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Economia etica e solidale marchigiana Bollettino di cultura e notizie on line per un nuovo mondo possibile Bollettino Anno IV Numero 2 - 2007 Temi : economia solidale, consumo critico, ecologia e produzioni eco- compatibili, esperienze di riciclo e riuso, energie rinnovabili, stili di vita alternativi, finanza etica, agricoltura biologica, cooperazione, cooperazione internazionale, turismo responsabile, medicina integrata, monete regionali, iniziative di pace, informazione libera, democrazia partecipativa, cultura etica o "essere" Indice Cooperazione Internazionale S torie d'amore dal Paraguay (Chantal Hulin e Piepaolo Pierleoni) CIPSI Coordimento di inziative popolari di solidarietà internazionale Economia Solidale nel mondo Un manifesto francese sull'economia solidale (associazione CRE-SOL) L'economia solidale dei movimenti contadini intercontinentali (Andrea Tronchin) Carta dei valori della Rete Brasiliana di Economia Solidale Carta dei valori della rete spagnola REAS Economia Solidale Biocarburanti e fame Etanolo e morte di fame (dal blog di Beppe Grillo) L'Italia si prepara per distruggere l'Amazzonia ConProBio: il Ticino biologico (da www.aamterranuova.it) AltreMarche, un cantiere per pensare un'altra regione (Michele Altomeni) Lettera aperta di Alex Zanotelli a Banca Etica Zanotelli e Banca Etica: continuiamo insieme Appello per il futuro di Banca Etica (dal sito finansol.it) Banca Etica: la risposta dei soci di Ravenna all'appello di A. Messina Assemblea Banca Etica: resoconto di Marco Piccolo Assemblea Banca Etica: resoconto di Alessandro Messina Ricostruire una dimensione comunitaria a partire dall'impresa (Enrico Luzzati) Attività dell'Associazione REES Marche ~ 2° Forum dell' Economia solidale Atti dell' incontro (Katya Mastantuaono) Relazione di REES Marche (Paolo Chiavaroli) Relazione sul "Condominio rurale" (Emilio Landi - Copagri) Relazione di Banca Etica Marche (Angelo Antognoni) Proposta Cantiere AltreMarche (Sergio Sinigaglia) ~ Primo seminario Scuola delle alternative Intervento di Enrico Euli 1

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Economia etica e solidale marchigiana Bollettino di cultura e notizie on line

per un nuovo mondo possibile

Bollettino Anno IV Numero 2 - 2007

Temi : economia solidale, consumo critico, ecologia e produzioni eco-compatibili, esperienze di riciclo e riuso, energie rinnovabili, stili di vita alternativi, finanza etica, agricoltura biologica, cooperazione, cooperazione internazionale, turismo

responsabile, medicina integrata, monete regionali, iniziative di pace, informazione libera, democrazia partecipativa, cultura etica o "essere"

IndiceCooperazione Internazionale S torie d'amore dal Paraguay (Chantal Hulin e Piepaolo Pierleoni)

CIPSI Coordimento di inziative popolari di solidarietà internazionaleEconomia Solidale nel mondo

Un manifesto francese sull'economia solidale (associazione CRE-SOL) L'economia solidale dei movimenti contadini intercontinentali (Andrea Tronchin) Carta dei valori della Rete Brasiliana di Economia Solidale Carta dei valori della rete spagnola REASEconomia Solidale Biocarburanti e fame Etanolo e morte di fame (dal blog di Beppe Grillo)

L'Italia si prepara per distruggere l'Amazzonia ConProBio: il Ticino biologico (da www.aamterranuova.it) AltreMarche, un cantiere per pensare un'altra regione (Michele Altomeni) Lettera aperta di Alex Zanotelli a Banca Etica Zanotelli e Banca Etica: continuiamo insieme Appello per il futuro di Banca Etica (dal sito finansol.it) Banca Etica: la risposta dei soci di Ravenna all'appello di A. Messina Assemblea Banca Etica: resoconto di Marco Piccolo Assemblea Banca Etica: resoconto di Alessandro Messina Ricostruire una dimensione comunitaria a partire dall'impresa (Enrico Luzzati)

Attività dell'Associazione REES Marche ~ 2° Forum dell' Economia solidale Atti dell' incontro (Katya Mastantuaono)

Relazione di REES Marche (Paolo Chiavaroli) Relazione sul "Condominio rurale" (Emilio Landi - Copagri)

Relazione di Banca Etica Marche (Angelo Antognoni) Proposta Cantiere AltreMarche (Sergio Sinigaglia) ~ Primo seminario Scuola delle alternative Intervento di Enrico Euli Intervento di Roberto Mancini (Risvegliarsi sognando) ~ Secondo seminario Scuola delle alternative

L'Economia solidale e il denaro - Resoconto (Michela Di Ciocco)

Ecologia Territorio Energia Coesistenza con gli OGM? No grazie! Il giallo delle api sparite (ricerca tedesca) Inceneritori: si contano i morti Inceneritori come produttori di rifiuti

Pesticidi: dal campo al piatto il percorso è molto breve (David Fiacchini)

Come finanziare impianti fotovoltaiciTecnologia & Comunicazioni Premio UE alla bioplastica mater bi

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Associazionismo Istituzioni Servizi sociali Lettera di Zanotelli a Prodi L'associazione Megachip per una corretta informazione

Quelli che non contano (prefazione di Roberto Mancini) Conferenza nazionale del Volontariato (Alessandro Fedeli)

Il carcere dopo l'indulto: ripensare la pena (Michele Altomeni)

Nuovi stili di vita Modello BhutanPer la nostra salute In difesa della medicina omeopatica (a cura di Apo Italia)

Essere Risvegliarsi sognando (Roberto Mancini) C'è salvezza alla crisi di civiltà? (Loris Asoli) Ciò che deve accadere accade (Michele Altomeni)

Rapporto coi lettori Comunicazioni ai lettori 

Storie d'amore dal Paraguay

Adelaida, Belen e Giselle

(a cura di Pierpaolo Pierleoni 19/04/2007)

Asuncion, Paraguay - Il racconto di Chantal Hulin, presidente di Justicia e Verdad: ha adottato tre bambine in Sud America, vittime di abusi agghiaccianti

Qualche tempo fa, erano i primi giorni del 2007, abbiamo incontrato Chantal Hulin durante i suoi giorni di visita in Italia. Era stata ospite della Funima International, la fondazione con sede a Sant'Elpidio a Mare che si occupa dei bambini poveri delle Ande argentine. La dottoressa, presidente dell'associazione Justicia y verdad, da anni si batte invece in Paraguay per offrire assistenza medica ed aiuti ai bambini di strada, migliaia di giovanissimi che vivono in uno stato di povertà estrema, senza cibo, né vestiti, né casa, Bambini che spesso vengono venduti per pochi denari a pedofili o mercanti d'organi.

Una realtà terribile contro cui Chantal e i suoi collaboratori combattono giorno dopo giorno. Ci eravamo lasciati, con Chantal, con una promessa: "Faremo la prossima intervista quando avrò tirato fuori per sempre dalla strada un bambino, gli avrò dato un futuro ed un lavoro. Tornerò in Italia con lui e ti racconterà la sua storia". Per l'intervista ci sarà tempo. Quel che conta e che a pochi mesi da quella promessa, di bambini, dalla strada, Chantal ne ha tirati fuori già tre, che stavano vivendo esperienze agghiaccianti. Lo ha fatto aprendo una nuova casa di accoglienza. Ci racconta tutto, davvero tutto, sulla storia di Adelaida, Belen e Giselle in questa relazione

"Indipendentemente da tutti i nostri programmi già stabiliti e dai nostri schemi di lavoro all'interno dell'Associazione Giustizia e Verità, nei giorni precedenti la Settimana Santa la nostra mente e il nostro spirito sono stati toccati: dovevamo dare una risposta a una richiesta. Una richiesta estremamente vincolante.Una richiesta che veniva dalla bocca di tre bambine di 10, 12 e 13 anni. E di un bambino di 12 anni."Bambini in stato di abbandono totale, bambini che dormono nella strada in via Eusebio Ayala, in pieno centro nella Città di Asuncion, Capitale del Paraguay.Questi bambini ci hanno implorato di poter vivere con noi, ci hanno detto di non voler più vivere per strada per evitare di fare quello a cui erano costretti .L'idea di una casa di accoglienza per bambini rientrava già nel nostro piano di lavoro, ma a lungo termine e in un luogo più lontano da Asuncion.Però la richiesta di aiuto è arrivata ora. Adelaida, di 12 anni, è obbligata dalla madre a ballare in feste per pedofili che vengono organizzate in una casa privata su cui noi, come Associazione Giustizia e Verità, stiamo già investigando."Inoltre Adelaida è stata obbligata a praticare sesso orale per meno di 6 euro; sono ricordi di cui Adelaida con le lacrime agli occhi non riesce a parlare con precisione perchè per fare ciò "una signora con i capelli biondi" le faceva prendere una pasticca di colore bianco e un bicchiere di alcool. Adelaida è seduta di fronte a me nel dispensario medico in un pomeriggio afoso e mi dice: "Zia, per favore, portami a vivere con te, io non voglio più fare quello che mia mamma mi costringe a fare, perchè dopo vomito qualcosa di colore bianco".Piange soltanto. La abbraccio e le dico che cercheremo una soluzione."Anche Belen, 10 anni, la sorella di Adelaida, è stata portata alla stessa festa per pedofili. Belen ricorda che questa

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festa si svolgeva ogni sabato, ma non sa dove si trovi la casa. Ricorda soltanto adulti, uomini e donne, ricorda anche che la casa è "troppo bella", sono i termini che usa per esprimersi, ricorda che ci sono auto bellissime. Belen mi dice: "Zia, siccome io non so ballare come Adelaida mi facevano stare con altre bambine e ci chiedevano di toccarci tra di noi."Belen non ricorda molto, mi dice che le facevano prendere una pastiglia di colore bianco e una bibita in una lattina di colore giallo con la figura di un cane nero. Secondo me si tratta di "Dark Dog", una bibita energizzante che mescolata a derivati dei benzodiazepinici come il clonazepan o altri, produce amnesia; questo significa che si può ricordare soltanto spazi di tempo o momenti, o addiritura niente."Belen mi chiede anche: "Zia, voglio venire a casa tua con mia sorella, non voglio più andare con "quel signore". Belen, nonostante la sua piccola età, è più forte e decisa perchè mi dice: "...se tu non mi porti a casa tua, io non mi farò trovare da mia madre, io so già sopravvivere in strada da sola". Abbraccio Belen e le ripeto come già avevo detto ad Adelaida che troveremo una soluzione. Giselle di 13 anni, è fuggita da sua madre e mi ha raccontato che il suo patrigno la toccava."Giselle ha già le mestruazioni e piange perchè crede di essere incinta. Ma dopo una visita medica ci rendiamo conto che non c'è stata penetrazione e la bambina pensa che soltanto essendo toccata può rimanere incinta, l'abbiamo quindi risollevata dai suoi timori.Nessuna di loro va a scuola, Giselle sa leggere e scrivere un po'. Adelaida e Belen no."In questo momento dobbiamo dare una risposta alla richiesta di questi bambini. Una risposta veloce, effettiva, urgente, di soccorso.Una risposta che pensavamo di dare fra un anno ma che ci piomba addosso all'improvviso.Una risposta che non accetta tiepidezza, ne sfumature. E' il momento di definirci. Freddo o Caldo. Bianco o Nero. Si o No alla vita di questi bambini. Parliamo con un avvocato, si tratta dell'ex Ministro dell'Infanzia e dell'Adolescenza che conosce Giorgio e conosce la nostra opera all'interno dell'Associazione Justicia y Verdad. E' la D.sa. Mercedes Buzzo che, in seguito a diverse denunce, ha perso l' incarico di Ministro."Ancora una volta la corruzione del Paraguay, ai più alti livelli politici, vuol far tacere la verità. Lei ci consiglia e ci indica i passi da seguire. A casa non abbiamo spazio. Dove possono stare i bambini?! Per caso, proprio due settimane fa, sono rimasti vuoti due appartamenti con stanze ampie e bagni che si trovano nella stessa proprietà dove viviamo e la stessa agenzia immobiliare ci ha chiamato a casa per dirci che c'era una persona interessata ma se noi desideravamo prendere in affitto gli appartamenti ci avrebbero dato la priorità. Il cielo ci stava dando un segno chiaro."I fratelli spagnoli di " Mani per il Mondo", ci hanno chiamato per dirci che sono riusciti a trovare più di 10 adozioni a distanza per il Paraguay. Avevamo già quindi le risorse economiche. Martedì sera ho tenuto la riunione definitiva con Graciela e Osmar per prendere una decisione: creare una casa di accoglienza, non solo per dormire ma governativa (come ci ha spiegato la D.sa. Buzzo). E senza pensarci troppo ci siamo determinati."Abbiamo parlato con le madri, temendo che non ci avrebbero dato il loro consenso dato che le bambine per loro rappresentano una fonte di guadagno. Negoziamo, è una triste parola ma è così, negoziamo la vita di queste bambine con le proprie madri e ancora una volta Cristo è presente. Le madri hanno detto sì. Sono pronte a firmare i documenti legali pertinenti. La custodia di queste bambine è a nostro favore. All'inizio sarà a mio nome davanti al giudice dei minori, poi a nome dell'associazione Justicia e verdad."Adelaida, Belen e Giselle sono già a casa. Fino a ieri hanno dormito insieme a noi su materassi improvvisati nel salone.Oggi abbiamo comprato i letti, il guardaroba, tutto ciò che necessita. Non hanno niente. Non vogliono entrare in casa nemmeno con i vestiti che hanno addosso. Ci dicono che non vogliono tenere niente che ricordi loro la cattiveria, le cose brutte, la sporcizia.Dobbiamo ancora parlare con la madre di Nelson, il polacco, il primo a chiederci di voler lasciare la strada, perchè lei non vuole. Nelson ha 11 fratelli e lui è quello che porta più soldi ogni giorno. Ma non tutto è deciso...Finalmente l'Opera dell'Associazione Culturale Giustizia e Verità, che il 18 aprile 2007 compirà 2 anni, l'Opera di Giorgio Bongiovanni, e l'opera del Cristo, non è più solamente sollievo e assistenza ma diventa riscatto dei nostri bambini. Grazie a tutti, grazie a Bongiovanni, grazie a Raoul Bagatello, grazie alla Funima Internationa, grazie Padre Santissimo e Madre Protettrice dei figli".

La storia d'amore continuae abbraccia nuovi bambini

Cari fratelli e amici:Mesi fa quando Nelson "il polacco" ci diceva che non voleva più vivere in strada, non potevamo intuire ciò che si sarebbe presentato a noi. Come il leader che è, al "polacco" non bastava lasciare la strada, voleva in casa con noi anche i suoi fratelli minori, almeno quelli che lavoravano con lui.Oggi 3 giugno 2007 abbiamo mantenuto la promessa.Uno a uno abbiamo riunito i fratelli di Nelson e oggi un altro bambino, Joni di 7 anni, non dorme più in strada , dorme in una casa insieme ai suoi fratelli.Adesso i membri di questa casa "Desde la Luz" (Dalla Luce) sono otto:Le bambine: Giselle, Adelaida, Belen e Natalia.I bambini: Nelson, Brian, Moises e Joni.Grazie Giorgio Bongiovanni…

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Abbiamo riscattato 4 bambini da uno stato di abbandono totale che dormivano su un cartone ogni sera per strada…E 4 bambine riscattate dalle mani di pedofili e dalla prostituzione infantile…. Certamente stiamo seguendo i passi di questi pedofili!!!Grazie alla tua opera in Sudamerica…Grazie a tutti i nostri fratelli nella luce, Funima International, Funima Argentina, Manoj pro la Mondo e tutte quelle anime che in qualche modo rendono possibile questa lotta contro il buio…Con tutto l'amore di questi innocenti!!!

Chantal HulinAssociazione Culturale Justicia y VerdadAsuncion (Paraguay)

Un giorno senza fame ne' freddo....

NESSUNO E' PREPARATO PER IL FREDDO...ANCORA MENO IN PARAGUAY...E ancora meno le famiglie che vivono per strada...

Il governo non è uscito in strada in questi giorni, in cui il termometro ha registrato temperature sotto 0° per distribuire nemmeno una coperta....

In questi giorni in cui non sapevamo se dare assistenza ai pazienti con bronchite, neumonia, asma, oppure preparare latte caldo, cibo caldo, oppure distribuire cappotti, oppure prendere i bambini che dormono in strada, oppure offrire assistenza agli indigeni che in Piazza Italia reclamano un pezzo di terra; terra che per diritto appartiene a loro...Abbiamo cercato di fare un pò di tutto e il PADRE, che dà tutto, ci ha dato la possibilità di organizzare un pranzo per oltre 200 persone. Certamente BAMBINI...

Così il sabato 2 giugno abbiamo deciso di organizzare nella piazza che si trova dietro il dispensario, un pranzo con l'ingrediente principale, cioè, cucinare sul posto.Ancor di più...Le madri della strada volevano cucinare loro stesse...

La coscienza sta cambiando. Dopo due anni...Adesso non ci rubano più...Adesso vengono per primi i bambini e non i loro compagni, molti di loro alcoolizzati, ex drogati o violentatori...Adesso cominciamo ad essere una famiglia!! Una comunità!!

Pentole in mano, legna, carbone, abbiamo cucinato tagliatelle calde per 150 bambini e se fosse avanzato qualcosa avrebbero mangiato gli adulti...

Ed è avanzato, avanzato e avanzato... abbiamo mangiato tutti... Tutti!!!

I bambini hanno giocato a pallone, molti di loro senza scarpe ma il Padre Sole scaldava tutto...

La notizia del pranzo si diffonde, arrivano persone della Televisione per fare un'intervista...

Fa così freddo, che un pranzo caldo non soltanto riempie lo stomaco ma riscalda anche l'anima...

Non c'è molto da dire, ma c'è molto da sentire e soprattutto molto da fare, in un paese dove l'ingiustizia è il nostro pane quotidiano, la delusione, l'abbandono e la miseria martella lo spirito di questi esseri che giorno dopo giorno vivono sulle strade di Asuncion, per molte persone fanno parte del paessaggio, per altri ANNUNCIANO UN CAMBIAMENTO CHE E' VICINO...

La Giustizia e l'Amore, l'Amore e la Giustizia, sono diventate una sola cosa quel mezzogiorno, con IL PADRE SOLE come testimone e LA TERRA come MADRE protettrice.

A nome di tutte le mani operative che rendono possibile questa realtà...

Chantal Hulin Associazione Giustizia e Verità 2 giugno 2007

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CIPSI - Coordinamento di iniziative popolari di solidarietà internazionale

Il CIPSI è un coordinamento nazionale, nato nel 1982, che associa 41 organizzazioni non governative di sviluppo (ONGs) ed associazioni che operano nel settore della solidarietà e della cooperazione internazionale. Il CIPSI è nato con la finalità di coordinare e promuovere, in totale indipendenza da qualsiasi schieramento politico e confessionale, Campagne nazionali di sensibilizzazione, iniziative di solidarietà e progetti basati su un approccio di partenariato. Opera come strumento di coordinamento politico culturale e progettuale, con l'obiettivo di promuovere una nuova cultura della solidarietà.

I principali ambiti operativi sono:

promozione e gestione di progetti di lotta alla povertà basati su un approccio di partenariato, il sostegno ad attività produttive tramite il microcredito o tramite programmi consortili a livello tematico o geografico;

formazione di operatori, educatori e quadri per Associazioni di cooperazione; sensibilizzazione e responsabilizzazione dell'opinione pubblica sul piano dei comportamenti solidali attraverso

attività di Educazione allo Sviluppo (EaS), Campagne, in ambito scolastico ed extrascolastico, scambi culturali e gemellaggi;

coinvolgimento delle Istituzioni locali, nazionali ed internazionali, a sostegno delle attività promosse dalle Organizzazioni associate e delle richieste formulate dai partner del Sud.

E' membro dell'Associazione delle ONG italiane e aderisce alla Tavola Nazionale della Pace. Inoltre è tra i fondatori del Comitato Italiano per un Contratto Mondiale sull'Acqua.

I nostri numeriAl CIPSI aderiscono attualmente 41 Associazioni di cooperazione internazionale, a struttura nazionale ed europea, operanti in 56 Paesi di Africa, Asia ed America Latina, con progetti a sostegno di iniziative locali di sviluppo nel Terzo mondo. A livello di articolazione territoriale, attraverso le Associazioni aderenti, il CIPSI è presente con 180 gruppi periferici, 30.000 soci e oltre 100.000 sostenitori.

Le nostre pubblicazioniIn Italia il CIPSI opera nel settore dell'informazione a vari livelli. Attraverso il sito www.cipsi.it ed una newsletter mantiene aperto il contatto con quanti vogliono essere aggiornati sulle attività della cooperazione internazionale, del coordinamento e delle pubblicazioni edite dal CIPSI e dalle proprie associate. Pubblica la rivista Solidarietà Internazionale, bimestrale che offre un utile strumento di lavoro e confronto sui temi dei diritti fondamentali e della cooperazione.

Le attività di formazioneOgni anno il CIPSI organizza dei corsi di primo e secondo livello volti a formare e specializzare operatori impegnati nella cooperazione e solidarietà internazionale. In particolare in estate si svolge il corso di 1° livello, diretto a chi vuole apprendere le conoscenze di base per operare nelle associazioni impegnate nella cooperazione internazionale e nelle attività di sensibilizzazione sui temi dell'interculturalità, in primavera ed autunno si svolgono i corsi di 2° livello sul ciclo del progetto e sulle attività di EaS, indirizzati a chi opera già in associazioni od ONG.

LA FUNIMA INTERNATIONAL, ASSOCIAZIONE ONLUS DI SANT ELPIDIO A MARE (AP) E' ENTRATA A FAR PARTE DEL COORDINAMENTO NAZIONALE DEL CIPSI DURANTE L'ASSEMBLEA NAZIONALE DELLO STESSO CHE HA AVUTO LUOGO A BOLOGNA IL 26 E IL 27 MAGGIO. (www.funimainternational.org)

<<L'Assemblea nazionale delle 41 associazioni che compongono il CIPSI - coordinamento di iniziative popolari di solidarietà internazionale- riunitasi a Zola Predosa (Bologna) il 26 e 27 maggio ha sottolineato la necessità di "rinascita" della cooperazione internazionale e la necessità di una solidarietà globale, a tutela dei diritti e dei beni comuni di tutti gli esseri umani dei paesi impoveriti del Sud del mondo, come degli emarginati in Italia e nel Nord del mondo.Nel corso dei lavori l'assemblea del CIPSI - coerentemente con l'impegno alla lotta alla miseria anche nel Nord del mondo - ha accolto l'ingresso di tre nuove organizzazioni.>>

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Un manifesto francese sull'economia solidale

(associazione CRE-SOL)

(Traduzione dal francese di Stefania Mancini e Jean Paul Rizzi)

Nota della redazione: Questo manifesto è senz' altro interessante, tuttavia, mettendolo in relazione con le esperienze che stiamo portando avanti in Italia, si può osservare che per "economia solidale" si intende principalmente l'economia sociale del "terzo settore" e che gli obiettivi sono più limitati. In fondo si può leggere esplicitamente la seguente frase: "L'economia solidale di prossimità ha l'ambizione, non sicuramente di sostituire l'economia di mercato, ma di attaccarsi ai problemi dei meno abbienti e ai bisogni individuali e collettivi abbandonati dal mercato e dallo Stato."Va tenuto presente che in Francia ci sono varie altre associazioni che si occupano di economia solidale.

Il profitto non può essere l'unica finalità dell'attività economica

Dominata dal capitalismo finanziario, drogata dalle nuove tecnologie, i progressi folgoranti del commercio mondiale, la sovramoltiplicazione degli scambi finanziari, l'economia tende a liberarsi da ogni costrizione sociale in nome della competitività. Produce delle ricchezze impressionanti, ma molto iniquamente ripartite. Crea dei posti di lavoro, ma genera anche precarietà, insicurezza e a volte l'esclusione delle persone. Ignora i bisogni individuali e collettivi pressanti, se non le sembrano abbastanza redditizi. Fa dipendere l'avvenire degli uomini, il loro lavoro, il loro reddito, il loro ruolo nella città, da decisioni spesso prese sotto la pressione di imperativi finanziari.Possiamo ridare un senso al nostro impegno personale e alla nostra vita collettiva? Possiamo ricreare un triangolo virtuoso tra impiego (lavoro), coesione sociale e democrazia partecipativa? Possiamo permettere ai più fragili di vivere degnamente del loro lavoro senza dipendere dalle prestazioni assicurative (assistenza sociale)? Siamo convinti di si. Pensiamo che l'economia solidale costituisca una potente resistenza contro l'individualismo mercantile che mina la società e che possa avere capacità d'influenza sull'economia di mercato.

L'economia solidale esiste, la pratichiamo tutti i giorni e aspiriamo al suo rapido sviluppo, il che presuppone che sia portata da uno slancio collettivo e che disposizioni concrete ne incoraggino la sua riuscita. Tali sono gli obiettivi di questo manifesto.

Che cos'è l'economia solidale? È un movimento che raggruppa migliaia di iniziative locali per produrre, consumare, impiegare, risparmiare e decidere diversamente. Le imprese solidali lottano sul mercato come le altre e devono dunque essere concorrenziali. Ma in più, impiegano persone escluse o che rischiano di esserlo, forniscono servizi individuali a persone con basso reddito, assicurano servizi collettivi per vivere meglio e insieme, mettono in opera forme di governanza democratica. Producendo contemporaneamente valore aggiunto mercantile e valore sociale. Sono sostenute da risorse miste, che comprendono il pagamento dei clienti, gli aiuti nazionali e locali e gli investimenti personali volontari.

Certe attività dell'economia solidale sono ben conosciute: imprese adattate ai portatori di handicap, alloggi per gli esclusi, educazione popolare, aiuto alle persone, accesso alle attività del tempo libero per i meno abbienti, riciclaggio, protezione dell'ambiente. Ma da tre decenni, di fronte alla crescita delle esclusioni, nuovi settori sono stati esplorati. L'inserimento tramite l'attività economica, che reinserisce nel mondo del lavoro disoccupati di lunga durata, impiega oramai dalle 250 000 a 300 000 persone. Il commercio equo sostiene i piccoli produttori del terzo mondo. Donne immigrate si lanciano insieme nella produzione di servizi. Delle regie di quartiere si creano in città dove la redditività non è assicurata, etc.

L'economia solidale è presente ovunque si promuova la ricerca del bene comune, l'impiego dei più svantaggiati. È un'economia di prossimità in piena espansione, dalla quale gli impieghi non possono essere delocalizzati. È figlia di due lunghe tradizioni, quella del movimento operaio e quella dell'economia sociale (mutue, cooperative, associazioni) con le quali condivide una comune aspirazione ad una società di uomini liberi e uguali nei diritti. Si coniugano e si sostengono reciprocamente. Così, le banche, le assicurazioni mutualistiche, le casse pensionistiche, ecc. sono degli attori importanti del finanziamento dell'economia solidale che prende spesso lo statuto giuridico dell'economia

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sociale.

Alla vigilia di importanti scadenze elettorali, vogliamo puntare i proiettori su questo vasto "Terzo settore"; non ha la visibilità delle aziende quotate in borsa, ma occupa un numero considerevole di salariati che non vengono assunti né dal settore pubblico né dal settore privato. Aspiriamo al suo rapido sviluppo, ma questo presuppone uno slancio collettivo e delle disposizioni concrete per incoraggiare la sua riuscita. Il nostro obiettivo? Raddoppiare il suo campo in cinque anni per rinforzare l'impiego, la coesione sociale e la democrazia partecipativa. Per farlo, ecco dieci proposte concrete.

1. Cittadini, vivete solidali. Investitevi in tutte le iniziative che si preoccupano dell'uomo e del suo ambiente. Accostatevi al commercio equo che remunera i produttori al loro giusto prezzo. Partecipate ai gruppi di consumatori e di produttori privilegiando così le filiere corte dal produttore al consumatore. Rivolgetevi alle aziende di servizio, di produzione, di riciclaggio (vestiario, elettrodomestici, ecc.) che impiegano molte persone a rischio di esclusione o handicappati. Riconciliate l'atto di consumo con il desiderio di solidarietà. Date un senso solidale ai vostri risparmi. Date del vostro tempo a quelli che ne hanno bisogno.

2. Dipendenti, risparmiate solidale. Dal 2001, potete dare una parte delle vostre remunerazioni a dei Fondi salariali solidali creati nelle grandi aziende o gruppi di aziende. Il loro volume complessivo è già raddoppiato tra il 2004 e il 2005. Una frazione di questi fondi -5 a 10%- è investita in aziende solidali, percentuale sulla quale il risparmiatore ritrova il suo capitale iniziale ma rinuncia ai suoi interessi. Questa capacità di investimento solidale potrebbe raggiungere 200 milioni di euro da qui a cinque anni. E' possibile andare ben oltre. A due condizioni: assicurarsi della sua promozione e migliorare la regolamentazione.

3. Studenti, attivisti, sindacalisti, militanti delle associazioni, diventate imprenditori solidali. Prepariamo i candidati a questi mestieri difficili, proponendo loro delle formazioni di qualità, affiancandoli nei loro progetti. Sono queste delle sfide decisive: nessuna impresa senza imprenditori qualificati.

4. Collettività pubbliche, acquistate solidale. La legge permette di fare eseguire una parte degli appalti pubblici dello stato, delle collettività locali, dei finanziatori sociali da imprese solidali. Ma queste clausole sociali sono spesso ignorate per mancanza di volontà politica e anche per mancanza di comprensione reciproca. Create la figura del facilitatore sociale che concili gli obblighi tecnici di chi da ordini e le capacità operazionali delle aziende di costruzione, dei lavori pubblici, della manutenzione degli spazi verdi, delle pulizie, della sorveglianza, della restaurazione.

5. Regioni, contribuite allo sviluppo dell'economia solidale. Forti della vostra doppia competenza in sviluppo economico e in formazione, appoggiate gli operatori che orientano e accompagnano i portatori di progetti attraverso la selva amministrativa e finanziaria. Facilitate il dibattito democratico attorno ai loro progetti. Organizzate l'assegnazione degli aiuti regionali allo start-up del progetto e i sostegni duraturi alla loro messa in cantiere. Assicurate una valutazione periodica dei risultati ottenuti. Badate a destinare il 15% del vostro budget di azione economica all'economia sociale e solidale stipulando contratto di progetto con lo Stato e lavorando strettamente con i dipartimenti e i comuni.

6. Dipartimenti, appoggiatevi sull'economia solidale per assumere le persone in grande difficoltà. Aldilà dell'imperativo morale di ridare loro uno spazio nella società, tutto dimostra che il sostegno all'economia solidale è un investimento redditizio per le finanze pubbliche. Ritrovando un lavoro, queste persone diventano dei produttori di ricchezza e dunque di imposte e contributi sociali

7. Investitori, assumete dei rischi sull'economia solidale. La "Caisse des Dépôts" (Casse di Risparmio) ne ha la tradizione e le banche mutualistiche lo fanno da lunga data, perché è conforme alla loro vocazione sociale e perché ci guadagnano clienti stabili. Le reti di finanza solidale, come France Active, sanno investire i risparmi solidali in progetti dei quali la validità è stata valutata e consolidata. Il capitale-rischio solidale è soltanto ai suoi inizi. Tutte le banche possono dimostrare che sono socialmente responsabili iscrivendo delle loro azioni in tal senso, nel loro rapporto annuale.

8. Imprese, cooperate con l'economia solidale. Le aziende solidali non sono delle concorrenti ma delle partner che possono dare un senso al vostro impegno sociale e possono rafforzare il vostro ancoraggio al territorio. Lavorate con loro sotto forma di cooperazione, con ricorso ai loro servizi e al loro personale o facendo degli accordi di co-appalto o di subappalto. Incoraggiate e spingete i vostri salariati verso il risparmio solidale. Tutto questo vale particolarmente per le aziende dell'economia sociale che possono stipulare dei fruttuosi accordi con l'economia solidale.

9. Sindacati, coinvolgetevi nell'economia solidale. Sviluppate il risparmio salariale solidale nelle imprese. Sensibilizzate gli organismi rappresentativi dei salariati (comitati d'impresa, ecc.) alle iniziative dell'economia solidale. Infine, siate innovatori affinché i dipendenti delle aziende solidali abbiano le stesse possibilità di rappresentazione dei

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lavoratori delle aziende classiche.

10. Allo Stato infine di lanciare un Piano a favore dell'economia solidale e rispettarlo. Questa economia si sviluppa con la sperimentazione, il volontariato e l'iniziativa locale. Ma ha anche bisogno della solidarietà nazionale, ciò che la rende molto vulnerabile ai cambiamenti incessanti delle direttive pubbliche. Ecco perché lo stato deve definire un quadro giuridico snello e stabile, sostenere l'economia solidale con degli aiuti alla persona, con dei co-finanziamenti delle iniziative delle Regioni e dei Dipartimenti, che si inserirebbero molto naturalmente nei contratti dei progetti pluriennali in corso di negoziazione. Deve anche vegliare alla perennità e allo sviluppo dell'economia solidale facendosi garante, a lungo termine, dei finanziamenti che le sono destinati (economia solidale).

L'economia solidale di prossimità ha l'ambizione, non sicuramente di sostituire l'economia di mercato, ma di attaccarsi ai problemi dei meno abbienti e ai bisogni individuali e collettivi abbandonati dal mercato e dallo Stato. Attraverso questa solidarietà attiva, vogliamo manifestare la nostra resistenza alla fatalità e la nostra fiducia nel progresso sociale e la democrazia. Questa ambizione vale anche per l'Europa e per il mondo. L'Europa non può costruirsi sulle sole forze del mercato. L'Europa aspira a più solidarietà, con dei risultati fin qui contrastanti e fragili. L'equilibrio economico mondiale è minacciato se non prende la via delle relazioni eque e se non si decide a risparmiare e a condividere le risorse.

Ai nostri concittadini che temono di perdere ogni sicurezza sul loro futuro e sull'avvenire dei loro figli, inviamo loro un messaggio di fiducia: l'economia solidale è creatrice di nuovi posti di lavoro e portatrice di grandi speranze.

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L'Economia Solidale come proposta politica di movimenti rurali intercontinentali cattolici

(a cura di Andrea Tronchin)

Dichiarazione finale del seminario internazionale MIIJARC - FIMARCLe Chant d'Oiseau -Bruselas 02- 09 maggio 2007

L'Economa Solidale

1) 34 giovani e adulti responsabili di movimenti rurali cristiani aderenti al MIJARC (Movimento Internazionale della Gioventù Agricola e Rurale Cattolica) e alla FIMARC (Federazione Internazionale dei Movimenti Adulti Rurali Cattolici), abbiamo condiviso le nostre esperienze di Economia Solidale. Provenienti da 16 paesi dei 4 continenti, abbiamo approfondito le possibili alternative di fronte alla dominazione del sistema capitalistico neoliberale.

2) A partire dai principali problemi che globalmente incontriamo nello specifico dei nostri continenti (accesso difficile alla terra, all'acqua, politiche agricole contro i contadini, disinteresse dei giovani per l'agricoltura contadina, divario crescente fra ricchi e poveri...) abbiamo valorizzato le multiformi esperienze di giovani e adulti nelle iniziative di economia solidale: lotte per l'accesso alla terra, formazione, creazione di gruppi per lo sviluppo locale, circuiti di produzione e vendita corti e alleanze strategiche fra produttori e consumatori. Purtroppo, la dimensione spesso ridotta e isolata di queste iniziative, ricche di esperienze innovative, fa si che esse siano poco incidenti di fronte all'economia neoliberale dominante.

3) Analizzando le esperienze di micro credito, del commercio equo e del settore delle imprese sociali, abbiamo individuato alcuni vantaggi: accesso al credito per i più poveri, garanzia di prezzi minimi garantiti ai prodotti agricoli, creazione di impiego per persone escluse dalle imprese classiche. Allo stesso tempo non mancano gli svantaggi: il micro credito può essere la via concreta di una logica capitalista che vuole spremere anche l'ultima goccia di sangue dei poveri. Le grandi imprese di distribuzione cercano di fare del commercio equo un prodotto aggiuntivo della loro già ampia gamma di prodotti, contribuendo così a distruggere definitivamente i mercati locali.

4) Il sistema neoliberale considera gli esseri umani solamente come agenti economici. Gli stati si fanno inesistenti di fronte alle multinazionali. Il motore dell'economia è il profitto finanziario che si alimenta delle speculazioni finanziarie

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che non hanno nulla a che vedere con le produzioni reali che rispondono ai bisogni dell'umanità. Sfrutta una democrazia formale però controlla la politica, i mezzi di comunicazione e il mercato. Utilizza un approccio scientifico che gli permette di affermare che non ci sono alternative possibili al modello imposto.

5) Siamo profondamente rattristati per la chiusura dei membri della nostra gerarchia ecclesiastica di fronte alla sofferenza delle popolazioni rurali e consideriamo inaccettabile la mancanza di una posizione ufficiale per condannare gli OGM nel loro duplice aspetto di distruzione della biodiversità e di privatizzazione degli esseri viventi. Anche noi siamo la Chiesa. Tutte le persone delle popolazioni rurali sono nostri fratelli e sorelle. Dobbiamo poterci esprimere liberamente senza paura, convinti della fecondità del cristianesimo, vigilanti, per porre l'uomo al centro, di fronte all'economia neoliberale che è una "struttura di peccato" (Sollicitudo Rei Sociales, N° 36, 37).

6) Di fronte a questo affermiamo che l'economia sociale e solidale non ha la funzione di coprire le carenze della politica, essa è una proposta politica, che deve dare una coerenza globale alle numerose iniziative della base e permettere di costruire una alternativa al sistema neoliberale.

7) L'Economia Solidale risponde alle necessità delle persone e delle comunità. É necessario che i produttori siano padroni della propria autogestione grazie ad una educazione permanente, ad un funzionamento democratico e partecipativo. La priorità va data alla persona e al suo lavoro e non al capitale. L'economia solidale privilegia lo sviluppo locale, mira all'equità di genere senza pregiudicare le risorse fondamentali per le generazioni future. Essa garantisce tutti i diritti fondamentali (alimentazione, alloggio, educazione, salute...), mentre il sistema neoliberale garantisce l'accesso alle risorse di base soltanto a coloro che già hanno le risorse finanziarie per potervi accedere.

8) I nostri movimenti, attori di trasformazione sociale, hanno come obiettivo quello di dare ai propri membri la gioia di iniziative e di lavori comunitari al servizio del Bene Comune. Siamo responsabili della valorizzazione della nostra metodologia "vedere, analizzare, attuare, valutare" per poter produrre analisi rigorose delle diverse realtà rurali, per concretizzare le nostre convinzioni e attuarle in solidarietà con i più poveri. Abbiamo valutato che i nostri comportamenti individuali e collettivi si pongono coerentemente in relazione con gli obiettivi di una vera solidarietà.

9) Le popolazioni rurali sono le prime vittime delle politiche neoliberali, specialmente i giovani, condannati a migrare per trovare lavoro. E questo aspetto accelera l'impoverimento di numerose regioni rurali, private della loro forza viva per il futuro. Per questo è urgente che vi sia la possibilità, libera e volontaria di scegliere l'Economia Solidale e permettere ai giovani di restare nei propri luoghi di origine, lavorando onestamente.

10) Siamo convinti della necessità di un approccio olistico, prendendo in considerazione la dimensione politica, culturale, sociale, ambientale come pure le particolarità del nostro mondo pluriculturale. Per questo è necessario investire nell'educazione di base, di agire legalmente per il rispetto dei diritti, specialmente per i più poveri, di mobilitarsi per convincere e fare pressione a tutti i livelli, dal locale all'internazionale.

11) Siamo mobilitati per avanzare nei nostri obiettivi dell'Economia Solidale e per mezzo di essa conseguire una vera Sovranità alimentare. Per questo chiediamo ai nostri politici di affermare chiaramente ed effettivamente la propria volontà politica per una Economia Solidale:- con la finalità di dare una prospettiva sostenibile alle iniziative di base già attivate;- con la finalità di invertire la direzione del sistema neoliberale che contamina tutto.

12) Abbiamo apprezzato la fecondità dell'intercambio sviluppato durante il seminario fra giovani e adulti vivendo le stesse realtà. Siamo coscienti che siamo all'inizio di un cammino lungo e difficoltoso. Però siamo convinti che "un altro mondo è possibile". Già esso è in costruzione, e noi siamo attori, specialmente nella costruzione di alleanze con i consumatori e i concittadini urbani. Ci siamo impegnati a:identificare le esperienze e le iniziative locali ed organizzarle in reti.

Organizzare la formazione teorica e pratica per rafforzare le capacità dei nostri membri e delle nostre organizzazioni.

Sviluppare gli scambi delle buone pratiche fra i movimenti del nostro continente al fine di capitalizzare le nostre esperienze per arricchire i nostri progetti ed influire sulle politiche pubbliche.

Referente per l' Italia: Andrea Tronchin - [email protected] Bosco Piano 6 - 37020 Arbizzano (VR) - ITALYTel / fax +39 045 7513083 cell. +39 347 4664 391

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Carta dei valori della Rete Brasiliana di Economia Solidale

CARTA DEI PRINCIPI

RETE BRASILIANA PER UNA SOCIOECONOMIA SOLIDALE2a Assemblea Nazionale per una Cultura ed una Economia Sociale di SolidarietàGuarapari, 30 maggio/6 giugno 2004esto in verdana 12

1. La RETE BRASILIANA PER UNA SOCIOECONOMIA SOLIDALE è una struttura che mette in relazione organizzazioni, imprese autogestite e individui impegnati a favorire la costruzione di pratiche associative per lo scambio solidale di beni, servizi, informazioni, sapere, amicizia e mutuo aiuto tra i suoi membri.

2. La Rete si identifica come un agente autonomo e solidale tra i vari attori che lavorano alla costruzione di un'economia basata sui valori della democrazia, della cooperazione, della reciprocità, del rispetto della diversità, della sostenibilità ecologica, della giustizia sociale, dell'equità, della complementarietà, della solidarietà e dell'amicizia.

3. La Rete cerca di promuovere cultura e socioeconomia solidali come nuove modalità di organizzazione dell'economia e della società umane, dal livello locale a quello globale. Tutte le forme organizzative della socioeconomia solidale dovrebbero preservare la loro autonomia da partiti politici e da organizzazioni religiose.

4. La Rete sottolinea il ruolo centrale che donne e uomini debbono avere nei sistemi di socioeconomia solidale, godendo di uguali diritti di partecipazione, potere decisionale e di possibilità di attuazione, mettendo in accordo in modo solidale le diversità che ci caratterizzano come esseri umani, abolendo ogni forma di oppressione, di dominio, di pregiudizio e di esclusione, specialmente quelli che hanno tenuto sottomesse le donne nel corso della storia.

5. La Rete concepisce il lavoro umano, il sapere, la sensibilità etica e la creatività come valori centrali della società e cerca di adottare pratiche di vita e di lavoro che utilizzino il tempo delle persone e la loro energia per svilupparne liberamente ed eticamente il potenziale umano.

6. La Rete agisce per promuovere i diritti sociali, politici, culturali e ambientali e, in modo particolare, i diritti economici dei lavoratori. Le attività economiche della Rete sono dirette a permettere a tutti di condividere solidarmente il possesso, il controllo e la gestione dei beni di produzione e le risorse, le conoscenze, la tecnologia e i benefici generati dalla produzione, dal commercio e dal consumo.

7. La Rete si definisce come uno strumento di promozione del recupero e della valorizzazione delle culture, delle tradizioni e della saggezza dei popoli tradizionali e delle loro economie basate su reciprocità e solidarietà.

8. La Rete ritiene lo sviluppo economico e tecnologico non un fine, ma semplicemente un mezzo al servizio dello sviluppo umano, sociale, etico ed ecosostenibile.

9. La Rete ritiene che una Società solidale, in particolare per quanto riguarda gli ambiti del lavoro, della produzione e del consumo, sia l'agente conduttore del suo sviluppo. Le organizzazioni statali e di governo multilaterali dovrebbero essere attori sussidiari dello sviluppo autogestito dalla Società. E' compito dello Stato, al servizio della Società, assicurare che il progetto di sviluppo, democraticamente formulato, sia condotto in modo armonico e che vengano messe in atto politiche pubbliche che garantiscano l'accesso di tutti ai beni e alle risorse della produzione e della riproduzione, e la giusta distribuzione del reddito e della ricchezza.

10 La Rete asserisce che le lavoratrici e i lavoratori sono anche consumatori: il modo di consumare definisce il tipo di società che abbiamo. il primo passo verso la costruzione di un'economia equosolidale è quello di consumare in modo etico, responsabile e solidale. la definizione dei bisogni e dei desideri degli individui e delle comunità è alla base della pianificazione di ciò che si deve produrre, con quale tecnologia, in che quantità e qualità, salvaguardando l'equilibrio degli ecosistemi e promuovendo in modo etico l'esercizio delle libertà pubbliche, individuali e sociali.

11 La Rete individua, tra le varie modalità organizzative, almeno sette settori di attività equo solidale

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Consumo etico e solidale Produzione autogestiti, solidale ed ecosostenibile Commercio equosolidale Finanza e gestione del denaro equosolidali Condivisione delle tecnologie e dei saperi Cooperazione nei settori educativo e culturale Pluralità di dialogo nella comunicazione

12. I criteri minimi per la partecipazione alla Rette sono:

L'impegno etico e politico alla democrazia basata su partecipazione, autogestione e solidarietà La promozione dell'uguaglianza dei diritti e l'assenza di discriminazione di genere, appartenenza etnica,

religione, appartenenza generazionale e ordinamento sessuale. L'impegno ad adottare pratiche dirette a preservare l'equilibrio degli ecosistemi, riducendo i rifiuti e

promuovendo consumi ecocompatibili, il riutilizzo e il riciclo L'assenza di pratiche basate sullo sfruttamento del lavoro umano La difesa dei beni comuni, come l'acqua, la terra, l'aria, la biodiversità, come beni che non possono essere

privatizzati né mercificati La pratica e la promozione dell'istruzione nell'ottica dell'autogestione e della solidarietà

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Carta dei valori della rete spagnola REAS

REAS - Red de Redes de Economía Alternativa y SolidariaRete di Reti di Economia Alternativa e Solidale

(Traduzione dallo spagnolo di Valeria Bochicura)

Esistono molti problemi sociali che hanno origine nel fatto che non si adattano obiettivi e strutture alle persone ma avviene il contrario.L'economia ha finito con l'essere il fine e non il mezzo per migliorare la qualità della vita della società intera.La competizione economica esige una velocità e un sistema adatto a conseguire rapidamente uno "stato di benessere". Ma quale benessere, per chi e con quali obiettivi?Riteniamo cosa su cui riflettere il fatto che 250 persone possiedano tanta ricchezza quanta il resto del mondo.Noi vogliamo creare strutture economiche solidali, non escludenti, non speculative, dove le persone e il loro ambiente sociale siano il centro, il fine e non il mezzo per conseguire condizioni di vita dignitose per tutti.

Vorremmo incontrarvi poiché le idee e le realtà solidali già esistono e da molti anni migliaia di persone lo stanno rendendo possibile.Qui presentiamo la proposta a tutti i settori sociali, economici, politici come luogo di incontro, riflessione partecipazione, adesione e comunicazione.

CARTA SOLIDALE

Oggi l'umanità si trova di fronte ad alcune sfide fondamentali

Crisi economica:Crisi delle economie locali o nazionali a vantaggio dei grandi gruppi finanziari sovranazionali, che priorizzano il capitale a svantaggio del lavoro e deregolamentando i mercati.Crisis del lavoro:Instabilità crescente, degrado condizioni di lavoro, competizione sociale sleale, delocalizzazione del lavoro.Crisi sociale:Distribuzione sempre meno equa della ricchezza trai continenti e all'interno di ogni paese, esclusione, isolamento

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violenza.Crisi umana:Mancanza di prospettiva per il futuro, consumismo sfrenato, individualismo, perdita di ideali.Crisi política:Svalutazione della azione del potere pubblico e dei politici, fragilità de la democrazia e della nozione di cittadinanzaCrisi ambientale:Inquinamento crescente, accumulazione di residui, desertificazione, riduzione della biodiversità, effetto serra.

Di fronte a queste sfide, bisogna costruire urgentemente un nuovo modello di società e ridefinire il luogo della economia che deve essere solidale e al servizio delle persone

E' possibile un mondo solidale?

L' economía solidale: vuole promuovere uno sviluppo durevole integrando le necessità delle generazioni presenti e future.Ha come obiettivo la crescita di ogni esser, e umano e che ognuno possa equilibrare al meglio, nella sua vita, il tempo dedicato alla formazione, al lavoro, al volontariato e alla vita familiare e personaleL' economia solidale partecipa concretamente nella lotta contro le cause di esclusione sociale e la povertà e non solamente contro le loro conseguenze.

E' uno spazio di sperimentazione di promozione di nuove forme di distribuzione dei benefici e dei tempi di lavoro.Da qui in avanti l'economia solidale è una strada alternativa alla costruzione della società futura

E' basata sulla tolleranza, libertà, democrazia, trasparenza, equità e apertura al mondo.

I 6 principi della Carta

1 UguaglianzaSoddisfare in maniera equilibrata gli interesse di tutti i protagonisti interessati alle attività di impresa o organizzazioni.2 LavoroL'obiettivo è creare impiego stabile e favorire l'accesso a persone svantaggiate o poco qualificate.Assicurare a ogni membro del personale condizioni di lavoro e remunerazione adeguata e degna, stimolando la crescita personale e l'assunzione di responsabilità.3 AmbienteFavorire condizioni azioni prodotti e metodi di produzione compatibili con l'ambiente a breve e medio periodo.4 CooperazioneFavorire la cooperazione al posto della competizione.5 Senza carattere di lucroLe iniziative solidali non avranno scopo di lucro se non la promozione umana e sociale, che significa anche equilibrio di entrate usciteI possibili benefici verranno ripartiti a scopi particolari tramite appoggio a progetti sociali, nuove iniziative solidali o programmi di cooperazione allo sviluppo.6 Impegno col territorioLe iniziative solidali saranno pienamente inserite nell'ambiente sociale in cui si svilupperanno, che esige la cooperazione con altre organizzazioni che si occupano del territorio come unico cammino possibile per generare un modello socio-economico alternativo.

*(lavoratori, imprenditori, soci della associazione o azionisti dell'impresa, clienti fornitori, comunità locali, nazionali e internazionali..)

Chi aderisce alla Carta

Si impegna a:

Dar risposta ai sei principi di base e scegliere obiettivi principali Controllare regolarmente se le pratiche sono coerenti ai principi si cui ci si è impegnati, rimediando a

errori eventuali e pubblicando un bilancio solidale annuale Associare in questa gestione le persone occupate.

I criteri complementari

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Hanno a che vedere con il mdo in cui l'impresa o l'associazione è gestita e strutturata , cosa produce e il suo impegno a promuovere una società più equa.

E' illusorio pensare di soddisfare la totalità di questi criteri poiché sono quelli di una impresa ideale. Ogni membro però in una prima fase identificherà i suoi punti di forza e di debolezza rispetto al compimento di questi criteri secondo una propria scala di valori. In una fase successiva si formalizzano i criteri che saranno oggetto di uno sforzo particolare entro una data precisa.

La applicazione di questi criteri necessita ovviamente di tener conto della realtà locale e regionale e delle condizioni specifiche del settore di attività.

Criteri complementari

AI prodotti,. servizi, azioni proposte e realizzate contribuiscono a migliorare la qualità della vita.

BL'impresa deve essere integrata con il territorio dal punto di vista economico, sociale e ecologico. Deve cercare di ridurre le spese a carico della comunità. Dialoga regolarmente con gruppi e persone tramite le sue attività.

CL'impresa si gestisce nella maniera più autonoma possibile rispetto alla politica e al potere o a qualsiasi ente terzo che la finanzi.

DAdotta una posizione critica rispetto agli eccessi indotti dall' approccio produttivista, competitivo e ipertecnologico.

ESviluppa relazioni commerciali eque.

FLa circolazione delle informazioni è assicurata dentro e fuori la impresa.

GI lavoratori sono coinvolti nelle decisioni che riguardano il loro lavoro e il futuro della impresa con processi che favoriscono la democrazia interna.

HLe differenze di salario sono definite e controllate collettivamente.

ISi creeranno formule di divisione di responsabilItà accompagnate per poter creare nuovi posti di lavoro.

JSi farà una particolare attenzione alla qualità del lavoro e a un miglioramento della qualificazione di tutto il personale, grazie, in particolare, alla valutazione, alla formazione e agli strumenti di lavoro adottati.

KSi avranno volontari nella organizzazione con una riflessione collettiva sul valore del volontariato e delle sue condizioni di lavoro. Ovviamente si darà priorità al lavoro remunerato

LL'impresa appoggia iniziative di solidarietà.

Ci sono una serie di principi impliciti che non figurano nella carta ma sono sottintesi: una sana gestione finanziaria , il rispetto della legge in materia di diritti umani, lavorativi, diritti sociali etc..

I principi del commercio equo

I principi sotto indicati sono concordati con le reti regionali di commercio equo e riguardano in particolare la gestione democratica delle organizzazioni di produzione, l'assenza di discriminazioni, l'impegno alla qualità dei prodotti etc

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Il commercio equo ha le seguenti caratteristiche:

Remunerazione equa della produzione e dei produttori, delle loro famiglie per avere un tenore di vita adeguato . questo implica un prezzo giusto pagato in anticipo, se necessario, e una relazione commerciale di lungo respiro.

Condizioni di lavoro per i produttori che non pregiudichino la loro salute. Produzione che sia conveniente e sostenibile a livello ambientale. Cercare di evitare intermediari per far arrivare i prodotti dal produttore al consumatore finale. Condizioni di produzione e commercializzazione che priorizzino la partecipazione alle decisioni da parte dei

produttori, soprattutto se indigeni,.. Campagne di sensibilizzazione nel Nord Lavoro tramite campagne specifiche per cambiare le inique strutture del commercio internazionale.

La certificazione sociale ed etica

E' un processo che permette di valutare l'efficacia sociale e il comportamento etico delle imprese.Permette di integrare in maniera strutturata i diversi aspetti della gestione quotidiana di una impresa per arrivare un giorno a tenere la contabilità sociale.

Un suo elemento importante è il dialogo con i gruppi e le persone coinvolteSono sempre di più le imprese che vogliono assumere pienamente la loro responsabilità sociale.La certificazione etica si applica già in diversi settori in tutto il mondo.

Principi della certificazione etica

Il principio di base è: generare un miglioramento permanente del risultato solidale dell'impresa.Questi principi definiscono le qualità che dovrebbe avere una buona certificazione etica:

Prospettiva molteplice: includere punti di vista di tutti gli attori coinvolti Completezza: coprire tutti gli aspetti della produzione Comparazione: strumenti che permettono di confrontare periodi storici e organizzazioni simili Regolarità: non è una operazione puntuale e limitata nel tempo Controllo: utilizza revisori esterni completamente all'impresa Pubblicità e trasparenza: i report sono regolarmente pubblicati e comunicati a tutti

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Biocarburanti e fame

(fonte www.criticamente .it ) 1

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sedevano al tavolo con Eron Bezerra, Assessore all'agricoltura dello stato di Amazonas. Oggetto, l'avvio di nuove culture di olio di Dende (olio di palma) nel cuore verde del mondo, per produrre biodiesel. Ovviamente nessuno si poneva il problema centrale: se il biodiesel (che The Guardian chiama apertamente di "truffa") riduce l'emissioni nelle nostre città, la coltivazione della soia e del dende in Amazzonia comporta una delle più alte emissioni dovute alla deforestazione, fatta molto spesso con incendi di foreste primarie. Lo Stato di Amazonas ha promesso che sarà possibile trovare gli 85.000 ettari necessari per l'avvio delle contivazioni per la produzione di biodiesel made in Italy in piena foresta. Per la cronaca: Lula, Prodi e Eron Bezerra sono tutti appartenenti al centrosinistra, che negli anni passati lottavano contro la distruzione delle foreste primarie.

Per approfondire: - Articolo su Amazonas em tempo (giornale di Manaus, in portoghese) - San Marco Petroli (azienda interessata alla coltivazione di Dende in Amazzonia per il biodiesel)

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ConProBio: il Ticino biologico

03/07/2005 - Kuter Tedesco(tratto da www.aamterranuova.it)

Nota della redazione: pur essendo un articolo che presenta una situazione precedente di due anni, rispetto al documento più attuale che abbiamo riportato nel Bollettino precedente, riteniamo molto interessante questo contributo sull'esperienza, che ne illustra anche le origini.

Con oltre mille famiglie coinvolte, la cooperativa ConProBio, fra produttori e consumatori del bio, rappresenta una delle più interessanti esperienze europee di distribuzione di alimenti biologiciOltre a condurre in proprio un'azienda agricola a produzione biologica, Renzo Cattori è stato uno dei fondatori di ConProBio, una cooperativa di consumo nata nel 1992 e che oggi copre circa il 25% della distribuzione dei prodotti biologici nel Cantone Ticino. Un successo che ha svolto un ruolo di apripista per l'intero settore che vede oggi protagonista anche la grande distribuzione, in particolare la Coop svizzera e la Migros che insieme coprono circa il 60% del mercato ticinese. Per conoscere più da vicino i segreti del successo di ConProBio e il positivo ruolo svolto nella diffusione del biologico in Canton Ticino abbiamo intervistato Renzo Cattori, tra i più attivi promotori della cooperativa.

Come è nata la ConProBio?Erano i primi anni '90 e la conversione della mia azienda al biologico mi aveva messo in una posizione un po' difficile perché in quegli anni non esisteva ancora in Ticino un mercato per la frutta e gli ortaggi bio. D'altra parte, da tempo alcuni amici e clienti mi avevano comunicato il loro interesse per una consegna diretta a domicilio di prodotti biologici, così prendemmo contatto con altri produttori bio e con l'Associazione delle consumatrici della svizzera italiana (Acsi) per valutare la fattibilità della cosa. Per coinvolgere il maggior numero di produttori e consumatori pubblicammo alcuni annunci sul bollettino del Wwf e su altri giornali locali invitando i produttori e i consumatori interessati a farsi vivi. Con grande sorpresa, ricevemmo ben 230 adesioni. Così nel settembre '92 è nata la ConProBio, tra i primi soci: tre produttori, un trasformatore, un folto numero di consumatori e l'Acsi. Per ridurre al minimo le spese, fin dall'inizio decidemmo di non attuare la distribuzione a domicilio, ma di far capo a quattordici gruppi d'acquisto locali che intanto si erano già formati.

Che tipo di servizio offre oggi la ConProBio?La nostra cooperativa funge da anello di congiunzione tra produttori e consumatori. L'obiettivo è quello di favorire la produzione, la trasformazione e il commercio dei prodotti biologici coltivati dai membri della cooperativa, ottimizzando la distribuzione in modo da offrire un vantaggio sia ai produttori, sia ai consumatori. Il socio consumatore, oltre ad acquistare un prodotto di qualità ad un prezzo vantaggioso direttamente alla produzione, ha anche l'opportunità di instaurare un rapporto di solidarietà e di fiducia con l'agricoltore, grazie alla possibilità di conoscere dove e come viene prodotto ciò che consuma. Senza considerare i vantaggi ambientali derivanti dal consumo di prodotti bio locali grazie alla drastica riduzione dei trasporti.

Come avviene, praticamente, la distribuzione?In pratica, i soci consumatori formano dei gruppi, ognuno dei quali compila un'ordinazione settimanale, sulla base di

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una lista aggiornata di prodotti disponibili. Al momento della consegna vengono raccolte le ordinazioni per la settimana successiva. Presso il nostro magazzino, prepariamo le casse con i vari prodotti per ciascun gruppo, e li distribuiamo presso i responsabili di ogni gruppo. I soci si recano dal capogruppo, prelevano i prodotti ordinati, pagano e compilano la nuova ordinazione. Sin dalla fondazione, la cooperativa è stata sempre animata da una forte motivazione ideale e da un forte senso di responsabilità, tanto che buona parte del lavoro è svolto su base volontaria. D'altra parte, senza volontariato non saremmo in grado di mantenere il livello attuale di servizio e di prezzi

Mi sembra di capire che l'attività della cooperativa promuove anche le relazioni sociali…Sì, è vero. La promozione delle attività avviene per "passa parola" tra conoscenti e amici, e poi spesso trasformano il momento della distribuzione dei prodotti come occasione d'incontro e di conoscenza. inoltre oltre all'assemblea generale annuale, vengono organizzati anche incontri stagionali e fiere, che poi sono anche occasioni di festa. Un altro strumento di comunicazione circolare è il nostro piccolo bollettino informativo che oltre a segnalare le novità e i prodotti disponibili, ospita regolarmente interventi e opinioni dei soci.

Come vi regolate per i prodotti provenienti fuori dal Ticino?Ci rivolgiamo alle produzioni bio certificate geograficamente più vicine e a volte, quando non si riesce a garantirne la qualità, capita di dover rinunciare a qualche prodotto. Una scelta che per noi è possibile solo grazie al rapporto di fiducia con i soci, ma che certamente per la grande distribuzione è impensabile. Un altro aspetto dell'attività della cooperativa riguarda le produzioni biologiche locali su piccola scala o in ambienti particolari. Dato che per molte di queste realtà, la certificazione bio risulterebbe troppo onerosa o talvolta impossibile, la ConProBio propone ugualmente ai suoi soci questo tipo di prodotti; ovviamente solo se provenienti da produttori comunque impegnati a seguire le direttive di Bio Suisse. In questo modo cerchiamo di stimolare la diversificazione della produzione, le coltivazioni di nicchia e il mantenimento di prodotti di qualità, come per esempio i formaggio ottenuti con latte di animali provenienti da allevamenti biologici controllati, ma lavorato in impianti di montagna non certificati.

Come è cresciuta la partecipazione alla cooperativa negli ultimi anni?Dagli iniziali 14 gruppi di consumatori, oggi siamo arrivati ad oltre 100, distribuiti su tutto il territorio ticinese, con più di mille famiglie fornite e un paio di ristoranti; il fatturato è cresciuto di conseguenza, e oggi costituisce circa il 25% dell'intero mercato bio ticinese. Per poter mantenere il passo con la crescita delle ordinazioni, ci siamo attrezzati con un magazzino centrale, dotato di un'ampia cella frigorifera e aumentato anche il personale che oggi consta di una decina di addetti a tempo parziale. Per una realtà come il Canton Ticino, con poco più di 350mila abitanti, i nostri sono numeri importanti e la tendenza è verso una ulteriore crescita, perché ogni mese registriamo l'adesione di un nuovo gruppo di consumatori. Ma accanto alla grande soddisfazione per i risultati ottenuti, non manca anche una certa stanchezza da parte dello "zoccolo duro" dei primi membri fondatori, perché, insomma, gli anni passano per tutti. Dopo dodici anni, iniziamo ad avere l'esigenza di coinvolgere forze nuove, magari anche per aprirci a nuove prospettive di attività.

L'agricoltura svizzera è quella che riceve più sovvenzioni statali al mondo. Ora gli accordi sul commercio mondiale spingono verso una liberalizzazione del mercato agricolo, quindi verso una sostanziale riduzione dei contributi agricoli. Di conseguenza, è facile ipotizzare una concentrazione e una contrazione dell'attività agricola. In uno scenario di questo genere, come vede la ConProBio?Dato che le trattative sono in corso, in questo momento è impossibile avere un quadro di riferimento chiaro per poter formulare una risposta dettagliata. Ma si possono delineare alcune tendenze, che in un certo senso, ConProBio ha anticipato, se non addirittura fatto nascere. Per esempio, l'aumento di richiesta di prodotti biologici, insieme alla ricerca da parte del consumatore di un rapporto più stretto con il produttore. Tutto ciò stimola la crescita di una "rete"locale di persone, attive nella cura del territorio, e orientate al "consumo critico". Attraverso iniziative come ConProBio è possibile anche sostenere le colture o l'allevamento di specie e razze locali. Uno degli scopi della cooperativa, che finora è stato sviluppato pochissimo, è quello dell'azione comune per l'acquisto di sementi, attrezzature, ecc. Forse il cambiamento di scenario ci spingerà maggiormente sulla strada di una collaborazione più stretta tra produttori e di un legame ancora più forte e diretto con i consumatori. Non so se la ConProBio possa costituire una soluzione per adattarsi con successo a tutti i cambiamenti che sono in atto. La cooperativa è nata in una regione con caratteristiche particolari ...

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AltreMarche, un cantiere per pensareun'altra regione

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(di Michele Altomeni)

A marzo 2007, alcuni soci marchigiani di Carta – Cantieri Sociali (Michele Altomeni, Stefano Trovato e Sergio Sinigaglia) hanno lanciato la proposta di costituire un Cantiere Marchigiano che apra una riflessione alternativa sul modello economico e sociale della nostra regione. Coinvolgendo altre persone, compresi alcuni esponenti della Rete Marchigiana dell'Economia Solidale, è stato steso un documento di intenti sulla base del quale è iniziato un percorso che prevede, nelle prossime settimane, una serie di incontri sul territorio, per arrivare poi ad un'assemblea generale per organizzare il lavoro.

Il documento è stato illustrato da Sergio Sinigaglia durante il secondo Forum regionale dell'economia solidale e viene riportato per intero nella sezione "Attività dell'Associazione REES Marche" di questo numero del Bollettino

Chiunque voglia aderire o ricevere maggiori informazioni è invitato a scrivere a [email protected].

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Lettera aperta di Zanotelli a Banca Etica

(Fonte Finansol)

Al Presidente di Banca Eticaal C.d.A.al Comitato Eticoalla Fondazione Etica

Carissimi, pace e bene!È da lungo tempo che volevo scrivervi questa lettera, ma ho sempre aspettato proprio perché ho sempre avuto paura di fare più male che bene! Ma dopo che per il secondo anno la Banca Popolare di Milano, associata a Banca Etica, è stata trovata ancora nelle liste delle banche armate, mi son sentito spinto a scrivervi. Per me è già grave che la Banca Etica non si sia accorta prima del comportamento della BPM. E se si era accorta, perché non ha subito reagito? E' una vicenda inquietante questa.

Nel 2004 sono stati domiciliati sulla BPM i famigerati incassi per fornitura all'estero di armi indicati nella Relazione governativa 2005. Un ammontare complessivo di circa 57 milioni di euro che copriva il 2% delle autorizzazioni richieste. Immediatamente la cosa è stata segnalata ai vertici di BPM fino a che, dopo una serie di chiarimenti, in data 20 maggio 2005, i vertici di entrambe le banche diffondono un comunicato congiunto in cui BPM si impegna per il futuro a rendere "trasparente" e "coerente" la propria condotta di "banca non armata". La reputazione del socio milanese sembrava salva. Senonchè, in occasione della Relazione presentata al Parlamento nell'aprile 2006, la percentuale degli importi delle transazioni di BPM è scesa dal 4,05% al 3,08%, mentre le commesse sono aumentate da 22 a 26. Il comportamento di BPM, recidivo, nonostante le prese di posizione e le dichiarazioni d'intenti, fa discutere chi nell'attività di Banca Etica crede si debba rispecchiare il profilo di una "banca alternativa", e non solo "responsabile". Sono rimasto sconcertato della risposta ufficiale della Dirigenza di Banca Etica: "Il lavoro fatto su BPM nell'influenzarla secondo le nostre linee guida etiche è andato oltre ogni aspettativa". Siete proprio convinti che la rete della società civile che vigila sulle tematiche della pace in Italia la pensi così?!

Ritengo che sia assolutamente inaccettabile che Banca Etica faccia affari con BPM e penso che il minimo che la BE dovrebbe chiedere a BPM e a tutte le banche iscritte è:

1) La non accettazione di operazioni di commercio di armi,2) Il non sostegno e utilizzo diretto e indiretto di paradisi fiscali,3) La commercializzazione da parte delle banche partner solo di fondi etici nella loro gamma e che almeno i criteri individuati per questi siano applicati a tutti i fondi da loro commercializzati.

Questi punti devono essere vincolanti. Altrimenti molti soci vedranno tradita la loro fiducia inizialmente riposta nella Banca Etica. L'epilogo finale di questa vicenda dovrebbe essere la rottura di tutti gli accordi con la BPM.

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Ho l'impressione che questa vicenda confermi il crescente scollamento fra il vertice e la base. Il rapporto col socio era il tratto distintivo di Banca Etica rispetto alle mille altre realtà del mondo della finanza che si dedicano alla finanza etica. Molti sono i segnali di un mancato coinvolgimento dei soci:

- da un anno e mezzo i soci non leggono i verbali del consiglio d'amministrazione (vecchia prassi consolidata della Banca); -la scarsa condivisione rispetto a molte delle scelte strategiche fatte dalla direzione sono state scarsamente condivise coi soci (da Etica Sgr alla decisione di avviare un fondo pensione); - la partecipazione media dei soci alle assemblee è bassissima (meno del 5% del totale, comprese le deleghe).

Il livello di frustrazione dei soci, anche di quella minoranza che partecipa nelle forme strutturate (coordinamenti, git, ecc.) è assai alto. Il nostro capitale sociale più importante è la motivazione delle persone, sono le relazioni. Spesso invece ci si trova in una situazione in cui il ruolo dei soci è mortificato.

Questo scollamento tra direzione di Padova ed i soci si è manifestato ultimamente in diversi episodi, come i fondi Telecom, come la cattiva gestione del sud, come l'accordo con le Poste italiane, o la costituzione del fondo pensione etico, e queste scelte sono state prese senza il coinvolgimento vero della base. Ho purtroppo l'impressione di una gestione verticistica della Banca in cui decisioni importanti vengono prese a Padova.Ho tanta paura che la Banca Etica compia scelte strategiche di fondo non nel pieno interesse della base sociale, ma col fine ultimo della crescita dimensionale ad ogni costo.

Oggi la Direzione della Banca sembra precocemente ripiegata su se stessa, sull'importante pratica quotidiana di far funzionare la Banca, ma incapace di vedere il senso e il ruolo di questa esperienza. C'è forse un eccesso di delega agli amministratori tale per cui la base sociale non è più in grado di controllarne le scelte strategiche di fondo?

La Banca Etica dovrebbe essere un esempio alternativo al sistema bancario tradizionale, a cominciare dalla sobrietà fino alle valutazioni etico sociali. La valutazione etico-sociale dovrebbe essere uno degli elementi distintivi e caratterizzanti della Banca. Eppure ancora oggi la maggior parte degli affidamenti vengono effettuati senza il VARI. Ma soprattutto oggi la valutazione etico-sociale è una pratica facoltativa e non vincolante. Su chi viene applicato? Su tutti i finanziati, oppure solo su una parte? Chi ne è escluso e perché? Ma soprattutto, se il parere è negativo che succede? Perché non è una pratica obbligatoria e vincolante?

Secondo molti soci c'è un annacquamento dell'identità culturale del progetto. La Banca sta passando da Banca "Alternativa" a Banca solo "Responsabile", da un punto di vista politico Banca Etica è sempre meno diversa dagli altri. Ho paura che la BE abbia rinunciato al suo ruolo di trasformazione della società, dell'economia e della finanza. Sembra che la spinta innovativa si stia esaurendo e che la scelta - forse inconsapevole - sia di abbassare di un poco il tiro, per poter affermare tranquillamente di essere una banca che certe cose "non le fa" (una banca responsabile), piuttosto che una banca alternativa, motore dell'economia solidale.

I soci non vogliono diventare solo una banca responsabile, ma restare Banca Alternativa. Permettetemi infine, dato che vivo da vari anni a Napoli e mi muovo soprattutto al sud, di sottolineare il poco impegno della Banca Etica verso il meridione d'Italia, e le cattive scelte fatte dalla Direzione al Sud. Una Banca che si definisce Etica dovrebbe concentrare il maggior impegno nei territori più deboli. Basta guardare come la rete di Banca Popolare Etica è distribuita sul territorio nazionale per rendersi conto che lo sviluppo della Banca ha finora penalizzato fortemente il Sud. Escluso Napoli, nelle altre regioni del mezzogiorno la presenza della Banca è esigua, insufficiente e seguita male. Inoltre, al Sud va meno del 10% del totale dei finanziamenti effettuati. Basti pensare che al Veneto arriva più del 20%, e alle reti Arci e Acli insieme va più del 10%.

Vi mando questa lettera anche in vista delle elezioni del 26 maggio per il rinnovo del cda, del collegio sindacale e del comitato di probiviri di Banca Etica. Purtroppo il regolamento scoraggia la presentazione di candidati indipendenti. Questo è molto strano, perché in altre banche popolari invece è possibile. E' un punto da rivedere se si vuole favorire la partecipazione dal basso.

Vi scrivo queste cose proprio con la passione che ho sempre avuto per Banca Etica perché desidero che diventi sempre più una banca che sia di esempio e di cambiamento, in Italia come in Europa.

Banca Etica è per me una perla preziosa. Guai se la perdiamo!

Fin dalla sua nascita l'ho sostenuta e fatta conoscere. Se vi scrivo è perché questo strumento di Resistenza al Sistema deve diventare sempre più efficace. Tocca a voi darvi da fare perché la Banca Etica sia sempre più una perla preziosa.

Buon lavoro,p. Alex Zanotelli

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P. Zanotelli e Banca Etica: continuiamo insieme a costruire un percorso alternativo

(www.bancaetica.it)

I responsabili di Banca popolare Etica hanno incontrato lo scorso 17 maggio a Napoli padre Alex Zanotelli per ribadire la volontà di continuare insieme il cammino intrapreso anni addietro per una finanza etica e responsabile. Alex Zanotelli ha ribadito il pieno appoggio alla Banca Etica, al suo progetto e alla sua strategia convinto che questa realtà, unica nel mondo per natura e scelte strategiche vada aiutata a crescere e a migliorarsi.

L'incontro è stato voluto per chiarire alcuni punti di una lettera che padre Zanotelli ha scritto al Consiglio di Amministrazione della banca e che, diversamente dalla sue intenzioni, è finita in una rete di blog divenendo pubblica. "Sono indignato per il mancato rispetto delle mie intenzioni. La lettera aveva una natura privata, di sollecitazione e stimolo ad amici con cui da anni condivido un cammino di alternatività. Non capisco come e per volontà di chi sia stata resa pubblica. Ribadisco le mie intenzioni di sostenere la Banca Etica e di aiutarla a preservarsi come si fa con una perla preziosa".

L'incontro è divenuto una bella occasione per rinnovare l'impegno a sostenersi, ricordare le istanze comuni e raccogliere i suggerimenti per migliorare alcuni aspetti della strategia operativa della banca. Primo fra tutti, la questione delle banche armate. E' da poco stata pubblicata la Relazione relativa alla 185/90 del governo sull'export di armi, nella quale appare un socio di Banca Etica, cioè la Banca Popolare di Milano (BPM). Da due anni, cioè da quando per la prima volta la BPM era apparsa nella relazione, Banca Etica ha intrapreso un dialogo difficile e a tratti duro con quel socio che ha portato ad una lettera ufficiale del presidente della BPM, lo scorso febbraio, che a nome del Cda della banca assicura la fuoriuscita del suo istituto da quelle operazioni. Fuoriuscita che, come BE ha spiegato a Zanotelli, sarà completamente operativa e tecnicamente visibile solo tra due anni (vedi www.bancaetica.com). Su questo fronte BE ribadisce la necessità di continuare

lo sforzo insieme a quelle realtà del terzo settore, a partire dalla Campagna Banche Armate, che condividono la battaglia.

Un altro punto del confronto è stato la questione del VARI, cioè la valutazione socio-ambientale dei finanziamenti richiesti a BE e che viene fatta oggi per il 10% delle richieste da circa 51 valutatori sociali formati da BE. Motivo: alcuni soggetti richiedenti sono soci della banca, o appartenenti a reti vicine alla banca, o ancora già beneficiari di linee di credito. Questo permette alla banca, che fa della centralità della relazioni un valore, di rafforzare la base su cui poggia l'istituto. Tutti i soggetti devono tuttavia superare uno screening sociale, che viene affidato alle circoscrizioni e ai banchieri ambulanti. Infine una richiesta di padre Alex di dedicare ancora maggiore attenzione al sud Italia, già territorio prioritario per la banca. Zanotelli ha scelto da tempo di vivere a Napoli dove sta dedicando le sue energie alla dura battaglia sui rifiuti che proprio in Campania tocca nervi scoperti muovendosi sul delicato confine tra legalità e criminalità. Banca Etica ha già attuato scelte definibili "anti-economiche" in termini di finanza tradizionale, decidendo di investire al sud più dei fondi raccolti nell'area e aprendo tre filiali (Napoli, Bari, Palermo) laddove la distribuzione della raccolta di risparmio a livello nazionale imporrebbe altre scelte. Oggi la raccolta al sud è di 16 mln di euro, l'impiego in finanziamenti è di 43 mln.

Zanotelli chiede alla banca di rafforzare la strategia per il meridione del nostro paese, aiutando le realtà che faticosamente si impegnano per uno sviluppo sociale ed economico in un'area difficile e colonizzata da una criminalità capillare e aggressiva. "Banca Etica riconosce al credito una funzione sociale diversamente dagli istituti di credito tradizionali. Per questo, i finanziamenti erogati al sud sono maggiori rispetto alla raccolta di risparmio e sono destinati a crescere nei prossimi anni. Raccogliamo anche volentieri le indicazioni di padre Zanotelli per un appoggio ai progetti che mirano alla valorizzazione e a un buon utilizzo delle risorse idriche e al riciclaggio dei rifiuti, due punti su cui egli chiede alla banca di farsi ancora una volta promotrice di cambiamento. Siamo anche sensibili a progetti che puntano alle energie rinnovabili e alla protezione ambientale. Da qualche tempo il nostro sostegno alle questioni ecologiche è aumentato fino a essere riconosciuti come banca verde, consapevoli di quanto oggi la questione sociale sia intrinsecamente legata a quella ambientale". A parlare è Fabio Salviato, presidente e fondatore di Banca Etica.

L'incontro si è chiuso con un reciproco impegno a sostenersi, a condividere le battaglie per un cambiamento e di fare il possibile per rendere accessibili e comprensibili i valori e le azioni di BE ad un pubblico vicino per sensibilità ma non a proprio agio con un linguaggio tecnico e specialistico. Il tutto in uno sforzo dialettico che tiene conto delle affinità dei percorsi e delle responsabilità che derivano dall'essere soggetti pubblici e di riferimento.

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APPELLO PER IL FUTURO DI BANCA ETICA

(dal sito finansol.it)

Siamo amici e soci di Banca Etica, e in questi anni abbiamo sostenuto il progetto della Banca e ne abbiamo condiviso gli obiettivi e l'ispirazione.

Crediamo in una finanza etica alternativa al sistema finanziario dominante. Una finanza etica fondata sulla partecipazione democratica , una finanza etica che sostiene progetti ed attività per una nuova economia, una finanza etica che non si compromette con i poteri economici e finanziari dominanti.

Il percorso di Banca Etica è stato faticoso ed entusiasmante. Dopo 8 anni di avvio di quel percorso è importante che i valori che ne stavano alla base siano rilanciati e non siano dimenticati o ridotti a pura declamazione, o addirittura persi.Ci aspettiamo una Banca Etica che promuove la partecipazione democratica dei suoi soci, che si rinnova in continuazione promuovendo il ricambio democratico dei suoi gruppi dirigenti, che finanzia progetti di qualità di un'economia solidale innovatrice, una Banca che è riconosciuta come un'alternativa al sistema finanziario dominante.

Ci aspettiamo una Banca Etica capace di sperimentare pratiche finanziarie realmente diverse e non semplicemente di umanizzare un sistema della finanza che riduce l'etica a marketing. Ci aspettiamo una Banca Etica che continui a puntare sulla pace, la solidarietà e la sostenibilità dello sviluppo. Ci aspettiamo una Banca Etica - autenticamente democratica e popolare - che parte dal basso.

Non ci aspettiamo una Banca Etica che parte dall'alto e che non alimenta un dibattito al suo interno tra i soci e i suoi gruppi locali o che demonizza i punti di vista differenti definendoli residuali, una Banca Etica troppo presa da dinamiche di potere e della sua conservazione per poter ascoltare la vera voce della sua base.

Ci preoccupa l'idea di una Banca Etica che si fa coinvolgere in iniziative con banche che finanziano la vendita delle armi o che - senza le necessarie prudenze - investa in modo speculativo in mercati azionari dalla assai dubbia eticità, guadagnando dalla privatizzazione di una previdenza di cui andrebbe difeso il carattere pubblico.

Temiamo di scoprire una Banca Etica che rischia di perdere - giorno dopo giorno - il suo carattere alternativo e di innovazione. O che usa i suoi soci e i suoi gruppi locali in una democrazia di facciata, senza coinvolgerli direttamente nelle decisioni.

In questi anni molte banche tradizionali hanno avviato operazioni (ovviamente da noi criticate) di finanza cosiddetta etica: fondi, partnership, investimenti ad hoc. Banca Etica, senza i suoi valori originari, rischia di vedere appannarsi la sua immagine all'esterno, di perdere il suo carattere di alterità, di farsi sorpassare da queste e future iniziative, di perdere quell'impatto dirompente che aveva caratterizzato i suoi albori. Il rischio è che diventi una Banca - solo un po' più umana e corretta - come le altre.

Noi chiediamo che Banca Etica si apra ad una nuova stagione: quella dell'autentica partecipazione e del ricambio democratico dal basso che mette al centro i soci ed i gruppi locali, di un dibattito plurale e senza discriminazioni che dia spazio a punti di vista diversi, quella di una Banca che non rischia di rovinare la sua immagine facendo partnership con chi fa affari sulla vendita delle armi o speculando sui mercati azionari. Noi chiediamo rispetto per tutti i soci, per tutti i gruppi locali e per i loro rispettivi ed anche diversi punti di vista. Noi chiediamo che il prossimo Consiglio di Amministrazione si ispiri a questi valori e che apra una nuova stagione favorendo nuovi processi di partecipazione e di inclusione e di rinnovamento politico, culturale e gestionale della Banca.

Noi soci, simpatizzanti, amici del progetto Banca Etica chiediamo a coloro che si candideranno al prossimo Consiglio d'Amministrazione di prendere impegni precisi rispetto ai seguenti aspetti:- promuovere con pazienza la massima partecipazione di soci e clienti, attuando un deciso ed effettivol decentramento decisionale e favorendo l'eventuale ricambio manageriale;- rompere i rapporti con tutti i partner che siano - a qualunque titolo - coinvolti con le attività di commercio e produzione di armi e in altre attività dannose per la salute e l'ambiente;- utilizzare i fondi raccolti attraverso fondi comuni di investimento e fondi pensione in investimenti locali e responsabili, non soltanto - come oggi accade - verso titoli collocati in borsa, che sono troppo pochi, non bisognosi di capitali perchè già in grado di procurarsene, sganciati dai territori;- garantire che di ogni progetto finanziato dalla Banca venga svolta - e sia centrale nel processo di valutazione - l'analisi sociale ed ambientale, oggi realizzata solo per una quota dei prestiti concessi.

Crediamo che - nella complessità della gestione di un operatore finanziario etico - questi quattro punti debbano costituire i

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capisaldi dell'azione, le colonne portanti di ogni scelta strategica. Siamo disponibili ad ogni forma di aiuto e confronto sia necessaria per sostenere il progetto di Banca Etica e per rimarcarne la differenza rispetto alle tante operazioni di maquillage aziendale che sono in corso nel mercato finanziario.

Banca Popolare Etica è un progetto straordinario che merita di continuare a raccogliere convinte adesioni di migliaia di cittadini e istituzioni: vanno cercate e trovate tutte le soluzioni per mantenerne intatta la forza e lo spirito originario. A partire dall'assemblea del prossimo 26 maggio.

PROMOTORI: ORNELLA DE ZORDO - ANDREA FERRANTE - MARCO GALLICANI - PAUL GINSBORG - GIULIO MARCON - ALESSANDRO MESSINA - RICCARDO PETRELLA - ALESSANDRO SANTORO - PIERLUIGI SULLO - ANTONIO VERMIGLI - ALEX ZANOTELLI

(*) nel tardo pomeriggio di oggi (17 maggio2007) Alex Zanotelli ci ha chiesto di poter togliere il suo appoggio all'appello che pure ha riconosciuto di aver prima letto e poi sottoscritto.

Per adesioni [email protected] - Info: http://www.finansol.it/?p=308

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Banca Etica, la risposta dei soci di Ravenna all'appello di Messina

La circoscrizione locale dei soci residenti nella Provincia di Ravenna della Banca Popolare Etica scrivono ad Alessandro Messina, co-firmatario di un appello che anche noi di Criticamente abbiamo pubblicato alcuni giorni fa

Caro Alessandro Messina,

grazie per averci segnalato l'Appello che però non riteniamo di poter sottoscrivere.

Ti spieghiamo perché.

Non possiamo non essere d'accordo con molte delle affermazioni contenute nell'Appello, ma su alcune altre esprimiamo qualche riserva: "Banca che parte dall'alto, che non alimenta un dibattito fra soci, che demonizza i punti di vista differenti definendoli come residuali, che è troppo presa da dinamiche di potere e della sua conservazione, che usa i suoi soci o gruppi locali in una democrazia di facciata…" A nostro parere queste affermazioni, riferite chiaramente alla Banca Etica di oggi, sono tutte da verificare in un confronto sereno all'interno dei vari Coordinamenti Locali e fra i Coordinamenti e gli organi istituzionali della banca. Farne il contenuto di un appello ufficiale per l'Assemblea significa, secondo noi, aver già deciso che esse sono verità. Noi invece esprimiamo al riguardo qualche perplessità, che significa "assenza di certezza".

Sicuramente fra i soci di Banca Etica vi sono differenze di giudizio e di valutazione ed è una ricchezza.

Banche armate. Certo che preoccupa "l'idea di una Banca Etica che si fa coinvolgere in iniziative con banche che finanziano la vendita delle armi". Poteva e doveva Banca Etica essere più intransigente rompendo con quelle banche armate subito dopo aver saputo di tali finanziamenti? Se sì, allora, per coerenza a 360 gradi, doveva rompere anche con tutti quei suoi soci (persone fisiche e giuridiche, comprese le Amministrazioni Pubbliche) che sono correntisti di, o lavorano con, banche armate; doveva rompere alleanze e collaborazioni anche con quelle Organizzazioni, Associazioni, Riviste che hanno conti in quelle banche o in banche dal dubbio operato in campo sociale e ambientale. Banca Etica invece ha scelto la linea del confronto e della pressione chiedendo a queste banche armate di modificare i comportamenti in questione fino ad arrivare progressivamente all'azzeramento dei finanziamenti incriminati. Certamente BE non può essere sola nel fare questa pressione, ha bisogno della coerenza e collaborazione di tutti i soci. Quando questo azzeramento si verificherà (noi speriamo al più presto), Banca Etica avrà ottenuto un grande risultato di contaminazione etica. Come Coordinamento abbiamo chiesto a Banca Etica tempi certi e brevi per risolvere la questione. Inoltre questa linea è stata quella che è emersa quasi all'unanimità dagli interventi della base all'incontro di Montegrotto dello scorso mese di novembre (a proposito di democrazia di facciata!).

Fondi comuni di investimento. Va probabilmente rivista la politica e la gestione di Etica SGR cercando vie sicuramente etiche per l'allocazione dei fondi. Se ciò non sarà possibile, allora si dovrà ripensare tutta la questione.

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Sui Fondi Pensione la materia è più complessa perché c'è una legge dello Stato a dettare modalità e pratiche. Banca Etica ha scelto di aderire. Se ne può discutere e, se sarà il caso, si può anche uscire.

Come vedi su alcuni contenuti importanti dell'Appello ci sono diversi punti di vista e ti parliamo di argomenti affrontati e discussi fra noi soci e Coordinatori nelle varie riunioni di Coordinamento e nell'incontro di Montegrotto.

Fin qui i contenuti dell'Appello. Veniamo ora al problema che a noi sta particolarmente a cuore, quello del metodo.

L'Appello ci sembra il risultato finale (una specie di sintesi) di una lunga catena di documenti, lettere, articoli su riviste…, tutte prese di posizione spesso condivisibili ma espresse con toni e modalità che sono state recepite dal pubblico come "fronda" (molti ci hanno chiesto: "ma che cosa sta succedendo in Banca Etica?) che ha fomentato incomprensioni, approfondito divisioni e, purtroppo, fatto emergere personalismi: non ci sembra proprio un metodo nonviolento. Se noi fossimo stati gli autorI o i promotori di tali prese di posizione, prima di tutto ci saremmo posti una domanda importante e decisiva: quale potrà essere la conseguenza negativa di queste parole, di questa lettera, di questo articolo?

Pensiamo che le critiche mosse pubblicamente a Banca Etica potevano essere avanzate nelle sedi opportune con insistenza e con pazienza, si poteva chiedere e pretendere di affrontare i contenuti nei vari Coordinamenti Locali e di Area, nel CDA, nel Comitato Etico. E' avvenuto tutto questo? Lo chiediamo veramente, non in forma retorica. Noi abbiamo appreso gran parte di quelle critiche attraverso e-mail che giravano e da finansol, una lista di discussione aperta a chiunque, uno spazio che essendo elettronico ha tutti i pregi ma anche i difetti e rischi della comunicazione elettronica. Ma veramente chiunque fuori di Banca Etica è in grado di capire e valutare le implicazioni e le complessità di certe questioni?

Così abbiamo l'impressione che stiamo finendo in una specie di pantano, dove muoversi può significare essere inghiottiti dalle sabbie mobili.

Ne possiamo uscire? Noi riteniamo di sì, a condizione che si rinunci a mettere in vetrina cose vere assieme a cose discutibili o non vere, a condizione che abbiamo tutti (ripetiamo, tutti) la paziente fermezza di avviare un dialogo costruttivo per capire innanzitutto le ragioni delle tesi degli altri senza apriorismi e senza portare in tasca verità preconfezionate. In altre parole tutti, noi per primi, abbiamo bisogno di un bagno di apertura reciproca che non significa rinunciare ai principi di fondo (che ci uniscono) ma ammettere un nostro limite grande: che ci possiamo sbagliare.

"Il metodo qualifica il fine" per noi vale sempre, come vale sempre anche una frase famosa del Vangelo che ci spiazza inesorabilmente: "Chi è senza peccato scagli la prima pietra".

Con amicizia

IL COORDINAMENTO DELLA CIRCOSCRIZIONE

DELLA PROVINCIA DI RAVENNA

Faenza, 21 maggio 2007

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BANCA ETICA: Assemblea dei soci 2007Marco Piccolo

(Responsabile Area Sviluppo Socio Culturale e Progetti)

30/05/2007

Carissime socie e carissimi soci,

uscito l'ultimo socio dalla sala, caricate sul furgone le varie attrezzature utilizzate per l'assemblea possiamo dire che l'assemblea formalmente si è chiusa, dico formalmente in quanto questo importante momento di confronto e di verifica sulle attività fatte inizia molto tempo prima della data dell'assemblea e termina molto tempo dopo. Quello che oggi possiamo fare è cercare di

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comprendere più approfonditamente quella parte che si è conclusa sabato 26 maggio 2007.

E' evidente che la comprensione dei fatti passa attraverso la sintesi dei vari punti di vista e comunque questa non sarà mai univoca nella ricostruzione. Obiettivo di questo editoriale non è quindi quello di accontentare tutti con una ricostruzione la più veritiera e obiettiva ma semplicemente stimolare il confronto e la lettura di questo momento istituzionale partendo dal punto di vista di chi ha vissuto l'assemblea come organizzatore senza però dimenticare la passione di chi ha aderito anche idealmente a questo progetto di finanza etica.

Partiamo allora dai dati: con 626 soci presenti fisicamente e 2357 per delega possiamo dire che la partecipazione è stata buona, certo molti di noi si sarebbero aspettati un maggior afflusso di soci ma non bisogna dimenticarci che la partecipazione risente di quello che è il contesto socio culturale in cui viviamo, su questo però dovremo in un futuro prossimo riflettere su quali sono o dovrebbero essere gli elementi che caratterizzano la partecipazione nelle realtà dell'economia solidale e/o civile.

Sui punti all'ordine del giorno è evidente che quello che ha maggiormente stimolato i presenti è stato il rinnovo delle cariche sociali, in particolare quello del Consiglio d'Amministrazione. Su 15 candidati che si sono proposti, i soci hanno dato la loro preferenza a Fabio Salviato e ad altri otto consiglieri del precedente consiglio che si erano candidati - Salviato infatti viene rieletto insieme ad altri otto consiglieri uscenti: Tommaso Marino, Mario Cavani, Giuseppe Di Francesco, Sergio D'Angelo, Marco Santori, Luigi Barbieri, Fabio Silva e Giuseppe Curcio - mentre è interessante notare come tra i quattro nuovi ingressi, oltre a Sergio Morelli, abbiamo ben tre donne Marina Coppo, Rita De Padova, Renate Goergen. Viene quindi confermata la linea sin qui seguita dalla banca, integrandola però con i candidati proposti dall'organizzazione territoriale dei soci. Si tratta di persone la cui esperienza personale - in particolare nel campo della cooperazione sociale ed internazionale - rappresenta una notevole ricchezza per la banca. Non è stato invece rieletto il consigliere uscente Silvestro Profico, a cui va tutta la nostra riconoscenza per l'impegno profuso su alcune questioni particolarmente sentite, e Alessandro Messina la cui candidatura era stato promossa grazie alla raccolta delle firme.

Tra gli altri punti la nomina del nuovo Collegio Sindacale, del nuovo Comitato dei Provibiri e l'integrazione del settimo componente del Comitato Etico con Luigino Bruni, economista che ha dedicato numerosi studi sul rapporto tra valori non economici ed economia e l'illustrazione della Relazione del Comitato Etico a cura del Presidente del Comitato, Leonardo Becchetti.

Nel corso dell'Assemblea è stato approvato - con 2.313 voti favorevoli, 58 astenuti e nessun contrario - il Bilancio di Esercizio 2006 illustrato dal Presidente Fabio Salviato e dal Direttore Mario Crosta.In merito alla destinazione dell'utile si è deliberata la costituzione di un fondo per l'aumento gratuito di capitale sociale. Da segnalare infatti che grazie al buon andamento delle attività di Banca Etica nel corso del 2006 sia sotto il profilo economico che sociale, il Consiglio di Amministrazione della banca ha potuto proporre all'assemblea dei soci un aumento gratuito del capitale sociale, portando il valore nominale di ogni azione da euro 51,64 a euro 52,50. Si tratta di un piccolo aumento che segnala però come la banca, dopo essersi a lungo confrontata, abbia trovato una modalità, coerente con la propria missione, di condividere con i soci una parte dei risultati anche economici, senza entrare in contraddizione con la scelta, sino ad oggi mantenuta, di reinvestire la ricchezza prodotta nella costruzione di una economia dal volto umano che si riconosce nella frase: l'interesse più alto è quello di tutti.

In occasione dell'assemblea è stato consegnato ai presenti il Bilancio Sociale 2006.

Una riflessione la dedicherei poi alla constatazione che la notevole dialettica, sviluppatasi in questi ultimi mesi e che ha avuto uno dei suoi momenti più forti nella pubblicazione di un appello sul futuro della banca sul quotidiano Manifesto, non sia emersa nel dibattito assembleare nonostante ci fossero stati i tempi e la possibilità di conoscere sia i nodi sia le posizioni che hanno caratterizzato questo confronto. Chi infatti ha ricevuto recentemente le nostre news letter o è entrato nel sito della banca ha avuto modo di conoscere articoli, lettere e commenti e quindi farsi una propria idea sulle varie questioni. Come commento generale direi che una cosa è riconoscere il problemi, altra cosa è risolverli, quando poi questi sono particolarmente complessi e/o toccano i processi di crescita umana - come la partecipazione, il rapporto con le istituzioni pubbliche e private, l'interazione tra l'etica personale quella collettiva ecc..- dobbiamo avere tutti la consapevolezza che l'unica strada è quella del confronto e della cooperazione, all'interno però di criteri e di regole condivise evitando la tentazione di scegliere delle scorciatoie.

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BANCA ETICA: ASSEMBLEA DEI SOCI 2007Messaggio da Alessandro Messina

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(tratto da www.finansol.it)

Abbiamo due belle notizie. La prima e' che una nostra candidata, Renate Goergen, e' entrata in Cda con più del 50% delle preferenze. Il dato e' significativo se si pensa che tre anni fa Renate fu considerata dai gattopardi di Banca Etica troppo eretica anche solo per essere candidata.

La seconda e' che, pur in un´assemblea priva di ogni vitalità e sincerità il sottoscritto e' stato sostenuto dal 20% dei voti. Una minoranza, ma una gran bella minoranza. Che dobbiamo sapere valorizzare per guardare con maggiore ottimismo al futuro di Banca Etica.

Il presente non e' dei migliori. L´andamento sconcertante dell'assemblea (in cui si e' votato senza alcuna discussione), l´indifferenza di una grossa componente della base sociale li' presente (che ha solo applaudito a comando), la tetragona autocelebrazione dei vertici della Banca, a partire da un presidente ormai incapace anche solo di simulare correttezza istituzionale, si aggiungono ai dati tante volte esposti in questi mesi:

la valutazione sociale dei finanziamenti vissuta come orpello, che secondo la Banca alle reti di organizzazioni amiche non va fatta, perche' buone a prescindere;

il rapporto non risolto con le banche armate, a partire da Intesa-SanPaolo, primo istituto di credito esposto nell´export di armi, che ospitera' ogni euro raccolto attraverso lo scellerato progetto di fondo pensione;

i fondi etici che restano una grossa incognita per la loro incapacita' di rispondere ai valori della finanza etica, rispetto ai quali e' difficile capire il senso di un investimento in BMW, Vodaphone, o Kraft (gruppo Philip Morris), solo per citarne alcuni.

Su tutti questi punti (e altri) ci aspettavamo risposte dall'assemblea. Non sono venute. Brutto segnale per un´organizzazione della societa' civile che fino a pochi anni fa voleva essere la punta più avanzata della sperimentazione sociale ed economica.

Ma c´è materiale su cui lavorare. Le persone, le piccole organizzazioni che sono venute a Padova, hanno fatto uno sforzo inedito di partecipazione, nonostante le procedure e i regolamenti siano assai poco incentivanti. Ora possiamo a dobbiamo continuare a discutere, imparare a organizzare meglio il nostro modo di fare pressione su un management tristemente sordo e un Cda soggiogato - o quasi - ai deliri di onnipotenza di un aspirante capetto teo-dem.

La finanza etica e' trasparenza e partecipazione. La prima va pretesa dalla Banca. La seconda dobbiamo praticarla con convinzione e intelligenza. Crediamoci, facciamo rete, proviamo ad esercitare con efficacia il nostro ruolo di soci. La strada per l´alternativa economica e' lunga, non facciamoci scoraggiare dopo qualche fisiologico ostacolo (in Italia la deriva leaderistica e' quasi una prassi).

Per fare questo, pero', occorre superare la paura del confronto, del contradditorio interno ed esterno. Ormai e' evidente che Banca Etica e' plurale nella base, ma tende a rappresentare solo una parte nei vertici.Esercitiamo la difficile arte della democrazia e vediamo cosa succede. E´ tempo che i soci di ispirazione laica, socialista, liberale, democratica facciano il possibile per dare una nuova impronta ad un progetto che, forse, ancora si può salvare.

Grazie a tutti, dunque, e ricominciamo da qui.

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E' possibile ricostruire una dimensione comunitaria a partire dall'impresa?

(di Enrico Luzzati)

LA STORIA - Ciò che il capitalismo ci ha sottratto e che non è in grado di restituirci è la dimensione comunitaria.La storia dell'uomo, fino all'avvento del capitalismo, è stata una storia di comunità.Si trattava di comunità di persone radicate in realtà locali, e che intrattenevano tra loro rapporti intensi e quotidiani: si sostenevano le une con le altre in una diffusa rete di mutualità (il che non escludeva la frequente esistenza di una rigida

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stratificazione sociale), si condividevano valori e visione del mondo (anche se per alcune minoranze il diritto alla differenza era generalmente rispettato).Esistevano alcune grandi città, dove le persone vivevano in modo più indipendente ed anonimo, ma esse rappresentavano l'eccezione che conferma la regola.L'avvento del capitalismo, concomitante con la rivoluzione industriale, ha sconvolto tutto ciò.Esso è nato per la spinta della nuova categoria sociale dei capitalisti, che ha rivendicato la libertà di iniziativa economica e si è svincolata dai condizionamenti della vita comunitaria, proponendo una visione del mondo basata sull'individualismo, e sulla dinamicità e la continua trasformazione, anziché sulla conservazione, la staticità, il rispetto timoroso di forze della natura ritenute incontrollabili.Prima dell'avvento del capitalismo l'umanità ha sempre vissuto in condizioni che oggi chiameremmo di povertà (tolte le poche eccezioni degli appartenenti a categorie privilegiate).A partire dalla fine del '700, dapprima in Inghilterra, e poi via via in tutti i paesi che chiamiamo sviluppati, la curva del reddito pro capite ha cominciato ad impennarsi, tanto che oggi in questi paesi si è raggiunto un livello di tenore di vita enormemente superiore a quello del periodo precapitalista.Una grande conquista, sicuramente: ma qualcosa è andato perduto, e si tratta del fondamentale valore della comunità.L'individualismo e l'economicismo sono stati proposti ed imposti ovunque (con il sostegno degli Stati). Solo la famiglia si è più o meno salvata: per il resto, l'intensità dei rapporti, il sentimento di appartenenza, il sostegno reciproco si sono rarefatti.E' prevalsa l'anomia, lo sradicamento, il non sapere da dove si viene e dove si va, in una società che ancor oggi continua a distruggere legame sociale (e che il noto sociologo Bauman chiama società liquida) .

IL PRESENTE - Tuttavia l'uomo non può vivere senza un riferimento sociale: ed in varie forme e modalità, si è assistito e si assiste a tentativi per ricostruire legami e sensi di appartenenza, con riferimento ad un territorio, ad una professione, ad una categoria, ad una religione, ad un partito, ad una nazione.E ciò è logico e normale. Solo certi economisti neoclassici immaginano degli individui slegati da ogni contesto sociale, impegnati unicamente a massimizzare la loro utilità in termini di benessere economico.Questi individui non esistono, non possono esistere e non sono mai esistiti.L'uomo è un animale sociale: l'ha già detto qualche millennio fa Aristotele, e rimane vero. Se non si è parte di una società non si è uomo, si è poco più che un animale. Anche Robinson Crusoè non sarebbe stato quello che è stato se fosse nato nell'isola, anziché arrivarci come naufrago.Il riferimento ad un contesto sociale è dunque essenziale per gli uomini, che nascono sociali: basta pensare al linguaggio, una dimostrazione di socialità per eccellenza.Ogni persona si pone in una relazione costante con gli altri, ed il sentimento forse più forte in ognuno di noi è quello di essere riconosciuti ed accettati dagli altri. Ognuno ha uno o più gruppi sociali di riferimento: ma il sentirsi in relazione con un gruppo è un' esigenza fondamentale ed insopprimibile per ogni essere umano.Ciò non significa però necessariamente costruzione di comunità. Che gli altri siano importanti per me non vuole ancora dire che io mi preoccupi del loro benessere, che è invece ciò che caratterizza una comunità.Il relazionamento con gli altri può essere infatti ricercato per motivi individualistici, in quanto è una soddisfazione per ognuno sentirsi accettato e riconosciuto. Che gli altri mi approvino è importante per me. Ma questo non implica necessariamente che io mi preoccupi del benessere degli altri.Ciò che caratterizza invece la comunità è il sentire l'altro come in qualche modo parte di me stesso.Il benessere dell'altro è parte del mio benessere.A ben vedere qualcuno lo ha già detto: ama il prossimo tuo come te stesso.Si costruisce così la dimensione del noi.E questo il capitalismo proprio non lo sa e non lo può dare: anzi gli è difficile oggi dare un senso alla sua continua ricerca della crescita economica: l'uomo non vive di solo pane.Come esseri mortali non possiamo portare i nostri beni nell'al di là: continuare ad insistere sulla sola produzione di ricchezza non rappresenta una risposta valida ai nostri bisogni più profondi.La reinvenzione di una dimensione comunitaria appare un passaggio essenziale ed ineludibile per ridare un significato alla vita dell'uomo.

L'IMPRESA COOPERATIVA COME COMUNITÀ - Nella ricerca della costruzione di nuovi tessuti comunitari, alcuni si ispirano ai modelli tradizionali pre-capitalistici. Si può citare il movimento delle "Intentional communities". Per sfuggire al meccanismo dominante, impegnato in un incessante processo di trasformazione, di innovazione, di crescita, si cerca di ricostruire un sistema di vita più armonico, legato ai ritmi della natura, talora rifiutando la stessa tecnologia moderna (come è il caso del movimento dell'Arca, promosso da Lanza del Vasto).Ma isolarsi non è possibile: il cosiddetto progresso riuscirà sempre a raggiungerci, per quanto lottiamo per separarci. Indietro non si torna.Il toro a mio avviso va preso per le corna: la dimensione comunitaria va riportata all'interno stesso del momento produttivo. E' nel cuore stesso del sistema, nell'impresa, che bisogna riuscire a ricostruire comunità, puntando poi per questa via, gradualmente, ad una modificazione dei principi fondanti del sistema capitalista.La forma organizzativa che sarà logico adottare sarà quella cooperativa.Ma attenzione: ci si può mettere in cooperativa unicamente per soddisfare dei propri individuali interessi economici: e se non si

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va al di là di questo atteggiamento, si manifesterà il fenomeno del "free riding" (opportunismo)Si potrà invece affermare all'interno della cooperativa quel bisogno di essere socialmente riconosciuti cui sopra si accennava: in questo modo si avranno maggiori garanzie relativamente all'impegno, al "committment", dei membri.La cooperativa diverrà però una comunità solo nel momento in cui i soci giungeranno a condividere dei valori e si sentiranno impegnati in una lotta comune. Si accetta la sfida del mercato, per una esigenza di concretezza, perché è la realtà in cui ci troviamo immersi. Ma con l'obiettivo di superarlo, di giungere a sostituire valori di cooperazione a quelli oggi prevalenti di competizione.Gli esempi non mancano: i kibbutz israeliani, che hanno in modo originale messo insieme intentional community e cooperativismo comunitario; imprese cooperative, presenti in vari paesi, tra cui l'Italia, che ancora oggi praticano comportamenti che si ispirano ad una filosofia comunitaria, come in primo luogo l'indivisibilità del patrimonio; il Réseau Repas, in Francia.; si può persino citare il caso celebre di un'impresa capitalista, l'Olivetti ai tempi dell'ingegner Adriano.

ANCHE PER I PAESI DEL SUD DEL MONDO - Un breve cenno, per concludere, alla tematica dell'impresa comunitaria per i paesi in via di sviluppo.I valori e le istituzioni che ancor oggi prevalgono nelle zone povere del mondo non si adattano all'adozione dei valori e delle istituzioni del capitalismo. Assistiamo ad una sorta di rigetto di questo trapianto istituzionale, come, ad esempio, dimostra il crescere smisurato e senza senso delle immense megalopoli dei paesi in via di sviluppo.D'altro canto in questi paesi l'esigenza primaria è proprio quella dello sviluppo economico: quando vivi con uno o due dollari al giorno, e sai che a qualche migliaio di chilometri di distanza la gente vive con un reddito 3-400 volte superiore, non stupisce che l'ansia di migliorare la propria situazione economica diventi la preoccupazione prevalente (come peraltro dimostrano i ciclopici processi di emigrazione a cui stiamo assistendo).Bisogna dunque porsi il problema di introdurre delle istituzioni appropriate. Appropriate alla cultura di società che sono state definite "degli affetti", dove le persone sono immerse nelle reti della famiglia allargata, dove gli anziani stanno al centro della vita sociale, dove la terra è considerata madre e non può essere oggetto di commercio, dove la visione del mondo è ancora profondamente religiosa, sia pure di una religione con forti componenti di superstizione.Trapiantare in queste realtà (dove peraltro il concetto stesso di Stato stenta ad affermarsi per la debolezza del sentimento di appartenenza nazionale) il sistema capitalistico, che si regge sul binomio mercato-Stato, appare quanto mai problematico.Ecco dunque una seconda prospettiva attraverso la quale ricompare il tema dell' impresa comunitaria. Se un ceto capitalista in questa realtà sociale e culturale stenta ad affermarsi, diverso potrebbe essere il caso di imprenditori che si pongano in continuità con le istituzioni tradizionali, dominate dai valori della comunità e della cooperazione. Delle imprese cooperative comunitarie potrebbero quindi rivelarsi degli efficaci strumenti per la promozione dello sviluppo economico, sia perché una loro affermazione si rivelerebbe meno traumatica per il tessuto sociale tradizionale, sia perché potrebbero rivelarsi capaci di sostenere la sfida della concorrenza del mercato .Naturalmente si tratta di un passaggio non facile, non immediato, che deve essere affrontato con l' indispensabile gradualità.Ma il fiorire, da qualche anno a questa parte, in molte zone povere dell'Africa, dell'Asia e dell'America latina, di un enorme numero di esperienze di imprenditorialità cooperativa e comunitaria ci conforta nel ritenere che questo movimento, se debitamente incoraggiato e sostenuto, possa essere una delle vie più appropriate per il riscatto da un' inaccettabile situazione di povertà.

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2° Forum dell'Economia Solidale

Atti del II Forum della REES MarcheRete dell'Economia Equa e Solidale

Domenica 13 maggio ore 9,30 Sala BFiera della Pesca di ANCONA

(a cura di Katya Mastantuono)

· Paolo ChiavaroliIntroduzione del Presidente dell'Associazione Rete di Economia Equa e Solidale MARCHE

Presentazione della Rete Equa e Solidale: relazione dell'Associazione (documento a parte)

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RELATORI INTERVENUTI

· Daniela Montali Sindaco di CHIARAVALLEIntervento: Esperienza dell'Amministrazione comunale nel progetto A9.

Il progetto nasce dalla volontà di affrontare il problema della distanza tra i cittadini e amministrazione locale: attraverso un questionario e le risorse del settore informatico del comune si è iniziato a capire che occorreva intervenire sull'accesso alla tecnologia per non rischiare di marginalizzare, con l'ampliarsi del digital divide, i cittadini di un piccolo comune come quello di Chiaravalle.Attraverso questa scommessa e con un forte obiettivo, come quello di voler garantire la connettività per tutti, a 9 euro, con ADSL garantita, come strumento di equità e giustizia sociale (la tecnologia a servizio di TUTTI i cittadini del comune di Chiaravalle), è iniziata questa avventura che ha reso il progetto A9 ormai di grande interesse in molti comuni. Da 5 comuni soci, primo fra tutti MONSANO, oggi abbiamo 74 comuni aderenti e ben 5 comuni replicatori dell'esperienza nella Vallesina. I cittadini rispondono e si accorgono che questa amministrazione sta cambiando qualcosa nella città e non si limita e ripercorrere e garantire il vecchio.L'amministrazione si è dotata di una struttura societaria, giuridicamente una Srl, ma ad intero capitale pubblico, che si preoccupa di seguire i progetti.Ricordo anche il Progetto A9 city per la bioedilizia: la pubblica amministrazione diventa il faro di una cordata di imprese edili locali che attirano anche grandi partners internazionali facendo impresa anche tra aziende in concorrenza sullo stesso settore, con l'obiettivo di fornire abitazioni con cablaggio completo per servizi on line on demande. Molta attenzione è stata posta sull'equità dei costi.Un altro settore di intervento dell'amministrazione è la tutela della sicurezza (attraverso un'altro progetto basato su sistemi di amplificatori di segnali forniti da telecamere installate su numerosi strumenti presenti nel territorio per individuare l'emergenza e seguirne l'evoluzione con trasmissione ad una centrale operativa).Sperando che tali esperienze possano convergere in un nuovo modo di governare e di sentire il diritto di cittadinanza, i comuni aderenti si propongono di sperimentare nuove strade e nuove esperienze sapendo ascoltare, interpretare i nuovi bisogni e soprattutto abbattere le barriere che costringerebbero i comuni minori e rurali ad un isolamento crescente rispetto ad una evoluzione la cui velocità si stenta a valutare.

· Gianluca Fioretti Sindaco di MONSANOIntervento: Esperienza nelle scelte a tutela dell'ambienteL'attenzione alla tematica ambientale è partita circa 20-25 anni fa in seguito ad un inquinamento da cromo esavalente, cercando di far crescere nei cittadini la consapevolezza che esistono modelli produttivi alternativi e cercando di fare di Monsano un laboratorio di pratiche alternative.1. RACCOLTA RIFIUTI PORTA A PORTA "SPINTO" da due mesi operativoHa permesso di ridurre a solo il 28% l'ammontare di rifiuti da portare in discarica rispetto all'80% dello scorso anno2. ALIMENTAZIONE BIODISIEL dei mezzi pubblici3. Promozione di Gruppi di acquisto solidale (nascita dell'associazione "Monsano informa"4. Istallazione e vendita di pannelli solari5 Il Comune ha deciso di intraprendere la faticosa strada della Certificazione ambientale EMAS (regolamento europeo), molto rigida e rigorosa, che costringerà ad un controllo del territorio completo. Questa scelta difficile e costosa, che renderà necessaria una completa riorganizzazione spingerà a fare controlli e attuare misure e linee attuative assolutamente coraggiose e sicuramente alternative e distanti da quelle amministrazioni che mirano a mantenere e a conservare il sistema per non trovare sgradevoli sorprese nel momento delle elezioni. Solo 13 comuni in Italia hanno per ora intrapreso questo strada.6 Festa annuale del "Buon senso"Altre attività: fra le prime adesioni al progetto A9 di Chiaravalle.Cofondatore della Associazione nazionale dei Comuni virtuosi, che è un serbatoio di buone pratiche

· Sergio Sinigaglia CANTIERE AltreMarcheIntervento: Progetto CANTIERE AltreMarche creare un soggetto di rete per intraprendere il cammino comune verso un nuovo modello di sviluppo marchigiano (documento a parte)

· Luciano Saraceni Federazione Marchigiana Credito CooperativoIntervento: esperienza e impegno della Federazione in Equador,In questo paese l'80% della popolazione vive con 2 dollari al mese, il 65% è denutrita, a fronte di 15% del PIL che va in armamenti.La federazione delle banche appoggia Giuseppe Tanello, che ha sposato il problema e si è trasferito sul posto.Esperienze di MicrocreditoSi è formata una cooperativa di credito (Codes Arroio), che a sua volta associa 800 cooperative (sono delle specie di casse rurali).Ciascuna BCC adotta una cassa rurale locale e l'aiuta a crescere.Si insegna a coltivare ad allevare galline, maiali, ecc., concedendo il microcredito per iniziare l'attività. L'insolvenza è al di sotto

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del 3%.Progetto Rimesse emigrati (circa 2 miliardi di dollari dato ufficiale, ma si hanno molte transazioni fuori dati quindi si stima quasi il doppio. Dall'Italia circa 78 milioni di dollari, 2,5% delle rimesse) da canalizzare verso il microcredito.

· Angelo Antognoni Coordinatore Soci BANCA POPOLARE ETICA MarcheIntervento: la presenza delle MARCHE (documento a parte)

· Franco Patrignani Organizzazione sindacale CISL segreteria regionaleIntervento: relazioni tra il sostegno ai lavoratori europei e il terzo mondoC'è un problema di coerenza fra strategia sindacale in Europa e strategia internazionale. Non c'è per ora una risposta completa.Essendo stato impegnato anche nel campo della cooperazione sociale potrei dire molte cose ma mi limiterò ad indicare attraverso quali strumenti il sindacato oggi lavora nell'economia solidale.Le politiche del lavoro e la lotta alla precarizzazione e ai contratti atipici va in questa direzione. Garantire le condizioni di lavoro dei nostri lavoratori è importante poiché è anche incentivante nei confronti delle rivendicazioni dei lavoratori degli altri paesi.Il sindacato italiano o meglio quello europeo non può e non deve essere complice dell'attuale classe dirigente e deve invece attivare importanti raccordi con le organizzazioni sindacali del sud del mondo poiché non si può più NON ragionare in termini globali. Non si può rischiare di fare lotte su rivendicazioni salariali che comportano la riduzione dei salari nel sud del mondo. E' quindi importante che le piattaforme siano ripensate anche in questo senso, occorre essere più acuti e non limitarsi ad ottenere una ripartizione dei profitti solo nei mercati occidentali.Per lavorare in questo senso ci siamo dotati di importanti strumenti di ricerca come l'ISCOS Istituto Sindacale Organizzazione e Sviluppo che cerca anche di favorire la difesa dei sindacati all'estero.Esperti che portano avanti le istanze di corresponsabilità nella gestione di impresa dei lavoratori (cogestione). Non è giusto che chi lavora stia fuori del tutto dalla responsabilità per l'azienda. Non ci sarà mai democrazia compiuta senza democrazia economica.In Germania, per esempi, ci sono i comitati di gestione in cui sono presenti rappresentanti (non sindacali) dei lavoratori.L'utilizzo degli ex-lavoratori ANTEAS gruppo di individui TERZA ETA' ATTIVACentrale sindacale internazionale GLOBALE, di tutti i sindacati (CII).ANOLF Ass. Naz.le Oltre Le Frontiere - per lavoratori immigrati per garantire il diritto di cittadinanza

· Emilio LANDI Copagri - Organizzazione professionale agricolaIntervento: presentazione del Condominio ruraleCopagri è una delle organizzazioni di categoria dell'agricoltura italiana.La globalizzazione ha messo alle corde le imprese agricole. Occorre tornare al consumo dei prodotti locali. Ora c'è una pazzia di movimenti di merci da e per tutto il mondo.Viene presentato un interessante progetto mirante al recupero delle aree agricole altrimenti abbandonate dai coltivatori e del lavoro agricolo.Continua l'incessante migrazione verso le aree urbane e la costa a spesa dei territori tradizionalmente votati all'agricoltura. La proposta nasce quindi dalla volontà di avvicinare le famiglie cittadine all'esperienza rurale passando dalla mentalità del prodotto da acquistare alla cogestione dell'impresa agricola.La proposta si basa sulla possibilità di affittare (o vendere porzioni dei fabbricati agricoli a famiglie cittadine che beneficerebbero della salubrità dell'aria e della genuinità dei cibi prodotti trovandosi anche coinvolti nella conduzione del lavoro agricolo. La comunità atipica che si formerebbe garantirebbe un nuova vitalità all'esperienza del coltivatore e una nuova cultura del lavoro in agricoltura da parte dei "nuovi condomini". Stiamo cercando il sito adatto per iniziare questa sperimentazione.Il nostro attuale obiettivo è quello di superare l'isolamento dell'agricoltura e stiamo lavorando per diffondere la cultura della qualità basata sulla corretta informazione sui prodotti e processi agricoli tradizionali.Cultura e qualità vanno diffuse poiché non possono competere contro la pubblicità dei Mass media. Mettere la forza della qualità contro la forza della pubblicità e delle abitudini. Occorre quindi aumentare la consapevolezza del consumatore, coinvolgere i cittadini nella gestione del territorio e eliminare la distanza fra produttore e consumatore.Personalmente sono stato tra i promotori dell'allargamento del tavolo verde anche a soggetti non agricoli per accrescere la conoscenza intorno al nostro agire e combattere l'isolamento. Agricoltura insieme ai consumatori. Cogestione dell'azienda agricola fra contadino e consumatori.(vedi anche documento a parte sui condomini rurali)

· ALESSANDRO FEDELI AVM MarcheIntervento: Associazione Volontariato Marchigiano

Piuttosto che parlare della tradizionale differenza tra settore Profit e NoProfit si inizia ad avere l'esigenza di discriminare e tenere a bada l'economia NON etica e NON solidale rispetto a quella che invece tenta di intravedere percorsi alternativi all'attuale tessuto economico ed imprenditoriale.Uno dei progetti del Centro Servizi è un Progetto che tenta di avvicinare il mondo del volontariato con quello delle imprese.Si è iniziato con Aziende che finanziano il volontariato.Altre Aziende che mettono a disposizione competenze per servizi alle associazioniAlcune che percorrono invece la difficile strada del riconoscimento di 2 giorni al mese di congedo ai dipendenti impegnati in

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servizi di volontariato.Riteniamo i risultati incoraggianti e tenteremo di sottoporre la proposta ad un numero sempre crescente di imprese, basandosi non solo sulla disponibilità di imprenditori particolarmente sensibili alla problematica, ma lavorando anche sull'opportunità di un'impresa ad investire sul senso di soddisfazione dei dipendenti, sulla direzione della responsabilità sociale di impresa e sulla produzione del bilancio sociale.Si tenta anche di trovare una incrocio tra offerta di beni non alimentari usati, da parte delle imprese/amministrazioni, e le richieste di quei beni da parte delle associazi

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2° Forum dell'Economia Solidale

Relazione di REES Marche

(di Paolo Chiavaroli)

Signore e Signori,vorrei innanzitutto ringraziarvi della vostra presenza. In particolare vorrei salutare e ringraziare coloro che, non ancora associati a Rees, hanno accolto il nostro invito e sono oggi qui con noi.Dopo aver avviato la costruzione di una rete di organizzazioni e persone che si riconoscono negli obiettivi di Rees e per questo ne sono diventati soci vorremmo, a partire dall'iniziativa di oggi, estendere l'ampiezza di questa rete manifestandovi il nostro interesse e la nostra disponibilità per un dialogo con ciascuno di voi, convinti che esso potrò portare un contributo importante alla costruzione di un'economia solidale e di una società che nel suo complesso assuma i valori su cui l'economia solidale si fonda: valori come quelli della pace, una pace fondata sulla giustizia, della nonviolenza, della solidarietà intesa come ricerca del bene comune.Tutto questo nel tentativo di avvicinare il giorno in cui i diritti umani, compresi quelli sociali ed economici, possano essere, piuttosto che celebrati, affermati nella quotidianità per ciascun abitante del pianeta.Pensiamo che questo obiettivo sia così prezioso che non possiamo rinunciare a nessuna delle risorse ed opportunità che il nostro territorio offre al fine di realizzarlo o, almeno, avvicinarlo.L'interesse ad aprirci all'esterno, poi, non è solo una priorità strategica o tattica. Direi che ha invece molto a che fare con l'essere della nostra Associazione e del progetto di costruzione di una rete di economia solidale. In altri termini vogliamo evitare nel modo più assoluto ogni autoreferenzialità, ogni ripiegamento su noi stessi, ogni rischio di invertire il rapporto tra mezzi e fini ritrovandoci magari ad essere più preoccupati della salute di un'Associazione che della salute del progetto per la realizzazione del quale l'Associazione è nata.Sento tuttavia il bisogno di aggiungere qualcosa che all'aspetto quantitativo affianchi anche l'aspetto qualitativo di questa interlocuzione. In altri termini siamo consapevoli non solo dell'importanza di ampliare la rete dei costruttori e dei sostenitori dell'economia solidale, ma anche della necessità, perché essa possa realizzarsi, di un dialogo che si situi su un piano di parità e di ascolto degli interlocutori; vogliamo evitare la tentazione di sentirci depositari di una più giusta interpretazione dell'economia solidale e di una "ricetta" definitiva od esaustiva. L'obiettivo, lo ripeto, è fare sì che la realtà cambi, che cambi più radicalmente e velocemente possibile ed ogni contributo che possa sostenere questo processo di trasformazione sociale può e deve essere accolto con piena cittadinanza.Si tratta in altri termini di animare un laboratorio o più laboratori di ricerca e sperimentazione che individuino forme radicalmente differenti di organizzazione economica, produttiva, finanziaria, commerciale, e alla fine sociale, che poi possano essere proposte ad un livello più ampio in alternativa alle pratiche attualmente in atto. Nel richiamare l'idea del laboratorio e della ricerca vorrei sottolineare anche il senso dell'approssimazione, della possibilità d'errore, della necessità di verifica e dunque il senso del limite, conservando come prezioso il valore del dubbio, della critica, del confronto, poichè l'unica certezza che abbiamo è quella di non bastare a noi stessi.Come ogni buon dialogo anche il nostro ha bisogno di fondarsi su una buona reciproca conoscenza. Per questo ora cercherò di presentarvi brevemente Rees e, in particolare, di informarvi sui processi in atto all'interno della rete.L'economia solidale, lo abbiamo detto, è in qualche modo un'esperienza vicina alla lotta nonviolenta e proprio quell'esperienza ci consegna una prima necessità fondamentale, ossia quella di uniformare i mezzi che noi utilizziamo con gli obiettivi della lotta stessa. Per noi questo vuol dire che tutti i valori situati alla radice del nostro operare come valori ispiratori e alla fine del nostro percorso, come speranza di vedere quegli stessi valori finalmente realizzati, devono fin da subito, nella misura maggiore possibile, essere evidenti e realizzati nel nostro quotidiano agire, nel nostro fare che tende ad avvicinare l'obiettivo finale.Questo principio ha ispirato lo stesso processo di costituzione dell'Associazione, con il quale abbiamo cercato di affermare nella vita quotidiana di Rees valori come quelli della partecipazione, della realizzazione di processi decisionali ispirati a metodi che puntano più alla ricerca di un consenso diffuso e includente che all'affermazione del punto di vista maggioritario, di un assetto organizzativo non piramidale nel quale gli organi sociali non abbiamo funzioni "direttive" ma "coordinatrici" di un lavoro di base

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costituito dai soci organizzati in gruppi di lavoro, vero centro e motore dell'Associazione.

E dunque per descrivere Rees non posso che farlo a partire dai Gruppi di lavoro. Ne esistono sette.

1- Esiste un gruppo "documenti" che ha lavorato allo Statuto e di recente ad un regolamento interno che intende tra l'altro accompagnare il processo di formazione di Distretti di Economia Locali (Des), così come sta accadendo nella provincia di Macerata. Questo gruppo ha svolto e svolge un compito molto delicato in relazione a quanto detto in precedenza, ossia ha il compito di proporre un modo di essere e di funzionare dell'Associazione che già a questo livello esprima corrispondenza con i valori di riferimento. E' il compito di definire l'essere e l'agire della Rete e così facendo di rendere manifesto qui ed ora la qualità nonviolenta, l'attenzione alla persona, la fiducia nei processi decisionali partecipati, della logica inclusiva e cooperante dell'economia solidale.

2- Vi è poi un gruppo di lavoro informatico. L'obiettivo è quello di sviluppare il nostro sito-portale pensato come uno strumento di servizio, che pensiamo possa essere utile nel processo di consolidamento della rete e nella possibilità per i soggetti esterni alla rete e per i cittadini in genere di conoscere i soggetti dell'economia solidale presenti nel territorio.

3- Fondamentale è poi il ruolo del gruppo redazionale. I soci di questo gruppo elaborano e inviano un bollettino informatico e un notiziario a più di 600 indirizzi.Il bollettino è lo strumento per approfondire, conoscere nuove esperienze e sperimentazioni in atto.Il notiziario invece è uno strumento di servizio che ha l'obiettivo di dare visibilità e, ancora una volta, mettere in rete iniziative dei soci e di altri soggetti che hanno in qualche modo a che fare con i temi a noi cari.

4- Il ruolo e la centralità del gruppo di lavoro "relazioni esterne" è di immediata evidenza così come è evidente l'obiettivo di favorire una sempre crescente capacità di interlocuzione di Rees con le diverse espressioni della società regionale.

5- Esiste poi un gruppo di lavoro che, in realtà, ha una forma giuridica associativa, è l'Associazione "I borghi e le piazze dell'economia solidale", costituita prima di Rees, quando la rete era ancora informale, con l'obiettivo di avere all'interno della rete una personalità giuridica in grado di svolgere quelle funzioni per le quali, appunto, era richiesta una personalità giuridica. Questo gruppo di lavoro ha avuto come impegno principale nel 2006 l'organizzazione della terza edizione della Fiera Eco&Equo.Tuttavia al nostro interno era emersa fin da subito la convinzione che una manifestazione regionale del tipo di "Eco&Equo" non fosse risposta sufficiente, o forse la migliore, al nostro desiderio di far conoscere in regione la realtà dell'economia solidale. Una fiera pensata per molti versi come una "classica" fiera all'interno di un vasto complesso espositivo come un ente fiera impone di fatto delle condizioni piuttosto rigide:- è legata ad un luogo preciso con determinate caratteristiche (una struttura espositiva particolare) e difficilmente la si può rendere itinerante, certamente non è possibile proporla in piccoli centri:- richiede un budget ed una complessità nella fase organizzativa molto elevate.Per questo motivo abbiamo pensato di creare un format di manifestazione molto più sobrio, capace di essere ospitato anche nei centri più piccoli della regione, con budget limitatissimi e abbastanza flessibile da sapersi adattare facilmente alle esigenze e all'interesse della comunità locale ospitante. Questo vuol essere in qualche modo l'iniziativa "I borghi e le piazze dell'economia solidale" che ha avuto già tre edizioni, Petritoli, Urbino, Fano. Essa resta una possibilità sempre a disposizione delle comunità che vogliono incontrare l'economia solidale, realizzare un momento di scoperta di eventuali realtà dell'economia solidale nel territorio e riflettere sui suoi principi.

6 - Vi è poi la Scuola delle Alternative. E' il gruppo che affronta il terreno della formazione e sono già state due le iniziative organizzate in questo ambito. A questo riguardo mi preme sottolineare due aspetti.Le iniziative della scuola delle alternative non si caratterizzano come tali solo in funzione dei contenuti proposti, ma anche per l'idea stessa di formazione su cui basa la propria attività e per la modalità attraverso la quale propone i suoi percorsi formativi. Come ben san chi ha partecipato a questi incontri, si tratta di tutt'altro che lezioni frontali e trasmissione unidirezionale di sapere tra qualcuno che sa e altri che non sanno; è infatti un percorso di condivisione e di scambio di saperi nel quale, tra l'altro, la persona è coinvolta nella sua integrità, nel suo essere razionale, ma anche nel suo essere emozionale, affettivo e relazionale.In secondo luogo la centralità dell'aspetto della formazione sta ad indicare che un'economia solidale, una società solidale, hanno bisogno di uomini donne solidali. Uomini e donne che non si colgano in competizione, ma privilegino la dimensione della relazione cooperativa con gli altri, che vedano il proprio interesse e il proprio destino come fortemente interconnessi con quelli degli altri, e via dicendo. In qualche modo, parafrasando una nota citazione di Gandhi, si tratta di "essere il cambiamento che si vuole vedere nel mondo".

7- Il Gruppo Impresa è quello di più recente formazione e vorrebbe assumere la sfida di fare concretamente impresa nello spirito dell'economia solidale. Non si tratta infatti solo di studiare un modello, di rendere visibili le diverse realtà dell'economia solidale, di metterle in rete, di fondare una cultura dell'economia solidale, ma anche di far crescere l'economia solidale in quanto tale, di contaminare l'economia e il mondo delle imprese con un'economia e delle imprese solidali. Non è sufficiente obiettare, denunciare, dissociarsi; è altrettanto importante avere un programma propositivo, un'alternativa, e questa alternativa farla vivere, sperimentarla perché solo il confronto con la realtà può rivelare la vera natura di una ipotesi teorica, solo la sua

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realizzazione può rivelarne i punti di forza e quelli deboli. Al momento il gruppo impresa ha deciso di dedicarsi a tre aspetti. Innanzitutto quello della distribuzione. Appare infatti chiaro che al momento nella filiera commerciale il vero centro di potere è rappresentato dai soggetti imprenditoriali che controllano la distribuzione che va, per altro, sempre più concentrandosi in poche mani. In secondo luogo il gruppo sta elaborando una proposta per la creazione di empori sociali nelle zone dell'entroterra della regione, luoghi nei quali sia possibile fornire prodotti e servizi di prima utilità per le comunità locali che invece rischiano di veder spostare tutte le attività verso la costa. Tale progetto che ha già avuto un generico segno di interesse da parte della Giunta della Regione Marche ed è in fase di studio. Infine il gruppo impresa fornisce assistenza a realtà nascenti dell'economia solidale svolgendo un ruolo di incubatore d'impresa.Questa descrizione, per quanto sommaria, delle attività dei singoli gruppi di lavoro e, dunque, di Rees nel suo complesso, credo abbia comunque evidenziato gli obiettivi che l'Associazione si è data per il prossimo futuro. Si tratta di obiettivi che accolgono la complessità del progetto "economia solidale", e che manifestano almeno la volontà di non rinunciare ad affrontare le differenti e molteplici interconnessioni che il tema dell'economia solidale porta con sé.Chiudo dunque il mio intervento nella speranza ora di poter ascoltare le vostre considerazioni, sia in relazione al nostro lavoro, sia in relazione all'invito più volte espresso ad un confronto e ad un comune impegno per avvicinare gli obiettivi di una società più vivibile, anche attraverso la costruzione di un'economia solidale che abbia al suo centro l'interesse per il bene comune, l'ambiente, i soggetti più fragili e meno tutelati delle nostre società.

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2° Forum dell'Economia Solidale

Relazione sul "Condominio rurale"

(COPAGRI)

COPAGRI 60125 Ancona - Via Tiziano, 11 - Tel 071 82774 Fax 071 2818099e-mail: [email protected] verdana corsivo

Condominio Rurale è un'idea di Copagri Marche e nasce da una serie di considerazioni. Già nel 1989, da un'attenta riflessione sui mutamenti in corso riguardo a tematiche care ai cittadini quali sicurezza alimentare e tutela ambientale, ravvisò la necessità di stipulare un patto tra agricoltura e società, tra Agricoltore e Consumatore. La nuova domanda sempre più pressante di prodotti di qualità, ma in particolare di ambiente e naturalità, richiedeva al produttore agricolo e al settore nel suo complesso di assumere un nuovo ruolo. Superata l'emergenza nutrizionale ed entrati in regime di eccedenze, veniva chiesto all'agricoltura non più solo di produrre esclusivamente beni alimentari, ma "produrre" anche beni pubblici come ambiente e vivibilità del territorio.

Si riteneva che tutto ciò si sarebbe concretizzato attraverso la logica dello scambio sancito dal Patto tra agricoltura e società. Patto che non si è realizzato, se non marginalmente con i regolamenti comunitari 2078 e il 2080. E' mancata la "forza" che simili svolte richiedono per essere realizzate. La consapevolezza dell'importanza di questo sodalizio è arrivata soltanto oggi e per le Marche in particolare, fuori tempo massimo, quando ormai gli eventi hanno fatto il loro corso relegando la teoria del Patto a cosa vecchia e superata.

In un ambiente rurale specifico come quello marchigiano, è necessario ora andare oltre ad un semplice patto per arrivare ad una gestione comune delle problematiche del territorio, che coinvolga tutti in un sistema che potrebbe definirsi "Condominio Rurale". Dal Patto al Condominio Rurale, visto sotto diversi aspetti.

Condominio Rurale inteso come una nuova filosofia ed una nuova strategia per lo sviluppo delle aree rurali. Le problematiche delle aree rurali non più viste come una questione riguardante i soli produttori agricoli, che stipulano un patto di scambio con la società, ma una questione che coinvolge tutti i soggetti residenti e fruitori del territorio rurale, dei prodotti e dei servizi, che partecipano attivamente alla definizione degli obiettivi e delle strategie inerenti il modello di sviluppo rurale locale in un sistema articolato e policentrico. In sintesi, non più un'agricoltura PER il consumatore ma un'agricoltura CON il consumatore. Peraltro, soltanto così gli agricoltori potranno vedersi riconosciuto il ruolo sociale svolto, dal momento che il coinvolgimento diretto della popolazione alle scelte di politica rurale renderebbe più evidente, agli occhi della società, l'utilità dell'agricoltura e della presenza degli agricoltori stessi sul territorio.

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Un'approfondita riflessione su quanto va modificandosi nel rapporto tra produttore e consumatore ha influito molto nell'imprimere al progetto un carattere decisamente innovativo. Il consumatore è sempre più attento a cosa mangia, consapevole che molto della propria salute dipende proprio da questo. Avere la sicurezza della qualità, la salubrità e la provenienza dei prodotti alimentari, potendo costatare e verificare di persona tutte le fasi del processo produttivo, è una tendenza che sta crescendo. C'è un desiderio inconscio, infine, presente in molti consumatori, in particolare quelli residenti in città, di sentirsi direttamente coinvolti nella gestione di un'azienda agricola partecipando magari solo "emotivamente" a produrre ciò che mangeranno. Già la pratica della vendita diretta mette in stretto contatto produttore e consumatore. Sono mature le condizioni per andare oltre la vendita diretta accorciando ulteriormente la filiera con il coinvolgimento personale del consumatore nella fase della produzione e della eventuale trasformazione in azienda dei prodotti. Maggiore è la distanza che separa il produttore dal consumatore e maggiore è l'intromissione di coloro che possono indisturbati fare i propri interessi a danno di entrambi. La vicinanza e il contatto diretto responsabilizzano il produttore e fanno crescere nel consumatore la cultura della qualità e la capacità di apprezzarla.

Negli ultimi anni, all'aumento del livello di sensibilità e consapevolezza del consumatore verso la sicurezza e la qualità alimentare, non ha corrisposto un pari aumento dei consumi di prodotti di qualità. E' un consumatore che non dà seguito alle sue convinzioni. Il principale ostacolo è sicuramente rappresentato dalla forza esercitata dalle abitudini, difficili da vincere. Le sole campagne di sensibilizzazione sulla sicurezza dei prodotti alimentari, non si sono rivelate sufficienti a sviluppare risultati concreti. Occorrono altri strumenti, quali il coinvolgimento diretto e la messa a punto di una serie di servizi rivolti al consumatore per facilitarlo a cambiare le vecchie abitudini.

La filosofia del Condominio Rurale, calata nella singola impresa agricola rappresenta per alcune aziende un'opportunità in più per acquisire un ruolo multifunzionale e per radicarsi ed ancorarsi saldamente nel contesto locale. Un'impresa agricola fortemente legata al proprio territorio è anche affrancata e indipendente dalle insidie della globalizzazione. Il Condominio Rurale si configura come un'associazione "sui generis" tra un imprenditore agricolo ed un determinato numero di cittadini che, in qualità di consumatori e di fruitori dei servizi, potranno avere libero accesso in azienda orientando, in base alle loro necessità, le scelte produttive ed i servizi offerti. Resta inteso che il "capo del condominio" è l'imprenditore agricolo che per questa funzione viene ricompensato da un'attenta e puntuale valorizzazione sia dei prodotti sia dei servizi offerti. Sarebbe una forma "estrema" di agriturismo attivo.

Il tipo di associazione "Condominio Rurale", sancita da un atto costitutivo e regolamentata da uno statuto, consentirà la partecipazione attiva dei "soci" a talune attività aziendali come la raccolta dei prodotti. Verrebbe così in parte risolta la questione della carenza di manodopera in particolari momenti del processo produttivo. Ne gioverebbe lo sviluppo di coltivazioni ad alto reddito in luogo di quelle estensive, invertendo l'attuale tendenza che registra il fenomeno opposto proprio per l'impossibilità da parte delle imprese di reperire manodopera nei soli momenti di punta.

L'Azienda agricola dovrà produrre tutto quanto può servire ai bisogni alimentari delle famiglie degli associati e dovrà realizzare presso la sede aziendale tutte le trasformazioni possibili adottando metodi tradizionali (dal pane ai salumi, alla conserva di pomodoro, ecc).

Alcune di queste trasformazioni potranno rappresentare momenti di partecipazione emotiva delle famiglie dei soci. Ad esempio si è presenti in azienda nel fine settimana quando si fa il pane per prendere ognuno la propria parte dopo sfornato. Altre trasformazioni potranno essere effettuate direttamente dai soci. Ad esempio ognuno potrà farsi la conserva di pomodoro, avvalendosi delle apposite strutture aziendali, dopo aver raccolto la materia prima. Tutto questo con la consulenza e l'assistenza del "Capo condomino" cioè dell'Imprenditore agricolo. Presso la sede aziendale potranno essere organizzate manifestazioni (feste, ecc.) legate alla tradizione contadina od anche corsi di assaggio, di cucina, ecc. riservati ai Soci. Numerose saranno le attività e le produzioni che potranno essere sviluppate facendo affidamento sulla fantasia e la creatività dei condomini, entrati nella filosofia del "Condominio Rurale".

La creazione di un sito internet consentirà l'aggiornamento dei Soci sulle attività del Condominio Rurale.

Dopo la promozione di un limitato numero di Condomini Rurali, con la funzione sperimentale o "pilota", dislocati in tutto il territorio marchigiano, tra gli obiettivi a medio e lungo termine vi è la creazione di una rete di Condomini Rurali collegati tra loro per lo scambio costante delle rispettive esperienze. Il coinvolgimento di un numero crescente di cittadini-consumatori, inoltre, consentirà la nascita di un "movimento" che si riconoscerà in un nuovo modo di far coesistere in una unica circostanza aspetti dell'approvvigionamento alimentare, del tempo libero, della crescita culturale, della fruizione dell'ambiente naturale e della socializzazione.

Entro i prossimi mesi alcune aziende agricole, con caratteristiche oggettive e soggettive appropriate, avvieranno il processo di trasformazione in Condominio Rurale. L'azienda ottimale deve avere una superficie di almeno 10/12 ettari, avere già in produzione vigneti, oliveti e, possibilmente, frutteti, disporre di acqua per irrigare una minima superficie di terreno da destinare ad ortaggi, essere possibilmente "biologica" o in fase di conversione, avere strutture e spazi ove è possibile effettuare allevamenti almeno di animali minori, disporre di spazi e prati piantumati da attrezzate per attività di svago e relax, disporre di almeno un locale nel fabbricato aziendale abbastanza ampio come punto di ritrovo dei consumatori associati per le loro

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adunanze, avere locali da adattare per la trasformazione dei prodotti.

E' già partita anche la ricerca dei "condomini", cioè dei cittadini-consumatori disposti ad associarsi ad un'azienda agricola per realizzare il Condominio. Tra i consumatori l'iniziativa ha suscitato un forte interesse, molto entusiasmo e anche tanta curiosità. I presupposti per il successo ci sono tutti.

Ancona, 18 maggio 2007

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2° Forum dell'Economia Solidale

Relazione di Banca Etica Marche

(Intervento di Angelo Antognoni, coordinatore dei soci della circoscrizione Marche di Banca Popolare Etica)

"Partiamo, considerato il tempo a disposizione, dall' ipotesi, anche un po' presuntuosa forse, che la maggior parte degli ascoltatori conosca già Banca Etica e dunque non sia necessario, in questa sede, ripercorrerne tutta la storia.Prendo spunto dagli interventi dei relatori che mi hanno preceduto, ed in particolare da alcuni termini da loro utilizzati, che si possono ritrovare in pieno anche nei valori fondanti di Banca Etica: relazione, centralità della persona, rapporto paritario, partecipazione, ecc…Quello che caratterizza questa banca, o meglio direi, la "nostra" banca (intendendo che tutti noi soci la sentiamo come nostra), sono alcuni caratteri distintivi che si ricollegano ai termini sopracitati:la trasparenza, in quanto tutti i finanziamenti erogati dal primo giorno di attività ad oggi sono visibili sul sito della banca; già questo, non mi sembra poco:si può concordare o meno sul finanziamento accordato ad una certa realtà , ma il fatto di venirne a conoscenza è gia tanto. non so quale altro istituto bancario faccia altrettanto…la partecipazione: attualmente a livello nazionale ci sono quasi 28.000 soci, la cui stragrande maggioranza(circa 24.000) sono persone fisiche, individuali, che in assemblea, avendo la banca forma giuridica di banca popolare, hanno stesso diritto di voto, indipendentemente dalle quote possedute(1 testa, 1 voto); inoltre, i soci sono organizzati in associazioni territoriali(circoscrizioni) attraverso le quali possono partecipare alla vita della banca.la solidarietà, in quanto i risparmi di soci e clienti sono utilizzati per avviare e/o sostenere realtà operanti per il bene comune, per attivare circoli virtuosi. Inoltre, a chi richiede finanziamenti, viene praticato lo stesso tasso di interesse, indipendentemente dall'importo.Ho già accennato a soci e clienti:spendo due parole per ricordare che ci si può accostare a Banca Etica sia come soci, acquistando delle quote, se pensiamo che questa idea sia meritevole e da sostenere; sia come clienti, utilizzandola come qualunque altro istituto bancario, considerati i servizi che ormai è in grado di offrire, oppure, ovviamente, in entrambi i modi contemporaneamente.Non vorrei dilungarmi troppo e poiché questo è un incontro relativo alla rees marche, riporto alcuni dati dell'attività di Banca Etica nella nostra regione, dati forniti dal nostro banchiere ambulante Paolo Ranzuglia, oggi assente per impegni familiari, che, sicuramente più di me, operativamente ha la situazione sotto controllo.I soci della nostra circoscrizione sono 520, per un capitale sociale sottoscritto di circa 300.000 euro, risono circa 200 correntisti per un totale raccolta (considerando anche certificati, obbligazioni, ecc…) di oltre 4.400.000 euro.A tutt'oggi sono stati accordati nella nostra regione circa 120 finanziamenti, di cui 41 tuttora in essere; la somma totale accordata è di circa 6.500.000 euro di cui circa il 90%, oltre 5.700.000 euro utilizzati.Tra i finanziamenti accordati(ricordo, tutti visibili sul sito), il più piccolo è stato uno scoperto di conto di 1500 euro per un extracomunitario che aveva necessità di inviare soldi per cure mediche a suo padre ed il più grande un fido di 2.500.000 di euro al Cnca - coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza, con sede a Porto San Giorgio."

Appendice:

in questi giorni si è svolta a Padova l'assemblea nazionale dei soci di banca etica; in questo momento, la banca sta vivendo una sorta di dibattito interno, più o meno condiviso, attraverso canali interni e/o esterni.Banca Etica ha avuto una crescita straordinaria, se si pensa che opera solamente da 8 anni(si è arrivati - dati tratti da una recente intervista a Fabio Salviato - ad oltre 530 milioni di euro di raccolta, 330 milioni di finanziamenti deliberati, un tasso di

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sofferenza netto pari al 0,20% dei finanziamenti, oltre 150 dipendenti diretti, 10 filiali e 24 uffici dei promotori finanziari) ed una crescita di questo genere comporta indubbiamente dei rischi di "smarrimento"(anche il commercio equo, mi sembra, abbia problemi del genere).Ma cos'è allora Banca Etica? E' una banca a tutti gli effetti che opera nel settore creditizio, ma allo stesso tempo è anche una realtà con una grande e variegata base sociale, che, in sintesi, si potrebbe identificare come un insieme di privati cittadini ed organizzazioni che si interrogano su di un uso responsabile dei propri soldi e cercano di metterlo in pratica concretamente.Indubbiamente non tutto è perfetto, pur tuttavia è un laboratorio, una sperimentazione che sta funzionando, che sta facendo vedere che anche nel settore economico, in contrapposizione alle attuali tendenze, ci si può sostenere (non è un ente di beneficenza, i conti devono tornare) mettendo al primo posto la centralità delle persone e delle relazioni, le buone pratiche e non la massimizzazione del profitto.Questo, mi permetto di dire, non è poco, pur con tutti i limiti che vengono evidenziati in varie situazioni e "gettare al vento" un'esperienza del genere sarebbe veramente un peccato.Ognuno, ovviamente, è libero di farsi una propria opinione sulla questione, queste sono solo considerazioni personali di chi scrive; ed a proposito di considerazioni, trovate in questo stesso numero del bollettino in un altro articolo, alcune riflessioni su Banca Etica di padre Alex Zanotelli.

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2° Forum dell'Economia Solidale

Proposta Cantiere AltreMarche

Proposta per unCantiere che costruisca un Modello Marchigiano Alternativo)

C'era una volta il modello marchigiano

I saperi per un modello alternativoPensiamo che in questa regione sia necessaria una riflessione e una discussione critica sul modello economico e sociale che contraddistingue il nostro territorio.Anche nelle Marche, in questi anni, settori della società civile, più o meno organizzati, hanno posto il problema di avviare sperimentazione di alternative concrete al modello e al sistema che hanno caratterizzato la nostra regione negli ultimi decenni. Hanno avviato percorsi teorici e concreti per una economia più solidale che abbia al centro i diritti delle persone, il rispetto dell'ambiente e un ruolo importante per la pace in questa area geografica. Ognuno si è mosso a partire dalla propria esperienza, dalle proprie competenze, dalle proprie esigenze per costruire percorsi come quelli del Tavolo dell'economia solidale, della campagna per l'acqua pubblica, delle mobilitazioni in difesa del territorio e dei diritti di cittadinanza; sono l'esperienza di intellettualità che si sono poste domande ed hanno camminato a fianco di questi movimenti; sono l'esperienza di chi si è fatto promotore attraverso la cooperazione e il volontariato della costruzione di un welfare comunitario.Non è nostra intenzione tentare di ridurre tutta questa ricchezza in un unico spazio e nemmeno provare a coordinarla. Tuttavia riteniamo che mettendo in comune le diverse esperienze ed i diversi punti di vista, questa pluralità di soggetti possano avere la forza di proporre un modello economico e sociale complessivo alternativo a quello attuale che è già riscontrabile in alcune pratiche virtuose di alcune amministrazioni locali e alcune soggettività sociali ed economiche.Per certi versi ci richiamiamo anche all'esperienza della Campagna nazionale Sbilanciamoci (www.sbilanciamoci.org) che parte dal presupposto che è necessario cambiare radicalmente la prospettiva delle politiche pubbliche rovesciando le priorità economiche e sociali, per rimettere al centro i diritti delle persone, di un mondo più solidale e la salvaguardia dell'ambiente anziché le esigenze dell'economia di mercato fondata su privilegi, sprechi, disuguaglianze. Ad essa aderiscono organizzazioni di livello nazionale e locale. Sbilanciamoci promuove ogni ottobre una proposta di finanziaria alternativa, seminari di approfondimento e un rapporto sui diritti sociali, sull'ambiente e sulle politiche pubbliche.

Il Cantiere AltreMarchePensiamo serva un Cantiere, un luogo sociale di costruzione collettiva in cui si possano incontrare quei soggetti impegnati a teorizzare e a costruire concretamente una diversa realtà, un nuovo modello marchigiano che non sia una costruzione astratta e accademica, ma che nasca dal tessuto sociale della nostra regione.Per questo sentiamo l'esigenza di un approccio storico: sempre più la politica è diventata gestione dell'esistente, senza un progetto, senza una prospettiva. Per questo appare sempre più frammentaria e incoerente. Per questo lascia che siano altri

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soggetti a definire e determinare il modello da perseguire, riducendo le istituzioni a ruolo di "agenzia" al servizio di piccoli e grandi poteri e comitati d'affari.

Le pratiche e le esperienze dei movimenti globali di questi anni ci hanno insegnato che i luoghi dove viviamo sono completamente attraversati dalle reti lunghe della globalizzazione neoliberista. Anche nella nostra regione la logica pervasiva del mercato, l'assurditmodello sociale ed economico basato sulla à di un sfruttamento intensivo delle persone e del territorio è sotto i nostri occhi.Un modello frutto di scelte politiche un tempo decantate come esempio virtuoso dove crescita economica e esigenze delle persone potevano convivere. In questo senso il Piano di Aerea Vasta (la nostra tav, la nostra base militare che al contrario della Val di Susa e di Vicenza non trova una mobilitazione all'altezza della gravità del progetto) è l'evoluzione della specie.Da qui si deduce che c'è l'esigenza di costruire un percorso, un agire politico e sociale che partendo da un'analisi della realtà non sia una palestra per intellettuali ma un laboratorio che delinei e pratichi concretamente un modello alternativo. Con la consapevolezza che non si parte da zero. Infatti pur con tutti i limiti crediamo che anche nelle Marche ci siano esperienze importanti di municipalismo democratico, di progetti basati sull'energie rinnovabili, di un'imprenditoria solidale e cooperativa, di un'agricoltura che rifiuta la logica del businnes e punta sulla filiera corta, di un associazionismo che si pone come una preziosa risorsa di fronte ad una politica ufficiale oligarchica e sorda alle istanze dei cittadini.E' questa "altra marca" che vogliamo valorizzare, far emergere definitivamente e affermare. Un arcobaleno di realtà dove siano messe in discussione la delega e la passività, così come il minoritarismo autoreferenziale, per dare vita ad una esperienza in rete che si proponga come punto di riferimento. Un Cantiere regionale che dia forza e costruisca le Altre Marche.Non si tratta solo di porre a critica le scelte della politica e delle istituzioni, il che sarà comunque necessario, ma anche di essere capaci di uscire dalla contingenza e lanciare sulla regione uno sguardo d'insieme, di pensare un'alternativa senza farsi condizionare dagli schemi consolidali e dalla logica delle appartenenze.

Primi firmatariMichele Altomeni - Socio di Carta Cantieri sociali e consigliere regionaleAlessandro Campetella - PrcPaolo Chiavaroli - Coordinatore Mondo SolidaleEvasio Ciocci - Sindacalista CgilGabriele Darpetti - Forum 3° settore e Lista civica Bene Comune di FanoCarlo Migliorelli - Assessore Provincia di MacerataSergio Sinigaglia - Socio Carta Cantieri Sociali e lista civica "La città in Comune"Gabriele Squagliella . Associazione Agricoltura biodinamicaStefano Trovato - Cooperatore sociale

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Primo seminario Scuola delle alternative

La visione del mondo alla base dell'economia solidale

(intervento di Enrico Euli )

Nota: nel testo originale sono presenti alcuni schemi illustrativi che, abbiamo tralasciato per non inviare file-immagine allegati e anche perché i testi sono comprensibili anche senza le immagini.. Il testo con le immagini potrà essere consultato sul sito www.resmarche.it.

Intervento di Enrico Euli - 9 Dicembre 2006

La mattinata con Enrico Euli inizia con un esperimento: i partecipanti sono invitati a fare una traduzione personale dell'espressione "La visione del mondo alla base dell'economia solidale" come recita il titolo del coso stesso, attraverso un'immagine, un disegno.In pochi minuti vengono realizzati degli schizzi su semplici bigliettini e da essi vengono fuori diverse interpretazioni, ma non così distanti le une dalle altre. I corsisti vengono invitati a distribuirle sulla superficie del pavimento, Sulla base delle affinità e le differenze, le varie visioni vengono distribuite sul pavimento formando delle macroaree.

Il dinosauroÈ metafora di una visione pessimista della realtà in cui l'economia solidale appare quasi anacronistica; si uniscono elitarismo e criticismo a rendere il quadro un po' più fosco.

Il dono

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Metafora della gratuità e di uno scambio che non sia quello economico, al contrario fatto in nome del guadagno e dell'interesse egoistico.

Il primitivoIn questa area si trovano gli elementi naturali insieme ad ampi orizzonti, che riportano un bisogno di naturalità, di puntare all'essenziale; comunque, un cambiamento di punto di vista.

Il bucolicoLe immagini di uomini e comunità a contatto con la natura, al lavoro collettivo nei campi (un po' tipo hippies!), riportano il bisogno di vivere a contatto con la natura in maniera quotidiana. Il bisogno di dimensioni e ritmi umani, porta ad una idealizzazione della vita di campagna, del rapporto con la natura.

Il legameProtagoniste di quest'area sono le relazioni, fili invisibili eppure forti e pieni di senso, tra le persone, rappresentate da volti e mani.

Euli passa in rassegna le visioni, mettendone in evidenza caratteristiche ed implicazioni. Ridicolizzando e sdrammatizzando, così da rompere la visuale sostanzialmente omogenea che accomuna i corsisti, è stata portata alla luce la comune tendenza alla cosiddetta circolarità rassicurante. Prendendo spunto dal disegno di un cerchio e comparandolo con la figura dell'ellisse (più asimmetrica e meno regolare), si è presa nota di come il gruppo usi simboli che rimandano alla regolarità, alla chiusura: orizzonte definito, cerchio, quadrato, nido, "hortus conclusus". Tutte immagini di grande ordine, costruzioni e strutture proporzionate che denotano il grande bisogno di stabilità e rassicurazione. Questa proposta di una lettura diversa delle affermazioni fatte, ha spaesato non poco i presenti. Alcuni hanno cercato di argomentare diversamente da quanto messo in luce da Euli e tale reazione è stata letta come un tentativo di difesa di fronte al portare all'evidenza elementi inconsci.

I modelli dell'azioneQuanto emerso dal gioco delle rappresentazioni - ossia l'implicito ed inconsapevole bisogno di controllo e sicurezza - viene analizzato alla luce di diversi modelli di pratica (intesa come modo del pensiero e del comportamento), collegati al concetto chiave della pace. Pace come realizzazione, equilibrio e pienezza, meta comune alle diverse attività umane, declinabile in diversi significati. Proprio in virtù di questo suo senso lato, si può dire che l'economia solidale stessa tenda, predichi e metta in pratica quello che è un modo di essere sia dell'individuo che della società. I disegni stessi ne testimoniano il desiderio. Dietro la visione della pace, però, si può nascondere un grave pericolo. In molte delle buone pratiche, delle visioni alternative all'attuale stato di cose, si rischia di incappare nell'errore (come è successo per il variegato mondo della nonviolenza): procedendo all'illustrazione del modello nonviolento e di quello violento del concetto di pace, si è messo in evidenza come la visione della "pace come quiete" e assenza di conflitto, costituisca il motore primo della negazione della pace stessa, ossia la guerra.

Figura 1 Modello violento della Pace

Nella "pace come quiete", perfezione statica ed immutabile, il conflitto non può essere altro che disturbo, pericolo per l'ordine stabilito. Eppure, il conflitto costituisce il naturale e spontaneo avvicendarsi di fasi ed elementi diversi e propri della vita nella sua complessità; in quanto tale, esso è fonte di ricchezza e di crescita. Invece, all'interno di questo modello, il conflitto viene visto come la causa del male, portatore di disordine: è il nemico da combattere. Finché esso viene vissuto in tale maniera, esso non può non causare la guerra. Questa affermazione è centrale: l'immagine della pace come raggiungimento della perfezione è la più influente causa della guerra. Ciò significa, quindi, che il modello della "pace come quiete" causa la violenza e la guerra, pur negandola idealmente. La guerra si configura come azione di controviolenza che - opponendosi al conflitto avvertito appunto come violenza -si propone il ripristino dell'ordine precedente, della pace perfetta. Il grande pericolo del modello della "pace come quiete" risiede nel fatto che la violenza è insita nelle sue premesse, nel suo sogno di pace: essa è implicita, coperta, non immediatamente riconoscibile e difficilmente accettabile, proprio alla luce dell'ideale di pace cui si ispira. E la violenza diviene ancora più subdola e perversa, proprio perché nascosta.Lo sguardo si sposta sull'attualità, a scoprire come oggi "la violenza non ha bisogno di aggredire, la tv ha preso il posto del manganello": una società violenta esprime il conflitto, lo vive, mentre una società non conflittuale non ha raggiunto l'illuminazione, ma è passata alla fase di negazione e di rimozione del conflitto ( propria del modello suddetto).

Figura 2 Modello nonviolento della pace

Euli fa presente come negli ambienti delle buone pratiche, sia molto diffusa la presenza di dinamiche riconducibili al primo modello, senza che ce ne sia consapevolezza. Il problema, afferma il suddetto, è nell'approccio, nella modalità: in quelle che egli chiama "premesse all'azione". Abbiamo, cioè, lo stesso approccio tradizionale della società da cui si cerca di staccarsi. Così, le stesse logiche che si vorrebbero combattere, vengono iscritte nuovamente all'interno dell'altro mondo possibile che si vuole creare.Il primo modello è ben rappresentato dalla medicina occidentale, in cui la malattia viene vista come nemico da combattere e non come spia di uno squilibrio da gestire. Allo stesso modo, il conflitto è visto come elemento di disturbo e non come spia di

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malessere. E la cura è guerra che - eliminando il sintomo (e molto spesso non la causa) - porta alla guarigione. Ed ecco apparire in questo contesto, la guerra preventiva così tanto in auge oggi: come l'antibiotico agisce prima che ci sia l'infiammazione, al fine di prevenire un possibile attacco da parte dei malefici microbi nemici; allo stesso modo si promuovono guerre per evitare possibili pericoli.La pace come quiete, la salute come assenza di sintomi, portano ad una sorta di immunizzazione in cui il conflitto e la malattia sono caos, male.

Il gruppoEuli sposta il discorso direttamente sul gruppo: i corsisti vengono ricollegati all'insieme di cui fanno parte, ossia la Rees (anche se durante il corso, molte sono state le persone esterne rispetto alla quotidiana attività dell'associazione). "Colonizzati dalla visione della pace come quiete", il gruppo è stato descritto come carente rispetto all'analisi delle proprie premesse, inconsapevole delle proprie dinamiche implicite. Dire premesse e dinamiche significa riferirsi a ciò che sta dietro ai comportamenti ed alle azioni; lì dove hanno sede le motivazioni, alle radici degli atteggiamenti. Infatti, il ruolo della formazione è proprio quello di influire sugli atteggiamenti, partendo dalla consapevolezza dei loro aspetti impliciti e nascosti, per divenirne soggetti attivi. La reazione dei corsisti è sembrata avvallare questa ipotesi: la sorpresa di fronte a quanto emerso dai giochi iniziali è testimone di un'assenza di auto-lettura da parte del gruppo. La maggioranza non ha mai verificato i presupposti messi in luce dai due modelli, ossia, non ha mai portato alla luce la propria modalità violenta: stato di negazione e rimozione. Una spia di ciò è il riconoscimento totale delle minoranze che, lungi dall'essere serena convivenza, si avvicina molto di più alla copertura del conflitto. Quale migliore luogo del confronto sulle diverse visioni del mondo alla base dell'economia solidale per rivelarne la parte più radicata e nascosta? E' necessario uno studio, una riflessione sull'idealizzazione della pace in quanto quiete. "L'idealismo è violenza, il conflitto è vita": l'idealismo tenta di cristallizzare la realtà in una condizione immutabile, quando la realtà è un flusso incessante, cambiamento continuo che passa proprio attraverso il conflitto. Ed è proprio nella gestione di questo, lo scarto tra il modello violento e quello nonviolento: imparare a cooperare nel conflitto, solo così col suo crescere, cresce la solidarietà.

Concorrenza e cooperazioneAttraverso il gioco del richiamo, si è mostrata la differenza tra spirito concorrenziale e spirito di cooperazione: si tratta di un gioco in cui i partecipanti - divisi in coppie - scelgono un richiamo col quale ognuno possa riconoscere il partner nella folla, solo attraverso il verso stabilito. Al termine il gruppo è stato diviso in tre fasce, a seconda della gestione del gioco: quella di chi ha scelto richiami molto forti, quella di chi li ha scelti troppo deboli e infine, la mezzana occupata da chi si è tenuto ad un volume medio. A giudicare dai decibel, molti sono stati inclusi nella prima fascia e ciò rivela la forte la presenza di uno spirito concorrenziale. Ad esso si aggiunge la fetta degli "ingenui" che ha dato una valutazione troppo ottimistica della realtà, scegliendo dei richiami flebili, cancellati dal rumore generale. L'ultima fascia è simbolo di una cooperazione nel conflitto che riesce a gestirlo, non essendone cancellata e ciò proprio grazie all'unione di concorrenza e cooperazione.

Figura 3 Quanto emerso dal gioco del richiamo:

solo concorrenza = violenza

solo cooperazione = irrilevanza

La concorrenza è un tipico elemento del sistema di mercato e ne rappresenta bene la funzione di canalizzazione dell'aggressività che gli è stata data, all'alba della modernità: il mercato è stato visto come motore e portatore di civiltà e questa, come il frutto della sublimazione delle energie aggressive e sessuali. L'attualità mostra ogni giorno come questo programma sia fallito. Anche lo sport, fiore all'occhiello della civiltà sin dai suoi albori, è stato creato col medesimo scopo: usare le energie altrimenti distruttive presenti nell'uomo.

Il TempoSe l'economia solidale non modifica le radici del sistema mondo che vuole creare, non potrà non ricadere nei medesimi meccanismi della società in cui viviamo; meccanismi violenti e che reiterano all'infinito i valori di cui sono figli. Se l'economia solidale si da come obiettivo solo quello di agire in superficie, limitandosi a sostituire gli oggetti delle proprie scelte ( l'acquisto di prodotti locali invece di quelli tradizionali, biologico ed equo e solidale al posto dei prodotti delle multinazionali, ecc.) senza intaccare la base di queste scelte, ha già perso. Ad esempio, promuovere il consumo critico senza intaccare il consumismo, non fa altro che alimentarlo facendo sì che esso inglobi tentativi e prodotti diversi (come sono le esperienze e i prodotti dell'economia locale o del commercio equo). Provocatoriamente Euli afferma: "l'economia solidale non è conveniente". Se permangono le premesse tradizionali, le pratiche dell'economia solidale non solo non sono convenienti, ma finiscono con il creare molto più stress di quello che vogliono combattere. Cura delle relazioni, produzione domestica, il gruppo d'acquisto solidale, la bottega… cercare di 'farci stare tutto', non avendo però cambiato i presupposti dello stile di vita, è davvero controproducente!Per rendere conveniente (in termini umani e non economici!) l'economia solidale, è fondamentale lavorare sulle premesse: iniziamo dal tempo. Nel breve termine l'economia solidale appare inutile, non conveniente, controproducente. E' nel lungo

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termine che diviene rilevante e conveniente. Nella nostra cultura, che vede il tempo come denaro, collegato alla produzione, la concorrenza non solo è coerente con tale visione, ma conveniente. Il tempo è risorsa scarsa e la concorrenza è la lotta per accaparrarsi questa come le altre risorse scarse; inoltre, grazie ad essa l'impiego del tempo viene ottimizzato sempre di più. Finché domina questa visione efficientista del tempo, l'economia solidale non può esistere davvero. Bisogna lavorare sul tempo, decolonizzarne l'immagine di unità di misura produttiva, di freddo contenitore da riempire, da far fruttare. Cosa veramente ardua, osserva Euli, per chi vive nel modello marchigiano, il piccolo miracolo del nord-est nel centro Italia! L'economia solidale non può pensare di essere una risposta alla catastrofe in atto, senza rivedere i propri fondamenti. "L'economia solidale dovrebbe essere un gioco da giocare durante la catastrofe"; un gioco che ci permetta di viverla, dato che essa costituisce il contesto in cui viviamo. Convivere attivamente con essa e magari sopravviverle; il grande passo che bisogna compiere sta nella scissione tra tempo e denaro e tra lavoro e denaro. Solo così, si può sperare di mettere in atto la liberazione. Senza questo grande salto, l'economia solidale rischia di essere come la filantropia, l'umanitarismo: funzionale al sistema violento.

Lavorare sulle premesseCon questa espressione si intende il lavoro di riconoscimento delle motivazioni più implicite e profonde, le premesse appunto, della propria azione. Solo così diviene possibile gestire quei comportamenti tipici del mondo del volontariato, come il paternalismo, il buonismo, l'assistenzialismo, il populismo, ecc. Noi viviamo senza confrontarci veramente, né con noi stessi, né sulla nostra visione di economia solidale. Infatti, sono ben pochi i momenti in cui questi elementi affiorano all'attenzione…

Figura 4 L'aquilone ed accanto, la valutazione della scala dei comportamenti Gandhiana

Passività: segno -

Aggressività: segni + -

Assertività: segno +

Empatia: segno ++

L'aquiloneSi tratta di "un rombo che configura quattro modalità del sé, intese come modi di porsi rispetto all'esistere" . Nel suo libro "I dilemmi (diletti) del gioco", Euli descrive così lo schema dell'aquilone: "(…) Se dividiamo il rombo al centro, formiamo due triangoli simmetrici. Chiamiamo quello in alto il triangolo della nonviolenza (…) configura l'atteggiamento dell'assertività, fondamentale per una comunicazione positiva nei conflitti. Il lato che scende (…) ci ricorda invece il valore dell'empatia, della capacità di uscire da sé, di accogliere il limite che l'altro rappresenta per noi. Il triangolo in basso è viceversa quello della violenza: (…) è la sede della passività, che insieme e spesso ancor più dell'aggressività distruttiva è causa di violenza e sintomo di un'alta incompetenza a comunicare e restare in relazione" . Ancora: "La capacità di comunicare è tanto più alta e costruttiva tanto più, ovviamente, si supera la tradizionale impostazione, intrisa di violenza, e si va verso modalità empatico-assertive, che conciliano il massimo livello di espressione e d'autonomia col massimo possibile di apertura e di relazione" .Oggi viviamo nell'epoca di massima violenza: una minoranza attiva, aggressiva, domina una maggioranza passiva. E tutto ciò si riversa anche nel piccolo mondo dell'economia solidale, in cui i più attivi sono anche i più aggressivi. Come passare dalla passività all'assertività? E' necessario che· i più passivi diventino più assertivi· i più aggressivi diventino più empaticiLa passività dovrebbe tornare al suo ruolo di azione pubblica, di non collaborazione con le logiche del contesto attuale. In questo senso, la depressione, l'inerzia e la pigrizia sono da vedersi come forme di resistenza verso l'attacco totale sferrato ad ogni sfera della vita umana dal mercato e dai suoi meccanismi. Il mercato ha colonizzato tutti e quattro i lati del rombo, ed oggi assistiamo all'ultimo atto, che - in quanto volontariato - ci riguarda molto da vicino: la conquista dell'empatia. L'attuale umanitarismo paradossale (come le guerre umanitarie combattute negli ultimi anni) ne è la prova lampante. Il volontariato - all'interno del quadro generale - non fa che aggravare la situazione:, poiché spesso conduce all'empatia passando dal lato della passività, divenendo esso stesso complice della violenza del sistema. L'altruismo diventa buonismo ed il conflitto viene ancora più nascosto e rimosso: il triangolo della violenza viene celato sotto la bandiera della solidarietà.

Piccola diagnosiL'economia solidale deve indagare i conflitti al suo interno (conflitti di gruppo, conflitto col mercato), verificare il proprio grado di colonizzazione e di omologazione rispetto ai meccanismi della società da cui dice di volersi allontanare; così può smettere di essere un nido tranquillizzante per poter costituire un nuovo inizio. Questo lavoro lungo e profondo sulle premesse, propone Euli, nel caso della Rees marche, dovrebbe iniziare con la gestione del gruppo stesso. Osservando le dinamiche, Euli ha suggerito la divisione tra leadership e facilitazione, così da renderlo veramente democratico e partecipato. Inoltre, è necessario che si sviluppino le competenze necessarie al lavoro su se stessi: competenze e non ruoli, visto il pericolo di accentramento cui

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sembra andare incontro il gruppo. Esso necessita di accrescere le capacità di facilitazione e formazione, più che di formatori e facilitatori. Il modello marchigiano tende al produttivismo, alla specializzazione, all'ottimizzazione: non è così difficile portare questi elementi all'interno delle pratiche alternative. Questa è la radice del gruppo e dall'analisi di questa, dalla consapevolezza di ciò, si deve partire. Bisogna sviluppare le capacità in maniera diffusa; non creare gerarchie, ma diffondere orizzontalmente i poteri e le capacità. Il rischio della rete, per esempio, è l'espertizzazione. Il gruppo, però, è diverso dalla rete: parte dal riconoscimento dell'appartenenza, che nella rete non c'è. Infatti, nel gruppo è ancora molto forte il nodo dell'identità.

Figura 5 Descrizione dell'identità

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Primo seminario Scuola delle alternative

RISVEGLIARSI SOGNANDO10 Dicembre 2006

Intervento di Roberto Mancini, filosofo,durante il primo incontro della Scuola delle alternative della REES Marche

(sintesi a cura di Michela di Ciocco)

Il titolo non è originario del relatore, ma è stato preso da una delle frasi del testo.Il testo che segue è frammentario, quasi come fosse un insieme di aforismi, anche se con un filo conduttore. L'intervento di

Roberto Mancini è stato intenso e ricco.L'impossibilità dell'appuntare tutto - dovuta alla mancanza dei potenti mezzi tecnologici - non ne riduce però l'importanza e

profondità del tema trattato.Nonostante le lacune, il messaggio appare chiaro.

Globalizzazione: mutazione genetica delle istituzioni (scuola, carcere, ecc.). Ad esempio, riforma Moratti: scuola - azienda europea.

"Globalizzazione" non è un termine qualsiasi: non è neutro, ma è portatore di meccanismi ingiusti.Non si può credere che basti sostituire ciò che non funziona e rendere questo processo uno strumento per il conseguimento di obiettivi giusti: la globalizzazione è di per sé, nel suo intimo essere e funzionare, irriformabile. Più che un termine, la globalizzazione è una grammatica. E le sue regole ne fanno una metastasi: una parte mangia il tutto, rendendolo uguale a sé. E' una visione del mondo che nasce da schemi automatici ed impliciti, inscindibili dal suo stesso funzionare; un processo di omologazione di fronte al quale le diverse culture sono ridotte al folklorismo.Eppure, non si tratta di uno stato di fatto, di un meccanismo naturale - come invece viene propagandato; ad esempio, a livello economico, il protezionismo negli scambi commerciali è la prova di come la libertà e la globalità dei rapporti non siano poi così spontanee.Oggi assistiamo all'emersione delle radici spirituali nel modo umano di stare al mondo, di bisogni che vanno oltre il materiale; siamo già nella post-globalizzazione?L'anelito è quello, ma attenzione, perché ci può sempre essere una risposta capitalistica.

Il sistema in cui viviamo è un sistema acefalo: non percepisce il valore dell'umano. Ossia, non vede al proprio centro l'uomo, ma meccanismi, dinamiche che rimandano ad elementi inanimati, come il profitto. Inoltre, il gioco che questo sistema rappresenta è truccato: si inneggia alla crescita, eppure l'occupazione non fa e non può far altro che ridursi. Da riferimento ultimo, l'uomo è stato trasformato in risorsa; oggi, si sta trasformandosi in esubero.

"Economia della liberazione": risponde ad un'ansia, un'angoscia (appunto, ai nuovi bisogni spirituali).

L'economia della liberazione ha due aspetti: l'economia liberata e l'economia per liberarsi.

Antropologia come emersione dell'identità umana. Risveglio: antropologia alternativa.

Il fondamento della teoria economica è la teoria del valore. Il valore ti chiede energie, cura; il valore chiede di essere ricreato.

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La teoria del valore mette in luce come questo dia l'orientamento fondamentale ad una società, un'epoca.

uomo medioevale: non sporge dalla natura, poiché vi è completamente immerso. In questo contesto, il valore è dono: di Dio, della natura.

Uomo moderno: la natura è divenuta materia. In questo contesto il valore è il lavoro umano e si concretizza nella proprietà privata. Nasce il primato dell'economia e del profitto.

All'interno del linguaggio economico, si trovano due forme di valore:

valore d'uso valore di scambio

Nei secoli precedenti la modernità, il valore d'uso rappresenta l'unità di misura fondamentale. A partire dalla modernità, invece, si ha l'affermazione del valore di scambio. La presenza dell'uno o dell'altro influenza e coinvolge non solo l'assetto dell'economia, ma l'intera società; infatti, la centralità del valore di scambio porta il profitto a principio primo. Da mezzo di comunicazione quale era, lo scambio diviene mera funzione del profitto.

Da ciò appare come sia fondamentale cambiare lo sguardo sui valori.Liberare la realtà dai concetti in cui è stata ingabbiata. Giustizia, pace: nel momento in cui vengono trasformati in concetti, vengono sviliti. I valori non sono concetti, ma valori incarnati; chiuderli nei concetti ne cancella la forza e la realtà, li rende strumentali, quando essi costituiscono valori in loro stessi.E' necessario ripensare l'economia e per farlo, bisogna iniziare dal ripensare le premesse, cioè proprio la categoria del valore.Panikkar afferma come il mito rappresenti un insieme di premesse non consce, non razionali (ossia, le premesse). La globalizzazione è un mito. L'assoluta fede che il meccanismo automatico del mercato risolva tutti i problemi, ne è una prova. Ormai non crediamo più in noi come fautori della nostra vita e della nostra salvezza, ma nel meccanismo del mercato.

Il corso della vita va verso una profezia (rivelazione del/nel tempo): l'essenzialità. Ad esempio, la vecchiaia è ridursi all'essenziale, mentre il meccanismo del mercato è incentrato sull'accumulazione. La proprietà privata è collegata all'angoscia: angoscia legata all'alterità, alla presenza dell'altro che non può mai rappresentare una certezza. Questa è l'angoscia radicale dell'uomo occidentale.La razionalità, tipico elemento dell'occidente, è collegata al bisogno di controllo e di ordine: l'eliminazione del caos e dell'incertezza, soprattutto quella legata alla presenza dell'altro. Ad esso si sostituisce la proprietà, poiché il possesso da più sicurezza, stabilità ed ordine. La proprietà privata rappresenta lo spazio in cui non devo temere nessuno: un nido tranquillo dove le possibili fonti di dolore vengono eliminate.La proprietà sostituisce la relazione, al fine di rimuovere la sicurezza, l'angoscia, il dolore. Proprio questa fondamentale funzione la rende sacra ed intoccabile.L'uomo ha la particolarità di essere mortale ed autocoscienze; ciò lo porta alla coscienza della morte. A sua volta - come un virus nel computer - questa consapevolezza crea angoscia.L'obiettivo primario diviene quello di rimandare l'appuntamento fatidico, proiettando fuori da sé, sull'altro, l'elemento che non si riesce ad affrontare. Da qui, nasce il meccanismo di produzione delle vittime.Al cuore della razionalità c'è un'economia dell'angoscia. Essa rappresenta uno dei meccanismi messi in atto dall'uomo al fine di non affrontare il problema della morte; egli lo esorcizza creando appunto delle logiche mortifere che proiettano fuori l'angoscia, al fine di evitare di affrontarla dentro di sé. In questo quadro, l'economia rappresenta una guerra a bassa intensità.

Il dominio è una struttura mentale.

Bisogna riconoscere la natura religiosa del nostro modello economico.Il sacrificio è una distruzione ritenuta creativa (scambio economico con la divinità). Il cristianesimo innova la cultura umana, non volendo il sacrificio. Eppure l'uomo lo sovrappone al dono.Dono è diverso da sacrificio: nel primo non c'è perdita e non c'è distruzione.L'economia fonda e giustifica la morte e la vita col meccanismo del sacrificio.Modernità: religione = economia

L'essere umano stenta a riconoscere i valori viventi e si appoggia a quelli artefatti, immaginari.Ad esempio, il valore della scarsità - alla base dell'economia - è un prodotto umano e non un elemento naturale. Vi è una produzione dolosa che crea e giustifica i meccanismi della concorrenza e dell'esclusione.

Se assumo la relazione come fondamento, il conflitto è inevitabile, ma ci vivo dentro e lo so gestire.Le alternative che vogliono superare lo stato di cose sino ad ora descritto, devono essere alternative in maniera non superficiale.Nell'esperienza del voler bene, al centro, vi è l'altro e non la morte. Il bene cresce attraverso la sua condivisione. Molte coppie,

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per esempio, esplodono perché troppo chiuse nel loro mondo esclusivo. C'è una profonda creatività transitiva nel bene, che permette di relativizzare l'angoscia di morte: non si è più concentrati solo sulla propria esistenza, ma - attraverso la relazione - ci si proietta nell'altro e si vive col suo vivere (nelle persone amate, nelle generazioni successive, ecc.). Al posto della lotta con la morte, c'è la cura dell'altro: ecco che compare la fioritura umana.Si tratta di pensare diversamente l'intero stare al mondo. Ad esempio, dare vita ad un'economia non più basata sul profitto, ma sul dono. Il dono non è il regalo, il dono è condivisione.La relazione di condivisione inizia con l'imparare a ricevere. La soglia di coscienza del dono è la gratitudine, che prende il posto dell'angoscia come sottofondo alla vita stessa. Ciò che noi stessi siamo è stato ricevuto e poi rielaborato: la vita si esprime attraverso il dono.In questo diverso stare al mondo, in questa diversa modalità di economia, non c'è più la proprietà privata; al suo posto c'è l'affidamento responsabile. Ad esempio, la dignità non è una caratteristica o una dote che si possiede, è una responsabilità; la responsabilità di rispettare e coltivare ciò che siamo.

Avere = avere ricevuto --> Tutto quello che ho mi è dato perché dia frutto

Ricevere = comunicare --> Tutto quello che ho mi è dato perché dia frutto

Gandhi: trustshipCiò che ognuno ha non è in proprio possesso, ma in affidamento; inoltre, ciascuno di noi è in affidamento all'altro. L'essere è relazione, il reale è una rete di connessione.Bisogna sostituire i valori: la dignità al posto della flessibilità, l'ospitalità al posto dell'esclusione. Il termine "ospite"indica sia chi viene accolto che chi accoglie: mette bene in evidenza come la relazione unisca e coinvolga tutti i soggetti che vi partecipano, allo stesso modo il bene si moltiplica attraverso la sua condivisione. Bisogna cambiare le cose a partire dalla base. Ciò significa la trasformazione del soggetto dell'economia: dall'homo homini lupus, atomo bellicoso, all'uomo come nucleo relazionale. Allo stesso modo, l'economia è un'economia di relazione. Qui, il lavoro si trasforma da giogo a strada verso la fioritura. L'umanizzazione dell'economia consiste proprio nel porre i soggetti, i valori incarnati, l'uomo, al posto del meccanismo acefalo che guida oggi la nostra realtà. Non si tratta di rivalutare le singole strategie, ma di ridisegnare l'orizzonte sullo sfondo del quale ognuna di esse si staglia: l'orizzonte è la base sulla quale si stabiliscono misure, priorità, rapporti. Esso è la chiave della partecipazione dell'essere umano, del suo coinvolgimento. Ed è per questo che un vero cambiamento non può non partire da qui; inoltre, solo un orizzonte attraente, riesce ad avvincere l'uomo, a scatenare il suo pathos e quindi la sua azione.

Quindi, non globalizzazione, ma interdipendenza economica. Non monocultura, ma intercultura. Ciò proprio perché l'economia è cultura: inscindibile dagli stili di vita, dagli 'usi e costumi' e dalle credenze di una società. I modi del legame sociale sono un altro elemento fondamentale da modificare: al posto del divario individuo/massa - al fine di avviare la trasformazione - bisogna creare reti di esistenza comunitaria. Il discorso della trasformazione ha più livelli e diversi registri: dal mondo interiore individuale, alla realtà sociale, dall'economia al modo con cui ognuno si relaziona con l'altro. La trasformazione si può rendere con un ossimoro: risvegliarsi sognando. La veglia è simbolo della razionalità con cui il mondo delle pratiche alternative gioca la sua quotidiana partita; è realtà della società di mercato. L'invito è quello di accompagnarla con la forza del sogno, della passione, del pathos: sono queste le forze che fanno svegliare l'uomo, che lo muovono e lo rendono capace di grandi cose. Perciò, svegliarsi da questo sonno insalubre costituisce un atto unico col sognare un altro mondo. E' già costruirlo, a partire dall'assunzione della responsabilità delle proprie scelte, del proprio stile di vita e della trasformazione di essi.Si tratta di piccoli passi progressivi:

Cambiare lo sguardo interiore

Dall'io superficiale, all'io profondo. Dall'ego alla connessione con l'altro. "L'anima cambia la storia", afferma Gandhi.

Essere relazione

La natura umana si definisce attraverso la relazione con l'enigma della vita. La relazione è modalità fondamentale dell'uomo. Relazione = prossimità e distanza à non certezza, rischio.Per riuscire a comprendere la complessità della relazione, come essa sia due opposti contemporaneamente, si può fare l'esempio del parto. Il parto è nel medesimo tempo espulsione dall'unità con la madre ed accoglienza nelle braccia che l'hanno voluto, in un'atmosfera amichevole, nel mondo.Ed è proprio alla luce della relazione, che si deve leggere l'angoscia. E' la sfiducia nell'altro, la paura di quella distanza che è tutt'uno con la prossimità. L'occidente ha scelto la via della proprietà proprio per esorcizzare l'angoscia proveniente da questa incertezza che è costitutiva della relazione, dunque, dell'uomo stesso. Ad esempio, nella nostra lingua non sono presenti termini per indicare le relazioni tra soggetti, al di fuori della famiglia (genero, cugino, fratello, ecc.): ciò è indicativo della sfiducia - soprattutto dello scudo protettivo costruito contro di essa - della nostra cultura verso la relazione con l'altro.La morte è il simbolo massimo dell'angoscia dell'uomo: vista come fine e distruzione. Come massima forma di quel nulla avvertito nella relazione e che ne fa un rischio. La morte vista tappa della vita, come un mistero che ci invita ad una conoscenza

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partecipativa, è la tappa finale di un lavoro profondo su se stessi, sui valori e modi della propria vita; a partire dall'angoscia nascosta dietro le nostre abitudini.

La fecondità nasce dalla profondità del soggetto

nonviolenza: è la scelta dell'incarnazione. Non uccidere e non lasciar uccidereLa fioritura umana, quello sbocciare e realizzarsi di tutte le caratteristiche, le capacità, i tratti portati come promesse in lui, non può avvenire senza la condivisione del bene. Dunque, bisogna rischiare le proprie difese, entrare in comunione con gli ultimi. Avere il coraggio di condividere con gli scartati, non per sacrificio ma per autenticità.

Forze di guarigione: Compassione, misericordia, cura. Esse prevengono e rispondono al male. Intelligenza della speranza: sperare nel nome e per l'altro. Ecco la natura relazionale dell'uomo! Non concetti, ma facce e pance: valori incarnati. Dal singolo all'umanità: passaggio.

Esistenza comunitaria: basate sulle persone e non sul luogo. Comunità = evento: riconoscimento dell'altro e della relazione con esso. Delicatezza della vita, scelta della sua forma…

Noi pensiamo in base alle nostre radici: radici psicologiche, radici antropologiche, ecc. Da qui bisogna partire a modellare la vita, noi stessi: non puoi dare frutti diversi dalle tue radici!

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Secondo seminario Scuola delle alternative

L'ECONOMIA SOLIDALE ED IL DENARO

28 ~ 30 Aprile 2007 Marina di Montemarciano (AN)

(a cura di Michela Di Ciocco - staff Gruppo formazione Rees)

Intenso e pieno, il Secondo incontro della Scuola delle Alternative dal tema scottante del denaro. Il primo incontro - del dicembre scorso - era finito sulla scia di una sfida: il terreno più pericoloso ma anche fondamentale sul quale fondare la novità e la diversità dell'economia solidale, è proprio il denaro.

"Nei secoli precedenti la modernità, il valore d'uso rappresenta l'unità di misura fondamentale. A partire dalla modernità, invece, si ha l'affermazione del valore di scambio. La presenza dell'uno o dell'altro influenza e coinvolge non solo l'assetto dell'economia, ma l'intera società; infatti, la centralità del valore di scambio porta il profitto a principio primo. Da mezzo di comunicazione quale era, lo scambio diviene mera funzione del profitto"Roberto Mancini,primo incontro verso la Scuola della Alternative 10 dicembre '06

Il denaro non è un semplice mezzo di scambio, questo appare chiaro. Ma allora cosa è e come influenza la società e gli stili di vita delle persone?Il complesso tema è stato affrontato a partire da tre livelli che rispecchiano le aree principali su cui la Scuola delle Alternative vuole agire: la relazione, intesa come modalità di approccio tra individui, nel gruppo e nella rete; la consapevolezza, ossia la cura per la crescita individuale; il contenuto, cioè il tema da trattare attraverso la riflessione, il gioco, lo studio.Tre giorni, articolati nei diversi momenti corrispondenti ai tre elementi suddetti e con l'aiuto di altrettanti relatori ad animare le attività, non sono stati assolutamente sufficienti a dipanare la matassa. Ciononostante, nodi importanti sono emersi; tra quelli indagati, molti necessitano di ulteriore attenzione.

"Benvenuti!": primo giorno.Il gruppo è stato accolto dal primo relatore, Enrico Euli - già intervenuto al primo appuntamento - attraverso il gioco. Fatto non casuale, vista l'importanza di questa modalità e l'efficacia nel portare alla luce ciò che è nascosto…Il primo gioco si è svolto attorno a tre costanti fondamentali della vita di tutti i giorni: tempo, spazio e denaro. L'attività - partecipata con entusiasmo! - è stata poi riletta, al fine di individuare le questioni critiche nei rapporti del gruppo - dai partecipanti fino a risalire alla Rees - e più in generale dell'economia solidale.Prima fra tutte, la copertura del conflitto. Come già emerso nel corso del primo appuntamento, il conflitto e la sua gestione rappresentano il tipico problema dell'economia solidale: in quanto nonviolenta, incubatrice di un modo nuovo di essere e di produrre, l'economia solidale si vorrebbe spoglia dalle logiche violente presenti in maniera più o meno palese nell'attuale

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società. Eppure così non è: i giochi sono ottimi strumenti per portare alla ribalta ciò che scorre sotto la superficie; dietro l'ottimismo può esservi il rifiuto e la rimozione del problema, nell'abbraccio può nascondersi la paura dell'altro e di una relazione intima con lui, dietro la solidarietà può annidarsi l'aggressività. Come? Aiutare l'altro, può voler dire identificare il suo bisogno con il proprio. In questo modo, l'aggressività si veste da empatia. Facendo grossi danni, come è successo nell'economia solidaristica degli inizi del '900 e - come le testimonianze in vari modi riportano - le conseguenze sono state disastrose; l'empatia ha creato dipendenza, sfruttamento e colonizzazione. Come si intuisce, qui si tratta del livello della relazione, nel quale un altro gioco ha messo in evidenza quanto la relazione - ossia il fulcro su cui l'economia solidale poggia - sia vissuta in realtà in maniera problematica. La relazione è messa in gioco di sé, della propria diversità, del proprio vissuto: l'accettazione a tutti i costi dell'altro e di ciò che è, porta in sé il rischio dell'indifferenza…Nel pomeriggio, con la relazione di Maurizio Pittau, si è fatto luce direttamente sul tema principale, attraverso una carrellata delle evoluzioni del denaro - dal baratto alla finanziarizzazione dell'economia - fino ad arrivare all'attuale panorama delle monete alternative e di quelle complementari: un fenomeno, questo, in forte crescita anche in Italia.

"Entriamo nel vivo!": secondo giornoLa mattinata inizia con un risveglio energetico con i movimenti del Qi-Gong, guidati da Vittoria Capone. Con l'intervento dello psicoterapeuta Eugenio Scarabelli, si è arrivati all'essenza della funzione del denaro, operante alla base della nostra cultura e, di conseguenza, nel rapporto di ognuno di noi con esso: l'ansia. Come già emerso nell'intervento sopraccitato di Roberto Mancini, che potete leggere su questa stessa sezione del Bollettino, l'angoscia umana si sviluppa dalla notte dei tempi di fronte al nulla, angoscia che si esprime nell'evento estremo della morte. E proprio dal nulla inizia il viaggio con Scarabelli, che conduce fino al riconoscimento della funzione di compensazione propria del denaro (l'attaccamento al denaro, l'attaccamento alle cose, come elementi con i quali esorcizzare l'angoscia del vuoto, del nulla, l'insicurezza e la paura che ne derivano). Contemporaneamente, il denaro rappresenta un forte condizionamento esterno che ci proietta fuori da noi stessi, ci rende dipendenti dai bisogni che la società induce e - quindi - dalla continua e crescente ricerca di denaro atta a soddisfarli; ossia, diviene a sua volta un meccanismo creatore di ansia. "Più si da valore ai condizionamenti esterni, più si è vincolati" per cui "è necessario riportare il centro del controllo di ciò che accade, all'interno": ecco il compito del lavoro di consapevolezza su di sé.

A seguire, grazie al contributo del professore Peter Kammerer, si è ripercorsa la storia del denaro, del ruolo e del funzionamento all'interno della società, a partire dalla sua origine. Con l'incipit fiabesco de "La fortuna di Gianni" dei fratelli Grimm, si è cercato di indagare la distinzione tra valore d'uso e valore di scambio, mostrando in che modo il valore di scambio abbia modellato non solo l'economia, quanto la realtà a tutto tondo. Il momento più acceso ha visto la discussione dell'idea che il denaro non sia strumento neutro e che porti con sé delle premesse molto forti, che incidono non solo su ciò che di esso si fa, ma su tutto ciò che lo circonda. Come potrebbe - quindi - l'economia solidale e più in particolare la Rees, affrontare il rapporto con esso; come portare avanti le proprie attività; la sfida col mercato?

"A presto!": terzo ed ultimo giornoUn occhio alle buone pratiche presenti nelle Marche, con l'esperienza del circuito di moneta locale elettronica tutt'ora in corso nel consorzio Marche Eque, riportata da Sandro Mangialardo dell'associazione Bioars. Nel consorzio sono riuniti diversi soggetti dell'economia solidale della zona di Osimo.

Prima dei saluti finali, staff e partecipanti si sono confrontati in un momento importante di ritrovo e verifica. Ne è venuta fuori una descrizione dell'evento come denso, impegnativo, a volte anche scomodo. Le attività proposte, hanno puntato inesorabilmente alla messa in discussione dei valori, dei punti fermi alla base delle opinioni e delle credenze, strette attorno al tema citato; ma anche e soprattutto dei comportamenti, di ciò che si fa e - più di tutto - di ciò che si è. Molti i suggerimenti, i riconoscimenti, molte anche le critiche: l'approccio dello staff - anch'esso in formazione - è incappato in problemi ed in questioni come il rapporto con i relatori, una guida più presente che accompagni i partecipanti tra le diverse aree in cui si articolano le attività al fine di facilitare una migliore comprensione ed un maggiore coinvolgimento, il rapporto non così diretto tra Rees e Scuola delle alternative; tutti elementi che invitano non solo lo staff, ma l'intera Rees all'elaborazione continua ed alla sperimentazione. Proprio per questo, lo staff si è preso del tempo per poter ricalibrare il percorso, le sue priorità, le sue stesse modalità. Ragion per cui, l'evento previsto per l'estate verrà rimandato ad altra data.Vorrei chiudere riportando la personale sensazione, forte, della bellezza e dell'importanza di un luogo tale, di un laboratorio aperto per poter sperimentare e riflettere, confrontarsi e denudarsi come la Scuola delle alternative sta diventando. Perciò, alla prossima!!

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COESISTENZA CON GLI OGM?NO Grazie!

Schizofrenia Europea... o trucchetti e cavilli per sfondare le mura troiane del biologicoIl fallimento degli OGM è completo da tutti i punti di vista

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BIOFACH 2006: "COESISTENZA? SOLO UN CAVALLO DI TROIA"Dal board delle associazioni biologiche e ambientaliste un secco no a ogni ipotesi di coesistenza tra agricoltura tradizionale e OGM.E il movimento delle Regioni OGM free torna a chiedere la possibilità di indire referendum sull'argomento."Il principio di coesistenza, secondo Friends of the Earth, altro non è che il cavallo di Troia attraverso cui far penetrare l'idea che una moderata soglia di contaminazione non rappresenti un problema tale da dover suscitare l'allarme dei consumatori. A quel punto, una volta messo in moto il meccanismo, sarà solo una questione di tempo perché si giunga di soglia in soglia alla sostanziale equiparazione e accettazione di ogni tipo di sementi, a prescindere dal desiderio dei consumatori".

AMICI DELLA TERRA, ECCO PERCHE' GLI OGM FALLISCONO (lunedì 23 aprile 2007)

"Cosa fa l' Europa? Sembra viaggiare in modo schizofrenico su un doppio binario. Se da un lato infatti l'Unione ha respinto la proposta di permettere tracce di OGM nel cibo biologico, dall'altra sembra che voglia estendere la coltivazione di OGM in Europa (oggi strettamente regolamentate) con un finanziamento pubblico, anche se riconosce pubblicamente che le rese sono basse e il 58% degli europei è contrario agli OGM.Occorre vigilare, gli strumenti di pressione delle multinazionali sono forti e molteplici. Gli OGM servono solo a dare profitti a chi li produce, per cui NO GRAZIE".firmato Asspciazione Friends of the earth

SCHIZOFRENIA EUROPEA... O TRUCCHETTI E CAVILLI PER SFONDARE LE MURA TROIANE DEL BIOLOGICOCommento del prof. Altieri

Non è schizofrenia... (ma trucco)le tracce nel biologico verrebbero ammesse.... se la tolleranza 0,1% di ogm... venisse confusa con il limite di rilevabilità della presenza......e così si potrebbero permettere le coltivazioni ogm....tanto le contaminazioni (irreversibili) sarebbero ammesse......garantendo l'assenza !!!ma se parlo di assenza, come posso permettere la presenza di 1 grammo per kg di ogm nel biologico... magari anche senza etichetta...questi son tutti pazzi !!!Vanno bocciati in matematica ed analisi logica...ma la logica non appartiene agli ogm... per natura,in quanto in natura semplicemente gli ogm non esistonoAltro che liberi da ogm...ci vogliono fottere col trucco del limite di rilevabilità...non potendo parlare di soglie di tolleranzaaltrimenti i biologici si potrebbero incazzareMa chissà, se molti rappresentanti del biologico o dell'agricoltura italiana...invece di rispettare la volontà dei contadini e dei consumatorie invece di rispettare l'intelligenza, il logos e l'amor propriosi son messi a fare politica con la matematica......allora siamo proprio alla manipolazione genetica del pensierosveglia ragazzi !!diamogli la mazzata definitivaforza e coraggio...o noi, biologici... o loromors tua vita meaamenGiuseppe Altieri

REGIONI OGM FREE

La Polonia assomiglia tanto a un paradiso verde.Anche se gli ettari certificati biologici erano solo 200mila durante il 2006, la superficie agricola complessiva è di 16 milioni di ettari, un'area poco meno dell'intera Germania condotta per la maggior parte da piccole aziende familiari o da medie realtà che hanno saputo preservare specie autoctone e livelli di biodiversità che hanno pochi eguali nel nostro continente. Partiamo dall'esperienza polacca per descrivere l'impegno unanime del mondo biologico contro le Linee guida della Commissione

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Europea in materia di coesistenza e soglie di contaminazione. L'ICPPP (Coalizione internazionale per la difesa della campagna polacca) è nata nel 2004, quando pareva che il governo fosse orientato ad accettare l'introduzione di OGM nel paese. Pochi mesi dopo i primi distretti locali e le prime aziende aderivano all'iniziativa dichiarandosi OGM free, a distanza di due anni: 15 regioni su 16 vogliono rimanere libere da OGM, due milioni di fattorie polacche.E come la Polonia ci sono l'Austria, la Francia, l'Italia al completo tranne Lombardia e Calabria, 172 regioni e 4500 autorità amministrative locali che stanno combattendo una battaglia comune per costringere la Commissione Europea a fare marcia indietro sulle aperture contenute nelle Linee guida del 2003.Un movimento di popolo di ampiezza tale da non poter essere né ignorato né disatteso nelle richieste, ma proprio l'esperienza polacca dimostra quanto fragile sia ancora il bilanciamento di poteri su cui si fonda l'Unione. Le deliberazioni contro gli OGM delle Regioni rimangono poco più che atti simbolici, dal momento che non detengono in Polonia alcun potere legislativo. La decisione del governo nazionale nel marzo del 2005 di bandire l'utilizzo di mais geneticamente modificato è ancora in attesa di ratifica da parte di Bruxelles

FALLIMENTI TOTALI DEGLI OGM

Gli OGM non sono serviti a ridurre la fame e la povertà. Le coltivazioni di mais e soia vengono usate per nutrire gli animali dei paesi ricchi.

I coltivatori diretti e i consumatori non hanno ricavato nessun beneficio dagli OGM. Questi raccolti non hanno migliorato le condizioni di vita dei piccoli coltivatori, dal momento che le rese non superano quelle delle coltivazioni tradizionali e spesso sono pure più basse.

Le coltivazioni OGM hanno aumentato l'uso dei pesticidi, con un aumento dei rischi per la salute e dei consumi di energia.

La Monsanto e le altre aziende biotech sono state le principali beneficiarie dell'introduzione degli OGM, per il controllo del mercato dei semi e degli erbicidi (ogni seme OGM viene venduto con l'erbicida a cui è resistente)

Coltivazioni OGM sono state introdotte rapidamente senza valutarne l' impatto socio-economico e ambientale.

Riso OGM (bandito dal 2001) è stato introdotto clandestinamente in Europa.

La soia OGM è molto più sensibile alla siccità e i contadini in Brasile e Paraguay hanno perso molti raccolti.

Il cotone OGM è in realtà risultato vulnerabile ad alcuni parassiti secondari, mentre (a causa delle impollinazioni incrociate con forme vegetali interfeconde) ha dato origine a diverse erbacce resistenti agli erbicidi.Gli OGM sono ampiamentE coltivati negli Stati Uniti, anche se secondo il New Scientist , il 60% degli americani è inconsapevole di mangiarli quotidianamente.

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Il giallo delle api sparitePrimi indiziati i cellulari

Una ricerca tedesca

(fonte: La Stampa - CARLO GRANDE)

Che fossero laboriose e organizzatissime lo si sapeva, e anche che rappresentassero un indicatore ambientale straordinariamente sensibile. Le api non apprezzano ad esempio i campi Ogm, li evitano accuratamente e a quanto pare trasmettono messaggi di allarme anche alle loro compagne che non hanno ancora sorvolato coltivazioni transgeniche. Ma che fossero gravemente minacciate anche dalle onde elettromagnetiche dei nostri cellulari è una spiacevole novità, annunciata da alcuni studiosi tedeschi dell'Università di Landau: gli insetti, secondo le loro ricerche, rifiutano di rientrare negli alveari se nei paraggi vengono piazzati ripetitori o congegni elettromagnetici. Il loro sistema di "navigazione" ne verrebbe sconvolto, al punto che non riuscirebbero più a ritrovare la strada per le arnie.

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Sarebbe questa - benché ancora controversa - la spiegazione della recente moria di sciami in molte parti del mondo, imputata finora alla presenza di parassiti o alla carenza di polline. I telefonini provocherebbero quello che in termini scientifici viene definito "Colony collapse disorder", ovvero la morte degli insetti lontano da casa. Il fenomeno, registrato dallo scorso autunno negli Usa, è stato segnalato anche in Europa, dapprima in Spagna, ora anche in Germania e Inghilterra. La misteriosa malattia sta decimando le api americane, mettendo a repentaglio l'impollinazione di molte colture e provocando danni per centinaia di migliaia di dollari. Negli ultimi tempi gli apicoltori di una ventina di Stati americani hanno registrato perdite fino all'80 per cento della popolazione di api. Un fenomeno inconsueto per diffusione e gravità.

Le api sono una risorsa economica, enorme e "a libro paga" della natura. Un alveare contiene fino a 50.000 insetti, in Europa ci sono miliardi di api e ogni volta che una esce dall'alveare impollina un centinaio di fiori, "lavoro" che produce, solo nell'Unione Europea, miliardi di euro. L'importanza dell'impollinazione è incommensurabile per l'ecosistema: senza api centinaia di piante scomparirebbero. Eppure i miracolosi insetti scompaiono dai campi a ritmo serrato. Gli apicoltori ne trovano sempre di più morte sotto gli alveari e la produzione di miele cala in tutto il mondo. Colpa della chimica in agricoltura, certamente, e anche dei cambiamenti climatici. Secondo un rapporto del World Watch Institute un terzo degli alveari di ape domestica è già scomparso e la stessa sorte tocca alle specie selvatiche. Al danno naturale si aggiunge quello economico perché il valore dell'impollinazione delle piante è stimabile intorno ai 10 miliardi di euro l'anno nel mondo.

Ulteriori dubbi, dunque, si addensano su ripetitori e cellulari: che siano dannosi lo si sospetta da tempo, e molte ricerche, anche se contrastate da studi di segno opposto, lo affermano. Un'indagine finlandese di qualche anno, per esempio, affermava che l'uso eccessivo e decennale del telefono cellulare può aumentare del 40 per cento il rischio di sviluppare un tumore al cervello. Una ricerca svedese dice invece che le onde elettromagnetiche sono in grado di distruggere le cellule cerebrali. L'allarme nei confronti dei più giovani, comunque, sia bambini che adolescenti, è diffusamente accettato.

Gli studi proseguono e una risposta definitiva la potremo avere soltanto con analisi che prendano in esame "trend" di lungo termine. Nel frattempo, comunque, sarebbe in ogni caso saggio applicare di più il "principio di precauzione".

Tornando alle api, qualunque sia la spiegazione di uno degli eventi ecologicamente più misteriosi degli ultimi anni, speriamo di non essere in procinto di vedere il finale di una specie di film dell'orrore: "Se le api scompariranno - aveva scritto Einstein - all'uomo resteranno solo quattro anni di vita".

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Inceneritori: si contano i morti

Nel mese di marzo 2007 è stato presentato in conferenza stampa a Forlì il Report finale dello studio "Enhance Health - sistema di sorveglianza ambientale e sanitaria in aree urbane in prossimità di impianti di incenerimento e complessi industriali".Lo studio, finanziato dalla Comunità Europea, ha riguardato diverse aree in Europa, ed in Italia è stato condotto nell' area di Coriano (nel comune di Forlì) in cui sono ubicati, uno vicino all'altro, due impianti di incenerimento: uno per rifiuti solidi urbani (RSU) da 60.000 ton/anno e uno per rifiuti ospedalieri da 16.000 ton/anno, per i quali si è già avviato il raddoppio.

E' stata identificata la popolazione residente per almeno 5 anni in un'area delimitata da un cerchio di raggio 3,5 km avente come centro i due inceneritori. L'area di interesse è stata divisa in 7 cerchi concentrici con l'incremento lineare di 500 metri, utilizzando la concentrazione di metalli pesanti nell'aria, come indicatore (parziale) dell'inquinamento da inceneritori.

Per le donne (che sono ragionevolmente da ritenere la popolazione più esposta all'inquinamento ambientale della zona, data l'usuale minor mobilità lavorativa rispetto ai maschi) abbiamo stimato il numero di decessi per tutte le cause - neoplastiche e non neoplastiche - attribuibile all'inquinamento atmosferico da inceneritori. Per fare questo calcolo abbiamo utilizzato la formula del Rischio Attribuibile nella popolazione esposta (RA) che è direttamente ricavabile dal Rischio Relativo (RR). Sono emerse evidenze più che allarmanti: in media ogni anno il numero in più di decessi era compreso tra 8.3 (stima puntuale) e 14.5 (stima massima, assumendo un intervallo di confidenza del 95%) nei 14 anni esaminati (periodo 1990 - 2003), in pratica un numero di morti fra 116 e 203.

Per il totale dei tumori è stato riscontrato un evidente aumento puntuale della mortalità, rispettivamente del 17%, 26% e 54%, in relazione all'incremento dell'inquinamento da metalli pesanti (nei 3 livelli l'inquinamento è compreso tra 2 e 52 microgrammi per m3). Per gli stessi 3 livelli la stima massima del rischio aggiuntivo risultava compresa tra 47% e 108%.

Per le patologie cardiovascolari il rischio in eccesso era compreso tra 20 e 38%.

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Gli alti rischi osservati sembrano estremamente coerenti con le ipotesi e le conoscenze scientifiche già note come l'aumento della mortalità complessiva nelle donne, dei tumori totali, dei linfomi non Hodgkin, leucemie, tumori alla mammella ed altri tumori ancora.

Ma l'allarme non si ferma qui. Infatti si deve constatare che lo studio "aggiusta" per età e stato socio economico, ma non analizza i gruppi di età, né la durata della residenza. Quindi nulla si conosce ancora degli specifici e più fragili sottogruppi di popolazione (giovanissimi ed anziani, specialmente) così come dei sottogruppi maggiormente esposti in termini di durata.

Inoltre è verosimile una sottostima del reale rischio di morte dato che, nel consistente gruppo di riferimento, che dovrebbe essere formato da donne non esposte e costituito da 538 decessi per tutte le cause, sono state incluse anche persone residenti in aree esposte fino a 1.9 microgrammi per m3 di metalli pesanti.

Alla luce di queste veloci considerazioni ed in attesa di approfondire con urgenza questa importante indagine epidemiologica (perfezionando il disegno dello studio, individuando il gruppo di riferimento non esposto e studiando nel dettaglio le specifiche sotto popolazioni di bambini, anziani e lungo esposti), appare urgente interrompere le emissioni in atmosfera.

Nel contempo vorremmo suggerire di attivare immediatamente sia i monitoraggi ambientali e biologici, sia nuovi studi epidemiologici su altre popolazioni sottoposte ad inquinamento atmosferico da inceneritori (Brescia, ecc..).

L'urgenza è anche suggerita dalla considerazione che la piramide degli effetti avversi sulla salute umana attribuibili all'inquinamento atmosferico (come riportato da Martuzzi e coll., WHO, 2006) ricorda che limitarsi alla quantificazione dei soli decessi da inquinamento atmosferico, produce una vistosa sottostima dell'enorme dimensione delle patologie acute e croniche, a breve, medio e lungo termine a carico delle popolazioni esposte ed innalza contemporaneamente i costi sopportati della collettività.

Infine appare urgente pianificare un sistema di riduzione dei rifiuti, raccolta differenziata, riciclo, ecc. che non includa il sistema di incenerimento che comporta continui ed ingenti emissioni di sostanze inquinanti sia in atmosfera sia in discarica.

BibliografiaMartuzzi e coll: http://www.euro.who.int/document/e88700.pdf

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Lo sapevate che un inceneritore produce più rifiuti di quanti ne elimina?!

(da www.criticamente.it)

Dai dati ufficiali 2001 del "Quaderno di sintesi n°54 dell'ASM di Brescia", sappiamo che il locale inceneritore, uno dei più moderni, nell'anno 2000 ha trattato 265.000 tonnellate di rifiuti. Questo trattamento ha prodotto 74.000 tonnellate di rifiuti speciali solidi. (Scorie: 58.000 ton.+ ceneri: 3.000 ton.+ 13.000 ton. di polveri filtrate e depositate all'estero, pagando, in miniere esaurite di salgemma) e ben 283.000 ton. di anidride carbonica (CO2)! principale responsabile dei gas serra! Il totale dei rifiuti usciti dall'inceneritore è stato perciò: 74.000+283.000 = 357.000ton. di rifiuti. Ben 92.000 ton. In più di tutti i rifiuti inceneriti! E non è facile entrare in possesso di tali dati!

COM'E' POSSIBILE QUESTO? Per mantenere la combustione dei rifiuti sono stati utilizzati almeno 5 milioni di m3 di metano, con un costo detassato di oltre 2,5 miliardi di vecchie lire! Sommando i rifiuti, con il metano e l'ossigeno sottratto all'atmosfera per la combustione, per la legge di Lavoisier, "nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma" il mistero è risolto! Gli inceneritori producono molti più rifiuti di quanti ne eliminano. Ciò che impressiona è che la CO2 uscita dal camino supera, in peso, addirittura il peso dei rifiuti trattati. 265.000ton di rifiuti hanno dato ben 283.000ton. di CO2! Che è un gas, quindi con volume ed inquinamento enormi! L'ASM di Brescia vantava di aver riscaldato col teleriscaldamento 30.000 cittadini, e di aver prodotto 39MWh di energia elettrica. Ma con il solo metano consumato dall'inceneritore si potevano già riscaldare 20.000 cittadini, e l'energia elettrica prodotta, ha il costo detto sopra.

Oggi l'impianto di Brescia brucia 3 volte più rifiuti che nel 2000!… Con danni triplicati!

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Il comitato "Settimo non incenerire"

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PESTICIDI: DAL CAMPO AL PIATTOIL PERCORSO E' MOLTO BREVE

(Articoli a cura di David Fiacchini - [email protected])

PESTICIDI, ERBICIDI, FITOFARMACI: NO, GRAZIE!Vi sarà sicuramente capitato di osservare, facendo una passeggiata in campagna, spostandovi in auto o affacciandovi dalla finestra di casa, quello strano colore rossastro-giallognolo che assumono in certi periodi dell'anno i bordi delle strade, le aree incolte o anche interi campi prossimi alla semina. Un colore decisamente acceso e innaturale che compare nel giro di pochi giorni, soprattutto in primavera, che stona con il verde intenso del grano o con il caldo color terra degli appezzamenti arati, che segna la morte diretta di piante erbacee e piccoli animali, e che causa l'inquinamento del suolo e delle acque superficiali e profonde, con ripercussioni negative sulla catena alimentare e sull'uomo stesso.Stiamo parlando di una tra le categorie più potenti di "armi chimiche" che le multinazionali del settore hanno subdolamente messo in mano, senza alcuna limitazione di sorta (seppur con qualche rara eccezione), a noi quasi ignari acquirenti, utilizzatori e assimilatori di veleni super-potenti. Ci riferiamo in particolare a quel variegato gruppo di sostanze chimiche di sintesi, prodotte in laboratori specializzati da ditte senza scrupoli, meglio note con il termine generale di "pesticidi".Alcune di queste sostanze, liberamente in vendita in qualsiasi negozio, sono utilizzate in modo molto leggero e spensierato da tutti noi, ad esempio per eliminare facilmente le erbacce sotto casa o nel giardino (si tratta della categoria degli erbicidi, come il Paraquat) o per eliminare insetti fastidiosi come zanzare e mosche (insetticidi e rodenticidi, come ad esempio il Rotenone), ritenendo tali sostanze del tutto innocue per l'uomo e per l'ambiente.Nulla di più falso! Nonostante le rassicurazioni delle case produttrici, che hanno interesse nel vendere il prodotto, ci sono studi scientifici e prove di laboratorio che dimostrano la grande pericolosità dei pesticidi: recentemente alcuni ricercatori del CNR di Roma hanno sollevato i problemi della persistenza nel terreno e del dilavamento dovuto alla pioggia, che porta le sostanze tossiche ad inquinare falde sotterranee, pozzi e fiumi (vi ricordate il caso "atrazina" di alcuni anni fa?), causando il fenomeno del bioaccumulo. I pesticidi che non vengono degradati sono infatti assorbiti dalle piante ed entrano così nella catena alimentare: gli animali erbivori che si nutrono delle piante-serbatoio si troveranno a loro volta con una piccola ma crescente quantità di "pesticida" nell'organismo, e così sarà per i carnivori che si ciberanno delle loro prede.In tempi molto brevi il pesticida che abbiamo irrorato nei campi o nell'orto arriva direttamente nelle nostre tavole e ... visto e considerato che si tratta di sostanze altamente nocive, molte delle quali sospette cancerogene, dire che ci stiamo avvelenando con le nostre mani è paradossale ma reale (vedi approfondimenti)!Produrre pesticidi ha un costo elevatissimo (energetico, di risorse naturali, di trasporto, di utilizzo, di smaltimento finale), l'uso quotidiano è diventato routine ma noi possiamo dire basta a questa pericolosa "deriva chimica": diamo fiducia, anche nella nostra zona, al settore del biologico (dove l'uso delle sostanze chimiche di sintesi è vietato), ai piccoli agricoltori locali che non fanno uso di pesticidi e... al caro, vecchi falcetto che ancora oggi continua a svolgere egregiamente il suo lavoro per il taglio delle "erbacce".

APPROFONDIMENTO n. 1: PARKINSON & PESTICIDIE' di pochi mesi fa la sentenza, per certi versi storica, di un tribunale francese che ha riconosciuto come malattia professionale il Parkinson che ha colpito un contadino 50enne, esposto per anni senza protezioni ai pesticidi usati in agricoltura. Studi scientifici hanno dimostrato il nesso tra l'esposizione ai veleni chimici sparsi nei campi, negli orti, nei giardini e lungo le strade, con il morbo di Parkinson.

APPROFONDIMENTO n. 2: UN COCKTAIL CHIMICO NEL SANGUENel 2005 hanno suscitato clamore i risultati dei test cui si sono sottoposti 18 vip italiani nell'ambito della campagna internazionale del WWF "DeTox - Svelénati": un vero e proprio cocktail di sostanze chimiche rinvenute nel sangue dei volontari (ben 65 contaminanti di provata tossicità) con, in media, 47 sostanze chimiche a persona. Gli allarmanti risultati del biomonitoraggio, svolto in collaborazione con l'Istituto Superiore di Sanità, hanno messo in evidenza la presenza di metalli pesanti e PCB (Policlorobifenili), classificati dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) come "probabili cancerogeni per l'uomo"; 9 soggetti su 10 presentavano inoltre tracce di pesticidi clorurati, responsabili dell'alterazione della fertilità e dell'induzione di malformazioni. Addirittura è stato rinvenuto un metabolita del famigerato DDT, pesticida bandito

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oramai da trent'anni in Europa ed evidentemente ancora in circolo nelle principali matrici ambientali (acqua, suolo) e, di conseguenza, nella catena alimentare.

APPROFONDIMENTO n. 3PESTICIDI ABBANDONATI, CUMULI DI SOSTANZE TOSSICHE NEI PAESI DEL SUD DEL MONDO E NON SOLOElevate quantità di rifiuti chimici tossici, provenienti da pesticidi inutilizzati od obsoleti, minacciano non solo l'Africa, l'Asia, il Medio Oriente e l'America Latina, ma anche l'Europa. L'allarme lanciato dalla Food and Agriculture Organization (FAO) nel 2004 è oggi sempre più attuale: si stima, per esempio, che in Ucraina si trovino circa 19.500 tonnellate di prodotti chimici scaduti; in Macedonia ce ne sarebbero 10.000, in Polonia 15.000 e in Moldova 6.600, mentre in Asia (senza includere la Cina, dove il problema sarebbe molto diffuso) si supererebbero le 6.000 tonnellate. In Medio Oriente e in America Latina si raggiungerebbero le 10.000 tonnellate e molti paesi hanno già richiesto aiuto alla FAO.I pesticidi obsoleti vengono abbandonati dopo le campagne di disinfestazione o si accumulano perché molti prodotti sono stati vietati per ragioni di salute pubblica e ambientale, ma nessuno li rimuove o li elimina. Le confezioni rimangono dove vengono immagazzinate e spesso si deteriorano, contaminando l'ambiente e mettendo in pericolo gli abitanti delle zone circostanti.Le comunità più a rischio sono quelle povere e rurali, che potrebbero non essere nemmeno al corrente della natura tossica delle sostanze chimiche a cui vengono esposte ogni giorno. I siti contengono alcuni degli insetticidi più pericolosi, inquinanti organici persistenti come aldrina, clordano, DDT, dieldrina, endrina, eptacloro e organofosfati. Le condizioni di immagazzinamento variano da prodotti ben custoditi (che possono ancora essere usati) a confezioni che perdono perché l'acciaio dei contenitori è stato corroso (fonte: Le Scienze, settembre 2004).

PERCHE' DIRE "NO, GRAZIE" ALL'USO DEI PESTICIDI?Perché significa rispettare la nostra salute, quella dei nostri bambini (i più esposti a questo bombardamento chimico) e quella dell'ambiente in cui viviamoPerché è uno spreco di soldi e di risorse (materie prime, trasporti, smaltimento, ecc.)Perché sono altamente inquinanti e persistenti (terreno, acque, cibo)Perché ci sono valide alternative "naturali".

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A Peccioli i cittadini comprano obbligazioni per un impianto fotovoltaico

(da da www.criticamente.it)

Sottoscrivere obbligazioni per realizzare un impianto fotovoltaico. È l'iniziativa lanciata da Belvedere di Peccioli (Pisa), società che da dieci anni gestisce una discarica per lo smaltimento di rifiuti e che nel 2006 ha prodotto energia pari al fabbisogno di oltre 3.000 famiglie. Il progetto si chiama chiama "un ettaro di cielo" (come il film del 1958 di Aglauco Casadio con Marcello Mastroianni) e prevede la costruzione di un impianto con pannelli solari in un ettaro di terreno, nel territorio del comune pisano. I cittadini toscani, ma anche quelli di altre regioni, potranno partecipare alla produzione di energia, acquistando una o più quote del valore di 6.000 euro, equivalenti a un chilo watt elettrico di potenza installata (kWp), per poi beneficiare di un conto energia nei confronti del gestore e, di conseguenza, vedere diminuire i costi della bolletta [E-Gazette.it].

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UE, PREMIO "INVENTORE DELL'ANNO"ALLA BIOPLASTICA ITALIANA

(Adn Kronos, 20 aprile 2007)

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Riconoscimento assegnato a Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont

Assegnato all'Italia il premio 'inventore europeo dell'anno' per la progettazione e la realizzazione delle prime nuove bioplastiche da fonti rinnovabili di origine agricola. Le nuove bioplastiche potrebbero evitare la dispersione nell'ambiente di un milione di tonnellate di plastica ogni anno, ridurre di 1,4 milioni di tonnellate le emissioni di anidride carbonica e risparmiare 700mila tonnellate di petrolio, solo sostituendo i normali sacchetti della spesa in plastica. E' quanto sottolinea la Coldiretti nel commentare l'assegnazione del premio - istituito congiuntamente dalla Commissione Ue e dall'Ufficio europeo dei Brevetti - a Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont, con cui l'organizzazione degli imprenditori agricoli sta attivamente collaborando.

L'innovazione, spiega la Coldiretti, riguarda la progettazione di una serie di brevetti depositati, sviluppati negli anni 1992-2001, per materiali in grado di utilizzare componenti vegetali come gli amidi, preservandone la struttura chimica generata dalla fotosintesi clorofilliana. E l'Italia, con l'accordo raggiunto tra Coldiretti e Novamont sulla prima bioraffineria made in Italy, dispone di una realtà unica al mondo nel suo genere, che apre a nuove applicazioni nel campo degli intermedi chimici con l'utilizzazione di amido di mais e oli vegetali grazie a un nuovo insediamento produttivo localizzato a Terni.

In prospettiva, grazie alla nuova tecnologia, con materiali biodegradabili di origine agricola comunitaria coltivati su una superficie di meno di 3 milioni di ettari a granoturco e girasole (appena l'1,5% della superficie coltivata nell'Unione a 27 Paesi) sarà possibile sostituire i circa 100 miliardi di sacchetti di plastica che si consumano ogni anno in Europa e che sono in maggioranza importati da Paesi asiatici come la Cina, Tailandia e Malesia, sottolinea la Coldiretti.

Per decomporre i sacchetti di plastica tradizionali occorrono almeno 200 anni con un effetto inquinante sull'ambiente che si aggiunge alla emissione di gas ad effetto serra destinato ad influenzare negativamente il clima e al consumo di combustibile di origine fossile. Mezzo chilo di mais e un chilo di olio di girasole sono sufficienti per produrre circa 100 bustine di bioplastica non inquinante (bio-shopper) con un effetto ambientale che giustifica l'attuale differenza di costo di pochi centesimi e che tende progressivamente a ridursi (8 centesimi per il sacchetto biodegradabile rispetto ai 5 di quello in plastica tradizionale).

In Italia si consuma oltre un quarto del totale dei sacchetti di plastica dell'Unione europea e per questo la Coldiretti ha avviato con la Novamont un progetto di filiera con il coinvolgimento dell'industria e della distribuzione commerciale per lo sviluppo delle bioplastiche ottenute dalle coltivazioni nazionali, al fine di sostituire totalmente i sacchetti inquinanti entro il 2010.Assegnato all'Italia il premio 'inventore europeo dell'anno' per la progettazione e la realizzazione delle prime nuove bioplastiche da fonti rinnovabili di origine agricola. Le nuove bioplastiche potrebbero evitare la dispersione nell'ambiente di un milione di tonnellate di plastica ogni anno, ridurre di 1,4 milioni di tonnellate le emissioni di anidride carbonica e risparmiare 700mila tonnellate di petrolio, solo sostituendo i normali sacchetti della spesa in plastica. E' quanto sottolinea la Coldiretti nel commentare l'assegnazione del premio - istituito congiuntamente dalla Commissione Ue e dall'Ufficio europeo dei Brevetti - a Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont, con cui l'organizzazione degli imprenditori agricoli sta attivamente collaborando.

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LETTERA DI ZANOTELLI A PRODI

(p. Alex Zanotelli direttore di "Mosaico di pace"Napoli, 27 aprile 2007)

Al Presidente del Consiglio dei Ministri On.le Romano Prodi

Egregio Presidente del Consiglio, Pax et Bonum.Le auguro di cuore che questa antica benedizione francescana che raccoglie quella ebraica dello Shalom (pienezza di vita) diventi il Suo programma di governo. Io avevo tanto sperato che il suo governo avrebbe riportato l'Italia a essere Paese non più in guerra con altri Paesi, come prevede la Costituzione italiana (art.11). Purtroppo non è stato così. Ne prendo atto con rammarico. Devo confessarle che non me lo aspettavo. Non mi aspettavo la decisione di rimanere in Afghanistan. Una guerra ingiusta contro un popolo che non ci aveva fatto proprio nulla. Ma soprattutto non mi aspettavo una politica che mira a rendere l'Italia un Paese armato e a immetterlo nel complesso militar-industriale mondiale.

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I fatti sono sotto gli occhi di tutti:1) Il suo invito, durante la sua visita in Cina lo scorso settembre, di porre fine all'embargo europeo e italiano per la vendita di armi al colosso cinese, è stato per tanti di noi un primo colpo al cuore.2) La finanziaria di quest'anno ha stanziato 22 miliardi di euro per la difesa. Un aumento del 12% rispetto alla ultima finanziaria del governo Berlusconi. Siamo al settimo posto al mondo per le spese militari.3) Nella finanziaria di questo anno l'articolo 113 istituisce "un fondo per le esigenze di investimento della difesa" cioè per la ricerca militare. Si tratta per i prossimi tre anni di qualcosa come quattro miliardi e mezzo di euro. È un fatto di estrema gravità.4) Il sottosegretario alla difesa, Lorenzo Forcieri, ha firmato a Washington lo scorso febbraio il protocollo di intesa su produzione e sviluppo del caccia F-35 (Joint Strike Fighter). Se ne costruiranno oltre 4.500 esemplari al prezzo di 45 milioni di euro cadauno. Per questo progetto l'Italia dovrà stanziare subito un miliardo di euro.5) La decisione di ampliare la base americana di Vicenza (aeroporto Dal Molin) presa dal suo governo contro la forte opposizione della popolazione vicentina è molto grave.6) Il rafforzamento delle basi militari americano e Nato, soprattutto nel Sud Italia, che diventa la nuova frontiera della guerra al terrorismo. La base di Sigonella (Sicilia) è in procinto di essere triplicata, mentre Napoli diventa la nuova sede del Supremo Comando navale americano di pronto intervento che giocherà tramite il "Comando dell'Africa" (Afri-Com) un ruolo notevole per il controllo americano del continente nero.7) La firma, lo scorso febbraio, di un memorandum di accordo quadro per fare entrare il nostro Paese sotto l'ombrello dello 'Scudo' antimissile. Un accordo negato all'inizio dal suo governo e in un secondo tempo, ammesso. Così l'Italia e Polonia sono dentro il programma dello scudo antimissile mentre Grecia e Turchia non lo hanno accettato. Questo spacca ulteriormente l'Unione Europea e fa infuriare la Russia che grida alla 'minaccia'.8) Secondo il rapporto del suo governo presentato in parlamento lo scorso marzo, l'Italia ha venduto armi per un valore di oltre 2,19 miliardi di euro con un aumento di vendite del 61% rispetto all'anno precedente. Grossi affari per le banche armate ma soprattutto per il suo governo che è il maggior azionista delle fabbriche di armi italiane. Da tutto ciò mi sembra ovvio affermare che il suo governo sta marciando a piena velocità verso una militarizzazione del territorio e verso l'inclusione dell'Italia nel complesso militare industriale mondiale. Che questo avvenga proprio sotto un 'governo amico' coperto da una 'stampa amica' proprio non riesco ad accettarlo. E più grave ancora, mentre troviamo i soldi per le armi, non li troviamo per la solidarietà internazionale (siamo fanalino di coda nella lista Ocse per l'aiuto ai Paesi impoveriti). E non troviamo neanche 280 milioni di euro per pagare il Fondo globale per la lotta all'Aids, come era stato promesso ai vertici G8.Presidente, che delusione! Soprattutto che tradimento dei poveri! Le auguro che l'urlo degli impoveriti che per 12 anni ho ascoltato nel mio corpo nella baraccopoli di Korogocho giunga al suo orecchio e l'aiuti a cambiare rotta.Sono solo un povero missionario comboniano.Alex Zanotelli

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Il Manifesto di MegachipAssociazione per una corretta informazione

(Associazione Megachip)

Lo stato dell'informazione-comunicazione, in Italia e nel mondo, è decisamente preoccupante. Il pluralismo dell'informazione è ormai più apparente che sostanziale. La tendenza è al peggioramento. Ciò che milioni e milioni di persone ascoltano, leggono, e soprattutto vedono, ogni giorno, è definito da gruppi ristretti, che decidono ciò che il grande pubblico deve sapere e ciò che non deve sapere.Quasi dovunque il cosiddetto "quarto potere" è ormai così strettamente intrecciato al potere politico e dipendente da interessi privati, detentori e controllori dei media, da avere rinunciato quasi del tutto a funzioni di controllo e di critica. La soverchiante maggioranza dei flussi di comunicazione è ormai prodotta o controllata da un pugno di colossi mondiali, un vero e proprio oligopolio mediatico, tra cui spiccano conglomerati impressionanti per dimensione e potenza, come America on Line-Time Warner, Vivendi International, Sky News, Bertellsman ecc.

Basti pensare che la capitalizzazione dell'industria della comunicazione ha superato a livello mondiale quella dell'intera industria automobilistica. Nessuno stupore, dunque, se si riscontra che la comunicazione è un prodotto quasi esclusivamente a firma dell'Occidente sviluppato, e se esso interpreta le idee dominanti in quel mondo. Paesi e popoli del resto del pianeta sono esclusi da questo mercato, nel quale trovano vietato l'accesso perché strutturalmente non concorrenziali; sono ridotti a spettatori, sottoposti a un martellamento di notizie, idee, stili di vita e di consumo a loro estranei. Con ciò esposti a processi di omologazione non solo dolorosi per coloro che li subiscono, ma distruttivi di lingue, culture, civilizzazioni.

L'Occidente propone ovunque i propri standard di vita e di giudizio come gli unici possibili. L'agenda del mondo reale è occultata e sostituita dai criteri totalizzanti dei conglomerati del potere globale, principale dei quali è l'imperativo assoluto del

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mercato, in cui tutto (informazione, intrattenimento, pubblicità) è parte integrante, sinergica, del processo di creazione dei bisogni, che a loro volta stimolano una produzione forzosa, artificiale, di merci e d'intrattenimento. Ne consegue che diventa del tutto indifferente - comunque secondario - che vi sia un rapporto tra la realtà e ciò che viene riprodotto e diffuso. Poiché è sempre più evidente che anche l'informazione, i processi culturali di massa, l'intrattenimento, sono ormai essenzialmente merci, essi diventano luoghi di creazione del profitto e, al tempo stesso, luoghi di condizionamento del consumatore. Il sistema mediatico diventa in questo modo strumento centrale dell'organizzazione del dominio. L'informazione che vi transita è filtrata, incanalata, controllata in funzione di quegl'interessi.

Dunque è tutto fuorché libera e onesta. In tal modo la società globale, la cosiddetta "società della conoscenza", è passata in realtà nelle mani dei produttori di una gigantesca "fabbrica dei sogni", figlia e sorella della globalizzazione. Se c'è un luogo dove questa globalizzazione ha già espresso tutta la sua virulenza, questo è il campo della comunicazione. La libertà degli stessi operatori della comunicazione, all'interno di queste logiche, è pesantemente delimitata, quando non completamente negata. Consegue da tutto ciò che è del tutto indifferente o comunque secondario, che vi sia un qualche rapporto tra ciò che in tal modo viene prodotto, riprodotto e distribuito e la realtà.

Se serve - e serve sempre alla "fabbrica dei sogni" - la realtà può essere sostanzialmente modificata nel passaggio verso la sua raffigurazione virtuale, abbellita o incupita non importa, comunque manipolata, in funzione delle esigenze del mercato e, soprattutto, dell'organizzazione del dominio. Il sistema mediatico non ci restituisce il mondo, dopo averlo fatto passare nella sua impastatrice, bensì un suo simulacro selettivo, "emozionante", spettacolare. Perfino le guerre sono ormai condotte in perversa simbiosi con il sistema mediatico, la gestione delle prime è divenuta inscindibile dal funzionamento del secondo. Poiché occorre "conquistare le menti e i cuori", per ottenere alti ratings, allora ogni operazione mistificatrice diventa lecita, perfino "inevitabile".

La situazione italiana, di assoluto monopolio televisivo e di quasi totale monopolio mediatico, entrambi inquinati ulteriormente da un gigantesco conflitto d'interessi, è un caso limite di particolare gravità. Estreme e miserabili propaggini ne sono le applicazioni operative dell'infotainment (informazione più intrattenimento) e delle soft news (notizie leggere): cavalli di Troia introdotti nei già esili spazi informativi residui con lo scopo di ridurre ulteriormente il loro contenuto. Televisioni e giornali diventano sempre più autoreferenziali, parlano di sé, tra loro e con il potere, si riempiono di pettegolezzi, amplificano le inezie e le pongono in primo piano; dimenticano problemi della gente, contraddizioni della società, la cultura, i valori civili.

I media favoriscono la svalutazione della sfera pubblica, e la spettacolarizzazione ed esaltazione del privato. Diritti e doveri vengono scambiati a piacimento, false emozioni dilagano, annegate in mari di lacrime e finti incontri, insieme a finte sorprese e personaggi finti scambiati per veri. Si sostiene che questo è ciò che il pubblico desidera. Il che è vero solo in apparenza. Perché bisogna aggiungere che il pubblico - specie quello formato da questi media - desidera e pensa ciò che è socialmente disponibile. E un pubblico impoverito di idee non è in grado nemmeno d'immaginare alternative, né di recepire criticamente i messaggi che riceve. I generi sono mescolati ad arte, l'entertainment si sovrappone all'informazione, entrambi s'intrecciano con la pubblicità. Tutto viene incluso nella logica dello showbusiness. Quanti sono in grado di districarsi? Sicuramente non lo sono le vittime più deboli, i bambini, costretti ad ingurgitare dosi massicce di messaggi che non possono decifrare. I media fabbricano i pensieri e i desideri che legittimano la loro pretesa di rappresentare i pensieri e i desideri del pubblico. Milioni di persone sono dunque sottoposte incessantemente (con effetti di sedimentazione devastanti) ad un "rumore di fondo" che determina non solo il livello d'informazione di una società, la sua cultura collettiva, ma perfino il suo livello emozionale ed etico.

Pochi capiscono che la scuola e la famiglia, ma anche l'oratorio e la parrocchia, sono già stati travolti dalla potenza dei messaggi comunicativi cui sono sottoposte le giovani generazioni. La discesa del tasso d'intelligenza, di alfabetizzazione e dei valori morali e civili è scandita dagli editti quotidiani dei vari "auditel", divenuti inappellabili giudici del nostro vivere comune, del nostro modo di divertirci, di consumare. Inappellabili ed insindacabili, perché determinanti nel definire le correnti di milioni di euro d'investimenti pubblicitari. E tutto ciò viene deciso e creato in luoghi senza alcuna legittimazione democratica, ma che influenzano in modo radicale la vita di grandi masse d'individui. Tutto ciò nuoce alla democrazia, all'educazione civica, all'equilibrio psichico dei telespettatori? Peggio per loro, perché non si può fermare questo business.

Quasi nessuno si prende cura del fatto che l'"homo videns" è una variante antropologica che modifica i termini della vita sociale e delle forme stesse dell'esercizio dei diritti democratici, a cominciare da quello di essere correttamente educati e informati. La moderna "agorà" dove si svolge quasi tutto il mercato politico del consenso, è rappresentata dalla televisione. Chi possiede il controllo di questo mezzo - tanto peggio se monopolistico - può violare i principi basilari di ogni democrazia. Le società moderne, la nostra inclusa, hanno ancora importanti possibilità di risposta. Un'informazione indipendente, che spesso non è prodotta per la vendita, cioè come merce, agisce e contende il passo al sistema dei media, aiutando il formarsi e l'estendersi dello spirito critico, incoraggiando la partecipazione democratica alla formazione dell'opinione pubblica.

Noi però pensiamo che non ci si debba rinchiudere in ghetti minoritari. Noi vogliamo occuparci della stragrande maggioranza dei fruitori dei media e affrontare il sistema mediatico laddove esso miete i suoi consensi e le sue vittime. E' perfettamente inutile rinunciare al televisore perché questa scelta individuale non può oscurare la constatazione che la maggioranza delle persone, questa sera, oggi, domani e sempre, non spegnerà i propri apparecchi. Significa soltanto credere di essersi liberati, ignorando al contempo ciò che milioni di altri vedono e sentono. Lo stesso risveglio della sensibilità collettiva, da Seattle, a Genova, fino ai movimenti della società civile in forte sviluppo, rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per

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aprire un varco nella blindatura dell'informazione. Bisogna dunque dare risposta al desiderio diffuso di partecipazione e di cambiamento ampliando gli spazi democratici nell'informazione e nella comunicazione. Realizzare ciò non è possibile senza passare all'offensiva.

Non ci si può difendere "come un polipo che lotta contro l'Empire State Building" (Mc Luhan). Si deve investire e coinvolgere l'intero processo della comunicazione. Si deve costruire una grande forza positiva, capace non solo di contestare mezzi e messaggi, ma anche di stimolare forme di lettura critica, di produrre costantemente punti di vista alternativi e di esigere che essi vengano rappresentati. Vogliamo investire il sistema mediatico con una "critica pratica", sistematica, multilaterale, distribuita su tutto il territorio, davvero pluralista e aperta ai contributi di tutte le componenti della società civile. Questo movimento nei fatti già esiste, ma è frazionato e disperso in cento, mille gocce, ciascuna isolata dalle altre. Il capillare ed importante lavoro compiuto, non riesce quindi a raggiungere la massa critica sufficiente per sfidare l'imperio, solo apparentemente inattaccabile, della comunicazione "ufficiale". Occorre raggiungere il grande pubblico che sta seduto davanti alla televisione, oltre i limiti in cui è attualmente prigioniera l'informazione indipendente. A noi pare inutile comunicare a chi già sa.

Mentre è indispensabile contestare i meccanismi che rendono succubi e indifesi milioni di telespettatori, i quali non hanno strumenti per difendersi perché nessuno glieli ha dati, e perché molti di loro, addirittura, sono stati convinti che non vi sia necessità alcuna di difendersi da bombardamenti così piacevoli.

Una proposta

MegaChip nasce per costruire le risposte a questi problemi. Noi siamo convinti che su questo terreno si combatte una battaglia decisiva per la salvezza della democrazia, e non soltanto per il diritto ad una corretta informazione e ad una comunicazione dignitosa. Queste sono proposte rivolte all'intero circuito della comunicazione-informazione: dai giornalisti ai ricercatori e scienziati, ai lavoratori dello spettacolo, ai creatori di pubblicità, agli studenti, al pubblico dei fruitori, in pratica ai cittadini.

a)Un osservatorio indipendente sulla comunicazione. C'è assoluta necessità di conoscere e interpretare le strategie mondiali della information-communication technology, come pure gli assetti proprietari nazionali ed esteri, le strategie d'investimento finanziario, i flussi pubblicitari e le loro evoluzioni in campo nazionale e internazionale. In tutti questi settori si vanno prendendo decisioni di rilievo assoluto, destinate ad influenzare profondamente il futuro del pianeta. Non conoscerle significa avere perduto prima ancora di cominciare. Il campo delle ricerche possibili è immenso e si ramifica in molteplici direzioni: dall'analisi degli effetti dei messaggi sul pubblico e sui bambini, ai meccanismi di manipolazione, agli strumenti e segni utilizzati e utilizzabili nei settori della produzione giornalistica, pubblicitaria, televisiva, radiofonica, cinematografica. In altri termini occorre un livello che permetta di affrontare l'analisi quantitativa e qualitativa degli effetti del sistema mediatico nell'era dell'"homo videns".

b) Un livello di monitoraggio della quantità e qualità dei prodotti del sistema mediatico nazionale (e in prospettiva internazionale). Ciò per dare un riferimento sia agli operatori professionali, sia ai cittadini contro gli abusi, le distorsioni, le pressioni che minano la libertà d'informazione, violano la dignità del pubblico, impediscono la trasparenza e l'uso dei diritti. Per questo sarà necessario coinvolgere in primo luogo le centinaia di centri e gruppi d'informazione indipendente, le università e i luoghi della ricerca scientifica, ma anche i sindacati di tutte le categorie professionali, partendo dalle organizzazioni dei giornalisti fino a quelle dei consumatori.

c) Un livello di formazione degli operatori dell'informazione - comunicazione. Occorre definire e ridefinire gli standard etici, deontologici di tutto il sistema mediatico, investiti da trasformazioni possenti. Ciò richiede una partecipazione diretta delle professioni interessate, in primo luogo dei giornalisti. Ma implica anche il coinvolgimento di tutti coloro che sono impiegati nei settori della formazione culturale del cittadino, tra cui spiccano per importanza docenti ed insegnanti di ogni ordine e grado.

d) Un livello di organizzazione della battaglia politica per la democrazia nella comunicazione. Sulla base del know-how così acquisito ci si propone di inventariare le forze esistenti, di conoscere le loro esperienze, di favorirne la diffusione mediante la rete e un'organizzazione di coordinamento nazionale. La massa d'urto necessaria sarà raggiungibile solo con azioni coordinate e simultanee. L'invulnerabilità dei detentori del potere informativo deriva dal fatto che essi non sono mai stati realmente sfidati. La debolezza dei giornalisti e degli altri operatori della comunicazione proviene anche dalla loro atomizzazione e dal loro isolamento.

MegaChip vuole dunque dare battaglia, con obiettivi mirati e dichiarati, per incalzare tutte le componenti del sistema mediatico e guadagnare correttezza comunicativa e informativa. Sappiamo perfettamente che sarà una battaglia non facile, dove i detentori del potere mediatico ricorreranno senza risparmio alla forza di cui dispongono. Per questo avremo bisogno di produrre conoscenza solidamente basata e informazione ineccepibile. Vogliamo unire le mille gocce in un'esperienza comune e fare di questo una "notizia" capace di raggiungere il grande pubblico, la politica e le istituzioni. Ovviamente potremo procedere per gradi, in proporzione diretta alle forze di cui disporremo.

La nostra è una proposta aperta.

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Coloro che, condividendola, accetteranno di parteciparvi, potranno valorizzare (non ridurre) la propria identità in un contesto più ampio ed efficace. Ci proponiamo, innanzi tutto, di aprire un dibattito con coloro - e sono tanti - che avvertono l'esigenza strategica di costruire un'organizzazione inedita per una lotta inedita.

Questo è un passo decisivo per vincere la battaglia per la tutela della democrazia, dei diritti sociali e civili, e della pace.

Nota: E' nata anche Megachip Marche, per la condivisione degli obiettivi di una corretta informazione in questa regione

Per contatti [email protected]

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Quelli che non contano.Soggetti deboli e politiche sociali nelle Marche

(Libro a cura del Gruppo Solidarietà)Castelplanio 2007, p. 112, euro 10.00.

Dalla prefazione di Roberto ManciniDocente di ermeneutica filosofica, Università di Macerata

La scrittura nelle sue varie forme - dal diario personale al romanzo, dal saggio alla sceneggiatura, dagli aforismi al manuale - è spesso una presentazione trasfigurata della soggettività di chi scrive, il suo specchio, le sue idee, il suo messaggio agli altri. Ciò che colpisce anzitutto in questo libro, invece, è che non si tratta tanto di un'espressione di sé da parte dell'autore, quanto di una scrittura scavata dall'interno dell'agire, radicata in relazioni reali, emergente dall'impegno civile e diretto nella cura verso quanti portano il peso della marginalità, della disabilità, della malattia mentale, della vecchiaia senza protezione. C'è un autore prevalente, e anche dei coautori, ma si tratta di persone che hanno imparato a decentrarsi, a non fare del proprio io il centro del mondo. E' eloquente, da questo punto di vista, il fatto che non ci sia un sigillo di esclusività nella paternità del libro. Infatti gli autori, come accennavo, sono molti: Fabio Ragaini anzitutto, ma, con lui, l'intero Gruppo Solidarietà, che da quasi trent'anni opera nella provincia di Ancona nello spirito della realizzazione dei diritti umani, dell'accoglienza quotidiana, della pace attraverso la nonviolenza. Ciò a riprova di come un cammino di condivisione, anche se ha animatori senza i quali non potrebbe vivere, rimanga una realtà comunitaria aperta che non può riassumersi in un solo individuo.

Quella di questo libro è una scrittura che, nella veste tecnica dei riferimenti a leggi, norme e strategie di politiche sociali, esprime la passione per la convivenza buona ed equa, quella nella quale ciascuno è tenuto in onore per la sua dignità di infinito valore vivente. Una scrittura che non evoca il bene o la giustizia dei diritti umani, perché piuttosto li fa parlare dall'interno di un esistere in cui il sentire il valore delle persone, il vedere la realtà delle cose, l'agire nel volontariato, ma anche professionalmente e politicamente, nonché il modo d'essere personale confluiscono in una semplicità che sorprende.

Il libro analizza le pieghe e le contraddizioni del sistema delle politiche sociali, sanitarie e assistenziali della Regione Marche, mostrando in modo tanto documentato quanto appassionato come la cultura delle politiche sociali sia incerta e involuta anche nella nostra regione, che pure vanta di solito l'immagine di una zona d'Italia dove si vive bene. Fabio Ragaini e i suoi collaboratori sanno entrare nelle contraddizioni di queste "politiche", dove questo plurale risulta in effetti più come l'espressione della mancanza di una politica integrata e di un orizzonte complessivo di valore, che non come il segno di una ricchezza di progetti e di opere. Gli amministratori, i partiti, i sindacati, i semplici cittadini potrebbero apprendere molto dalla sintesi offerta in questo libro e gli amministratori in particolare dovrebbero specchiarvisi per giungere a una svolta profonda nel modo di percepire le priorità di governo per la regione Marche e quindi nel modo di agire. Perché si agisce a seconda di come e di quello che si vede. Con la ragione, con il cuore, con l'anima. E si vede ascoltando e partecipando alla vita di un territorio. Si deve essere grati a Fabio e al Gruppo Solidarietà perché la ricostruzione che si delinea in queste pagine permette davvero di cominciare a vedere per agire, per cambiare, per allestire le condizioni di una socialità in cui non si viene elusi, abbandonati, emarginati, respinti.

Tuttavia il testo non è solo un atto di accusa e una diagnosi disincantata della realtà regionale, ma anche un utile strumento di

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cambiamento. In particolare le ragioni che rendono prezioso il contributo di questo libro non solo per gli amministratori e per gli operatori sociali e sanitari, ma anche per i cittadini in genere, le forze politiche, i sindacati, le associazioni e i gruppi del volontariato sono almeno tre.

La prima ragione è di tipo insieme cognitivo ed etico. Infatti il testo permette a chi legge di entrare nello sguardo tipico di quell'etica della restituzione che è l'orientamento essenziale di una vera democrazia e di una società solidale. "Restituzione" è la dinamica di attribuzione o di riattribuzione dei fattori del godimento effettivo dei loro diritti fondamentali a coloro che ne sono impediti non solo per cause fisiche o derivanti da fatti naturali, ma anche per cause umane e in ogni caso per una mancata o inadeguata risposta delle persone e delle istituzioni agli effetti di qualunque tipo di negazione lesiva delle condizioni dell'esistenza. L'etica della restituzione assume come vincolante e decisivo l'impegno verso ciò che il diritto romano chiama restitutio in integrum: che un prigioniero sia liberato, un calunniato sia riabilitato, un esiliato sia richiamato in patria, un escluso sia riammesso nella comunità, uno che è stato oppresso in qualunque modo sia sollevato e liberato.E' chiaro sin da subito che in una prospettiva simile non c'è interesse a favorire qualcuno per sminuire o negare il diritto di altri; lo specifico della logica di restituzione sta piuttosto nel cercare di tessere di continuo una forma di convivenza in cui nessuno sia subalterno, ultimo e umiliato, perché l'attuazione di condizioni di vita che traducano il pieno riconoscimento della dignità di ognuno dilata le possibilità di vita buona per tutti. Il dinamismo dei processi della giustizia restituiva è il nucleo della trasformazione nonviolenta e non sacrificale della società, attraverso una prassi per cui lo stare attivamente dalla parte delle vittime non significa più produrre nuove vittime o rovesciare semplicemente i ruoli tra oppressi e oppressori, tra sommersi e salvati. Affinché però tutto questo non si risolva in enunciazioni astratte, è necessario entrare dentro ai meccanismi legislativi, istituzionali, politici e nella tessitura quotidiana delle relazioni, facendo maturare in tutti questi mondi vitali una cultura dei diritti e dei doveri umani che sia finalmente assunta nel territorio e nelle sue istituzioni. L'impegno a sviluppare l'etica della restituzione conferisce la forza critica di cogliere quanto è inaccettabile e va cambiato, così come la forza euristica di trovare strade nuove innanzitutto perché giuste e riconosciute corresponsabilmente da molti più soggetti che in passato.

La seconda ragione che attesta la rilevanza di questo libro sta nel suo valore politico e giuridico. Esso riesce a dare prova di che cosa possa significare agire la democrazia come co-soggetti, non come clienti o sudditi, oppure come profittatori a tutela di interessi privati che vengono posti al di sopra del bene comune e della legalità. L'ingiustizia diseduca, forma nel tempo una mentalità per cui gli individui regrediscono al livello della lotta di tutti contro tutti. Nel nostro paese, assuefatto a una percezione insufficiente e comunque falsata del valore della democrazia, dello stato, dei diritti e dei doveri civili, non è difficile constatare come l'incuria verso la vita pubblica, il disprezzo della legge, l'uso delle istituzioni per fini privati siano un danno non solo nel presente e per i loro effetti diretti, ma anche rispetto alla deformazione della mentalità collettiva. Per contro, solo la prassi della giustizia restitutiva e della democrazia sociale, dialogica, partecipata può realmente educare generazioni di cittadini. Ora, la ricerca raccolta in questo testo dà conto di un impegno democratico che va coerentemente in tale direzione. Emerge, da questo versante, oltre alla critica per l'inadeguatezza o l'elusione delle normative relative alle politiche sociali e ai diritti fondamentali, la prefigurazione del valore del diritto come agente di cambiamento delle condizioni di vita e di umanizzazione della forma della società. Ed è una consapevolezza tutt'altro che frequente e consolidata in Italia e anche nelle Marche.

La terza ragione del valore di questo lavoro di Fabio e del Gruppo Solidarietà può essere colta in una prospettiva antropologica. Con un'espressione del genere intendo evocare non già una disciplina scientifica come l'antropologia culturale, quanto quel processo complessivo di maturazione, scoperta e liberazione dell'identità umana nella storia di cui tutti siamo partecipi. L'essere umano non è un'entità nota e scontata, calcolabile e definibile, ma resta un mistero di libertà e di dignità. Un mistero che incarniamo noi stessi e che ci abita. E che può fiorire in termini di solidarietà, di riuscita umana, di felicità condivisa, di maturazione etica e civile quando, anziché sopravvivere seguendo l'ottica miope e triste dell'individualismo, ci rendiamo disponibili alle relazioni di dono, di libera e aperta reciprocità, di attenzione agli altri e di dialogo. Le persone possono diventare se stesse e godere della vita solo nell'orizzonte ampio dell'esistenza comunitaria. Non è detto che si tratti di vivere insieme in una comunità residenziale, stabile. Parlo, più che di una forma rigida di organizzazione della quotidianità, di uno stile e di un respiro. Chi è singolo o chi è in un monastero, chi vive la famiglia oppure un altro tipo di nucleo interpersonale quotidiano può comunque, nella piena libertà della sua preferenza per qualcuna di queste vie, adottare uno stile di vita che lo porta a coinvolgersi nella relazione con gli altri, a scegliere la relazione come valore di cui avere cura. E ciò vale dai rapporti interpersonali sino a quelli sociali e politici, dai rapporti economici sino a quelli con il mondo della natura. Ebbene, il cammino del Gruppo Solidarietà e di Fabio testimonia che inoltrarsi nell'avventura dell'esistenza comunitaria è una scelta che, certo non senza le fatiche, le frustrazioni e le tensioni che tutti noi dobbiamo affrontare, porta frutto per chi la vive e per molti altri, sino a divenire una fonte viva di buona socialità lì dove mette radici. Perciò tale testimonianza ha una portata antropologica rivelativa su cui riflettere.

Ho detto che, in ogni caso, il libro è uno strumento di lavoro sociale e politico, di coscientizzazione e di cambiamento nel senso dell'etica e della prassi della restituzione. La speranza è che quanti sono già impegnati in tal senso possano trovarvi un ulteriore motivo per andare avanti e che altri ancora siano da esso sollecitati a considerare l'opera di attuazione dei diritti umani come un dovere proprio.

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CONFERENZA NAZIONALE 2007 DEL VOLONTARIATO

(di Alessandro Fedeli)

Nelle righe che seguono provo a riordinare le mie personalissime impressioni sui lavori della recente Conferenza Nazionale del Volontariato di Napoli, tentando di fornire stimoli e spunti di riflessione che mi piacerebbe fossero oggetto di successivi approfondimenti e discussioni nelle sedi appropriate.

Sorvolo sull'organizzazione logistica della Conferenza, che, a voler essere gentili, potremmo definire inadeguata: nessuna indicazione per raggiungere il luogo della Conferenza, posti a sedere insufficienti per tutti i partecipanti (benché il numero degli stessi era facilmente prevedibile contando le schede di iscrizione arrivate ed anche ipotizzando la solita percentuale di persone che arrivano pur non essendo iscritti), i pochi materiali a disposizione esauriti appena dopo un'ora dall'inizio dei lavori, spazi espositivi praticamente inesistenti, nessuna possibilità di avere informazioni certe e tempestive sull'organizzazione dei lavori…e mi fermo qui.

Ma è sui contenuti emersi che intendo soffermarmi. All'indomani della Conferenza qualcuno ha parlato di grande successo considerando il solo indicatore del numero dei partecipanti. Credo che il giudizio su un qualsiasi incontro si "misuri" anche dalla qualità di quanto espresso e soprattutto definito. La Conferenza non si poneva alcun obiettivo chiaro da perseguire e questo è a mio avviso un grosso limite. Non ci si può ritrovare a Napoli in oltre 2000 con tutti i sacrifici e costi da sopportare senza aver chiaro cosa andare a fare e cosa portare a casa. Sarebbe bastato fissare un solo obiettivo, quale ad esempio: definire le linee guida della revisione della legge nazionale del volontariato ed uscire dai lavori con una proposta in tal senso, per dare un senso ai fiumi di parole che sono stati pronunciati. Ed invece nulla di tutto questo. E non poteva essere altrimenti visto che non c'è stato il benché minimo percorso di preparazione ai lavori della Conferenza. Questi eventi o si preparano o diventano l'ennesima occasione per "parlarsi addosso", per alimentare l'autorefenzialità del volontariato, tanto cara ai nostri detrattori e per ascoltare, come purtroppo successo, concetti e discorsi triti e ritriti.

Ma vado con ordine e mi fermo su alcuni pensieri che più di altri sono rimasti nella mia mente.

Il ministro Ferrero ha parlato, tra i diversi concetti espressi, della necessità di risolvere il dilemma tra "volontariato retribuito" e "lavoro sottopagato". Per inciso, nel servizio dedicato alla Conferenza dal TG1 delle 20 di venerdì 13 aprile è stato l'unico concetto espresso dal Ministro nei dieci secondi a disposizione. E' ovvio che entrambi le affermazioni "stonano" e contengono in se qualcosa di negativo. Ma è solo questo il problema del volontariato o comunque è questo il nodo critico principale del nostro mondo? Se consideriamo che, da recenti indagini, la percentuale delle associazioni che ricorrono a prestazioni retribuite, le uniche che potrebbero essere etichettate come "volontariato retribuito" o "lavoro sottopagato", non arriva al 25%, va da se che non può essere questo il principale problema del volontariato, quantomeno perché, sia pur ammettendo che sia un problema, riguarda una minoranza del nostro mondo.

Collegata a questi concetti è indubbiamente l'ampia discussione che si è fatta sui rimborsi spese forfetari si o no. Ed infatti sono proprio questi che, quando assumono una certa consistenza, danno origine al "volontariato retribuito" o al "lavoro sottopagato". Personalmente non faccio una questione di entità del rimborso: quando un volontario percepisce un qualsiasi rimborso non documentata siamo di fronte ad una delle fattispecie di lavoro "nero", a prescindere che siano 10 euro o 1000 euro al mese. Sono convintissimo che alcuni rimborsi forfetari, proprio per la loro scarsa entità e per la loro certa veridicità, sono anche inferiori a quanto un volontario avrebbe diritto se documentasse tutte le spese, sostenute per svolgere la sua attività. Ma se è così, è davvero difficile preferire la pratica, a volte anche burocratica, di erogare solo rimborsi documentati piuttosto che ricorrere a rimborsi forfetari, indubbiamente più pratici, ma altrettanto sicuramente poco trasparenti?

Ampio spazio ha poi trovato la discussione attorno ad un ipotetico dilemma: il volontariato può gestire servizi? L'interrogativo nasce dall'affermazione sostenuta da alcuni secondo la quale il volontariato deve concentrare la sua iniziativa esclusivamente su azioni di advocacy che si sostanziano nella denuncia dei diritti negati per inadeguatezza o non applicazione delle normative, nella promozione e tutela di quelli esistenti e nella partecipazione attiva e propositiva alla programmazione, realizzazione e valutazione delle scelte pubbliche. Corollario di tale affermazione era che qualora il volontariato si trovi a gestire servizi più o meno complessi perde la sua identità originaria per trasformarsi in altro soggetto, talvolta non meglio definito.

Insomma se si fa solo advocacy si è volontariato, se invece si gestisce servizi si è qualcos'altro.

Sono fermamente convinto che l'azione del volontariato, quale che sia il suo campo di azione, non dovrebbe mai ridursi solo alle attività di "riparazione" ma dovrebbe sempre e soprattutto essere pratica di cittadinanza solidale, voce di chi non ha voce, richiamo alle istituzioni alle proprie responsabilità di tutela e garanzia dei diritti, impegno nella rimozione delle cause di

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emarginazione e disuguaglianza. Ciò mi porta però di converso a ritenere che un'associazione che si trovi a gestire servizi, più o meno strutturati, conservi l'identità di realtà di volontariato qualora rispetti due principali condizioni e cioè quella di operare con il prevalente contributo di personale volontario e quella di non rinunciare al suo ruolo politico e culturale. Solo se una o entrambe queste condizioni non vengono rispettate allora possiamo dubitare dell'identità di quella organizzazione. Il solo fatto che un'organizzazione di volontariato gestisca servizi non ci deve assolutamente autorizzare a "bollarla" come non di volontariato. Certo è che tali organizzazioni devono però prestare la massima attenzione per evitare il rischio di farsi travolgere dalla gestione routinaria dei servizi e perdere di conseguenza la capacità di riflettere, valutare e progettare. Ed ancora se è vero, e su questo credo che tutti concordiamo, che il volontariato deve muoversi in una logica di sussidiarietà nei confronti degli enti pubblici che mai dovranno venir meno alla loro prioritaria funzione di garantire gli essenziali bisogni a tutte le categorie di cittadini, perché un'organizzazione di volontariato che è in grado, conservando la propria identità e missione, di gestire un servizio in risposta ad un bisogno di una comunità territoriale, che altrimenti non verrebbe soddisfatto, non dovrebbe farlo?

Un altro pensiero: ancora una volta la visibilità della Conferenza e quindi del nostro mondo è stata insufficiente per non dire inesistente. Conosciamo tutti le logiche dei mezzi di comunicazione e nonostante gli sforzi, che a dire il vero potremmo intensificare e qualificare, è impresa ardua se non impossibile modificarle. Certo però che una Conferenza dove gli altri Ministri comunque interessati all'attività di volontariato (Sanità, Ambiente, Cultura e Politiche Giovanili) erano assenti (ma sono stati invitati?) così come assenti erano quasi tutti i rappresentati politici nazionali e regionali, fatta eccezione per i presidenti delle commissioni affari sociali di Camera e Senato, contribuisce ad oscurare sempre più la nostra azione ed il nostro messaggio.

Si è discusso poi molto della mancanza nel nostro mondo di leader carismatici di livello nazionale e soprattutto del progressivo invecchiamento delle nostre organizzazioni. Forse personaggi dello spessore di Luciano Tavazza ed altri che come lui hanno fatto la storia del volontariato non ce ne sono in giro, ma siamo altrettanto sicuri di aver fatto tutto quanto era nelle possibilità del nostro mondo per formare, crescere e responsabilizzare alcune figure dirigenziali con ottime credenziali che comunque ci sono nelle nostre associazioni? E quando dico questo penso a vari personaggi che ho avuto modo di conoscere sia in giro per l'Italia ma anche nella nostra regione. O forse il cancro della voglia di potere si è impadronito di alcune membra del nostro mondo, impedendo a qualche crisalide di dare vita alla farfalla? Ed in parallelo faccio la stessa considerazione riguardo la carenza di giovani che tutte le nostre associazioni lamentano: innanzitutto lasciatemi dire che il comune sentire di giovani vuoti e passivi (e la lista degli aggettivi negativi potrebbe essere infinita) è solo un brutto luogo comune da sfatare. Indubbiamente una minoranza da "ricostruire" esiste ma questa non deve certo farci dimenticare una maggioranza pura e volenterosa che chiede solo di essere informata e coinvolta. Purtroppo, molte sono quelle realtà dove l'età media dei volontari è piuttosto elevata e ciò penalizza la volontà di avviare nuovi percorsi ed iniziative. Molti sono quei presidenti che chiedono ripetutamente a gran voce giovani che possano sostituirli. Sono dichiarazione formali, nei fatti però non è raro imbattersi in costoro che, messi di fronte ad una concreta possibilità di ricambio, si attaccano così saldamente alla loro "poltrona" da far invidia a quella famosa azienda produttrice di collante, che nella sua pubblicità si affida a ben più sinuose forme. Le associazioni dovrebbero invece preoccuparsi costantemente ed incessantemente di promuovere e curare l'ingresso dei giovani nelle loro realtà. Sono proprio questi che possono garantire un rinnovato entusiasmo ed un futuro a preziose esperienze di solidarietà e volontariato. Ed è proprio questa la scommessa fondamentale che le associazioni di volontariato dovranno essere pronte a giocarsi per il loro futuro: "lasciare spazio ai giovani" che significa coinvolgerli in cose concrete piuttosto che in dibattiti culturali, affidare loro compiti e responsabilità controllando da lontano "a fari spenti" che sappiano sempre mantenersi in carreggiata, accettare qualche "incidente di percorso" ed infine essere pronti a farsi da parte per far posto a giovani che sicuramente possono avere una mentalità ed un modo di agire diverso da quello che l'associazione ha abitualmente adottato ma che altrettanto sicuramente garantiscono che il fiume del volontariato possa continuare ad irrigare terreni aridi ed assetati.

Scusate la franchezza, ma la diplomazia non rientra tra i miei pochi pregi, ammesso e non concesso che io li abbia e che la diplomazia lo sia. Parliamone, magari riusci

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Il carcere dopo l'indulto: ripensare la pena

(di Michele Altomeni )

La nostra società, copiando il modello americano, tende sempre di più a risolvere sul piano securitario e giudiziario le crescenti contraddizioni del sistema. Sempre di più le campagne elettorali sono caratterizzate da sparate demagogiche che fanno leva su paure irrazionali. Da parte loro i mezzi di informazione contribuiscono pesantemente a questo clima, trattando il problema in spregio alle più elementari regole del giornalismo: fatti di cronaca nera locale riempiono le pagine dei quotidiani e i servizi dei telegiornali, dando l'impressione di un paese in preda a scorribande di criminali di ogni sorta, in particolare stranieri.In questo modo si evita sempre di affrontare il problema in maniera seria, analizzandone la reale portata e le cause.In primo luogo quindi occorre prendere atto che non esiste una emergenza securitaria, che i cittadini italiani non vivono sotto

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una costante minaccia di essere rapinati, aggrediti, stuprati o uccisi. Tuttavia è evidente che da alcuni anni sta crescendo il disagio sociale, si diffondono nuove forme di povertà e di emarginazione, cresce la frammentazione dei legami sociali, e di fronte a questi problemi le istituzioni pubbliche si dimostrano sempre meno capaci di fornire risposte adeguate. Così si sta affermando una cultura che pensa di risolvere il problema nella maniera più semplicistica, la stessa con cui si risolve il problema dei rifiuti, ossia nascondendolo alla vista e alle preoccupazioni collettive.In questo contesto il carcere, che avrebbe dovuto svolgere un ruolo di rieducazione e di reinserimento sociale del criminale, svolge invece un ruolo di deposito, di discarica umana. Negli ultimi tempi, la demagogia securitaria di componenti delle politica e dei mezzi di informazione, hanno favorito l'adozione di norme che non hanno fatto altro che ampliare lo spettro dei comportamenti classificati come criminali, compresi alcuni che non danneggiano in alcuni modo i cittadini. Si pensi alla legge Fini - Giovanardi che penalizza anche il consumo di droghe leggere e quindi criminalizza e avvia al carcere persone, in particolari giovani, solo per una loro scelta personale. Oppure alla legge Bossi-Fini sull'immigrazione che in qualche equipara un clandestino ad un criminale. Sono solo due esempi di una tendenza generale molto preoccupante, di una società che invece di prevenire il disagio, lo nasconda e accumula dietro ad un muro.Anche per effetto di questa dinamica negli ultimi anni le carceri si sono riempite ben oltre la loro capienza, diventando sempre più disumane, non solo per i detenuti, ma anche per chi ci lavora.Uno stato civile riconosce dei diritti anche a chi è stato condannato ad una pena detentiva, proprio perché il carcere non dovrebbe essere uno strumento di vendetta, ma un luogo di rieducazione. In realtà molti diritti dei detenuti non sono rispettati, e quindi viviamo nel paradosso in cui lo Stato viola la legge proprio mentre punisce cittadini perché hanno violato la legge. L'amministrazione penitenziaria, cronicamente in carenza di fondi a causa del sottofinanziamento da parte dei vari governi, risparmia proprio sulle attività trattamentali, ossia quelle che dovrebbero garantire al detenuto il reinserimento sociale, oppure sulle spese necessarie ad offrire condizioni di vita decenti: dimensioni adeguate delle celle, acqua calda per le docce, luoghi decenti per incontrare i familiari… Così il carcere diventa più spesso una scuola di criminalità che un'istituzione educativa, ne è prova l'alta percentuale di recidiva, ossia di detenuti che una volta liberati tornano a commettere crimini, e la riprova è che la recidiva è molto più bassa tra quei detenuti che hanno scontato pene in strutture alternative al carcere, dove si fa molta più attenzione al reinserimento: la recidiva è del 68% per i carcerati e il 19% tra chi ha scontato pene alternative. Questo significa che se l'obiettivo della società è ridurre la criminalità, il carcere rappresenta il sistema meno adeguato. Significa che il sistema penitenziario butta via 300€ al giorno per detenuto senza assolvere alla sua funzione. La repressione carceraria non crea sicurezza, ma serve solo a buttare soldi perché non c'è il coraggio di fare scelte diverse perché di certo non fanno vincere le campagne elettorali. Quegli stessi 300€ potrebbero essere spesi in maniera molto più efficace.

Per sua natura il carcere è un luogo chiuso e fortemente separato dalla società circostante. Sono queste caratteristiche a renderlo inadeguato allo sviluppo di percorsi di reinserimento, e allo stesso tempo favoriscono dinamiche di violazione dei diritti umani. Per questo è importante utilizzare qualunque canale che permetta di attraversare i muri di cinta. In questo senso svolgono un lavoro molto importante le diverse associazioni che all'interno del carcere svolgono servizi di varia natura ed organizzano attività.Come Consigliere Regionale mi è riconosciuto il diritto di entrare nelle carcere delle Marche per visite ed ispezioni. In questi due anni ho cercato di utilizzare questo diritto, anche in coordinamento con le associazioni di volontariato e con quelle organizzazioni, come Antigone, che svolgono una funzione di monitoraggio sulle condizioni di vita in carcere. L'ultimo carcere che ho visitato, alcune settimane fa, è quello di Fossombrone (chi fosse interessato a leggere il resoconto della visita, delle visite precedenti e a reperire altre informazioni sulla tematica, può visitare il sito www.altomeni.info).In queste ultime settimane sto anche collaborando alla campagna nazionale "Il carcere dopo l'indulto" (info sullo stesso sito). Questa campagna ha due scopi principali: fare controinformazione rispetto alla vicenda dell'indulto e monitorare la situazione delle carceri italiane dopo quel provvedimento.

Sull'indulto i mezzo di informazione hanno svolto il loro solito ruolo allarmistico e demagogico, facendo passare nell'opinione pubblica il concetto che si stavano mettendo in libertà pericolosi criminali che sarebbero tornati a delinquere aumentando l'insicurezza sociale. Le notizie riguardanti indultati presi a commettere nuovi crimini sono state amplificate in ogni modo a beneficio di un'opinione pubblica già poco convinta del provvedimento. Se invece i mezzi di informazione avessero fatto il loro lavoro secondo la deontologia richiesta avrebbero dovuto prendere atto di un fenomeno insolito: abbiamo detto che il tasso fisiologico di recidiva è del 68%. A sei mesi dall'indulto i dati del ministero della giustizia ci dicono che solo il 12% degli indultati è tornato in carcere per un nuovo reato.Rispetto alla rilevazione dei dati la campagna sta verificando che in molti punti il regolamento che fissa gli standard carcerari è inapplicato.

Presso l'assessorato alle Politiche Sociali della Regione Marche sta lavorando un gruppo di lavoro per la stesura di una legge che punti proprio a potenziare le attività trattamentali nelle carceri marchigiane e che favorisca il reinserimento dei detenuti a fine pena, ad esempio attraverso la formazione professionale.

Scheda: a sei mesi dall'indultoI detenuti prima dell'approvazione dell'indulto erano 61.246 per una capienza regolamentare di circa 43.000 unità.I ristretti nelle carceri italiane sono scesi a 38.847 a settembre 2006, sono risaliti oggi a 42.702 (il 35% è rappresentato da stranieri).

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Sono 26.201 (di cui 16.158 italiani e 10.043 stranieri) gli ex detenuti usciti dal carcere negli ultimi nove mesi grazie all'indulto.Dall'ultimo screening del Dipartimento dell' amministrazione penitenziaria (Dap) emerge che 18.189 (pari al 69,4% del totale) sono gli ex detenuti condannati in via definitiva che hanno beneficiato dell'indulto, mentre 8.012 sono coloro che grazie al provvedimento di clemenza hanno avuto una revoca della misura cautelare su decisione del magistrato di sorveglianza.Ad oggi si sta registrando un preoccupante aumento della popolazione carceraria.Soltanto il 12% degli indultati ha commesso un nuovo reato, contro il 68% fisiologico del tasso di recidiva.

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Modello Bhutan

(Fonte: Green Planet Natural Networkhttp://www.greenplanet.net

Eric Ezechieli)

Bhutan controcorrente. Mentre una cospicua parte del mondo è intrappolato dalla cultura occidentale contemporanea, tramite una sofisticatissima e persuasiva macchina propagandistica e mistificatoria, che inesorabilmente promuove il consumo e l'individualità come valori fondamentali ed il brevissimo termine come l'orizzonte temporale di riferimento, un piccolo Paese asiatico procede in tutt'altra direzione, anteponendo allo sviluppo convenzionalmente inteso, obiettivi di preservazione dell'ambiente e biodiversitá, di equità sociale e di preservazione della cultura …

Gross National Happiness o Felicità Nazionale: lo stupefacente modello di sostenibilità del BhutanUn governo, una popolazione, uno stato che ha fatto della sostenibilità la propria strategia di sviluppo. Una questione legata sì agli indicatori per la misurazione del grado di benessere ma soprattutto alla volontà di cambiare il paradigma dominante

In una riflessione su come implementare la sostenibilità, Dana Meadows nel 1997 scrisse che il principale punto di leva per il cambiamento in un sistema complesso risiede nei "Modelli Mentali o nei Paradigmi sui quali il sistema si fonda." Ma cosa sono questi paradigmi? In breve sono "l'insieme di idee condivise dalla società, i grandi principi sottintesi - sottintesi perché talmente dominanti che é inutile dichiararli; é il sistema di valori e credenze fondamentali su come il mondo sia organizzato."Un esempio di cambio di paradigma fu il salto di visione dell'universo dal sistema geocentrico a quello eliocentrico. A tale passaggio corrispose una fenomenale esplosione di idee e creatività, poi applicata fino ai giorni nostri attraverso illuminismo, rivoluzione industriale, fino alle "meraviglie" del mondo contemporaneo.Il paradigma oggi dominante a livello mondiale é la "necessità di crescita dei consumi," cioè del Gross National Product (GNP, in italiano PIL, Prodotto Interno Lordo ndr), al fine di generare benessere. Il concetto fu brillantemente articolato ed implementato a partire dagli anni '30 negli Stati Uniti, come soluzione ai problemi della grande depressione. Il suo successo é stato poi talmente pervasivo che ce ne siamo scordati le relativamente recenti origini. Abbiamo anche scordato che tale meccanismo non é mai stato testato prima e quindi non esiste alcuna garanzia sulla sua effettiva validità di lungo termine.Il PIL si fonda sull'aumento perpetuo di produttività del capitale economico, in condizioni di scarsità di capitale umano ed abbondanza di capitale naturale. E' stato ed è tuttora sostenuto dal piú grosso apparato propagandistico mai esistito: la spesa globale dei soli spazi pubblicitari diretti (senza quindi contare produzione, ricerca etc) nel 2003 é stata di 380 miliardi di dollari. La principale determinante della cultura occidentale contemporanea é una sofisticatissima e pervasiva macchina - si calcola che ciascuno di noi sia esposto mediamente ogni giorno a 3600 impressioni pubblicitarie - che inesorabilmente promuove il consumo e l'individualità come valori fondamentali ed il brevissimo termine come l'orizzonte temporale di riferimento.Ad oggi, un solo paese al mondo ha messo sistematicamente in discussione "la necessità di aumentare il PIL", per tutti gli altri paesi verità quasi dogmatica: il regno Himalayano del Bhutan. Alla fine degli anni '80, il Re Jigme Singye Wangchuck, mirabilmente unendo l'educazione occidentale con la cultura Buddhista, arrivò a dichiarare: "La maggior parte degli indicatori economici sono un tentativo di misurare dei mezzi; non misurano i fini...Voglio quindi proporre la felicità [del popolo Bhutanese] come principale oggetto ed obiettivo politico." Questa importante, coraggiosa e per certi versi epocale presa di distanza dai modelli dominanti - allora tanto capitalisti quanto socialisti - fu il frutto di un'analisi lunga e approfondita.Il Bhutan era rimasto isolato dal resto del mondo, paese poverissimo e fermo ad uno stadio pressoché medievale fino al 1961...quando la seria minaccia di invasione, che si prospettava da parte della Cina, aveva suggerito di cercare supporto presso la comunità internazionale. India e Nazioni Unite cominciarono quindi a studiare un percorso di ammodernamento del paese.Inizialmente al Bhutan fu proposto un modello tradizionale di sviluppo, analogo a quello avviato in molti altri paesi del cosiddetto Terzo Mondo. Tuttavia, gli esempi di fallimento e devastazione che venivano da questi paesi a seguito dell'adozione di tali strategie di breve respiro, suggerirono di progettare valide alternative, fondate sulla ricerca di equilibri e benessere di lungo termine. La classe dirigente si oppose ad un indiscriminato progetto di sviluppo economico e dettò condizioni che, fin dall'inizio,

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in maniera strategica, anteponevano obiettivi di preservazione dell'ambiente e biodiversitá, di equità sociale e di preservazione della cultura, ad obiettivi meramente economici. Venne declinata sostanzialmente quella che oggi si potrebbe definire una responsabilità sociale o, meglio, una sostenibilità di stato. E tutto questo più di quaranta anni fa!La strategia di sviluppo che il Bhutan delineò in pratica incluse nel proprio DNA i principi di sostenibilità forte, con decenni di anticipo rispetto a tutti i paesi considerati "piu' evoluti, civili, moderni". Il risultato è che oggi il Bhutan é probabilmente l'unico vero caso di successo nello sviluppo di una paese povero, l'unico caso di indiscutibile esito positivo di interventi della Banca Mondiale, criticati invece anche duramente in un'infinità di altre circostanze.I finanziamenti della Banca Mondiale, che negli ultimi 15 anni hanno rappresentato la seconda voce in entrata del bilancio del paese, sono stati impiegati prioritariamente e rigorosamente per lo sviluppo del sistema educativo e sanitario. L'UNDP Development Index per il Bhutan (indice con cui si intende misurare il grado di livello di sviluppo di un paese ndr) e' tra i migliori di tutti i paesi in via di sviluppo. E pure le prospettive per il futuro sono decisamente rosee, basti pensare che:- l'aspettativa di vita media é passata da meno di 35 anni nel 1961 a quasi 70 nel 2002- il tasso di alfabetizzazione dovrebbe raggiungere il 95 % entro il 2012, dallo 0.5 % del 1961- oltre il 30 % del territorio nazionale e' protetto in un sistema di parchi nazionali e regionali, connessi da corridoi per le migrazioni della fauna (una legge del 1995 vincola il paese a mantenere una copertura boschiva perenne superiore al 60 %, che attualmente supera il 70 %, e principi di disboscamento degli anni '60 e '70 sono stati ampiamente recuperati con interventi di rimboschimento effettuati da ex contadini riconvertiti a tali compiti)- come effetto di intensi programmi educativi per le famiglie, é previsto che il tasso di fertilitá si stabilizzi su un livello di sostituzione (un nato per ogni morto ndr) entro il 2012- il turismo e' concesso solo nella misura in cui e' ecologico, sostenibile e non invasivo nei confronti della cultura tradizionale delle popolazioni locali- il paese ha avviato un processo di democratizzazione, che ha visto la spontanea rinuncia al ruolo di capo dello stato da parte del Re nel 1998, anno in cui e' stato inaugurato un parlamento.Certamente, l'avere anteposto un fine, la Gross National Happiness (GNH, o "Felicita' Nazionale"), ad un mezzo, la crescita della produzione o dei consumi, rappresenta una "rivoluzione copernicana" rispetto al paradigma dominante. E costituisce allo stesso tempo una delle principali determinanti del successo finora ottenuto.Per quanto il concetto di felicità possa apparire vago nella misurazione del livello di benessere di un paese, in realtà si sta rivelando molto piu' significativo ed influente di altri parametri economici di uso comune, come appunto il PIL, che da tempo è criticato e giudicato inadatto a rappresentare effettivamente il reale livello di benessere goduto da una popolazione. Studiosi ed economisti di tutto il mondo da anni stanno analizzando il caso del Bhutan, per migliorare le modalità operative ed applicative dei principi di sviluppo della GNH, rafforzarne la solidità e trarne insegnamenti che siano trasferibili in altri ambiti.La teoria economica adottata dal Bhutan trova le sue radici in una tradizione buddista che ha in Prayudh Payutto ed E. F. Schumacher i principali esponenti teorici. La cosiddetta "buddhist economics", in estrema sintesi, individua nella persona il fulcro dell'economia e dello sviluppo; l'economia neoclassica dominante, per contro, pone al centro della propria analisi il capitale, tipicamente industriale, finanziario ed economico, relegando la persona in posizione secondaria. Conseguentemente, nel calcolo del PIL vengono addizionate malattie - ad es. si stima che ogni caso di leucemia generi nove posti di lavoro, quindi aumenti il PIL - e devastazioni ecologiche - il naufragio della superpetroliera Exxon Valdez nel 1989, un disastro ambientale di enormi dimensioni, fece impennare il PIL dell'Alaska. Il valore delle imprese, inoltre, generalmente aumenta per quante meno persone vi lavorano, o per quanto piú esse riescono ad esternalizzare i loro costi: Jack Welch di General Electric, il piu' quotato manager degli anni '90, era soprannominato "neutron" per la sua capacità, analoga a quella di una bomba al neutrone, di eliminare le persone lasciando intatte le infrastrutture, migliorando così la produttività dell'impresa, la redditività del capitale e la performance economica.E' dunque indispensabile completare il progetto dominante di "crescita" rispondendo ad una domanda, tanto fondamentale quanto ignorata: "cosa vogliamo che cresca veramente?".In un mondo sempre più globalizzato, il paradigma dominante fondato sull'aumento dei consumi sta esercitando una forte pressione sulla cultura, sui valori e sui comportamenti dello stesso popolo Bhutanese. I valori ed i comportamenti della popolazione, come emerge da uno studio del 2003 realizzato dall'Università statunitense di Stanford, risultano essere maggiormente influenzati dai mass media di matrice occidentale che dal sistema educativo. Inoltre, il sistema scolastico, fondato su schemi e modelli di derivazione britannica, si scontra con la strategia di sviluppo della Gross National Happiness, che ha le sue origini nella tradizione buddista.Il Bhutan è uno dei pochi paesi al mondo ad avere compreso, agendo prontamente ed efficacemente di conseguenza, che sono pian piano venuti meno i presupposti stessi su cui il paradigma dominante occidentale si è fondato sin dall'inizio. La conseguenza è stata che ora ci scontriamo drammaticamente con risorse naturali decrescenti e risorse umane sovrabbondanti.Le tecnologie che si sostituiscono all'uomo, la massificazione, l'egemonia delle imprese multinazionali, le economie di grande scala, la produzione industriale tradizionale lineare, il sistema economico "a propulsione fossile": tutti aspetti che devono essere radicalmente riprogettati. E' indispensabile l'adozione di "tecnologie appropriate," che nello svolgimento di attivitá economiche salvaguardino o rigenerino biosfera e società, assicurando una più ampia occupazione.Le soluzioni tecniche esistono ma, come suggerisce Meadows, un cambiamento sistemico si verifica solo quando un nuovo paradigma viene condiviso ed accettato. Solo allora le soluzioni che affrontano i problemi alla radice, invece di mitigarne i sintomi, possono essere implementate. Il cambiamento di paradigma e' comunque in atto: le crisi sociali, politiche, economiche, finanziarie, ambientali che si verificano purtroppo con frequenza quotidiana, ci portano a mettere in discussione la strategia fondata sul modello dominate di sviluppo: sempre più, come suggerisce William McDonough, emergono le carenze di un piano che è tragico, o addirittura inesistente. In questo quadro, la Corporate Social Responsibility puó essere vista come una delle

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componenti di un fondamentale, e soprattutto urgentemente necessario, cambiamento epocale del ruolo dell'economia: stiamo iniziando a riprenderci dall'ubriacatura che ci ha portato a credere che lo sviluppo economico, ed il successo dei suoi principali attori, cioè le imprese, fosse il fine ultimo. Al contrario, il fine ultimo non può che essere solo e soltanto l'essere umano, il benessere dei nostri figli e dei figli dei nostri figli, fondamento della vita. La vita degli esseri umani e di tutte le specie viventi è il fine ultimo, perché da essa dipendiamo totalmente.Come il caso del Bhutan ci dimostra, l'attività economica ed imprenditoriale non è che un mezzo, che deve essere funzionale alla vita e all'essere umano e non dominarlo. Come tale, essa va riposizionata nella scala delle nostre priorità, per avviarne la trasformazione da forza troppo spesso distruttiva a maggiore forza creativa.

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In difesa della medicina omeopatica:la risposta dei pazienti omeopatici

al documento che critica le discipline complementari

(Fonte: http://www.apoitalia.it/ 19 aprile 2007)

Nota: la pubblicazione di questo articolo non significa una presa di posizione a favore della medicina omeopatica da parte della redazione (non rientra nelle nostre competenze), ma una presa di posizione a favore della libertà di cura dei pazienti e dei medici.

L'Associazione Pazienti Omeopatici - A.P.O. Italia, nata a Napoli nel 1991 per tutelare gli interessi di coloro che dal trattamento omeopatico ricevono beneficio, non può fare a meno di far sentire la propria voce di fronte a quanto è stato dichiarato in un documento congiunto di scienziati aderenti all'associazione 'Galileo 2001', al 'Gruppo 2003' e alla Societa' italiana di medicina interna, discusso in un Convegno a Milano. Gli "scienziati" hanno dichiarato: "Le medicine alternative, in cui rientrano l'agopuntura e l'omeopatia, non devono essere equiparate alla medicina ufficiale". Tale affermazione (maturata non si sa come, vista l'assenza di specifiche competenze nel campo delle MNC, medicine non convenzionali), alla luce dei principi di libertà di scelta terapeutica del paziente e di libertà di cura del medico, in realtà è pervasa dal convincimento che esista un unico protocollo terapeutico scientificamente valido, costituito dalla cosiddetta Medicina Convenzionale; mentre le altre terapie (peraltro affastellate sotto la generica dizione di medicine "alternative" obliterandone le profonde diversità di storia e di valenza scientifico-culturale), costituiscono una sorta di medicina di dubbia efficacia. Atteggiamento che si rivela frutto di ingiustificata presunzione specie a fronte di una medicina, quale quella omeopatica, che affonda le sue radici nella cultura occidentale per essere stata fondata, a fine settecento, da un celebre professore di medicina tedesco, giunto ad essa dopo aver brillantemente praticato la medicina tradizionale. Ed a cui fanno ricorso, per patologie anche gravi, talvolta incurabili con la medicina tradizionale, oltre undici milioni di italiani, certo non ignari dell'esistenza della medicina convenzionale ma al contrario avendone constatata, per esperienza, l'inefficienza nel loro caso. Lasciando ai medici cultori di medicina omeopatica di contestare la pretesa assenza di fondamento scientifico di tale terapia, ci limitiamo a richiamare l'attenzione su alcune macroscopiche incongruità e contraddizioni.Riprendendo la dichiarazione fatta dal "gruppo di scienziati" dove si enuncia: "Nonostante sia ''irrinunciabile la necessita' di una loro dimostrata efficacia'', ''non hanno invece alla base alcuna evidenza scientifica''.Non potendo negare la realtà del fatto che milioni di pazienti trovano beneficio nel ricorso alle medicine non convenzionali lo si degrada ad un effetto soggettivo, laddove è evidente che il superamento dello stato di malattia o c'è o non c'è; e, pur essendo a conoscenza del fatto che il meccanismo di funzionamento non è stato ancora dimostrato, come associazione di pazienti che hanno vissuto questa esperienza di cura sulla propria pelle, possiamo testimoniare la scientificità della medicina omeopatica basandoci sulla riproducibilità del fenomeno, nel tempo. Se ogni rimedio omeopatico fosse composto solo da glucosio o da lattosio, oppure da alcool, qualsiasi medicamento potrebbe farci guarire, secondo il cosiddetto "effetto placebo". Invece, proprio in virtù della nostra esperienza, possiamo affermare che la medicina omeopatica funziona, e funziona davvero, soltanto se il malato è stato compreso nella sua interezza di mente e di corpo, nel rispetto pieno della sua storia umana e biologica; nell'esatta valutazione della sua energia vitale e nel rimedio - unico per quella persona in quel dato momento della sua vita - che gli verrà somministrato.Ecco, questa è per noi "la dimostrata efficacia"! Ma, si può credere che se la Medicina Omeopatica non avesse funzionato, i pazienti sarebbero rimasti ad essa fedeli per oltre duecento anni, visto che pagano di tasca propria sia in termini di salute che di spesa? Quale convenienza avrebbero essi avuto nel continuare a difenderla se non avessero ottenuto risultati positivi?Ritornando alle rivelazioni del documento di Milano, viene aggiunto: "non devono entrare nel Sistema sanitario nazionale, nella

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pratica clinica e nemmeno nelle Facolta' scientifiche universitarie."Da una parte l'articolo 32 della nostra Costituzione stabilisce che: "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti"; dall'altra, avendo la FNOMC&O (Federazione Nazionale dei Medici-Chirurghi e Odontoiatri) riconosciuto a Terni, nel 2002, la pratica del medico omeopata come "atto medico" il quale, secondo scienza e coscienza, adotta il principio della libertà di scelta; poi si pretende che il protocollo terapeutico più appropriato debba proporre al paziente di curarsi soltanto con la medicina convenzionale! Inoltre, se si ritiene sia diritto e del medico e del paziente (adeguatamente informato), di curare e di curarsi con terapie adeguate, non si capisce perché entrambi debbano sopportare l'onere economico pur contribuendo a finanziare il S.S.N (servizio sanitario nazionale). col pagamento delle tasse in generale e di quella sulla "salute" in particolare, se poi non possono né i medici curare, né i pazienti curarsi con la Medicina Omeopatica. Questo significa, in realtà, negare la libertà di cura, che viene riconosciuta a parole ma negata nei fatti. Il tutto in controtendenza rispetto ai Paesi Europei, più avanzati come (Francia, Germania, Inghilterra, Belgio, Olanda, ecc.) dove le cure omeopatiche vengono regolarmente praticate negli ospedali statali e rimborsate dal S.S.N. Inoltre, nonostante che nel 2001 i Lea - Livelli essenziali di assistenza, abbiano escluso l'Omeopatia dal rimborso delle prestazioni sanitarie, il 10% delle strutture sanitarie pubbliche, tra Asl e ospedali, erogano ai cittadini visite e trattamenti a costi contenuti: esistono, infatti, ambulatori omeopatici accessibili col ticket, o privati a tariffa fissata dalla struttura pubblica. In testa vi è la regione Toscana con 70 ambulatori di MNC, la Campania con 12 strutture, seguite da Lombardia (8) e Lazio (6).Tanto premesso, ricordiamo che sono state depositate in Parlamento dodici proposte di legge per la regolamentazione ed il riconoscimento della Medicina omeopatica, presentate dalle Regioni: Toscana, Emilia Romagna e Lazio. Tali Proposte sono attualmente all'esame della Senatrice Emanuela Baio-Dossi. A questo proposito, una delegazione dell'A.P.O. Italia Associazione Pazienti Omeopatici ha chiesto all'on. Livia Turco, nell'incontro tenuto il 14 febbraio a Roma con il Capo della Segreteria Tecnica del Ministro, Senatrice Monica Bettoni Brandani, ed al Presidente della Federazione Nazionale dell'Ordine dei Medici-Chirurghi e Odontoiatri (FNOMC&O), dr. Amedeo Bianco, nell'incontro avuto a Roma il 07 dicembre 2006, che:

sia istituita una Commissione Permanente di esperti in questa Medicina presso il Ministero della Salute; siano istituiti Albi di Medici-Chirurghi, Medici Odontoiatri e Medici Veterinari omeopatici presso la FNOMC&O; siano istituiti corsi universitari di Medicina omeopatica per Medici-Chirurghi, Medici Odontoiatri, Medici Veterinari e

Farmacisti, con docenti scelti tra i rappresentanti delle Federazioni e delle Associazioni di Omeopati italiani; siano inseriti i Medici omeopatici nelle varie Commissioni inerenti alle problematiche della Salute, organizzati dal

Ministero della Sanità; siano stanziati finanziamenti destinati alla ricerca scientifica.

L'Italia, con decreto delle Ministro delle Politiche Agricole e Forestali del 4 agosto 2000, recepisce il regolamento dell'UE del '99 dove si fa obbligo al veterinario di curare animali ammalati o feriti dando la preferenza a prodotti omeopatici, anche per le agricolture biologiche. L'OMS, l'Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda l'uso delle Medicine non Convenzionali, con un Dipartimento apposito. In sintesi, il cittadino italiano ha minor diritti degli animali! La dichiarazione degli "scienziati" nel Convegno tenutosi a Milano serve solo a spargere tendenziosi allarmismi sui rischi delle cure non convenzionali, o meglio dette, "Complementari" (e cioè alla "pari" della medicina "Accademica"). Mi sembra completamente contraddetta dalla realtà dei fatti testè enunciati, a conferma della massima galileiana per cui: "Un'esperienza vera basta a rendere false mille ragioni".

A.P.O. Italia, Associazione Pazienti OmeopaticiRiviera di Chiaia n. 207, 80121 - NapoliFax: 081.405796 http:// www.apoitalia.it e-mail: [email protected]

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C'è salvezza alla crisi di civiltà?

(di Loris Asoli)

Nel numero precedente del bollettino abbiamo osservato come tutte le civiltà precedenti a quella attuale, in tutti i continenti, hanno vissuto il ciclo nascita-crescita-fioritura-maturità-vecchiaia-morte, del tutto analogamente a quanto avviene per il singolo individuo.La nostra orgogliosa civiltà tecnologica mostra oggi molti segni di decadenza, che farebbero presupporre che la fase successiva potrebbe essere quella della "morte". Particolarmente gravi si mostrano la crisi energetica e quella ecologica e ambientale, con degli scenari apocalittici. Ci sono poi le enormi tensioni internazionali nei rapporti fra i popoli (o fra i potenti dei popoli), con la prospettiva dell'ampliamento dei focolai di guerra, senza escluderne una di carattere mondiale, quando le materie prime energetiche diventeranno insufficienti e troppo costose.

Ci si può allora domandare se il processo sia ineluttabile e inarrestabile o se, invece, la corsa verso il burrone si possa fermare.In tutte le epoche di crisi si sono levate delle voci profetiche che sostanzialmente dicevano: "convertitevi, pentitevi, cambiate". Si rivolgevano alla coscienza degli individui, affinché invertissero rotta. In primo luogo, dunque, non un'inversione esteriore, pur necessaria, viene richiesta, ma una inversione dentro l'intimo della coscienza umana

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