegi della Madre di Dio “propter honorem

Domini” mediante la valorizzazione di Cristo come Redentore perfettissimo e con ciò ha offerto il

miglior fondamento teologico per la convinzione circa la grandezza di Maria, così radicata nella li-

turgia e nella pietà popolare»165

.

Questo tentativo scatenò però una vera battaglia, che si radicalizzò in posizioni di intere scuole o

famiglie religiose: i domenicani rimasero fermamente contrari a questa tesi; i francescani, con i

carmelitani, gli agostiniani regolari e i servi di Maria, si mostrarono favorevoli alla nuova tesi.

Il magistero con moderazione prese posizione sulla nuova opinione. Già il concilio di Basilea, il 17

settembre 1439 (quando però aveva già perso la sua legittimazione pontificia) dichiarava

solennemente consona al culto ecclesiastico, alla coscienza di fede dei credenti e alla Scrittura la

verità dell’esenzione di Maria da ogni colpa attuale e originale. La conferma dell’uso liturgico

venne da Sisto IV il 27 febbraio 1477166

e ribadita il 4 novembre 1483 (DS 1425-1426).

Il Concilio di Trento non ha affrontato la questione. Fra i suoi decreti possiamo cogliere solo due

passaggi dedicati a Maria e il peccato. Il primo è nel decreto sul peccato originale167

e conclude la

163

Ordinatio III. 164

Ordinatio, III, d. 3 q. 1. 165

SÖLL, op. cit., 292. 166

SISTO IV, Costituzione Cum praecelsa (27 febbraio 1477): DS 1400: «Quando consideriamo con scrupoloso e devo-

to esame gli straordinari altissimi meriti per i quali la regina dei cieli, la gloriosa Vergine genitrice di Dio, elevata alla

dignità celeste, brilla sopra ogni astro come stella del mattino […], riteniamo giusto, o piuttosto doveroso, incoraggiare,

con le indulgenze e la remissione dei peccati, tutti i fedeli di Cristo a rendere grazie e lode a Dio onnipotente per la mi-

rabile concezione della Vergine stessa immacolata. Infatti la divina provvidenza, guardando dall’eternità all’umiltà della

Vergine, perché fosse riconciliato col suo creatore il genere umano, soggetto alla morte eterna a causa del peccato del

primo uomo, la scelse come dimora del Figlio suo Unigenito per opera dello Spirito Santo, in modo che da lei egli as-

sumesse su di sé la carne, fonte della nostra mortalità, per la redenzione del suo popolo, e tuttavia ella rimanesse Vergi-

ne immacolata anche dopo il parto; e invitarli inoltre ad istituire e celebrare Messe ed altri riti divini e a partecipare ad

essi, perché così possano maggiormente aprirsi alla grazia di Dio per i meriti e l’intercessione della Vergine». 167

CONCILIO DI TRENTO, Sessione V (17 giugno 1546), Decreto sul peccato originale, can. 6: DS 1516: «Questo santo

sinodo dichiara tuttavia che non è sua intenzione comprendere in questo decreto, dove si tratta del peccato originale, la

beata e immacolata vergine Maria, madre di Dio, ma che si devono osservare a questo riguardo le costituzioni del papa

Sisto IV di felice memoria, sotto pena di incorrere nelle sanzioni in esse contenute, che il sinodo rinnova».

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Mariologia: 2012/13 45

discussione del maggio-giugno 1546 in cui i francescani tentarono invano di convincere i

domenicani e di superare la raccomandazione imperiale di evitare ogni decisione dottrinale in

merito. Il cardinale Pacheco di Jaen non riuscì neppure a far passare la formulazione che presentava

la dottrina dell’Immacolata Concezione come un pie creditur. Comunque la formulazione negativa

del Concilio comporta il riconoscimento di una posizione particolare di Maria rispetto a tutta

l’umanità e, implicitamente, la tesi della sua impeccantia, asserita poi esplicitamente nel Decreto

sulla giustificazione168

.

La questione, sempre al centro di aspri dibattiti, venne ripresa da Papa Alessandro VII, il quale nel

Breve Sollicitudo omnium ecclesiarum (8 dicembre 1661), così descrive il contenuto teologico di

questa pia opinione dottrinale:

«è convinzione dei medesimi fedeli che la sua anima nell’attimo stesso della creazione e

dell’infusione nel corpo è stata preservata immune dalla macchia del peccato originale per speciale

grazia e privilegio di Dio, in previsione dei meriti di Gesù Cristo suo Figlio, Redentore del genere

umano» (DS 2015).

Oramai erano stati indicati i punti più importanti che vennero ripetuti nella Bolla di definizione del

1854: 1) il fatto: preservazione dal peccato originale; 2) il tempo: nel primo istante della creazione e

dell’infusione dell’anima; 3) la causa: l’onnipotenza di Dio; 4) il carattere dell’avvenimento: un

privilegio gratuito; 5) il rapporto tra la necessità della redenzione e la redenzione di Maria: con rife-

rimento ai meriti di Gesù Cristo. Dal punto di vista del contenuto, la teologia non poteva in seguito

arrivare a risultati più completi. Il suo compito però ora consisteva nell’assicurare teologicamente

questa presa di posizione della Bolla e renderla in tal modo matura per una definizione dogmatica

vera e propria, che venne alfine promulgata da Pio IX.

Preparata dall’enciclica Ubi primum (1849) in cui Pio IX chiedeva il parere dei confratelli

nell’episcopato sul merito e sulla opportunità di questo passo, la Bolla Ineffabilis Deus venne

promulgata l’8 dicembre 1854. Essa si può dividere in un prologo e due parti nettamente distinte:

una storico-dottrinale e una dogmatica.

La parte storico-dottrinale qui ha solo un valore indicativo. In questo quadro di pensiero Pio IX

mette al centro la fede viva della Chiesa (DS 2802), che ovviamente non vive che attraverso i

documenti che la attestano. I documenti indicati, però, non hanno un valore autonomo, ma sono

richiamati in quanto esprimono questa comprensione di fede ecclesiale. Hanno, però, valore nel loro

insieme a prescindere dalle questioni esegetiche o ermeneutiche che possono esserci per le singole

testimonianze. Vanno colti come articolazioni del factum Ecclesiae. Tra i passi biblici vengono

ricordati espressamente Gen 3,15 e Lc 1,28; si menzionano però anche le figure bibliche presenti

negli scritti dei Padri, come per es. tabernacolo e dimora di Dio tra gli uomini.

La parte dogmatica intende stabilire i punti fondamentali di questa esenzione di Maria dal peccato

originale, presentata come «singulari omnipotentis Dei gratia et privilegio»: è qualcosa di non

comune a tutti i cristiani, anche se a rigore non se ne esige l’esclusività.

«Pertanto … dichiariamo, proclamiamo e definiamo che è stata rivelata da Dio, e quindi deve esse-

re creduta da tutti i fedeli fermamente e costantemente, la dottrina secondo la quale la beatissima

Vergine Maria, nel primo istante del suo concepimento, per grazia singolare e privilegio di Dio on-

nipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata

immune da ogni macchia di peccato originale» (DS 2803).

1) Il soggetto: la persona di Maria fin dal primo istante del suo concepimento. Con il rimando al

concepimento non si intende l’atto dei genitori (concezione attiva), ma il risultato di questo atto

(concezione passiva). Il testo non interviene sulla questione dell’animazione del corpo.

168

CONCILIO DI TRENTO, Sessione VI (13 gennaio 1547), Decreto sulla giustificazione, can. 23: DS 1573: «Se qualcuno

afferma che l’uomo, una volta giustificato, non può più peccare, né perdere la grazia, e che dunque chi cade e pecca non

è mai stato veramente giustificato; oppure al contrario afferma che è possibile evitare ogni peccato, anche veniale, per

tutta la vita, senza un privilegio speciale di Dio, come la Chiesa ritiene della beata Vergine, sia anatema».

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2) L’oggetto dell’insegnamento: Maria è «ab omni originalis culpae labe praeservatam immunem».

La formula è negativa, ma comprende, implicitamente, la sua santità. D’altra parte, occorre

ricordare che nella sua storia la Chiesa non ha mai definito la natura del peccato originale, anche se

ne ha identificato alcune componenti. Queste — la privazione dello stato di santità e giustizia,

l’inimicizia divina (DS 1511) e la morte dell’anima (DS 1512) — sono da escludere; non è, invece ,

possibile ricavare nulla sulla preservazione di Maria dalle conseguenze del peccato originale, cioè

quella condizione di lacerazione e di divisione interiore che la tradizione indica abitualmente col

termine di concupiscenza.

3) Il motivo di questa esenzione: «intuitu meritorum Christi Iesu Salvatoris humani generis».

Questa dizione mantiene Maria nell’ambito dell’azione salvifica di Gesù, ma, pur suggerendolo,

non insegna che Maria è stata redenta da Cristo.

Il magistero lo preciserà in documenti successivi.

- Pio X, Litt. Encycl. Ad diem illum, 2 febbraio 1904, insegna la profonda comunione di grazia di

Maria con Cristo che ne è l’unica sorgente (DS 3370).

- Pio XII, Litt. Encycl. Fulgens corona, 8 settembre 1953, insegna che Cristo Signore

«perfectissimo quodam modo divinam Matrem suam revera redemisse», essendo ella stata da Dio

preservata immune da qualsiasi macchia ereditaria di peccato, in previsione dei meriti di lui.

Insegna poi che in nessun istante Maria è stata soggetta al peccato e senza grazia divina (DS 3908).

- Concilio Vaticano II, Costituzione de ecclesia, “Lumen gentium”, n. 53, asserisce che Maria è stata

«redenta in modo ancora più sublime in considerazione dei meriti del suo Figlio».

Così commenta R. Laurentin: «è un mistero d’amore: l’amore divino che, a differenza del nostro,

non dipende dal suo oggetto, ma lo crea, si dispiega qui senza ostacolo. Proprio in seno al mondo

invecchiato, egli riprende la creazione alla sorgente, facendo di Maria la più amabile, la più

attraente delle creature: quella in cui Dio potrà, senza compromesso col peccato, stabilire la sua

dimora. L’Immacolata Concezione è il trionfo della sola grazia di Dio: Sola gratia»169

. Questa

affermazione assoluta dell’iniziativa divina per K. Rahner mostra con evidenza come questo dogma

sia «un capitolo della dottrina stessa della redenzione e il suo contenuto costituisca la forma più

radicale e perfetta di redenzione»170

.

B) Contro il pessimismo riguardo all’uomo determinatosi con la Riforma.

1) La celebrazione del «soli Deo gloria» era per il Protestantesimo contemporaneamente il richiamo

all’assoluto primato di Dio nell’opera della salvezza ed il rifiuto di ogni possibile mediazione

umana, e quindi ecclesiastica.

2) Al culmine di un processo secolare di controversia, che aveva irrigidito le posizioni, spingendole

verso gli estremi polemici, il dogma dell’Assunzione di Maria Vergine alla gloria celeste è

testimonianza dell’antropologia “ottimista” del cattolicesimo e, dal punto di vista formale, ribadisce

la decisiva importanza della mediazione della Chiesa, quale concreta attualizzazione dell’unica e

perfetta mediazione del Cristo. E questo senza disconoscere l’indiscusso primato della grazia, come

ricorda il dogma dell’Immacolata Concezione. I due “nuovi dogmi” vengono ad integrarsi

reciprocamente, offrendo in Maria l’immagine di un’antropologia teologica esemplare, in cui Dio,

non fa concorrenza all’uomo e la sua gloria, pienamente affermata, viene a coincidere con la vita

piena della creatura.

Il ricorso all’attuale consenso della fede ecclesiale come motivazione decisiva per la definizione

dogmatica, in quanto espressione del «sensus fidei» radicato nella Parola di Dio e garantito nel

tempo dallo Spirito della fedeltà del Signore alle sue promesse, ribadisce il valore della mediazione

ecclesiale, in cui si fa presente, «qui e ora», l’opera dell’unico e perfetto Mediatore, Gesù Cristo.

Lo sfondo (polemico), non immediato e diretto, ma certamente presente nella difesa e testimonianza

della fede cattolica, viene così a chiarire l’intenzione del dogma, che è insieme dossologica e

169

R. LAURENTIN, La Vergine Maria. Mariologia post-conciliare, Edizioni Paoline, Roma 19702, 224s.

170 K. RAHNER, L’Immacolata concezione, in ID., Saggi di cristologia e di mariologia, Edizioni Paoline, Roma 1967,

432.

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Mariologia: 2012/13 47

soteriologica: a gloria di Dio ed al servizio di una integra concezione della redenzione e del suo

partner umano.

3) Come si è sviluppato il dogma e che cosa insegna?

Partendo dal mistero centrale dell’Incarnazione e della Pasqua, esso estende la luce pasquale alla

biografia totale della Vergine Maria, non solo cioè al primo inizio della sua esistenza (Immacolata

Concezione), ma anche al suo destino ultimo e definitivo. E come Maria è immacolata perché lo

Spirito, che l’ha colmata di grazia nell’annunciazione, opera all’interno dell’elezione eterna del

Padre, che l’ha preservata dal peccato in vista dei meriti del Figlio, così la vittoria sulla morte

realizzata nel Risorto come segno manifestativo della sua vittoria sul peccato, viene a risplendere

pienamente in lei: «Assumpta quia Immaculata».

L’idea era stata preparata nella tradizione vivente della fede ecclesiale: per moltissimi fra i Padri «la

divina maternità è la motivazione fondamentale che esige per Maria l’esenzione dalla corruzione

della tomba, la gloriosa resurrezione e ascensione al cielo…, essa è anche il motivo per cui ella

fisicamente e moralmente cooperò alla distruzione della signoria della morte e all’elevazione della

stirpe umana»171

.

Se nella patristica l’interesse per il destino finale di Maria è piuttosto tardivo, esso comincia però ad

attirare l’attenzione della letteratura apocrifa — in verità non tutta databile al II secolo —, la quale,

seppur esclusa dai libri canonici della Chiesa, soprattutto nel caso di Maria avrà una grande influen-

za sul popolo cristiano e sulla sua coscienza religiosa. L’interesse principale di questi testi sembra

essere l’infanzia di Maria e di Gesù; pochi altri si interessano del transito della vergine, come la

Dormizione di Maria. Di questi testi non siamo in grado di dire se contengano qualche aspetto di

verità. Il primo dei Padri a menzionare la questione della morte della Vergine è Epifanio, il quale

però confessa la sua ignoranza in materia: «A mala pena troviamo da qualche parte delle informa-

zioni sulla santa e beata Maria e tanto meno è possibile raccoglierne a proposito della sua morte»172

.

Entrando nel merito delle varie ipotesi che circolavano nella comunità cristiana — che fosse morta

martire, interpretando così Lc 2,35; che secondo Ap 12,13-14 fosse stata portata in un luogo segreto,

forse l’antico paradiso, fino al ritorno di Cristo; che fosse morta a Gerusalemme in una casa sul Ge-

tsemani dove sarà edificata una Basilica di Santa Maria del Getsemani; che la sua tomba fosse nella

valle di Giosafat — Epifanio conclude: «Forse è possibile che questo si sia verificato in lei. Non lo

affermo però in modo assoluto né pretendo sostenere che ella sia rimasta immortale. Però non so-

steniamo neppure che ella sia morta. Infatti la Scrittura si è mantenuta al di sopra della mente uma-

na e ha lasciato questo punto nell’incertezza …»173

.

Questo atteggiamento prudente, a partire dalla metà del V secolo e soprattutto con il VI, farà spazio

a un atteggiamento diverso: il bisogno di conoscere e di raccogliere informazioni su ciò che è avve-

nuto a Maria. Il culto mariano conosce un rapido sviluppo dopo Efeso e Calcedonia: in questo con-

testo si imporrà la festa del 15 agosto. All’inizio vi è, per lo più, una Memoria di Maria, quasi sem-

pre connessa al Natale, in cui si celebrava la partecipazione della Vergine Madre all’opera salvifica

di Cristo: per analogia con le feste dei martiri, questa ricorrenza cominciò a inglobare anche il dies

natalis della Madonna.

Da qui l’origine della festa liturgica della dormitio, poi diventata assumptio. Ovviamente questo

cambiamento di nomi ha implicato, pure, un cambiamento del significato della festa: fino a tutto il

secolo VI, non era pacifico se si celebrasse l’assunzione della sola anima o dell’anima e del corpo o,

ancora, dell’anima alla gloria del cielo e del corpo al paradiso terrestre. Quanto agli apocrifi riferi-

scono, in genere, la morte naturale di Maria a Gerusalemme, i suoi funerali e la sua sepoltura a ope-

ra degli apostoli, la frustrazione del tentativo giudaico di violare la salma benedetta, l’assunzione al

cielo dell’anima e del corpo della Beata Vergine. Certamente questi racconti non mancarono di in-

fluenzare la fede popolare e la predicazione del clero.

171

M. JUGIE, La mort et l’assomption de la sainte Vierge, Roma 1944, 250. 172

EPIFANIO, Panarion, 78, 11; PG 42, 716. 173

Ibidem.

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Uno dei primi teologi a formulare la fede cattolica dell’Assunzione di Maria al cielo è il patriarca

Modesto di Gerusalemme († 634 [?])174

. La sua predica mantiene la riflessione sull’Assunzione in

un quadro cristologico e soteriologico; sostiene, infatti, che «nella sua qualità di Madre tutta glorio-

sa di Cristo Salvatore nostro Dio, datore della vita e dell’immortalità, Maria è vivificata da lui; essa

gli è per sempre congiunta con il corpo nell’incorruttibilità. È lui che l’ha risuscitata dal sepolcro e

l’ha presa con sé, nella maniera che soltanto lui conosce»175

. Presentando Maria come ponte tra Dio

e gli uomini, Modesto accentua il significato escatologico della sua assunzione per l’intera umanità:

«O beatissima Dormizione della gloriosissima Madre di Dio, per mezzo della quale il genere umano

è stato glorificato e chiamato beato in Cristo Dio, come se fosse suo invisibile corpo […]. O beatis-

sima Dormizione della gloriosissima Madre di Dio, per mezzo della quale tutte le cose sono state

rinnovate; le cose della terra sono state unite a quelle del cielo e insieme a esse acclamano: “Gloria

a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”»176

. L’Assunzione di Maria

significa la piena realizzazione del disegno di Dio: la proclama e l’anticipa presentando Maria come

capace di operare per il bene della Chiesa e di intercedere per i credenti. Qui l’Assunzione smette di

essere una pia curiosità e si trasforma in una conclusione teologica con una sua logica e una sua ne-

cessità. Toccherà alla fede della Chiesa verificare questo cammino dal culto alla fede riflessa e de-

cidere di conseguenza. A noi basterà segnalare il diffondersi di questa convinzione: Germano di

Costantinopoli177

, Andrea di Creta178

, Giovanni Damasceno179

ne sono i principali testimoni.

Queste riflessioni vennero riprese anche in Occidente, dove pian piano la festa e la riflessione

teologica sul destino finale di Maria guadagnò un consenso unanime. Contrastato in effetti solo

dalla Riforma. In realtà Lutero si oppose nettamente a questa dottrina, sembrandogli disonorare il

Figlio, in quanto avrebbe posto una creatura al suo medesimo livello.

La Costituzione apostolica Munificentissimus Deus (1 novembre 1950) di Pio XII ratificherà questo

consenso unanime. Essa fu preparata dalla pubblicazione delle richieste di definizione giunte alla

Santa Sede e dall’enciclica Deiparae Virginis (1 maggio 1946), che introduceva una consultazione

dell’episcopato.

Il testo della costituzione consta di un’introduzione, che richiama lo sviluppo del movimento

assunzionista dal 1854 in poi, e di due parti nettamente distinte. La prima offre le ragioni teologiche

della definizione e conclude riassumendone brevemente i fondamenti dottrinali e le ragioni di

opportunità. La seconda, invece, è costituita dalla definizione vera e propria.

La prima parte fa perno sulla fede della Chiesa: Pio XII la coglie come operante nel consenso

dell’episcopato, cioè nel consenso della fede docente del tempo, la vede a fondamento della fede

nella Assunzione che ripercorre brevemente nella sua origine e nel suo sviluppo e ne indica il

fondamento ultimo nella Scrittura180

. Questo fondamento ultimo è la maternità divina così come è

colta dalla Chiesa nella Scrittura e nella tradizione, ossia è quella comunione tra la madre e il figlio

che, a partire dalla dimensione umana, si sviluppa nella partecipazione della madre alla lotta del

figlio contro il maligno e alla sorte del figlio. Già presente in Gen 3,15, questa singolare comunione

174

Se ne veda il testo in Modesto di Gerusalemme, Omelia sulla Dormizione della Madre di Dio, in G. Gharib - E. To-

niolo - L. Gambero - G. Di Nola, Testi mariani del primo millennio, op. cit., vol. II, pp. 123-137; PG 86, 3277-3312. 175

Ibid., 137. 176

Ibid., 129. 177

Si vedano le tre omelie In dormitionem Sanctissimae Deiparae: PG 98, 340-372. 178

Si vedano le tre omelie In dormitionem Beatae Virginis Mariae: PG 97, 1045-1109. 179

Pure per lui si vedano le tre omelie In dormitionem Beatae Virginis Mariae: PG 96, 699-761. 180

«Tutte queste argomentazioni e considerazioni dei Santi Padri e dei teologi trovano il loro fondamento ultimo nelle

Sacre Scritture; queste ci propongono con estrema evidenza l’immagine dell’alma Madre di Dio strettamente unita al

Figlio suo divino e sempre partecipe della sua sorte. Per questo, pare persino impossibile vedere da lui separata, non

certo nell’anima, ma anche solo nel corpo, dopo questa vita terrena, colei che concepì Cristo, lo partorì, lo nutrì col suo

latte, lo ebbe tra le braccia e lo poté stringere al suo petto. Poiché il nostro Redentore è figlio di Maria, non avrebbe cer-

tamente potuto, in quanto rispetta in modo perfetto la legge divina, non onorare anche la Madre sua dilettissima, oltre

che l’eterno Padre. E dunque, essendo in suo potere renderle un così grande onore da preservarla intatta dalla corruzione

della tomba, si deve credere che l’abbia fatto realmente»: DS 3900.

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Mariologia: 2012/13 49

è evocata dal tema patristico della seconda Eva181

. Questo livello di ragioni ha senso se non ci pone

sul solo piano storico-critico, ma anche attraverso questo, si ricerca la comunione con la fede della

Chiesa; il compito della ragione ispirata dalla fede non sarà quello di maggiorare il peso degli

argomenti storici che rimarrà immutato — se non era sufficiente prima della definizione, non lo sarà

nemmeno dopo —, ma sarà quello di fondare e precisare il compito della Chiesa nel custodire,

trasmettere e interpretare il dato rivelato. L’associazione di Maria con Cristo è il vero fondamento

dottrinale di questo dogma: il testo ne fa la sintesi della fede dellla Chiesa e la precisa indicando un

«unico e identico decreto di predestinazione» per Gesù Cristo e per Maria182

. L’Assunzione è una

delle verità di questa corona di privilegi.

Nella seconda parte, la definizione vera e propria, si insegna che è dogma divinamente rivelato da

Dio che:

«l’Immacolata Madre di Dio la sempre Vergine Maria, terminato il corso della sua vita terrena, è

stata assunta alla gloria celeste in corpo e anima» (DS 3903).

Si noti che:

1) per gloria celeste si intende la visione beatifica e la glorificazione del corpo che assume le carat-

teristiche proprie dei corpi risorti;

2) il testo tace circa la questione controversa della morte — essa è prima morta e poi è stata assunta

oppure è stata direttamente fatta partecipe della gloria celeste ? —, ma si concentra sul risultato fi-

nale, evitando di parlare della modalità dell’assunzione;

3) il soggetto è l’Immacolata Genitrice di Dio, la sempre Vergine Maria, illustrando in tal modo il

carattere particolare della persona di Maria in quanto partecipe dell’opera di Cristo, motivo

fondamentale di questo privilegio.

Questa dottrina sarà ripresa dal Vaticano II in tre testi.

- LG 59: «La Vergine immacolata, che era stata preservata immune da ogni macchia di peccato

originale, teminato il corso della sua vita terrena, fu assunta alla gloria del cielo in corpo e anima ed

esaltata dal Signore come regina dell’universo, per essere così più pienamente conformata al suo

Figlio, Signore dei signori (cf. Ap 19,16), vincitore del peccato e della morte». L’Assunzione è il

compimento del rapporto di Maria con Cristo.

- LG 68: «Ormai glorificata in cielo in anima e corpo, la Madre di Gesù è immagine e primizia della

chiesa che sarà portata a compimento nel futuro; ma nel frattempo brilla quaggiù come segno di

sicura speranza e di consolazione per il popolo di Dio che è in cammino, fino a quando arriverà il

giorno del Signore (cf. 2Pt 3,10)». Il valore ecclesiale ed escatologico dell’Assunzione: il suo

“privilegio” appare come un segno concreto di speranza offerto a tutta l’umanità, perché rende

manifesta la meta ultima del nostro pellegrinaggio ed alimenta la fede nella nostra risurrezione,

181

«In particolare, si deve sempre aver presente il fatto che, fin dal II secolo, i santi Padri ci presentano la Vergine Ma-

ria come novella Eva strettamente unita, sebbene sottomessa, al nuovo Adamo, in quella terribile lotta contro il nemico

infernale che, come si annuncia già nel protovangelo (Gen 3,15), si sarebbe conclusa con la vittoria definitiva sul pecca-

to e sulla morte, i quali, negli scritti dell’Apostolo dei gentili, sono sempre tra loro strettamente congiunti (Rm 5 e 6;

1Cor 15,21-26; 54-57). Per questo, come la gloriosa resurrezione di Cristo fu la parte essenziale e il più significativo

trofeo di questa vittoria, così la lotta della Beata Vergine a fianco di suo Figlio doveva concludersi con la «glorificazio-

ne» del suo corpo verginale; come dice infatti lo stesso apostolo, «quando… questo corpo mortale si rivestirà di immor-

talità, allora si compirà ciò che è stato scritto: la morte è stata ingoiata nella vittoria» (1Cor 15,54)»: DS 3901. 182

«Pertanto l’augusta Madre di Dio, misteriosamente unita dall’eternità a Gesù Cristo “con un medesimo e unico de-

creto” [Pio IX, Ineffabilis Deus, in Pii IX Acta I, 1, 599] di predestinazione, immacolata nel suo concepimento, vergine

intatta nella sua divina maternità, collaboratrice generosa del divino Redentore, che riportò pieno trionfo sul peccato e

sulle sue conseguenze, ottenne alla fine, quasi a supremo coronamento dei suoi privilegi, di rimanere immune dalla cor-

ruzione della tomba e, come già prima suo Figlio, una volta vinta la morte, di essere assunta in corpo e anima alla su-

prema gloria celeste, perché lì risplendesse come regina alla destra di suo Figlio, re immortale di tutti i tempi (1Tim

1,17)»: DS 3902.

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Mariologia: 2012/13 50

garantita dalla risurrezione di Cristo. La figura della Vergine Madre assunta diviene la cifra della

dignità presente e futura dell’uomo creato e redento d Dio.

- SC 103: «Nella celebrazione di questo ciclo annuale dei misteri di Cristo, la santa chiesa venera

con speciale amore la beata Maria madre di Dio, congiunta indissolubilmente con l’opera salvifica

del Figlio suo; in Maria ammira ed esalta il frutto più eccelso della redenzione, e contempla con

gioia, come in una immagine purissima, ciò che essa nella sua totalità desidera e spera di essere». Il

senso della celebrazione liturgica delle feste mariane.

●●●

A proposito della definizione di un quinto dogma mariano: Maria corredentrice, mediatrice e

avvocata, che è stato proposto da un voto di circa 300 vescovi già al Vaticano II — il Concilio

decise di soprassedere — e che recentemente, nel 1998, è stato l’oggetto di una petizione di più di 4

milioni di firmatari (così per i sostenitori)183

, la risposta della Pontificia accademia mariana

internazionale, interpellata espressamente dalla Santa Sede sulla possibilità e opportunità, è stata

lapidaria: «I titoli, come vengono proposti, risultano ambigui, giacché possono comprendersi in

modi molto diversi. È parso inoltre non doversi abbandonare la linea teologica seguita dal concilio

Vaticano II, il quale non ha voluto definire nessuno di essi: non adoperò nel suo magistero il

termine “corredentrice”, e dei titoli di “mediatrice” e “avvocata” ha fatto un uso molto sobrio (cfr.

Lumen gentium, n. 62). In realtà il termine “corredentrice” non viene adoperato dal magistero dei

sommi pontefici, in documenti di rilievo, dai tempi di Pio XII. A questo riguardo vi sono

testimonianze sul fatto che egli ne abbia evitato intenzionalmente l’uso. Per quanto concerne il

titolo di “mediatrice” non si dovrebbero dimenticare eventi storici abbastanza recenti: nei primi

decenni di questo secolo la Santa Sede affidò a tre commissioni diverse lo studio della sua

definibilità; tale studio portò la Santa Sede alla decisione di accantonare la questione.

Anche se si attribuisse ai titoli un contenuto, del quale si potrebbe accettare l’appartenenza al

deposito della fede, la loro definizione, nella situazione attuale, non risulterebbe tuttavia

teologicamente perspicua, in quanto i titoli e le dottrine a essi inerenti, necessitano ancora di un

ulteriore approfondimento in una rinnovata prospettiva trinitaria, ecclesiologica e antropologica.

Infine i teologi, specialmente i non cattolici, si sono mostrati sensibili alle difficoltà ecumeniche che

implicherebbe una definizione dei suddetti titoli»184

.

3.2.3 L’esemplarità morale di Maria

Rispetto all’età patristica la mariologia moderna si sforza di vedere nella Vergine il modello della

creatura pienamente realizzata secondo il disegno di Dio, la cifra purissima dell’umanità redenta.

Anche sotto questo stimolo si sviluppa la teologia dei “privilegi mariani”, dedotti secondo la

formula: «Deus potuit, decuit, ergo fecit».

In Occidente lo sviluppo di questo approccio al mistero della Vergine Madre fu ulteriormente

amplificato in reazione alle negazioni della Riforma: celebrare Le glorie di Maria (titolo di

un’opera fortunatissima di S. Alfonso Maria de Liguori) divenne un modo concreto ed insieme

densamente simbolico di rifiutare il pessimismo antropologico che emergeva dall’esasperazione del

«soli Deo gloria».

3.2.4 La pietà mariana

Favorita dalla reazione antiprotestante e antimoderna, la pietà mariana che si sviluppa soprattutto

nel XIX secolo vorrebbe far percepire intensamente la “presenza” materna di Maria nella comunio-

ne dei santi, di cui la Trinità è sorgente, luogo e meta. Non a caso l’opera che forse ha influenzato la

183

G. Mc., Petizioni mariane. Il buon uso della pietà del papa, in Il Regno. Attualità 1997/16 (1998) 469. 184

XII Congresso mariologico – Pontificia accademia mariana, Dichiarazione della commissione del congresso di Cze-

stochowa, in Il Regno. Documenti 1997/17 (1998) 530. Sul titolo da ultimo H. MUNSTERMAN, Marie corédemptrice?

Débat sur un titre marial controversé, Cerf, Paris 2006.

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sviluppo della moderna devozione a Maria, il Trattato della vera devozione alla santa Vergine di s.

Luigi M. Grignion de Monfort (1750, ma pubblicato solo nel 1842), presenta un forte carattere trini-

tario. Questa radice cultuale del dogma dà ad esso il carattere dossologico: quanto è definito intorno

a Maria, lo è unicamente a gloria della Trinità, perché meglio questa gloria risplenda a salvezza de-

gli uomini.

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Mariologia: 2012/13 52

4 TERZA PARTE:

IL COMPITO DI MARIA NELLA SALVEZZA DI GESÙ CRISTO

Ci sembrano utili tre riflessioni preliminari.

1° La mariologia è in fase di rifondazione perché il trattato l’ha isolata dal resto della riflessione teo

logica.

2° Il cristocentrismo riscoperto dalla teologia del Novecento ha riguadagnato alla teologia il fatto

che il Cristo non può che essere l’oggetto e il criterio alla cui luce è impostato il discorso della fede

su Maria. Ciò comporta, in primo luogo, di superare la classica opposizione tra la misericordia di

Maria e la giustizia del Dio di Gesù e in secondo luogo di ripensare uno dei loci classici della spiri-

tualità e della teologia mariana, ossia di porre Maria tra il Cristo e la Chiesa, o tra il Cristo e

l’umanità, mettendo in questione la fede nell’unico Mediatore (1Tim 2,5). Tanto più che il mediato-

re perfetto non è colui che si interpone (l’intermediario), ma colui che stabilisce un contatto diretto:

in questo senso, Gesù Cristo è il vero mediatore tra Dio e gli uomini.

3° Se il concetto di mediatrice è quindi problematico, non si può comunque disconoscere l’azione

propria di Maria all’interno dell’economia della grazia, un’opera che si può pensare nei termini di

partecipazione materna (Giovanni Paolo II) all’opera del Cristo. Poiché lo Spirito è la potenza e il

criterio che realizza ogni partecipazione dell’umanità alla salvezza di Gesù, la persona e il compito

di Maria dovranno essere posti in stretto rapporto con lo Spirito Santo.

4.1 L’ELEZIONE DI MARIA NEL DISEGNO DI DIO

La figura di Maria deve essere considerata all’interno del mistero di Cristo; ella, infatti, appartiene

all’evento salvifico dell’incarnazione con un ruolo speciale e unico.

4.1.1 La testimonianza biblica: la centralità della grazia divina nella persona di Maria

Punto di partenza della nostra riflessione sono le espressioni con cui l’angelo Gabriele si rivolge a

Maria nell’annunciazione: «piena di grazia» e «hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1,28.30). In que-

sto testo la grazia non è un qualche dono che Dio fa, ma è il dono che Dio fa di se stesso, è

l’atteggiamento di Dio verso l’umanità e la creazione. Di questa grazia si dice che Maria è ricolmata

… senza merito, ma solo per il libero e immeritato favore di Dio.

Con queste parole, si dice però anche qualcosa a riguardo di Maria: la grazia, infatti, non è solo il

favore di Dio, ma anche una qualità, che rendendo amabile una persona, attira su di lei il favore e

l’amore di Dio: cfr. Ct 4,1.7: «Come sei bella, amica mia, come sei bella! … Tutta bella tu sei, ami-

ca mia, in te nessuna macchia».

4.1.1.1 La grazia ricevuta come singolare elezione

L’intervento dell’angelo situa la storia personale di Maria in un piano più ampio, svelandole il senso

storico-salvifico della sua vita: interverrà come persona nel compiersi del disegno divino sulla uma-

nità. Il compito di Maria è costituito dal «nulla è impossibile a Dio!» (Lc 1,37); è totalmente frutto

della grazia. Le è dato non perché all’agire di Dio manchi qualcosa, ma perché Egli ha voluto coin-

volgere la libertà umana nello svolgersi di ciò che rimane suo dono. In Maria risplende il senso pie-

no della libertà umana, ricolmata di grazia e risplendente della potenza amorevole di Dio, che deve

cooperare con Lui (Mc 9,23: «Tutto è possibile per chi crede»). In ogni caso Maria «non può essere

causa di ciò che avviene, ma solo condizione liberamente scelta da Dio e segno della prodigiosità

del nuovo inizio» (B. Forte).

Eletta come persona, Maria rappresenta la figlia di Sion, il vertice della fede di Israele e l’inizio del

popolo del Regno (cfr. il contrasto in Lc 1 tra Maria e Zaccaria).

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Maria rappresenta inoltre il mondo delle donne. Nel mondo biblico la donna era collocata in una

condizione di inferiorità: in questo senso, l’elezione di Maria come donna rientra nella tradizionale

maniera di agire di Dio che «ha scelto i poveri del mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del re-

gno» (Gc 2,5).

4.1.1.2 Il contenuto della grazia: concepirai un figlio

Il contenuto dell’elezione di Maria si trova nelle parole dell’angelo: «Concepirai un figlio. Lo darai

alla luce e lo chiamerai Gesù» (Lc 1,31). Sia Mt (1,18.20) sia Lc (1,35) riconducono questo conce-

pimento all’opera dello Spirito Santo.

Ora, solo chiarendo chi sia questo figlio, che la Scrittura presenta come Figlio dell’Altissimo, come

santo e Figlio di Dio (Lc 1,32.35), si potrà capire chi sia questa madre. Noi sappiamo che la lotta

contro la gnosi e il docetismo prima e quella per l’unità della persona-ipostasi del Cristo porteranno

anche a determinare che questa madre è la Theotokos. In questo modo il rapporto tra Maria e Gesù

Cristo raggiunge il livello più profondo della persona.

Si noti che non è Maria a realizzare l’incarnazione, ma il Verbo in comunione col Padre e con lo

Spirito («ipsa assumptione creatur»); da questa azione salvifica Maria riceve la sua stessa maternità

verginale: «Non è Maria che fa di Cristo suo figlio, ma Cristo che fa di Maria sua madre» (J. Alfa-

ro).

Ricondotta all’accoglienza dell’opera salvifica di Dio, la maternità di Maria non può avvenire senza

fede. Il rapporto tra maternità e fede è tale che la maternità è una forma di discepolato nella fede185

e il discepolato nella fede è una forma di maternità186

.

Di conseguenza, la venuta di Gesù, la maternità di Maria e la sua fede, sono un unico evento salvi-

fico: alla pienezza di grazia corrisponde la pienezza della fede.

La partecipazione materna di Maria all’opera di Cristo non si limita alla sola nascita. Da una parte

la maternità è una condizione stabile e profonda che istituisce un modo nuovo di essere nella donna,

dall’altra l’opera di Cristo dev’essere considerata nella sua unità e totalità: incarnazione, morte e ri-

surrezione costituiscono un unico evento di salvezza. Di conseguenza la partecipazione di Maria al-

la vita di Gesù non si esaurisce nella sola nascita, ma si estenderà a tutta la sua esistenza in una pro-

gressiva e sempre più profonda identificazione con la sua missione. In tal senso si può vedere il ver-

tice della sua maternità e quindi della sua partecipazione all’opera della salvezza nella sua presenza

al Calvario (Gv 19,25-27).

4.1.1.3 Il compiersi della grazia nella fede che si abbandona

Nella risposta di Maria: «Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me

quello che hai detto”» (Lc 1,38), l’episodio dell’annunciazione trova il suo compimento e sciogli-

mento. Questa parola costituisce «il vertice di ogni comportamento religioso davanti a Dio, poiché

essa esprime, nella maniera più elevata, la passiva disponibilità unita all’attiva prontezza, il vuoto

più profondo che si accompagna alla più grande pienezza» (H. Schürmann). Nella parola di Maria è

tutta l’umanità, è tutta la creazione che dà a Dio il proprio consenso.

4.1.2 L’affermazione teologica: Maria predestinata in uno con il Figlio Gesù

Il dato più importante che la fede della Chiesa mette in luce a proposito di Maria è il suo profondo

legame con Gesù. Pensare Maria in forza di questo legame con Cristo significa pensarla all’interno

del primato di Cristo e nel quadro dell’unità dell’evento cristologico.

Ma ciò porta ad affermare che Maria appartenga al realizzarsi dell’evento Cristo, che Maria sia stata

predestinata in uno con il Cristo. Questo insegnamento ha la sua storia.

185

«È cosa più grande per Maria essere stata discepola di Cristo che essere stata madre di Cristo»: AGOSTINO, Sermo

72/A, 7; PL 46,937. 186

«Ogni anima che crede concepisce e genera il Verbo di Dio. […] Se secondo la carne una sola è la madre di Dio, se-

condo la fede tutte le anime generano Cristo»: AMBROGIO, In Lucam, 2, 26; PL 15, 1561.

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Nella Ineffabilis Deus, Pio IX prende spunto dai testi liturgici che applicano a Maria i brani della

Sapienza increata e li trasferisce alla Vergine «quae uno eodemque decreto cum divinae sapientiae

incarnatione fueruat praestituta».

Nella Munificentissimus Deus Pio XII argomenta a partire da Maria, la Madre di Dio «Iesu Cristo,

inde ab omni aeternitate, “uno eodemque decreto” praedestinationis, arcano modo coniuncta» (DS

3902).

Il Vaticano II nella Lumen gentium, n. 61 insegna che: «la beata Vergine, predestinata fin

dall’eternità, all’interno del disegno di incarnazione del Verbo, per essere la madre di Dio, per di-

sposizione della divina Provvidenza fu su questa terra l’alma madre del divino Redentore, genero-

samente associata alla sua opera a un titolo assolutamente unico, e l’umile ancella del Signore».

Giovanni Paolo II nella Redemptoris Mater, n. 8, insegna che: «nel mistero di Cristo ella (Maria) è

presente, già “prima della creazione del mondo”, come colei che il Padre “ha scelto” come madre

del suo Figlio nell’incarnazione — e insieme al Padre l’ha scelta il Figlio — affidandola eternamen-

te allo Spirito di santità. Maria è in modo del tutto speciale ed eccezionale unita a Cristo, e parimen-

ti è amata in questo Figlio diletto eternamente, in questo Figlio consostanziale al Padre, nel quale si

concentra tutta la “gloria della grazia”».

Il punto di partenza di questa affermazione rimane la singolare maternità di Maria che è da conside-

rare come l’espressione e la garanzia del carattere divino e messianico dell’evento del-

l’incarnazione. Nella misura in cui il Verbo assume da Maria la sua umanità, la persona di Maria è

indubbiamente legata in modo indissolubile all’iniziativa gratuita e salvifica di Dio in Gesù. Maria

appartiene al mistero dell’umanità del Verbo come condizione del suo realizzarsi. Ella quindi appar-

tiene al decreto eterno con cui Dio ha voluto la realizzazione dell’incarnazione del Figlio.

Di conseguenza Maria partecipa all’economia salvifica incentrata su Gesù, come sua madre. Diven-

tare madre di Gesù è il suo modo di accedere alla grazia di Cristo: è insieme essere da Lui salvata e

aver parte, nella fede, a quell’avvenimento da cui dipende la salvezza di tutta l’umanità. Divenire

madre è per Maria essere incorporata al Figlio. Questa è una grazia personale che, per la sua ade-

sione al mistero di Cristo, si impone come modalità singolare e perfetta ma, al tempo stesso, esem-

plare dell’agire salvifico di Dio. La sua grazia esemplare e il suo contributo alla realizzazione

dell’economia cristiana si identificano.

Questa grazia è da pensare correttamente come frutto della Pasqua di Gesù: la grazia della maternità

è una partecipazione singolare ed unica alla mediazione e alla redenzione di Cristo.

Ora, la predestinazione di Cristo non deve essere pensata solo in ragione del peccato, ma è assoluta;

questo fatto non è senza conseguenze per la predestinazione di Maria, che è voluta in uno con il

Cristo. Se la Pasqua di Gesù non può essere ridotta a redenzione dal peccato, essa può essere più

profondamente intesa come la suprema espressione dell’amore per Dio e per i fratelli che, in una

storia dominata dal peccato, diventa redentiva. In questo contesto la predestinazione di Maria in uno

con Cristo non è solo la predestinazione di colei che è esente da ogni peccato, attuale e originale,

per i meriti di Cristo, ma è addirittura la predestinazione di quella creatura che è posta nella condi-

zione di mantenersi sempre fedele al Dio-Amore. Mediatore perfettissimo, Cristo non solo libera

sua madre dal peccato, ma ne fa l’attuazione più alta della capacità di accogliere e di rispondere

all’amore di Dio. In Maria trova espressione non solo la redenzione, ma lo stesso anelito segreto che

pervade la creazione: in lei il creato torna al suo creatore come lode, ringraziamento e perfetto can-

tico di lode.

4.2 LA MATERNITÀ VERGINALE DI MARIA L’incarnazione non è avvenuta in modo prodigioso (Marcione ad es. affermava che Gesù non era

nato e cresciuto come tutti gli uomini, ma era comparso sulla scena del mondo già uomo adulto),

ma impegnando la vita di una persona, chiamata a diventare madre di Gesù. In questa chiamata Ma-

ria fa una esperienza singolare di Dio: nella sua maternità Dio non è solo causa efficiente, ma anche

termine personale del suo generare. La dimensione umana e salvifica di questo evento è connotata

dal fatto che si realizza mediante la fede.

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Mariologia: 2012/13 55

4.2.1 La maternità divina per opera dello Spirito Santo

La maternità divina è l’opera dello Spirito Santo, avallata dalla fede di Maria. Ciò è attestato chia-

ramente dalle Scritture ed è confessato nel Simbolo della fede. Nelle Scritture l’azione dello Spirito

è presentata come una creazione, (Gen 1,2; Sl 104, 30) una santificazione e una consacrazione. Il

consenso espresso da Maria è l’apertura della sua persona all’opera di Dio.

4.2.1.1 La maternità di Maria e l’incarnazione del Verbo

È una maternità totale, non solo fisiologica, perché si completa in una relazione materna tale per cui

Maria è realmente madre della persona di Gesù, vero uomo e vero Dio (essa è θεωτόκος). Eppure è

una maternità anche fisica. Ciò pone il problema di una trasformazione del Verbo: il Verbo, che è

Dio, può mutare, si immanentizza? No, perché proprio la trascendenza divina è la condizione per-

ché Egli liberamente si possa comunicare alla creatura, è la ragione che giustifica la libertà della sua

incarnazione. Allora la relazione materna è un aspetto reale della incarnazione: in quanto madre di

Gesù, Maria è madre del Figlio e questi è figlio di Maria. Legata al mistero dell’incarnazione, la

maternità di Maria appartiene alla forma più alta di inserimento del Figlio di Dio nell’umanità.

L’incarnazione (e quindi l’unione ipostatica) è un atto totalmente divino: assumendo la natura uma-

na, è il Verbo Dio che crea la natura umana di Gesù (Agostino: «assumendo creatur»). Qui Maria

non interviene. Eppure questo mistero di grazia non è avvenuto senza il concorso di una donna: così

che risaltasse meglio che, con l’incarnazione, il Verbo assume la complessità delle relazioni in cui

la vita umana si struttura.

Questa cooperazione materna di Maria non si esaurisce in un semplice fatto fisico, ma implica la to-

tale riorganizzazione della sua personalità attorno alla maternità, che non può avvenire senza la sua

fede. Si stabilisce così una comunione di grazia tra Cristo e questa creatura.

Di che tipo è questa particolare grazia di Maria? La teologia scolastica distingue tre tipi di grazia:

gratia capitis o grazia fontale legata all’unione ipostatica, grazia santificante, come trasformazione

che Dio opera in noi, e grazia della visione beatifica, propria dei beati che vedono l’essenza divina.

In questa maternità c’è però una singolare prossimità a Cristo che si dà nella forma propria della

maternità: è una grazia che comprende una relazione personale con la persona divina del Verbo tale

da diventare in lei la sorgente di tutti i doni che contraddistinguono la sua persona e il fondamento

del suo singolare ruolo all’interno del rapporto che il Verbo intrattiene con l’umanità e la Chiesa.

4.2.1.2 L’azione dello Spirito Santo nella maternità di Maria

Per comprendere il senso della maternità di Maria occorre rifarsi al Cristo, il quale nella dinamica

dell’alleanza tra Dio e gli uomini è il mediatore perfetto (1Tim 2,5-6). Il Cristo è mediatore perché

pone in perfetto rapporto di comunione, senza alcuna realtà intermedia, Dio e l’umanità. È evidente

che lo stesso non può essere detto per lo Spirito e per Maria: per lo Spirito, perché, nonostante sia

divino, non si unisce ipostaticamente all’umanità187

, ma si pone a servizio dell’economia cristica;

per Maria, la quale, benché sia persona umana, manca evidentemente dei caratteri della divinità.

Lo Spirito è però strettamente coinvolto nell’opera del Verbo in forza della sua eterna processione

da Lui. L’unico Mediatore invia lo Spirito e lo dona; lo Spirito modellerà le persone a cui è inviato

— la Chiesa e Maria in particolare — sulla base della sua azione, che è azione di universalizzazione

ed escatologizzazione dell’evento Gesù. Ricolma di Spirito Santo, Maria andrà vista come

l’archetipo di questa cristificazione universale ed escatologica, come la realtà nella quale la promes-

sa salvifica è formulata e garantita dal suo anticipo.

In ordine a Cristo, Verbo incarnato, la posizione di Maria, assunta per grazia al compito di una ma-

ternità divina, è diversa da quella dello Spirito: beneficata dalla grazia dell’unico Mediatore, non ha

autorità su quello Spirito di cui non è il principio. Essa appartiene al realizzarsi dell’opera mediatri-

187

Non sembra condivisibile il pensiero di una corrente francescana, che giunge a ipotizzare una quasi incarnazione del-

lo Spirito in Maria: M. Kolbe: «Filius incarnatus est: Iesus Christus. Spiritus Sanctus quasi incarnatus est: Immacula-

ta». Cfr. anche L. BOFF, Il volto materno di Dio. Saggio interdisciplinare sul femminile e le sue forme religiose, Queri-

niana, Brescia 1981, 93.

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ce del Verbo: la decisione divina di assumere una natura umana si concretizza nel suo nascere da

donna.

Quali allora i rapporti tra lo Spirito e Maria? La questione mette a nudo i limiti della pneumatologia

occidentale, tra cui il fatto che nella storia della pietà si è giunti ad attribuire alla Vergine titoli e

funzioni che la Sacra Scrittura attribuisce allo Spirito Santo: “ad Iesum per Mariam”; “la Vergine

forma in noi il Cristo”; “Maria quale madre del Buon Consiglio”. La riflessione recente ha suggerito

alcune piste: Bertetto, ad es., parla di sinergia tra Maria e lo Spirito; Laurentin la indica come luogo

di elezione, segno e icona vivente dello Spirito; Pikaza di trasparenza personale, di Maria pneuma-

toforme. Si nota da una parte la volontà di uscire dallo strumentario metafisico, ripensando con ca-

tegorie personalistiche il rapporto tra Maria e Spirito Santo; d’altra parte è evidente anche

l’imprecisione e talora anche l’oscurità del pensiero, che abbisogna di ulteriore approfondimento.

4.2.1.3 La cooperazione materna di Maria all’opera di Cristo

Il sì di Maria all’incarnazione di Gesù esprime la sua fede, ma in questa fede Maria si trova a occu-

pare quel posto che è proprio di tutto il popolo di Dio, anzi di tutto il creato. Il suo sì è infatti incon-

dizionato e illimitato e contiene in sé il sì a Dio di tutta la Chiesa e dell’umanità rinnovata. Non vie-

ne da qui solo una continuità tra l’esperienza mariana e quella della Chiesa ma, anche, quella di una

partecipazione di Maria al concreto determinarsi della persona di Cristo. Maria coopera infatti al

formarsi della personalità di Gesù: in questo entra in rapporto con quella persona e quell’opera il cui

segreto è la comunione del Padre con il Figlio. La sua è una cooperazione materna, che non aggiun-

ge nulla all’opera redentrice del Cristo, piuttosto l’accoglie e ne manifesta la grandezza.

4.2.2 La maternità verginale

Il tema della maternità verginale, presente nelle Scritture, ripreso negli antichi simboli di fede e in

alcuni concili, si è imposto come un dato fondamentale della fede cristiana, che si esprime nella tri-

plice presentazione della verginità di Maria — ante, in, post partum — o nella formula della sempre

vergine. Questa affermazione, messa in discussione da alcuni eretici all’inizio della Chiesa dei Pa-

dri, viene contestata di nuovo nella teologia protestante del XIX secolo. Da allora in poi anche nella

teologia cattolica del XX secolo cominciano a sorgere dei dubbi a suo riguardo.

Due episodi sono emblematici:

1. Un medico viennese, A. Mitterer, nel ’52 scrive il saggio Dogma e teologia della santa fa-

miglia. Secondo l’immagine del mondo di S. Tommaso d’Aquino e del presente. In

quest’opera formula un’analisi dei concetti di maternità e di verginità sulla base delle scien-

ze naturali per poi applicarli a Maria: la sua vera maternità implicherebbe quei processi che

la tradizione esclude, mentre la sua vera verginità, per nulla legata alla loro mancanza (cfr.

la fecondazione artificiale e il parto cesareo), va pensata piuttosto in base alla fecondazione

o meno da parte del seme maschile. La conclusione che ne ricava è che la perfetta verginità

di Maria non consiste negli aspetti esteriori del parto o nelle sue conseguenze, ma

nell’assenza della fecondazione maschile.

2. Il secondo episodio è scatenato dal catechismo olandese che interpreta il “concepito di Spiri-

to Santo” come un nascere di Gesù per pura grazia, per sola promessa. I dibattiti seguenti

serviranno a ribadire l’eccezionalità del concepimento e del parto di Gesù, come avvenimen-

ti in armonia con il mistero divino ivi contenuto. La discussione non si placherà; anzi una

serie di teologi rimetteranno in discussione la tesi tradizionale o quanto meno la considere-

ranno come problematica: Brown, Küng, Schillebeeckx, Bauer, Pikaza, Ortensio da Spineto-

li, Drewermann188

.

Le ragioni di questo ripensamento si possono raccogliere attorno a due maggiori:

1. Da una parte l’urgenza di ripensare il messaggio della Bibbia in categorie moderne: in

quest’ottica la verginità di Maria compare solo nei vangeli dell’infanzia di Mt e Lc, dove è descritta

188

Da ultimo J.-M. MOSCHETTA, Jésus, fils de Joseph. Comment comprendre aujourd’hui la conception virginale de

Jésus?, L’Harmattan, Paris 2002.

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Mariologia: 2012/13 57

secondo un genere midrashico che fonde insieme storia e interpretazione: si tratterebbe perciò di

un’affermazione tardiva e poco attestata che rende legittimo il dubbio. Denunciando

l’oggettivizzazione della mariologia e la fisicizzazione del suo discorso sulla verginità, la si rilegge

in termini simbolici, come il dono che Dio fa di sé e come il luogo della realizzazione delle sue

promesse. L’aspetto storico viene in genere sottovalutato: ciò che veramente importa è il rapporto

con Dio e questo, stante la sua trascendenza, si realizza senza che la sua realtà e la sua efficacia di-

pendano da problematiche di stampo fisico.

2. Il secondo motivo è la valorizzazione della kenosi, ossia l’umile integrazione dell’agire di Dio

nella realtà del mondo. Una nascita senza padre svaluterebbe pertanto i mezzi di cui normalmente

Dio si giova nel suo agire salvifico (Schoonenberg): confonderebbe il naturale con il soprannaturale

e inclinerebbe a un’interpretazione tendenzialmente monofisita della persona del Cristo. La vergini-

tà non sarebbe quindi l’espressione di un fatto, bensì l’eco di una dottrina, della convinzione che

Gesù è il Figlio di Dio. Una dottrina che sarebbe meglio salvaguardata a un livello metastorico, sen-

za ledere in nulla le cause seconde e rispettando totalmente il ritrovato valore della sessualità.

4.2.2.1 La fondazione biblica e tradizionale

1. Il dato biblico attesta che la verginità è chiaramente presente nei testi di Matteo e di Luca. Non è

del tutto assente da Paolo e Giovanni (cfr. Gal 4,4; Gv 1,13).

2. Ciò che è in discussione non è tanto ciò che storicamente è avvenuto, ma ciò che deve essere cre-

duto per fede ed è obbligatorio credere. Il semplice fatto, anche se documentato, non legittimerebbe

un trasferimento dell’episodio a livello di fede dogmatica. In questa linea si deve riconoscere che le

verità mariane non sono un dato originario, ma un dato ricavato da una precedente convinzione sul

posto di Maria nell’evento Gesù e sulla sua, conseguente, funzione storico-salvifica. La loro funzio-

ne è quindi primariamente cristologica: a ciò deve essere ricondotta anche la verginità di Maria.

L’unità personale e la distinzione delle nature in Gesù comporta che quanto entra nel suo essere

uomo si rifletta pure nel suo rapporto di Figlio con il Padre (Balthasar): poiché l’intera vita terrena

di Gesù entra in rapporto con la sua dimensione ultima, non era conveniente che la sua nascita ver-

ginale alludesse al mistero di colui che chiama Dio Abbà? Vista così, la nascita da una vergine va

compresa non in funzione della mancanza di un padre umano ma in ordine all’essere-Figlio di Gesù,

in ordine al suo rapporto con il Padre celeste. In tal senso non si può contrapporre biologico a spiri-

tuale (Ratzinger) e pertanto non esiste alcun distillato spirituale che esista a sé senza alcun segno

concreto: anche il corporeo, assunto nell’umano, è spirituale. Non si può negare quindi che la vergi-

nità di Maria abbia, in questo, un profondo significato, anche se non se ne può pretendere l’assoluta

necessità.

Se guardiamo poi allo sviluppo ecclesiale di questa tesi troviamo che la verginità di Maria è presen-

te già negli antichi simboli di fede delle chiese locali e nelle formule dei primi autori cristiani, da

Ignazio a Giustino, da Ireneo a Tertulliano; è presente come dimensione basilare del mistero

dell’incarnazione, cioè come segno e garanzia della persona divina di Gesù. Come tale verrà accolta

in numerosi documenti magisteriali della chiesa antica.

La tradizione preciserà ben presto che non solo il concepimento, ma anche il parto di Maria è avve-

nuto in modo verginale. Osserviamo però che né il concetto di incorruttibilità, né quello di integrità

verginale sono chiari nel loro contenuto e univoci nel corso del tempo: si dovrebbe pertanto evitare

di concludere che siamo qui di fronte a una verità rivelata e trasmessa dagli apostoli. Il risultato sarà

che Maria sarà sempre più presentata come la Vergine, la sempre vergine, con un’affermazione glo-

balmente volta a confessare la sua verginità perpetua, anche post partum.

Come valutare queste affermazioni magisteriali? Si potrebbe dire che il loro senso è orientato alla

salvaguardia del dogma cristologico, all’affermazione della vera umanità e della vera divinità: pro-

prio per questo risulta in qualche modo più attento alla globalità dell’affermazione che alle sue sin-

gole componenti. In fondo si tratta di ricondurre tutta la questione all’affermazione che la nascita di

Gesù è opera dello Spirito Santo.

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4.2.2.2 La riflessione teologica sulla verginità di Maria

Il punto di partenza di questa riflessione ce lo fornisce Karl Rahner, che lega il senso ultimo della

verginità di Maria alla totalità della sua persona189

: è Maria, la piena di grazia, a permettere di com-

prendere la figura mariana della verginità, non il contrario. Espressione della realtà personale di

Maria, la verginità non può ricavare il suo contenuto dai dibattiti storici, ma dall’insieme della figu-

ra di Maria; anche l’eventuale dato biologico non va messo innanzitutto in rapporto con il tema del-

la sessualità, ma con la sua realtà personale, con il compito materno che le è destinato nella storia

della salvezza: è questo il senso ultimo della sua persona e, in forza di esso, Maria, ricolma dello

Spirito e libera dalla concupiscenza, è una persona unica e singolare. Questa sua condizione va inte-

sa in senso globale: non solo integra pienamente e liberamente la sua personalità etica nel servizio

alla missione a cui Dio la chiama ma anche permette di vivere i processi passivi della sua vita ― tra

questi il partorire ― in modo diverso da chi avverte su di sé l’obiettiva presenza del peccato (Rm

8,19-20). Ne segue poi che bisognerà usare molta prudenza per evitare di tradurre immediatamente

questa differenza in un dato biologico preciso.

«Comunque qualcuno debba pensare a proposito della realtà biologica del costituirsi di Gesù, se

pensa di Gesù esattamente e perciò in modo ortodosso e se non ignora che parto e nascita sono due

aspetti dello stesso processo, allora una tale persona deve dire ad ogni modo: pur con tutta la vera

umanità del farsi uomo di Gesù, egli si è costituito, egli è nato diversamente da come ci formiamo,

nasciamo noi. Poiché si deve determinare il costituirsi e nascere a partire da ciò che è il risultato di

tale costituirsi. Esiste una assoluta correlazione tra l’adeguata peculiarità di ciò che si è costituito e

quella del costituirsi stesso. Dallo stesso costituirsi non possono risultare due entità costituite com-

pletamente diverse. E se le entità costituite sono diverse, allora anche il loro costituirsi è diverso.

Perciò bisogna necessariamente dire: pur con tutta la vera umanità del costituirsi di Gesù, egli si è

costituito in modo diverso da noi. Se Gesù è il Figlio di Dio, allora il suo costituirsi stesso è divino-

umano, mentre il nostro è umano. Ora qui, noi non possiamo interpretare la frase agostiniana: As-

sumendo creatur, cioè l’atto dell’assunzione dell’autoaffermazione di Dio, che è la realtà umana di

Gesù, ha in sé come un momento intrinseco il costituirsi della realtà umana di Gesù, in quanto que-

sto costituirsi è l’atto creativo [generale] di Dio. Questo costituirsi è perciò certamente diverso dal

nostro. Significa un nuovo inizio creativo dall’originaria iniziativa di Dio e non la semplice conti-

nuazione della storia dai mezzi del mondo»190

.

«La dottrina della Chiesa afferma con il vero e proprio nucleo della tradizione: il parto (attivo) di

Maria (per quanto riguarda il bambino e sua madre), così come il concepimento da parte sua, è, per

quanto riguarda la realtà totale (come atto del tutto umano di questa ‘vergine’), anche in sé (e non

solo per derivazione dal concepimento …) corrispondente a questa madre, e perciò unico, prodigio-

so, ‘verginale’, senza che noi abbiamo la possibilità di dedurre da questa tesi (che in sé è compren-

sibile), in modo sicuro e vincolante per tutti, enunciazioni su particolari concreti di questo proces-

so191

».

Per quanto ancora formale, questa impostazione invita a cogliere, nei dati della tradizione, la positi-

va presenza di quella coscienza di fede che considera la maternità di Maria una maternità unica e

singolare, verginale appunto.

Da questa impostazione scaturiscono due conseguenze. La prima è che la verginità di Maria è una

verginità profondamente legata alla sua maternità divina: è la sua maternità a strutturarne profon-

damente la verginità così che questa dipende intrinsecamente dalla sua divina maternità e la illustra.

Non ogni verginità è quindi autenticamente mariana, ma solo quella che ne illumina la maternità.

189

K. RAHNER, “Virginitas in partu”, in Saggi di cristologia e mariologia, op. cit., p. 398. 190

K. RAHNER, Dogmatische Bemerkungen zur Jungfrauengeburt, in R. KILIAN et al., Zum Thema Jungfrauengeburt,

Stuttgart 1970, 141: cit. in G.L. MÜLLER, Nato dalla vergine Maria. Interpretazione teologica, Morcelliana, Brescia

1994, 85. Cfr. anche le riflessioni di K.-H. MENKE, Incarnato nel seno della Vergine Maria. Maria nella storia di Israe-

le e nella Chiesa, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2002. 191

K. RAHNER, Virginitas in partu, in ID., Saggi di cristologia e di mariologia, op. cit., 411.

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La seconda riguarda l’unità del concetto di verginità: prima di distinguere i diversi aspetti di una

verginità ante, in, post partum bisognerà mantenere l’unità di questo concetto e bisognerà mante-

nerla proprio in forza del suo riferimento materno. In primo piano viene così la comprensione del

concepimento come il punto che, motivando ogni maternità, ne qualifica pure la sua verginità. È a

partire dal concepimento che la maternità verginale di Maria trova il suo senso.

Il punto centrale della maternità verginale non va indicato nell’assenza di un padre terreno per Ge-

sù, ma nel singolare rapporto che c’è tra Gesù e il Padre celeste. Di per sé, rigorosamente parlando,

l’assenza di un padre terreno non è indispensabile perché si dia questo rapporto filiale di Gesù con

Dio192

; è però grandemente conveniente al mistero del farsi carne del Figlio193

. Il concepimento

verginale, infatti, ci mostra il Padre come l’unica origine di quel Gesù rispetto al quale nessun uomo

esercita un’azione paterna: non indispensabile, questa concentrazione dell’umanità di Gesù attorno

alla comunione con il Padre è grandemente utile alla comprensione del suo mistero personale. Ed è

grandemente utile pure alla comprensione della sua missione: mentre descrive la singolarità della

condizione di Gesù, indica pure, in forza della consustanzialità di Gesù, uomo come noi, che il

compimento positivo della persona umana si dà nel riconoscere Dio come proprio Padre. Il conce-

pimento verginale è così segno di un mistero che, sperimentato da Maria e Giuseppe, è comprensi-

bile dagli altri solo nella fede: il segno, infatti, non prova la fede, ma aiuta il credente a comprende-

re tutte le implicazioni della sua fede194

.

Intesa così, l’assenza di un padre umano non solo non ha nulla di negativo ma è, addirittura, pre-

gnante di valori: indica il modo proprio di Dio di entrare nella storia umana e di farsi Dio-con-noi.

Lungi dal ledere la dinamica propria delle cause umane, l’incarnazione vi si attiene in modo pro-

fondo, anche se l’attenervisi non cancella la diversità propria di Dio ma la mostra: il mistero, infatti,

descrive il modo proprio dell’agire di Dio nella storia umana. A fronte della singolare trascendenza

192

«La filiazione divina di Gesù, com’è intesa dalla fede ecclesiale, non poggia sul fatto che Gesù non abbia alcun pa-

dre terreno; la dottrina affermante la divinità di Gesù non verrebbe minimamente inficiata, quand’anche Gesù fosse nato

da un normale matrimonio umano. No, perché la filiazione divina di cui parla la fede, non è un fatto biologico, bensì

ontologico; non è un processo avvenuto nel tempo, bensì in grembo all’eternità di Dio: Dio è sempre Padre, Figlio e

Spirito; il concepimento di Gesù non comporta che nasca un nuovo Dio-Figlio, ma che Dio in quanto Figlio nell’uomo-

Gesù attragga a sé la creatura uomo, così da essere lui stesso uomo»: J. RATZINGER, Introduzione al cristianesimo. Le-

zioni sul simbolo apostolico, Queriniana, Brescia 1969, 222. 193

«Vorrei … porre in evidenza il limite della mia affermazione, spesso citata, di Einführung in das Christentum, Mün-

chen 1968, p. 225, secondo la quale la filiazione divina di Gesù non escluderebbe di per sé l'origine da un matrimonio

normale. Con ciò io volevo solamente mettere in risalto la differenza esistente tra il piano biologico ed il piano ontolo-

gico del pensiero e far capire che le affermazioni ontologiche di Nicea e di Calcedonia non si identificano, in quanto

tali, con le dichiarazioni riguardanti il concepimento verginale. Non dovrebbe per questo essere contestato che tra i due

fatti — tra l’unità personale di Gesù col Figlio eterno dell'eterno Padre e l'essere orfano di padre terreno da parte

dell'uomo Gesù — esista, malgrado tutta la diversità dei piani, una profonda, anzi indissolubile corrispondenza; ciò non

fu però da me espresso — lo riconosco — con chiarezza sufficiente»: J. RATZINGER, La figlia di Sion. La devozione a

Maria nella Chiesa, Jaca Book, Milano 1979, n. 9, pp. 49-50. 194

In ultima analisi «la necessità del dogma della nascita verginale» - come dice Karl Barth nell’importante sezione «Il

miracolo del Natale» nella Dogmatica ecclesiale - «non può dipendere dal pro o contro della questione letteraria, di sto-

ria della tradizione e di biologia attestata storicamente ». Alla luce della cristologia dell’incarnazione riconosciamo la

dottrina della virginitas ante partum non come una ripetizione della realtà dell’incarnazione del Logos, bensì «il mistero

di questa realtà, la sua comprensibilità, il suo carattere come quello di un fatto, nel quale Dio solo ha agito attraverso

Dio e nel quale anche Dio può essere conosciuto solo attraverso Dio. Il dogma della nascita verginale non è dunque una

ripetizione o un rifacimento del vere Deus vere homo, anche se lo esprime, spiega e chiarisce a suo modo, bensì dice

(per così dire un dogma formale per la necessaria spiegazione di quello materiale): quando accade ciò che il nome Em-

manuele dice, quando dunque Dio viene a noi come uno come noi, per essere il nostro, per essere noi stessi al nostro

posto: vero Dio e vero uomo, allora, questo è certamente un evento reale, che si compie in spazio e tempo come storia

nella storia: - in lui si verifica la rivelazione di Dio a noi, in lui si verifica la nostra riconciliazione - ma l’evento con il

quale si deve rispondere a ogni perché, e da dove, e come, è che qui Dio inizia con sé stesso. Il dogma della nascita ver-

ginale è dunque la professione dell’illimitata segretezza del vere Deus vere homo e dell’illimitata meraviglia del timore

reverenziale e della gratitudine da noi pretesa da parte di questo vere Deus vere homo. Si annulla l’ultima possibilità ri-

masta di comprendere il vere Deus vere homo intellettualmente, come un idea o come una interpretazione arbitraria,

forse nel senso della cristologia docetica o ebionitica. Rimane solo la comprensione spirituale del vere Deus vere homo,

cioè quella comprensione, nella quale l’opera di Dio viene vista alla luce stessa di Dio»: K. BARTH, Die kirchliche

Dogmatik I/2, Zollikon 1938, 193ss.

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di un amore divino che si china misericordiosamente sull’umanità pur rimanendo se stesso, risalta

l’atteggiamento della persona umana: la vergine Maria è il tipo del povero che rinuncia a ogni for-

ma di potenza, anche a quella fecondità che in Israele aveva pure significati religioso-messianici.

Sarà Dio allora ad assumere la debolezza creaturale per svilupparvi tutta la sua potenza creatrice co-

sì da renderla misteriosamente feconda. La maternità verginale di Maria si svela come prototipica

dell’alleanza tra Dio e l’umanità.

In questa luce si possono affrontare anche il classico problema della verginità di Maria nel parto.

La convinzione che un parto normale annullasse la verginità di Maria ha spinto la comunità cristia-

na a ribadire che Maria è e rimane vergine; mentre alcuni autori si sono accontentati di questo, invi-

tando alla prudenza nelle determinazioni concrete, altri hanno parlato di un parto miracoloso e di

una nascita che non avrebbe aperto il grembo materno né sarebbe stata caratterizzata dalle consuete

dinamiche del parto. Si deve guardare con molta prudenza a queste ipotesi; lo si deve fare perché

siamo qui di fronte al tentativo di modificare la nozione di verginità, introducendovi quelle nozioni

di integrità e di incorruzione di cui parlavamo sopra. Già Rahner ha mostrato la discutibilità di que-

sti tentativi, evidenziando come il magistero sia in realtà più riservato e come a essi manchi

quell’universalità di condivisione che, a volte, pretendono.

Con ragione Galot osserverà che la nozione di verginità qui in gioco è identica a quella del conce-

pimento: «Non si può dunque adottare, per il momento della nascita, un’altra nozione di verginità se

non quella che si ammette per il resto della vita»195

. La verginità del parto è, quindi, dedizione totale

a Dio indicata nel segno della mancanza di rapporti sessuali: il contenuto della integritas e della in-

corruttibilitas va ricondotto a questo. È quindi legittimo ammettere in Maria i segni propri di un

parto normale: essi indicano a fondo i caratteri propri di una maternità verginale. La sua straordina-

rietà sta nel portare a termine il concepimento dovuto allo Spirito: non vi è corruzione alcuna nei

processi normali di un parto. In questo senso, osserva il Vaticano II, la nascita del primogenito di

Maria «non diminuì la sua verginale integrità ma la consacrò» (LG 57). In effetti l’incarnazione

comprende l’esenzione dal peccato, non l’esenzione dal dolore; in questa linea il parto doloroso di

Maria prefigura il parto doloroso dell’umanità da parte di Cristo al Calvario. Presente in forma an-

cora dubitativa in K. Rahner, questa tesi è stata sostenuta con ottime motivazioni da J. Galot: è al

suo pensiero che qui aderiamo.

Infine, per ultimo, vi è la questione del permanere di Maria nella verginità anche dopo il parto. Il

dibattito, già presente nell’antichità, è tuttora vivo anche tra i cattolici. Questo dibattito si appoggia

su alcuni testi biblici come Mt 1,18; 1,25; Lc 2,7 che sono spiegati nel senso di normali relazioni

sessuali tra Maria e Giuseppe; in realtà il testo biblico è talmente concentrato sulla singolare nascita

di Gesù che, solo a prezzo di forzature, se ne possono ricavare delle indicazioni sulla vita sessuale

di Maria dopo il parto. Rimangono così i passi biblici in cui si parla di fratelli e sorelle di Gesù, sui

quali si è aperta una discussione che, in realtà, non è andata gran che oltre il pensiero di Girolamo.

Anche in questo caso, come su tutta la questione della verginità, non è attraverso l’esegesi storico-

critica che si può sperare di arrivare a qualche conclusione.

È quindi giocoforza rifarsi alla riflessione teologica. Il punto di partenza potrebbe essere quello di

considerare la maternità di Maria non come un episodio della sua vita facilmente dimenticabile, ma

come una sua radicale consacrazione: nella relazione materna è tutta la personalità di Maria a essere

investita di una nuova condizione, di un nuovo modo di essere. Era perciò conveniente che, dopo la

maternità, Maria vivesse nella luce di quella novità che l’aveva così profondamente segnata. Se si

volesse pensare a una nuova maternità, questa dovrebbe essere vista nel senso di uno sviluppo del

rapporto di Maria con il figlio, quindi nel senso di un approfondimento della sua stessa maternità

verginale. In questo senso si può ritenere che il suo livello più alto si dia al Calvario, quando Maria

è chiamata a diventare madre di tutti gli uomini. In questa maternità che si esprime a livello sopran-

naturale escludendo ogni aspetto biologico, la maternità verginale, che ha modellato la persona di

Maria su quella del figlio, raggiunge il suo vertice: il segno fisico cede il suo posto alla realtà, la

piena comunione con la persona e l’opera di Gesù.

195

J. GALOT, Maria. La donna nell’opera della salvezza, P.U.G., Roma 1984, 160.

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4.3 LA SINGOLARE PERSONALITÀ DI MARIA: LA PIENA DI GRAZIA

Il punto di partenza per comprendere questa dimensione della figura di Maria è quella grazia mater-

na che costituisce il suo compito nella storia della salvezza. La maternità comporta infatti una ri-

strutturazione profonda e permanente del mondo interiore della donna in ordine a una relazione per-

sonale con il figlio. Diventata madre di Gesù, tutta la persona di Maria rimane segnata da questo

fatto e dalla novità che esso comporta.

La personalità di Maria va compresa ripensando la relazione materna, che intrattiene con il Verbo

fatto carne, come il fondamento di quella singolare modalità personale a cui da sempre è chiamata.

In questo singolare rapporto con l’opera salvifica realizzata in Gesù, il senso della personalità di

Maria si definisce non solo come un renderla possibile nella fede con cui vi aderisce, ma anche e

soprattutto, come un proclamarne la definitività. Ossia, il “fiat” di Maria fa parte della storia della

salvezza come «un evento della storia pubblica, “ufficiale” della salvezza in quanto tale, più ancora

della fede di Abramo e dell’Alleanza del Sinai»196

(K. Rahner).

La fede di Maria proclama la verità circa l’origine di questa storia e circa il suo destino finale.

All’interno di una storia umana segnata dalla finitudine creaturale, aperta alla possibilità del peccato

e di fatto peccatrice, Maria è la persona che, nella struttura obiettiva del suo essere personale prima

ancora che nella sua vita, mostra come la storia umana nasca dall’amore della Trinità e in esso abbia

il suo senso ultimo.

In questo compito personale al servizio dell’umanità, trovano senso i due dogmi dell’Immacolata

Concezione e dell’Assunzione. Dicono il senso ultimo e vero dell’esistenza dell’umanità e della vita

della Chiesa: Dio chiama l’uomo finito e peccatore alla comunione con sé. Questa chiamata, insie-

me alla liberazione dal peccato, contiene pure la volontà di restituire alla creatura tutto il suo splen-

dore. Concepita senza peccato, Maria indica nel rapporto del Dio di Gesù con l’umanità la sorgente

di ogni esistenza e il criterio obiettivo di ogni storia della libertà: risplende come la verità di una o-

rigine e di una chiamata che ci appartiene nonostante la nostra storia di peccato. Assunta in cielo,

Maria indica al cammino umano che non vi è altro senso ultimo che quello rivelato da Gesù: ri-

splende quindi come la verità di un esito verso il quale siamo realmente incamminati.

Come mai queste verità sono proclamate concretamente di Maria? Ciò è l’esito ultimo del processo

di personalizzazione che accompagna tutta la storia dell’alleanza: in Maria si personalizza il resto di

Israele e il popolo del Regno; la sua è una personalità strutturata dalla fede.

4.3.1 L’Immacolata Concezione: amata di un amore eterno e salvatore

I dati fondamentali della fede cattolica in proposito sono due (cfr. Ineffabilis Deus): 1) l’esenzione

da ogni macchia di colpa originale; 2) il legame di tale esenzione con i meriti di Cristo, salvatore

del genere umano. Questi elementi ci permettono di affermare che «Maria è la redenta nel modo più

perfetto»197

. Anche l’immacolata concezione deve quindi essere riportata alla redenzione di Cristo.

Come? A partire dalla maternità – e non tanto a partire dalla cooperazione mariana all’opera reden-

trice del Figlio. In effetti, la maternità è una forma di partecipazione alla redenzione: è il modo per-

sonale attraverso cui Maria entra nel mistero del Redentore. La sua maternità salda due realtà singo-

lari: 1) dà a Cristo quella carne che è destinata alla morte salvifica in favore dell’umanità; 2) rappre-

senta l’ambito primario dell’incontro di Cristo con quella umanità per la cui salvezza è venuto.

196

K. RAHNER, “L’immacolata Concezione”, in ID., Saggi di cristologia e di mariologia, op. cit., 417. Una riflessione

analoga si trova anche nell’enciclica di Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater, n. 14: «Pertanto, anche la fede di Maria

può essere paragonata a quella di Abramo, chiamato dall’Apostolo «il nostro padre nella fede» (Rm 4,12).

Nell’economia salvifica della rivelazione divina la fede di Abramo costituisce l’inizio dell'Antica Alleanza; la fede di

Maria nell’annunciazione dà inizio alla Nuova Alleanza. Come Abramo «ebbe fede sperando contro ogni speranza che

sarebbe diventato padre di molti popoli» (Rm 4,18), così Maria, al momento dell’annunciazione, dopo aver indicato la

sua condizione di vergine («Come avverrà questo? Non conosco uomo»), credette che per la potenza dell’Altissimo, per

opera dello Spirito Santo, sarebbe diventata la Madre del Figlio di Dio secondo la rivelazione dell’angelo: «Colui che

nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35)». 197

K. RAHNER, “L’immacolata Concezione”, op. cit., 423.

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Nascono però alcune domande: quello che è proprio di Maria non è proprio anche di tutti i cristiani?

La preservazione non è un anticipo di ciò che sostanzialmente avviene identicamente a tutti? Se non

è identico, ella non risulta essere fuori della redenzione? Qual è allora il rapporto tra l’Immacolata e

la redenzione? Perché due diverse modalità di redenzione – la riconciliazione e la preservazione?

Evidentemente non basta dire: Dio ha voluto così! Il rischio è di cadere in un pericoloso nominali-

smo. Ci riferiamo alla proposta di Rahner, il quale precisa che la preservazione non può semplice-

mente trattarsi di un anticipo cronologico, ma ciò deve nascondere una questione di valori. Quali?

4.3.1.1 L’Immacolata come esenzione dal peccato di origine

Il dogma afferma l’esenzione dal peccato di origine fin dal concepimento. Esso è formulato negati-

vamente: indica un’assenza, l’assenza di una relazione con Dio costruita sull’orgoglio e sul peccato;

l’assenza di tale relazione dice però la presenza di una relazione con Dio nel suo senso originario.

In proposito sorgono due domande: 1) che nesso c’è tra l’Immacolata Concezione e il peccato ori-

ginale; 2) quale contenuto specifico comporta questa esenzione?

Circa il primo interrogativo, occorre riconoscere una reale difficoltà: il magistero non ha mai defini-

to autorevolmente il preciso contenuto di quel peccato originale da cui Maria è esente. La teologia

attuale, a sua volta, dibatte la questione del p.o. praticamente da ogni punto di vista. In ogni caso si

deve partire dal primato di Cristo redentore, e al suo interno si deve cogliere anche la comprensione

ultima del peccato. In questo senso l’esenzione di Maria da ogni forma di peccato deve distinguere,

in lei come in ogni creatura, la possibilità del peccato dalla sua realtà: la possibilità appartiene alla

natura della libertà creaturale voluta da Dio, mentre la scelta del male e la sua effettiva realtà appar-

tengono alla libertà della persona. Creatura come noi, anche Maria condivide con noi la possibilità

del peccato: sostenuta dalla grazia del redentore, la sua volontà rimane però totalmente fissa in Dio.

La sua immacolatezza, deve essere intesa come possibilità di non peccare e non come impossibilità

di peccare; la sua condizione riconosce e confessa nella obiettività dei “fatti” che Cristo è vincitore

del peccato e che solo dal suo Spirito e dalla sua grazia trae la possibilità di condividere la vittoria

sul male. Libera dal peccato, Maria è in una obiettiva relazione di comunione con Dio e può corri-

spondere a quella solidarietà soprannaturale, che trova la sua sorgente nella grazia del Cristo.

4.3.1.2 L’Immacolata come splendore di santità e di grazia

Il dogma è espresso in forma negativa, ma indica indirettamente una positiva perfezione presente in

Maria: l’immacolatezza rinvia alla sua sorprendente e singolare santità.

Questo è il rapporto tra Maria e lo Spirito Santo: è a lei che viene detto: «Lo Spirito Santo scenderà

su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo» (Lc 1,35).

In lei abita lo Spirito Santo, che, però, non si è incarnato in lei (contra Kolbe e Boff). La maternità

stabilisce una profonda relazione tra Maria e lo Spirito, che ne trasforma profondamente la persona-

lità: l’Immacolata è dono e maternità d’Amore; “Immacolata” è il nome vero di Maria (Kolbe).

Ricolmata di grazia e santità, Maria appare così l’opera più alta del Mediatore: l’Immacolata pro-

clama e anticipa l’unità soprannaturale che l’influsso santificante di Cristo pone in atto

nell’umanità. È l’inizio del Corpo Mistico di Cristo e la garanzia del suo pieno compimento.

4.3.1.3 L’Immacolata come tipo della Chiesa santa e della nuova creazione

Totalmente trasparente all’azione dello Spirito, Maria è il dono donato: legando assieme Gen 3,15;

Prov 8,22-24.30-31; Ct 6,4; Ap 12,1-10, Padre Massimiliano Maria Kolbe suggeriva che

l’Immacolata costituisce il vertice della creazione e l’espressione più alta della Chiesa.

Tutta la vittoria del Redentore sul male e tutta la riconciliazione del creato con il Creatore è iscritta

già nell’Immacolata Concezione. A fondamento di ciò sta la capacità della grazia divina di stimola-

re la libera risposta della persona: Maria in tal senso è la nuova Eva. È nel seno della Chiesa che va

compresa anche la sua Immacolata Concezione.

Se si cerca una indicazione autorevole della Scrittura che consente questo tipo di collegamento sia-

mo rinviati ad Efesini, in cui il nuovo Israele, la sposa, è descritto con le espressioni «santa», «im-

macolata», «tutta gloriosa», «senza macchia né ruga né alcunché di simile» (5,27). Nella teologia

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patristica quest’immagine dell’ecclesia immaculata è stata ulteriormente sviluppata. Ciò vuol dire

che, fin dall’inizio, esiste nella Scrittura e soprattutto nei padri una dottrina dell’Immacolata, come

dottrina però della ecclesia immaculata; la dottrina dell’Immacolata, al pari di tutta la mariologia

successiva, è qui anticipata in primo luogo come ecclesiologia. L’immagine della chiesa vergine-

madre è stata riferita a Maria secondariamente, non viceversa. Ora, se il dogma dell’Immacolata

applica a Maria le affermazioni che appartengono anzitutto all’antitesi vecchio-nuovo Israele e se

esse sono, in questo senso, un’ecclesiologia sviluppata tipologicamente, ciò significa di conseguen-

za che Maria viene presentata come l’inizio e la concretezza personale della Chiesa. Significa la

convinzione che quella rinascita del vecchio Israele nel nuovo Israele, della quale parla Efesini, ha

avuto in Maria il suo concreto compimento. Esprime il fatto che questo nuovo Israele (che è insie-

me il vero vecchio Israele, l’Israele indistrutto, il resto santo rimasto per grazia di Dio) non è sola-

mente idea, ma persona — si è già visto che Dio non agisce con astratti, con concetti. Il tipo, di cui

parla l’ecclesiologia del Nuovo Testamento e dei padri, esiste come persona.

A questo punto, però, si può ancora osservare: bene, nel Nuovo Testamento esiste la dottrina

dell’Immacolata; tutte queste affermazioni mariane non sono nuove come tali, ma solamente nella

loro personalizzazione in Maria. Ma chi ci autorizza a personalizzare il tipo in lei e non diversamen-

te? Anche quest’obiezione trova una facile risposta. Infatti, l’identificazione tipologica tra Maria e

Israele la presenza del tipo nella persona, è stata chiaramente attuata in Luca (e, in maniera diversa,

in Giovanni). Nella struttura della teologia biblica essa non è meno presente dell’interpretazione si-

stematica del tipo Adamo-Cristo nella dottrina del peccato originale. Grazie alla parificazione luca-

na della vera figlia di Sion con la vergine che ascolta e crede, quell’identificazione è quindi presen-

tata in forma completa nel Nuovo Testamento.

4.3.2 L’Assunta: splendore della grazia del Cristo

Legata all’opera di Gesù Cristo, anche la persona di Maria ha il suo senso nella glorificazione del

Padre. Questo è il contesto dell’Assunzione: DS 3903. Essa ha un esplicito significato cristologico.

In questo compimento mariano della missione di Gesù, il Vaticano II coglierà sia l’anticipo del

compimento escatologico della Chiesa (LG 65, 68) sia quello della promessa salvifica fatta da Dio

all’umanità.

4.3.2.1 La glorificazione di Maria, compimento della comunione col Kyrios

Il testo del dogma impiega un participio passivo — assumptam fuisse — come ad indicare che Ma-

ria è trasferita in una nuova condizione di esistenza da Dio. Perciò, l’Assunzione va intesa in modo

del tutto diverso dall’Ascensione: mentre questa dice l’innalzamento di Gesù alla destra del Padre

per forza propria, quella dice partecipazione alla gloria per dono d’altri. La glorificazione di Maria è

la perfezione e il compimento della redenzione cristiana. La gloria del Cristo Risorto è, quindi, il

criterio di ogni autentica interpretazione dell’Assunzione. L’Assunzione è la piena realizzazione del

disegno di Dio in Lei, è il compimento della comunione, nella gloria della divinità, con quel Signo-

re che è suo figlio. Di conseguenza la sua glorificazione è la trasformazione della sua maternità se-

condo la carne in una condizione nuova, qualificata dalla partecipazione alla gloria secondo lo Spi-

rito del Figlio.

L’Assunzione, da una parte, porta a compimento il ruolo materno di Maria, dall’altro, anticipa il

senso del cammino della Chiesa, svelandone il definitivo significato.

4.3.2.2 L’Assunzione e il suo significato ecclesiologico

La forza motrice decisiva per l’affermazione dell’Assunzione di Maria alla gloria celeste è stato il

culto di Maria: il dogma ha la sua origine, la sua forza motrice ed anche il suo obiettivo nell’atto

dell’omaggio, dell’esaltazione. Questo dogma voleva essere un atto di culto, la forma più alta della

lode a Maria. Ma il culto si riferisce a colei che vive, a colei che è a casa, che è realmente arrivata al

di là della morte, alla meta. La formula dell’Assunta rende così esplicito ciò che è il presupposto in-

terno del culto. Ma ogni culto che avviene sotto il predicato sanctus presuppone la vita col Signore;

esso ha senso solamente quando chi è venerato vive ed è giunto alla meta. Si potrebbe dire perciò

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che il dogma dell’Assunta è semplicemente il grado supremo della canonizzazione nella quale il ti-

tolo «santo» viene attribuito nel senso più stretto, volendo significare cioè: interamente e totalmente

nel compimento escatologico. Con ciò si dischiude ormai il contesto biblico fondamentale, che ga-

rantisce tutta l’affermazione: il vangelo stesso infatti profetizza ed esige il culto di Maria: «D’ora in

poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,48) - è un compito assegnato alla chiesa e la

registrazione di Luca presuppone che la glorificazione di Maria già esiste nella chiesa del suo tempo

e che egli la ritiene un dovere della chiesa per tutte le generazioni. Egli vede incominciare questa

lode di Maria col saluto di Elisabetta: «Beata colei che ha creduto …» (Lc 1,45).

In questa primissima forma di culto di Maria si riflette nuovamente l’unità dei Testamenti,

quell’unità che è caratteristica di tutto il tema mariano: il Dio d’Israele viene chiamato tramite uo-

mini ai quali egli si è dimostrato grande, nella vita dei quali egli si rende visibile e presente. Essi

sono, per così dire, il suo nome nella storia, grazie a loro egli stesso ha un nome, per loro ed in loro

egli diventa accessibile. Si chiama Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe; chiamarlo significa

chiamare i padri, così come, viceversa, chiamare i padri significa ricordarsi di lui e riconoscerlo.

Non invocare gli uomini, nei quali egli stesso si rende visibile, è ingratitudine, smemoratezza - per

la fede d’Israele però è anche caratteristico che essa abbia memoria e sia memoria. La glorificazione

di Maria si congiunge quindi all’idea di Dio che collega i padri col nome di Dio e sa che nella glori-

ficazione dei padri c’è l’esaltazione di Dio. Se si tiene bene presente questo fatto, non si può non

prendere in considerazione nel nostro contesto l’interpretazione di Dio che Gesù ha dato in Mc

12,18-27 e par. Qui egli mette in relazione il tema di Dio col tema della risurrezione, collega i due

temi in modo che uno condiziona l’altro. Egli dimostra la risurrezione non sulla base di singoli testi

della precedente letteratura profetica o apocalittica (cosa che non avrebbe retto nella discussione coi

sadducei), ma sulla base del concetto di Dio: il Dio, che si fa chiamare Dio di Abramo, di Isacco e

di Giacobbe, non è un Dio dei morti, ma dei viventi. La risurrezione dimostra che questi apparten-

gono al nome di Dio stesso: «A riguardo poi dei morti che devono risorgere, non avete letto nel li-

bro di Mosè, a proposito del roveto, come Dio gli parlò dicendo: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di

Isacco e di Giacobbe? Non è un Dio dei morti ma dei viventi! Voi siete in grande errore» (12,26s.).

Il diritto al culto comporta in sé la certezza della vittoria sulla morte, della risurrezione.

A questo punto, tuttavia, s’impone ancora una volta un’obiezione. Si potrebbe dire: vittoria della

morte, sì; ma perché nella forma suprema, nella forma definitiva ed escatologica come intende la

formula corpore et anima? Si può rispondere: ciò è permesso per il fatto che questo nome — Maria

— sta al posto della Chiesa stessa, della sua definitiva condizione di salvezza.

In proposito sembrano avere una certa importanza alcuni testi paolini, in particolare Rm 8,30; Col

3,3; Ef 2,6. In Rm 8,30 Paolo, parlando in forma retrospettiva, come se si trovasse nel futuro, affer-

ma dei cristiani: «Quelli che poi ha predestinato li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato li ha

anche giustificati; quelli che ha giustificato li ha anche glorificati». Egli vede il cristiano già parte-

cipe della gloria del risorto. In Col 3,3, sembra che questa glorificazione dei battezzati sia come una

sorta di “ascensione”: «Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio».

La cosa viene esplicitata in Ef 2,6: «Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in

Cristo Gesù». Stando a questo testo, il battesimo è partecipazione non soltanto alla risurrezione, ma

anche all’ascensione di Cristo. Il battezzato, in quanto battezzato e nella misura in cui egli è tale, è

già adesso inserito nell’ascensione e vive là, nel Signore glorificato, la sua vita nascosta. La formula

dell’«assunzione» di Maria in corpo ed anima perde, sulla base di questo testo, ogni carattere specu-

lativo ed arbitrario: essa, infatti, è solamente la forma suprema di canonizzazione: si dice che in co-

lei che ha generato il Signore, della quale la fede, cioè il contenuto interiore del battesimo, può esse-

re asserita illimitatamente, conformemente a Lc 1,45, nella quale si è quindi realizzata tutta

l’essenza del battesimo, in lei la morte è stata inghiottita nella vittoria di Cristo, in lei tutto ciò che

ancora si oppone al battesimo (alla fede) è stato totalmente superato con la morte della vita terrena.

E questa affermazione, che sulla base del NT ha per Maria la sua piena evidenza personale nel col-

legamento a Lc 1,45 e Ef 2,6, ci dice che: l’interamente battezzata, in quanto realtà personale della

vera chiesa, è contemporaneamente la certezza di salvezza della chiesa, certezza non solamente

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promessa ma esistente in lei in carne ed ossa e certezza di salvezza di quella chiesa che in lei è già

stata salvata: il nuovo Israele non è più respinto. È già entrato nel cielo.

4.3.2.3 L’Assunzione e la morte di Maria

La costituzione apostolica “Munificentissimus Deus” di Pio XII afferma che Maria è stata assunta

alla gloria celeste «expleto terrestris vitae cursu»: il papa esplicitamente non ha voluto pronunciarsi

sulla questione della morte di Maria. Di fatto il dettato della costituzione offrì una certa consistenza

all’opinione immortalista, fino ad allora largamente minoritaria. Cosa dire in proposito?

Una migliore conoscenza del retroterra degli apocrifi, indicato nella teologia giudeo-cristiana, e una

serie di scoperte archeologiche ci permettono di porre il problema su basi nuove. L’archeologo

francescano Padre Bagatti198

sostiene che tutti gli apocrifi che scrivono sul transito della Vergine

concordano su due punti: 1) Maria morì di morte naturale a Gerusalemme alla presenza degli apo-

stoli; 2) fu sepolta al Getsemani nonostante le difficoltà frapposte dagli ebrei. I testi, invece, diver-

gono sul problema specifico dell’Assunzione: secondo alcuni il suo corpo venne portato nel paradi-

so terrestre dove è sepolto sotto l’albero della vita in attesa della risurrezione finale, secondo altri è

stata assunta in cielo e secondo altri ancora non c’è risposta a queste domande. Dietro ai molti apo-

crifi ci sarebbe, però, un’unica fonte, un documento giudeo-cristiano steso non più tardi del II-III

secolo le cui informazioni sarebbero confermate dagli scavi del 1972-73: da esso deriverebbero tutti

gli altri testi del V-VI secolo. Il silenzio su questa tomba, come su altri monumenti, deriverebbe dal-

la polemica che opponeva i giudeo-cristiani a quelli provenienti dalla gentilità: poiché i primi erano

considerati come quasi scismatici, i secondi avrebbero steso un velo di silenzio anche sui monu-

menti custoditi da loro, fino a che, nel secolo IV, subentrarono ai precedenti nella custodia di quei

monumenti. Si spiegherebbe così il silenzio difficile da motivare di un Cirillo di Gerusalemme e di

un Girolamo. In effetti, a partire dai secoli V-VI, le testimonianze, prima scarse, si fanno sempre

più numerose. Queste quasi tutte ammettono la memoria di Maria o, almeno, si astengono da ogni

precisazione; in pratica, fino all’epoca moderna, non si trova cenno alcuno circa una presunta im-

mortalità di Maria ma, al contrario, si deve registrare una pratica unanimità sulla sua morte.

A fronte di una simile testimonianza generale in favore della morte della Vergine, occorre vagliare

le ragioni teologiche portate dagli immortalisti: esse in pratica, si riassumono nella verità della Im-

macolata Concezione: poiché la morte è pena del peccato e Maria è senza peccato, ecco la conclu-

sione che Maria non ha subito la forza devastante della morte. Ma la morte non è né solo né sempre

frutto del peccato dato che la Pasqua di Gesù Cristo ne ha modificato radicalmente il senso, facendo

l’accesso alla vita di Dio. Di conseguenza la morte di Maria non sarebbe necessariamente dimostra-

zione del suo peccato: la morte non è un peccato se Cristo ha preso per sé un corpo mortale. Inoltre,

se Maria non è morta non ha nemmeno preso parte alla vittoria della risurrezione. In tal senso quel

mistero che è il centro della vita in Cristo e che alimenta la realtà della Chiesa, sarebbe invece pre-

cluso a Maria. Ci sembra perciò preferibile mantenere Maria in sintonia con tutto il mistero della

persona di Cristo, morte e risurrezione compresa199

.

198

B. BAGATTI, “Le origini della tomba della Vergine al Getzemani”, in Rivista biblica (1963/11) 38-52; ID., “Nuove

scoperte alla tomba della Vergine al Getzemani”, in Studii biblici Franciscani Liber annuus (1972/22) 236-290; ID.,

“Ricerche sulle tradizioni della morte della Vergine”, in Sacra Doctrina (1973/18) n. 69-70, pp. 185-214. 199

Sembra preferire questo orientamento anche il papa Giovanni Paolo II, quando in un’allocuzione durante l’udienza

generale del 25 giugno 1997 insegna che: «Alcuni teologi hanno sostenuto che la Vergine fu esentata dalla morte e han-

no affermato il suo passaggio diretto dalla vita terrena alla gloria celeste. Questa opinione è del resto sconosciuta fino al

XVII secolo, mentre in realtà esiste una tradizione comune che vede nella morte di Maria la sua introduzione nella glo-

ria celeste» (L’Osservatore Romano, 26 giugno 1997).

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4.4 MARIA MADRE DEI REDENTI Il tema qui considerato è il rapporto tra Maria e la Chiesa. Anche questo tema deve essere ricondot-

to alla maternità di Maria perché questa non inaugura un ruolo privato, ma un ruolo “sociale” che

investe tutta la Chiesa. La maternità divina, infatti, lega a tal punto Maria a Gesù Cristo da renderla

in qualche modo partecipe della sua missione. La sua partecipazione al mistero della grazia ha un

significato esemplare per la partecipazione dell’umanità alla salvezza, così che si potrebbe dire che

la Chiesa è riflesso e estensione della dinamica mariana in quanto luogo dell’azione soprannaturale

dello Spirito.

In tal senso M. Scheeben diceva: «Tra la maternità di Maria e la maternità della Chiesa esiste una

relazione così intensa e così universalmente reciproca (la si potrebbe anzi chiamare pericoresi, ossia

interna unione e somiglianza), che ciascuna delle due può essere ritenuta perfetta solo nell’altra e

con l’altra. Tutte e due le maternità sono già unite per il fatto che si basano sulla fecondazione e a-

nimazione per opera dello Spirito Santo e mirano a comunicare un legame santo e spirituale»200

.

Questa prospettiva verrà ripresa dal Vaticano II quando insegnerà che: «La beata Vergine per il do-

no e la carica della divina maternità che la unisce con il figlio redentore, e per le sue grazie e le sue

funzioni singolari, è pure intimamente unita alla Chiesa» (LG 63). La radice di questo legame tra

Maria e la Chiesa è quindi la maternità. Ovviamente con una distinzione da mantenere tra la mater-

nità divina di Maria e la maternità della Chiesa, tra la generazione del Capo e quella della membra;

tuttavia l’affermazione, comune ai Padri, che la maternità di Maria è innanzi tutto questione di fede

e di amore, permette un’estensione analogica della maternità mariana alla Chiesa. In tal senso il

Concilio presenta Maria come «la figura [typus] della chiesa, come già insegnava sant’Ambrogio,

nell’ordine cioè della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo. Infatti, nel mistero della

Chiesa, la quale pure è giustamente chiamata madre e vergine, la beata vergine Maria è la prima,

dando in maniera eminente e singolare l’esempio della vergine e della madre» (LG 63). Inoltre, il

Concilio ricorda che Maria «è anche riconosciuta quale sovraeminente e del tutto singolare membro

della Chiesa e sua immagine [typus] ed eccellentissimo modello nella fede e nella carità, e la Chiesa

cattolica, edotta dallo Spirito Santo, con affetto di pietà filiale, la venera come una madre amatissi-

ma» (LG 53). Infine il Concilio ribadirà che «la Madre di Gesù, come in cielo glorificata ormai nel

corpo e nell’anima è l’immagine e la primizia della Chiesa che dovrà avere il suo compimento

nell’età futura, così sulla terra brilla come segno di sicura speranza e di consolazione per il popolo

di Dio in cammino, fino a quando non verrà il giorno del Signore» (LG 68): Questi temi saranno ri-

presi nel magistero pontificio ordinario: Marialis cultus, 19; Redemptoris Mater, 23. 24.

La sua illimitata apertura alla volontà di Dio e il suo radicale affidamento nella mano del Figlio

fanno di lei il modello della Chiesa credente; tuttavia, altri aspetti ecclesiali rimangono estranei a

questa esemplarità mariana, in particolare il ministero ordinato: «Maria non ha ricevuto direttamen-

te questa missione apostolica. Non era tra coloro che Gesù inviò “in tutto il mondo per ammaestrare

tutte le nazioni” (cfr. Mt. 28,19)» (RM 26). D’altra parte solo una concezione esclusivamente giuri-

dica e istituzionale della Chiesa potrebbe ritenere che l’esemplarità mariana sia una modalità eccle-

siale minore e di secondo ordine: al contrario esprime la logica più profonda dell’alleanza, la forma

più intima di comunione con Dio.

4.4.1 Maria, tipo e modello della Chiesa

Il tema della Ecclesia Mater è un tema centrale della riflessione ecclesiologica: esso illustra il suo

compito di mediatrice dei salvezza, è una visione di insieme che permette una concezione unitaria e

sintetica dell’accoglienza e del compimento della salvezza attraverso la cooperazione di tutto il po-

polo di Dio. D’altra parte, l’immagine della maternità ecclesiale non è riducibile alla sola problema-

tica pastorale (von Balthasar). La maternità ecclesiale si comprende solo in una luce mariana. Maria

è la figura personale della maternità ecclesiale. Ne è segno il fatto che, quando la concezione di una

personalità santa e immacolata della Chiesa comincerà a declinare, si sentirà il bisogno di trasporre

questa verità nella Vergine. Balthasar vi coglierà: «il fondamento soggettivo pienamente compiuto

200

M.J. SCHEEBEN – C. FECKES, Sposa e madre di Dio, Morcelliana, Brescia 1955, 255.

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dell’atto soggettivo della Chiesa in quanto tale […] e il fondamento soggettivo pienamente compiu-

to di ciascun atto personale di fede all’interno della communio sanctorum. Inoltre […] deve sempre

rimanere fermo che l’atto ecclesiale soggettivo, anche nella sua massima pienezza mariana, rimane

sempre un atto di dedizione femminile, atto non di dominio sovrano, ma di umile disponibilità e do-

cilità propria dell’ancella»201

.

4.4.1.1 Maria e la chiesa nel pensiero dei primi secoli

In questa riflessione occorrerà: 1) distinguere il rapporto tra Maria e la Chiesa da quello tra Cristo e

la Chiesa, in particolare 2) evitando di identificare la maternità di Maria con quella della Chiesa (A.

Müller): non a caso il titolo di sposa, proprio della Chiesa, non è mai stato attribuito a Maria.

Possiamo indicare la specifica relazione di Cristo con la Chiesa nel concetto di ricapitolazione: è

Cristo a ricapitolare in sé la Chiesa, non certo Maria. Tuttavia proprio l’unità di Cristo e dei cristiani

è il modello su cui viene pensato il compito ecclesiale di Maria. Ella sarà così presentata come il ti-

po della Chiesa. Maria non è solo l’ombra di una salvezza futura, ma la porta già in sé. Ella quindi è

il tipo della Chiesa non solo in modo provvisorio e imperfetto: al contrario porta già in sé quella

perfezione definitiva che la Chiesa raggiunge solo in quanto si rispecchia in lei.

La nascita di Gesù dalla Vergine diventa quindi il modello della nascita dei cristiani dalla Chiesa.

Cercando di chiarire meglio i rapporti tra Maria, la Chiesa e i credenti, de Lubac riprenderà un uso

linguistico che si attribuisce a Isacco della Stella: costui applica universalmente alla Chiesa ciò che

applica specialmente a Maria e singolarmente al credente202

. La possibilità che in un singolo mem-

bro si esprima tutto un gruppo porta a concludere che in Maria è la Chiesa intera a operare e a mani-

festarsi. Tra Maria e la Chiesa non avremmo quindi una dipendenza, ma una relazione profonda e

particolarissima, mentre, d’altra parte, Maria va mantenuta al di fuori della comune vita cristiana.

4.4.1.2 Maria e la chiesa nelle interpretazioni teologiche

Dobbiamo a M.J. Scheeben il rinnovarsi in epoca moderna del profondo legame tra Maria e la Chie-

sa: «Mentre nella Chiesa questa idea [della maternità] si realizza pienamente solo nel suo insieme e

non in un singolo individuo; Maria è il tipo della Chiesa proprio perché l’idea della Chiesa si realiz-

za originariamente e nella maniera più perfetta nella sua persona individuale»203

. Precisando ulte-

riormente il posto di Maria nella Chiesa, Scheeben riconosce sia che Maria non prende il posto di

Cristo nel donare lo Spirito sia che la sua funzione è diversa da quella che il sacerdozio ministeriale

esercita mediante i sacramenti. Osserverà, però, che «l’attività dinamica soprannaturale nella nascita

di Cristo è l’immagine specifica ed eminente dell’attività degli organi della Chiesa. La loro attività

può anzi essere considerata come riflesso ed estensione di quella di Maria»204

. In questo modo

Scheeben va oltre un semplice accostamento tra comunione salvifica e organismo salvifico, tra sim-

bolo mariano e simbolo petrino: è l’accoglienza e la partecipazione di Maria a quella nascita che re-

sta dono soprannaturale di Dio al mondo a rappresentare il modello dell’attività di ogni organo della

Chiesa, sia quella sacramentale dei sacerdoti sia quella testimoniale dei credenti.

Anche Ch. Journet ha offerto riflessioni importanti sul nostro tema. Lo Spirito Santo è la ragione ul-

tima ― anima increata ― della Chiesa, mentre la gratia creata, cioè la grazia sacramentale, e

l’orientamento salvifico dato al potere giuridico della Chiesa, sono la radice della santità della Chie-

sa. Solo il Cristo è radice e sorgente della salvezza; tutto il resto, dalla Chiesa a Maria, è partecipa-

zione e dipendenza da lui. Il punto fondamentale del suo discorso sta nel fatto che egli vede l’azione

santificante dello Spirito, legata all’efficacia dei sacramenti, come intrecciata a un’ulteriore presen-

za di comunione, a una inabitazione dove i doni della grazia sono il tramite di una presenza diretta e

di una unità vitale con la divinità. Già per questa via, ciò che trova la sua realizzazione oggettiva

nella Chiesa, trova la sua realizzazione personale in Maria: «la Vergine è il prototipo della Chiesa

201

H.U. VON BALTHASAR, Chi è la Chiesa?, in ID., Saggi teologici, vol. II: Sponsa Verbi, Morcelliana, Brescia 1972,

161-162. 202

H. DE LUBAC, Meditazione sulla Chiesa, Jaca Book, Milano 1979, 245-249. 203

M.J. SCHEEBEN – C. FECKES, Sposa e madre di Dio, op. cit., 132. 204

M.J. SCHEEBEN – C. FECKES, Sposa e madre di Dio, op. cit., 212.

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… Tutta la Chiesa è mariana. Quando diciamo che la Chiesa è mariana, vogliamo dire che Maria è

interiorizzata da quella Chiesa alla quale comunica la sua vita interiore»205

. Anzi, solo in Maria la

Chiesa raggiunge la sua verità ultima: «La Vergine gloriosa ci attende nel cuore della Chiesa dei ri-

sorti. Ella sarà il tipo della Chiesa trionfante così come la Vergine corredentrice è il tipo della Chie-

sa nel tempo»206

.

4.4.1.3 Maria madre della Chiesa

Il titolo ha una certa base tradizionale, anche se il suo sviluppo è del tutto recente. Compare per la

prima volta sotto la penna di Berengaudo, probabilmente un monaco benedettino del secolo IX. Do-

po di lui, il termine, pur comparendo qua e là, non si imporrà mai con sicurezza. Così anche per il

magistero: il termine compare nella Bulla aurea Gloriosae Dominae (27 settembre 1748) di Bene-

detto XIV, si ritrova in qualche altro papa, ma sarà soprattutto con Paolo VI che troverà la sua ac-

coglienza piena. Nel discorso di chiusura del terzo periodo conciliare Paolo VI inserirà un solenne

insegnamento: «A gloria dunque della Vergine e a nostro conforto, Noi proclamiamo Maria Santis-

sima “Madre della Chiesa”, cioè di tutto il popolo di Dio, tanto dei fedeli come dei pastori, che la

chiamano Madre amorosissima; e vogliamo che con tale titolo soavissimo d’ora innanzi la Vergine

venga ancor più onorata e invocata da tutto il popolo cristiano» (EV, I, p. [185]). Alla spiegazione di

questo titolo egli dedicherà la prima parte dell’esortazione apostolica Signum magnum (13 maggio

1967: EV, II, pp. 981-1003).

Sul titolo però si sollevano però ancora dei dubbi, circa il suo vero significato. Si va da qualcuno

che non comprende come Maria possa essere insieme membro e madre della Chiesa, a chi teme che

la maternità di Maria si sostituisca alla fondamentale relazione con Cristo, mettendo così in disparte

il significato dei sacramenti e della gerarchia; da chi parla di una concezione restrittiva rispetto a

una tradizione che apre la missione di Maria a tutta l’umanità a chi teme un’interpretazione devo-

zionale e sentimentale, che sposterebbe il baricentro della comunità cristiana dalla liturgia verso la

pratica devozionale.

Ora, certamente Maria è membro della Chiesa, ma a titolo eminente ed eccellente ed è proprio la

partecipazione materna alla missione del Cristo a spiegarne l’eccellenza. Il senso del titolo è proprio

di valorizzare il compito materno di Maria, che l’associa all’opera del Figlio … fino alla croce. Ma-

dre della Chiesa, perciò, è titolo che porta a compimento quello di Madre di Dio: mostra, infatti,

come lo speciale rapporto di Maria con Cristo nell’incarnazione si precisi nel particolarissimo rap-

porto con tutti noi nell’economia della salvezza. Maria non è al di fuori o al di sopra della Chiesa,

ma al tempo stesso, è al di là della perfezione di ciascuno di noi. Con Maria la Chiesa smette di es-

sere una collettività astratta per diventare una realtà personale, mentre la funzione materna della

Chiesa diventa un nome e un volto precisi.

Una particolare espressione di questa maternità ecclesiale di Maria è la sua azione in favore

dell’unità: cfr. Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater, 30.

4.4.2 La materna com-passione di Maria al Calvario

Il tema è tra i più controversi della riflessione mariana ed ecumenica in generale. Sotto i titoli di

corredentrice, di mediatrice, di alma socia del Redentore, si tratta della questione se Maria ha avuto

parte, ed eventualmente come, all’opera redentiva del Cristo.

Lo stesso Scheeben precisava che: «benché questa espressione possa avere un significato esatto e

molto bello, quale nessun altra espressione può darci in maniera altrettanto concisa ed espressiva,

essa contiene tuttavia almeno l’apparenza di una coordinazione con Cristo e di un completamento

della forza di Cristo, per cui non si dovrebbe usarla se non con l’aggiunta di una restrizione: “In un

certo senso”»207

. Lo stesso Concilio Vaticano II, non trovando un’intesa a suo riguardo, scelse di

205

C. JOURNET, L’Église du Verbe incarné. Essai de théologie speculative, vol. II: Sa structure interne et son unité ca-

tholique, Desclée de Brouwer, Bruges 1962, 392-393. 428. 206

Ibid., 492. 207

M.J. SCHEEBEN – C. FECKES, Sposa e madre di Dio, op. cit., 220.

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soprassedere sul titolo di corredentrice e di inserire quello di mediatrice (LG 62) in un elenco di altri

termini che ne precisavano meglio il significato.

Seguendo le indicazioni del Vaticano II, occorre partire dall’unicità del Redentore (LG 60) e di con-

seguenza escludiamo ogni forma di concorso, ogni forma di cooperazione vera e propria. Come dice

Ambrogio: «Gesù non aveva bisogno di alcun aiuto per la redenzione di tutti»208

. Non solo non vi è

un secondo atto redentivo, parificato a quello di Cristo, ma Maria stessa è redenta da Cristo e trae da

questa redenzione ogni sua forza e capacità. Semmai possiamo parlare di una cooperazione ministe-

riale, di un servizio voluto da Dio per i suoi disegni e prestato da Maria nella libertà della sua fede.

Tale cooperazione ministeriale «designa al tempo stesso con la totale subordinazione anche la più

intima unione di Maria con il Redentore»209

.

4.4.2.1 Il fondamento biblico tradizionale

A fondamento di questo tema ci sta il racconto dell’annunciazione che mostra l’adesione incondi-

zionata della fede di Maria al piano di Dio. A chiarire la qualità di questo cammino sarà già il testo

Lc 2,22-40 con l’annuncio della spada per la madre come conseguenza dell’incomprensione pro-

fonda in cui il figlio incorrerà. Si fa strada una comunione tra la madre e il figlio tale per cui la per-

sona di Gesù, segno di contraddizione, trascina con sé il doloroso coinvolgimento della madre,

mentre il dolore materno lascia intuire il dramma in cui incorrerà il Messia. La scena di Gv 19,25-

27 completerà il tragitto: le parola di Gesù a Maria spostano l’attenzione dal dolore della madre al

disegno di Dio: la nuova maternità spirituale di Maria ne è il cuore.

La tradizione riprenderà queste prospettive; ma sarà soprattutto il Medioevo ad esplicitarle. Verso la

fine del secolo X, Giovanni il Geometra sosterrà la piena associazione di Maria a Gesù, motivando-

la sulla base della maternità, vista implicare una consostanzialità del figlio con la madre. Questo

consortium matris et filii utilizzerà soprattutto l’immagine genesiaca (Gen 2,18) di una Eva adiuto-

rium simile sibi: in forza di essa, Maria verrà indicata nella maternità come adiutorium Altissimi.

Così, a poco a poco, Maria verrà associata all’opera salvifica di Cristo fin sul Calvario.

Nel XIII secolo il Mariale super missus est così afferma: «[Maria] fu l’unica a cui fu dato questo

privilegio, cioè la communicatio passionis, l’unica a cui il Figlio volle communicare passionis meri-

tum per potergliene riconoscere il premio. Siccome partecipò al beneficio della redenzione, volle

che condividesse anche le pene della passione; in quanto aiuto nell’opera della redenzione, volle

che divenisse madre di tutti nell’opera della ricreazione»210

. Questa communicatio non va intesa in

termini essenziali, ma personali: è il risultato di una comunione vitale e personale grazie alla quale

Maria è una cosa sola con il figlio e questi lo è con la madre. Progressivamente poi nella teologia si

attribuiscono compiti maggiori all’opera di Maria: la santa vergine Maria è al di sopra di ogni digni-

tà creaturale e, anzi, le contiene tutte in sé Proprio questo crescendo attirerà sempre di più

l’attenzione della teologia: se Dionigi il Certosino († 1471) ridurrà il compito di Maria a quello del-

la semplice distribuzione delle grazie, in forza della sua intercessione, molti altri sceglieranno la

strada di una partecipazione di Maria alla redenzione medesima: Virgo de congruo nobis meruit

quod Christus de condigno.

4.4.2.2 L’interpretazione teologica

Anche se solo brevemente accennata, la storia basta a illuminare il rischio peggiore di questo pro-

blema: l’eccesso di sistematicismo che coglie autonomamente il ruolo soteriologico di Maria, di-

staccandolo e quasi contrapponendolo a quello di Cristo. Non è in alcun modo accettabile

l’opinione di chi sviluppa i rapporti materni tra la madre e il figlio fino a parlare di una superiorità

o, anche solo, di una uguaglianza della madre rispetto al figlio: è la tesi dei diritti materni di Maria,

che Lebon211

e Gallus212

hanno spinto fino al punto di sostenere che Cristo non potrebbe liberamen-

208

AMBROGIO, In Lucam, 10, 132; PL 15, 1837-1838. 209

M.J. SCHEEBEN – C. FECKES, Sposa e madre di Dio, op. cit., 221. 210

Mariale super missus est, resp. ad qq. 148-150. 211

J. LEBON, Comment je conçois, j’établis et je défends la doctrine de la médiation mariale, in Ephemerides Theologi-

cae Lovanienses 13 (1939) 655-744.

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Mariologia: 2012/13 70

te immolarsi se Maria non abdicasse altrettanto liberamente a questi diritti materni. Maria e Cristo

costituirebbero un unico, globale principio da cui scaturirebbe la salvezza dell’umanità. Questa lo-

gica non può rendere ragione né del testo di Lc 2,49 né dell’autonomia dell’opera salvifica di Gesù.

In realtà la differenza teologica tra il merito de condigno e il merito de congruo deve far concludere

che i più avvertiti sostenitori della mediazione mariana non intendono, almeno direttamente, rimet-

tere in questione l’unicità e il primato di Cristo nella sua opera salvifica.

Il problema teologico è quello di sapere se la tesi della corredenzione sia una buona interpretazione

dell’opera di Cristo e del posto di Maria o no. Goossens ha riassunto gli aspetti problematici di que-

sta dottrina attorno a tre questioni: 1) il rispetto dell’unicità del redentore, 2) l’impossibilità di coo-

perare alla redenzione da parte di chi deve a sua volta venir redenta e, perciò, 3) l’impossibilità di

meritare la salvezza da parte di colei che deve essa stessa venir salvata213

.

Alcuni autori hanno risposto a questa difficoltà speculativa distinguendo «due momenti logici: Cri-

sto solo redime Maria e, insieme con lei, redime il resto dell’umanità»214

. L’idea è stata ripresa e

approfondita dal P. Gabriele M. Roschini, che distingue “due momenti della redenzione” nei se-

guenti termini: «La redenzione oggettiva di Cristo quindi è costituita da due elementi: 1) dalla pas-

sione e morte di Cristo e 2) dalla intenzione con cui Cristo ha offerto la sua vita al Padre. Il primo di

questi due elementi è comune sia a Maria sia a tutti gli altri redenti; il secondo, al contrario (che è

l’elemento principale nella redenzione oggettiva), è differente. La prima intenzione di Cristo fu

quella di redimere Maria con una redenzione preservativa, la seconda intenzione di Cristo, invece,

fu di redimere, insieme con Maria (il Nuovo Adamo con la Nuova Eva) tutti gli altri con una reden-

zione liberativa. Questa doppia intenzione è implicita nel doppio modo di redenzione: preservativa

per la vergine e liberativa per tutto il resto. Altrimenti (oppure senza questa doppia intenzione) que-

ste due modi innegabili di redenzione sarebbero inspiegabili. Il fine allora per cui il redentore intese

in primo luogo redimere la Vergine (con una redenzione preservativa) è precisamente in modo che

la Vergine sarebbe in una posizione di essere in grado di cooperare con lui nella redenzione (libera-

tiva) di tutti gli altri. In breve: Immacolata perché Corredentrice»215

.

È evidente l’impianto scotistico della soluzione, ma anche tutta la sua problematicità. Dove fondare

questa duplice modalità del funzionamento della redenzione?

Un chiarimento per la nostra questione si ha con la distinzione tra redenzione oggettiva e redenzio-

ne soggettiva, introdotta da Scheeben216

: per redenzione soggettiva si dovrebbe intendere la sempli-

ce appropriazione, nella fede, di quella salvezza che sarebbe dovuta ai meriti con cui Cristo ci ri-

scatta — redenzione oggettiva — dalla schiavitù del peccato. Muovendosi in quest’ordine di idee,

Köster217

parla del ruolo di Maria come ruolo di rappresentanza dell’umanità: in forza di questo il

compito mariano sarebbe quello, esclusivamente recettivo, di accogliere liberamente l’opera di Cri-

sto. Abbiamo qui qualcosa su cui tutto il mondo cattolico converge; ma è tutto?

In primo luogo bisogna mantener fermo che l’opera di Cristo è sufficiente per la salvezza

dell’umanità e non ha bisogno di alcuna integrazione. D’altra parte, nell’opera della nostra reden-

zione all’onore incontestabile che spetta a Dio e solo a Dio per il suo agire salvifico, andrebbe ag-

giunto l’onore di Dio oggettivato nella creazione restaurata: in questo senso la grazia sovrana e on-

nipotente di Dio non solo non trascura la libertà umana, ma la valorizza inserendola nella creazione.

L’unico sacrificio di Cristo non verrebbe così isolato ma colto attraverso la riconfigurazione della

212

T. GALLUS, Mater Dolorosa, «principium materiale» redemptionis obiectivae, in Marianum 12 (1950) 227-249. 213

W. GOOSSENS, Estne Mater Redemptoris immediate cooperata ad redemptionem obiectivam seu ad acquisitionem

gratiarum?, in Collationes Gandavenses 24 (1937) 187-202.270-285; 25 (1938) 5-15.86-97.146-168. Cfr. anche H.

LENNERZ, Considerationes de doctrina B. Virginis Mediatricis, in Gregorianum 19 (1938) 424-425. 214

L. CIGNELLI, Maria Nuova Eva nella Patristica greca, Collectio Assisiensis 3, Studio Teologico “Porziuncola”, As-

sisi 1966, 241. 215

G.M. ROSCHINI, Maria Santissima nella storia della salvezza, II, Tipografia Editrice M. Pisani, Isola del Liri 1969,

193-194. Questa posizione è ripresa da A. B. CALKINS, Mary Co-redemptrix: The Beloved Associate of Christ, in M.

MIRAVALLE (ed.), Mariology. A Guide for Priests, Deacons, Seminarians, and Consecrated Persons, Seat of Wisdom

Books Queenship Publishing, Goleta (CA) 2007, 349-409. 216

M.J. SCHEEBEN, Handbuch der katholischen Dogmatik, vol. V, 4, 1, 1330; vol. III, 350, Herder, Freiburg, 1933. 217

H.M. KÖSTER, Die Magd des Herrn. Theologische Versuche und Überlegungen, Lahn, Limburg 1954.

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Mariologia: 2012/13 71

creazione: nel suo svelare il Dio di grazia, il crocifisso rende possibile quella libertà che non ha al-

tro senso che quello di aprirsi all’amore di Dio. Questo ordine di pensieri può aiutarci a comprende-

re a fondo il ruolo di Maria al Calvario: da una parte recupera i testi patristici che parlano di una

nuova creazione e dall’altra evita di isolare il ruolo materno di Maria per inserirlo decisamente al

servizio dell’opera di Cristo. In questo modo il ruolo di Maria diviene quello di un servizio total-

mente subordinato alla realizzazione della missione di Cristo come salvatore del mondo: «Come

membro più nobile del genere umano da redimere, agendo in nome di questo, ottenne l’applicazione

dei meriti di Cristo e completò questi da parte delle disposizioni di chi li riceve»218

.

Il posto di Maria è quello di chi deve rinunciare al proprio sentire e alla propria volontà per assume-

re quelli di Cristo e aderirvi con tutte le proprie energie; almeno fino a un certo punto, si può leg-

gervi un parallelo con il sacrificio di Isacco da parte di Abramo. Allo stesso modo Maria offre come

veramente suo quel sacrificio che è e rimane di Cristo: tanto più rimane di Cristo quanto più diventa

suo, dato che ormai non ha altra volontà che quella del figlio. Ne viene una collaborazione talmente

profonda che Maria e Cristo non vanno visti l’uno accanto all’altro, impegnati a svolgere servizi di-

versi anche se coordinati: svolgono, ciascuno a suo modo, quel compito che, nel suo insieme, è la

pienezza dell’azione salvifica. A questa pienezza Maria «collaborava nel senso più proprio e più

pieno come la portatrice dell’offerta e offriva quel sacrificio come suo sacrificio. Siccome Maria

rappresentava tutti gli uomini, il sacrificio di redenzione uscì universalmente e perfettamente

dall’umanità e a lei appartenne»219

. Quella parola rivolta da Maria ai servi alle nozze di Cana —

«fate quello che vi dirà» (Gv 2,5) — trova al Calvario la sua più alta realizzazione: è, insieme, te-

stimonianza della sua cooperazione e cuore della sua nuova maternità.

La cooperazione di Maria, quindi, non aggiunge nulla al sacrificio della croce; mira invece a mo-

strarlo come sacrificio perfetto per quella umanità che, in Maria, vi partecipa e lo accoglie. Sta in

questo la sua maternità spirituale. Là dove il crocifisso diventa salvatore dell’umanità, lasciando

sgorgare quella vita divina che possedeva in sé, ecco che Maria si svela come colei che partecipa a

questa missione nella maniera più alta e più feconda: conformandosi al mondo interiore del crocifis-

so, Maria non può fermare la sua adesione se non là dove l’opera di Cristo è completa, se non là do-

ve la redenzione per la salvezza del mondo ha prodotto tutti i suoi frutti. Madre misericordiosa

dell’umanità, Maria è anche madre della Chiesa: «La maternità di Maria è la radice e l’anima della

maternità della Chiesa, sì che questa può esistere e operare solo perché la maternità di Maria è in

essa inclusa e operante»220

. Si può ben dire che, come mostra il testo di At 1,14, la preghiera della

Chiesa è sostenuta dalla preghiera di Maria e che la fede della Chiesa è animata da quella di Maria;

si può ben dire che Maria è il cuore dell’esperienza misterica della Chiesa.

4.4.2.3 Il confronto ecumenico

Uno dei punti principali del contenzioso dottrinale tra protestanti e cattolici su Maria concerne

l’affermazione cattolica secondo la quale ella ha “cooperato” alla salvezza dell’umanità221

. Una si-

mile convinzione sembra in effetti attentare alla principale affermazione della Riforma, quella della

giustificazione per la fede in Cristo, unico Salvatore (solus Christus), indipendentemente dalle ope-

re. Qui la difficoltà mariana è solo l’illustrazione di un problema del tutto fondamentale.

218

M.J. SCHEEBEN – C. FECKES, Sposa e madre di Dio, op. cit., 231. 219

Ibid., 234. 220

Ibid., 255. 221

Ci ispiriamo alle riflessioni sviluppate nel documento del GRUPPO DI DOMBES, Maria nel disegno di Dio e nella co-

munione dei santi, Qiqajon,. Magnano (Bi), 1998. Altri spunti di rilievo sul tema si possono trovare in: Gruppo di dia-

logo fra cattolici-romani e luterani negli USA, Dichiarazione comune L’unico mediatore, i santi e Maria (1990), in En-

chiridion Oecumenicum vol. IV, EDB, Bologna 1996, §§ 3083-3360; Gruppo di lavoro bilaterale della conferenza epi-

scopale tedesca e della direzione della chiesa evangelica luterana unita di Germania, Communio sanctorum. La chiesa

come comunione dei santi (2000), trad. it. a cura di A. Maffeis, Morcelliana, Brescia 2003, specialmente pp. 117-137;

ARCIC II, Maria: grazia e speranza in Cristo (2005), in Il Regno. Documenti, anno L (2005/11) 257-270.

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Mariologia: 2012/13 72

4.4.2.3.1 La convinzione protestante

Secondo la convinzione protestante il termine “cooperazione” è sospettato veicolare l’idea di una

collaborazione se non di uguaglianza, perlomeno dello stesso ordine, tra Cristo e Maria per la nostra

salvezza. È un termine composto con il prefisso “co-”. La teologia e la pietà protestanti vi vedono

anche l’espressione di un ruolo di Maria indipendente, addirittura quella di una rivalità tra lei e Cri-

sto. Karl Barth ha ripetutamente e vigorosamente protestato contro la “mariologia” cattolica che egli

taccia di “eresia”. Il punto che egli evidenzia maggiormente è la “cooperazione” di Maria:

«Ogni tentativo di fare della sua persona l’oggetto di un’attenzione speciale, di prestarle nella storia

della salvezza un ruolo indipendente, fosse anche relativo, è un attentato al miracolo della Rivela-

zione; perché si tende così a fare dipendere questo miracolo, non soltanto da Dio, ma in modo sup-

plementare, dall’uomo e dalla sua ricettività. Orbene, nel Nuovo Testamento accade esattamente il

contrario. (…) Il Nuovo Testamento ignora ogni gloria che “ricade” sull’uomo graziato e ricettivo

(...)»222

. E ancora : «Perché è la serva del Signore, Maria pronuncia la parola memorabile: “Sia fat-

to di me (...) secondo la tua parola!”, ed è come tale che diventa, secondo il v. 43, “la madre del Si-

gnore” – testo in base al quale noi non possiamo certo affermare che la Theotókos (Madre di Dio)

del concilio di Efeso non sia biblica. Ma sarebbe mediatrix omnium gratiarum (mediatrice di ogni

grazia)? Corredemptrix (corredentrice)? Regina coeli (regina del cielo)? Come si sono potute edi-

ficare sul fiat mihi (che sia fatto di me) e sulla maternità di Maria così tante cose, che in modo fla-

grante sono “di troppo”?»223

.

Analogamente, di fronte all’affermazione cattolica sempre ripresa, secondo la quale la risposta di

Maria comportava «una perfetta cooperazione con “la grazia di Dio che previene e soccorre” e una

perfetta disponibilità all’azione dello Spirito Santo»224

, i protestanti chiedono: «È il sì di Maria che

rende possibile l’incarnazione o è il decreto della grazia divina che rende possibile il sì di Maria?».

4.4.2.3.2 La convinzione cattolica

Davanti a questa contestazione radicale, bisogna riconoscere innanzitutto che molti teologi cattolici

si sono sporti su una china pericolosa e hanno contribuito a un abuso dei termini di corredenzione e

di mediazione a proposito di Maria. L’espressione stessa di “corredenzione” è oggettivamente am-

bigua, perché fa pensare che il ruolo di Maria sia dello stesso ordine di quello di Cristo. Il Vaticano

II l’ha intenzionalmente abbandonata; da allora nei testi ufficiali non è mai più riapparsa. Il termine

di “Maria mediatrice” ha dalla sua parte la tradizione di un certo utilizzo nel medioevo. Se Cristo è

«l’unico mediatore tra Dio e gli uomini» (1Tm 2,5) nel senso proprio del termine, in un senso deri-

vato «in quanto l’unico mediatore sceglie di operare servendosi di essi (i credenti) come di strumen-

ti»225

, possiamo dire di essere, gli uni per gli altri, mediatori.

Il termine di “cooperazione” invece è mantenuto da testi ufficiali cattolici, come il c. VIII della Lu-

men gentium (n. 56), la cui intenzione ecumenica è evidente. Esprime qualcosa di molto caro alla

tradizione cattolica, volendo intendere che “cooperare”, per una creatura umana, è sempre “rispon-

dere” nella fede, nella speranza e nella carità. Non c’è quindi forzatamente un’opposizione tra la

“cooperazione” in senso cattolico così espressa e la “risposta riconoscente dell’uomo al dono perfet-

to” (Jean Bosc), affermata da parte protestante. Alla domanda posta sopra dai protestanti i cattolici

possono rispondere in piena coscienza di fede che il disegno divino della salvezza ha reso possibile

il sì di Maria in ragione della grazia, facendo spazio alla libera risposta di questo sì.

Quando la Chiesa cattolica parla di “cooperazione” di Maria alla salvezza, non la situa dalla parte

dell’iniziativa del Salvatore e del Redentore. Per usare un’immagine semplice ma eloquente, essa

non vuole dire in nessun modo che Maria aggiungerebbe una percentuale, seppur minima, all’opera

di Cristo. La nostra salvezza è al cento per cento opera di Dio per mezzo di Cristo nello Spirito: po-

222

K. BARTH, Kirchliche Dogmatik, I, 2, § 15, Zürich 1939, 154. 223

K. BARTH, Kirchliche Dogmatik, IV, 3, 2, § 17, Zürich 1939, 691. 224

GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Redemptoris Mater, 13. 225

Gruppo di dialogo tra cattolici romani e luterani negli USA, L’unico Mediatore, i santi e Maria, n. 56, in Enchiridion

Oecumenicum IV, Bologna 1996, § 3142.

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Mariologia: 2012/13 73

sta a fianco dei salvati, Maria interviene in virtù della grazia della salvezza che ha ricevuto come

tutti gli altri credenti. Anche se la sua salvezza prende la forma di una preservazione dal peccato,

Maria è “riscattata” allo stesso titolo di ognuno di noi.

4.4.2.3.3 Verso una riconciliazione

Considerato il fatto che questo termine “cooperazione” c’è, non si può fare come se non esistesse.

Anche il nostro sforzo cercherà di purificarlo e insieme di “convertirlo”, di “ricomporlo” in un certo

senso. Forse un giorno dal dialogo uscirà un altro termine, più soddisfacente per gli uni e per gli al-

tri, perché liberato da ogni equivoco. La “cooperazione” di Maria è il frutto di un’iniziativa del Pa-

dre che guarda «l’umile sua serva» (Lc 1,48). È anche il frutto della kenosi del Figlio che «si è spo-

gliato e abbassato» (cfr. Fil 2,7-8) per dare all’umanità la possibilità di rispondere. È infine il frutto

dell’azione dello Spirito che ne dispone il cuore all’obbedienza. Questo accade nel momento del fiat

di Maria. L’umiltà di Maria è il frutto dell’umiltà del Figlio. Dal canto suo Maria entra in questo

stesso movimento: accetta di rinunciare al governo della propria vita. Così facendo è l’icona di ogni

credente che, rinunciando all’amor proprio, entra in relazione con Cristo.

Maria è stata innanzitutto eletta per essere la madre del Signore: il termine di elezione dice

l’assoluta priorità divina. È perché è stata giustificata per la sola grazia e nella fede che Maria ha

potuto essere associata all’opera di Dio in Cristo. La sua “cooperazione” è unica quanto alla natura

di ciò che compie, perché è la madre di Gesù e lo alleva. Ella coopera all’evento unico e universale

della salvezza. Ma dal punto di vista strutturale la sua “cooperazione” non è diversa da quella di o-

gni persona giustificata per la grazia. È pienamente il frutto della grazia di Dio, come dice Agosti-

no: «Quando Dio corona i nostri meriti non corona nient’altro che i propri doni»226

. La libertà può

diventare allora fonte di opere che manifestano la salvezza vissuta nella comunione dei santi. Nel

linguaggio cattolico si dirà che queste opere sono totalmente dono di Dio e che sono anche total-

mente atto della libertà dell’uomo sotto la grazia. Non si dovrebbe quindi parlare di un’azione di

Maria indipendente da quella di Cristo. La sua “cooperazione” non va ad arricchire l’azione di Dio

e, dal momento che essa è frutto dei suoi doni, non attenta in alcun modo alla sovranità di Cristo.

Maria è presente anche presso la croce. Non coopera al sacrificio unico che solo Cristo compie.

Ambrogio ricorda che «Gesù non aveva bisogno di un aiuto per la redenzione di tutti»227

. Eppure

Maria «ha conservato fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un dise-

gno divino, se ne stette ritta (cf. Gv 19,25), soffrì profondamente col suo Figlio unigenito e si asso-

ciò con animo materno al sacrificio di lui» (LG 58). Risponde con tutta la libertà della sua fede ac-

cettando di perdere suo Figlio Gesù e di accogliere come figlio il discepolo amato.

Il caso di Maria è un esempio di ciò che accade a tutti i salvati. La salvezza è un rapporto: non c’è

salvezza se questa non viene ricevuta, se non incontra una risposta nell’azione di grazie. La passivi-

tà davanti alla grazia, il “lasciarsi fare” della fede davanti a essa, fonda una nuova attività: la dispo-

nibilità si fa obbedienza. La docilità allo Spirito Santo diventa attiva. La passività non è mai totale:

la ricettività stessa diventa attiva in un secondo tempo. Ma ogni risposta è al contempo l’opera della

grazia di Dio e della libertà dell’uomo suscitata dalla grazia. Atto esclusivo dell’uomo è il rifiuto

della grazia228

.

Si impone a questo punto una distinzione: l’accoglienza non è un’opera. Colui che riceve un regalo

non partecipa in alcun modo all’iniziativa del dono. Tuttavia il regalo è pienamente tale solo se vie-

ne ricevuto. A rigor di termini, non c’è dono se il destinatario non lo accoglie. Altrimenti si ha sol-

tanto l’offerta di un regalo. Affinché ci sia dono, il donatore ha in qualche modo bisogno del dona-

tario. Un regalo è una sorta di invocazione che il donatore fa al donatario. La risposta al regalo fa

226

AGOSTINO, Epistola 194, 5, 19. 227

AMBROGIO, In Lucam 10, 132; 10, 132; PL 15, 1837-1838. 228

Il teologo protestante Alexandre Vinet già nel XIX secolo così scriveva: «Non diciamo: “Lavorate, sebbene sia Dio a

suscitare in voi il volere e il fare”, bensì con l’Apostolo: “Lavorate, perché Dio suscita in voi il volere e l’operare” (cfr.

Fil. 2,12-13). È stato detto che la sapienza cristiana consiste nell’essere tranquilli come se Dio facesse tutto e di operare

come se non facesse niente. Diciamo meglio: diciamo che lui fa tutto. Egli ci ha fatto, noi che facciamo; fa in noi la vo-

lontà di fare; fa attraverso di noi tutto quel che noi facciamo; ma lo fa con noi e non vuole farlo in altro modo»: Homilé-

tique ou Théorie de la prédication, Paris 1853, 27-28.

Page 74: Dispense Di Mariologia

Mariologia: 2012/13 74

parte del regalo. Il dono di Dio che è Cristo in persona si sottomette a questa legge della libera ac-

coglienza: «Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto

le ali, e voi non avete voluto!» (Mt 23,37). Agostino dirà più tardi: «Colui che ti ha creato senza di

te non ti salverà senza di te»229

.

Una simile riflessione si iscrive perfettamente nella logica paolina della giustificazione per la fede e

della fede che opera con la carità (Gal 5,6). Nel vangelo Gesù non esita a dire: «La tua fede ti ha

salvato» (Mt 9,22; Mc 5,34; 10,52; Lc 7,50; 8,48; 17,19), attribuendo alla fede quella che è l’opera

della grazia. Non si deve mai quindi cadere in una logica di rivalità: quel che viene riconosciuto a

Dio non annichilisce in niente l’uomo; quel che è dato all’uomo non viene tolto a Dio. Quel che va-

le per la fede di ogni credente vale per la fede di Abramo e per la fede di Maria. Tale è il paradosso

dell’Alleanza: è unilaterale da parte di Dio e diventa bilaterale per essere effettiva. L’Alleanza esi-

ste prima della risposta e il suo rifiuto non la invalida in quanto disegno di Dio. Il sì è stato detto

prima di noi da Dio e da Cristo: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai

preparato … Allora ho detto: Ecco io vengo … Sono venuto, o Dio, per fare la tua volontà» (Eb

10,5-7). Eppure, è importante che noi, a nostra volta, diciamo sovranamente sì. Il cristianesimo resi-

ste all’idea di un Dio solitario. Dio fa esistere l’uomo e l’uomo fa esistere Dio quale Dio

dell’Alleanza. Dio ha voluto far esistere il suo Cristo nella carne per mezzo del fiat di Maria.

È bene distinguere tra la parte di cooperazione che rientra nel fulgore del momento unico della giu-

stificazione e quella che tocca la continuazione della vita del giustificato. In un primo momento,

l’accoglienza della giustificazione è una “risposta”. Tuttavia, in un secondo momento — che la tra-

dizione protestante definisce di preferenza santificazione — alla persona giustificata è data una

nuova possibilità. Paolo parla di noi come eredi di Dio e coeredi di Cristo e la grazia è una bellezza

che splende in tutti gli atti dei figli di Dio (cfr. 2Cor 3,18).

Il termine di risposta evoca quello di responsabilità. Poiché Cristo ci vuole salvare come un solo

corpo vivente nella comunione e nella solidarietà, ci permette di poterci aiutare gli uni gli altri nel

nostro cammino verso il Regno. Ciò è iscritto nel sacerdozio di tutti i battezzati, che fa di noi, per la

partecipazione al mistero di Cristo, dei profeti, dei sacerdoti e dei re (cfr. 1Pt 2,9). A questo titolo,

ci è dato per grazia di partecipare alla redenzione che solo Cristo apporta. Coloro che vivono in Cri-

sto possono, attraverso la risposta di tutta la loro esistenza, la loro intercessione, le loro sofferenze

offerte per amore, tutte le opere compiute nella fede, “cooperare” alla salvezza del mondo. La frase

di Col 1,24 esprime una cooperazione che non mette assolutamente in discussione l’unicità dell’atto

redentore di Cristo: «Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del

suo corpo che è la Chiesa». Come dice Lutero, noi possiamo diventare dei “Cristo” gli uni per gli

altri230

.

Un esempio della nuova cooperazione suscitata dalla grazia della giustificazione è la cooperazione

dei ministri. Paolo edifica la Chiesa con la sua parola: egli coopera. Lo fa però a partire dal suo sì

pronunciato nella fede e suscitato dallo Spirito. Paolo ha osato dire di sé e dei suoi compagni: «Noi

siamo i cooperatori (synergoi) di Dio» (1Cor 3,8). Questa cooperazione designa l’azione dei servi

del Maestro, lui stesso solo “operatore”. Su questo fondamento scritturistico il termine synerghia è

tradizionale in Oriente. La cooperazione di Maria è anch’essa un servizio reso per il compimento

della salvezza. Si distingue per il suo oggetto, perché la Vergine ha svolto, al proprio posto, un ruo-

lo unico, nella grazia e per la fede, principalmente al momento della nascita e della morte di Gesù.

Maria ha cooperato con la risposta della propria fede, come ogni essere giustificato, attraverso la

propria obbedienza, la propria maternità, tutte le sue opere di “serva”, tra le quali il suo intervento a

Cana.

229

AGOSTINO, Sermo 169, 11, 13. 230

M. LUTERO, Della libertà del cristiano, in ID., Scritti politici, Utet, Torino, 388.

Page 75: Dispense Di Mariologia

Mariologia: 2012/13 75

ANNESSO

GERHARD LUDWIG MÜLLER, Tesi generali per una mariologia futura, in ID., Nato dalla vergine

Maria. Interpretazione teologica (Brescia: Morcelliana, 1994), 135-137.

1) Dio ha creato ogni uomo in vista della sua elezione (cfr. Ef 1, 4). La creazione spirituale-

personale sussiste per il solo motivo per il quale Dio si comunica a essa come vita. La grazia, attra-

verso la quale l’uomo è legato a Dio, specifica nello stesso tempo il servizio ogni volta particolare

nella realizzazione della storia di salvezza e nell’edificazione del regno di Dio e nella vita della

Chiesa. Il carisma particolare di Maria è la sua missione nella storia salvifica di diventare la Madre

di Gesù, l’eterno Figlio di Dio fattosi uomo.

2) L’enunciazione mariologica fondamentale dice che Maria è la genitrice verginale di Dio. Dalla

sua persona (nell’unità di spirito e corpo) è nata l’ipostasi del Logos divino come uomo (nell’unità

ipostatica di natura divina e umana).

3) Principio intrinseco della mariologia nella fondazione come nello sviluppo dogmatico storico è la

fede di Maria. Il suo libero «sì» non si pone in modo autonomo di fronte alla grazia, e non significa

nemmeno cooperazione nonostante la grazia. Si tratta di una partecipazione nell’agire in base alla

grazia. Quanto più grazia ha ricevuto la volontà, tanto più è libera. La volontà colmata di grazia di

Maria è dunque effetto dell’autocomunicazione incarnatoria ed escatologica di Dio all’umanità,

quale si presenta nell’unione ipostatica. La libertà creata è l’autotrascendenza dell’uomo come amo-

re nel senso della risposta a Dio che viene verso noi, che si dona a noi nella sua autocomunicazione

e che, nello stesso tempo, in questo rende possibile la nostra risposta come amore. Questa risposta è

libero arbitrio nella sua autorealizzazione che si trascende, che così diventa libertà realizzata. La li-

bertà che si realizza come unità con Dio nella comunione dell’amore, come suo frutto, è redenzione.

4) Maria può pertanto essere detta la prima e pienamente redenta (K. Rahner). Nello stesso tempo è

la redenta esemplare, e in questo modo è tipo dell’essere cristiano in virtù della fede sulla base del

dono dello Spirito Santo. Nel senso della sequela di Gesù Cristo, ella illustra la conformazione di

colui che crede e ama con la passione, la croce, la morte e la glorificazione del Signore risorto.

5) In considerazione del suo ruolo salvifico, Maria è stata preservata dal «peccato originale» in virtù

della grazia di redenzione di Gesù Cristo. Come redenta in modo esemplare, nella sua morte è stata

accolta nella piena manifestazione della gloria di risurrezione di Gesù Cristo (in breve: con «corpo e

anima»), «poiché quelli che egli ha conosciuto in antecedenza, li ha predestinati ad essere conformi

all’immagine del Figlio suo, affinché egli sia primogenito fra molti fratelli. E quelli che ha predesti-

nato, li ha chiamati; e quelli che ha chiamati, li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati, li ha

anche glorificati» (Rm 8, 29s.). Così trova fondamento anche la missione di Maria dell’intercessione

per la Chiesa pellegrina. Ella sta con tutta la Chiesa nella comunione dei santi, che tutti abbraccia.

Insieme ai santi giunti al compimento, ella è segno della speranza che riempie ogni cristiano. E,

come tipo della Chiesa in fede e sequela (vergine e madre), dà chiara espressione alla dimensione

corporea e sociale della mediazione salvifica divina.

6) Il significato della differenziazione dell’uomo nel sesso maschile e femminile secondo la teologia

della creazione è superato in Maria in direzione di un significato nella storia salvifica. Maria è come

donna la rappresentante dell’umanità quale totalità, che in Gesù Cristo concepisce, preserva e nella

sequela di Gesù realizza la grazia di Dio. Se Paolo illustra l’importanza di Cristo per l’umanità at-

traverso l’antitesi Adamo-Cristo, la prima Chiesa si poteva sentire in diritto di illustrare

l’importanza di Maria attraverso un’antitesi Eva Maria. Maria diventa così personificazione della

pura grazia e della piena fede. In questo senso ella può anche essere detta «madre dei fedeli». Gesù

Cristo, la Parola di Dio a noi, si è fatto uomo come vir, ma nella proesistenza per tutti gli esseri u-

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mani ai quali comunica la vita divina. Maria ha concepito, partorito, nutrito e accompagnato nella

vita, come donna, il Dio-uomo per rappresentare, nella sua risposta, la pro-esistenza di tutti i fedeli

per Dio e per i fratelli e sorelle nella comunione della Chiesa.

7) Il futuro della mariologia si trova certamente nella tipologia mariana della fede. Il fedele ricono-

sce Maria come immagine della fede. Si vede entrare a far parte della dimensione storica, ecclesiale,

escatologica e universale della nuova esistenza in Gesù Cristo, cioè nella communio sanctorum.

Questa indicazione libera la fede da ogni restrizione razionalistica, come pure la preserva dallo sci-

volare nell’irrazionalismo. Maria fornisce alla fede la dimensione della gioia per il fatto che l’eterno

Verbo di Dio è venuto al mondo come l’uomo, che, in forza del suo invio da parte di Dio, suo Padre

eterno, fa nuove tutte le cose (Ap 21, 5).

Nella figura di Maria il cristiano che crede, spera e ama, riconosce il primo riflesso della gloria del-

la grazia di Dio, che risplende in Gesù Cristo. In questa donna piena di grazia egli può anche rico-

noscere il bello nella creazione e nella storia e nell’attesa realizzazione della vita eterna. Così la ma-

riologia è — parlando in termini teologici — la prima rappresentazione del pulchrum della gloria di

Dio la quale risplende in Cristo, il che deve essere il cuore dell’antropologia cristiana e propriamen-

te è solo un’altra parola per esprimere l’avvento di Dio nell’uomo «a lode della gloria della sua gra-

zia» (Ef 1, 6).

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1 INTRODUZIONE ................................................................................................................................................... 2

1.1 IL FENOMENO MARIANO NELLA CHIESA E NEL MONDO ..................................................................................................... 2 1.2 MARIA NEL CULTO DELLA CHIESA ................................................................................................................................ 2 1.3 LA RIFLESSIONE TEOLOGICA ........................................................................................................................................ 3 1.4 IL CONCILIO VATICANO II ........................................................................................................................................... 4 1.5 DOPO IL CONCILIO .................................................................................................................................................... 5 1.6 PROBLEMI METODOLOGICI PER UN TRATTATO DI MARIOLOGIA .......................................................................................... 5

2 PRIMA PARTE: MARIA NELLA TESTIMONIANZA DELLA SCRITTURA...................................................................... 8

2.1 MARIA NELL’ANTICO TESTAMENTO .................................................................................................................... 8 2.1.1 La prima linea: Eva ...................................................................................................................................... 8 2.1.2 Seconda linea: le grandi madri dell’A.T. ...................................................................................................... 9 2.1.3 Terza linea: La figlia di Sion ......................................................................................................................... 9 2.1.4 Quarta linea: la linea sapienziale .............................................................................................................. 10 2.1.5 Conclusione ............................................................................................................................................... 10

2.2 MARIA NEL NUOVO TESTAMENTO .................................................................................................................... 11 2.2.1 Paolo e Marco ........................................................................................................................................... 11 2.2.2 Matteo e Luca ........................................................................................................................................... 13 2.2.3 Giovanni e Apocalisse ............................................................................................................................... 24

3 SECONDA PARTE: MARIA NELLA FEDE DELLA CHIESA .........................................................................................31

3.1 VERGINE E MADRE DI DIO: IL DOGMA NEL REGIME DELLA CRISTOLOGIA ............................................................................. 31 3.1.1 Il bisogno di professare la verità cristologica ............................................................................................ 32 3.1.2 L’esigenza di difendere la fede cristologia contro le eresie ....................................................................... 32 3.1.3 La ricerca di un modello significativo di consacrazione a Dio ................................................................... 34 3.1.4 Lo sviluppo del culto mariano ................................................................................................................... 38 3.1.5 Considerazioni conclusive ......................................................................................................................... 39

3.2 IMMACOLATA CONCEZIONE E ASSUNZIONE: IL DOGMA NELLA PROSPETTIVA DELL’ANTROPOLOGIA ........................................... 39 3.2.1 Il bisogno di glorificare Dio nelle meraviglie da lui compiute a favore dell’uomo .................................... 40 3.2.2 L’esigenza di reagire a deviazioni nell’ambito dell’antropologia teologica .............................................. 41 3.2.3 L’esemplarità morale di Maria .................................................................................................................. 50 3.2.4 La pietà mariana ....................................................................................................................................... 50

4 TERZA PARTE: IL COMPITO DI MARIA NELLA SALVEZZA DI GESÙ CRISTO ...........................................................52

4.1 L’ELEZIONE DI MARIA NEL DISEGNO DI DIO.................................................................................................................. 52 4.1.1 La testimonianza biblica: la centralità della grazia divina nella persona di Maria ................................... 52 4.1.2 L’affermazione teologica: Maria predestinata in uno con il Figlio Gesù ................................................... 53

4.2 LA MATERNITÀ VERGINALE DI MARIA ......................................................................................................................... 54 4.2.1 La maternità divina per opera dello Spirito Santo .................................................................................... 55 4.2.2 La maternità verginale .............................................................................................................................. 56

4.3 LA SINGOLARE PERSONALITÀ DI MARIA: LA PIENA DI GRAZIA ........................................................................................... 61 4.3.1 L’Immacolata Concezione: amata di un amore eterno e salvatore .......................................................... 61 4.3.2 L’Assunta: splendore della grazia del Cristo .............................................................................................. 63

4.4 MARIA MADRE DEI REDENTI ..................................................................................................................................... 66 4.4.1 Maria, tipo e modello della Chiesa............................................................................................................ 66 4.4.2 La materna com-passione di Maria al Calvario ........................................................................................ 68