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Facolt di GIURISPRUDENZA Master in “ Management e funzioni di coordinamento delle professioni sanitarie “ A.A. 2006-2007 Project Work : MOTIVAZIONE E SVILUPPO ORGANIZZATIVO : VERSO UN APPROCCIO PRATICO Relatori: Prof. Franco Bochicchio Candidato: Giovan Battista De Gattis Prof. Tommaso Di Sabato Matricola: 003001

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Facolt� di GIURISPRUDENZA

Master in “ Management e funzioni di coordinamento delle professioni sanitarie “

A.A. 2006-2007

Project Work :

MOTIVAZIONE E SVILUPPO ORGANIZZATIVO :

VERSO UN APPROCCIO PRATICO

Relatori: Prof. Franco Bochicchio Candidato: Giovan Battista De Gattis

Prof. Tommaso Di Sabato Matricola: 003001

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INDICE

Introduzione pag. 3

CAPITOLO 1 - La competenza -

1.1 Il significato pag. 9

1.2 Il contesto teorico 10

1.3 L’intelligenza emotiva 13

CAPITOLO 2 - L’indagine conoscitiva -

2.1 La struttura complessa Medicina S. Uomini pag. 17

2.2 La fase antecedente all’indagine 18

2.3 Il campione, l’ipotesi, gli strumenti 18

2.4 Risultati dell’indagine 19

CAPITOLO 3 - Buone pratiche motivazionali -

3.1 Interventi sugli obiettivi organizzativi pag. 24

3.2 Interventi sull’organizzazione dell’attivit� 26

3.3 Interventi sulla comunicazione 27

3.4 Interventi sull’integrazione sociale 29

3.5 Interventi sull’apprendimento 32

3.6 Interventi sulla valutazione 32

3.7 Interventi sulla partecipazione 34

3.8 Interventi sulla soddisfazione 35

3.9 Interventi sulla differenza 36

3.10 Interventi sulla retribuzione 39

CAPITOLO 4 - Il progetto -

4.1 La valutazione pre e post pag. 40

4.2 L’organizzazione 41

Conclusioni pag. 42

Bibliografia pag. 46

Allegato - La sintesi delle interviste -

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Da decenni la motivazione al lavoro � uno dei cardini della

progettazione organizzativa; nel corso degli ultimi anni sembra si

evidenzino sempre pi� alcuni elementi con cui siamo costretti ad avere a

che fare e che curiosamente vengono per lo pi� ignorati .

Da un lato le Direzioni possono sostenere e premiare attitudini e

comportamenti proattivi. Incentivare la flessibilit�, la mobilit�,

l’assunzione di ragionevoli rischi, la determinazione, l’interazioni

sinergiche tra soggetti e gruppi, proporre modelli di compensazione legati

ai risultati conseguiti. Dall'altro la cruda realt� del contratto sociale e

psicologico che il singolo soggetto pu� oggi realisticamente stipulare con

qualunque organizzazione che � drammaticamente diverso da quello di

solo dieci anni fa. La fine della job security, effetto collaterale della

globalizzazione e dell'inasprirsi della competizione di mercato, non � stata

seguita dal cambiamento delle aspettative della maggior parte dei

dipendenti che restano tali, alimentando aspettative di protezione, di

ricompense legate alla attivit� e non ai risultati, stabilit� della occupazione

lavorativa e vicinanza logistica rispetto all’ambiente familiare.

Quanto fin ora descritto si affaccia su una situazione socio economica

particolare e soprattutto nuova. L’attuale situazione economica pone,

soprattutto in Italia, molti interrogativi ai quali imprenditori, economisti,

amministratori pubblici cercano di dare risposte il pi� delle volte viziate da

un’ottica settoriale di breve periodo. In altri termini manca una visione

complessiva che consenta di trovare soluzioni durature e sostenibili, sia a

livello micro, sia a livello macro economico. Nonostante un costante

richiamo concettuale , sono stati trascurati (negli anni ) obiettivi aziendali

come la qualit� dei prodotti e servizi offerti, il coinvolgimento e la

motivazione del personale, la comunicazione interna ed esterna, il

rapporto con il cliente. La strategia delineata dal Consiglio Europeo di

Lisbona nel 2000, mirata a fare dell’Europa una comunit� economica

basata sulla conoscenza ( la pi� competitiva e dinamica del mondo ),

comporta la necessit� di accrescere, all’interno dei singoli sistemi,

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contestualmente la dimensione economica e quella sociale ed ambientale.

Il processo di transizione da un’economia industriale, basata sulla

produzione di beni tangibili, ad un’economia dei servizi � inarrestabile;

tuttavia, a distanza di qualche anno dalla dichiarazione di Lisbona,

emergono alcune difficolt�.

Infatti, il modello dell’economia della conoscenza rappresenta un veicolo

efficace di un progetto di modernizzazione capace di coniugare

innovazione e riforme. La realizzazione di un tale processo comporta

l’esigenza di elevare la qualit� dei saperi e delle competenze dei cittadini e

dei lavoratori europei, riorientando i sistemi formativi nella strategia del

Lifelong Learning. L’apprendimento degli adulti diviene un’esigenza

permanente di adeguamento dei saperi, delle competenze e

dell’autoconsapevolezza sociale. Per il nostro Paese, l’impegno

nell’attuazione di un tale obiettivo comporta la necessit� di ridisegnare i

modelli di riferimento economico, progettando nuove forme di relazioni

sociali, economiche, industriali ( tra imprese e territorio ) e di tipo

istituzionale tra autonomie locali e Stato.

Nell’economia della conoscenza i modelli vincenti sono quelli

collaborativi/cooperativi, centrati sulla persona, sul lavoratore cos� come

anche sull’organizzazione. Venuta meno l’illusione “razionalistica” che ha

caratterizzato i decenni precedenti, in una situazione di “cambiamento

continuo” i modelli vincenti non possono essere che quelli basati sulla

capacit� di attivare un dialogo basato sullo scambio negoziale, fra tutti i

soggetti interagenti nelle organizzazioni. Flessibilit�, mobilit�, rotazione

delle prestazioni e delle mansioni sono infatti elementi fondanti la nuova

economia. Per essere protagonisti, soggetti e non oggetti, la persona deve

consolidare il proprio bagaglio di conoscenze e competenze. Diventa

quindi centrale il ruolo della formazione, intesa come attivit� sociale

essenziale cui partecipano diverse agenzie ed istituzioni in primis le

organizzazioni produttive, ovvero: le imprese. L’urgenza di un costante

aggiornamento delle conoscenze e delle competenze degli occupati �

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motivato dal fatto che i processi di innovazione tecnologica e produttiva

impongono un continuo adeguamento dei saperi diffusi e dell’investimento

in capitale umano.

Se si osservano con obiettivit� gli esiti di molti programmi di

trasformazione organizzativa (es. business process reengineering, lean

organisation, total qualità management, empowerment, ecc.) i risultati

portano a constatare il pi� delle volte che si ottiene uno spostamento dei

problemi da un posto all’altro e di norma la motivazione del personale

risulta essere uno degli ostacoli maggiori al cambiamento.1

La normativa internazionale ISO 9000, in particolare nella nuova edizione

uscita nell’aprile 2001 e le politiche di TQM, pongono come elementi

cardine della qualit� e dell’innovazione nelle organizzazioni la

valorizzazione del patrimonio creativo di ogni individuo, che presuppone

alti livelli di motivazione. Nella realt� per� si propongono strumenti pi� o

meno standardizzati che non collegano il personale alla conoscenza ed

alla dinamica dei processi e non si aiuta quindi la trasformazione dei

comportamenti lavorativi, vera base del cambiamento.

Ad oggi non esistono metodologie di intervento consolidate in tal senso,

mentre l’esigenza delle stesse si fa sempre pi� rilevante, specie nel

quadro delle continue trasformazioni a cui sono soggette le organizzazioni

europee ed i loro contesti di riferimento, che portano l’esigenza di un

continuo ripensamento di modalit� e contenuti negli interventi di

trasformazione e di miglioramento delle competenze e delle capacit�

umane, per facilitare l’adattamento del personale al mutato contesto

organizzativo. Le varie teorie di controllo organizzativo si sono sviluppate

in modo disallineato rispetto alle variabili comportamentali, determinando

applicazioni di approcci al cambiamento schizofreniche rispetto alle

variabili sociali in gioco.2 Ad esempio Deming nel proporre il Total Quality

Management focalizza molte applicazioni del Management by Objectives

___________________________________________________________________

1. Boonstra J. e Bekman A. (2003), Ricerche Universit� di Amsterdam, Facolt� di

Scienze Sociali e Comportamentali

2. Fontana F. (1997); Articolo dalla Rivista Italiana di ragioneria e di economia

aziendale

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fra i “responsabili del declino americano” poich� “mettevano a cottimo i

manager” su obiettivi a breve termine, danneggiando le organizzazioni nel

lungo periodo. Alla base di queste scelte c’era una visuale riduzionistica ed

economicistica della motivazione lavorativa, fatta dipendere

essenzialmente dalla retribuzione, senza tenere in considerazione gli studi

sviluppati da Maslow ed Herzberg.

Lo scrivente, nei suoi otto anni di servizio, � stato spesso colpito

dall’enormit� di risorse che notava esserci nelle organizzazioni, ma quanto

fossero disperse ( o sotto utilizzate ) e quanto questo “spreco”

influenzasse negativamente il clima creando rancore, frustrazione e

distacco nei soggetti che avrebbero voluto esprimersi a livello

professionale. Contestualmente vedeva serpeggiare il malcontento della

direzione per il poco coinvolgimento dei collaboratori verso gli obiettivi

aziendali. Le soluzioni che vedeva proporre dall’alto spesso inasprivano

ancor pi� questa situazione, in quanto a fatica le persone realizzano ci�

che � stato pensato da altri, specie se ci� � avvenuto senza il loro

coinvolgimento. In effetti un sistema sociale v� aiutato ad aiutarsi, non

pu� esserci una risposta da fuori, in grado di considerare la complessit�

della specifica situazione, come sostiene Schein “E’ meglio non imporre le

nostre soluzioni agli altri, ma aiutarli a scoprire di che cosa abbiano

bisogno ed in seguito guidarli nella giusta direzione” 3. Lo scrivente crede

che dare la possibilit� agli individui di diventare degli “artisti sociali”

scoprendo quanto essi creino la propria realt� e come la possano

modificare, sia uno dei presupposti efficaci di un cambiamento duraturo.

Molti studi statistici hanno potuto osservare in molte situazioni quanto un

improprio utilizzo di metodi quantitativi per la valutazione delle

performance e delle variabili dell’organizzazione sia un approccio

fuorviante se non accompagnato da metodi qualitativi adeguati, cosa che

nella mia breve esperienza lavorativa ho raramente riscontrato. Questo ha

fatto sorgere in me l’interesse verso un tipo di rilevazione di dati che

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3. Schein E.H. (2001), “La consulenza di processo. Come costruire le relazioni

d’aiuto e promuovere lo sviluppo organizzativo”, Raffaello Cortina, Milano

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possa coniugare l’aspetto numerico ( oggettivo ), con quello qualitativo

( soggettivo ) e che, soprattutto nel caso del cambiamento organizzativo,

fosse necessario approfondire la strategia alla base della rilevazione,

piuttosto che raccogliere dati e poi vedere cosa essi esprimessero: lo

scrivente crede che il motivo per il quale il dato viene raccolto, ovvero la

domanda alla base della ricerca , deve anche fornire elementi di qualit�

sul risultato che si v� ad ottenere.

Lo scrivente ritiene che le organizzazioni siano sempre pi� dei luoghi

strategici, rispetto al passato, nei quali si sviluppa l’identit� delle persone

e che sia necessario promuovere la consapevolezza dell’importanza sociale

dell’organizzazione, oltre che economica, in chi ne � a capo. Non solo per

garantire un profitto e quindi la retribuzione a chi lavora, ma anche per

garantire un’esperienza sociale interessante ed evolutiva, degna di una

societ� civile avanzata.

A fronte di quanto esposto lo scrivente ha deciso di elaborare il suo

Project Work orientandosi verso la motivazione del personale ritenuta

elemento focale per la riuscita dei cambiamenti organizzativi, necessari

per la sopravvivenza delle Aziende Sanitarie moderne. Ovvero preso atto

che all’interno della Struttura Complessa dell’Azienda in cui opero

l’elemento motivazionale ( correlato al sapere - saper fare - saper essere )

non � sufficientemente curato e/o incentivato formulare un progetto

indirizzato alla crescita dell’intelligenza emotiva utile a creare effetti

positivi in termini di ben essere lavorativo e di miglioramento della

performanza sia nel breve termine che su un lungo periodo di controllo.

Il lavoro � stato organizzato in quattro capitoli, ciascuno dei quali affronta

una tematica ben precisa e definita.

Da cappello introduttivo � stato previsto un discorso preliminare utile

all’ inquadramento dell’argomento nel contesto socio-economico odierno.

Nel primo capitolo si fornisce il significato di competenza e si delinea il

quadro teorico di riferimento, ponendo un’attenzione ed un breve

approfondimento alla teoria dell’ intelligenza emotiva sviluppata da Daniel

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Goleman. Nel secondo viene descritta l’indagine conoscitiva condotta nella

S.C. di Medicina Generale Sez. Uomini c/o l’Azienda USL Valle d’Aosta ed

analizzati i risultati alla luce della teoria sopra approfondita. Nel terzo

capitolo vengono descritte le aree in cui poter applicare degli interventi

atti a migliorare la motivazione al lavoro. Tale capitolo risulta

fondamentale in quanto il progetto ideato attinge le proprie basi

applicative proprie dalle citate aree.

Nell’ ultimo viene descritto il progetto che si intende proporre a fronte dei

dati emersi dall’indagine ed il modello concettuale di riferimento adottato

per la stesura del medesimo. Infine la conclusione in cui lo scrivente

chiude il proprio lavoro evidenziando le potenzialit� del progetto ed

discutendo dei punti deboli del medesimo.

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CAPITOLO 1

LA COMPETENZA

1.1 Il significato

Dal latino cum-petere che significa “ chiedere insieme”, “pretendere”

giungiamo all’accezione italiana di “competenza”, ovvero il far fronte ad

una situazione sfidante.

Come gi� sottolineato da M. Pellerey, riferendosi al mondo del lavoro, le

accezioni pi� comuni di tale termine fanno per� riferimento alla sola

natura giuridica e professionale.

Volendo dare una pi� ampia definizione del termine possiamo definirla

come la combinazione di conoscenze ( sapere ), di capacit� ( saper fare )

e di comportamenti ( saper essere ) in situazioni che nel loro insieme

definiscono e tipizzano i contenuti di una professione.4

Alla luce di tale definizione pragmatica possiamo considerare la

competenza come il patrimonio di risorse possedute da un individuo, che

affronta una situazione lavorativa e/o di sviluppo professionale.

E’ un melange di elementi di diversa natura, ovvero alcuni di natura

prettamente lavorativa altri pi� legati alla persona. I primi sono

individuabili attraverso l’analisi dei compiti e delle attivit� , mentre i

secondi sono evidenziabili solo quando un soggetto si attiva

operativamente.

Nelle organizzazioni si tende ad individuare una posizione intersoggettiva

tra le competenza al lavoro legate alla soggettivit� e le competenze sul

lavoro definibili come esigenze esterne del soggetto.

Tale premessa comporta la necessit� di individuare un modello delle

competenze per ogni ruolo, utile alla gestione delle risorse umane ivi

comprendendo la loro formazione e valutazione.

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4. Di Francesco G. (1994),p. 10, Introduzione, in Id. (a cura di), Competenze

trasversali e comportamento organizzativo, ISFOL, Franco Angeli, Milano

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1.2 Il contesto teorico

Premesso che ricostruire la storia della nozione di competenza � cosa

fattibile solo per sommi capi, � possibile far iniziare i primi confronti in

materia ai principi degli anni settanta, periodo in cui negli Stati Uniti il

concetto di lavoro subiva dei forti cambiamenti, grazie al contributo degli

studi di psicologia sociale e dell’organizzazione.

In principio le applicazioni del concetto di competenza e dei correlati

modelli trovavano nel carattere funzionalistico l’elemento che li

accomunava. Solo dopo l’influenza degli studi sulla formazione

manageriale nell’ambito della scuola delle “Relazioni Umane”, post

seconda guerra mondiale, vediamo crearsi un punto di rottura con il

passato, ovvero il superamento della dicotomia tra il conoscere ed il fare.

Nel 1974 D.C. McClelland introduce il termine competenza inteso come

strumento predittore di prestazioni e di comportamenti, alternativo ai test

di intelligenza utilizzati nelle scuole americane.

Secondo A.M. Ajello � da quel momento che il concetto di competenza ha

iniziato a svilupparsi su tre direzioni.

La prima, utilizzando modelli individuali delle competenze, utili ad isolare

gli elementi costituenti i predittori di successo dalle core competencies

( gestione dei rapporti interpersonali, esercizio del potere,

autorealizzazione attraverso il lavoro ) si � orientata a creare applicazioni

pratiche nel campo della selezione e dello sviluppo delle risorse umane,

orientati soprattutto al risultato della competenza.

La seconda, considerando l’aspetto individuale ma in quadro pi�

complesso, utilizzando il modello delle competenze distintive ha

focalizzato la propria attenzione sulla competenza come uno strumento

utile ad accrescere la competitivit� aziendale.5

La terza, riconoscendo la natura complessa della competenza ed il suo

aspetto sociale, si � orientata verso modelli interpretativi e

fenomenologici.

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5. Prahalad C.K., Hamel G. (1990), La competenza distintiva nelle aziende, trad. it,

Harvard Espansione, 49

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Ne emerge che la performance dipende dall’esperienza e la competenza �

un “sapere in uso”, che si struttura in funzione di un obiettivo specifico da

raggiungere, in una determinata situazione. 6

Da tale assunto ne consegue che la sfera degli “attori” della competenza si

amplia coinvolgendo i livelli pi� bassi del management aziendale.

Volendo riassumere l’orientamento degli approcci fenomenologici si pu�

affermare che essi hanno posto l’accento sulla “competenza esperta”. Tale

elemento non si acquisisce solo con le conoscenze, ma anche attraverso la

loro rielaborazione all’interno si uno specifico quadro d’azione ed una rete

di attori.

Un orientamento di competenza cos� concepito risulta essere in crisi l�

dove abbiamo organizzazioni o situazioni lavorative nelle quali la

suddivisione dei ruoli e/o compiti risulta aperta. Ovvero nel cotesto attuale

in cui si richiede al dipendente di assumere decisioni in autonomia e

responsabilit�, di saper decidere nelle specifiche situazioni vediamo

entrare in crisi il modello tradizionale del valutare la performance e la

valutazione della padronanza nelle situazioni professionali. 7

Nasce cos� la necessit� di un nuovo concetto di competenza che sappia

coniugare il “saper agire” , inteso come combinazione efficace di molteplici

“saper fare” unitamente al “voler agire”. Emerge e si afferma il concetto

di “navigazione professionale”, elemento che oggi genera nuovi

interrogativi in termini di formazione e valorizzazione della persona che

deve risultare al centro del processo stesso.

Ed � sulla linea direttrice di questo mutamento di pensiero che dalla met�

degli anni ottanta che l’Italia ha iniziato a ripensare al concetto di

competenza professionale. Vediamo venir meno il paradigma secondo cui

la competenza � un’acquisizione lineare di saperi e il nascere di un

dibattito, tutt’ora in corso, sui nuovi profili di competenza dell’uomo del

___________________________________________________________________

6. Le Boterf G. (2000), De la comp�tence. Essai sur un attracteur �trange, Les

�ditions d’organisation, Paris ; Leplat J. (1990), Skills and tacit skills: a psycological

perspective, - Apllied Psycology: An International Rewiew -,39

7. March G. (1998), Prendere decisioni, trad.it, Il Mulino, Bologna

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terzo millennio, che vede come parola chiave il “cambiamento”.

Al professionista si chiedono specifiche performance ed un’alta formazione

in un contesto socio culturale di rinnovo continuo e di riorganizzazione dei

sistemi di produzione.

Tuttavia a partire dagli anni novanta la competenza non tiene solo conto

degli aspetti professionali legati alla performanza, ma anche delle

peculiarit� della dimensione sociale dell’attivit� lavorativa e della

dimensione interna soggettiva della persona in quanto tale.

Sul piano teorico vediamo aggiungersi alle preesistenti dimensione

oggettiva e soggettiva una terza componente, definita dimensione

intersoggettiva della competenza ( dipendente dal sistema di attese e dai

criteri di giudizio del sistema sociale), che completa la visione del concetto

a trecentosessanta gradi. Si crea cos� nel mondo degli studiosi una virata

verso l’analisi delle competenze trasversali ( aspecifiche ) e delle

competenze strategiche ( apprendere ad apprendere ), integrando queste

con le tradizionali ( sapere, saper fare , saper essere ) nasce una nuova

prospettiva che � quella dell’apprendimento permanente, dove l’enfasi

viene posta sullo sviluppo delle qualit� personali e non pi� soltanto delle

conoscenze/abilit� dichiarative e procedurali.

Dall’attenzione al lavoro si passa all’attenzione verso il soggetto al lavoro.

Nasce la necessit� di individuare compiti ed attivit� trasversali, ovvero

favorire lo sviluppo di competenze trasferibili e spendibili tra un contesto

e l’altro. Riconoscere che il contenuto delle competenze traversali riguarda

prevalentemente la persona e ci� che realmente fa e in che modo.

Tale visione della competenza va ricercando le caratteristiche individuali

utili all’individuo per affrontare un mercato del lavoro sempre pi� incerto

ed imprevedibile. Non si cerca solo nell’ambito delle conoscenze, ma

anche le dimensioni di ‹‹appropriatezza, armonia, corrispondenza con cui

il soggetto si mette in relazione con le richieste del contesto lavorativo››.8

E’ evidente come nel tempo lo scenario di teorie sulla competenza si �

___________________________________________________________________

8. Di Francesco G. (1994),p. 10, Introduzione, in Id. (a cura di), Competenze

trasversali e comportamento organizzativo, ISFOL, Franco Angeli, Milano

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modificato. Oggi non abbiamo pi� un concetto riferito solo al modello

organizzativo, ma anche alle interazioni sociali.

La competenza diventa elemento che contraddistingue l’intera vita di un

individuo anzich� “la vita di lavoro” che ne rappresenta un solo segmento

se pur importante. Si enfatizza l’aspetto personale e fa s� che la

competenza si sviluppi sull’apprendimento dall’esperienza. Nasce cos� il

paradigma dell’apprendere ad apprendere, ovvero una risposta capace di

sostenere la complessit� che caratterizza il nuovo legame tra

apprendimento lifelong, competenza e formazione.9

Apprendere ad apprendere sottende un concetto complesso che non

riguarda solo il mondo delle conoscenze come sapere codificato, ma tutto

ci� che la mente pu� costruire, sviluppare e rielaborare, ovvero coinvolge

ogni sfera dell’essere umano (cognitiva, emotivo affettiva, personale,

interpersonale, sociale, ecc..) . Ed � su questa corrente di pensiero che si

sviluppano nuovi modelli e nuove teorie.

1.3 L’intelligenza emotiva ( IE )

Quando gli psicologi hanno cominciato a scrivere e pensare all’intelligenza,

inizialmente si sono concentrati sulle funzioni cognitive, quali la memoria e

la risoluzione dei problemi. Tuttavia, alcuni ricercatori hanno riconosciuto

l’importanza delle funzioni non cognitive nella fase iniziale. Robert

Thorndike scriveva sull’intelligenza sociale gi� nel 1937. David Wechsler

ha definito l’intelligenza come l’aggregato o la capacit� globale

dell’individuo di agire di proposito, di pensare razionalmente e di occuparsi

efficacemente nel suo ambiente. Gi� nel 1940 si riferiva sia a elementi non

intellettivi che intellettivi, tra cui i fattori affettivi, personali e sociali.

Howard Gardner ha cominciato a scrivere nel 1983 sull’intelligenza

multipla. Egli sosteneva che l’intelligenza intrapersonale ed interpersonale

ed il tipo di intelligenza fossero ugualmente importanti. Quando Salovey e

Mayer hanno coniato il termine intelligenza emotiva, siamo nel 1990.

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9. Bochicchio F. (2007), Lineamenti di Organizzazione e gestione delle risorse

umane, MoviMedia, Lecce

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Hanno descritto l’IE come una forma di intelligenza sociale che coinvolge

la capacit� di controllare le sensazioni e le emozioni proprie e quelle degli

altri, per discernere fra esse e usare queste informazioni per guidare i

propri pensieri e azioni. Importante il lavoro di ricerca progettato per

sviluppare valide misure sull’utilizzo dell’intelligenza emotiva, che poi

viene inizialmente ripreso da D. Goleman.

Tra le nuove teorie affrontate fin qui, ha affascinato ed incuriosito lo

scrivente � proprio quella elaborata da D. Goleman che vede come

fondamento lo sviluppo e il potenziamento dell’intelligenza emotiva. Con

questo termine l’autore intende la capacit� di riconoscere i propri

sentimenti e quelli degli altri, di motivare s� stessi e di gestire

positivamente le emozioni, tanto interiormente quanto nelle relazioni

sociali. 10 Il principio dell’intelligenza emotiva si basa su un modello di

competenza caratterizzato da due dimensioni alle quali corrispondono

altrettante abilit�: la competenza personale e quella sociale.

La prima riguarda le modalit� con le quali � possibile controllare se stessi,

che ci porta a dar un nome ed un senso alle nostre emozioni negative,

aiutandoci a comprendere le circostanze e le cause che le scatenano. Pi�

in generale essa permette un’ autovalutazione obiettiva delle proprie

capacit� e dei propri limiti, cos� da riuscire a proporsi mete realistiche,

scegliendo poi le risorse personali pi� adeguate per raggiungerle. Anche

l’autocontrollo fa parte delle competenze personali. Esso implica la

capacit� di dominare le proprie emozioni senza negarle o soffocarle,

esprimendole in forma socialmente accettabile. L’incapacit� di gestire le

proprie emozioni, pu� portare ad agire in maniera inopportuna e magari a

forme di esagerata aggressivit� nei confronti degli altri, offrendo di s�

un’immagine ben poco lusinghiera. Chi � padrone di s�, riesce di solito a

comportarsi in maniera appropriata alla situazione, tenendo conto delle

regole del vivere sociale, riconoscendo le proprie responsabilit� ed i propri

errori, rispettando gli impegni presi e portando a compimento i compiti

___________________________________________________________________

10. Caruso E. (2004), Gestire e motivare le persone, Tecniche Nuove, Milano

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assegnati. Tra le competenze personali pu� essere inoltre collocata la

capacit� di alimentare la propria motivazione, mantenendola anche in

fronte alle difficolt� o quando le cose non vano come avevamo previsto o

speravamo. La capacit� di motivarsi � formata da una giusta dose di

ottimismo e dallo spirito di iniziativa, attitudini che spingono a perseguire

i propri obiettivi, reagendo attivamente agli insuccessi e alle frustrazioni.

La seconda tipologia di competenza riguarda le modalit� di gestione delle

relazioni con gli altri. Ovvero � costituita da quel insieme di caratteristiche

che ci permettono di relazionarci positivamente con gli altri e di interagire

in modo costruttivo con essi. Una delle componenti pi� importanti di

questo aspetto dell’intelligenza � costituita dall’empatia, ossia dalla

capacit� di riconoscere le emozioni ed i sentimenti negli altri, ponendoci

idealmente nei loro panni e riuscendo a comprendere i rispettivi punti di

vista, gli interessi e le difficolt� interiori. Essere empatici significa

percepire il mondo interiore dell’altro come fosse nostro, mantenendo

tuttavia la consapevolezza della sua alterit� rispetto ai nostri punti di

vista. La comunicazione, altra attitudine sociale � invece la capacit� di

parlare agli altri facendo coincidere il contenuto esplicito dei messaggi

( trasmesso dalle parole ) con le proprie convinzioni ed emozioni

( involontariamente rivelate attraverso il linguaggio del corpo ).

Comunicare in maniera efficace � anche saper ascoltare e far domande,

mantenendo una reale attenzione alle risposte emotive dei nostri

interlocutori.

In sintesi questo tipo di approccio offerto da D. Goleman nel 1995 si

propone di sviluppare abilit� complementari e al tempo stesso diverse

dall’intelligenza misurata dai test sui quozienti intellettivi in voga negli

Stati Uniti. Individua nel leader una funzione emotiva fondamentale da

espletare nei confronti del gruppo. Secondo l’autore egli deve essere

capace di orientare le emozioni collettive in senso positivo e disperdere

l’azione venefica esercitata da emozioni tossiche. Il leader non pu� solo

occuparsi di garantire ottimi risultati professionali, ma deve essere pronto

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a fornire quel contatto che la gente cerca in funzione di un supporto

emotivo in un’accezione di empatia. Secondo D. Goleman la chiave che

consente alla leadership di operare a vantaggio di tutti risiede

naturalmente nelle competenze riconducibili all’intelligenza emotiva,

ovvero nel mondo in cui il leader gestisce e controlla se stesso e le proprie

relazioni interpersonali. In altre parole fulcro di tale teoria risulta lo stato

emotivo del leader e le sue azioni che agiscono sull’umore dei

collaboratori, influenzandone cos� le prestazioni. Secondo l’autore l’abilit�

di un leader nel gestire il proprio stato d’animo e quello altrui non � pi�

quindi una questione privata ma diventa un fattore essenziale per il

successo di un’azienda, che deve far s� che i propri collaboratori allenino

costantemente la propria intelligenza emotiva sviluppando cos� la capacit�

di saper cogliere i sentimenti e le emozioni nostre ed altrui, indirizzandoli

in senso costruttivo.

L’IE � valutabile sostanzialmente con tre strumenti:

EQ-I ( Bar-On, 1997) che � uno strumento di auto-rapporto per valutare

quelle qualit� personali che hanno permesso ad alcune persone di

possedere un migliore benessere emotivo degli altri

Scala a Fattori Multipli dell’IE ( Mayer, Caruso, & Salovey, 1998) che

consiste in una prova di abilit� dove colui che fa il test opera una serie di

mansioni destinate a valutare le capacit� della persona di percepire,

identificare, capire e lavorare con l’emozione.

L’inventario della Competenza Emotiva ( ECI ) predisposto da Goleman,

che risulta uno strumento a 360 gradi, dove il testatore valuta gli individui

all’interno di un organizzazione ( rapporti di feedback individuali ), o

l’organizzazione nel suo insieme ( verifica della forza lavoro ). Entrambe le

verifiche possono fornire un profilo organizzativo per gruppi di qualsiasi

ampiezza all’interno di un’azienda. L’ECI funziona con le 19/21

competenze delineate nei quattro domini dell’IE.

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CAPITOLO 2

L’ INDAGINE CONOSCITIVA

In tale capitolo sar� presentata l’indagine conoscitiva che lo scrivente ha

condotto nella struttura complessa di Medicina Sezione Uomini.

Lo sviluppo del tema vede come “schema matrice” quello proposto dal

testo di Lobiondo G. Haber J. : “Metodologia della ricerca

infermieristica”.11 Tale percorso comprende: l’argomento della ricerca, il

contesto, lo scopo della ricerca, il problema, l’ipotesi di ricerca e la

metodologia. L’argomento affrontato riguarda l’analisi dello stato

motivazionale dell’�quipe in questione e l’emersione di eventuali criticit�

emozionali che di norma non vengono espresse. Cercare di far riflettere le

persone su tematiche di norma poco considerate o sottostimate rispetto

all’importanza che rivestono verso l’essere motivati al lavoro. Ottenere un

quadro preliminare dello status quo della struttura in cui lo scrivente

opera. Pertanto l’obiettivo primario dell’indagine era creare un piccolo

momento di frontiera in cui tutti gli operatori si fermassero a riflettere su

una traccia base su cui ogni individuo costruiva il proprio pensiero in

merito alla motivazione. Per contro le domande usate come traccia

stimolante � stata realizzata al fine di andare a verificare se il personale

intende investire sulla crescita motivazionale e soprattutto se il modello

dell’IE di D. Goleman � applicabile in tale contesto lavorativo.

2.1 La struttura complessa Medicina Sezione Uomini

La Struttura Complessa di Medicina Generale svolge la propria attivit�

ospedaliera di diagnosi e cura strutturalmente articolata in una Sezione

Uomini ( dotata di 17 posti letto) e in una Sezione Donne ( dotata di 20

posti letto). Fa parte del Dipartimento Gestionale delle Specialit� Mediche

a Larga Diffusione, istituito con la Delibera del Direttore Generale n� 1438

___________________________________________________________________

11. Lobiondo, G.Haber J (1997), metodologia della ricerca infermieristica, Ed.

McGraw-Hill, Milano

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del 05/07/04. Il ruolo della Struttura Complessa di Medicina Generale ha

assunto da qualche tempo un significato nuovo dovuto anche al

cambiamento del quadro epidemiologico profondamente mutato negli

ultimi anni per l’aumento dell’et� media dei ricoverati, l’elevata

percentuale di soggetti con polipatologia, la necessit� di massima

specificit� ed appropriatezza di ricovero nei settori specialistici, la

necessit� di contenimento dei tempi di degenza e la riduzione del numero

di posti letto. Nell’ultimo triennio si � costituita nella S.C. di Medicina

anche la S.S. di Endocrinologia che per quanto riguarda la degenza clinica

attinge dalla pianta organica dalla S.C. Ad oggi l’�quipe socio-

assistenziale � formata da un coordinatore infermieristico, undici

operatori sociosanitari (OSS) e tredici infermieri.

2.2 La fase antecedente all’inizio dell’indagine

Al fine di poter realizzare l’indagine lo scrivente ha costantemente

interagito con il gruppo di lavoro della Medicina, fornendo dati e notizie

sullo stato avanzamento lavori rispetto ai suoi studi universitari c/o

UNITELMA. Tale approccio ha permesso che i colleghi, se pur con i limiti

del caso, partecipassero indirettamente all’evoluzione culturale che lo

studente/collega stava vivendo in prima persona. Questo aspetto ha

consentito allo scrivente di creare un rapporto di scambio di idee e di

confronto che hanno alimentato la nascita dell’ipotesi della ricerca sfociata

poi nella definizione del progetto.

2.3 Il campione, l’ipotesi e gli strumenti di ricerca

Essendo costituita da numeri sostanzialmente piccoli, lo scrivente ha

deciso di estendere l’indagine a tutti i componenti dell’�quipe assistenziale

della Medicina Uomini, comprendendo anche il proprio coordinatore.

Tale scelta , se pur pi� dispendiosa dal punto di vista di risorse impiegate,

ha permesso di ottenere una serie di dati pi� ricchi e dettagliati che sono

tornati utili in sede di analisi e confronto, preso atto dell’elevata

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eterogeneit� dei soggetti che compongono il suddetto gruppo di lavoro.

Ipotizzato che il personale esprimesse la necessit� di lavorare sull’IE si �

provveduto a realizzare il questionario utile alla conduzione delle

ventiquattro interviste seguendo la matrice proposta da Goleman, ma

integrato ed adattato alle specificit� del gruppo evidenziate dallo

scrivente.

Realizzato in formato A4, � costituito da cinquantotto items. Quattro

orientati ad aspetti classici della ricerca sociale ( et�, anni di servizio,

contratto di lavoro, cittadinanza ) e i restanti mirati a stimolare la

riflessione su quattro aree principali: l’organizzazione, le relazioni umane ,

la comunicazione, il lavorare insieme. L’intervistato dopo aver espresso il

proprio pensiero in merito all’affermazione fatta o alla domanda posta

dall’intervistatore doveva indicare se : “era sostanzialmente d’accordo (A),

parzialmente d’accordo (B), sostanzialmente in disaccordo (C)”. In corso

d’opera � emersa la necessit� di prevedere anche la possibilit� del “non so

rispondere (N)”.

Il tempo per ogni intervista era mediamente compreso tra quindici e

trenta minuti. L’intervistato veniva accompagnato in una stanza separata

dal reparto dove poteva concentrarsi sugli items proposti e formulare i

propri pensieri in merito alle questioni poste. L’intervistatore all’inizio di

ogni intervista spiegava il contesto dell’indagine, le finalit�, il tempo

necessario e sottolineava molto l’aspetto dell’anonimato dei dati forniti.

Per intervistare tutti e ventiquattro i colleghi � stato necessario che alcuni

di loro ( soprattutto i precari ) dessero la loro disponibilit� a fermarsi a

fine del loro turno di lavoro in forma completamente gratuita.

Dopo un mese di interviste ( ottobre ) lo scrivente ha finito di catalogare il

materiale raccolto ed inseriti i dati su tabella Exel, ha iniziato ad analizzarli

confrontando i dati a risposta chiusa con le espressioni “a ruota libera” e le

indicazioni fornite dal Modello dell’IE.

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2.4 Risultati dell’indagine

Le interviste condotte, pur con i limiti legati alla scarsa esperienza dello

scrivente in ambito di ricerca sociale, ha permesso di raccogliere

significativi dati che correlati tra loro forniscono un quadro discretamente

reale dello stato emotivo dell’�quipe della Medicina Uomini.

Condurre le interviste non � stato semplice per l’emersione di numerosi

spunti di riflessione da condividere e gestire nel tempo pattuito, ma con la

traccia di un questionario a cui fornire precise risposte si � riusciti a

raccogliere comunque dati interessanti.

Ne risulta che il gruppo in questione � molto giovane in quanto costituito

dal 62,5% da persone con et� compresa tra venticinque e trentacinque

anni. Anche l’aspetto professionale fa emergere che solo il 50% degli

operatori ha un’esperienza lavorativa compresa tra i sei ed i dieci anni.

Un gruppo eterogeneo che contempla diverse nazionalit� ( brasiliane,

peruviane, rumene, ecc…) costituendo un’�quipe che conta il 66,67% di

personale con nazionalit� genericamente americana.

Nell’ambito organizzativo spicca il fatto che la maggioranza del gruppo

considera i cambiamenti una necessit� Aziendale, ma non un elemento

punitivo. Pi� soggetti sottolineano che l’insofferenza ai cambiamenti non �

legato tanto al cambiamento stesso, ma alle modalit� di valutazione e

gestione delle risorse umane che risultano parte integrante del processo

stesso. Il 70,83% degli intervistati � convinto che la motivazione al lavoro

possa tranquillamente sposarsi con l’efficienza richiesta dall’Azienda in cui

operano, fermo restando che un buon dipendente � colui che effettua il

proprio lavoro nella media, ma con precisione.

Viene sottolineata l’importanza fondamentale della presenza di un capo

( 100%) , ma di tipo risonante. Un manager con cui potersi confrontare

professionalmente, anche discutendo animatamente, ma senza che

vengano messe reciprocamente in discussione l’essenza delle persone.

Un capo che sappia valutare con equit� il lavoro dei collaboratori

prevedendo un sistema premiante per i soggetti che dimostrano di fare di

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pi� e meglio ( 66,67% ). Sapendo cogliere quei momenti in cui i

collaboratori fanno bene il loro lavoro ( 79,17% ); un dirigente che sappia,

al bisogno, sacrificare il singolo per il bene del gruppo ( 62,5%). Un capo

che sia cosciente che un buon collaboratore non � colui che obbedisce

sempre senza replicare ( 62,5% ), anche se in un organizzazione deve

vigere ed essere rispettata la disciplina ( 100% ). Per ottenere di pi� dalle

persone devono coesistere la capacit� di dare direttive chiare sia la

capacit� di favorire il buon senso. E’ necessario che i collaboratori

capiscano il “perch�” devono fare qualcosa ( 95,83% ), ancor prima che

venga loro richiesto di farla. In questo gruppo quasi nessuno si sente

comandato a bacchetta tranne un 8,33% che talvolta si sente un po’ nello

status di suddito.

Il 79,17% degli intervistati � fiducioso verso lo sviluppo del proprio futuro

professionale confrontato con il passato, ma contestualmente segnala la

presenza di problemi che influenzano la motivazione al lavoro ( 75%).

Sensibile il numero di soggetti che in questo momento pensano di andare

via dalla Medicina Uomini o talvolta ci pensano per un momento

( 58,33% ). Per contro � doveroso segnalare che quasi la totalit� del

gruppo ha voglia di mettersi in gioco e “costruire” insieme la “casa” ,

posandone, pian piano, un mattone alla volta.

Dal punto di vista relazionale il gruppo risulta in crescita, anche se ancora

manifesta una forma immatura e grossolana di comunicazione

organizzativa su cui vorrebbe lavorare e migliorarsi.

Nello specifico emerge che il 62,5% dei partecipanti all’intervista non �

sempre seccato a rinunciare alle proprie esigenze quando le necessit� del

collega sono reali e manifeste a tutti. Esiste un mutuo confronto orientato

all’equit� e alla trasparenza. Purtroppo il 37,5% degli operatori sostiene

che il proprio operato viene giudicato non in maniera oggettiva ed un

29,17% lo pensa di tanto in tanto.

Degno di nota � l’aspetto per cui la maggioranza dei colleghi pone

attenzione a riconoscere agli altri ci� che fanno di buono anche quando

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hanno commesso un errore ( 83,33%) e ritiene che nel processo di

crescita dell’altro sia importante tralasciare la nota dei lati negativi.

Aspetto curioso � il fatto che il 20,83% del gruppo non sa come gli altri lo

considerino, ovvero non hanno saputo esprimersi su ci� che gli altri

pensano realmente di loro stessi. Altri facendo uno sforzo di

immaginazione sono riusciti a dare una risposta, ma con un pizzico di

amaro in bocca per non averci mai pensato prima. Analogamente a questo

la quasi totalit� del gruppo ( 91,67%) ritiene di conoscersi molto poco e

manifesta la volont� di lavorare su questo fronte. La maggioranza ritiene

di essere preso nella giusta considerazione, ma un 20,83% manifesta

l’esatto contrario, che se associato al dato incerto ( “del talvolta s� “)

arriviamo ad un 45% di operatori che non si sentono presi adeguatamente

in carico dall’organizzazione; per contro il 58,33% degli intervistati

concorda sul principio che la globalizzazione dei mercati ha creato delle

possibilit� di successo pi� alte rispetto al passato, ma che ancora non se

ne vedono completamente i frutti. Di norma il gruppo � orientato a non

lamentarsi degli errori degli altri, ma fatica a vedere le cose da un punto

di vista che sia diverso dal proprio. Alta � la difficolt� di non interrompere

l’altro mentre parla, anche se quasi tutti si ripropongono di porci maggiore

attenzione. Oltre il 50% del gruppo pensa che i colleghi tendono a

sottovalutare i problemi o li prendono sotto gamba e contestualmente

emerge che met� degli operatori si sentono i soli a prendersi carico delle

responsabilit� delle cose. Il gruppo della Medicina Uomini non � un

pensatore al passato, solo il 50% ci pensa e ricorda talvolta colleghi, ma

con prevalenza maggiore orienta pensieri ai propri familiari, pensieri che

fanno stare bene. Nelle varie interviste si evidenzia una difficolt� ad

associare un aspetto della vita ( il pensare…il pensare ai familiari) alla vita

lavorativa. Si sente proprio l’abitudine di scindere il lavoro dalla vita.

Uno degli elementi forti del gruppo analizzato � la capacit� di ridere e far

ridere gli altri. Ben l’ 87,5% sorride quotidianamente sul lavoro e la met�

cerca ( e sovente ci riesce ) di trasmettere questo bellissimo messaggio

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agli altri. Molte volte i soggetti non riescono a capire cosa l’altro abbia

capito e soprattutto perch� reagisce in una certa maniera. Sommando le

riposte affermative a quelle “in parte” ne emerge una situazione in cui

met� del gruppo talvolta non riesce a capirsi fino in fondo generando poi

incomprensioni, dubbi, mezze parole che minano la serenit� dei rapporti.

Per questa �quipe sono fondamentali la cura dei dettagli sia nel lavoro in

senso lato che come lavoro in senso relazionale. Manifesta un’alta

obiettivit� verso la difesa dei colleghi, ovvero non difende a prescindere in

quanto collega, ma solo se risulta vittima di un torto.

Un gruppo che manifesta il tono polemico solo se sotto stress e che

ritiene la vena polemica un aspetto doveroso in talune situazioni. Riesce a

perdonare un errore o passare su una scortesia se questa non � frutto di

premeditazione, tendenzialmente si dimentica in fretta dei torti subiti.

Dai dati emersi sembrerebbe una struttura in cui l’aspetto “invidia” sia

molto basso, se non quasi inesistente. Per contro � un gruppo che se la

prende quando viene contrariato. La creativit� sembra una potenzialit�

nascosta che stenta ad emergere e talvolta quando lo fa viene ingabbiata

ed etichettata come inopportuna. Ci si lamenta tendenzialmente poco dei

problemi personali e non ci si aspetta dagli altri che si venga presi in

carico come persone. Molti hanno affermato :” io vengo lavoro faccio il

mio…poi a casa � un’altra cosa”. Risulta faticoso prendere una decisione in

contro tendenza, ma ancor di pi� � demotivante che gli altri non notino il

contributo il successo, il risultato del singolo individuo.

In sintesi si pu� affermare che molti aspetti emersi dalle interviste

sposano molto bene con il concetti di IE, che manifesta la voglia di fiorire

ed esprimersi in pi� situazioni. Purtroppo allo stato attuale non � in grado

di farlo da sola o tramite l’autogestione del gruppo. Un’�quipe eterogenea

e quasi completamente nuova, un gruppo di lavoro in via di formazione

che esprime il bisogno della sapiente guida del proprio capo a cui si chiede

di impostare una leadership risonante.

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CAPITOLO 3

BUONE PRATICHE MOTIVAZIONALI

A fronte degli elementi emersi dalle interviste condotte nella S.C. in cui lo

scrivente lavora, preso atto delle risposte prevalenti per singola domanda,

si pu� asserire che quanto emerso dal personale della suddetta struttura �

in linea con gli assunti della teoria dell’intelligenza emotiva elaborata da D.

Goleman. Ovvero l’intero gruppo sottolinea la necessit� imperativa di

avere: 1. un leader risonante, 2. delle motivazioni al cambiamento,

3. un’adeguata gestione della realt� emozionale del gruppo, 4. la

creazione di una visione ideale. Pertanto il progetto si snoder�

sull’affrontare queste quattro necessit� salienti del gruppo in questione

cercando di fornire degli interventi pratici da porre in essere a breve e

lunga scadenza in virt� di un miglioramento di performance e di ben

essere lavorativo.

Si cercher� di evidenziare il valore delle “buone pratiche” gestionali

raggruppate per area, utili per poi creare l’ hard core del PW, ovvero

fornire un’ipotesi di realizzazione di un progetto che sfoci nella stesura

finale di una carta delle buone pratiche motivazionali della S.C. Medicina

Generale Sezione Uomini.

3.1 Interventi sugli obiettivi organizzativi

Un’attenta definizione degli obiettivi del lavoro degli individui permette

una loro adeguata motivazione. Per fare ci� bisogna riuscire a declinare gli

obiettivi generali dell’organizzazione in obiettivi specifici attribuiti alle

differenti unit� di lavoro. Si tratta di attivare un processo a cascata di

progressiva ridefinizione degli obiettivi da un livello macro ad un livello

micro in modo che ciascun attore organizzativo possa riconoscere

chiaramente quali sono i traguardi che � chiamato a raggiungere. Secondo

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la politica del Management by Objectives (MBO) per riuscire a specificare

gli obiettivi necessitano quattro principali passaggi:

1. L’individuazione condivisa. Gli obiettivi non vengono definiti

unilateralmente dai capi, seguendo una traiettoria di tipo top-down lungo

la gerarchia organizzativa, ma la loro individuazione � esito di un

confronto al quale concorrono sia i capi che i collaboratori. In altre parole

devono essere concordati nei loro aspetti sia qualitativi ( il contenuto

dell’obiettivo ) che quantitativi ( il livello di risultato atteso ). Allo stesso

modo va trovato un accordo relativo alle modalit� di misurazione che

verranno utilizzate in itinere ed al termine del processo per verificarne il

raggiungimento.

2. La specificazione in termini misurabili. Gli obiettivi assegnati ai

differenti attori organizzativi consistono in una sintetica illustrazione del

risultato atteso, ma non � corretto utilizzare termini generici quali ad

esempio “miglioramento del servizio”, “incremento della qualit�”, “taglio

dei costi” o “crescita delle vendite”. Si deve invece precisare un risultato

misurabile.

3. L’assegnazione di un traguardo temporale. Ciascun obiettivo ha uno

specifico periodo di tempo entro il quale deve essere raggiunto. Tre mesi,

sei mesi o un anno rappresentano traguardi temporali di breve termine,

mentre due o tre anni costituiscono traguardi a lungo termine.

4. Il monitoraggio e feedback. Il monitoraggio in itinere consente di

verificare a intervalli regolari ( ogni due settimane, ogni mese, ogni due

mesi) il grado di raggiungimento degli obiettivi concordati. Ci� costituisce

un importante feedback per gli individui che possono modificare le

modalit� di lavoro che hanno adottato fino a quel momento confermando i

punti forti e correggendo i punti deboli. Il valore del feedback � pi�

elevato quando il monitoraggio non avviene solo con reportistica scritta,

ma anche con colloqui con il proprio capo.

E’ importante evidenziare che esistono due principali classi di obiettivi:

quelli di contributo e quelli di competenza. I primi hanno a che fare con le

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prestazioni del collaboratore sia in termini di risultato che di procedura in

corso d’opera. I secondi riguardano invece l’acquisizione di conoscenze e

capacit� importanti per raggiungere gli obiettivi di contributo. Tali

competenze sono rintracciabili nel “modello delle competenze” definito

dall’organizzazione ( es: attenzione al cliente, lavoro di squadra,

innovazione, ecc… ), ma � doveroso segnalare che non tutte le

competenze hanno la stessa importanza per tutti gli individui. Pertanto

non bisogna commettere l’errore di fissare obiettivi di crescita relativi a

tutte le competenze, bens� solo per quelle realmente significative per un

certo individuo in un certo momento , in funzione della posizione

ricoperta. Gli obiettivi ben definiti devono essere raggiungibili, misurabili,

rilevanti, controllabili ed avere una precisa scadenza. Per far generare un

patto positivo tra il capo ed i collaboratori, dove il primo si impegna a

valorizzare il collaboratore promuovendone il ruolo ed il secondo curando i

risultati attesi, bisogna che venga creata una frontiera in cui si possa

partecipare alla creazione degli obiettivi. Quando gli obiettivi vengono

negoziati, da un lato � pi� probabile che il loro monitoraggio sia pi�

sistematico ed approfondito, dall’altra il collaboratore offre una maggiore

disponibilit� a farsi carico di obiettivi pi� sfidanti in quanto sente di poter

contare sull’appoggio del proprio capo negli eventuali momenti di

difficolt�.

3.2 Interventi sull’organizzazione delle attivit�

In tale contesto trovano spazio strategie che cercano di contrastare i

fenomeni di routinizzazione ( fonte di noia, appagamento, apatia e

alienazione ) facilitando la conoscenza dell’intero processo produttivo ( o

di parti rilevanti di esso ), lo sviluppo delle competenze, gli scambi sociali

e non per ultima la possibilit� di autorealizzarsi effettivamente nel

rapporto con il proprio lavoro. Facendo riferimento al modello delle

caratteristiche della mansione proposto da Hackman e Oldham ( 1980 ) il

manager ( nel contesto dello scrivente il coordinatore ) deve organizzare

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l’attivit� lavorativa cercando di dare significato al lavoro dei collaboratori,

sensibilizzando la responsabilit� individuale e fare in modo che l’individuo

possa valutare se gli esiti del proprio lavoro sono soddisfacenti oppure no.

La contemporanea presenza di queste tre condizioni origina una carica

motivazionale, interna alla persona, che a sua volta genera soddisfazione

e disponibilit� a impegnarsi. Recenti ricerche confermano in tal senso che

elevati livelli di questi stati psicologici non solo portano a risultati pi�

positivi in termini di qualit� delle prestazioni, ma riducono anche il

turnover ed i comportamenti di assenteismo. 12

Affinch� questo avvenga, ogni mansione assegnata deve essere

progettata ( o ridisegnata ) in modo da tenere in debita considerazione :

la variet� delle abilit� richieste, l’identit� del compito ed il suo significato,

l’autonomia nell’esecuzione, il feedback rispetto ai risultati raggiunti.

L’applicazione di queste politiche richiede comunque in ogni caso delle

cautele e degli studi preliminari. In tal senso prima di implementare un

programma di ampliamento/arricchimento del lavoro � opportuno

verificare se realmente i lavoratori desiderano una maggiore variet� dei

compiti o una discrezionalit� di livello superiore. Allo stesso modo, prima

di mettere in atto politiche di rotazione del lavoro � opportuno verificare

se le politiche di aggiornamento e formazione sono in grado di sostenere

l’adeguato inserimento dei lavoratori nelle nuove posizioni e se il calo

iniziale di produttivit� potr� essere compensato in altro modo.

3.3 Interventi sulla comunicazione

La comunicazione organizzativa deve essere considerata una leva

motivazionale. Infatti, secondo Lawler, tra i quattro fattori che sono in

gradi di promuovere la motivazione all’interno dei contesti di lavoro

vengono annoverate: la conoscenza del sistema organizzativo, delle

strategie di sviluppo, del significato del proprio lavoro e l’informazione

___________________________________________________________________

12. Gaertener S. (1999), “Structural determinants of job satisfaction and

organizational commitment in turnover models”. In Human Resources Management

Review,9,4 pp.479-493

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relativa ai processi produttivi, alla qualit� attesa e realizzata, agli

atteggiamenti e comportamenti degli utenti, ai risultati del business, agli

eventi interni ed esterni. La comunicazione interna rappresenta un

elemento in grado di sostenere e promuovere l’espressione della

motivazione da parte degli individui che lavorano in organizzazione.

Ovvero, un sistema organizzativo che si prende cura della propria

comunicazione interna, gestendola in modo efficace, realizza

un’importante condizione per incrementare l’impegno, il coinvolgimento e

la partecipazione alle attivit� di lavoro da parte dei suoi attori.

La comunicazione, osservata dal punto di vista delle sue finalit�, presenta

tre principali traguardi: il funzionamento dei processi, la gestione delle

persone, lo sviluppo degli individui e dell’organizzazione.

Il primo traguardo consiste in quella comunicazione che rende espliciti gli

obiettivi dell’organizzazione, delle sue unit�, aree, uffici, attori;

evidenziando il significato delle strategie definite dal management.

E’ l’insieme dei dati comunicativi che precisano l’assetto organizzativo, le

aree di responsabilit�, i metodi e gli strumenti di lavoro e ancora che

rendono note le richieste degli utenti/istituzioni ed i risultati raggiunti.

Come se ci� non bastasse questo genere di comunicazione fa circolare le

informazioni necessarie per agire, decidere, risolvere problemi. Definisce

pratiche, procedure e regole. In sintesi crea coordinamento tra le azioni

dei differenti attori e definisce gli spazi di delega e di autonomia.

La comunicazione necessaria alla gestione delle persone costruisce e

consolida l’identit� dell’organizzazione, dei gruppi di lavoro e degli

individui. Crea un linguaggio comune, promuovendo sistemi di valori e

suggerendo schemi per interpretare gli eventi. Chiarisce quali sono i

comportamenti attesi e quali sono quelli da evitare. Rende noti i criteri di

gestione e valutazione, retribuzione e incentivazione. Offre

riconoscimento, approvazione, stima, considerazione, conferendo visibilit�

ed autorevolezza al management.

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Il terzo traguardo � orientato allo sviluppo degli individui e

dell’organizzazione. Essa promuove l’apprendimento ed istituisce occasioni

di aggiornamento e formazione professionale. Diffonde feedback sulle

prestazioni. Chiarisce la natura dello scenario in cui si opera e la sua

evoluzione. Evidenzia le ragioni e le linee di cambiamento degli obiettivi,

delle strategie e dei processi. Fa circolare le informazioni possedute dai

singoli trasformandole in conoscenze condivise. Patrimonializza le

competenze dell’organizzazione. Raccoglie indicazioni e proposte di

innovazione e facilita lo loro implementazione.

La comunicazione organizzativa si avvale sia della forma scritta che di

quella orale. La prima � importante soprattutto per la possibilit� di

diffondere informazioni in modo chiaro e preciso ( organigrammi,

mansionari, ordini di servizio, circolari, regolamenti, lettere personali,

ecc..). La seconda � fondamentale per la vicinanza relazionale e per la

possibilit� di interazione a doppia via. Infatti tale approccio � possibile solo

attraverso colloqui, incontri di aggiornamento, gruppi di propositivit�.

In sintesi, l’informazione chiara e precisa condita dalla vicinanza ( anche di

tipo empatico) del dialogo e l’attivazione emotiva risultano i principali

caratteri di una comunicazione organizzativa capace di sostenere la piena

espressione del potenziale motivazionale dei suoi attori.

3.4 Interventi sull’integrazione sociale

Preso atto che la dimensione relazionale � ritenuta da tutti gli autori

( Maslow, McClelland, Alderfer ) un bisogno fondamentale, � doveroso

sottolineare che la forza dei bisogni, che da essa scaturiscono, � variabile

a seconda delle preferenze degli individui. In via generale si pu�

comunque affermare che le persone si affacciano alla vita organizzativa

con il desiderio di diventare membri di una comunit� sociale ed instaurare

legami significativi con le altre persone. 13 Diventa quindi fondamentale

alimentare le opportunit� di integrazione sociale che si presentano in una

organizzazione.

___________________________________________________________________

13. Sarchielli G. (1978), La socializzazione al lavoro, Il Mulino, Bologna

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Tra le svariate possibilit� troviamo : la socializzazione organizzativa , il

lavoro di gruppo auto gestito.

La socializzazione organizzativa pu� essere definita come un processo di

acquisizione di conoscenze, atteggiamenti, capacit�, valori e motivazioni

necessari per divenire un membro a pieno titolo dell’organizzazione.14

In altre parole la socializzazione permette di diventare “socialmente

competenti” all’interno del proprio contesto organizzativo: l’individuo,

attraverso il confronto e lo scambio con gli altri attori, interiorizza il

linguaggio, la storia, i costumi e la cultura della comunit� lavorativa di cui

fa parte. Il processo di socializzazione � sostanzialmente costituito da tre

fasi: 1. la pre-entrata, 2. il confronto, 3. l’inserimento.

La prima � il momento che precede il vero e proprio ingresso

nell’organizzazione e lo prepara attraverso l’azione di agenzie quali la

scuola, la famiglia, i gruppi giovanili, i centri per l’impiego, le agenzie

interinali, il sindacato.

La seconda � la fase in cui le aspettative del neoassunto e l’organizzazione

si confrontano con la realt�. Se la differenza � molto ampia pu� prodursi

una brutta sorpresa ( reality shock ) che conduce al conflitto ed alla

rottura, mentre la flessibilit� e la disponibilit� del neoassunto ad adattarsi

possono condurre ad una positiva soluzione delle divergenze.

La terza � il frangente finale in cui si definisce il ruolo in maniera chiara, si

apprendono le regole di base dell’organizzazione, si attivano relazioni pi�

ricche tra colleghi e con l’organizzazione stessa. E’ pertanto importante

che le organizzazioni curino particolarmente il momento dell’inserimento,

favorendo al massimo esito positivo del processo di socializzazione

prevedendo l’utilizzo di due principali tipi di risorse: gli agenti di

socializzazione che intervengono nel corso delle attivit� di lavoro e le

iniziative extra-lavorative che favoriscono la conoscenza reciproca al di l�

delle relazioni formali di lavoro. Tra gli agenti si socializzazione la

letteratura ne segnala principalmente tre:

___________________________________________________________________

14. Piccardo C. (1995), Empowerment, Raffaello Cortina, Milano

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1. Il capo che presta attenzione all’individuo dimostrandosi sensibile alle

sue esigenze e alle sue proposte, contribuendo all’individuazione delle

modalit� di lavoro pi� efficaci ed offrendo un feedback costante e puntuale

sulle prestazioni offerte.

2. Il mentore, ovvero un collega pi� anziano che presidia soprattutto

l’integrazione culturale, aiutando a comprendere il significato di ci� che

accade e sollecitando l’espressione di risorse personali per far fronte alle

difficolt� incontrate.

3. I comunicatori, i formatori ed i tutor, che gestiscono i momenti di

conoscenza del contesto esterno ed interno, facilitando l’apprendimento

delle competenze di base richieste dall’organizzazione e offrendo supporto

nello svolgimento delle attivit�.

Nelle iniziative extra-lavorative troviamo tutte quelle attivit� che si

svolgono in ambienti esterni all’organizzazione e vedono impegnati i suoi

componenti e le loro famiglie. Alcuni esempi: gite, cene, viaggi, cinema,

teatro, recitazione, musica, ecc…. Per contro tra le attivit� interne

all’organizzazione troviamo il lavoro di gruppo che risulta essere

un’esperienza in grado di corrispondere alle esigenze di relazione degli

individui in quanto : riunisce ci� che era stato separato dalla divisione dei

compiti, contribuendo al recupero della significativit� di ci� che si fa;

mette insieme competenze differenziate cha da sole non sarebbero

sufficienti ad ottenere il risultato atteso; favorisce lo scambio ed il

confronto tra opinioni utile per rendere pi� efficace la presa di decisione e

la soluzione dei problemi.

Tra i vari gruppi di lavoro, quelli autogestiti, sono un esempio

storicamente pi� importante di applicazione di una filosofia organizzativa

centrata sul lavoro. Il gruppo non ha un capo diretto, ma solo un

portavoce che gli riferisce ci� che accade al suo interno. Ha un’alta

autonomia gestionale e contestuale responsabilit� del processo assegnato.

Le ricerche hanno confermato la valenza motivazionale di questa modalit�

di organizzazione che raffrontata con quella tradizionale vede gli individui

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dei gruppi autogestiti maggiormente soddisfatti e coinvolti, con un

turnover ridotto e livelli di produzione e qualit� pi� alti.

3.5 Interventi sull’apprendimento

Il legame tra le opportunit� di apprendimento presenti nell’organizzazione

e la motivazione espressa dagli individui � confermato da molte ricerche,

ma non sempre viene considerata una leva motivazionale diretta.

Piuttosto si considera l’apprendimento come un possibile esito

dell’applicazione di altre strategie motivazionali.

Secondo lo scrivente, prendendo debitamente atto di quanto detto sopra,

l’apprendimento deve essere considerato come una leva a se stante,

ovvero un’ulteriore “buona pratica” che le organizzazioni possono proporsi

di presidiare in quanto tale. Favorire soprattutto l’apprendimento che

consente di cambiare, trasformarsi, crescere. In altre parole � motivante

la consapevolezza che l’apprendimento possibile in organizzazione

contribuisce al percorso di costruzione e realizzazione del s�. Per far s� che

ci� accada bisogna che vengano a generarsi due passaggi:

l’addestramento alla formazione, la formazione all’autoformazione.

Nel primo si istruiscono le persone in riferimento a conoscenze e capacit�

immediatamente utilizzabili nel lavoro, a situazioni in cui sono soprattutto

le qualit� soggettive e relazionali ad essere messe in discussione.

Nel secondo si orienta l’individuo ad una riflessione critica sulla propria

“forma” ed ipotizzare le “trasformazioni” verso cui tendere in funzioni di

esigenze, progetti, desideri. E’ doveroso precisare che un’organizzazione

che punti a realizzare entrambi i passaggi dovr� essere in grado di definire

un apprendimento continuo onde evitare un danneggiamento

motivazionale del gruppo.

3.6 Interventi sulla valutazione

Diverse teorie si alternano in merito al potere positivo o negativo che la

valutazione esercita sulla motivazione professionale. Vi � chi sostiene che

� impossibile, fonte di disuguaglianze e di ansie, un’approccio minaccioso,

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insomma una pratica inutile se non deleteria per l’impatto emotivo che

riveste. Altri prendono atto che tali problematiche non dovrebbero

manifestarsi se si volge un’adeguata attenzione alle modalit� con cui esse

viene posta in essere. La valutazione dovrebbe diventare un momento

fondamentale per ogni organizzazione , che prima di agire decide e dopo

l’azione valuta.

L’influenza della valutazione sulla motivazione � sia di tipo indiretto che

diretta. La prima si manifesta quando consideriamo la valutazione un

elemento fondamentale del processo gestito per obiettivi e delle politiche

di retribuzione variabile. La seconda pu� essere descritta facendo

un’analisi pi� approfondita che vada a riprendere il significato etimologico

della parola valutazione. Ovvero da “valore” come pregio, forza, potenza,

autorit� possiamo capire come l’azione del valutare significhi attribuire

valore, promuovere e riconoscere la qualit�.

A prescindere da questo fondamentale passaggio, la valutazione � un

momento cruciale in cui bisogna valorizzare l’individuo, aumentare la

consapevolezza di s�, bisogna gettare le basi per la crescita della persona

che ci troviamo davanti. Legando la motivazione al processo valutativo

dobbiamo definire un piano di sviluppo che inizia dall’individuazione delle

potenzialit� dell’individuo e si articola nella crescita del ruolo, pozione

organizzativa, aumento delle responsabilit�.

Tra le modalit� di valutazione pi� efficaci sulla motivazione risultano i

colloqui con il capo ed il feedback a 360 gradi.

I primi configurano un’alleanza di lavoro in cui l’attenzione � focalizzata

sul collaboratore, sulle sue prestazioni e sul suo potenziale. Per essere

efficaci tali colloqui dovranno essere sistematici, regolari, approfonditi,

aperti e focalizzati sul tema. Non dovranno essere momenti di giudizio, ma

una frontiera di condivisione. Il feedback, per contro, � un’attivit� utile a

raccogliere valutazioni sulle prestazioni e sul potenziale che l’individuo

esprime non solo con il capo, ma con tutti gli attori organizzativi.

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In sintesi una valutazione che voglia motivare deve presentare le seguenti

caratteristiche: possedere una visione futurista, considerare le risorse

dell’individuo importanti, considerare gli errori e le debolezze punti di

partenza, stimolare il rapporto capo-collaboratori, attingere a diversi punti

di vista, indurre una riflessione degli individui che analizzano criticamente

il loro essere.

Tali caratteri contribuiscono significativamente alla creazione e al

rafforzamento del senso di efficacia personale: l’individuo deriva dagli esiti

della valutazione che lo orientano e lo stimolano ad investire nella propria

attivit� lavorativa, rafforzando il desiderio di “passare all’azione” per

concretizzare e verificare ulteriormente le proprie potenzialit�.

3.7 Interventi sulla partecipazione

A partire dalla proposta concettuale di McGregor ( 1960 ) il concetto di

partecipazione ha avuto un’importante sviluppo, che giunge ai giorni nostri

come un elemento, importante ed imprescindibile, a sostegno della

motivazione degli individui che operano nelle organizzazioni. Esistono ben

cinque aree in cui � possibile incentivare la partecipazione: la

trasformazioni di obiettivi generali in obiettivi specifici, la presa di

decisione, l’individuazione-analisi-risoluzione dei problemi, la definizione di

valori e politiche, l’attuazione ed il monitoraggio di interventi di

cambiamento, il controllo sulle risorse.

La forma storicamente pi� nota di partecipazione � rappresentata dai

circoli di qualit�. Si tratta di gruppi di lavoro composti da 5-10 colleghi

impegnanti in un medesimo processo produttivo, che viene analizzato e

individuati problemi e soluzioni da poter mettere in campo per poi essere

rivalutato dopo l’intervento migliorativo. Di norma si incontrano una volta

alla settimana per due ore ed � il capo o suo delegato a condurre gli

incontri. Bisogna comunque segnalare che perch� un intervento

partecipativo vada a buon fine bisogna che:

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A. il management dimostri di credere nei risultati che la partecipazione

produce, perch� sei nei fatti l’ultima parola � sempre del capo e

nessuna delle proposte dal basso viene implementata, si otterrebbe

un effetto di demotivazione

B. siano definiti tempi, luoghi e risorse

C. gli argomenti risultino significativi e le persone competenti; bisogna

chiedere agli individui di offrire contributi in merito a questione

importanti e di cui sono all’altezza professionale

D. la partecipazione non venga confusa con il controllo.

Negli ultimi anni il concetto di partecipazione si � legato a quello

dell’empowerment. Questo termine che in precedenza veniva utilizzato per

identificare la delega di autorit� e responsabilit� dei capi verso i

collaboratori, oggi � sinonimo di un orientamento gestionale volto a

valorizzare le risorse umane nell’organizzazione consentendo loro di avere

una reale influenza sui processi e sui contesti di lavoro.15

In altre parole attraverso l’empowerment si punta ad incrementare le

possibilit� dei dipendenti di utilizzare al meglio le capacit� personali ed

intellettuali, rafforzando la propria capacit� di autodeterminazione ed

autoregolazione, sviluppando un sentimento di autostima ed autoefficacia,

diventando leader di se stessi ed in ultima analisi esercitando un maggiore

controllo sui risultati dell’organizzazione.

3.8 Interventi sulla soddisfazione

Premesso che esiste un legame tra la soddisfazione per il lavoro in

organizzazione e la motivazione, bisogna sottolineare che tale

associazione non � utilizzabile in senso deterministico e lineare.

Sicuramente il livello di soddisfazione che l’individuo percepisce costituisce

una delle variabili di tipo personale in grado di influenzare la motivazione,

ed � ormai assodato che elevati livelli di insoddisfazione portano ad un

calo di motivazione. Come d’altro canto specifici elementi di soddisfazione

favoriscono specifiche espressioni motivazionali e la soddisfazione per la

___________________________________________________________________

15. Quaglino G.P. (2004), La vita organizzativa, Raffaello Cortina,Milano

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possibilit� di conciliazione tra lavoro e famiglia rappresenta un importante

condizione a sostegno della motivazione.

Tale premessa per poter affermare che, se pur con i limiti del caso, la

soddisfazione risulta essere un precursore della motivazione. Tale dato lo

si evince sia da misure indirette ( efficacia della prestazione lavorativa,

comportamenti extra-ruolo, assenteismo, ritardo, turnover ), sia da

misure dirette del sentimento di appartenenza all’organizzazione.

Negli ultimi anni l’interesse dei ricercatori si � orientata verso la qualit�

della vita al lavoro studiando molto il tema della conciliazione tra lavoro e

famiglia. Un cambiamento dei valori e del tessuto sociale, un ribaltamento

professionale che vede sempre pi� le donne in carriera e uomini che

ricercano un equilibrio familiare. Le strategie adottate dalle organizzazioni

sono le pi� varie , di seguito vengono riportate le soluzioni formali ed

informali proposte da Ghislieri, Piccardo16 :

Le soluzioni formali sono riconducibili alle politiche a sostegno della

famiglia ( Family-Supportive Policies ) ed ai responsabili supportivi

( Family-Supportive Supervisors ). Le prime fanno riferimento agli

espedienti pi� tradizionali: flessibilit� dell’orario, part-time, job sharing,

telelavoro, assegnazione di congedi di maternit� e parentali, asili interni,

assistenza per i bambini, trasporti privati, ecc… . I secondi rinviano alla

possibilit� di trovare un capo/interlocutore sensibile e disposto a fornire un

aiuto rispetto alle esigenze di equilibro tra ruolo lavorativo e quello

familiare, ad esempio attraverso la definizione dei piani di lavoro flessibili,

la tolleranza verso le chiamate a casa o le brevi uscite, l’autorizzazione a

portare i figli al lavoro nel periodo delle vacanze scolastiche.

Le soluzioni informali prevedono che il soggetto che esprime il bisogno di

conciliazione sia di fatto il protagonista della ricerca di soluzione, pur se

essa pu� essere gi� implicitamente “ convalidata” dalle abitudini di un

dato contesto organizzativo, giungendo ad un adattamento informale del

lavoro alla famiglia ( informal work accomodation family ). Nell’insieme

___________________________________________________________________

16. Ghislieri C.,Piccardo C. (2003), “La conciliazione tra lavoro e non lavoro: una

prospettiva psicologica”. In Sviluppo & Organizzazione, 199, pp. 56-58

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questi comportamenti si configurano come una forma di flessibilit� oggi

molto importante e talvolta pi� efficace della flessibilit� “rigida”

rappresentata dalle soluzioni formali anche se tendono a creare

separazione permanente o quasi tra i due domini ( famiglia-lavoro ).

3.9 Interventi sulla differenza

Gi� alla fine degli anni ottanta si vedono nascere nuove ed interessanti

teorie inerenti al Diversity Management e contestuali soluzioni pratiche

che indicano come le organizzazioni possono riconoscere, valorizzare e

trarre profitto dalle diversit� che qualificano gli individui che lavorano al

loro interno. Queste teorie partono dal nuovo presupposto che il mercato

del lavoro � rappresentato da una crescente eterogeneit� degli individui.

Sembrerebbe che stia accadendo in Europa ci� che � avvenuto in passato

negli Stati Uniti, ovvero libera circolazione dei lavoratori, flussi di

immigrazione, multiculturalit�, globalizzazione del business, necessit� di

competere su pi� mercati, processi di fusione, acquisizione e partnership.

Quando parliamo di “differenze” � importante tenere in considerazione la

diversit� propria di ciascun individuo, ovvero la soggettivit�, che ha radici

nella storia remota e recente, nelle relazioni ed esperienze attraverso cui

si � progressivamente costruita la personalit�. Un’ organizzazione ha due

possibilit� di fronte alla valutazione del soggetto-lavoratore: o lo considera

un individuo medio o cerca di individuare le caratteristiche del singolo

soggetto. Nel primo caso le organizzazioni divengono esclusive, ovvero

escludono chi non corrisponde all’immagine di lavoratore predefinita dal

management. Nel secondo, viceversa, possono considerare le proprie

risorse umane come un insieme indifferenziato di individui e puntare a

riconoscere le diversit� presenti al proprio interno: in questo modo

saranno inclusive, ovvero capaci di incoraggiare appartenenza,

cittadinanza, impegno in tutti i loro attori a prescindere dal tipo di

differenza di cui ciascuno di essi � portatore. Queste organizzazioni

considerano l’eccezione come una costante e le persone si sentono

legittimate ad esprimere esigenze soggettive che trovano reale ascolto.

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Per permettere questo le organizzazioni devono mettere in atto la gestione

della diversit�, ovvero un processo di cambiamento culturale e gestionale

promosso dall’interno, che permette di rendere la diversit� una risorsa che

offre un vantaggio competitivo. Orientare un’organizzazione verso un tale

modello permettere un miglioramento dello stato emotivo dei

collaboratori, diminuisce l’assenteismo ed il turnover, si attraggono risorse

qualificate, si trattengono gli alti potenziali, si lasciano emergere i talenti

inespressi, si migliora l’immagine esterna dell’Azienda. 17

La gestione della diversit� utilizza molteplici strategie, dalle pi� semplici

alle pi� complesse. Tra le prime ricordiamo: promozione delle pari

opportunit�, le azioni positive a favore della carriera delle donne,

l’eliminazione delle barriere architettoniche, corsi di formazioni rivolti a

generare cambiamenti negli atteggiamenti verso le minoranze, la

selezione del personale.

Nelle complesse degna di nota � la trasformazione della leadership del

management, cruciale processo di rinnovo manageriale che prestando

attenzione ai bisogni dei singoli, punta a conoscerli, sviluppando l’empatia

nei loro confronti. Tale approccio permette ai capi di raggiungere un

duplice obiettivo: eliminare le barriere discriminatorie e liberare il

potenziale di ogni collaboratore che trova un’effettiva possibilit� di

espressione. In sintesi se si vuole lavorare sulla motivazione dei

collaboratori bisogna che “ognuno venga trattato in modo diverso”.18

Questo no vuol dire assolutamente impostare comportamenti che tendano

alla parzialit�, n� occuparsi delle sole minoranze. Bens�, far fiorire una

leadership appropriata al contesto e alla specificit� dei soggetti, che

devono essere coinvolti nella definizione dei loro bisogni e considerano

ciascuno “una minoranza” che � doveroso conoscere attraverso l’ascolto in

modo da instaurare la relazione appropriata.

___________________________________________________________________

17. Hellriegel D., Slocum J.W., Woodman R.W. (1992), Organizational Behavior,

West Pubblishing Company, St. Paul

18. Barabino M.C., Jacobs B., Maggio M.A. (2001),” Il diversity management”. In

Sviluppo & Organizzazione, 184, pp. 30

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3.10 Interventi sulla retribuzione

Lo scrivente ha deliberatamente lasciato per ultima l’analisi dei possibili

interventi sulla retribuzione essendo un aspetto dell’organizzazione sui cui

il coordinatore ha un scarsa influenza, se non quasi nulla.

Inoltre essendo che il PW deve avere un impatto diretto sulle risorse

umane sembrava una forzatura la sua analisi contestuale alle altre nove

aree di possibili interventi migliorativi.

Per completezza di trattazione dell’argomento � doveroso sottolineare che

la retribuzione, gli incentivi ed i benefit possiedono un potenziale

motivazionale anche se non sempre le politiche retributive adottate

dall’organizzazione consentono a tale potenziale di esprimersi.

Pertanto, pur coscienti della difficolt� nel pubblico impiego, sarebbe

auspicabile che le organizzazioni affiancassero agli interventi descritti nelle

precedenti aree anche una politica di valutazione e riconoscimento delle

capacit� e dei meriti dei collaboratori, magari realizzando scale

meritocratiche a cui assegnare dei “premi” che non devono essere

obbligatoriamente in denaro, ma anche in giornate di permesso o riposo

aggiuntivo a quelle previste nel contratto di riferimento.

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CAPITOLO 4

IL PROGETTO

Preso atto delle dieci aree su cui sono ipotizzabili degli interventi efficaci

sulla motivazione dei collaboratori, ora verr� descritta nel dettaglio quella

che risulta una ipotesi di progetto realizzabile c/o la S.C. Medicina

Generale sez. Uomini, ovvero la creazione di uno spazio di frontiera in cui

gli operatori possano esprimere il proprio pensiero, le proprie

riflessioni/perplessit�, le proprie idee sulle dieci aree di intervento delle

buone pratiche della motivazione, sviluppare la propria scala di valori

motivazionali da inserire nella “Carta delle buone pratiche motivazionali”.

4.1 La valutazione pre e post

Come anticipato nel capitolo terzo il modello di riferimento per la

realizzazione e la valutazione di efficacia di tale progetto � quello dell’IE di

D. Goleman, pertanto prima di iniziare ad attuare l’intero processo di

seguito descritto bisogna che venga valutato il grado di IE del gruppo della

Medicina Uomini tramite l’apposita scheda realizzata dall’autore stesso

( Emotional Competency Intelligence - ECI - ). Non solo, al termine del

programma stesso bisogner� rivalutare la situazione, ovvero verificare se

il progetto � stato efficace riuscendo a potenziare il livello motivazionale

dell’�quipe o il progetto necessita di correttivi del caso.

4.1 Le risorse necessarie

Tenendo conto che l’�quipe presa in esame � composta da 24 unit� con

una suddivisione di profilo circa del 50% ( OSS – infermieri ) sarebbe

consigliabile individuare un referente/responsabile delle fasi intermedie del

progetto, sia tra il personale di supporto, sia tra quello infermieristico.

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Tali soggetti dovranno prendersi carico di organizzare la parte attuativa

dei vari incontri ( allestimento sala riunione, creazione di matrici/materiale

didattico ) e tenere uno specifico registro delle riflessioni, espressioni ,

concetti particolari espressi dai colleghi nelle varie sedute.

Le due figure dei referenti devono essere scelte secondo un criterio

democratico che permetta al gruppo di esprimere (con la massima

garanzia dell’anonimato ) le proprie preferenze in merito al progetto

stesso ed ai due soggetti responsabili della conduzione pratica.

Dopo la scelta da parte dell’�quipe il coordinatore provveder� ad

ufficializzare il progetto ed i nominativi dei due dipendenti.

Per organizzare il tutto non occorrono grandi preparativi e/o sofisticato

materiale tecnologico. E’ sufficiente una sala confortevole dove possano

riunirsi cinque, sei persone ( sedute ) e confrontarsi senza che fonti di

disturbo esterno interrompano la discussione in corso. Bisogna prevedere

la disponibilit� di un personal computer, un proiettore con possibile

collegamento esterno o una lavagna luminosa, un blocco di carta formato

A3 o una lavagna cancellabile dove fissare i punti salienti dell’incontro.

Facendo un calcolo preventivo delle ore necessarie per portare a

conclusione l’intero progetto si sono previste dodici ore a dipendente per

un totale di duecentoottantotto ore complessive.

4.2 L’organizzazione

Dopo che il coordinatore ha ufficializzato il progetto ed i referenti,

quest’ultimi hanno trenta giorni per organizzare praticamente gli incontri,

scegliendo il materiale da utilizzare, come e quando. Il coordinatore crea

in maniera ragionata quattro gruppi da sei persone ( creando

proporzionalit� tra dipendenti a ruolo, precari; europei, americani ) e

pianifica gli incontri secondo il calendario di seguito riportato. L’ipotesi di

programmazione nasce dall’esigenza di favorire la pi� ampia percentuale

di adesione dei dipendenti al progetto e pertanto sono stati scelti periodi

scevri dalle ferie estive ( giugno-settembre ) e/o alto numero di festivit�

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( dicembre ). Si sono previsti sei incontri di due ore ciascuno con quattro

gruppi da sei persone, ovvero una riunione alla settimana per ogni

gruppo. Iniziando da febbraio e sospendendo a maggio, riprendendo ad

ottobre, fino a novembre.

Oggetto delle riunioni saranno le dieci aree di intervento sulla

motivazione.

Al termine di tutte le riunioni, i referenti ed il coordinatore, analizzeranno

tutte le osservazioni dei vari gruppi ed effettueranno un lavoro di sintesi e

di raggruppamento di concetti che permetter� la redazione finale della

Carta delle buone pratiche motivazionali.

Tale documento dovr� essere distribuito a tutti i componenti del gruppo

( ivi compresi neoassunti ) e qualora nel tempo la percentuale di

personale nuovo fosse uguale o maggiore al trenta per cento il progetto

dovr� essere riproposto e la carta aggiornata.

Questo piccolo progetto non ha la presunzione di risolvere tutti i problemi

motivazionali del gruppo in esame, ne di creare un sistema universale

utilizzabile a larga scala. Avendo alla base una concezione dell’essere al

lavoro nuova e considerando i collaboratori persone ancorch� dipendenti

sicuramente potrebbe creare delle iniziali, ma momentanee diffidenze e

reticenze verso il progetto. Per contro il capo si trover� ad avere una

maggiore responsabilit� etica verso i propri collaboratori ed il dovere di

fare il possibile per trasformarsi in un capo risonante, anche se questo tipo

di crescita vedr� inizialmente il manager sotto una campana di stress che

verr� meno quando inizier� a vedere i frutti della nuova leadership. E’

doveroso segnalare che lo scrivente ha cercato con metodo e scientificit�

di delineare la situazione motivazionale degli operatori della Medicina

Uomini e ha cercato di trovare una soluzione pratica , dai costi ridotti ma

con un elevato impatto emotivo sulle risorse umane. Ha cercato di

costruire un percorso che possa dare dei risultati gi� sul breve periodo,

ma che si prefigge la massima fioritura al termine dello stesso, quando

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sar� l’�quipe a giudicare l’evoluzione emotiva avvenuta. Ovviamente non

ci si aspettano dei miracoli, vista l’eterogeneit� di tipologie di lavoratori

che compongono il gruppo; infatti il management e l’esperienza

insegnano che in qualsiasi progetto bisogna considerare l’esistenza

naturale di due tipologie di lavoratori dove: alla prima appartengono

quegli individui che nello svolgere le proprie mansioni si applicano al

minimo indispensabile; arrivano al lavoro tardi, non rispettano le scadenze

o quando fanno un qualcosa non si preoccupano della performance, anzi

cercano di farlo impiegando meno energie possibili; escono il prima

possibile dal reparto senza soffermarsi mai un minuto in pi� oltre l’orario

previsto. Alla seconda appartengono invece quei soggetti che in qualunque

progetto vengono inseriti danno sempre il massimo. Arrivano quasi

sempre puntuali, svolgono il loro lavoro talvolta anche fuori orario ed

accolgono con il sorriso i nuovi incarichi. Sono un pizzico ambiziosi, ma

cercano sempre il meglio. Due stereotipi diversi, quasi opposti e questo

grazie sostanzialmente ad un elemento, ancora una volta: la motivazione

al lavoro. Questo progetto si prefigge l’obiettivo di stimolarla e

potenziarla, ovvero rafforzare quel qualcosa che permette di svegliarsi

ogni mattina con il sorriso, felici di iniziare una nuova giornata lavorativa.

Fare in modo di non sentirsi mai al capolinea professionale o stanchi, ma

di avere voglia di ricercare nuovi traguardi solo per riuscire a migliorare e

migliorarsi. Creare una visione del lavoro non solo come guadagno, ma

anche come autorealizzazione.

E’, infatti, ormai troppo riduttiva la spiegazione che andiamo a lavorare

solo perch� dobbiamo “campare” o per soddisfare i bisogni primari.

La realt� ci dice che i bisogni che andiamo a soddisfare sono diversi,

materiali, ma anche psicologici ed emotivi e pi� riusciamo a soddisfarli con

il lavoro pi� saremo motivati a farlo con impegno e dedizione.

Nasce una passione che � in grado di far muovere gli individui verso gli

obiettivi che pi� gli stanno a cuore.

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Poich� ognuno di noi � motivato da fattori differenti � importante non

stancarsi mai di ricercare e di costruirsi l’attivit� lavorativa che nel

complesso risulti la pi� stimolante e ci consenta di esprimere al meglio le

proprie potenzialit� ed i propri talenti.

Ogni tipo di lavoro pu� essere il pi� bello o il pi� brutto del mondo,

dipende sempre da come ci poniamo e da cosa ricerchiamo

realisticamente in una professione. Il tempo che dedichiamo all’attivit�

lavorativa rappresenta una parte troppo grande della nostra vita per

poterci permettere il lusso di fare qualcosa che non ci piace, in attesa

perenne delle vacanze, del fine settimana o della fine della giornata.

Il problema della motivazione del personale si pone come un problema

complesso e si lega in parte anche al tipo di cultura di un paese. Fino ad

ora l’importazione in Europa di modelli organizzativi americani o

giapponesi ha evidenziato la difficolt� di integrazione in una cultura

peculiare e fortemente differenziata rispetto a quelle nelle quali tali

modelli sono sorti, creando uno “scollamento” con la realt� dei lavoratori.

A poco se non a nulla sono serviti i molti interventi sulla motivazione

individuale, avulsi da cambiamenti di contesto.

Le esigenze sopra espresse si contestualizzano in modo ampio, se si pensa

alla recente richiesta fatta dall’Unione Europea alle istituzioni, di definire i

parametri europei di sviluppo economico e sociale.

Questa vasta esperienza ha portato a focalizzare come sia frammentaria

la richiesta che le organizzazioni fanno per cercare di migliorare le loro

performance e come spesso le societ� di consulenza tradizionali e gli

strumenti da esse sviluppati non offrano delle risposte esaurienti ai temi

che lo scrivente ha sopra esposto, anche perch� nella necessit� di

sopravvivere sul mercato, si trovano il pi� delle volte costrette a seguire la

richiesta di “offrire soluzioni veloci”, laddove necessiterebbe lo sviluppo di

una percezione ampia del contesto, in modo da poter elaborare la giusta

domanda di cambiamento. E allora capita come per le “diete lampo” che si

perdono in fretta i primi chili, ma poi l’organismo intero ne soffre e dopo

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un po’ il problema si ripresenta. E’ capitato di verificare che anche

manager “illuminati” che avrebbero voluto agire su un cambiamento

profondo e sostanziale nella loro organizzazione, non hanno a disposizione

strumenti convincenti allo scopo. Sembrerebbe che nel tempo anche la

cultura delle societ� di consulenza si � adeguata alla logica del breve

termine che domina ora il mercato, perdendo di vista la strategia globale

dell’organizzazione, unico elemento di garanzia di sopravvivenza.

Nel quotidiano? Capi e coordinatori si mostrano in affanno nel tenere

conto del proprio progetto professionale e del progetto professionale di chi

lavora con loro, con l'effetto di aderire a modalit� di gestione delle risorse

fondate pi� sull'adempimento che sulla intelligente elaborazione delle

informazioni del contesto.

In forte connessione ai primi due punti, osserviamo modalit� di gestione

dei gruppi di lavoro pi� simili alla conduzione di un plotone di fanteria

(abbaiare ordini e dare la caccia al capro espiatorio) che alla conduzione di

un team ; i capi sono pi� preoccupati del proprio lavoro individuale che di

presidiare le condizioni per un efficace e motivante lavoro di squadra.

Il risultato � un clima di lavoro che sostiene pi� il ritiro affettivo delle

persone rispetto al compito di lavoro (modello dalle nove alle cinque,

orario continuato), la adesione a routine note e rassicuranti che rendono

difficile adattarsi efficacemente alle continue variazioni del contesto

interno ed esterno. Le soluzioni alle domande le individua il team assai

meglio del singolo pensatore, per quanto bravo, data la complessit� e la

frammentariet� dei dati relativi ai comportamenti individuali periferici; i

capi lavorano troppo da soli e occorre che si allenino a considerare

compito primario tenere in piedi la squadra portando a termine il proprio

lavoro individuale. Questa � condizione imprescindibile ( non optabile ) per

poter affrontare efficacemente il nodo della revisione del contratto

psicosociale tradizionale che caratterizza il terzo millennio.

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