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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones Forme storiche della fraternita Prof. Vera Zamagni * Mi ricollego sia all’esposizione di mio marito sia anche a quella di Viola. Vedrete che c'è una continuità di pensiero che nel caso di mio marito è dovuta ad un solidlrizio intellettuale che abbiamo da tanto tempo, ma con Francesco deriva dal fatto di essere insieme in un Istituto che ha quattro o cinque anni di vita, un Istituto di cultura Cattolica intitolato "Istituto Veritatis Splendor" dal nostro ex-Cardinale Giacomo Biffi. In tale istituto abbiamo ritrovato la voglia, l'entusiasmo di discutere di temi culturali rilevanti in una prospettiva cattolica attraverso discipline diverse, una fatica non da poco perché, come tanti hanno notato anche qui, le parole in discipline diverse hanno sensi, significati e sensibilità diverse. Credo fermamente che valga la pena di fare lo sforzo di confrontarsi interdisci- plinarmente, perché si contrasta quella frammentazione della scienza e della cultura che sta portando la nostra società a risultati veramente paradossali in tanti settori compresa la medicina e poi anche perché potrebbe essere un mezzo per far nascere qualche nuova idea, qualche nuova teorizzazione. Dunque, Fraternità è il tema, e io lo tratterò in questa prospettiva: "l'istituzionalizzazione della fraternità nella storia". Vi spiegherò subito che cosa intendo per istituzionalizzazione. Intanto, mi richiamo a concetti che sono stati trattati precedentemente e che avevo appuntato come miei, ma ho visto che sono vastamente condivisi, il che mi fa ovviamente molto piacere. * Vice Presidente y Asesora de Cultura de la Región Emilia Romagna - Italia. Titular de Historia Económica en la Universidad de Bologna Forme storiche della fraternita, Prof. Vera Zamagni, pp. 317-340 317

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones

Forme storiche della fraternita

Prof. Vera Zamagni*

Mi ricollego sia all’esposizione di mio marito sia anche a quella di Viola. Vedrete che c'è una continuità di pensiero che nel caso di mio marito è dovuta ad un solidlrizio intellettuale che abbiamo da tanto tempo, ma con Francesco deriva dal fatto di essere insieme in un Istituto che ha quattro o cinque anni di vita, un Istituto di cultura Cattolica intitolato "Istituto Veritatis Splendor" dal nostro ex-Cardinale Giacomo Biffi. In tale istituto abbiamo ritrovato la voglia, l'entusiasmo di discutere di temi culturali rilevanti in una prospettiva cattolica attraverso discipline diverse, una fatica non da poco perché, come tanti hanno notato anche qui, le parole in discipline diverse hanno sensi, significati e sensibilità diverse. Credo fermamente che valga la pena di fare lo sforzo di confrontarsi interdisci-plinarmente, perché si contrasta quella frammentazione della scienza e della cultura che sta portando la nostra società a risultati veramente paradossali in tanti settori compresa la medicina e poi anche perché potrebbe essere un mezzo per far nascere qualche nuova idea, qualche nuova teorizzazione.

Dunque, Fraternità è il tema, e io lo tratterò in questa prospettiva: "l'istituzionalizzazione della fraternità nella storia". Vi spiegherò subito che cosa intendo per istituzionalizzazione. Intanto, mi richiamo a concetti che sono stati trattati precedentemente e che avevo appuntato come miei, ma ho visto che sono vastamente condivisi, il che mi fa ovviamente molto piacere.

* Vice Presidente y Asesora de Cultura de la Región Emilia Romagna - Italia. Titular de Historia Económica en la Universidad de Bologna

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Fraternità è un concetto che implica una relazione che esiste oggettivamente. Essa può esistere oggettivamente in un ambito naturale, fra fratelli, figli di una stessa coppia, o può esistere in maniera, come diceva Viola, artificiale, e allora la fraternità può essere declinata in vari modi ma resta sempre una relazione oggettiva, cioè, una relazione che c'è. L'altro elemento importante che è stato notato è quello della diversità, la fraternità implica relazione fra diversi. I fratelli hanno delle caratteristiche diverse, dei caratteri diversi, delle sensibilità diverse, dei futuri diversi, si formano loro famiglie, non sono destinati a stare sempre insieme fisicamente.

Tra questi due aspetti si gioca secondo me il concetto di fraternità che poi in pratica da’ atto, da adito a coinvolgimento, comunione, appartenenza, riconoscimento, tutte quelle espressioni che sono state utilizzate nello spiegare come si manifesta la relazione nella diversità.

Alcuni di voi hanno detto -e io condivido questa linea di pensiero- che si tratta di un principio primo del tipo di libertà o uguaglianza, cioè un principio che non si può derivare da altri e che quindi è necessario fondare autonomamente- e questo è il lavoro di filosofi e teologi -ed è necessario applicare autonomamente- e questo è il lavoro di giuristi, politici ed economisti. Ma, se questo è vero, è anche vero che è un principio che non può vivere in isolamento. Per esempio, nella triade famosa, la fraternità si coniuga con libertà ed uguaglianza. Certamente il tre è un numero perfetto, anche se, come ricordava mio marito, è difficile da concettualizzare, perché di solito è il due che va. E sicuramente è vero che questa triade è suggestiva. Per esempio, una famiglia funziona bene quando è una famiglia in cui i genitori sono capaci di valorizzare tutti i figli nella loro diversità senza tentare di ricondurli ad un modello unico; la dimensione della libertà ci deve essere senza fare delle preferenze e quindi anche la dimensione dell’uguaglianza deve essere presente.

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Se nessuno dei principi fondativi può prosperare da solo, c'è effettivamente un principio invece che li comprende tutti e questo è l'amore che li sintetizza tutti, come bene si coglie nel mistero della Trinità.

Ebbene, se è vero che fraternità è un principio primo, come libertà ed uguaglianza, allora dobbiamo far vedere nella storia uno sforzo continuo di categorizzazione e di applicazione di questo principio. Io penso che sia esattamente così, e qui non condivido il pessimismo di tanti che hanno detto, "ma la fraternità non è coniugata in pratica". Vedrete perché non condivido questo punto di vista, giudicarete poi se ho ragione o torto.

E vero che nella storia c'è stato Caino ed Abele e tanti che, purtroppo, si richiamano a quest’esempio, è vero, quindi, che conflitti e guerre sono endemici, ma è anche vero che, come peraltro diceva Viola con qualche contraddizione con altri punti del suo dire, c'è una diffusa propensione a pensare alla cooperazione, all’armonia come uno stato superiore e desiderabile. Ma, come ho sostenuto l'anno scorso parlando di democrazia, non è un caso che solo nella civiltà greco-giudaico-cristiana e particolarmente quando il cristianesimo è entrato in campo, il principio di fraternità ha trovato modo di esplicarsi in istituzioni che sono state capaci di cambiare la società molto prima che in categorie politiche in generale. Istituzioni che, appunto, sono state capaci di cambiare il modo di vivere sociale.

Le prime importanti istituzioni di fraternità, a mio modo di vedere, sono i Monasteri. Ora, ci sono Monasteri anche in altre società, anche in altre religioni. Ma, quali sono le caratteristiche dei Monasteri cristiani che vanno notate in modo particolare? Sono due. Una l’ha già sottolineata mio marito non so in quale contesto e cioè che il Monastero è un luogo dove vale la massima: “ora e labora”. Il Monastero lavora, il Monastero produce, non prega solo, ma produce, tanto che il Monastero vive in maniera autosufficiente. Ma, proprio per questo motivo -

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones ed è una sottolineatura che faccio sempre ai miei studenti- poiché lavorare è faticoso, allora i monaci hanno incominciato a pensare come si faceva per faticare di meno. Infatti, i primi che introdussero delle macchine, per esempio dei mulini, per esempio delle macchine per follare la stoffa sono i Monasteri, perché erano da un lato, come dire, legati al dover lavorare dovendo essere autosufficienti, ma, dall’altro lato erano sufficientemente educati, sufficientemente capaci di pensare, di concettualizzare sulle modalità del lavoro. Une delle cose che non è stata mai tanto sottolineata è che il progresso tecnologico dell'umanità non è progredito più rapidamente perché chi lavorava non poteva pensare perché erano gli schiavi, e chi pensava non lavorava, e quindi pensava altre cose, ma, non cose che riguardassero il lavoro. E questo è uno dei motivi per cui il progresso tecnologico è andato invece progredendo assai più rapidamente nella civiltà occidentale nata dai monasteri.

Per esempio, erano state fatte sia in Cina che nell'Impero Romano delle scoperte tecnologiche che venivano adoperate per fare dei giochi perché non si capiva a che cosa si potevano applicare dato che, appunto, chi pensava non lavorava e chi lavorava non pensava, per definizione. Invece, il Monastero è il luogo dove queste due cose sono andate per la prima volta insieme. Il Monaco era sicuramente rispetto all'epoca il soggetto più colto che c'era, e al tempo stesso, doveva lavorare. Questo è un elemento fondamentale del Monastero ed è stato uno dei motivi di recupero di tutta la cultura dell'antichità e poi l’inizio di un nuovo percorso.

La seconda caratteristica del Monastero cattolico occidentale che lo fa diverso dai Monasteri per esempio orientali, è l'apertura. Il Monastero era fatto sì per i monaci, però era anche un Monastero aperto; se c'era un pellegrino che passava di lì e aveva bisogno andava al Monastero e non lo cacciavano, l'ospitavano e gli davano da mangiare, insomma, cercavano di immedesismarsi con le sue necessità e così con la comunità attorno al Monastero c'era uno scambio importante e

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones significativo. Fino al punto in cui, e qui passo al secondo stadio delle mie istituzioni di fraternità, fino al punto in cui alcune di queste attività che il Monastero rivolgeva all’l'esterno vennero codificate a se stante, cioè, vennero istituzionalizzate fuori del Monastero. Per esempio l'ospitalità -è qui mi rifaccio ancora al punto che l'ospitalità, come il Monastero, era una figura che esisteva anche in altre civiltà- nella civiltà appunto cristiana viene istituzionalizzata negli ospedali. La parola ospedale viene da ospitalità, penso molti di voi lo sappiano, e l'ospedale era un luogo d’ospitalità, non un luogo dove precipuamente si curava la gente dal punto di vista medico, perché all’epoca c'era poco da curare nel senso che si sapeva poco come curare la gente e poi i bisogni erano talmente tanti che si faceva veramente un po' di tutto negli ospedali. Dagli ospedali in cui si faceva un po' di tutto poi nacquero tutta una serie di istituzioni che in seguito verranno chiamate Opere Pie che andavano dagli ospizi per gli anziani, agli orfanotrofi per i bambini, agli educandati per le giovani che non avevano nessuno che le badasse, ai così detti conservatori. La parola conservatorio è una parola bellissima perché nel conservatorio si conservava. Cosa si conservava? Un po’ di tutto. Si può avere un conservatorio di musica, un conservatorio di belle arti, e si può avere un conservatorio di ragazze dove quello che si conservava era la castità delle ragazze. Il conservatorio è un’istituzione che molto spesso dispensò istruzione, ma anche avviamento al lavoro; molti sono i conservatori dove si insegnava a lavorare. I Monasteri risalgono molto, molto indietro: iniziano già nel '500-'600 dopo Cristo; poi abbiamo una fioritura di Monasteri veramente incredibile, gente che partiva dall’Irlanda e veniva ad erigere un Monastero in Italia o che partiva dall'Italia e andava in Romania o in posti distantissimi, veramente una meraviglia. Dai Monasteri alle così dette Opere Pie si registra un grandissimo miglioramento rispetto alla situazione precedente, perché abbiamo delle istituzioni che per loro natura hanno capacità d’essere più continuative e fisse nel tempo. Tuttavia le Opere Pie avevano dei limiti; sarà questo un refrain, un aspetto

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones ricorrente del mio discorso, mostrare come le varie realizzazioni avevano degli aspetti molto positivi, ma, dei notevoli limiti. Quali erano i limiti dell'Opere Pie? I limiti erano che molto spesso esercitavano la Misericordia -che è una cosa molto positiva ovviamente- senza coniugarla con libertà e uguaglianza; le risorse erano certamente scarse, ma i modelli di riferimento lasciavano spesso a desiderare. Per esempio, tornando ai conservatori, spesso i conservatori venivano ricordati dalle persone che ci erano state come prigioni perché non c'era libertà; le ragazze non potevano uscire, dovevano stare sempre lì, e avevano una disciplina ferrea dalla mattina alla sera press’a poco come i carcerati, tutti dovevano comportarsi alla stessa maniera. Mancava anche l’uguaglianza, perché ospedali e conservatori venivano eretti a seconda dei lasciti fatti alla Chiesa e non con riferimento alle necessità oggettive dei vari territori.

E passo ad uno stadio successivo, il terzo, che inizia già nel '400, '500, '600 con le confraternite e poi continua con le società di mutuo soccorsoe con le cooperative.

Qual è la caratteristica che differenzia molto il terzo stadio dalle Opere Pie? Siamo in realtà i una prospettiva interamente nuova: invece di una carità data dall’alto da chi ha verso chi non ha, si pratica il self-help, cioè l’autoaiuto, la gente si aiuta reciprocamente all'interno di certe categorie che potevano in qualche maniera autogovernarsi. Le confraternite erano collegate alle corporazioni, cioè erano legate ai vari lavori delle corporazioni, ciascuna delle quali formava una confraternita. Spesso le confraternite avevano un carattere solo religioso, finanziavano funzioni religiose, per esempio, i funerali o i matrimoni, davano aiuto alla Parrocchia, però si trovano parecchie confraternite che avevano anche una caratteristica di mutuo soccorso nel momento del bisogno verso i membri della confraternita stessa.

Il mutuo soccorso venne poi sviluppato separatamente a partire dal '700, con le cosiddette Società di Mutuo Soccorso,

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones che è un’espressione che mi è sempre piaciuta molto. In inglese, essa suona completamente diversa perché si chiamano friendly societies -società amichevoli- che esprime il concetto in maniera molto meno pregnante. In Società di mutuo soccorso c’è l’aggettivo mutuo, che richiama la reciprocità e poi c’è il sostantivo soccorso, che è una parola più chiara rispetto a friendly, aggettivo piuttosto generico.

Ebbene, queste Società di mutuo soccorso vivevano sui contributi dei soci e davano varie forme d’aiuto quando le persone erano disoccupate, quando moriva una persona in famiglia e c'erano degli orfani e delle vedove, quando, appunto, uno non aveva i soldi per farsi il funerale, ma curavano anche le scuole popolari, per togliere le persone dall'ignoranza, e le biblioteche popolari. Un altro merito delle società di mutuo soccorso è quello di avere costituito la base di conoscenza e di relazione per la formazione di cooperative. La grandissima maggioranza delle prime cooperative erano imprese di produzione di qualche cosa, che stavano sul mercato, ma che con un’impostazione diversa dalle impresse capitalistiche dal punto di vista dei rapporti all'interno dell'imprese. La nascita delle cooperative è stata molto incentivata dalle Società di mutuo soccorso, perché i soci di tali società quando si trovavano discutevano dei propri bisogni. Per costruire una cooperativa qual è il primo problema? Il problema principale è conoscersi, avere delle persone che si conoscono e si fidano una dell'altra perché costruire una cooperativa fra perfetti estranei fra cui non c'è fiducia è impossibile. Per esempio, la casa era uno dei grandi bisogni o il problema dei negozianti che alzavano troppo i prezzi. Da qui le cooperative di abitazione e di consumo.

La parte positiva di tutto questo movimento di confraternite, società di mutuo soccorso e cooperative è il self-help, l'autogovernarsi, il fatto, vale a dire, che non è qualche cosa che cala dall'alto, ma è una fraternità veramente vissuta con responsabilità in prima persona.

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Qual era il limite di questo nuovo modo di istituzionalizzarsi della fraternità.? La mancanza di universalità, un limite che avevamo già trovato anche nelle Opere Pie perché è evidente che vivendo sui contributi dei soci bisognava che i soci guadagnassero almeno abbastanza per poter vivere e poi pagare anche il contributo alle Società di mutuo soccorso o avere un’attività che stava sul mercato nel caso delle cooperative. Queste condizioni non erano generalizzate e quindi erano tutte forme di fraternità che lasciavano fuori grosse fette di umanità.

Prima di passare agli stadi successivi, mi volevo soffermare un attimo a sottolineare che il ruolo della Chiesa fu grande in tutti e tre gli stadi di cui ho parlato. Nel caso dei monasteri, è talmente ovvio che non vale nemmeno la pena di spendere parole, perché i Monasteri li hanno costruiti proprio i monaci della Chiesa Cattolica. Ma, anche nello stadio delle Opere Pie e in quello delle confraternite, Società di mutuo soccorso e cooperative, va detto che che la Chiesa ha svolto un ruolo molto importante. In primo luogo nel caso delle Opere Pie c’erano molte congregazioni religiose che fondavano queste Opere Pie direttamente, le amministravano e vi lavoravano, ospedali. Ma anche quando questi istituti non erano fondati direttamente da religiosi o da congregazioni, di chi si poteva fidare il munifico donatore che fondava per esempio un ospedale se non di personale fatto di monache o preti?

Fu la Rivoluzione Francese che cominciò a sottrarre una parte dell’amministrazione delle Opere pie alla Chiesa Cattolica e poi successivamente i governi nazionali. Ma anche nelle cooperative, Società di mutuo soccorso, confraternite, ecc. il ruolo della Chiesa fu importante in molti paesi, per esempio in Italia, dove la Chiesa ha appoggiato molto questi movimenti e addirittura nel caso delle cooperative ha incentivato la formazione di cooperative cattoliche. In alcuni casi erano gli stessi parroci chevi si impegnavano. Io ho cominciato la mia attività accademica girando per le campagne della Lombardia,

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones perché il mio professore dell'Università Cattolica voleva raccogliere testimonianze attraverso documenti che si trovavano nelle parrocchie delle attività dei parroci nelle Casse rurali, nelle cooperative di consumo, nelle latterie sociali, insomma, in tutta una serie di attività di questo genere dove il parroco costituiva veramente il centro delle attività di solidarietà della comunità.

Il passo successivo è il Welfare State. Come sempre succede, i periodi storici un po' s’intersecano, perché sicuramente il primo esempio di Welfare State è del 1597. Qualcuno si può meravigliare, pensando che il Welfare State sia stato inventato da Lord Beverige durante la seconda guerra mondiale. Le prime “poor laws” -leggi per i poveri inglesi- sono in realtà del 1597. Successivamente anche alcune municipalità francesi andarono nella medesima direzione, basando l’intervento sulle parrocchie, e quindi molte altre località dell’Europa. Si formò dunque una rete di carattere locale, amministrata dalle autorità locali, d’intervento pubblico per fronteggiare problemi di disoccupazione, problemi di disgrazie della vita, e così via. Arriviamo così al famoso intervento tedeesco degli anni 1880, quando Bismark decise per mantenere la pace sociale di introdurre le principali "assicurazioni sociali", contro la malattia, per la pensione, e contro gli infortuni sul lavoro. Erano tre assicurazioni, in seguito ne venne introdotta una quarta contro la disoccupazione, che è molto successiva. Questo fu un modello che ebbe un grandissimo successo, cominciò ad essere imitato fino al momento in cui negli 1930 in Svezia decisero di universalizzarlo ancora di più. Bismark l'aveva applicato ai lavoratori, mentre la Svezia negli anni 1930 cominciò a dire che era un diritto di cittadinanza e quindi andava applicato a tutti indipenden-temente dal fatto che fossero lavoratori o no. Quest’idea svedese viene poi accolta da Lord Beveridge e l'Inghilterra divenne insieme alla Svezia uno dei primi sperimenti di quest’universalizzazione della sicurezza sociale, delle assicurazioni sociali, un universalismo che rimane però

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones naturalmente nazionale e non supera i confini delle nazioni per cui può esistere in Inghilterra, può esistere in Svezia e può non esistere per nulla in Marocco, quindi un universalismo nazionale.

Questo è un altro passaggio importante perché voi dovete pensare che i vecchi -una volta arrivavano in pochi ad essere vecchi perché la speranza di vita era ferma a trentacinque anni- erano totalmente dipendenti o dalla carità pubblica o dai loro figli, perché non guadagnavano più niente. Ci sono dunque degli aspetti molto positivi in questo stadio della istitu-zionalizzazione della fraternità, essendoci una compensazione a livello generale fra chi paga e non riceve perché sta bene, non ha degli infortuni sul lavoro, e tutto sommato la pensione potrebbe pagarsela da sé, e invece chi da questo sistema generale riceve tutti i benefici. Tuttavia in questo caso i limiti sono molto pesanti. Qual è il difetto peggiore del WelfareState? Il difetto peggiore che è stato notato da moltissimi è che coniuga la solidarietà con l'uguaglianza, ma, niente affatto con la libertà e con la diversità che è implicita -come si diceva prima- nel concetto di fraternità. E’ un ugualitarismo spesso incapace di far fronte veramente ai problemi delle persone, sempre meno partecipativo, sempre meno condiviso, sempre meno individualizzato, amministrato spesso in maniera eccessivamente burocratica, e quindi, anche con con costi elevati.

Devo dire che mi ha sempre un po' intrigato il fatto che proprio nel periodo del Welfare State c'è il grande sviluppo del volontariato, e mi sono sempre detta, perché? Secondo gli intendimenti di chi l’aveva concepito, il Welfare State doveva far fronte a tutti i problemi. Lo sviluppo del volontariato dimostra però che non è affatto vero che il Welfare State è in grado di far fronte a tutti i problemi, proprio perché il welfare state è troppo poco individualizzato, è burocratico e generico. Ma un altro grave difetto del welfare state è che ha deresponsabilizzato completamente le persone, per cui tutti coloro che invece

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones amano esercitare la propria responsabilità decidono di esercitarla in un'altra maniera, che è la maniera del volontariato. Quindi, vedete come da tanti punti di vista questo Welfare State ha avuto dei limiti gravi: burocratizzazione, spersonalizzazione, genericità, costi elevati, ma, anche de-responsabilizzazione della gente e comunque incapacità di far fronte alle mille problematiche che sono diverse delle varie persone. Si è così tanto allaontanato dalla sua radice ideale che molti non riconoscono più nel welfare state la fraternità di fondo. Mantiene tuttavia il suo aspetto positivo che è quello dell’universalità.

Un'ultima istituzionalizzazione della fraternità voglio ricordare. E’ anche questa un’istituzionalizzazione avvenuta in tempi piuttosto recenti, anzi, ancora più recenti del Welfare State ed è l'istituzionalizzazione dei cosiddetti aiuti allo sviluppo. Gli aiuti allo sviluppo hanno due declinazioni principali, una nazionale, e sono le politiche così dette di sviluppo regionale; e un’istituzionalizzazione internazionale, invece, e sono le note politiche, appunto, d’aiuto allo sviluppo. Nei casi nazionali ci sono paesi che hanno veramente fatto molto in questa direzione; di solito sono politiche, almeno fino a tempi recenti, amministrate dall'alto, dallo Stato, e quindi hanno caratteristiche di statalismo molto pesanti in cui raramente si chiede il parere di quelli che ricevono queste politiche; in più soffrono di una mediazione politica molto forte, quindi sono sottoposte a grandi episodi di corruzione. Vi potrei fare l'esempio italiano: alla fine abbiamo deciso di fare basta con le politiche regionali, perché non ne potevamo più della corruzione che era loro collegata. Tuttavia innegabilmente hanno anche avuto degli aspetti positivi, perché una volta se un'area non era capace di svilupparsi nessuno se n’occupava; invece con le politiche regionali, si è affermata un'attenzione al problema.

La stessa cosa -forse peggio- si potrebbe dire degli aiuti allo sviluppo a livello internazionale. Anche in questo caso si tratta di una cosa nuova: in passato un paese che era povero veniva

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones colonizzato, visto che era povero intanto non resisteva, e si portava via tutto quello che si poteva. Quindi apprezziamo la differente impostazione, il differente approccio, non buttiamo via tutto con gli aspetti negativi che pure questi aiuti allo sviluppo hanno; non possiamo infatti non ricordarci qual era la situazione precedente, una situazione non solo di totale indifferenza rispetto ai destini dei paesi che non erano in grado di svilupparsi, ma, addirittura di sfruttamento di questi paesi. Con questo non mi nascondo che gran parte degli aiuti allo sviluppo non sono direzionati in maniera valida, hanno dei grandissimi problemi, che dovrebbero costituire oggetto di approfondimento nelle discussioni e nei tentativi di miglioramento di oggi. Infatti, sono anch’essi legati ad assistenzialismo o statalismo, soffrono di un atteggiamento molto paternalistico in cui non s’instaura un rapporto diretto di consultazione con coloro che devono essere aiutati. Anche in questo contesto e proprio per i difetti di questi aiuti allo sviluppo si è sviluppato un volontariato, quello delle organizzazioni non governative (ONG), che cercano, come possono, di contrastare gli aspetti negativi degli aiuti allo sviluppo di carattere ufficiale, statale e degli organismi internazionali.

Tuttavia anche le organizzazioni non governative, così come in molta misura il volontariato a cui facevo riferimento prima, spesso sono costrette a venire a patti con i canali ufficiali degli aiuti internazionali perché le risorse che utilizzano sono in larga misura risorse degli organismi internazionali o degli stati. Ciò fa sì che nemmeno le organizzazioni non governative siano in grado di esercitare al meglio quella loro capacità di fraternità corretta, giusta, che avrebbero la possibilità di esercitare perché, come dire, sono collocati in una situazione istituzionale sfavorevole. Per farvi un esempio, adesso lavoro in un’orga-nizzazione non governativa, faccio parte del consiglio d’ammi-nistrazione di un’organizzazione non governativa italiana. Questa organizzazione ha dei rapporti di lunga data con alcune comunità in Africa come in America Latina, come in Bosnia e in Albania e nell'ultima riunione i dirigenti ci dicevano, "l'Unione

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones Europea manda fuori dei bandi, dove indica perentoriamente che cosa vuole che noi facciamo; se noi non facciamo quello che dicono loro non ci danno i soldi, e per i progetti che abbiamo noi, che sono progetti disegnati in collegamento con le comunità locali facciamo fatica a trovare dei finanziatori”.

Questa mia carrellata vi ha fatto vedere che la fraternità si è istituzionalizzata e ha cambiato veramente la società. Quindi io non condivido affatto il grande pessimismo che è stato qui agitato: forse si guarda alla perfezione e ne siamo certo molto distanti. Guardiamoci invece un attimo indietro -io che sono una storica ho facilità a fare questi confronti- e chiediamoci: come vivevamo solamente cento anni fa, non parliamo di mille anni fa, in che mondo vivevamo?

Ora, siamo di fronte, certamente, ad una nuova sfida, perché ciascuna società vive qualche nuova sfida, altrimenti sarebbe finita la storia, come ha detto Fukuyama; ma la Storia non è finita perché ciascuno deve esercitare la propria libertà, altrimenti non si può presentare di fronte al Signore, dicendo ecco qua degli altri talenti. Siamo di fronte dunque ad una nuova sfida, quella di andare avanti rispetto alle acquisizioni che sono state fatte per merito di tutti i nostri predecessori che hanno speso grande fatiche, grandi sforzi, eroismi a volte, tutti i nostri Santi, per esempio, quanti di questi si sono spesi proprio in questo iter che ho tracciato.

Dunque qual è la sfida? Secondo me, raccolgo qui molti dei suggerimenti che sono stati avanzati precedentemente. La prima sfida è quella di esercitare la fraternità accettando le differenze, quindi, mettendosi di fronte al problema che non si può conculcare la libertà delle persone. Occorre rendere compatibili queste differenze, cioè per far convivere i diversi riuscendo a trovare un modo di stare insieme,senza ridurre tutti a copie conformi. Lasciatemi fare qui una mia battuta un po' polemica nei confronti degli Stati Uniti.

Gli Stati Uniti criticano molto il processo di integrazione Europea e sostengono che non riusciamo mai a decidere niente

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones perché ciascuno deve dire la sua uno parla in greco, l 'altro parla in danese, l'altro in olandese, nessuno si capisce e così via. Non è tanto più bello il sistema americano dove tutti parlano in inglese, tutti pensano uguale e così via? Ebbene no, non è più bello. Io preferisco di gran lunga un sistema in cui si fa della fatica a comprendersi, però si cerca di valorizzare ciascuno per la sua capacità e la sua caratterizzazione piuttosto che un sistema che, magari, forse è anche un pochino più efficiente (non lo so, sul lungo periodo non ci metterei la mano sul fuoco, sembra più efficiente magari sul breve periodo), ma tende a ridurre tutti quanti ad un pensiero unico, ad una forma unica. Una simile società, secondo me, non può avere futuro. Dunque, accettando le differenze e attrezzandoci a renderle compatibili, l’Europa sta diventando un modello per l’integrazione di altre aree mondial; è un lavoro difficile, però, anche molto appassionante, ed è un lavoro, tra l'altro, che rassicura nei confronti del futuro perché non impedisce a tante creatività, a tante idee diverse, a tante sensibilità diverse di continuare a mostrare gli aspetti positivi che possono essere portati avanti da ciascuno.

La seconda sfida è quella di applicare il vero universalismo. Cioè, un universalismo nei valori, ma non nell'applicazione pratica, chedeve tenere in conto, naturalmente, della diversità. Quindi, un universalismo che non deve avere dei confini solo nazionali, ma deve mondializzarsi.

La terza sfida sta nel promuovere istituzioni che mettano in pratica la fraternità, la relazione, il coinvolgimento attivo, perché altrimenti, nell’attesa che tutti quanti si rendano conto che la fraternità è meglio della non fraternità, nessuno la pratica più e così si perde anche l'idea della sua esistenza. In questo senso, capisco quando Viola dice: "la fraternità è inafferrabile ". Forse è inafferrabile dal punto di vista assolutamente generale di un sistema giuridico complessivo, ma non lo è affatto dal punto di vista dell’istituzione, e quindi la sfida è continuare sulla strada di produrre istituzioni di solidarietà che oggi passano attraverso

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones cooperative sociali, attraverso cooperative di vario genere, attraverso imprese sociali, attraverso un modo diverso di fare economia o di fare società, con il coinvolgimento della relazione, del riconoscimento dell'altro, della appartenenza e così via.

Una riflessione finale sulle difficoltà. Se un discorso come quello che ho fatto può essere razionalmente compreso da chiunque, la sua applicazione è però particolarmente dura, perché va contro l'egoismo. L’egoismo ce l’abbiamo tutti e quindi è una lotta dura. Per realizzare la vera fraternità non bastano le leggi, che sono necessarie, non bastano le istituzioni, che sono importanti, ma occorre una disposizione d'animo al coinvolgimento. E penso in questo senso che i cattolici abbiano un vantaggio comparato, e dico cattolici e non cristiani perché ahimè molti sono i cristiani che non conservano più questa caratteristica, che non danno più importanza all'aspetto relazionale. I cattolici hanno ampiamente coltivato le relazioni orizzontali e non solo quelle verticali nella ricchezza dei movimenti, delle istituzioni religiose, delle congregazioni, delle associazione cattoliche d’ogni genere, e l'hanno potuto fare perché conservano al centro della loro fede questo comandamento di Gesù: "Ama Dio sopra ogni cosa e il prossimo tuo come te stesso". Essendo figli dello stesso Padre, sono particolarmente in grado di realizzare tutti quei movimenti verso la fraternità che anche altri possono comprendere, ma che altri non sono così fortemente attrezzati per realizzare perché non hanno né il fondamento giusto, né l'aiuto dato dai Sacramenti, l'aiuto concreto a continuare ad andare contro al proprio egoismo. Quindi c'è una responsabilità importante, fondamentale, dei cattolici di portare avanti le istituzioni di fraternità, perché sono nelle condizioni migliori per riuscire a realizzarle; altri possono comprenderle, ma realizzarle è molto difficile perché, ripeto, ci vuole una disposizione d’animo che le leggi non sono in grado di creare.

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones DIÁLOGO

- Prof. Baggio: Davanti alla sintesi storica proposta dalla professoressa Zamagni, mi sembra importante cercare di distinguere - all'interno delle diverse forme d’istituzionalizzazione della fraternità, che cosa è realmente fraternità e che cosa, invece, si potrebbe forse meglio definire come solidarietà. La differenza non è di poco conto. Mi ricordo che due anni fa, ad Haiti, nel corso di un Convegno dedicato proprio a questi temi, un professore di diritto costituzionale attaccò duramente la fraternità; egli sosteneva che c’era ancora tanto da fare per realizzare la solidarietà, e che non valeva la pena di introdurre il concetto di fraternità; contemporaneamente, attaccava la Chiesa, proprio perché vedeva che Essa si faceva interprete dell’esigenza di fraternità. In effetti, come ho avuto modo di appurare successivamente, prendendo informazioni su di lui, egli attaccava la fraternità proprio allo scopo di attaccare la Chiesa, poiché temeva che la società civile, sotto lo stimolo della Chiesa -e questo è accaduto spesso in passato, come Vera ci ha spiegato-, si organizzasse in maniera autonoma e non fossero più i partiti, come centri di potere, a garantire la beneficenza. La mia risposta fu che era necessario mantenere la distinzione tra solidarietà e fraternità: mentre infatti la fraternità richiede rapporti tra pari, la solidarietà è possibile anche dall’alto; cioè si può conservare una posizione di forza anche essendo solidali, dato che la solidarietà, di per sé, come è comunemente intesa, non mette in discussione le relazioni di potere. Questa distinzione potrebbe essere un inizio per distinguere i suoi concetti.

Sul piano degli ordinamenti giuridici le cose non sono così semplici. In Francia, ad esempio, dove la fraternità è proclamata, e lo Stato fa politiche che chiama di fraternità, in realtà si pratica la solidarietà, cioè un aiuto dall'alto. Si chiama fraternità, dunque, ciò che, in realtà, è solidarietà. Ma in Francia i difensori dell’idea di fraternità -pur così intesa- non intendono assimilarla alla solidarietà, perché ritengono che la fraternità trasmette il senso di un vincolo d’obbligatorietà più forte rispetto alla solidarietà, che viene invece intesa come facoltativa.

In Italia le cose sembrano porsi diversamente. Uno studio recente del prof. Filippo Pizzolato sottolinea che la fraternità, pur non essendo dichiarata nella Costituzione, agisce in effetti come un principio costituzionale, servendo spesso come chiave d’interpretazione anche per gli altri principi che la Costituzione dichiara. E fa degli esempi di leggi italiane e di sentenze della Corte Costituzionale che risultano applicative del principio di fraternità. La situazione per Francia e Italia, dunque, è un po' paradossale: lo Stato che dichiara la fraternità applicherebbe in realtà

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones la solidarietà; quello che non dichiara la fraternità, l'Italia, darebbe una maggiore applicazione della fraternità autentica.

Dal punto di vista giuridico, non si usa il termine fraternità in Italia perché non c'è una tradizione giuridica in questo senso. Il professor Galeotti ha introdotto una distinzione tra “solidarietà orizzontale” e “solidarietà verticale”. Lo studio di Pizzolato sostiene che la fraternità viene in effetti assimilata alla solidarietà orizzontale; in tal modo, la differenza tra fraternità e solidarietà viene riportata all'interno del concetto di solidarietà: la solidarietà verticale è quella che può essere fatta dalle istituzioni, quella orizzontale è quella che può essere fatta, invece, dalle formazioni sociali, nei rapporti tra i privati anche con valenza pubblica, e che l'ordinamento giuridico può favorire. - Profssa. Vera Zamagni: sì, dunque, io non mi sono mai addentrata in questa discussione della differenza tra fraternità e solidarietà perché c'è una cosa che hai detto che condivido molto, cioè, sono tradizioni un po' diverse, ma spesso è all'interno della stessa fraternità o della stessa solidarietà che si declinano le differenze, non necessariamente una sola parola, tutte e due possono coinvolgere concetti diversi. Quindi, non mi addentrerei tanto nella loro definizione.

Quello che vorrei invece sottolineare è che mi sembra importante ricordarsi che il concetto più valido, più alto di fraternità è il concetto che implica l'uguaglianza e la libertà, cioè, che tutti siano uguali e che non ci sia uno che dall'alto provveda a qualcuno che è passivo, ma, che ci sia una relazione, un coinvolgimento, un'appartenenza. Però, la realtà è poi quella che è, nel senso che questo deve essere l'obiettivo, ma non sempre è il punto di partenza. Io se mi trovo una persona -e purtroppo spesso accade - che è analfabeta, che è un barbone, ecc., cosa devo fare? Lasciarlo lì perché non posso fare la solidarietà orizzontale, la fraternità orizzontale? Non faccio niente perché qualunque cosa faccia ha un carattere di solidarietà solo verticale? No, lo prendo com’è e se posso cerco di ricuperarlo ad una sua capacità di coinvolgimento vero, ecc., quello sarebbe l'obiettivo.

Prima, lei, Eccellenza, ha detto una cosa che condivido tantissimo. La Caritas, a volte, ha dei problemi in questo senso, perché purtroppo non fa niente per cercare di recuperare l'altro ad un progetto di fraternità più coinvolgente, e invece, da loro da mangiare e basta. Però, in certi casi, le cose non possono andare diversamente da così. Quindi, dipende anche dalla situazione in cui ci troviamo per cui, per esempio, tante delle opere pie di cui parlavo prima, messe in piedi da frati o da suore che conoscevano benissimo il concetto corretto di fraternità, erano delle opere in cui c'èra solamente una misericordia nei confronti della gente,

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones ma non più di questa, perché nient’altro, in realtà, si poteva fare in quelle condizioni storiche, in quella situazione. Per cui, al di là, ripeto, della definizione, bisogna anche osservare che sono le circostanze che determinano un certo intervento piuttosto che un altro. Certo che bisogna ricordare che comunque l'obiettivo è la fraternità è quello che l'altro diventi un uguale se non lo è già all'origine. - Prof. Viola: innanzi tutto ti volevo ringraziare per questo quadro così sinteticamente completo delle istituzioni di fraternità, che indubbiamente è anche di completamento dei nostri discorsi, perché, insomma, si tratta anche di guardare quello che viene fatto concretamente, cioè come la fraternità cammina concretamente nella storia umana. Quindi, si tratta di un contributo molto utile.

Guardando in generale, però, questa storia dell’istituzione della fraternità, certamente penso che su questo sarai d'accordo, lo spirito di fraternità di queste istituzioni è stato anche diverso. Credo che si possa dire - non sono un competente di storia delle istituzioni - ma credo che si possa dire che, mentre quel filone che è nato dai Monasteri è stato sostenuto da una fraternità già operante che è quella del cristianesimo e della fraternità cristiana, non lo stesso è avvenuto per quelle strutture istituzionali originarie dello Stato moderno. Lo Stato moderno ha dimostrato una chiusura fagocitante. Per il suo stesso dinamismo tende ad appropriarsi di tutte le istituzioni che si muovono al suo interno, per far valere una sorta di monopolio, come diceva Max Weber, su tutto ciò che si muove al suo interno e quindi conseguentemente ha anche delle istituzioni che erano sorte invece con un altro spirito, in un altro modo. Io direi che l'emblema di tutto questo è il Welfare State, perché il Welfare State, in sostanza, io non so se si possa veramente definire un’istituzione di fraternità. In quest’ottica, in questa logica, appartiene, senza dubbio, come tu hai detto ad una storia, alla storia delle istituzioni di fraternità, ma, che sia un’istituzione di fraternità il Welfare State che poi ha promosso un cittadino come cliente, diciamo, di un servizio pubblico piuttosto che quel coinvolgimento attivo che tu giustamente richiedevi per la fraternità, non credo che, appunto, questo non si può dire.

Ora, è interessante notare come, mentre istituzioni di fraternità sorte dallo spirito religioso avevano quell’animo, quell’ispirazione interna, quelle dello Stato moderno sostituiscono al fratello cristiano, il cittadino, il fratello diventa il cittadino. È interessante notare che nella Rivoluzione Francese alcuni sostengono -io questo mi pare che l'ho messo in nota della mia relazione- che il termine di fraternità sia derivato nella Rivoluzione Francese dall'uso proprio delle confraternite, perché i

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones rivoluzionari francesi si rendevano conto che dovevano, per così dire, dare un'anima alla Rivoluzione e un animo e una certa continuità con il passato, la libertà e l'uguaglianza rappresentava una rottura con il passato, mentre la fratellanza rappresentava una continuità anche se debole, però questa fratellanza era, ormai, cambiata.

Ora, il problema di oggi, io credo, sia quello che l’avventura dello Stato moderno ha raggiunto il suo capolinea, questo è il punto. Lo Stato moderno con quella fraternità, diciamo, surrogata che aveva preso il posto del cristianesimo, il surrogato della fraternità cristiana, ha raggiunto il suo capolinea. Per cui, oggi, il problema delle istituzioni di fraternità è un problema nuovo. A quale senso di fraternità noi possiamo fare appello per costruire nuove istituzioni, anche politiche? Perché a questo punto il problema è proprio questo, cosa verrà al posto dello Stato moderno nel panorama internazionale dal punto di vista delle strutture politiche? Queste strutture politiche su quale senso di fraternità si baseranno? Certamente è improbabile che si basino sul senso religioso cristiano, se non addirittura cattolico, è molto improbabile che si basino almeno vista la situazione attuale, ed è improbabile anche che si basino su quel senso di cittadinanza che è tipico dello Stato moderno. Quindi la situazione di oggi è proprio quella della ricerca di una fraternità che, però, in un certo senso, deve essere presupposta alle istituzioni di fraternità. Le istitutzioni dei Monasteri sono sorte perché già c’era uno spirito cristiano, quelle dello Stato perché già cominciava a serpeggiare lo spirito della cittadinanza, ma le istituzioni della globalizazione quale forma di fraternità porteranno dentro di sé? Questa diciamo è una domanda. In questo caso la domanda è difficile quanto la risposta, no? - Profssa. Vera Zamagni: io non risponderò alla tua domanda, non sono in grado. Però, faccio due commenti. Il primo commento è questo: non mi disturba più di tanto l'appropriazione, che poi abbia i suoi difetti l'abbiamo detto, ma, comunque, è un passo in avanti. Io sono del parere che l'universalismo che è stato portato dal Welfare State sia qualche cosa da cui non dobbiamo tornare indietro, se mai dobbiamo declinarlo diversamente, ma il Welfare State ci ha detto che tutti i cittadini devono avere strutture di solidarietà e io non voglio tornare indietro rispetto a questo.

Un po' come nel caso della cooperazione. Noi, io e mio marito, sosteniamo molto la cooperazione, in tanti contesti andiamo discutendo, andiamo facendo lezioni su questo tema della cooperazione, e qualcuno a volte ci dice, "ma molte idee della cooperazione sono state copiate dalle imprese capitalistiche". Dico, "bene, meno male”! Ne consegue che allora la cooperazione non è più utile perché le imprese capitalistiche

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones hanno già copiato alcune delle loro caratteristiche? Non credo. Intanto non le hanno copiato tutte, e secondariamente le cooperative possono fare un altro passo in avanti, così copieranno qualche altra cosa e nel frattempo inciviliamo la società. Ho, cioè, una concezione più positiva dell’appropiazione, capisco che c'è da tanti punti di vista un tradimento, però, in una certa misura è un risultato positivo perché ho fatto fare un passo avanti alla società nel frattempo.

L'altro commento che voglio fare é il seguente. Tu dici che è molto improbabile che qualunque soluzione futura del tuo problema cui non sono in grado di rispondere, qualunque soluzione futura non si baserà sul senso cattolico. Ma chi lo ha detto? Non ho capito perché deve essere così; dipende da noi, se noi non siamo in grado di produrre qualche idea buona, qualche istituzione buona, qualche realizzazione buona, andrà così. Ma, se invece siamo in grado, perché non dovrebbe essere così? In passato è stato tante volte vero che i cattolici hanno proposto soluzioni di successo, non riesco a capire per quale motivo non lo possa essere anche in futuro, questo dipende da noi, dalla nostra capacità di proporci adesso non con idee vecchie e già superate. - Prof. Viola: infatti, il libro di Macintayre si chiude con un invito a ritornare ai Monasteri. - Prof. Savagnone: Intanto anche io ti ringrazio di questa bella visione di insieme. Il mio intervento si muove sulla stessa lunghezza d'onda di quello che ha detto Franco. Anch’io vedo come unico limite della tua sintesi una certa mancanza di scansione storica, che forse però è un prezzo inevitabile della brevità del tempo a disposizione. Proprio in quest’ottica, vorrei osservare che quanto tu hai detto sui progressi della fraternità nell’epoca moderna rischia di dar l’idea di una continuità tra quest’epoca e quella medievale, mentre fra le due c’è il salto determinato dalla nascita dello Stato sovrano, che si pone al di sopra di una società ormai spogliata della sua dimensione comunitaria. Insomma, nell'età medievale c'era una comunità, che poi è venuta meno, sostitutita dallla bipolarità tra uno Stato separato e una società dominata da spinte individualistiche. In questo contesto, i tentativi dello Stato di intervenire a favore di più deboli non sono stati espressione di una reale fraternità, ma di una logica burocratica. Ancor meno lo sono stati quando erano sottilmente condizionati da interessi particolaristici che venivano dalla società. Faccio un esempio concreto. Tu ti riferivi alla legge sui poveri, in Inghilterra. Però la legge sui poveri, come tu sai benissimo, di fatto fu prima uno strumento dello sfruttamento dei contadini e poi, nel 1833, fu cambiata in un modo tale che sostanzialmente portò alla

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones irreggimentazione dei poveri nelle "Work House". Dietro di essa c’era uno Stato che in questo modo praticamente mirava a gestire le masse lavoratrici. Certo, la solidarietà probabilmente ha fatto dei passi avanti perché, rispetto alla morte per fame, tutto questo ha costituito sicuramente un miglioramento. Però, se parliamo di fraternità, non mi sentirei di dire che la legge sui poveri è sulla linea della fraternità. Forse lo è di più quello che è avvenuto in Italia con l'Opera dei Congressi alla fine dell’Ottocento, quando, per impulso della Chiesa Cattolica - ma contro lo Stato -, furono promosse forme concrete di soliarietà per favorire il mondo dei contadini poveri e diseredati. Ma anche qui non c’è continuità con il Medio evo, perché siamo di nuovo nella logica di quel dualismo tra Stato e società civile a cui prima accennavo e di cui bisognerebbe sempre tenere conto quando si parla di questi problemi nell’età moderna. In ogni caso ti do pienamente ragione, quado dici che là dove le iniziative di fraternità sono state avviate, spesso sono state ispirate dal cristianesimo e in particolare dal cattolicessimo. - Prof. Stefano Zamagni: Penso che la confusione derivi proprio dal fatto che il principio di solidarietà sia confuso con quello di fraternità. E la confusione, nel senso letterale di "con-fondere" -"fondere assieme"- è appunto il risultato del Welfare State perché la storia che la Vera ha raccontato va bene, ma, il Welfare State non è affatto un’istituzione di fraternità; è un’istituzione di solidarietà.

Bismark, crea il prototipo di Welfare State per una ragione ben specifica, per ragioni politiche, non gli importava tanto dei poveri, piuttosto aveva paura dei socialisti. E qui i documenti storici parlano chiaro. Quindi, non era mosso da intenti di fraternità, ma, da intenti del mantenimento del potere. Ma, soprattutto è vero che l'avvento del Welfare State rappresenta il caso più importante nella storia contemporanea di crowding-out effect, cioè, d’effetto di spiazzamento, il Welfare State ha piazzato dall'orizzonte sia teorico che sia pratico il principio di fraternità sostituendolo con quello di solidarietà.

Ora, non necessariamente questo è male, io non sono di quest'idea, io penso che sia stato invece, una grande conquista, l'ho detto anche ieri quando ho spiegato i limiti del Welfare State che nel triangolo occupava il lato di sinistra. E il mio limiti è che, appunto, il Welfare State non è per definizione in grado di rappresentare la fraternità, mentre rappresenta la solidarietà. E la differenza è proprio lì, che mentre la solidarietà è compatibile con l’indecenza, la fraternità proprio perché postula la reciprocità, garantisce la decenza, uso il termine di decenza nel senso di Margalit questo filosofo morale israeliano che insegna all’Università di Tel-Aviv che appunto ha scritto questo libro molto bello pubblicato alcuni

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones anni fa, La società decente. L'idea centrale di Margalit è proprio questa, quando la società diventa indecente? Quando umilia i propri cittadini.

Quindi noi possiamo avere una società giusta, ma, indecente. Il Welfare State è un’istituzione che garantisce la giustizia o la garantisce meglio rispetto a prima, però tende ad umiliare e quindi è indecente. Fra l'altro questo ci aiuta anche a capire la crisi del così detto socialismo, la bandiera del socialismo è stata la bandiera della società giusta, oggi dopo avere ottenuto quel tipo di giustizia gli uomini reclamano la decenza, cioè, non essere umiliati. E quando si è umiliati? Si è umiliati quando la persona perde la stima del sé, quella che Adam Smith chiamava la self-esteem. Quando ognuno di noi perde la stima in se stesso perde la dignità, e quando si perde la dignità si può anche vivere bene dal punto di vista materiale, si può avere lo stomaco pieno, però non si è più persone, si diventa cose o comunque animali. Questo è il vero rischio del Welfare State.

La globalizzazione fa venire meno lo Stato Nazionale, e dunque toglie forza al Welfare State. Ecco, allora qual è il punto d’oggi, la sfida, che noi ci troviamo oggi in una fase molto delicata in cui il vecchio modello di Welfare State non può più reggere, però al tempo stesso non siamo disposti a tornare indietro, non vogliamo rinunciare alla solidarietà che è una cosa buona. E quindi, la vera sfida è, come fare per mantenere la solidarietà che ci ha garantito il Welfare State eliminando però l’indecenza nel senso che ho precisato? Ecco perché oggi si torna a parlare di fraternità. Cioè, oggi noi ricuperiamo la fraternita che il Welfare State aveva messo tra parentesi. E quindi in un certo senso torniamo alla fase precedente che Vera ha descritto.

In questo senso io sono ottimista perché vedo che la nostra tradizione di pensiero, oggi, nell'epoca della globalizzazione è in grado, non dico, di darci risposte, ma, di darci dei principi di risposta, mentre, gli altri, sia i neomarxisti, sia i neo-liberisti devo dire che sono muti, perché provate voi a dire ad un neomarxista come fai a garantire la solidarietà e la decenza, cioè, la fraternità: non ti sa dare risposta, ma, non la sa dare n’anche il neo-liberale.

Quindi io sono ottimista perché vedo che nelle situazioni di crisi, cioè di passaggio, nel senso dell'etimo greco, chi ha possibilità di offrire barlumi di speranza, sono quelli che provengono da una tradizione come la nostra. Questo io ritengo che ci dovrebbe spronare effettivamente a vedere con un certo, come dire, ottimismo il futuro, non perché, ripeto, noi siamo più bravi. Anche gli altri sono bravi. Il problema è che gli altri non hanno le radici e allora la sfida è mettere assieme le radici con le ali. Il punto è che noi cattolici abbiamo perso il gusto delle sfide, abbiamo

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones coltivato, forse troppo il gusto delle radici, dobbiamo mettere un po' di ali. Altrimenti facciamo la fine della colomba di cui parlava Kant. Ma, la colomba di cui parla Kant era sciocca. - Profssa. Vera Zamagni: sì, sì, anche il sindacato si potrebbe introdurre nel mio schema, giustamente.

Io volevo solamente fare due commenti. Uno a quello che diceva Savagnone. Ma è ovvio che ci sono sempre in circolazione politici di vario genere, i personaggi più disparati che cercano di trarre vantaggio non importa da cosa, anche da questi temi di fraternità, solidarietà, e così via. Il fatto che comunque questi devono fare i conti con certe realtà la dice lunga sul perché in Cina o in Africa non abbiano dovuto fare i conti con medesime esigenze; c'erano gli stessi politici che erano ugualmente corrotti, ugualmente sfruttatori e così via, però, di questi discorsi non se ne sono sentiti. Ossia, quando in una società civile come quella occidentale è forte il radicamento di certe esigenze, di certi obiettivi che la gente vuole raggiungere, poi magari i politici lo fanno strumentalmente, ma non possono però non fare i conti con quello che la gente vuole. Quindi, non mi meraviglio che tu dici le motivazioni erano diverse. Bismark non aveva la motivazione giusta, come diceva Stefano, ne aveva un'altra, benissimo. Ma, perché Bismark si è occupato di questo problema? Avrebbe potuto occuparsi di andare.. per farfalle. Se si è occupato di questo problema e ha dovuto prendere questa soluzione è perché era quello che la gente voleva e allora glielo ha dovuto dare sia pur strumentalmente. Quindi, io non mi meraviglio di questo fatto. Posso condividere l'idea di mio marito di differenziare la fraternità dalla solidarietà e questo potrebbe essere uno sviluppo successivo del ragionamento mettendo più a posto le cose. Però, non vi è dubbio che il Welfare State intervenga come generalizzazione di quelle realtà che prima erano state portate avanti dalla società civile. Non è che sia qualche cosa di diverso, è una generalizzazione di quelle realtà che, nel momento in cui subentra lo Stato, vengono amministrate in una maniera che snatura queste precedenti cose in modo sostanziale. - Prof. Stefano Zamagni: il principio della domanda effettiva di Keynes. Il Welfare State è proposto da Keynes per sostenere la domanda. - Profssa. Vera Zamagni: Ma che cosa c'entra Keynes, che arriva decenni dopo l'introduzione del Welfare State? Ma, tu non sai, scusa, il dibattito storico che è avvenuto? Erano le Società di mutuo soccorso che pressarono fortemente perché dicevano, “noi stiamo facendo una cosa utile, importante che la gente vuole, ma non abbiamo le risorse, quindi lo Stato deve intervenire per dare le risorse e la generalizzazione di questi

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Epistemología de las Ciencias Sociales. La Fraternidad (2004) CIAFIC Ediciones interventi che noi facciamo". Questo è stato il movimento e poi Bismark lo ha dovuto implementare per i motivi che tu dicevi giustamente. Però, era una fase successiva, ripeto. Concordo e sono stata io la prima a dirlo, sullo snaturamento e anche sul fatto che quello è stato uno snaturamento grave, serio, molto peggiore che non altri. D'altra parte, io stessa ho detto che quasi tutte le realizzazioni, le istituzionalizzazioni della fraternità hanno avuto dei limiti. Io per esempio sono la prima a levarmi il cappello davanti a San Giovanni di Dio che ha introdotto i primi ospedali, però, francamente non avrei voluto esserci in quegli ospedali di San Giovanni di Dio, non solamente perché non c'erano i medici che curavano, ma anche perché, insomma, la gente veniva maltratta ampiamente, venivano fatti stare tre nel medesimo letto, tanto per dire come si viveva in quegli ospedali. Cioè, l'idea dell'ospedale è stata molto importante, ma la realizzazione storica era quella che era in dipendenza del periodo storico in cui si trovava. - Dra. Archideo: Agradezco a la Profssa. Vera Zamagni su magnífica síntesis histórica de las Instituciones de Fraternidad y las distinciones que estableció entre el actuar de unas y otras. Entiendo que el Dr. Sommer nos pondrá al día respecto de las instituciones actuantes hoy.

Agradezco también el aporte de los dialogantes. © 2004 CIAFIC Ediciones Centro de Investigaciones en Antropología Filosófica y Cultural Federico Lacroze 2100 - (1426) Buenos Aires e-mail: [email protected] Dirección: Lila Blanca Archideo ISBN 950-9010-39-1

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