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VERONICA ORNAGHI
E ILARIA GRAZZANI GAVAZZI
Capire la mente attraversoi giochi linguistici: un percorso
educativo sull’uso del lessicopsicologico
ROSALBA CORALLO
Nove volte intelligenti:favole, giochi e attività per svilupparele intelligenze multiple nella scuoladell’infanzia
Materiali,strumenti,spuntioperativi
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CAPIRE LA MENTE ATTRAVERSO I GIOCHI LINGUISTICI
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Uno dei temi da alcuni anni maggiormente indagato in psicologia dello
sviluppo riguarda il ruolo del linguaggio nello sviluppo della «teoria della mente»
nei bambini, quell’insieme di ipotesi e concezioni che essi possiedono relativamente
al mondo interno proprio e altrui. I risultati di numerose ricerche mostrano una certa
relazione di causa-effetto tra la padronanza del linguaggio degli stati interni, o lessico
psicologico, e capacità dei bambini di comprendere gli stati mentali. Per «lessico
psicologico» si intende un tipo di linguaggio composto da termini che si riferiscono astati interni come desideri, emozioni, pensieri, ricordi, intenzioni e così via (Lecce e
Pagnin, 2007). Il bambino acquisisce tale lessico a partire dal secondo anno di vita.
Dapprima compaiono i termini più semplici, detti percettivi, volitivi ed emotivi (che fanno
riferimento a desideri ed emozioni) e, in seguito, quelli più complessi, che rimandano
alla sfera cognitiva, come, ad esempio, pensare, sapere, ricordare, immaginare, credere
(Bretherton e Beeghly, 1982; Bartsh e Wellman, 1995).
Dalla letteratura sull’argomento emerge come sia fondamentale l’uso del linguaggio
psicologico nelle conversazioni tra bambini o tra bambino e adulto. Diversi studi, infatti,
SOMMAR I O
Nel presente lavoro viene proposto un percorso laboratoriale
finalizzato a stimolare i bambini a usare il lessico psicologico
per favorire la comprensione degli stati interni propri e altrui,
competenza cruciale nella relazione con gli altri. Le attività proposte sono accompagnate da storie illustrate
che fungono da spunto per giochi linguistici, conversazioni
guidate e pratiche narrative, il cui obiettivo è principalmente
quello di incrementare l’uso di termini quali pensare, credere,
ricordare, arrabbiarsi e così via.
L’intervento è destinato a bambini di età prescolare e a soggetti
più grandi che presentano difficoltà o ritardi nella compren-
sione del mondo interno proprio e altrui e che, di conseguenza,
intrattengono relazioni sociali poco efficaci.
Capire la mente attraverso i giochi linguistici:un percorso educativo sull’uso del lessico
psicologico
VERONICA ORNAGHI
ILARIA GRAZZANI GAVAZZI
Università degli Studi
di Milano-Bicocca,
Facoltà di Scienze della Formazione
MATERIALI, STRUMENTI, SPUNTI OPERATIVI
Difficoltà di apprendimentoVol. 14, n. 3, febbraio 2009 (pp. xx-xx)
Edizioni Erickson Trento
ISSN 1123-928X ISSN 0393–8859xxxx
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DIFFICOLTÀ DI APPRENDIMENTO N. 3, FEBBRAIO 2009
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hanno messo in luce come i bambini di madri che abitualmente utilizzano termini rife-
riti agli stati interni nelle conversazioni con i propri figli mostrano migliori prestazioni
sia nella frequenza di uso di tale lessico sia nella comprensione della mente (Ruffman
et al., 2002). Altri studi hanno sottolineato il vantaggio di avere fratelli, soprattutto semaggiori, in quanto il bambino precocemente è esposto all’uso del lessico psicologico,
impara a relazionarsi con i pari e a spiegare il comportamento proprio e altrui sulla base
degli stati mentali (ad esempio: «Mi ha rubato il gioco di mano perché lo voleva lui...»
oppure «Mi ha trattato male perché è arrabbiato con me»).
Il percorso che andiamo a proporre, e che si collega all’area di ricerca appena
menzionata, è interamente presentato in un volume dal titolo La comprensione della
mente nei bambini: Un laboratorio linguistico con storie per la scuola dell’infanzia (Or-
naghi e Grazzani Gavazzi, 2009). Il libro è suddiviso in tre parti. La prima è dedicata
all’inquadramento teorico e offre un aggiornamento bibliografico delle principali lineedi ricerca che hanno indagato il legame fra sviluppo del linguaggio e teoria della mente.
La seconda parte presenta i risultati di una ricerca-intervento condotta in alcune scuole
dell’infanzia di Milano e provincia, nelle quali è stato realizzato il percorso educativo
qui proposto coinvolgendo bambini di 3, 4 e 5 anni. Nella ricerca è stata utilizzata la
metodologia del training study, ovvero uno studio diviso in tre fasi: pre-test, training e
post-test. Al fine di verificare le ipotesi di partenza, i bambini sono stati tutti valutati
tramite misure cognitive e linguistiche sia prima sia dopo l’intervento. Inoltre, essi sono
stati suddivisi in gruppo sperimentale (che ha partecipato all’attività laboratoriale) e
gruppo di controllo (che invece non è stato allenato nell’uso del lessico psicologico) perverificare il miglioramento in funzione dell’intervento proposto. Nella terza e ultima parte
del testo viene infine illustrato tale intervento, con uno spazio con la descrizione sia
della procedura sia del materiale utile per la sua realizzazione. Esso consiste di sedici
storie illustrate e di altrettante schede operative che fungono da guida per l’attività di
gioco linguistico.
Training sull’uso del lessico psicologico
Prima fase: predisposizione di spazi, tempi e modi di lavoro
L’attività vera e propria è preceduta da una fase organizzativa finalizzata alla
predisposizione di spazi, tempi e modalità di lavoro.
Trattandosi di un percorso adatto a contesti educativi scolastici, è opportuno
utilizzare un apposito luogo tranquillo e silenzioso, fuori dalla classe, in cui si possa
creare un angolo accogliente e privo di stimoli di distrazione. Inoltre, è preferibile
disporre i bambini in cerchio per favorire la comunicazione fra di loro e non solamente
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con l’adulto. Può trattarsi di un angolo «morbido», arredato con cuscini e materassi
sui quali essi si possono sedere comodamente, oppure di un tavolo attorno al quale
mettersi in cerchio.
Per quanto riguarda i tempi, la nostra proposta prevede un percorso della duratadi due mesi circa, costituito da sedici incontri con cadenza bisettimanale. Ciascun in-
contro dura venti minuti circa: cinque o sei minuti per la lettura della storia e i restanti
per il training linguistico.
Infine, affinché l’attività si svolga al meglio, è necessario che avvenga in piccolo
gruppo, con un numero che varia dai 3-4 ai 6-7 bambini. Può essere utile costituire
gruppi di bambini di livello differente, allo scopo di migliorare, anche in quelli meno
competenti, la capacità di collegare i comportamenti agli stati interni che li hanno
generati.
Seconda fase: lettura della storia
Ogni incontro inizia con la lettura, da parte dell’adulto, di una delle sedici storie
accompagnate da illustrazioni a colori.1 La storia rappresenta un utile spunto per l’ini-
zio dell’attività di gioco linguistico vera e propria. Ogni storia, infatti, si focalizza su
un termine psicologico particolare e anche l’attività successiva di gioco linguistico è
finalizzata ad allenare i bambini nell’uso di tale termine.
A titolo esemplificativo, viene presentata nella scheda 1 una delle sedici storie
che compongono il percorso.
Terza fase: giochi linguistici sull’uso del lessico psicologico
Al termine della lettura di ogni storia, l’adulto dà inizio al gioco linguistico con lo
scopo di incoraggiare ogni partecipante a utilizzare il termine psicologico.
Pur trattandosi di attività che lasciano un buon grado di libertà di gestione da parte
dell’adulto, suggeriamo una procedura ottimale di conduzione del training.
1 Le storie sono state scritte seguendo una serie di criteri.
In primo luogo esse rispettano la struttura tipica della «storia ben formata» (Stein e Glenn, 1979):
introduzione, svolgimento e conclusione a lieto fine.
In secondo luogo, per facilitarne la comprensione, le storie sono state scritte sotto forma di avventure
che accadono agli stessi protagonisti principali. Vengono narrate situazioni di vita quotidiana familiari
ai bambini, come giocare insieme, partecipare a feste di compleanno e conoscere nuovi amici.
Infine, le sedici storie sono state scritte utilizzando un ricco lessico psicologico con termini come, ad
esempio, arrabbiarsi, desiderare, ricordare, pensare, credere e così via. La sequenza delle storie è stata
pensata secondo un ordine che rispecchia il grado di difficoltà e l’ordine di comparsa di tale lessico nel
vocabolario dei bambini: dapprima volitivo ed emotivo e, successivamente, cognitivo (Bartsh e Wellman,
1995; Hughes e Dunn, 1998).
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L’adulto inizia l’attività riprendendo una frase significativa del racconto appena
letto contenente la parola target. Ciò serve per ancorare il training a un contenuto
appena ascoltato. Inoltre, presenta l’attività come un gioco consistente nell’usare una
parola particolare nominata nella storia. La parola in questione viene introdotta tramitela tecnica del «lancio della parola» (Ciceri, 2001), già sperimentata con bambini in
età prescolare.
Da questo spunto prende avvio una conversazione fra i bambini e l’adulto che
gestisce il gruppo, in modo che ciascun partecipante intervenga utilizzando la parola.
Soprattutto con i bambini più piccoli, è molto probabile che nei primi incontri li si debba
stimolare spesso a usare la parola, specialmente quando si tratta di lessico psicologico
cognitivo (pensare, credere). Può essere, allora, utile che l’adulto fornisca alcuni esempi
iniziando egli stesso a utilizzare il termine in questione.
I bambini, solitamente, abbandonano presto il contesto della storia che hannoappena ascoltato per attingere dalla loro esperienza personale e iniziano a intervenire
raccontando episodi della vita quotidiana in cui loro stessi o altre persone hanno spe-
rimentato lo stato mentale a cui rimanda il termine target.
Il compito dell’adulto, a questo punto, è duplice: assicurarsi che tutti intervengano
utilizzando la parola target e utilizzare domande stimolo che permettano di aprire ulte-
riormente la conversazione fra i partecipanti (ad esempio «Quando vi capita di essere
arrabbiati per qualcosa, che cosa fate?» oppure «Come fai a capire che qualcuno è
arrabbiato con te?»).
Al termine dell’incontro, si congedano i bambini riassumendo l’attività del giornoe anticipando quella dell’incontro successivo.
Come guida per l’adulto nella conduzione dell’attività, viene presentata una scheda
di lavoro (scheda 2).
Bibliografia
Bartsch K. e Wellman H.M. (1995), Children talk about the mind, New York, Oxford UniversityPress.
Bretherton I. e Beegley M. (1982), Talking about internal states: The acquisition of an explicittheory of mind, «Developmental Psychology», vol. 18, n. 6, pp. 906-921.
Ciceri M.R. (2001), Comunicare il pensiero, Torino, Omega.
Hughes C. e Dunn J. (1998), Understanding mind and emotion: Longitudinal associations withmental-state talk between young friends, «Developmental Psychology», vol. 34, pp. 1026-1037.
Lecce S. e Pagnin A. (2007), Il lessico psicologico: Teoria della mente nella vita quotidiana, Bologna, Il Mulino.
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Ornaghi V. e Grazzani Gavazzi I. (2009) La comprensione della mente nei bambini: Un laboratoriolinguistico con storie per la scuola dell’infanzia, Trento, Erickson.
Ruffman T., Slade L. e Crowe E. (2002), The relation between children’s and mothers’ mental state language and theory-of-mind understanding, «Child Development», vol. 73, n. 3, pp.734-751.
Stein N.L. e Glenn C.G. (1979), An analysis of story comprehension in elementary school children. In R. Freedle (a cura di), New directions in discourse processing, Norwood, NJ, Ablex.
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SCHEDA 1
La tartaruga Sara (decidere)
© 2009, Ornaghi e Grazzani Gavazzi,Difficoltà di Apprendimento, Trento, Erickson
(continua)
Un giorno lo squalo Teo nuotava in fondo al mare.
A un certo punto, sentì una voce che chiedeva aiuto e pensò: «C’è qualcuno in
difficoltà, in pericolo». Si guardò intorno e subito decise di darsi da fare per trovarlo
e aiutarlo.
Cercò di capire da dove venisse quella voce e cominciò a nuotare in tutte le direzioni.
All’improvviso, nei pressi di alcune rocce sentì la voce sempre più forte. Si avvicinò e
vide una fessura tra gli scogli. Guardò dentro e vide la tartaruga Sara che piangeva.
Teo le chiese: «Cosa ti è successo? Perché piangi?».La tartaruga spaventata rispose: «Dovevo raccogliere del cibo per i miei tartarughini
e in questo buco ho visto dei buonissimi molluschi. Ho pensato che ai miei piccoli
sarebbero piaciuti moltissimo. Ho notato che era un buco un po’ piccolo, ma ho
deciso di entrare lo stesso e mi sono incastrata. Ora, però, non riesco più a uscire. Ti
prego, aiutami».
Teo rispose: «Certo, non preoccuparti, stai tranquilla. Vado a chiamare il mio amico
delfino Jack che sicuramente saprà come tirarti fuori da lì».
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91 © 2009, Ornaghi e Grazzani Gavazzi,Difficoltà di Apprendimento, Trento, Erickson
(continua)
Teo allora nuotò velocemente verso la tana di Jack. Quando arrivò, gli spiegò la
situazione e a Jack venne subito un’idea: decise di portare con sé una corda molto
resistente con cui poter tirare fuori la tartaruga dal buco.
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94 © 2009, Ornaghi e Grazzani Gavazzi,Difficoltà di Apprendimento, Trento, Erickson
SCHEDA 2
La tartaruga Sara decidere
L’adulto riprende una frase della storia:
«… ho notato che il buco era un po’ piccolo, ma ho deciso di entrare lo stesso e mi
sono incastrata».
Lancio della parola
«Oggi giochiamo a usare la parola decidere. Se vi dico la parola decidere, che cosa
vi viene in mente?»
Stimoli di discussione
Che cosa ha deciso di fare la tartaruga Sara?
Quali sono le cose che potete decidere voi e quali quelle che decidono la mamma
e il papà?
Potete decidere che cosa guardare alla TV?
Chi decide i vestiti che vi dovete mettere?
Facciamo finta di essere a una festa di compleanno e c’è un tavolo pieno di cose buo-
ne da mangiare. Voi cosa decidete di mangiare? Con chi decidete di giocare?
Un esempio di attività (con bambini di 3 anni)
Se vi dico la parola decidere, cosa vi viene in mente?
Claudia: Io decido di giocare con le mie bambole… quando c’è l’uscita torno a
casa e gioco.
Lorenzo: Decido che voglio giocare.
Flavio: Ma L. è seduto per terra!
Antonio: Beh, lui ha deciso di sedersi per terra anziché sul cuscino.
Valeria: Anch’io decido di sedermi per terra.